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Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure […] colgono sempre
tutti alla sprovvista. […] Quando scoppia una guerra tutti dicono: «È una follia, non
durerà» […] ma ciò non le impedisce di durare.
Guerra e peste si uniscono nella quantità dei morti che generano, ma difficile da
rappresentare sia in senso scientifico che in senso umano.
Diecimila morti [...] Ecco, bisognerebbe far questo: radunare le persone [...] e farle morire
[...]. Almeno, si potrebbero allora mettere dei visi noti su quel cumulo anonimo. Ma,
naturalmente, è impossibile far questo; e poi, chi conosce diecimila visi?
La rappresentazione bellica non si limita alla guerra in generale, ma, sebbene non
venga mai citata, è un chiaro riferimento alla II Guerra Mondiale ed al corso che prende
per la Francia. Infatti la peste è facilmente paragonabile all’invasione tedesca, il morbo
bruno, in particolare nella reazione verso di essa: gli sforzi della lotta di Rieux assieme
ai suoi compagni rappresentano la resistenza, mentre chi si adatta alla peste e ne
approfitta simboleggia il collaborazionismo.
Jean Tarrou, il quale considera la peste come colpa umana, segno della colpevolezza
di ogni uomo, sostiene come unica via d’uscita il rifiuto della morte e della
giustificazione di ciò che la causa, come afferma nel seguente dialogo con Rieux:
[…] Ho deciso di rifiutare tutto quello che, da vicino o da lontano, per buone o per cattive
ragioni, faccia morire o giustifichi che si faccia morire.
Un’altra chiave di lettura del romanzo ce la offre il prete: padre Paneloux considera
la peste come una punizione divina e nelle sue prediche farà largo uso di racconti
biblici:
Paneloux […] citò il testo dell’Esodo relativo alla peste in Egitto e disse: «La prima volta
che il flagello appare nella storia, è per colpire i nemici di Dio […] Meditate e cadete in
ginocchio»
È molto interessante perché Camus, ateo, riporta queste posizioni e le rilegge anche
attraverso gli occhi dei personaggi che più interpretano il suo pensiero, come Rieux, il
quale, in un importante dialogo di confronto con padre Paneloux, dirà: “Quello che
odio, è la morte e il male, lei lo sa.” La frase pronunciata dopo aver assistito a tutte le
fasi della morte di un bambino, rappresenta la peste come il male, che per il narratore è
l’assenza di solidarietà, rendendo quest’ultima fondamentale nella lotta e riesce ad
accomunare due individui dalle posizioni diametralmente opposte.
Un altro grande tema collegato è l’assurdità dell’esistenza umana, già presente ne Lo
Straniero. Il testo pone gli oranesi prigionieri della loro condizione, in cui progettare il
futuro è solo una tentazione da abbandonare e la morte è l’unico orizzonte:
«In una bella mattina del mese di maggio, un’elegante amazzone percorreva, sopra una
superba giumenta saura, i viali fioriti del Bois de Boulogne». […] Grand aveva posato il
foglio e continuava a contemplarlo.
La felicità arrivava di gran carriera, l’evento andava più presto dell’attesa. Rambert capiva
che tutto gli sarebbe stato restituito d’un colpo, e la gioia è una bruciatura che non si
assapora. 1
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Bibliografia:
-Albert Camus, La peste (Italian Edition). Bompiani. Edizione del Kindle