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EPIDEMIE DELLA PRIMA ETÀ MODERNA IN ITALIA.

CONTAGIO E
PROVVEDIMENTI DI SANITÀ.

Per analizzare la diffusione delle grandi epidemie, come la peste, è necessario


introdurre il concetto di patocenosi: quest’idea, sviluppata nel 1969 da Mirko Drazen
Grmek, sostiene l’esistenza di un equilibrio ecologico, nel quale gli agenti patogeni, per
la loro stessa sopravvivenza, non prendono il sopravvento eliminando l’intera
popolazione ospite.
Quest’equilibrio stabile può essere rotto sia da cause naturali che dall’azione umana
e genera malattie drammatiche.
La Peste Nera (1346-1353) si originò a causa del contatto commerciale tra diverse
aree patocenotiche, sorto in seguito alla Pax Mongolica (da metà XIII sec.); la malattia
giunse da Caffa e si diffuse in senso orario alla velocità di 12 km al giorno attraverso
l’intero bacino mediterraneo e raggiunse il nord est europeo, uccidendo tra il 30% e
l’80% della popolazione.
Altri elementi da tenere in considerazione studiando le epidemie sono l’osservazione
degli ecosistemi e del clima negli anni in cui si presentano questi morbi: diversi studi
scientifici ci confermano alterazioni stagionali e climatiche, che nel caso della Peste
Nera spiegano il motivo per cui la malattia si scatenò in quegli anni e non prima.
Le accurate descrizioni della malattia, descrivono la comparsa di bubboni,
all’inguine o alle ascelle a cui si associano le petecchie, delle macchie livide di cui
abbiamo una raffigurazione visiva nel Cristo sofferente di Pirano.
A causa della Peste Nera e della mancanza di risposte efficaci dalla medicina
dell’epoca, vennero prese una serie di provvedimenti come ad esempio la quarantena,
ovvero l’isolamento degli individui provenienti da zone appestate. Nel 1423 Venezia fu
il primo stato italiano a creare una struttura sanitaria per ospitare i malati: il lazzaretto
vecchio e tra il 1468 e il 1471 costruì un lazzaretto nuovo per la quarantena dei casi
sospetti.
Quando le magistrature straordinarie non furono in grado di agire efficacemente,
contrastando il morbo nelle prime fasi, gli stati del nord Italia si dotarono di
magistrature stabili (Per esempio Milano ad inizio Quattrocento e Firenze nel 1527).
Venezia istituì la magistratura dei provveditori alla Sanità nel 1486, con autorità di
giudiziaria e legislativa; tale carica venne modificata più volte ottenendo poteri
maggiori e nel 1556 nacquero i sopraprovveditori eletti dal senato.
Francesco da Molino ci racconta che nel 1577 il senato nominò tre sopraprovveditori,
membri importantissimi dell’alta nobiltà veneziana. Questi, esercitando i loro poteri
giudiziari e legislativi, si occuparono della gestione dei beni rubati appartenuti ai morti
di peste, modificando le leggi di Venezia. Siccome il governo veneziano riteneva di
poter sanificare le merci, per incentivarne la consegna alle autorità, i sopraprovveditori
depenalizzarono il furto e permisero ai ladri di mantenere la merce rubata, purché
consegnata entro una data precisa.
Nel 1598 a Cividale ci fu un caso di peste gestito dal provveditore Generale in
Terraferma, Nicolò Donà, il quale prese una serie di provvedimenti e fermò la peste
nelle prime fasi. Una cronaca di parte cividalese, però, ci testimonia la durezza dei
provvedimenti esemplificata dalla triste storia di due artigiani carnici messi in prigione e
condannati alla forca perché avevano tentato di fuggire dalla città.
I testi scritti da viaggiatori stranieri ci confermano, con la loro sorpresa o in alcuni
casi in modo critico, l’unicità di queste cariche amministrative che imponevano controlli
e documenti sanitari anche nei periodi in cui non c’era la peste.
Nel volume “Il burocrate e il marinaio” lo storico Cipolla mette in luce il contrasto
tra la mentalità commerciale inglese, che considerava più importante il commercio
rispetto alla sanità, e il potere custodito gelosamente dai magistrati che portava, come in
un caso verificatosi a Livorno, all’abuso di potere nei confronti dei capitani inglesi
colpevoli di comportamenti poco rispettosi.
Con la fine degli stati di antico regime, che nelle situazioni di emergenza si ponevano
come priorità la sicurezza dello stato a discapito della libertà individuale, tramontarono
anche queste magistrature, infatti a Venezia i provveditori alla sanità vennero aboliti
con la caduta della repubblica nel 1797.
Nel 1894, dopo oltre centocinquant’anni, parve che il morbo tornasse ad Hong Kong,
a causa di una rottura della patocenosi in Asia. Giunto in città il dott. Yersin scoprì il
bacillo “Yersinia Pestis”, portato dai topi, e sostenne di aver isolato e scoperto lo stesso
batterio delle grandi pesti del passato. In seguito Paul Luis Simmond scoprì il vero
vettore: la pulce del ratto (Xenopsilla Cheopis).
Nel 2004 lo studioso S. K. Cohn ha evidenziato alcune incongruenze tra la peste
storica e quella contemporanea indicando la differenza tra i tassi di mortalità, la velocità
di diffusione e l’assenza di petecchie nella peste moderna; un altro aspetto cruciale è la
mancanza di tracce archeologiche o nelle fonti di topi morti, elemento ben documentato
nella pestilenza di Hong Kong.
Grazie a recenti studi abbiamo confermato definitivamente l’esistenza di due malattie
diverse causate dallo stesso batterio.1

1
Bibliografia:
-A cura di Carlo Venuti, Quaderni Guarneriani, 6 (nuova serie), 2015, “I ratti invisibili”, Fabio Cavalli, pp.
113-140
-Carlo M. Cipolla, Origini e sviluppi degli uffici di Sanità in Italia (1973), ora in Id., Le tre rivluzioni e altri
saggi di storia economia e sociale, Bologna 1989, pp. 250-251.
-Francesco Da Molino, Bibl. Naz. Marciana, ms. Italiani, cl. VII, n. 553 (=8812), pp. 78-79
-Mario Brozzi, Peste fede e sanità in una cronaca cividalese del 1598, Milano, Dott. A. Giuffrè editore,
1982, pp 31-33.
-Montaigne, Viaggio in Italia, traduzione di Alberto Cento, Bari, Laterza, 1991.

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