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STORIA DELL’EBRAISMO IN ITALIA

Benvenuti su RTB! Questa puntata è dedicata all’ebraismo ortodosso in


Italia. Oggi faremo una panoramica generale sull’argomento e nella
prossima puntata invece avremo in Studio il Rabbino Capo della Comunità
ebraica di Torino, Rav di Porto!
Per la redazione di questa puntata ringrazio l’UCEI, Unione delle
Comunità ebraiche italiane, per avermi fornito tramite il loro sito internet
diverse informazioni riguardo alla storia dell’ebraismo italiano.

La storia della vita degli ebrei in Italia potrebbe sembrare una lunga


epopea di sofferenza e traumi: schiavitù all’epoca dei romani, nel
medioevo l’inquisizione, poi la persecuzione da parte della chiesa, e la
segregazione forzata in quartieri angusti. Nel 1516 a Venezia fu creato il
primo di molti ghetti. Nel novecento ci furono il fascismo, le leggi razziali
antisemitiche e l’olocausto. Quasi 7.700 ebrei furono uccisi su una
popolazione totale di 44.500 persone. Esiste però un’altra faccia della
storia ebraica italiana, fatta di accettazione, integrazione e perfino
apprezzamento nel lungo arco di tempo di civilizzazione nella penisola. 

L’ebraismo in Italia ha origini antichissime; ritroviamo infatti le


testimonianze storiche e archeologiche della presenza ebraica nel nostro
Paese ben prima dell’arrivo dei primi Cristiani.
I primi ebrei arrivarono a Roma per motivi commerciali nel II secolo a.C.
E già in quel periodo la comunità ebraica romana era fiorente e stabile
tant'è che poté riscattare gli ebrei fatti schiavi durante l'assedio di
Gerusalemme del 70. La maggioranza degli ebrei italiani di conseguenza
non appartiene a nessuno dei due gruppi rituali maggiori presenti in seno
all'ebraismo (quello sefardita-spagnolo e quello askenazita-tedesco), ma
sono di rito italiano che è, insieme al rito (yemenita) uno dei riti ebraici
più antichi; già nel Talmud si trovano accenni ad usi tipici dei 
cosiddetti figli di Roma. Il rito italiano attuale può essere suddiviso inoltre
in due sottocategorie: il rito italiano degli ebrei del centro e nord Italia,
più vicino al rito romano originario e simile nella maggior parte dei suoi
aspetti al rito askenazita-tedesco ed il rito romano degli attuali ebrei
romani, più simile al rito sefardita a causa delle influenze conseguenti
all'immigrazione a Roma degli ebrei sefarditi dopo la cacciata dalla
Spagna.

A quel tempo la maggioranza viveva nell'estremo sud dell'Italia, con una


ramificazione comunitaria a Roma, e generalmente parlavano il greco.

Un gran numero di ebrei vivevano a Roma anche durante la tarda epoca


romana repubblicana. Erano in gran parte di lingua greca e poveri. Poiché
Roma aveva aumentato i contatti e i rapporti militari/commerciali con il
Levante di lingua greca, durante il secondo e primo secolo molti Greci, e
anche numerosi ebrei, erano venuti a Roma come mercanti o portati lì
come schiavi.

I romani sembrano aver visto gli ebrei come seguaci di particolari usanze
religiose retrograde, ma l'antisemitismo come venne conosciuto
successivamente nel mondo cristiano e islamico non esisteva. Nonostante
il loro disprezzo, i romani riconoscevano e rispettavano l'antichità della
loro religione e la fama del loro Tempio a Gerusalemme. Molti romani
non conoscevano molto dell'Ebraismo, compreso l'imperatore Augusto
che, secondo il suo biografo Svetonio, pensava che gli ebrei digiunassero
durante lo Shabbat. Giulio Cesare era noto come grande amico degli
ebrei, e questi furono tra i primi a deprecare il suo assassinio.

A Roma la comunità era notevolmente organizzata ed era anche molto


attivi nel proselitizzare i romani, con un numero crescente di veri e propri
convertiti all'Ebraismo. C’erano poi anche ampie schiere di coloro che
adottavano alcune pratiche e credenze ebraiche e fede nel D-o ebraico,
senza in realtà convertirsi.

Il destino degli ebrei a Roma e in Italia oscillava, con espulsioni parziali


attuate sotto gli imperatori Tiberio e Claudio. Dopo le guerre giudaiche
del 66 e 132 e.v., molti ebrei della Giudea furono portati a Roma come
schiavi. Queste rivolte causarono crescenti ostilità ufficiali dal regno di
Vespasiano in poi. Il provvedimento più grave preso contro gli ebrei fu il
Fiscus iudaicus, che era una tassa richiesta a tutti gli ebrei dell'Impero
Romano. La nuova imposta sostituiva la decima, che in precedenza veniva
inviata al Tempio di Gerusalemme (distrutto dai romani nel 70 e.v.), ed
era invece versata al tempio pagano a Roma.

Oltre a Roma, esistevano in questo periodo diverse comunità ebraiche


nell'Italia meridionale. Ad esempio, le regioni di Sicilia, Calabria e Puglia
avevano popolazioni ebraiche ben consolidate.

L'imperatore Flavio Claudio Giuliano, detto l'Apostata dai cristiani, era


favorevole agli Ebrei.
Poi invece, con la promozione del Cristianesimo a religione legale
dell'Impero Romano da parte di Costantino I nel 313 (Editto di Milano), la
posizione degli ebrei in Italia e in tutto l'impero declinò rapidamente e
drammaticamente. Costantino stabilì alcune leggi fortemente oppressive
per gli ebrei, ma queste furono a loro volta abolite da Flavio Claudio
Giuliano, che mostrò il suo favore verso gli ebrei al punto di permettere
che riprendessero il loro progetto di ricostruire il Tempio di
Gerusalemme. Questa concessione fu però revocata rapidamente dal suo
successore, che era cristiano; dopodiché l'oppressione crebbe
considerevolmente. Il Cristianesimo fu adottato come "Chiesa di Stato"
dell'Impero Romano nel 380, poco prima della caduta dell'Impero
d'Occidente.

Nel primo medioevo esistevano grandi comunità nel meridione italiano,


come per esempio Bari e Otranto.
Nel 1533 tutta la popolazione ebraica venne espulsa dal Regno di Napoli,
e il centro di gravità si spostò a Roma e al Nord Italia.

L’alba del XIV secolo vede in Italia, su una popolazione di 8 milioni di abitanti,
40.000 ebrei. Incalzati da frequenti aggressioni e saccheggi, molti lasciano
l’Italia per cercare rifugio provvisorio al di là delle Alpi, da dove per le stesse
ragioni altri ebrei compiono il cammino inverso. Nello stesso periodo Si
calcolano in 100.000 gli ebrei uccisi al passaggio dei Crociati nelle città
tedesche.
La Morte Nera e gli “untori”
Nel 1348 si abbatte sull’Europa una terribile epidemia di peste che verrà
ricordata come la Morte Nera. Gli ebrei vengono accusati di esserne gli
“untori” e di voler uccidere tutti i cristiani.
L’Italia è relativamente al riparo da questa ondata di follia antigiudaica, e
diventa sempre più rifugio per migliaia e migliaia di ebrei, che si concentrano
ora in Lombardia, nel Trentino, in Piemonte, nel Veneto, in Emilia, dove
devono pagare un “diritto di residenza”, portare un segno distintivo, subire
altre restrizioni. Ma insomma vivono e producono. E godono del beneficio di
saper leggere e scrivere.

La scoperta dell’America nel 1492 coincide con l’espulsione, decretata dai


sovrani spagnoli Ferdinando e Isabella, di tutti gli ebrei dalla Spagna e da tutti
i dominî spagnoli, Sicilia inclusa.
A tutto il 1492 sono almeno 200.000 gli ebrei espulsi dalla Spagna e 40.000
dalla Sicilia, dove finisce così una presenza durata quindici secoli.

Riforma e Controriforma
Nel XVI secolo il Rinascimento si diffonde in tutta Europa, e oltralpe assume
anche il carattere di contestazione e rivolta contro la Chiesa romana.
E’ la Riforma, sarà lo scisma. I cristiani non sono più solo cattolici e i
contestatori diventano “protestanti”.
La metà del Cinquecento segna per gli ebrei un drastico giro di vite. La
Riforma induce il Papato a un generale irrigidimento. E’ la Controriforma.
Alcune conseguenze le conoscono nel 1555 in Italia gli ebrei, per i quali la
Controriforma ha un nome: la bolla Cum nimis absurdum emessa dal papa
Paolo IV il 15 luglio.
In essa viene detto che “è assurdo e sconveniente al massimo grado che gli
ebrei, che per loro colpa sono stati condannati da Dio alla schiavitù eterna,
possano, con la scusa di essere protetti dall’amore cristiano e tollerati nella
loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani
da oltraggiarli per la loro misericordia e da pretendere dominio invece di
sottomissione”.
Questi ebrei, si legge ancora, osano “vivere in mezzo ai cristiani” e perfino
“nelle vicinanze delle chiese”, si vestono come gli altri, senza perciò potersi
fare riconoscere, comprano case, assumono balie cristiane, insomma,
commettono questi e “numerosi altri misfatti a vergogna e disprezzo del nome
cristiano”.
La bolla papale impone agli ebrei di abitare in una o più strade, dove non ci
sia possibilità di contatto con i cristiani: è l’istituzionalizzazione del ghetto. Gli
uomini sono obbligati a portare un berretto che li distingua; le donne un velo o
uno scialle, sempre con caratteristiche tali da rendere subito nota la loro
identità. Ogni contatto con i cristiani, di lavoro o di amicizia, è vietato. Agli
ebrei è vietato ogni tipo di lavoro, d’arte o di commercio che non sia il traffico
di stracci e di abiti usati

Nel 1559 muore papa Paolo IV, ma le leggi antiebraiche del suo
predecessore restano in vigore.
Col succedersi dei papi, le condizioni di vita imposte agli ebrei non mutano.
La politica della Chiesa ha conseguenze negative anche negli Stati che non
sono direttamente dominati dal papato.

Liberté, Egalité, Fraternité


Con la Rivoluzione francese, esportata anche in Italia, gli ebrei italiani, che
sono circa 30.000 su una popolazione di 17 milioni, fanno il loro ingresso
nella vita pubblica del paese.
Gli ebrei accolgono con entusiasmo l’ingresso dei francesi in Italia, ma
restano prudenti, quasi a presagire che alla Rivoluzione e a Napoleone
sarebbe succeduta la Restaurazione. E con la Restaurazione molti degli
antichi ceppi antiebraici

Con la Restaurazione il pendolo torna indietro


Dopo il Congresso di Vienna, con la Restaurazione, Anche in Piemonte
tornano i ghetti, ma l’espansione economica ebraica negli anni di libertà ha
creato situazioni di fatto difficilmente reversibili.
Nel Lombardo-Veneto vivono 7000 ebrei, che qui possono studiare e
laurearsi. Condizioni simili si hanno in Toscana, a Parma, a Modena, a
Mantova. In quest’ultima città agli ebrei è consentito uscire di giorno dal
ghetto e persino tenervi “granari e magazzeni, purchè si osservi la debita
distanza dalle Chiese”.

Fratelli d’Italia
A partire dalla metà dell’800 la storia degli ebrei italiani si confonde sempre di
più con la storia d’Italia e non può meravigliare il fatto che gli ebrei partecipino
ai moti risorgimentali. I patrioti italiani, come Mazzini e Cattaneo, tendono
all’abbattimento di un mondo chiuso, reazionario, antisemita. E’ proprio
Cattaneo, con il suo Interdizioni imposte dalla legge civile agli Israeliti, a
denunciare l’insostenibile condizione ebraica,

Alle campagne che Garibaldi conduce nel 1848 e nel 1849 partecipano
duecento ebrei, e quando a Torino le responsabilità di governo sono affidate
a Camillo Benso conte di Cavour, questi si avvale dell’opera di consiglieri e
amici ebrei, come Ottolenghi, Todros, Vitta, Leonino. Segretario particolare di
Cavour è un altro ebreo, Isacco Artom, mentre a dirigere il giornale
governativo di Torino, L’Opinione, è chiamato Giacomo Dina.
L’Italia unita porta agli ebrei libertà e uguaglianza. Nel codice del 1889 non
c’è più traccia della vecchia divisione tra religione di Stato e culti tollerati. Tutti
i culti ora sono ammessi ed è punito il vilipendio di ogni religione professata.

La gente del Libro


Nel corso dei secoli gli ebrei non hanno mai smesso di produrre cultura. Dal
filosofo, medico e astrologo Shabbatai ben Avraham Donnolo, vissuto nel X
secolo nel Mezzogiorno, al pugliese Achimoaz da Oria che nel 1054 ha
lasciato una preziosa Cronaca, agli anonimi estensori del dotto Sefer
Josipon, è lunga la lista degli ebrei illustri. O dei grandi stampatori, come i
Soncino, come Avraham di Chaim de’ Tintori, da Pesaro, o il mantovano
Avraham Conat. O dei medici come i Portaleone da Mantova, dei filologi
come Azaria de’ Rossi, dei commediografi come Leone de’ Sommi
Portaleone, dei musicisti come Salomone de’ Rossi.
L’abitudine a leggere, scrivere e studiare agevola l’integrazione con la cultura
circostante.
Alla fine del XIX secolo gli ebrei costituiscono il 6 per cento del corpo
insegnante universitario (nel paese sono l’uno per mille). Già nel 1871,
all’indomani della presa di Roma, la Camera dei Deputati conta undici ebrei
ed è ebreo, tra il 1907 e il 1913, il sindaco di Roma Ernesto Nathan.
E sono gli ebrei di Trieste ad assumere un ruolo di rilievo nel movimento
irredentista e nella cultura italiana, il cui simbolo triestino è Italo Svevo.

“Fatta salva la sua onorabilità”


La guerra mondiale del 1914/18 (l’Italia vi entra nel 1915) vede anche gli
ebrei italiani al fronte.
Dopo il conflitto, per il quale l’Italia ha pagato il prezzo altissimo di 600.000
morti, in un clima di confusione e disordini, nel 1922 nel paese s’impone il
fascismo, nei confronti del quale la posizione degli ebrei non è diversa da
quella degli altri italiani: chi è a favore, chi è contro, chi si rassegna.
Il fascismo non si presenta come un movimento antisemita, ma i pochi teorici
dell’antisemitismo, come Paolo Orano e Giovanni Preziosi, vi aderiscono
subito.
Nemmeno Mussolini si era sottratto a un certo antisemitismo popolare. Già
nel 1919 scriveva che il bolscevismo rappresentava “la vendetta
dell’ebraismo contro il cristianesimo”.
Ma ecco lo stesso Mussolini, appena un anno dopo, nel 1920: “Il bolscevismo
non è, come si crede, un fenomeno ebraico. E’ vero invece che il
bolscevismo condurrà alla rovina totale gli ebrei dell’oriente europeo”.
Nel 1930, dopo il Concordato tra lo Stato e la Chiesa avvenuto l’anno prima,
viene approvata una legge che regola il funzionamento delle Comunità
ebraiche.
Il primo sospetto del fascismo sui sentimenti degli ebrei nasce alla fine del
1931, quando i docenti universitari sono chiamati al giuramento di fedeltà al
regime. Su oltre mille professori, solo dodici rifiutano di piegarsi. Tra questi
cinque sono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Mario
Carrara e Fabio Luzzatto.
Alcuni ebrei italiani aderiscono a gruppi di opposizione, naturalmente
clandestina, al regime. Tra loro i fratelli Carlo e Nello Rosselli – assassinati in
Francia da sicari fascisti – che hanno fondato il movimento di “Giustizia e
Libertà”, al quale aderiscono anche altri ebrei: Carlo, Mario, Riccardo Levi,
Max Ascoli, Leone Ginzburg, Gino Luzzatto.
Nel marzo 1934 a Torino viene scoperta una rete antifascista. I quindici
arrestati sono in gran parte ebrei. Ciò dà adito a tutti i giornali di scatenare
una campagna antisemita, orchestrata dall’alto, che a un certo punto però
misteriosamente si spegne.

“Grandi razze e piccole razze”


Nel 1938 la campagna antisemita riprende più incisiva e il 14 luglio “Un
gruppo di studiosi fascisti docenti nelle Università italiane”, fissa “la posizione
del Fascismo nei confronti del problema della razza”.
E’ un “Manifesto” che dice: “le razze umane esistono”, “esistono grandi razze
e piccole razze”, “la popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua
civiltà è ariana”, e “esiste ormai una pura razza italiana”.
Poi si afferma che “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”, e “i
caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono
essere alterati in nessun modo”.
Sotto al “Manifesto” vi è la firma di dieci docenti universitari.
Il 7 settembre il governo emana il primo decreto contro gli ebrei: quelli
stranieri, entrati nel paese dopo il 1919, dovranno andarsene.
Poi il regio decreto del 17 novembre vieta “il matrimonio del cittadino italiano
di razza ariana con persona appartenente ad altra razza” e stabilisce che gli
ebrei non possono “prestare servizio militare in pace e in guerra; esercitare
l’ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza
ebraica; essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate
interessanti la difesa della nazione (…) e di aziende di qualunque natura che
impieghino cento o più persone, né di avere di dette aziende la direzione, né
assumervi comunque l’ufficio di amministratore o di sindaco; essere
proprietari di terreni che in complesso abbiano un estimo superiore a lire
cinquemila; essere proprietari di fabbricati urbani che in complesso abbiano
un imponibile superiore a lire ventimila”.
Inoltre “il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui
figli che appartengano a religione diversa da quella ebraica”. Gli ebrei sono
esclusi “con effetto immediato” dalle occupazioni che dipendono da
“Amministrazioni civili e militari dello Stato”, dalle organizzazioni del partito
fascista, da tutte le amministrazioni pubbliche (Province, Comuni, Aziende di
trasporto, Ferrovie, Consorzi), dalle banche e dalle aziende di assicurazione.
E naturalmente tutti, docenti e discenti, dalle scuole del Regno.
Successivamente saranno ritirate le licenze commerciali e artigiane, e le
libere professioni, dall’avvocato all’ingegnere, dall’architetto al medico,
saranno precluse.
Una parte della comunità ebraica italiana (forse 4/5000 persone), lascia il
paese, ma il grosso resta.
La Chiesa protesta per il disconoscimento delle conversioni, e per la
proibizione di contrarre matrimonio misto, anche quando il coniuge ebreo
abbraccia il cattolicesimo.
Oltre a tutti gli altri provvedimenti, gli ebrei subiscono anche umiliazioni. Non
possono avere apparecchi radio, né frequentare luoghi di villeggiatura e di
cura. Taluni esercizi commerciali cominciano ad esibire nelle loro vetrine la
scritta “Vietato l’ingresso agli ebrei”.

La guerra e la resa dell’Italia, invasa dai tedeschi


Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra a fianco della Germania, ma anno
dopo anno matura il disastro, tanto che nel settembre del 1943 deve
arrendersi. Anche la resa è gestita tanto disastrosamente da trasformarsi in
catastrofe.
Nei primi giorni dell’invasione tedesca alcune migliaia di ebrei fuggono in
Svizzera, altri passano la confusa linea del fronte e raggiungono il sud d’Italia
già liberato. Altri ancora, specie i più giovani, finiscono per raggiungere le
formazioni partigiane. Molti cercano di nascondersi. Ma un gran numero non
ce la fa. Gli ebrei del vecchio quartiere ebraico di Roma, l’antico ghetto, sono
colti di sorpresa.

La razzia del 16 ottobre ’43 a Roma


Il 26 settembre 1943 due esponenti dell’ebraismo romano e italiano sono
convocati dal comandante della polizia tedesca, il maggiore delle SS Herbert
Kappler, che chiede la consegna entro 36 ore di cinquanta chili d’oro, in
cambio della vita di 200 ebrei romani.
L’oro viene reperito, i tedeschi sembrano placati, molti ebrei si tranquillizzano.
Tra il 29 settembre e il 13 ottobre i tedeschi penetrano negli uffici della
Comunità, ne asportano documenti e libri antichi.
Tre giorni più tardi, all’alba del 16 ottobre, circondano il Ghetto di Roma e di
colpo irrompono nelle case. E’ la razzia del Ghetto di Roma.

Per tutta la mattina di sabato 16 ottobre i tedeschi strappano gli ebrei, uomini,
donne, bambini dalle loro abitazioni, li caricano su camion, li avviano a una
caserma di via della Lungara. Da qui pochi giorni dopo gli oltre mille ebrei
catturati nella razzia vengono gettati su treni piombati e avviati a Fossoli e da
qui ad Auschwitz, dove in gran parte saranno uccisi subito (come i bambini e
gli anziani) e il resto, salvo un pugno di superstiti, più tardi.
Nell’infausta geografia dei campi di sterminio nazisti, uno si trova anche in
Italia, a San Sabba, vicino Trieste.
La razzia continua per tutta Roma nelle settimane e nei mesi seguenti. In
totale sono deportati dalla capitale 2091 ebrei. In tutta Italia (comprese le
isole dell’Egeo) vengono deportati tra il 1943 ed il 1945 oltre 8500 ebrei. Ne
torneranno poche centinaia.

La Resistenza e le stragi naziste


Su 200.000 italiani che scelgono la via della resistenza all’invasore, ci sono
2000 ebrei. Sui 70.000 partigiani caduti in combattimento, 700 sono ebrei.
Delle stragi perpetrate dai tedeschi in Italia una resterà a simbolo, quella delle
Fosse Ardeatine, dove per rappresaglia dell’uccisione di trentadue soldati
tedeschi in un attentato del 23 marzo 1944 a Via Rasella a Roma, 355
uomini, e tra loro anche 75 ebrei, sono condotti sulla via Ardeatina e
massacrati. Sopra di loro, per cancellare ogni traccia, viene fatto precipitare
con la dinamite un pezzo di montagna sovrastante.
Roma è liberata il 4 giugno del 1944, ma bisogna aspettare fino al 25 aprile
del 1945 perché le forze anglo-americane costringano alla rotta finale i
tedeschi.
Gli ebrei d’Europa superstiti si aggirano come fantasmi tra rovine morali e
materiali. Quelli italiani si contano.
Da questo momento, così come avviene per il resto del paese, anche per
l’ebraismo italiano incomincia la ricostruzione.
Lo Stato ebraico, la cui nascita era stata solennemente sancita da una
Risoluzione delle Nazioni Unite nel Novembre 1947, si ricostituisce il 14
maggio del 1948. Il suo nome è Israele. Appena nato, è subito attaccato da
cinque eserciti arabi.

Con il “fattore Israele” la vita degli ebrei italiani si politicizza, ma questo li


aiuta in una più vasta ricerca di sé, della propria identità, ciò che non
impedisce loro di partecipare con passione alle vicende del nostro paese, di
cui sono parte integrante. Un attentato da parte di terroristi palestinesi contro
i fedeli usciti dal Tempio Maggiore di Roma il 9 ottobre 1982, in occasione di
una cerimonia religiosa, lascia sangue sull’asfalto. Un bambino di tre anni è
ucciso, decine sono i feriti. L’attentato riporta la Comunità ebraica romana a
una realtà che sembrava consegnata al passato.

Il 13 aprile del 1986 avviene un fatto senza precedenti: Giovanni Paolo II si


reca in visita al Tempio Maggiore di Roma. Mai, in tutta la storia, un pontefice
aveva varcato la soglia di una sinagoga. E’ un momento di grandissima
emozione. Dopo il gesto e le parole di Giovanni Paolo II ai “fratelli maggiori”
ebrei, si comincia ad intravedere un filo di speranza per il futuro.

Gli ebrei italiani oggi


Oggi gli ebrei italiani iscritti alle 21 Comunità del paese sono meno di 30.000
su una popolazione di 57 milioni.
Quasi la metà vivono a Roma, meno di 10.000 a Milano. Gli altri sono sparsi
in Comunità definite “medie” (Torino, Firenze, Trieste, Livorno, Venezia) o
“piccole”.
Le varie Comunità, ognuna delle quali retta da un Consiglio eletto dagli
iscritti, sono riunite nell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha sede
a Roma e le rappresenta nei rapporti con il Governo e con le Istituzioni
pubbliche. L’Unione provvede poi al coordinamento delle esigenze culturali e
cultuali delle Comunità ebraiche e al sostegno di quelle più piccole.
Malgrado i molti problemi, malgrado la crisi demografica, l’ebraismo italiano
resta vivo e vivace e rappresenta, all’interno della propria cominutà, un
elemento di stimolo, di riflessione e di confronto.

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