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Tecnica e Tradizione
collana diretta da Guglielmo Bilancioni

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Claude Bragdon

Bellissima necessità
Architettura come musica cristallizzata

a cura di Maria Ercadi


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Claude Bragdon
Bellissima necessità
Architettura come musica cristallizzata

Progetto grafico di Simona Pareschi realizzato da Giorgio Morara

Nel retro di copertina: Claude Bragdon nella posizione del loto fotografato da
May Bragdon, 1939. Da Claude Bragdon and The Beautiful Necessity (a cura di
Eugenia Victoria Ellis e Andrea G. Reithmayr), RIT-Cary Graphic Arts Press,
Rochester, NY (USA), 2010.

Titolo originale dell’opera: The Beautiful Necessity. Seven Essays


on Theosophy and Architecture, Manas Press, Rochester, NY, 1910.

Traduzione di Maria Ercadi

TUTTI I DIRITTI RISERVATI A


© 2017, Edizioni Pendragon
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Indice

Guglielmo Bilancioni
Introduzione. Il giardino segreto della bellezza p. 7

CAPITOLO I
L’arte dell’architettura 45

CAPITOLO II
Unità e polarità 61

CAPITOLO III
Mutazione immutabile 77

CAPITOLO IV
Il tempio come corpo 97

CAPITOLO V
Geometria latente 109

CAPITOLO VI
L’aritmetca della bellezza 125

CAPITOLO VII
Musica cristallizzata 137

Conclusione 147
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Guglielmo Bilancioni

Il giardino segreto della bellezza

It takes love over gold


And mind over matter
To do what you do that you must
Mark Knopfler

“La Necessità – Ἀνάγκη – è la madre dell’invenzione”, scris-


se Platone ne La Repubblica (II, 369c).
Ananke è madre, o sorella, delle Moire, che sono il Fato ine-
luttabile. Tiene in mano il fuso cosmico, che distribuisce, e as-
segna, determinandoli con vaste braccia serpentiformi, il Passa-
to, il Presente e il Futuro. Fra gli dei è Caos: evirazioni, incate-
namenti, ammassi infondati di cose non armoniche.
Ma, nel Simposio (197b), nel discorso di Agatone, vi è l’au-
rora di un cosmo sedato dall’amore per la bellezza: “Tutti i con-
flitti tra gli dèi si sono ricomposti all’apparire di Eros tra essi,
dell’amore per la bellezza, certo, perché Eros non si lega mai a
ciò che è brutto. Ma prima di questo molte e terribili cose era-
no accadute tra gli dèi, secondo quanto narrano le antiche sto-
rie, perché regnava la Necessità. Quando poi nacque questo dio,
dall’amore per le cose belle nacque ogni bene, per gli dèi come
per gli uomini”. L’“Oceano infinito della bellezza”, dice Plato-
ne, invade l’umanità, suscitando l’anelito alla trascendenza ed
alla conoscenza; è Bellezza pura, estranea alle vanità sensibili,
sciolta dalle contingenze dell’accadere, assoluta, libera, perfetta.
Aristotele, nella Metafisica, afferma che “tra le cose che sono,
alcune sono sempre nello stesso modo e di necessità, intenden-
do necessità non nel senso di violenza, ma nel senso di non po-
ter essere altrimenti da come sono”.
L’essere-così, e non altro, delle cose che sono come sono, e
non altro, è il sigillo, logico, della Bella Necessità.

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Guglielmo Bilancioni

Una magnifica semplicità, il senso di meraviglia di fronte al


Superiore Sconosciuto e l’elegante rutilare di Manas मनस νοῦς
– facoltà mentale e principio di individuazione, intelligenza dei
sensi, sede del desiderio e dell’intuizione – sono la sostanza dei
mirifici saggi “su teosofia e architettura” che Claude Fayette
Bragdon ha raccolto con il titolo The Beautiful Necessity, pub-
blicati in volume a Rochester nel 1910, dalla casa editrice Manas
Press, fondata da lui stesso con l’aiuto di sua sorella May.
Si era formato studiando a lungo l’architettura egizia e il tem-
pio greco, Vitruvio, i Trattati rinascimentali, la immensa Enci-
clopedia dell’Architettura, storica, teoretica e pratica, di Joseph
Gwilt, gli studi monumentali di James Fergusson sui templi del-
l’India, ancora quasi sconosciuti in Occidente, e le prime tradu-
zioni dei testi sacri hindu.
Praticava, come aveva detto, una Filosofia dell’architettura.
Aveva pubblicato in saggi separati questi suoi argomenti di
studio su «House and Garden», «The Messenger», «Interstate
Architect and Builder».
Leggeva Schopenhauer: del 1883 è la traduzione The World
as Will and Idea, di Haldane e Kemp, e di certo conosceva Kant,
nella traduzione di Friedrich Max Müller, pubblicata a Londra
nel 1881. Max Müller aveva curato e diretto la fondamentale se-
rie dei Sacred Books of the East, pubblicata in 50 volumi dal
1879 al 1910, che fece arrivare in Occidente, con il Tao e il Co-
rano, le Upaniṣad, la Bhagavad Gītā, e i testi buddhisti
dell’Hīnayāna e del Mahāyāna.
Nel 1893 Max Müller aveva pubblicato a Oxford la raccol-
ta delle quindici Gifford Lectures, tenute alla università di
Glasgow con il titolo, incoraggiante per Bragdon, Theosophy,
or Psychological Religion.
Della Psicofisica, Elemente der Psychophisik, di Gustav
Theodor Fechner del 1860, una scienza delle sensazioni unita
allo spirito divino in un universo plurale, Bragdon aveva avuto
notizie. William James, ad esempio, spiegando nel 1901 la com-
plessità nell’unità, aveva indicato in Fechner i metodi per una vi-

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Il giardino segreto della bellezza

sione diretta della verità, i fondamenti per una scienza sacra del-
l’universo, che trasformi in unità la molteplicità, dal respiro del-
le piante allo Zend-Avesta, dall’anima del mondo all’anima del-
l’uomo, grande miracolo.
Del 1889 è la traduzione in inglese della Philosophie der
Mystik di Carl Du Prel, altra influenza per Bragdon.
Altre questioni dell’estetica tedesca pertinenti alla formazio-
ne del concetto di Spazio in Bragdon sono state discusse da Ch-
ristina Malathouni, che muove da Adrian Forty: Theodor Lipps,
August Schmarsow e Adolf Hildebrand pubblicano i loro trat-
tati nel 1893.

Centrale, e decisiva, nella formazione di Bragdon, è stata la


filosofia di Ralph Waldo Emerson: “Un respiro di volontà soffia
eternamente per l’universo in direzione del Giusto e del Neces-
sario. È l’aria che inalano ed esalano tutti gli intelletti, ed è il
vento che soffia i mondi in ordine e orbite”.
Fate, Fato, è il saggio, in Conduct of Life pubblicato nel 1860,
nel quale Bragdon aveva letto queste parole trascendentali ed
esaltate, perché umane e sovraumane ad un tempo: “Let us
build Altars to the Beautiful Necessity”. Edifichiamo altari alla
Bellissima Necessità, nella traduzione di Beniamino Soressi, “la
quale assicura che tutto sia fatto di un pezzo; che querelante e
imputato, amico e nemico, animale e pianeta, il cibo e chi lo
mangia, sono di un unico tipo. In astronomia vi sono spazi va-
stissimi, ma nessun sistema estraneo, in geologia tempi lunghis-
simi, ma le stesse leggi di oggi. Perché dovremmo temere la Na-
tura, che non è altro che ‘filosofia e teologia fatte corpo’? Per-
ché mai dovremmo temere di esser mandati in frantumi da ele-
menti selvaggi, noi che siamo fatti di quegli stessi elementi? Edi-
fichiamo alla Bellissima Necessità, che rende coraggioso l’uomo
nel credere di non poter evitare un pericolo prefissato, né di in-
correre in uno che non lo è; alla Necessità che, rude o delicata,
lo educa alla percezione che non vi sono contingenze; che Leg-
ge comanda in tutta l’esistenza, una Legge che non è intelligen-

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te ma intelligenza – non personale né impersonale – disdegna le


parole e oltrepassa il semplice apprendimento di cognizioni, dis-
solve persone, vivifica la natura, e nondimeno sollecita il puro di
cuore a trarre da tutta la sua onnipotenza”.
Viene affermata, in trionfale energia, l’unità di mente e ma-
teria, di libertà e fato.
Nel 1910, mosso nel profondo proprio da queste parole di
Emerson, come ricorda nella sua autobiografia, Bragdon aveva
aderito alla teosofia, e deciso di seguire con intensa partecipa-
zione, e con lo spirito dell’adepto, la esoterica via indicatagli dal
padre, George Chandler Bragdon, un eminente teosofo. Emer-
son era chiamato “il Brahmino del New England” e andava in
giro, dice Bragdon, con una copia della Bhagavad Gītā in tasca
e si dice sia morto tenendo quel libro sacro fra le mani.
Anche per Schopenhauer quel libro è stato molto importan-
te: “si tratta dell’opera più istruttiva e sublime che esista al mon-
do. Questo libro è stato la consolazione della mia vita come lo
sarà della mia morte”.
Schopenhauer aveva tremila libri di sapienza orientale nella
sua biblioteca e aveva dato al suo barboncino il nome Atman.
Ne La Quadruplice radice del principio di ragion sufficiente, la
sua tesi di laurea discussa a Jena nel 1813, Schopenhauer traccia
una teoria della necessità, ne argomenta i passaggi e ne definisce
il variare (49): “La necessità logica secondo il principio della ra-
tio cognoscendi.
La necessità fisica, secondo la legge della causalità, ratio fiendi.
La necessità matematica secondo il principio della ratio es-
sendi.
La necessità morale secondo il principio della ratio agendi”.
È anche polemico il giovane Arthur, ma il suo affondo teore-
tico è preciso: “La legge della motivazione è la legge della cau-
salità vista dall’interno”.
L’idea del mondo come Volontà è già formata.

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La Società Teosofica – fondata a New York nel 1875 da He-


lena Petrovna Blavatsky, il colonnello Henry Steel Olcott e Wil-
liam Quan Judge – voleva diffondere, negli Stati Uniti e in Eu-
ropa, un’attitudine sincretistica e sapienziale, alla confluenza fra
sapienza ermetica dell’Occidente e scienza sacra di induismo e
buddhismo; i teosofi volevano superare la moderna incompati-
bilità fra scienza e religione, ed il loro motto era: Satyan Nasti
Paro Dharmah: “Nessuna Legge (o Religione, o Dottrina) è più
alta della Verità”.
Le finalità della Società Teosofica erano fondate su un idea-
listico universalismo:
– Formare un nucleo della Fratellanza Universale dell’uma-
nità, senza distinzione di razza, di credo, di sesso, di casta o di
colore.
– Incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e
delle scienze.
– Investigare le leggi inesplicate della natura, e le facoltà la-
tenti nell’uomo.
L’emblema della Società Teosofica è una sintesi di tutti i sim-
boli fondamentali delle religioni: La croce antropomorfa del-
l’Ankh egizio, il serpente uroboro simbolo del ciclo del tempo,
il roteare fiammeggiante dello swastika, i triangoli contrapposti
del sigillo di Salomone, e l’Om, il sacro suono dell’origine della
religione hindu. La Teosofia, spiega Bragdon, è “come la chiave
di un crittogramma: rende chiaro e semplice quel che prima
sembrava intricato e oscuro”. Con gli insegnamenti della teoso-
fia – divina sapienza – reiterati in migliaia di pagine, si com-
prende che la coscienza e la potenza, o Spirito e Materia, non
sono due realtà indipendenti, ma i due aspetti polari dell’Asso-
luto. Questi sono i primi prodotti della differenziazione e il fon-
damento della Manifestazione.
I teosofi ricercano una verità fuori dal tempo, coltivata da
una Philosophia Perennis, custodita ermeticamente nei testi più
antichi, nei miti di tutti i popoli, e nelle arcane geometrie.
Religiosamente laico, e profondamente filosofico, è il com-

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portamento spirituale dei teosofi, la cui principale fonte di fede


è la natura, la natura umana, che si unisce alla mente nella cul-
tura. Il Sé più elevato si pone in asse fra lo Zenith di quanto è
spirituale e il Nadir di quanto è materiale, e ascende in una spi-
rale sempre più ampia, che ricerca, e tocca, mondi dietro i
mondi.
Un Ethos più che una religione, capace di pensare insieme
Iside e Atena, le Piramidi e le Cattedrali, i maghi Caldei e i Ro-
sacroce, lo Zend Avesta e il Tao tê Ching, i Kabalisti e gli Alchi-
misti medievali, il Paradiso e il Nirvana, il labirinto e il meandro,
il sempre occulto dell’inspiegabile e la meraviglia per i fenome-
ni e per tutto ciò che appare.
La “vorace credulità” che Olcott aveva attribuito a se stesso
prima dell’adesione alla teosofia, va trasformandosi, nello stu-
dio di antichi testi e di arcani immemoriali, in quête perenne,
permanente e transpersonale di – parole chiave per Bragdon –
Insight, Consciousness, e Higher Self.
In sintonia, in simbiosi anzi, con quanto è elevato e in sim-
patia con tutti gli esseri.
Un sentimento pneumatico di plenitudine: pienezza della sa-
pienza e unione con l’universo, saper guardare attraverso le
cose, e studio del Bello del Buono e del Vero come essenze ce-
lesti inseparabili. Fare di necessità virtù, e di virtù necessità.
È tutto espresso in questi due aforismi di Bragdon, icastici e
folgoranti. “Art is at all times subject to the beautiful necessity
of proclaiming the world order”.
“Art is the soul of man striving to express itself through mat-
ter by means of symbols”.
Si ritorna sempre a Platone (Simposio, 210e-211a): “Innanzi-
tutto, qualcosa che è sempre, che né nasce e né perisce, né cre-
sce e né decresce, e inoltre che non è in parte bello e in parte
brutto, né a volte bello e a volte no, né bello rispetto a qualcosa
e brutto rispetto ad un’altra, né bello in un certo luogo e brutto
in un altro, in quanto bello per alcuni e brutto per altri; e né il
bello si mostrerà a lui sotto forma di un volto, neppure come

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delle mani, né come alcun’altra delle parti di cui il corpo parte-


cipa, né come un discorso o come una scienza, né come qualco-
sa che è in qualcos’altro, ad esempio in un essere vivente, o in
terra, oppure in cielo, o in qualcos’altro, ma in se stesso, per se
stesso, con se stesso, semplice, eterno”.
È la verità di Platone: La bellezza esistente nel mondo è co-
pia della bellezza ideale. Un riflesso.
Giocoliere divino, acrobata del trascendente, performer di sa-
cre rappresentazioni, agente di kalokagathìa e fachiro dell’iper-
spazio, Bragdon pratica il suo ludus mathematicus della perfezio-
ne ideale, estrae ciò che è immutabile, incondizionato e libero da
ogni divenire, e lo dispone, come autentico display, fuori dal tem-
po, nel multiverso della Relazione, con temperanza ed entusia-
smo. Il risultato è sempre, un altro termine impiegato spesso da
Bragdon, Wondrous: meraviglioso in senso assoluto.
Le opere di Bragdon, i suoi scritti o i suoi mirifici disegni,
sono immerse nella grazia, nella gioia e nella gloria, che è bel-
lezza trascendentale, e da esse scaturiscono nello splendore di
aurei precetti. Sono tutte un inno alla bellezza, alla precisione,
alla solarità radiante. Sono, sempre, poliedrica intuizione apol-
linèa, desiderante pre-sentimento della perfezione. Inducono, in
modo diretto, alla contemplazione estatica. Lo diceva bene un
altro teosofo degli astri, Camille Flammarion: “Lo constato ma
non lo spiego”.
L’Intellegibile, determinato e misurabile, si fonde con il sen-
za-forma evanescente sul telaio cosmico nel quale la trama è la
necessità e la bellezza l’ordito. Quando questi incroci avvenga-
no in armonia si perviene alla gioia, all’appagato confondimen-
to, che ognuno, a tratti, sperimenta nella unione con tutto ciò
che vive.
Kant nella Critica della Ragion Pura dimostra che “lo spazio
e il tempo altro non sono che forme pure dell’intuizione sensi-
bile, e quindi semplicemente condizioni dell’esistenza delle cose
in quanto fenomeni”.
E l’Intuizione pura, che Curuppumullage Jinarajadasa, un

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giovane teosofo di Ceylon che Bragdon incontrò durante una le-


zione divenendone poi amico devoto, spiegava essere il fonda-
mento di ogni conoscenza superiore.
“Il tempo” spiega Kant “non può essere intuito esternamen-
te, allo stesso modo che lo spazio non può essere intuito come
qualcosa in noi.”
La Cosa-in-sé, quindi, e l’imperativo categorico, non potran-
no che essere generazioni della necessità. E la necessità-a-priori
è fondamento, in assoluta universalità, di tutti i principi geome-
trici.
Stringente argomentazione: “Così la totalità altro non è che
la molteplicità considerata come unità; la limitazione altro non è
che la realtà collegata alla negazione; la comunanza è la causalità
di una sostanza nella vicendevole determinazione rispetto a
un’altra; e infine la necessità altro non è che l’esistenza data me-
diante la possibilità stessa”.
“Lo schema della necessità è l’esistenza di un oggetto in qual-
siasi tempo”.
Ma è nella conclusione della Critica della Ragion Pratica, ce-
lebre perché è anche commovente, che Kant lega per sempre tra
loro l’etica e l’estetica; vale rileggere per intero il brano, nella
traduzione di Pietro Chiodi, pensando a Bragdon: “Due cose
riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione sempre
nuove e crescenti, quanto più sovente ed a lungo si riflette sopra
di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di
me. Non si tratta di due cose che io debba cercare o semplice-
mente supporre come se fossero avvolte nelle tenebre o situate
nel trascendente, al di là del mio orizzonte; io le vedo dinanzi a
me e le congiungo immediatamente con la coscienza della mia
esistenza. La prima comincia dal posto da me occupato nel
mondo sensibile esterno e allarga la connessione in cui mi trovo
in un’ampiezza sconfinata, con mondi sopra mondi, e sistemi di
sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento perio-
dico, del loro principio e della loro durata. La seconda comin-
cia dal mio io invisibile, dalla mia personalità e mi rappresenta

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in un mondo che ha la vera infinità, in cui soltanto l’intelletto è


in grado di penetrare e col quale (quindi anche con tutti quei
mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non contin-
gente come la prima, ma universale e necessaria. La vista di una
molteplicità innumerevole di mondi riduce in certo modo a nul-
la la mia importanza di creatura animale che deve restituire nuo-
vamente al pianeta (che è un semplice punto nell’universo) la
materia di cui è formata, dopo esser stata dotata per breve tem-
po (e non si sa come) di forza vitale. L’altra vista innalza invece
infinitamente il mio valore, come proprio di un’intelligenza, at-
traverso la mia personalità, in cui la legge morale mi rivela una
vita indipendente dalla animalità e anche da tutto il mondo sen-
sibile, almeno per quanto si può arguire dalla determinazione
secondo fini che questa legge conferisce alla mia esistenza, de-
terminazione che non si restringe alle condizioni e ai limiti di
questa vita, ma si estende all’infinito”.
È “Intelletto puro che si armonizza con la volontà universa-
le”, secondo Schelling: “La vera libertà è in armonia con la sa-
cra necessità, come sentiamo in ogni vera conoscenza, laddove
lo spirito e il cuore, seguendo soltanto la loro legge propria, af-
fermano liberamente ciò che necessariamente è”.
Si comprende qui la forte influenza di Schelling su Emerson.
Ricorre di continuo nella filosofia dell’arte di Schelling il ter-
mine Notwendigkeit, nel quale sembrano fondersi idealismo e
ontologia, il soggetto libero e ciò che – semplicemente – è così.
È questa necessità interiore il punto nel quale Necessità e Li-
bertà devono essere unite.
La tensione fra fato e libera volontà si risolve nella mistica,
che è, da sempre, alleanza di libertà e immaginazione, che cre-
scono insieme intorno all’Inconoscibile.
“The law is binding, yet the will is free”.
Charles Howard Hinton, il pioniere della quarta dimensione,
scrive in On the Education of Imagination, del 1888: “Attraver-
so l’immaginazione, l’intelletto afferma la sua supremazia, si in-
sedia come legislatore e giudice, si erige a concepire un ideale

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più alto, e si prepara ad emanciparsi dai legami di una condi-


zione inferiore. Ci viene anche detto quanto questa potenza ven-
ga impiegata nella scienza; quanto le più grandi scoperte siano
avvenute sotto la sua ispirazione; e quanto il suo aiuto sia ne-
cessario, se vogliamo gettare luce sul buio che circonda l’isola
della nostra conoscenza. Ma non meno intensamente di quanto
siamo chiamati a conquistare il suo utilizzo, siamo avvertiti con-
tro il suo uso improprio”.
Di Bragdon, e di Hinton, aveva scritto per primo Paolo Por-
toghesi. Anche Bruno Zevi vi aveva fatto un accenno, ma en pas-
sant e senza amore.
Portoghesi invece mostra di aver compreso a fondo l’inse-
gnamento spirituale di Bragdon, e anche di averlo molto ap-
prezzato: “L’aspetto destinato a colpire maggiormente l’imma-
ginazione degli architetti fu naturalmente la teoria degli iper-
spazi e in particolare dello spazio a quattro dimensioni, che
prometteva un primo decisivo allontanamento dalla natura e
l’ingresso in un mondo immateriale, non percepibile dai sensi
ma descrivibile attraverso una sua proiezione tridimensionale.
L’ipercubo, figura geometrica definita da otto cubi – come il
cubo lo è da otto facce –, ha eccitato la fantasia di molti archi-
tetti e studiosi tra i quali meritano di essere ricordati Matila
Ghyka, Miloutine Borissavliévitch e Claude Bragdon, uno dei
più appassionati interpreti del rapporto natura-architettura e
architettura-geometria”.
“L’obiettivo di Bragdon”, ha scritto altrove Portoghesi, si-
tuandolo fra I grandi architetti del Novecento, “era quello di di-
mostrare l’armonia degli iperspazi e la loro riconducibilità a una
idea di bellezza naturale, ampiamente indagata nella più famosa
delle sue opere: quella Beautiful Necessity in cui suono, colore,
forma bidimensionale e corporea e forma tettonica sono messe
in rapporto come aspetti della teofania che rivelano i segreti del-
la creazione”.
Teofania: alla confluenza di libertà e immaginazione si gene-
ra il concetto trascendentalista della Over-Soul, ed Emerson

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Il giardino segreto della bellezza

avanza nel pensiero in modo eroico, un modo che piacque mol-


to a Nietzsche che spesso lo imitò: “Viviamo in successione, nel-
la divisione, in parti, in particelle. Nel frattempo dentro l’uomo
sta l’anima del tutto; il saggio silenzio; la bellezza universale, cui
ogni parte e particella è ugualmente correlata: l’eterno UNO. E
questa forza profonda in cui esistiamo e la cui beatitudine è del
tutto accessibile a noi, non è solo autosufficiente e perfetta in
ogni momento, ma l’atto di vedere e la cosa vista, lo spettatore
e lo spettacolo, il soggetto e l’oggetto, sono uno. Noi vediamo il
mondo pezzo per pezzo, come il sole, la luna, l’animale, l’albe-
ro; ma l’insieme, di cui queste sono le parti brillanti, è l’anima”.
L’anima del Mondo.

Arte è sintesi assoluta di ogni particola di conoscenza che


urge alla forma. In architettura vi è una sintesi ulteriore, dato
che essa è anche “arte della necessità”, intesa come bisogno.
Nell’interpenetrarsi di libertà e necessità si rivela l’identità di
Necessità e Natura, di vincolo e funzione. E persino, su scala co-
smica, nello spazio e nel tempo, di Essere e di Divenire.
Fu proprio Schelling a definire, nella Philosophie der Kunst,
del 1803, l’Architettura come una musica congelata, cristallizzata.
Erstarrte, però, significa anche pietrificato, irrigidito; in un al-
tro punto Schelling definisce l’architettura come musica concre-
ta. “Dato che l’architettura è musica nello spazio, per così dire
una musica congelata, l’architettura in generale è erstarrte Mu-
sik”. Goethe riprese la romantica metafora affermando che “la
musica è architettura liquida; e l’architettura è musica congela-
ta”. Altrove Goethe definisce l’architettura come verstummte
Tonkunst, musica silenziosa, muta.
È Schlegel, invero, che scrisse di gefrorene musik, musica
congelata. In questa parola vi è l’effetto Frozen-Frost, romanti-
co, sentimentale, domestico, del contemplare nel tepore i giochi
del ghiaccio sui vetri, o della meraviglia per la perfezione di un
fiocco di neve. Cristallo, da Pitagora al Polytope di Xenakis, è la
sacra sostanza cosmogonica, del tutto spirituale, di queste visio-

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ni dalla risonanza sublime: l’arte della natura, teorizzata e ripro-


dotta da Ernst Haeckel in Kunstformen der Natur, opera semi-
nale pubblicata in Germania fra il 1899 e il 1904.
Vi è anche una fede scientifica, potente, al volgere del XX se-
colo, quanto la religione, con i suoi dogmi dimostrati, la sua per-
vasiva e prescrittoria Weltanschauung, che è la normatività, e,
come si vede in Haeckel, la sua estetica. Urformen der Kunst di
Karl Blossfeldt venne pubblicato nel 1928: fotografie mirabili
che fondevano Sachlichkeit e carattere visionario.
Con le immagini di questi due libri si è amplificata la cono-
scenza della natura, che si è secondo natura disposta verso l’or-
namento. La Ur-Pflanze di Goethe, la pianta-archetipo, che gli
permetteva di avvicinarsi alla forma essenziale, esiste veramen-
te. Proteus actus adaptus.
Le ricerche del fisico Ernst Florens Friedrich Chladni su
elettromagnetismo, vibrazione, frequenze, e sulla origine cosmi-
ca delle pietre cadute dal cielo, vanno situate in questo ambito:
un organismo universale, animato, e dotato di uno squisito sen-
so estetico, che determina la Causa. Le lastre di Chladni, sulle
quali si sono potute misurare le vibrazioni di vari strumenti, e le
differenti forme geometriche che differenti frequenze causava-
no, sono le prove scientifiche dell’esistenza di una musica spiri-
tuale che dà forma agli ornamenti. Caso (?!) e necessità.
Il celebre libro di Monod, così esplicito riguardo a biochimi-
ca, morfogenesi, molecole e spirale del DNA, letto in questo
contesto, che depotenzia il positivismo, fa comprendere le rela-
zioni fra Causa e Necessità, poiché ogni caso esige una causa;
necessaria, ancorché inesplicabile. Caso e Causa sono Uno.
“Tutto ciò che si genera si genera per necessità, a partire da
una causa”, afferma Platone nel Timeo (31b).
E così anche l’enigmatico aforisma: “writing about music is
like dancing about architecture”, attribuito a Frank Zappa, per-
de all’improvviso il carattere di nonsense e si trasforma qui in un
chiaro legante, liberatorio, fra musica architettura ornamento e
spirito della danza. Del resto, Gelett Burgess, che aveva intro-

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Il giardino segreto della bellezza

dotto Bragdon agli studi sulla quarta dimensione, affermava che


“il nonsense è la quarta dimensione della letteratura”.

Miriadi di idee e rappresentazioni che appaiono e che, at-


tratte nel vortice dell’Uno, divengono unità agente, forma for-
mante, platonica idea-forma, nucleo riflesso di ogni immagine e
somiglianza, di ogni permanenza, successione o simultaneità,
nel tempo, e di ogni estensione nello spazio.
“What we think of as space is more probably only some
part of space made perceptible” scrive Bragdon in A Primer of
Higher Space, del 1913.
È il senso mitico dello spazio, strumento della spiegazione
del mondo, spiega Ernst Cassirer, nella Filosofia delle Forme
Simboliche, del 1923 (nella parte II sul pensiero mitico, capitolo
II su Spazio Tempo e Numero): “Lo spazio del mito si dimostra
completamente uno spazio strutturale. Qui la totalità è costitui-
ta da un rapporto completamente statico di immanenza. Ogni
nesso nello spazio mitico poggia su un’originaria identità di es-
senza. Questa concezione ha trovato la sua espressione classica
nell’astrologia”.
Per questo, “Espressione ponderabile dell’ordine cosmico”,
come la definisce Bragdon, l’architettura è tipo ideale, pattern e
patron, modello, modulo, formula della mente umana nello spa-
zio: “Architecture is the pattern of human mind in space”.
L’ordine architettonico è eco lontana della silenziosa armonia
delle sfere. E la proporzione è il meccanismo secondo il quale
L’Assoluto si dirama e si suddivide nel molteplice: Principium
individuationis e Mysterium Congiuntionis. Ciò che è congiunto
in modo eccellente manifesta bellezza: l’arte è il luogo di imper-
sonalità e trascendenza ove questa fusione rara, che confina con
la contemplazione, può aver luogo.
L’Essenza divina dell’uomo e la sua bellezza trascendentale
hanno luogo nel suo corpo, e nel tempio che ne riprende le pro-
porzioni, nel miracolo della misura. Il corpo che abbiamo avuto
in sorte è un piccolo corpo celeste.

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Guglielmo Bilancioni

Dice Carlyle, citato da Bragdon: “C’è un solo tempio nel


mondo e questo è il corpo dell’uomo”.
Il segreto rinascimentale della commodulatio e quello della
concinnitas, primaria ratio naturae, si celano nell’inespresso delle
parti che anelano, concordi, alla totalità da cui provengono, e po-
tranno così, infine, corrispondere all’Uno. Reciprocità, legge d’a-
more, è quel che genera le proporzioni, la loro potenza euristica.
Nella preghiera al Padre viene detto: “Sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra”, e nella Tabula Smaragdina degli al-
chimisti è il dettato fondamentale su macrocosmo e microco-
smo: “come il grande, così il piccolo”.
Il Demiurgo, che è artefice, fabbro o artigiano, ma anche ma-
gistrato, è il guardiano della legge di queste corrispondenze,
l’interfaccia fra il Superiore e l’Inferiore, fra cielo e terra, uma-
no e divino.
“Questo tempio è come il cielo, in tutte le sue proporzioni”:
è una iscrizione su un frammento del tempio di Ramsete II.
Nella letteratura teosofica, come nei due pilastri Isis Unvei-
led del 1877, e The Secret Doctrine del 1888 di Madame Blavat-
sky, i riferimenti alla cultura e alle religioni orientali sono diffu-
si e profondi. Sono le formule di un pensiero sconosciuto, anti-
chissimo eppure nuovo per l’Occidente. La vastità del Comple-
tamente-Altro appare nella luce e invita a innalzare, nella cultu-
ra, il proprio stato di coscienza.
In una mescolanza sommaria eppure vertiginosa: Akasa, l’o-
ceano dello spazio, Madre del Cosmo, Bindu, il punto-seme, l’o-
rigine dell’origine, sacro simbolo del cosmo nel suo stato non
manifesto, il punto-zero senza dimensione, Manvantara, gli
eoni, periodi incalcolabili di tempo, milioni di milioni di anni,
che sconfinano nello spazio, chiliocosmi, milioni di mondi, i
guna (sattva, rajas, and tamas), spiegati nel Mahābhārata come
le prime suddivisioni e ripartizioni, come innate qualità fondan-
ti e imprescindibili dall’equilibrio delle quali Prakṛiti, natura,
corpo, prima materia, è composto; mentre Puruṣa è l’uomo co-
smico, metafisico, il Sé composto di pura coscienza. Vac, il Ver-

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bo, e Prana, il respiro, l’energia vitale e luminosa. Maya, magia


misuratrice, oltre il cui velo qualcosa può essere intravisto sol-
tanto con l’occhio della immaginazione superiore, e Ṛta ordine
differenziante, che congiunge in modo eccellente nella verità e
che controlla e coordina le leggi cicliche, l’immanenza, ed ema-
nazioni, successioni, movimenti ed estensioni. Lo dice anche
Anassagora: “Tutte le cose erano insieme; poi venne l’Intelli-
genza, le distinse e le pose in ordine”.
La Rete di Indra è un altro grandioso spettacolo. Ad ogni in-
crocio di questa rete, nell’Avataṃsakasutra –“Tutto e tutti sono
l’Uno” – reca un gioiello ad ogni incrocio della sua trama. Ogni
gioiello riflette ogni altro gioiello, nello splendore dell’interdi-
pendenza e dell’inter-essere.
Alaya, è la indissolubile Anima Mundi, Paramārtha, la realtà
assoluta, e chakra, loka, bhumi, shakti, bhakti… e Tanha, sete di
vita, che può facilmente essere oscuro desiderio del piacere e
portare, nella avidità e nell’attaccamento, grande dolore. Ma an-
che il dolore è un’illusione.
Sono concetti illimitabili e imprecisabili, che, proprio per
questo, richiedono una mente devota alla conoscenza e deside-
rosa di scegliere, separare e ordinare, e persino di discriminare,
nello stato di confondimento cui tutto questo induce.
La legge del karma è come la legge di gravità per Bragdon, lo
dice in Episodes from an unwritten Story, pubblicato nel 1910 da
Manas Press in seconda edizione. È un racconto del suo avvici-
narsi progressivo, ma “fatale”, alla teosofia.
Un precipitato di figure geometriche in caduta libera, free-
falling, cadendo per così dire “a caso” su un piano, e perforan-
dolo, lascia sul piano impronte geometriche differenti: è la mi-
gliore illustrazione possibile della legge del karma. È in un di-
segno di Man the Square del 1912. Di questo piccolo e decisivo
libro sul nesso fra geometria e corpo umano, venne pubblicata
a Genova, nel 1912, a cura della Società Teosofia italiana, una
edizione condensata dal titolo Quadrato e Cubo. Una parabola
umana.

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Guglielmo Bilancioni

Vedendo ciò che è separato come Uno inseparabile, lo iero-


fante è delfico. Il “conosci te stesso” diventa, per i teosofi, vero
perimetro iniziatico attraverso ostacoli arcani, come in questi ri-
gidi ed esclusivi pensieri di autoselezione che Ouspensky mostra
nel suo libro sul Simbolismo dei Tarocchi: “Cerca la Via, non
cercare la realizzazione. Cerca la Via dentro te stesso. Non
aspettarti di udire la verità da altri, né di vederla, o di leggerla
nei libri. Cerca la verità in te stesso. Aspira soltanto all’impossi-
bile e all’inaccessibile. Aspetta solo quel che non sarà”.
Il che significa: “vivi secondo un fine e lascia i risultati alla
grande legge dell’universo”, vale a dire vivi seguendo la legge
del karma, che è azione, atto e retribuzione dell’atto.
Solo lo spirito e non la mente, né il pensiero, potrà percepi-
re idee inesprimibili e provare, attraverso la chiaroveggenza, una
visione senza ostruzione di tutto quanto è grandioso ed imper-
manente, una gioia immensa.
Vi è sublime pazienza in chi anela a investigare sul Supremo,
che è anche un raro composto di umiltà ed energia. Il vero inse-
gnamento rimane inespresso, appena tracciato, indicato come
distanza siderale, come possibile Via.
“Coloro che sanno cosa sia il Tao, non lo dicono. Coloro che
lo dicono non lo sanno”.
E questa su questa via, che Bragdon ha percorso di continuo,
si incontrano molti diversi elementi di conoscenza: il Loto della
Buona Legge del dharma buddhista, il Numero sacro dei pita-
gorici, il Numero-peso-misura secondo cui, nel Genesi, tutto è
disposto, il Brahman che sussiste di per sé, l’abissale No-begin-
ning del Tutto inconoscibile, Volontà universale fuori dal tem-
po, equilibrio dialettico fra forze in opposizione in una sintesi
sedata, le polarità che creano energia nel loro roteante e magne-
tico scontrarsi, l’Occhio di Siva, la Visione Infinita dei giappo-
nesi che permette di vedere con chiarezza a milioni di miglia di
distanza e che culmina nella Tranquilla Astrazione, la dettatura
angelica, un sorriso affettuoso, e l’insistenza nella ripetizione
come un mantra, la speranza trasformata in fede; e, come un

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mantra, o un alfabeto Morse, gemmano gli uni dagli altri gli or-
namenti, degli edifici e del mondo circostante.
Si tratta, in modo deciso, di Volontà e rappresentazione: vo-
lontà di vita e rappresentazione dell’Idea.
Senza numero, però, non sapremmo nulla delle cose e delle
loro reciproche relazioni.
Scrive Ouspensky nel Tertium Organon: “Il Numero rimane,
come sempre, il legislatore della natura, ma, essendo capace di
rappresentazione, è sfuggito da quel modo di contemplare il
mondo che considerava come possibile la sua rappresentazione
traendola da modelli meccanici. (…)
La forma appartiene a tutte le cose. Diciamo che tutto è com-
posto di materia e forma. Sotto la categoria di Materia, come già
detto, sta la causa di una lunga serie di sensazioni miste, ma ma-
teria senza forma per noi non è comprensibile; non possiamo
nemmeno pensare la materia senza la forma. Ma possiamo pen-
sare e immaginare la forma senza la materia.
La cosa, vale a dire l’unione di forma e materia, non è mai co-
stante; è sempre in movimento nel corso del tempo. Questa idea
ha permesso a Newton [nel trattato De Quadratura Curvarum]
la possibilità di costruire la sua teoria di fluenti e flussioni”.
Questo è un frammento di Ouspensky, cui Bragdon dedicò le
sue cure e il suo tatto, mosso dall’amore per i libri, per far pub-
blicare in inglese il Tertium Organon. Dopo l’Organon di Ari-
stotele e quello di Bacone questo avrebbe dovuto essere il terzo
canone del pensiero; Ouspensky dichiarava di fornire con que-
sto libro la base stessa di ogni conoscenza. Evidente la fascina-
zione su Bragdon di questo emigrato russo che aveva studiato
con Gurdjieff e collaborato con lui. Bragdon tradusse con l’aiu-
to di Nicholas Bessaraboff questa poderosa opera totale.
Sommo sacerdote con una tiara d’oro in capo, umile yogin
che pratica con disciplina – ogni giorno per due ore! – la medi-
tazione nella posizione del loto, architetto americano capace di
relazioni e dotato di attiva pazienza e di un assai sofisticato don
des gens, conferenziere di chiarissima fama e Re Mago del dise-

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Guglielmo Bilancioni

gno, autore di molti libri, polymath avvincente, limpido occulti-


sta e audace entronauta, Bragdon è di certo un uomo brillante,
amabile, aperto e incantato, dall’aura chiara e dai discorsi
profondi e generosi. La sua pratica dello Yoga è stata costante,
e il primo libro americano sullo Yoga è stato il suo. An intro-
duction to Yoga è del 1933, e Yoga for You è del 1943.
Lui è stato sempre vegetariano, diceva che gli spinaci fossero
uno dei doni più grandi per l’umanità, eppure ha avuto sempre
problemi gastrici e problemi di insonnia. Per questo, forse, non
riusciva mai, del tutto, a rinunciare al tabacco. Scrisse in una let-
tera alla sorella: “I think the whole trouble has come originally
from my eyes… I’ve been using up my reserves of nerves in
years of eye strain without knowing it”. Il troppo vedere gli
avrebbe causato uno stress ottico e un esaurimento delle sue ri-
serve di nervi. Queste, e molte altre notizie sulla vita di Bragdon,
sono nella ottima monografia di Jonathan Massey, Crystal and
Arabesque, Claude Bragdon, Ornament and Modern Architectu-
re, pubblicata a Pittsburgh nel 2009.
“Yoking the will”: la mente individuale è trascesa, attraverso
il dominio di sé, come agente di volontà più elevate.
Metodo dello Yoga è la trasformazione, come nella geometria,
della coscienza da esteriore in interiore: “non l’argomento del
pensiero ma il carattere del pensiero diventa importante, non l’e-
mozione ma la sua qualità”. Bragdon è un mistico particolare: il
mistico che non ha rinunciato al mondo, perché è nel mondo che
si diffondono idee e grandi valori, come i Bodhisattva, esseri es-
senziati di Illuminazione, che meditano in mezzo alle passioni,
come il loto purissimo che cresce nell’acqua fangosa.
Yoga è silenzio, rinuncia e realizzazione del Sé: l’ascolto at-
tento del silenzio delle sfere, che è la meditazione, e la discipli-
na della bellezza interiore. Gli yogi che sanno quello che fanno
sono grati, gioiosi e, svuotati delle cure contingenti, colmi di sa-
pienza.
Ascesi è, semplicemente, andare verso l’alto. È eroismo della
coscienza per trascendere i limiti, ancor più che le cose monda-

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ne; è auto-educazione per raggiungere il senso spaziale del Sé.


Bragdon ha scritto di “tensione gotica nell’organismo di un
asceta”.
Charles Johnston, professore di sanscrito alla Columbia
University, spiegò nel 1888 su «Lucifer» – la rivista dei teosofi
fondata da Helena Petrovna Blavatsky e Mabel Collins – il nes-
so fra Emerson e l’Occultismo: “L’occultista vede in questo
mondo dello spirito la dimora di quella vera gioia della quale
ogni felicità terrena è l’ombra, e una sussurrata intimazione. Lì
tutti gli ideali incontrano la loro realizzazione, tutte le più
grandi speranze il loro compimento; lì scorrono abbondanti
fontane di beatitudine celeste, la cui presenza rende radianti le
cose terrene”.
I connotati negativi di magia nera e negromanzia collegati al
termine occultismo furono diffusi dai positivisti e dai materiali-
sti non dialettici, “irascibili psychophobi”, “philosophicules”,
secondo Madame Blavatsky. Occultista è, invece, semplicemen-
te, colui che studia le scienze sacre, la Sapienza delle dimensio-
ni nascoste, e i simboli esoterici del mondo immateriale, assieme
all’unità fondamentale di tutte le religioni. Studia, in modo libe-
ro e disinteressato, l’evoluzione del pensiero, le rivoluzioni dei
pianeti, la sapienza, Vidyā in sanscrito, che si trasmette come
cultura e si trasforma in intelligenza attiva. Occulto significa
Esoterico, e deriva dal latino Occultus, nascosto, participio pas-
sato di Occulere, coprire, non lasciar esposto alla vista. Secondo
Varrone Oculus deriva da occulere, perché gli occhi sono nasco-
sti dai sopraccigli.
Sono simboli occulti l’ankh, la croce, il pentacolo, un libro
d’ore miniato, un quadrato magico, un diagramma, un gerogli-
fico, un’arcata del Rinascimento, l’altare vedico, una tetraktys,
una piramide, un àgalma greco; semplicità, verità, bellezza, po-
larità, equipotenza, compensazione, equilibrio, isometria e iso-
domìa, liturgia, misure sacre, e fondazione rituale si alimenta-
no di simboli occulti, così come gli ornamenti e i sogni degli
umani.

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E occulte sono le polarità. Ancora Emerson: “Polarità, o


azione e reazione, si incontrano in ogni parte della natura, nelle
tenebre e nella luce, nel calore e nel freddo, nel flusso e il ri-
flusso delle acque, in maschio e femmina, in inspirazione ed
espirazione di piante e animali, in sistole e diastole del cuore,
nella gravità centrifuga e centripeta, nelle ondulazioni di fluidi e
di suono, nell’energia elettrica, nel galvanismo e nella affinità
chimica”.
Yin e Yang, per i cinesi, o, come in Bragdon, Yo e In per i
giapponesi, sono i sigilli delle polarità, la coesistenza degli op-
posti, fondamento dell’amore, agenti psico-cosmici del contrap-
posto, di ogni contrario che si contempera, di ogni possibile ar-
monia. Polarità è ciò che tiene insieme i mondi, attraendoli e re-
spingendoli; pertiene alla fisica, alla chimica, alla biologia, alla
geometria. Magnete universale, nella polarità stanno la preces-
sione degli equinozî e la forma di un atomo, le tessere del do-
mino e gli ideogrammi dell’I Ching, l’aggregarsi delle cellule, le
valenze sospese della chimica, le facce del diamante, la struttura
dell’atomo – di Occult Chemistry e di Thought-forms si erano oc-
cupati Leadbeater e Annie Besant – il comportamento di un
protone felice, la fisica e la metafisica della luce, principio della
rivelazione.
Con tutte queste idee roteanti nella sua mente affronta il pro-
blema decisivo per un architetto. La essenza segreta, vale a dire:
non visibile, occulta e magica, della Regola d’Arte. In questo con-
testo va ripensato anche il famoso, a volte famigerato perché pre-
scrittivo, rapporto forma-funzione, così come l’ornamento di Sul-
livan, che Bragdon definisce “merletto e acciaio” (lace and steel).
Sembra di leggere Bragdon in questo passaggio di Sullivan,
tratto dal libro, uscito postumo nel 1924, A System of Architec-
tural Ornament According to a Philosophy of Man’s Powers. È la
zona ove Cosmo e Simpatia si circumfondono: “La simpatia im-
plica visione squisita; il potere di ricevere come quello di dare;
un potere di entrare in comunione con il vivente e con le cose
senza vita; di entrare in consonanza con i poteri ed i processi

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della natura; di osservare – in una fusione di identità – la vita


dappertutto al lavoro – senza sosta, in silenzio – abissale nel suo
significato, mistica nella sua urgenza creativa nel pullulare di mi-
riadi di identità e delle loro forme esteriori”.
Lewis Mumford nel libro Brown Decades: A Study of the
Arts in America 1865-1895, del 1931, stigmatizza, da pioniere
del moderno, l’ornamento di Sullivan come un “grateful in-
toxicant”. Anche il sincretismo estetico di Bragdon era in di-
scussione.
Eppure Gotico, Rinascimento, Egitto, Arte greca, Arte ro-
mana, lo stile islamico nel quale l’ornamento è l’iscrizione, il
Giappone, l’India, il medioevo di Morris e di Viollet-le-Duc, co-
stituiscono una commistione che infiamma l’immaginazione dei
possibili.
È, questa, una fusione che, come fuoriuscita da una diacro-
nica Wunderkammer, uniforma e arricchisce il riguardante, the
eye and the beholder: se le religioni hanno un fondo identico, al
di là delle differenze, che sono soprattutto linguistiche, così è
per gli ornamenti, le differenze fra i quali sono molto minori del-
le loro comuni essenze.
Un sincretismo culturale, presente anche in Beautiful Neces-
sity, che permette a Bragdon di sommare e stratificare, al di là
delle divisioni nazionali e storiche, gli stili e i caratteri in una si-
nossi ucronica, e per questo universale.
Per questo era contrario all’Art Nouveau, la cui libertà scon-
finava nella licenza: “sono creazioni di una immaginazione indi-
sciplinata e riottosa. Sono libere, certo, ma provocano in noi l’e-
sclamazione: oh Liberty, quali peccati vengono commessi in tuo
nome!”.
Sembra, con Bragdon, di sfogliare il Banister Fletcher: ma le
storie e gli stili non sono in successione storico-cronologica;
sono invece, in sincronicità oceanica, tutti e tutti insieme. Come
una Grammatica dell’Ornamento di Owen Jones vista, in un ba-
gliore fosforescente, a layer sovrapposti: un morphing spirituale,
che sa mescolare con eleganza esotismo ed esoterismo.

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Guglielmo Bilancioni

L’architettura, regina delle arti, è prodotto, dice Bragdon, “di


evoluzione, non di creazione”. È l’arte, secondo Jinarajadasa, ad
essere ri-creazione. Un rituale mistico e mimetico originato, mi-
stero topologico genetico e tautologico, nell’origine.
L’Altro e l’Oltre ritornano nella fusione di karma come ne-
cessità.
Bragdon riflette sull’essere-così delle forme e sulla loro ar-
monia prestabilita, posto che si faccia del vincolo una opportu-
nità e del sistema una guida spirituale, come non molti altri
produttori di forma del suo tempo hanno avuto la pazienza di
fare: William Richard Lethaby, che affermava che l’architettura
fosse Alta Utilità, Johannes Ludovicus Mattheus Lauweriks,
che praticava il Progetto su Sistema, Desiderius Lenz alla Scuo-
la di Beuron, un benedettino che studiava il canone egizio, pro-
ducendo un’arte ieratica e impersonale: un altro monaco “eb-
bro di bellezza”, come era stato nel Rinascimento Luca Pacio-
li, che aveva messo in forma perfetta, in “divina proporzione”,
i solidi platonici.
Marco Biraghi ha studiato i nessi fra geometria e teosofia in
Olanda e dà conto di un libro i cui risultati sono molto vicini a
quelli cui perverrà Bragdon: “Nel 1896 Jan Hessel de Groot dà
alle stampe, insieme alla sorella Jacoba, un libretto in cui si
pongono i fondamenti di un’estetica geometrica basata sulla
teoria delle proporzioni: Driehoeken bij Ontwerpen van Orna-
ment (I triangoli nella progettazione dell’ornamento). […]
Quella di de Groot è la ricerca di una ‘sistematica progettuale’
basata sui moduli compositivi proporzionali delle civiltà anti-
che, un sapere dimenticato ma non per questo scomparso, se-
condo l’autore”.
Bragdon è un devoto dell’Evidenza dell’Invisibile; sarà infat-
ti un profeta della quarta dimensione, e di un Higher space, con-
quistato da un Higher Self. Per questo studia le Forme soggia-
centi, forze ineffabili, e spesso gentili e armoniche, che danno
forma alle forme.
La sua visione polarizzata si sviluppa come una specie parti-

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colare di azione-reazione, intimamente costituita in dialettica,


un karma-della-forma che fonde essere e divenire, il già e il non-
ancora, la regola ed il gioco, e persino libero arbitrio e predesti-
nazione: facciamo liberamente cose necessarie.
I tracciati di Bragdon, costituiti di un’energia elettrica e mne-
stica, sono assai prossimi ai dinamogrammi di Warburg, secon-
do il quale deve essere interpretato in chiave simbolica ciò che
appare come soltanto ornamentale. Projective Ornament è mo-
vimento fermo: in stato di quiete sono disposti, come in un tea-
tro, theatrum mundi, flusso e scatto, la mossa del cavallo negli
scacchi, curve e angoli, vortice e vertigine, particole e cellule,
punti fitti e linee luminose, in una visione preveggente e una in-
teriorità immemoriale.
Sul tracciato, assoluto e impersonale, si fissano come su una
tela, su trame e orditi, i “cristalli di memoria”, polarizzati, ema-
nati da una archetipica linea di energia, geometrica, etica e
morfogenetica, resa perfetta dall’esattezza, eco di una matema-
tica cosmica dal necessario inscalfibile splendore di diamante,
nella quale vibra, fermo, il Principio.
“L’arte muta, il Principio non può”, affermava Lauweriks,
con teosofica autorità, parlando in nome della Tradizione. E in
nome della Tradizione ha sempre risuonato, autorevole ma con
un garbato sorriso, il Public Speech di Bragdon. E la tradizione,
spiegò Lethaby, è sempre “tradizione del futuro”. È la tradizio-
ne che permette il progresso: “ogni progresso è un ritorno a un
passato sepolto da tanto tempo”. Il produttore di forma che la-
vora nella tradizione è il guardiano della soglia del tempo e ve-
nire e, ogni volta, fonda lo statuto onto-teologico della bellezza.
Come a un Esperanto delle forme, Bragdon lavora ad un or-
namento universale, prossimo alle forme-pensiero della teosofia
preesistenti e improdotte; gli ornamenti proiettivi saranno, ad
un tempo, manifestazioni formali della matematica, a-priori fon-
dati nell’inconscio collettivo, archetipi comuni immediatamente
comprensibili.
Arte è obiettività. Lo spiega bene Jonathan Massey: “l’orna-

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mento universale avrebbe trasformato l’architettura da una tec-


nica di differenziazione e distinzione in una tecnica di integra-
zione”.
Sarebbe stato veicolo di consapevolezza e agente di un desti-
no collettivo. Avrebbe celebrato la democrazia contrastando
egoismo e individualismo. Bragdon, come anche Lethaby, è il
portatore di un Esoterismo democratico, qualcosa che appare
come un ossimoro irrisolvibile e che invece è il fine supremo
della conoscenza: trasmettersi a chi la desideri. Poiché, dice
Bragdon, “la nuova, vera, democrazia è una cosa spirituale”.
Assomiglia a Walt Whitman che, in Democratic Vistas del
1888, stigmatizza egoismo economico, individualismo culturale
ed invidia sociale, e afferma che “il maestro vede la grandezza e
la salute nell’essere parte della massa; niente andrà bene quanto
il terreno comune, common ground. Avete forse in voi stessi la
divina, vasta, legge generale? Allora unitevi ad essa”.
Rispetto per la libertà individuale fusa assieme alla devozio-
ne tributata alla domanda della necessità sociale: la bellezza è un
dono, per tutti. La natura stessa incontra le sue articolazioni at-
traverso l’uomo e la sua forza vitale che sente, in quanto tale, l’u-
nione con tutte le cose visibili, che hanno una durata nel tempo,
e con quelle invisibili, che sono eterne. La personalità diviene,
con grazia, Aurea Persona nella conoscenza della natura.
L’estetica di Bragdon, che si genera dal suo studio dell’orna-
mento, si alimenta dalla tensione fra cristalli geometrici e sinuo-
si arabeschi.
Che è come, in musica, la tensione fra il ritmo e la melodia.
Jonathan Massey ha centrato il suo libro su questa tensione fra
cristallo e arabesco, suprema concordia discors, cha causa una
“squisita acquiescenza”, un consenso simbolico ove si fondono
astrazione ed empatia, una arrendevolezza che si risolverà nella
resa al superiore e alla bellezza suprema. Nel contrasto risolto
fra punte e curve – “ogni curva è un angolo” disse Democrito –
vi è la forma dell’equilibrio, la voce silenziosa dell’armonia.
“Here is an expression of the highest spiritual truth-fate and

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Il giardino segreto della bellezza

free-will in perfect reconcilement”. Perfetta riconciliazione:


coincidentia oppositorum.
Projective Ornament – forse il libro più importante di Brag-
don – “ricodifica”, scrive Massey, “il simbolismo esoterico delle
architetture del passato in termini moderni. […] Nei termini
della concezione fatalista della vita, la mano del disegnatore che
traccia liberamente linee regolate simboleggia ‘exquisite acquie-
scence’: la volontà individuale che segue volontariamente le vie
tracciate per essa da un destino inflessibile”.
I cosmogrammi di Bragdon, espressi in magiche formule ma-
tematiche, guidano verso una sensualizzazione dello spirituale,
come in Pitagora e Filolao, come nel Canone di Policleto. I pi-
tagorici si esercitavano con figure geometriche scritte sulla sab-
bia, per questo si diceva che le loro stanze fossero sempre piene
di polvere. Era, questa polvere, un pulviscolo cosmico, carico di
energia: la divinità era in ogni granello di sabbia.
In the fury of the moment / I can see the master’s hand
In every leaf that trembles / in every grain of sand.
Così canta il poeta.
La matematica sacra e le leggi impersonali, o meglio, assolu-
te, servivano a regolare il desiderio, e purificarlo, riportandolo
al cielo, da cui discende da distanze siderali e permettere, nel
lusso spirituale, di ascendere alla bellezza che si rende manife-
sta. Gradus ad Parnassum.
Regolare l’ornamento era per Bragdon un modo per regolare
l’espressione individuale in nome dell’ordine sociale, come era
stato, osserva con precisione Massey, per Muthesius e per Loos.
Un modo per produrre ordine: Schema è forma nella tipiz-
zazione e negli armonici, nelle simmetrie dinamiche e nei fratta-
li, nelle spirali logaritmiche, nei diagrammi euristici, nell’homo
ad circulum e nei quadrati magici, quando un raggio di luce illu-
mini, nel ritmo che si reitera, una eterna volontà d’ordine.
Si perviene a questo stato di contemplazione mistica soltan-
to con una percezione sinestetica, che congiunga i sensi come in
una sinfonia.

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L’audizione colorata è un saggio contenuto nelle Peregrina-


zioni Psicologiche del 1895 di Tito Vignoli. Il suo Myth and
Science era stato pubblicato in traduzione a New York nel
1882.
Percezione e sensazione persistono, amplificate, in una di-
mensione molteplice. Bragdon ha messo in pratica queste idee
curando alcuni festival chiamati Song and Light nei quali stimo-
lava le percezioni del pubblico con suoni e luci e ornamenti, cori
di mille coristi, lanterne rosse, rosoni giganteschi e stelle artifi-
ciali, per questo emozionanti. Aveva anche approntato un
Luxorgan, uno strumento che, ad ogni pressione su un tasto fa-
ceva illuminare su un pannello una data porzione, creando uno
spettacolo di audizione colorata. Un organo a colori.
L’effetto sinestetico semplice e potente, come in un caleido-
scopio gigante, una “cattedrale senza mura”, diceva, voleva ot-
tenere un solo risultato: l’incanto di “imbrigliare l’arcobaleno”.
Suoni e luci per un cosmo in miniatura dedicato al pubblico, di-
stratto fino al momento dell’apparizione, delle fiere.
È forse nel Luxorgan, e nella sua estetica, così affettuosa e
popolare – cristallo e zucchero filato – che va ricercato il nesso
stringente, che Bragdon ha sentito e diffuso, fra musica e archi-
tettura. Il colore visto o il tono udito, eterne essenze platoniche,
sono per lui come le lettere di un testo sacro o le chiavi magiche
di una struttura architettonica ben proporzionata. Il nesso mu-
sica-architettura è quel che rende sensibile all’anima del mondo
l’armonia delle sfere.
Lo spiega Leo Spitzer in Harmonia Mundi, collegando que-
ste sfere della percezione all’intraducibile concetto di Stim-
mung: accordatura, intonazione, stato d’animo, umore, coinvol-
gimento, o, in generale, atmosfera. Si comprende meglio il con-
cetto se si tiene conto che Stimme, in tedesco, è la Voce.
“Archytas, allievo di Pitagora e amico di Platone, cercò
(dopo il 400 a.C.) di trovare l’essenza dell’anima individuale,
come dell’anima del mondo, nei toni della musica, nonché di
stabilire le leggi fisiche che stanno alla base di questa arte (il rap-

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porto tra la lunghezza delle corde e l’intensità dei toni: la pro-


porzione 2:1 dà l’ottava, 3:2 la quinta, 4:3 la quarta ecc.)”.
Come per la duplicazione del cubo, Archita perveniva, attra-
verso la matematica delle proporzioni, direttamente all’architet-
tura. È una architettura non meccanica ma divina. Architettoni-
co è il tetracordo, e architettura è generata – anch’essa chroma-
tica, diatonica, o enarmonica – da scale, intervalli, da una sofi-
sticata ratio e da numeri in relazione.
Il suono è la parte originaria e universale della scienza, ed è
con esso che si potrà permanere In die heiteren Regionen / Wo
die reinen Formen wohnen, “nelle chiare regioni ove dimorano
le forme pure”, come cantò Schiller in Das Ideal und das Leben.
In questo ambito si comprende quanto ha spiegato
Wittkower ne I principî architettonici dell’età dell’Umanesimo:
“Si intenderà come l’analogia rinascimentale tra accordi udibili
e proporzioni visibili fosse qualcosa di più che una speculazione
teoretica, e testimoni della fede profonda e solenne nell’armoni-
ca struttura matematica di tutto il creato”. L’architetto come
uomo universale è una creatura armonica, e la lira di Apollo è
Natura ragionabile.
Hans Kayser, il moderno pitagorico tedesco, nel suo mitico
libro Akróasis, che prende il nome dalle lezioni pubbliche di
Platone, scrive che “Il pensiero è un senso, proprio come tutti
gli altri nostri sensi. Il pensiero ha la sua base fisiologica nel cer-
vello, come la vista la ha nell’occhio, l’udito nell’orecchio. Così
vi è un senso del pensiero, proprio come vi è un senso della vi-
sta, dell’udito, del tatto, etc.”. Il senso del pensiero è il senso
adatto all’ascolto degli enigmi del mondo.
Nel Lambdoma, la grande tavola pitagorica che mette in re-
lazione tutti i fondamenti armonici delle note e quelli della na-
tura, sono contenuti, secondo Kayser, i segreti dei mondi: la fi-
sica la chimica l’astronomia l’ottica la botanica; e l’architettura.
Vera sintesi: la forma di una foglia e un’ottava intrattengono
rapporti matematici. Armonici, come è armonica l’architettura
dell’universo.

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Bellezza è sempre verità, anche nel moderno del Novecento.


“L’antica sapienza ermetica, con il suo codice di corrispon-
denze andava rinnovandosi attraverso anime illuminate come
Kandinsky, Yeats, Pound, Scriabin, e Claude Bragdon”, scrive
Jed Rasula nel suo saggio del 2007 “Listening to Incense”: Melo-
mania & the Pathos of Emancipation.
Sinestesia, ancora. Ascoltare l’incenso significa riuscire a sen-
tirsi parte della grande Catena dell’Essere.

Lo spiega Arthur Oncken Lovejoy: “L’uomo, ci dicono, sta-


va al centro dell’universo, e attorno al pianeta da lui abitato ruo-
tavano obbedienti tutte le vaste sfere disabitate”.
Non si dà individualità nello spirito eterno ed è proprio que-
sto fatto che unisce la geometria e la teosofia e i teosofi fra loro.
Furono molti altri gli artisti e gli scrittori ad essere coinvolti
nella ricerca spirituale cui la teosofia invitava: Edwin Abbott
Abbott l’autore di Flatland, Frank Baum, che ha incantato mi-
lioni di bambini con Il mago di Oz, Lewis Carroll con la Won-
derland di Alice, Maurice Maeterlinck con tutte le vite di api,
formiche e termiti, Conan Doyle con le deduzioni perfette di
Sherlock Holmes, T.S. Eliot, D.H. Lawrence, Walter Burley
Griffin, un collega di Bragdon, che ha lavorato con Wright per
poi recarsi in Australia, Gutzon Borglum, che ha scolpito le te-
ste gigantesche dei presidenti americani sul monte Rushmore ed
ha dipinto un ritratto di Madame Blavatsky, Hilma af Klint, pit-
trice mistica svedese, Piet Mondrian, Maurits Cornelis Escher,
Paul Klee, Paul Gauguin. In questa lunga lista, certo incomple-
ta ma a volte sorprendente, compaiono anche Maria Montesso-
ri ed Elvis Presley.
Eugenia Victoria Ellis ha scritto la sua dissertazione per il
Phd nel 2005 presso L’università della Virginia: Squaring the Cir-
cle: The Regulating Lines of Claude Bragdon’s Theosophic Archi-
tecture.
La divinazione del mondo costruito, il nesso fra Visione e Si-
tuazione, la geomanzia sono alcune fra le parole di questo im-

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portante studio, che va in profondità sul concetto di regolazio-


ne del disegno attraverso la linea. Ad Quadratum il metodo e la
corrispondenza il fine. Allineamenti, orientamenti, e disposizio-
ni sono i territorî ove la scienza sacra si congiunge all’arte di co-
struire. La tesi affronta la cronofotografia, le regole moderne,
Muybridge, e Winsor McCay, che secondo Ellis ha ispirato il
Sinbad di The Frozen Fountain.
Entusiasta per tutte le cose belle, quindi per “un’opera d’ar-
te che si muove, e parla”, Claude Bragdon nel 1934 scrisse un
articolo sul «New York Times»: Mickey Mouse and What He
Means.
Altra dissertazione di Phd su Bragdon è il lavoro di Mary
Nixon, anche questo del 2005, per l’Università di Pennsylvania:
Technically Symbolic: The Significance of Schema and Claude
Bragdon’s Sinbad Drawings in The Frozen Fountain.
Fondamentale, per spiegare Bragdon, il concetto del “tecni-
camente simbolico”. Questa formula va tradizionalmente iscrit-
ta al magico. E schema qui ha tutto il senso del magico, nella
capacità di coordinare e contemperare, di estrarre dal disegno
essenze spirituali ed elevata consapevolezza. L’unione di tecni-
co e simbolico, per Mary Nixon, significa l’unione di bellezza e
necessità. È “una ricerca sistematica per rivelare la quiddità
delle antiche verità e la loro connessione con il divino”. Ogni
opera di Bragdon, e in particolare la sua ultima, The Frozen
Fountain, ove si occupa dei grattacieli è, dice Nixon, “un ma-
nuale e un messale del know-how e del know-what”. Il come sta
forse nell’“occhio prensile” di Bragdon, la capacità di vedere
con la mente, di “andare in giro a schizzare bozzetti con le mani
in tasca”.
Cosa sapere è una questione relativamente semplice: Nixon
cita una Upaniṣad: “Il tempo fa maturare e dissolve tutti gli es-
seri nel Grande Sé, ma colui che sa in quale tempo esso si dis-
solva, lui è il conoscitore del Veda”.
Questo misteriosissimo tempo è probabilmente lo spazio-
tempo della quarta dimensione.

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Linda Dalrymple Henderson ha dedicato uno studio assai


vasto a questo complicato argomento: The Fourth Dimension
and Non-Euclidean Geometry in Modern Art, pubblicato a Prin-
ceton nel 1983.
Nella Brahma Upaniṣad si tratta della origine, della situazio-
ne della Persona nella tessitura del cosmo, e del soffio divino.
Un passaggio viene qui riprodotto in inglese, poiché così risuo-
nava nella mente di Bragdon:

In the heart are all gods,


in it the vital breaths also
In the heart is life and light
And the threefold thread of the world.
In the heart, in the spirit, all this exists.

Tutto è inter-tessuto in esso, come perle infilate nel filo. The


Golden Person in the Heart è il titolo del primo libro di Brag-
don, del 1898. Ciò che esiste di per sé, il nucleo del Tutto-Uno,
l’impermanenza dei fenomeni che è motore del divenire, sistole
e diastole dell’universo confluiscono nel cuore dell’uomo che
contempla.
Contemplare l’architettura occulta dell’universo raffina la
sensibilità per gli aspetti immateriali dell’architettura; per la sua
storia, quindi, la sua cultura e il suo spirito, per le idee nelle qua-
li è immersa e dalle quali è generata, per la sua vera Forma. Ap-
pare la solennità della Meccanica Celeste che offre in dono la
beatitudine del trans-correre nello spazio e nel tempo, e in altre
dimensioni, superiori. Mondi su mondi, sistemi dentro sistemi.

See worlds on worlds compose one universe,


Observe how system into system runs,
What other planets circle other suns.

Così aveva scritto Alexander Pope, in An Essay on Man, del


1733.

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Felix Eberty ha scritto The Stars and the Earth; Thoughts


upon Space, Time and Eternity, pubblicato anonimo a Londra
nel 1846, un piccolo libro di astronomia esoterica, che il giova-
ne Claude aveva ricevuto in dono dal padre a 16 anni e che in
tutta evidenza gli ha cambiato la vita. Non ha mai saputo però
chi fosse l’autore del libro. Non lo sapevano nemmeno i tede-
schi perché Die Gestirne und die Weltgeschichte. Gedanken über
Raum, Zeit und Ewigkeit, uscito a Breslavia sempre nel 1846, era
anch’esso anonimo, siglato soltanto dalle iniziali F.Y.
È un libro appassionante ed enigmatico. Onniscenza e On-
nipresenza vengono vagliate rispetto alla distanza fra corpi e alla
velocità della luce, alle dimensioni e alle estensioni.
“Le parti dell’universo e della storia che si riferiscono a tem-
po e spazio sono insieme in un tutto invisibile e indivisibile”.
Raggi che attendono la manifestazione. Anche Einstein intuì
quando era molto giovane la sua Teoria: sognò di stare a cavallo
di un fascio di raggi luminosi.
“Armatura della Natura”, l’arte, dice Bragdon, “è uno stru-
mento formidabile per la conoscenza del mondo dei noumeni”.
Se la mente sta sopra la materia, e sta dietro, e prima, dei sensi,
dall’“Alambicco dell’anima” sgorgherà il mirifico Eterno ritor-
no del sempre-nuovo, attraverso la Teologia, la teosofia della
bellezza cui Bragdon si è dedicato per tutta la vita. Tecnica di-
viene magica, libertà e legge sono uno, poiché la libertà umana
si salda con l’ordine fatale ed irrevolubile del tutto.
Bellezza trascendentale è dynamis dell’ulteriore, tèlos dei
compossibili, magia simpatetica, proiezione nel non-ancora, en-
telechia delle forme a venire, e per questo, doverosa sostanza di
ogni chiaroveggente progetto architettonico.
È “l’armatura di una fenomenologia della percezione con-
templativa”, come scrive Brunella Antomarini, in La percezione
della forma. Trascendenza e finitezza in Hans Urs von Balthasar.
Summum Bonum è alla confluenza di Libertà e Necessità.
Questa è la più miracolosa, e la più semplice, delle verità, at-
traverso la quale è possibile intravedere, nella concentrazione

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Guglielmo Bilancioni

sui Principî Primi, la mente dell’Universo e la sua legge immu-


tabile. La grandezza del genere umano assieme alla sua minorità.
La scienza attuale ha dimostrato l’esistenza di un cosmic web,
tenuto insieme da filamenti di materia oscura: non è, forse, que-
sto filamento, “il filo invisibile che lega i mondi” evocato dalle
parole di Bragdon? Questi filamenti – la cordonatura del mon-
do – sono i capelli di Siva Nataraja, il signore della danza.
Un’altra teoria mostra l’universo come ologramma: 3D, 4D,
HD, nD.
Gli ornamenti di Bragdon appaiono come doni di Saraswati,
colei che guida all’essenza della conoscenza di sé, madre dell’u-
niverso, madre dei Veda, della parola eloquente, dell’imparare,
di ogni arte e della musica melodiosa: la dea bianca e purissima
della bellezza perfetta.
Il cigno bianco, veicolo di Saraswati, è simbolo dell’eterico,
origine del tutto, e, nell’alchimia, significa integrità originaria, il
compimento della Grande Opera. A compimento avvenuto la
bellezza si spargerà sul mondo, come l’Oceano di ambrosia del
Soma vedico.
Esprimere la vita moderna in termini di bellezza, e l’architet-
tura come euritmica suddivisione dello spazio, la missione di
Bragdon.
“La Natura è impegnata senza sosta nel tessere una rete di
bellezza sopra le più brutte creazioni dell’uomo”, scrive in un
articolo del 1903, su «Craftsman», The Sleeping Beauty.

Nel Gioco delle perle di vetro di Hesse il magister ludi Joseph


Knecht allinea i possibili in una ars combinatoria che celebra la
liturgia del numero e i riti iniziatici di ogni tempo. La filastroc-
ca conclusiva ne è felice sintesi: il gioco mima il mondo e la vo-
lontà di vita in esso, le regole, la gerarchia, assieme alla gioia di
farne parte.

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IL GIUOCO DELLE PERLE DI VETRO

La musica del mondo e dei sapienti


siam pronti ad ascoltare riverenti
e ad evocare a festa i venerati
spiriti di periodi più beati.
Siamo tutti compresi dei misteri
della scrittura magica che in veri
simboli chiari e formule ha serrato
il fervor della vita sconfinato.
Tintinnano come astri di cristallo,
dobbiamo ad essi se la vita ha senso,
nessuno uscire può dal loro vallo
se non cadendo verso il sacro centro.

La prosperità culturale della New age, una attitudine olisti-


ca, organica, e aperta al Superiore, e le molte continue fioritu-
re, anche quelle che verranno, discendono, ed è salutare per
l’umanità, da questo continuo gioco armonico che mima l’uni-
verso, fuori dal tempo e mosso dal tempo, nello spazio e nel-
l’hyperspazio, e nel chiasmo visionario, e scientifico, fra spazio
e tempo.
Nel cristallino splendore della stella della perfezione.
Cosmo e cosmesi hanno la stessa radice e la natura della bel-
lezza è cosmica. Nella sua autobiografia Bragdon si esprime an-
cora con magnifica semplicità: “Beauty is mystery and enchant-
ment, the thing with star-dust on it”.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2017


a cura di PDE Spa presso LegoDigit s.r.l. - Lavis (TN)

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