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PESTILENZE NELLA TARDA ANTICHITÀ (VI VII SECOLO).

La principale fonte riguardante la peste del 541/542 è Procopio di Cesarea, attraverso


la “Storia delle guerre” in VIII libri e gli “Anecdota”.
Il punto di forza dell’Autore è il grande impegno nel riportare gli eventi avvenuti con
una visione prescientifica e attenta, riportando, segnalando come dicerie le teorie del
complotto, che si erano diffuse. Apprendiamo che la peste giunta dall’Etiopia si scatenò
inizialmente a Pelusio (delta del Nilo orientale), dalla città partivano i dromoni carichi
di rifornimenti alimentari e seguendo la costa mediterranea orientale giungevano fino
alla capitale, segnando una diffusione del contagio lenta in principio, ma capillare, in
particolare lungo le vie fluviali.
Per quanto riguarda il decorso medico, Procopio è particolarmente dettagliato e
riusciamo a far corrispondere le nostre attuali conoscenze mediche alle sue accurate
descrizioni (basta sovrapporre un’immagine rappresentativa del sistema linfatico alle
posizioni in cui si collocano i bubboni descritti).
La malattia si presentava con febbre e bubboni, e qualora si riuscisse a superare i
primi tre giorni si era fuori pericolo. Lo stesso decorso ci viene confermato anche da
Gregorio di Tours e Paolo Diacono.
Analizzando le conseguenze, Procopio racconta un particolare impoverimento
(evidenziato da rivolte per il pane e dall’assenza della clamide), un’estrema velocità e
sobrietà dei funerali e il ravvedimento degli animi più malvagi, a cui, dopo la peste,
seguiva un ritorno alla criminalità.
Incrociando Procopio con le fonti siriache veniamo a sapere che lo stato bizantino,
per fronteggiare il carico di morti, ingaggiò delle figure pagate dalle autorità sanitarie
dell’epoca, a noi oggi note come monatti, che potevano guadagnare fino a 12 solidi al
giorno e il loro capo, il referendarius Teodoro, arrivava fino a 450; sebbene le cifre
possano essere esagerate (12 solidi erano la paga di due anni di un soldato),
testimoniano il grande bisogno di monatti e la loro sicuramente alta retribuzione.
La peste non fermò le guerre di Giustiniano, ma anzi parve poter essere un’occasione
di conquiste. Nel 543 alcuni emissari dell’imperatore erano stati inviati a trattare con i
persiani ed avevano trovato nell’emissario del re Cosroe, il capo della chiesa nestoriana
Sasanide, un interlocutore favorevole alla pace; però nel frattempo scoprirono
fortuitamente che il regno Persiano si trovava in difficoltà a causa della diffusione della
peste nel loro regno, lo stesso re aveva contratto il morbo e uno dei suoi figli si era
ribellato.
Giustiniano tentò quella che gli parve una facile campagna, ma a causa della poca
coordinazione tra i comandanti romani e l’astuzia delle poche truppe persiane la
spedizione fallì.
Molto interessante è il rapporto che ebbero i due sovrani con la peste; come scritto
negli “Anecdota” infatti anche l’imperatore Giustiniano ne fu colpito, ma riuscì a
sopravvivere. Nei suoi studi H. Pottier conferma questa affermazione segnalandoci la
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raffigurazione dell’imperatore con un bubbone nelle monete di bronzo (Follis) coniate


per la XV e XVI indizione imperiale, corrispondente agli anni 541/542 e 542/543.
Nel “Bellum Gothicum” Procopio narra di Cosroe ammalato, assistito da un medico
chiamato Tribunus. Incrociando le fonti si scopre che il medico, proveniente
dall’impero bizantino, si installò nella scuola di teologia e medicina di Nisibi, ed fu
mandato dall’imperatore Giustiniano in persona, a testimonianza dell’esistenza di
rapporti personali diretti tra regnanti nonostante le rivalità tra paesi.
La peste del 541 fu una grande calamità che si diffuse a cavallo tra i due grandi
imperi confinanti e per i quali fu una catastrofe di cui nessuno riuscì ad approfittare,
inoltre lo studio della monetazione bizantina ci permette di cogliere come conseguenza
a lungo termine l’incremento dei prezzi, l’aumento del circolante e la diminuzione del
valore della moneta, evidenti in una vertiginosa tendenza inflattiva di svalutazione delle
monete di rame, che portò a triplicare la quantità di monete coniate per libbra (da 12 a
36) nel corso di solo un secolo.
Un’altra pestilenza, analizzata in ambito persiano grazie a fonti arabe, fu quella del
628 in cui il sovrano Kawad II, poco dopo aver siglato una pace carissima in termini
territoriali coi bizantini, si ammalò e morì. La sua morte avviò una gravissima crisi
dinastica in quanto aveva avuto il tempo di eliminare numerosi rivali (al-Tabari ci narra
l’assassinio di 17 fratelli). Negli anni immediatamente successivi ottennero il trono il
figlio bambino e due sorelle di Kawad II, assieme ad una lunga serie di usurpatori.
Questo periodo di confusione politica certamente non favorì la difesa dall’avanzata del
califfato islamico, che portò alla fine dell’impero Sasanide nel 651.
In conclusione è evidente la forte influenza delle pestilenze sulla sfera sociale,
economica e politica della vita umana, tornata ad essere oggetto del dibattito
accademico in questo nostro preciso momento storico in cui si registrano gli effetti di
una pandemia. 1

1
Bibliografia:
-Procopio di Cesarea, Ἀνέκδοτα, Arcana Historia o Storia segreta, IV, 1-3.
-Mélanges Cécile Morrisson, Travaux et memoires 16, Paris, Association des Amis du Centre
d’Histoire et Civilisation de Byzance, 2010, p. 685-691.

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