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Convertitori utilizzati nei pannelli fotovoltaici per applicazioni

domestiche
I convertitori sono dispositivi elettronici usati nella maggior parte delle applicazioni moderne, in grado
di apportare modifiche alla forma d’onda sia in termini di frequenza che in termini di ampiezza oppure
solo in termini di frequenza e solo in termini di ampiezza della forma d’onda in ingresso. Sono
composti da opportune configurazioni di dispositivi a semiconduttore controllati (MOSFET, GTO,
IGBT), che impongono limiti di massima corrente, tensione e quindi di massima potenza gestibili dal
convertitore: maggiore è la potenza che gli interruttori controllati devono controllare e minore sarà la
loro frequenza di commutazione e viceversa; un buon compromesso in tal senso è dato dall’IGBT che
abbina a un’ampia potenza gestibile dallo stesso interruttore controllato a un’alta frequenza di
commutazione. Sono spesso coordinati con dispositivi non controllati come diodi di ricircolo,
strettamente non correlati con la determinazione della nuova forma d’onda, ma necessari perché non
fanno interrompere la corrente e quindi, senza i quali i convertitori si romperebbero. Vengono
Classificati in base al tipo di alimentazione che presentano in ingresso come Convertitori a tensione
impressa (VSI) e Convertitori a corrente impressa (CSI). Questi ultimi sono i convertitori
maggiormente utilizzati perché la rete elettrica fornisce energia sotto forma di tensione impressa.
Possono essere suddivisi in base alle diverse forme d’onda che riescono a produrre in uscita e a quelle
che ricevono in ingresso:
• Convertitori DC/DC che sono dispositivi elettronici in grado di generare in uscita una tensione
continua regolabile in ampiezza partendo da una tensione fissa in continua. Il target di
controllo di questo tipo di convertitore nonché la regolazione che vado a eseguire non è sul
valore istantaneo della tensione, bensì sul valore medio della tensione in uscita del dispositivo;
• Convertitori AC/DC o raddrizzatori; partendo da una tensione alternata forzata da un
generatore in ingresso, riesco ad ottenere in uscita una tensione continua regolabile in
ampiezza;
• Convertitori DC/AC, Inverter coloro che, partendo da una tensione continua in ingresso fissa
consentono di ottenere in uscita una tensione sinusoidale regolabile sia in ampiezza che in
frequenza;
• Convertitori AC/AC; partendo da una tensione alternata fissa in ingresso posso ottenere una
alimentazione regolabile in alternata sia in termini di ampiezza che in termini di frequenza. In
quest’ambito posso trovare i convertitori a singolo stadio utilizzati per applicazioni ad elevata
potenza, come per i cicloconvertitori (usati per lo più per le applicazioni navali); nella maggior
parte delle applicazioni vengono utilizzati i cosiddetti convertitori bistadio, che presentano due
stadi di conversione: uno stadio di conversione da raddrizzatore che mi permette di ottenere la
tensione continua partendo da una forma d’onda in alternata e uno da inverter che mi permette
di ottenere una forma d’onda in alternata regolabile partendo dalla tensione in continua.
I convertitori per applicazioni fotovoltaiche di cui tratteremo saranno sia Convertitori DC/DC,
utilizzati per stabilizzare la tensione in uscita dai generatori fotovoltaici in maniera da fare lavorare
l’impianto in completa aderenza al punto di massima potenza e in maniera tale garantire una forma
d’onda regolata in continua al Bus Dc dell’Inverter (di diverse tipologie). Esso sarà deputato alla
conversione in alternata perché l’impianto fotovoltaico sarà allacciato all’impianto dell’abitazione
(stand alone) in questione oppure alla rete elettrica per impianti fotovoltaici grid-connected, entrambi
alimentati in alternata. L’ultimo convertitore trattato sarà un convertitore di tipo multilivello il quale
sarà un dispositivo molto vantaggioso e svantaggioso allo stesso tempo nell’ambito fotovoltaico. La
prima parte del seguente elaborato verterà sulle principali caratteristiche dei sistemi fotovoltaici:
saranno trattate le proprietà riguardanti la radiazione solare, i metodi di conversione di tale forma di
energia in energia elettrica, la realizzazione di moduli ed impianti fotovoltaici e le modalità di
connessione alla rete di distribuzione dell’energia.
Energia Solare
Il Sole
L’energia più diffusa sul nostro pianeta è quella che proviene dal Sole. E’infatti questa stella che invia
sulla Terra un enorme flusso di radiazioni, le quali alimentano tutti i processi vitali, regolano il ciclo
dell’acqua e originano i venti. Questa quantità di energia è però molto superiore al fabbisogno
dell’umanità: basti pensare che ogni giorno il Sole invia sulla Terra una quantità di energia trenta volte
superiore a quella consumata dalla popolazione mondiale in un anno. Tale energia viene emessa dai
processi di fusione all’interno del nucleo, e si propaga con simmetria sferica nello spazio, fino a
raggiungere la Terra, la quale riceve, alla fascia esterna dell’atmosfera, una potenza di circa 1367
W/m2 (definita costante solare). La potenza totale che investe il nostro pianeta è pari al prodotto tra
l’area della faccia della Terra esposta al Sole e la costante solare, circa 174∙1015 W. Tuttavia, a causa
dei fenomeni di riflessione e assorbimento da parte dell’atmosfera e delle nubi, la quantità di energia
che arriva al suolo è solo il 51% di quella totale, e quindi raggiunge la superficie esposta al Sole una
potenza teorica di 89000 TW. Nel 2008 il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha stimato il
consumo mondiale di potenza, il quale è risultato essere circa pari a 16,4 TW. Si può quindi facilmente
concludere come l’energia inviata dal Sole sul nostro pianeta sia molto superiore al fabbisogno
dell’umanità.

Bilancio di energia della Terra

Radiazione solare
Per radiazione solare si intende l’energia elettromagnetica emessa dal Sole come risultato dei processi
di fusione dell’idrogeno in esso contenuto. La radiazione solare non è concentrata su una sola
frequenza, ma è distribuita su un ampio spettro assimilabile a quello del corpo nero ad una temperatura
di 5777 gradi Kelvin. E’ possibile dividere lo spettro della radiazione solare in cinque diverse regioni,
a seconda della lunghezza d’onda:
• Ultravioletto, da 100 nm a 400 nm;
• Visibile, da 400 nm a 780 nm, è l’intervallo di lunghezze d’onda visibile all’occhio umano, in
cui è contenuta gran parte dell’energia proveniente dal Sole;
• Infrarosso, da 780 nm a 1mm.
Spettro della radiazione solare

L’area dello spettro rappresenta la potenza che raggiunge l’atmosfera terrestre, la quale, come già detto
nel paragrafo precedente, è pari a 1367 W/m2. L’atmosfera e i gas presenti al suo interno eseguono un
filtraggio dello spettro della radiazione solare, causando una diminuzione della potenza che arriva
effettivamente sulla superficie del nostro pianeta. A livello del suolo, infatti, giungono, in condizioni di
giornata serena e Sole allo zenit, circa 1000 W/m2. Considerando una superficie inclinata rispetto al
suolo (figura successiva), le componenti della radiazione solare raccolta sono essenzialmente tre:
• la radiazione diretta, la quale colpisce la superficie con un unico e definito angolo di incidenza;
• la radiazione diffusa, che raggiunge il suolo da tutte le direzioni, in quanto è generata nello
strato atmosferico a causa dello scattering (“sparpagliamento", si intende un'ampia classe di
fenomeni di interazione radiazione-materia in cui onde o particelle vengono deflesse, cambiano
traiettoria a causa della collisione con altre particelle o onde) subìto dalla radiazione incidente;
• la radiazione riflessa dal terreno o da altre superfici circostanti, che dipende dall’inclinazione
della superficie di riferimento e dalle proprietà riflettenti del terreno.
• la radiazione globale è data dalla somma dei contributi relativi alle componenti diretta, diffusa e
riflessa, e dipende:
· dalle condizioni meteorologiche ed atmosferiche;
· dall’angolo di inclinazione della superficie di raccolta rispetto al piano orizzontale;
· dalla presenza di superfici riflettenti.
Radiazione solare raccolta da una superficie inclinata

Un dispositivo capace di catturare la radiazione solare per convertirla in una forma di energia
utilizzabile, renderà quindi disponibile energia in funzione di due fattori: l’angolo con cui la radiazione
arriva sulla superficie considerata e lo spessore di atmosfera attraversato dai raggi solari (che incide
sull’azione di filtraggio da parte dell’atmosfera stessa). Entrambi questi elementi sono raccolti nell’Air
Mass, che, definito come l’inverso del coseno dell’angolo di inclinazione del sole rispetto allo zenith,
indica la massa d’aria che la radiazione solare deve attraversare prima di giungere al suolo. La
condizione ottimale per la conversione della radiazione in energia elettrica si ha quando la superficie di
raccolta è orientata a sud (angolo di azimut), con un angolo di tilt (o di inclinazione) prossimo alla
latitudine del sito di installazione.

Angolo di azimut (γ) e angolo di tilt (β) di una superficie di raccolta della radiazione solare
Per valutare le prestazioni e la convenienza di un impianto fotovoltaico, esistono delle mappe, dette
mappe solari isoradiative, che indicano, in funzione dell’inclinazione del dispositivo che cattura la
radiazione, la distribuzione sul territorio dei valori medi di insolazione nell’arco dell’anno misurati in
kWh/m2. Per quanto riguarda l’Italia, si hanno regimi solari medio-alti, con forte variabilità tra regioni
settentrionali e meridionali.

mappa solare isoradiativa dell'Italia

Tecnologia fotovoltaica
Effetto fotoelettrico
Il principio su cui si basa la conversione della radiazione solare in una corrente di elettroni è l’effetto
fotoelettrico. La corretta interpretazione del fenomeno fu data da Albert Einstein nel 1905 (teoria che
gli valse il Nobel nel 1921), anche se l’effetto fotoelettrico era già noto dalla seconda metà del XIX
secolo. Nella sua teoria, Einstein dichiara che una qualunque superficie colpita da radiazione
elettromagnetica emette elettroni:
· la cui energia è indipendente dall’intensità della radiazione e dipende solo dalla sua frequenza;
· la cui intensità (numero di elettroni) dipende dall’intensità della radiazione incidente.

l'effetto fotoelettrico

Essendo la radiazione elettromagnetica quantizzata in fotoni di energia E=hν (dove h è la costante di


Planck e ν è la frequenza della radiazione incidente), è possibile eseguire il bilancio energetico del
sistema in figura:
1
𝑚𝑒 𝑣𝑒2 = ℎ𝜈 − 𝐸𝑔
2
dove Eg è il gap energetico presente tra la banda di valenza e la banda di conduzione del materiale di
cui è composta la superficie in oggetto. Per liberare elettroni è quindi necessario che sia verificata la
seguente condizione
ℎ𝜈 − 𝐸𝑔 > 0

che si traduce in una condizione sulla lunghezza d’onda della radiazione incidente:

ℎ∗𝑐
𝜆<
𝐸𝑔
dove c’è la velocità della luce. Utilizzando quindi materiali con un gap energetico piccolo, si riesce a
sfruttare maggiormente la radiazione incidente, emettendo più elettroni e convertendo una
maggiore quantità di energia elettromagnetica in energia elettrica.

Cella fotovoltaica

La cella fotovoltaica sfrutta l’effetto fotoelettrico per convertire la radiazione solare in energia elettrica.
E’ costituita da una sottile lamina di materiale semiconduttore (solitamente silicio), che, quando viene
colpita da un fotone con sufficiente energia, crea una coppia di cariche elettriche di segno opposto
(coppia elettrone-lacuna) al suo interno. Per generare una corrente elettrica, è però necessario che ai
capi del materiale vi sia una differenza di potenziale tale da separare le due cariche. Ciò avviene grazie
al drogaggio del materiale semiconduttore: se il materiale in oggetto è il silicio, introducendo atomi di
fosforo si ottiene la formazione del silicio di tipo “n” (con una densità di elettroni liberi superiore alla
norma), mentre introducendo atomi di boro, si ottiene il silicio di tipo “p” (in cui le cariche libere in
eccesso sono di segno positivo). Si realizza così una giunzione p-n, nella cui zona di contatto vi è un
forte campo elettrico, il quale separa le cariche foto generate. Tali portatori danno luogo ad una
corrente quando il dispositivo è connesso ad un carico, come in figura:

funzionamento della cella fotovoltaica


L’efficienza di conversione di celle commerciali al silicio è solitamente compresa tra il 12% e il 17%.
Il motivo per cui questo valore non è molto elevato è dovuto a molteplici fattori:
· non tutti i fotoni posseggono energia sufficiente a generare una coppia elettrone-lacuna;
· l’eccesso di energia dei fotoni non viene convertito in energia elettrica ma viene dissipato in calore;
· alcuni fotoni vengono riflessi dalla superficie della cella;
· una parte delle coppie elettrone-lacuna foto generate si ricombina all’interno della cella;
· la corrente prodotta è soggetta a perdite.

Sono state fabbricate anche celle ad elevate prestazioni, come ad esempio le celle multigiunzione, che
utilizzano diversi strati di materiali semiconduttori in modo da assorbire in maniera ottimale ogni
componente dello spettro della radiazione solare. L'efficienza di conversione (in condizioni ideali) può
anche superare il 43%, ma i costi di produzione risultano molto più elevati che nel caso tradizionale.
Per descrivere al meglio la cella fotovoltaica è utile costruire un circuito equivalente:

circuito equivalente della cella fotovoltaica

Quando la cella non è illuminata, ha un comportamento simile ad un diodo, e corrente


e tensione sono legate da una relazione esponenziale:
𝑞𝑉𝑑
𝐼𝐷 = 𝐼0 𝑒 𝑛𝑘𝑡

dove q è la carica dell’elettrone, VD la tensione ai capi del diodo, n il fattore di idealità


del diodo, k la costante di Boltzman e T la temperatura. Quando invece sulla cella incidono dei fotoni,
la giunzione p-n diventa una sorgente di coppie elettrone-lacuna, e circuitalmente ciò è assimilabile ad
un generatore di corrente. Nello schema in figura sono presenti anche una resistenza serie Rse, che
tiene conto della resistenza dei contatti tra il metallo e il materiale semiconduttore, e una resistenza di
Shunt Rsh, che rappresenta le perdite dovute alle correnti di dispersione. Graficamente, la caratteristica
tensione-corrente di una cella illuminata risulta pari a quella di un diodo traslata in verticale di una
quantità pari alla corrente foto generata

caratteristica I-V della cella fotovoltaica

In figura si possono notare alcuni importanti parametri che caratterizzano la cella: la tensione di
circuito aperto Voc, la corrente di corto circuito Isc e il punto di funzionamento in massima potenza
(MPPT), nel quale il dispositivo lavora in condizioni ottimali, individuato dalla tensione Vm e dalla
corrente Im. E’ quindi possibile definire il rendimento come il rapporto tra la potenza che la cella
fornisce in uscita e la potenza della radiazione incidente:

𝑃𝑜𝑢𝑡 𝑉𝑚 𝐼𝑚
𝜂= =
𝑃𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑃𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒

La caratteristica della cella si modifica leggermente al variare delle condizioni in cui si trova ad
operare, in particolare la corrente di cortocircuito aumenta con l’aumentare dell’irraggiamento e la
tensione a vuoto diminuisce al crescere della temperatura della cella (figure 1 e 2).
Il punto in cui la cella riesce ad erogare la massima potenza di uscita varierà quindi in
accordo con questi parametri:

1)caratteristica I-V della cella rispetto a


variazioni dell'irraggiamento

2)caratteristica I-V della cella rispetto a


variazioni della temperatura

MPPT

MPPT, un acronimo inglese che sta per Maximum Power Point Tracker. I moduli fotovoltaici hanno
una caratteristica tale per cui esiste un punto di lavoro ottimale, detto appunto MPPT, dove è possibile
estrarre la massima potenza disponibile. Il punto di massima potenza corrisponde alla coppia tensione-
corrente tale per cui è massimo il prodotto V*I, dove V è il valore della tensione ai morsetti del
modulo e I è la corrente che circola nel circuito ottenuto chiudendo il modulo su un opportuno carico.
Caratteristica P-V del pannello fotovoltaico al variare della luminosità

La curva riportata in figura riporta l’andamento della potenza in uscita dal modulo fotovoltaico la quale
non è stabile nel tempo, ma varia istantaneamente in funzione delle diverse condizione di
irraggiamento solare e, più lentamente, col variare della temperatura. Queste variazioni causano lo
spostamento del punto di massima potenza, il che si traduce nell’impossibilità pratica di prevederne la
collocazione controllando l’inverter con strumenti di calcolo tradizionali. Quindi si può notare che la
potenza prodotta da un generatore fotovoltaico vari notevolmente a seconda del punto di lavoro sulle
diverse curve caratteristiche e che per ogni curva, esiste uno e un solo punto nel quale è massimizzato
il trasferimento di potenza verso un ipotetico carico alimentato dal modulo fotovoltaico.

Tecniche utilizzate per la determinazione dell’MPPT


Una delle tecniche utilizzate dai moderni MPPT consiste nell’individuazione del punto di massima
potenza sulla curva del generatore fotovoltaico mediante piccole variazioni di carico effettuate a
intervalli regolari. Queste variazioni si traducono in scostamenti dei valori di tensione e corrente
attraverso che sono determinabili se la condizione è migliore della precedente. Questo metodo di
ricerca è denominato P&O (Perturb and Observe) ed è molto diffuso, pur con diverse varianti
nell’algoritmo di ricerca, ma non è l’unico. In pratica, si è osservato che l’applicazione pura e semplice
di un algoritmo P&O poteva dar luogo a notevoli problemi di accuratezza al manifestarsi di ampie
variazioni di irraggiamento. Se, ad esempio, durante il funzionamento, una nube va a coprire il sole
anche solo parzialmente, in molti casi l’algoritmo P&O riduce istantaneamente la potenza a zero. Si è
osservato che, perché questo fenomeno si verifichi, è sufficiente che il nuovo valore di corrente di
cortocircuito stabilitasi dopo la variazione sia inferiore al valore di corrente che precedentemente si
aveva nel punto di massima potenza. Per ovviare a questo inconveniente, in molti casi si è ricorsi al
metodo CV (Costant Voltage), il quale, imponendo una tensione di lavoro fissa, impedisce alla
corrente di portarsi a zero. Tuttavia, l’utilizzo del solo metodo CV non consente una gestione ottimale
dell’array, per cui si preferisce utilizzare il metodo CV non da solo ma preferibilmente per
“irrobustire” il P&O. Così facendo, l’algoritmo di ricerca valuta periodicamente se si sono verificate
variazioni di una certa ampiezza nella curva caratteristica dell’array e, in tal caso, commuta il
funzionamento da P&O a CV per poi riportarlo nuovamente a P&O ma a partire dal punto individuato
sulla nuova curva. Un ulteriore metodo di ricerca del punto di massima potenza è denominato IC
(Incremental Conduttance). Esso si basa sulla constatazione che nel punto di massima potenza, la
𝑑𝑝
derivata della potenza rispetto alla tensione deve essere uguale a zero, ossia: = 0 da cui si ottiene
𝑑𝑣
𝑑𝑖 𝑣
attraverso alcuni passaggi che = − . Il metodo IC individua con precisione il punto di massima
𝑑𝑣 𝑖
potenza ma può facilmente diventare instabile in caso di perturbazioni della curva caratteristica, per cui
spesso necessita di essere irrobustito con altri metodi, al pari di quanto avviene per il P&O. Infine, vale
la pena di citare alcuni metodi di ricerca utilizzati in passato ma che oggi si incontrano con minore
frequenza, quali il metodo OV (Open Voltage), basato sulla misura periodica della tensione a circuito
aperto, e il metodo SC (Short Circuit), analogo al precedente ma che invece tiene conto della corrente
di corto circuito. Per quanto riguarda la tecnologia fotovoltaica, per interfacciarsi alla rete sono
disponibili diverse configurazioni di moduli, che si distinguono in base alla tipologia di convertitore
applicato.

Generatore fotovoltaico

Le celle solari, tuttavia, riescono a fornire valori di tensione e corrente limitati, tipicamente 0,5 V/cella
e 5 A/dm2. È quindi necessario assemblarle in modo opportuno a costituire un’unica struttura, il
modulo fotovoltaico. La connessione elettrica consiste nel collegare in serie e parallelo le singole celle
per ottenere i valori di tensione e corrente desiderati. Al fine di ridurre le perdite per disaccoppiamento
elettrico, è necessario che le celle di uno stesso modulo abbiano caratteristiche elettriche simili tra loro.
Le celle così collegate sono incapsulate in una lastra di vetro e plastica il cui scopo è quello di
proteggerle dagli urti. Questo rivestimento deve avere alcune importanti proprietà: essere trasparente
alla radiazione solare, stabile ai raggi ultravioletti e alla temperatura, essere autopulente. È la durata
dell’incapsulamento a determinare il tempo di vita del modulo, che si stima essere intorno ai 25-30
anni. I moduli in commercio attualmente più diffusi (con superficie di 0,5-2 m2) utilizzano celle al
silicio mono e policristallino e prevedono il collegamento di 35 celle in serie. La tensione di lavoro è
tipicamente di circa 17 V, con corrente da 3 a 12 A, e potenza da 50 a 200 Wp. Disponendo in serie più
moduli si ottiene la stringa fotovoltaica, caratterizzata da una tensione massima pari alla somma delle
tensioni di circuito aperto Voc dei moduli collegati, e da una tensione nominale pari alla tensione nel
punto di massima potenza. Per aumentare la potenza dell’impianto, è poi possibile connettere più
stringhe in parallelo, realizzando così il campo fotovoltaico (o generatore fotovoltaico). La potenza
nominale è data dalla somma delle singole potenze nominali dei moduli costituenti il generatore,
misurate in condizioni standard (irraggiamento di 1000 W/m2, spettro solare riferito ad una Air Mass
1,5, temperatura della cella di 25°).
semplice schema di campo fotovoltaico
In antiparallelo ai singoli moduli vengono disposti dei diodi di bypass: se infatti un modulo risulta
essere in ombra (o comunque non funzionante), non produce corrente, e potrebbe essere attraversato da
una corrente erogata da altri pannelli posti in serie ad esso, causando dei danni. Grazie al diodo di
bypass, questa corrente non interessa il modulo ma scorre solo attraverso il diodo.

funzionamento dei diodi di bypass

In serie alle stringhe vengono poi inseriti i diodi di blocco, il sui compito è quello di impedire
l’assorbimento di corrente da parte di stringhe in ombra. In questo modo si escludono i moduli
ombreggiati dall’impianto, i quali quindi non produrranno potenza ma comunque non consumeranno la
corrente prodotta dai moduli irradiati.
diodi di blocco in serie alle stringhe del campo fotovoltaico

Il generatore fotovoltaico così realizzato costituisce, insieme ai dispositivi di interfacciamento alla rete
o al sistema di accumulo e ai dispositivi di controllo, l’impianto fotovoltaico.

Vantaggi dei sistemi fotovoltaici

La tecnologia fotovoltaica è relativamente recente: è stata sviluppata per la prima volta negli anni
cinquanta nei laboratori Bell Telephone. Nel 1958 si realizzò la prima applicazione in ambito spaziale
con il satellite americano Vanguard I, mentre l’installazione di dispositivi terrestri iniziò nella metà
degli anni settanta. Da allora i costi di produzione sono progressivamente diminuiti, ma restano ancora
abbastanza elevati rispetto alle altre tecnologie.
Tra le varie fonti rinnovabili, però, il fotovoltaico risulta l’opzione più promettente a
medio e lungo termine. I sistemi fotovoltaici, infatti, presentano numerosi vantaggi:
• sono modulari, e consentono di dimensionare il sistema in base alle particolari necessità;
• non richiedono manutenzione, se non quella riconducibile alla verifica annuale dell’isolamento
e della continuità elettrica, tipica di tutti gli impianti elettrici; i moduli inoltre non risentono
dell’attività dannosa degli agenti atmosferici e si puliscono autonomamente con le piogge;
• funzionano in automatico, non richiedono cioè alcun intervento per l’esercizio dell’impianto;
• sono più affidabili dei generatori diesel ed eolici;
• hanno un’elevata durata di vita, e le prestazioni degradano di poco anche dopo 20 anni di attività;
• consentono l’utilizzo pratico di superfici altrimenti inutilizzabili;
• sono economicamente interessanti per le utenze isolate, in quanto il costo delle linee di
trasmissione dell’energia elettrica risulta essere molto più elevato rispetto a quello previsto per la
realizzazione di un impianto fotovoltaico.

Impianto Fotovoltaico

Un impianto fotovoltaico è costituito da un insieme di componenti meccanici, elettrici ed elettronici


che captano l’energia solare, la trasformano in energia elettrica e la forniscono all’utenza. L’impianto è
costituito da un generatore fotovoltaico, un sistema di controllo della potenza e, eventualmente, un
sistema di accumulo. Il rendimento totale sarà quindi dato dal prodotto dei rendimenti della cella, del
modulo, della stringa, del sistema di controllo della potenza e del sistema di conversione.

Generatore fotovoltaico
Collegando in serie/parallelo più moduli si ottiene un generatore fotovoltaico (già trattato nel paragrafo
1.2.3), i cui parametri principali sono la potenza nominale che può erogare in condizioni standard e la
tensione nominale di funzionamento.

Controllo della potenza

In uscita dal generatore fotovoltaico la tensione e la corrente continua presentano delle oscillazioni
causate dal variare delle condizioni di irraggiamento solare e della temperatura delle celle. Questo fa sì
che la caratteristica di tensione e corrente non si adatti alle specifiche dell’utenza, che spesso richiede
una corrente alternata per alimentare un carico o per immettere potenza sulla rete elettrica di
distribuzione. È quindi necessario un sistema di controllo e condizionamento della potenza,
costituito da:
• regolatore di carica delle batterie: si usa nei sistemi stand-alone (non connessi alla rete elettrica),
e serve a preservare gli accumulatori da un eccesso di carica o scarica;
• convertitore dc/dc: fornisce un valore costante della tensione in uscita dal generatore inseguendo
istante per istante il punto di lavoro in cui il campo fotovoltaico eroga la massima potenza.
• convertitore dc/ac: è un convertitore da corrente continua a corrente alternata (inverter), posto a
valle del dispositivo di inseguimento della potenza, che adegua la forma della corrente a quella
richiesta dalla rete (o dal carico). Al fine di assicurare un adattamento ottimale del generatore alla
rete, è necessario fornire l’inverter di opportuni dispositivi di controllo che associno la tensione di
uscita del dispositivo a quella della rete e che controllino la qualità della potenza erogata.

Tipologie di impianti

1. impianti grid-connected
2. impianti stand alone

1. Un impianto grid-connected è collegato direttamente alla rete elettrica, e l’energia viene convertita
in corrente alternata per alimentare il carico-utente e/o per essere immessa in rete. Il principale
compito di questo tipo di impianti è quello di iniettare istante per istante la massima potenza
disponibile nella rete elettrica. La corrente di uscita deve quindi sincronizzarsi automaticamente
alla frequenza di rete, in modo che il dispositivo generi potenza. Dato che l’utenza è direttamente
collegata alla rete elettrica non sono necessari dispositivi di accumulo. La configurazione minima
di questo dispositivo, visibile in figura 15, è composta da un modulo fotovoltaico (o una stringa)
collegato direttamente al bus dc dell’inverter. L’inverter poi trasferirà potenza sia verso la rete
elettrica che verso un eventuale carico.
configurazione minima di un impianto grid-connected

Questa configurazione è più semplice ed economica, ma non riesce a lavorare sempre nel punto di
massima potenza in quanto vi è un collegamento diretto tra il pannello fotovoltaico e l’inverter.
Quest’ultimo infatti, richiede che sul bus dc vi sia una tensione costante, il cui valore deve essere
vicino ad un riferimento deciso dall’inverter stesso. A causa della variazione delle condizioni
atmosferiche e della temperatura delle celle, però, il punto di massima potenza si sposterà da quel
valore di tensione, e quindi l’impianto non riuscirà a trasferire in rete (o all’utenza) tutta la potenza
possibile, operando quindi in un punto di lavoro meno conveniente. E’ necessario inserire un
convertitore dc/dc intermedio per disaccoppiare la regolazione della massima potenza dal controllo
della tensione lato dc dell’inverter, come in figura:

configurazione completa di un impianto grid connected

La tensione di uscita del circuito è imposta dalla rete, ed il compito dell’inverter è quello di regolare la
tensione sul lato dc. Supponendo che in ingresso al convertitore la tensione desiderata sia Vdc* se la
tensione effettiva ai capi del condensatore è più grande, l’inverter dovrà aumentare l’ampiezza della
corrente immessa in rete (con una conseguente scarica del condensatore); allo stesso modo, se la
tensione lato dc è minore di Vdc* l’ampiezza della corrente dovrà diminuire, in modo da consentire al
condensatore di caricarsi. In figura è rappresentato il circuito che svolge il controllo appena
menzionato:
controllo di tensione dell'inverter

Un controllo analogo è effettuato dal convertitore dc/dc, il cui compito è quello di far lavorare il modulo
fotovoltaico nel punto di massima potenza. La tensione di uscita del dispositivo è imposta dall’inverter, e
quindi il convertitore effettuerà un controllo della sua tensione di ingresso. Denominando Vmpp la tensione
alla quale il modulo eroga la massima potenza (che è quindi il riferimento desiderato), la si confronta con
la tensione effettivamente presente ai capi della capacità in ingresso al convertitore; e, sulla base di tale
confronto, si controlla quindi la corrente in uscita dal dispositivo, come nel caso precedente. In uscita al
sistema complessivo si inserisce poi un trasformatore, che ha varie importanti funzioni:
• filtraggio della componente continua della corrente di uscita;
• adattamento della tensione di uscita dell’inverter a quella richiesta dalla rete;
• protezione, tramite la creazione di un isolamento galvanico, da elevate differenze di potenziale tra il
sistema e la rete;
• accoppiamento induttivo, tramite la creazione di una impedenza di cortocircuito ohmico-induttiva tra
l’inverter e la rete, che contribuisce al filtraggio della corrente di uscita. Il trasformatore, però, è necessario
solo per applicazioni con potenza al di sopra dei 20 kW (norma CEI 11-20); per potenze inferiori è
richiesta solo una protezione che, quando la componente continua della corrente supera lo 0,5 % del valore
nominale, scollega il dispositivo dalla rete.

Nella tabella seguente sono indicate le potenze massime permesse in ragione del numero delle fasi e della
tensione di rete per un impianto grid-connected, come da normativa del CEI.

normativa CEI per l'allacciamento di impianti fotovoltaici alla rete


2. Gli impianti stand-alone sono collegati ad utenze elettriche isolate dalla rete. L’energia prodotta
alimenta un carico elettrico, e la parte in eccedenza viene accumulata in batterie che la rendono
disponibile all’utenza nelle ore in cui l’insolazione è assente. Questo tipo di impianti sono utili ad
alimentare utenze situate in località non ancora raggiunte dalla rete elettrica, o in luoghi in cui il
collegamento alla rete comporta costi di investimento troppo elevati rispetto alle piccole quantità di
energia richieste. Una delle principali differenze rispetto ai sistemi grid-connected è che la tensione di
uscita dell’inverter può essere regolata sia in ampiezza che in frequenza, e si ottiene un funzionamento
tipo UPS (Uninterruptible Power Supply). La configurazione minima è composta da un modulo
fotovoltaico (o una stringa) collegato all’inverter attraverso un set di batterie, le quali compongono il
lato dc del sistema.

configurazione minima di un impianto stand-alone

Il punto di lavoro dell’impianto è dato dall’intersezione della caratteristica del modulo fotovoltaico con la
tensione della batteria. E’ opportuno dimensionare le batterie così che la tensione sugli accumulatori sia
minore della tensione di circuito aperto del modulo, in modo da ottenere un funzionamento in un punto di
lavoro appropriato. Questa configurazione, sebbene sia semplice ed economica, non insegue il punto di
massima potenza, in quanto la tensione ai capi del modulo fotovoltaico è stabilita dalle batterie. E’ quindi
opportuno introdurre anche un convertitore dc/dc tra gli accumulatori ed il modulo fotovoltaico, che regoli
la tensione dei pannelli in modo da erogare la massima potenza disponibile:

configurazione completa di un impianto stand-alone

Questo schema presenta quattro diverse modalità operative:


• mancata produzione fotovoltaica con scarica delle batterie: il convertitore dc/dc è inattivo, poiché il
modulo fotovoltaico non genera potenza (ad esempio di notte), e l’inverter attinge energia solo dagli
accumulatori. La tensione delle batterie è poco al di sotto del valore nominale;
• produzione fotovoltaica nel punto di massima potenza con parziale scarica delle batterie: il
convertitore dc/dc insegue il MPP (Maximum Power Point), ma l’energia erogata non è sufficiente
ad alimentare il carico. L’inverter è quindi costretto ad attingere energia anche dagli accumulatori, i
quali presentano una tensione poco al di sotto del valore nominale;
• produzione fotovoltaica nel punto di massima potenza con ricarica delle batterie: il convertitore
dc/dc insegue il MPP, e l’energia generata dall’impianto è più grande di quella assorbita dal carico.
Questo surplus energetico viene utilizzato per ricaricare le batterie, che ora presentano una tensione
poco al di sopra del valore nominale;
• produzione fotovoltaica parzializzata con ricarica delle batterie: l’energia generata dall’impianto è
maggiore di quella richiesta dal carico, che quindi viene in parte utilizzata per la ricarica degli
accumulatori. Questi ultimi, però, non possono assorbire delle correnti troppo grandi, e quindi, per
evitare danni, viene utilizzato un limitatore per contenere la corrente all’uscita del convertitore
dc/dc. Il limitatore aumenta la tensione di lavoro del sistema fotovoltaico oltre il punto di massima
potenza, in modo da ridurre la corrente erogata (figura successiva). La tensione ai capi delle batterie
è al di sopra del valore nominale (condizione di massima ricarica).

punto di lavoro della cella fotovoltaica in condizioni di produzione fotovoltaica parzializzata

Principali tipologie di inverter e connessione dei convertitori alla rete


elettrica

Gli inverter sono dei dispositivi che convertono la tensione da continua in alternata. Sono impiegati
nella connessione alla rete o all'utenza di impianti fotovoltaici ed eolici, e, grazie alla possibilità di
variare l'ampiezza e la frequenza del segnale sinusoidale in uscita, vengono adottati anche nel controllo
dei motori elettrici. Gli inverter che interfacciano i pannelli fotovoltaici alla rete elettrica devono
assicurare che vengano soddisfatte due condizioni fondamentali: i moduli fotovoltaici devono lavorare
nel punto di massima potenza e la corrente iniettata in rete deve essere sinusoidale. Verranno elencate
le diverse tipologie di convertitori utilizzati nell’ambito fotovoltaico, per le varie tipologie di sistemi in
circolazione, verranno indicati i requisiti fondamentali per la connessione dei convertitori alla rete di
energia e si presenteranno le varie configurazioni di inverter che consentono l’allacciamento del campo
fotovoltaico alla rete elettrica
Half Bridge e Full Bridge Inverter

L’inverter monofase Half-Bridge e Full-Bridge possono essere visti come l’equivalente in DC/DC Full
Bridge nel quale non siamo più interessati a monitorare, calcolare il valore medio della tensione in
uscita, ma siamo interessati ad ottenere una forma d’onda alternativa, in questo caso un’onda quadra, e
controllare che il suo valore medio sia nullo.

Half-Bridge
È costituito da 2 rami in parallelo col carico derivato al centro di essi. In particolare il primo ramo si
trova in parallelo al bus DC di tensione VS (stabilizzata da un grosso condensatore) ed è costituito dalla
serie di due capacità che sostituisce la coppia di interruttori con diodi in antiparallelo dell’equivalente
DC/DC Full-Bridge: si occupano di dividere la tensione di ingresso VS a metà ottenendo VS/2 su
entrambe se queste risultano essere perfettamente uguali. Il secondo ramo ha la classica struttura a
ramo di ponte, ed e quindi formato da due interruttori controllati e due diodi disposti in antiparallelo
rispetto a questi: consentono una richiusura alternativa di una corrente induttiva per il 99% dei carichi
dato che sono ohmico-induttivi, prevenendo così l’interruzione della corrente che generebbe picchi di
tensione, i quali porterebbero al danneggiamento degli interruttori e dell’intero convertitore.

Half-Bridge Inverter
Apro e chiudo la coppia dei miei interruttori, attraverso una logica di mutua esclusività tra gli
interruttori, tale da non mettere l’alimentazione in cortocircuito: chiudo l’interruttore superiore e apro
l’interruttore inferiore, in questo modo collego il potenziale positivo di Vout allo stesso potenziale del
polo positivo della batteria, tensione di ingresso Vdc ottenendo una tensione Vout=VS/2 ; viceversa se
collego il potenziale positivo di Vout al polo negativo della batteria otterrò una tensione VOut=-VS/2.
Per ottenere, quindi una forma d’onda perfettamente simmetrica, devo fare in modo che le capacità in
serie siano dello stesso valore, in modo tale da ottenere il valore medio della forma d’onda in uscita
nullo.

tensione di uscita dell'inverter Half-Bridge


Calcolo il valore efficace della tensione sul semiperiodo, perché se lo calcolassi sul periodo otterrei che
il valore efficace così come il valore medio della tensione in uscita sia uguale a 0.
𝑇0 ⁄2 𝑇
𝑉 2 0
𝑉 2
∫ ( 𝑆⁄2) ⅆ𝑡 + ∫ (− 𝑠 )
1 𝑡0 √ 0
𝑇0⁄ 2
2
𝑋𝑒𝑓𝑓 = √ ∫ √𝑥 2 (𝑡 ) ⅆ𝑡 ⇒ 𝑉0𝑒𝑓𝑓 = [ ] ⇒ 𝑉0𝑒𝑓𝑓
𝑇0 𝑡0 𝑇0

1 𝑉𝑆2 𝑇0 𝑉𝑆2 𝑇0 𝑉𝑆
=√  × + ×  ⇒ 𝑉0𝑒𝑓𝑓 =
𝑇0 4 2 4 2 2
Visto che ottengo un’onda quadra in uscita posso andare a studiare lo sviluppo in serie di Fourier, che è
uno strumento matematico che mi consente di vedere una forma d’onda qualsiasi nel tempo come la
sommatoria di infinite sinusoide a frequenza sempre crescente e ad una ampiezza sempre più piccola
all’aumentare dell’ordine armonico. Per calcolare la Trasformata di Fourier della forma d’onda in
uscita, sfrutto le sue simmetrie, eseguendo lo sviluppo in serie sul quarto dispari
𝑎 ∞
Equazione dello Sviluppo in serie 𝑉0 = 0 + ∑𝑛=0 𝑎𝑛 cos(𝑛𝑡 ) + 𝑏𝑛 sin⁡(𝑛𝑡) per la simmetria
2
sul quarto dispari otterrò che an=0, a0=0, bnpari=0 e bndispari≠0
La funzione cambia il suo valore alla metà del periodo che è T=π, quindi ogni π/2. Pertanto vado a
calcolare il valore di bn tra [-π/2, 0] e tra [0, π/2]

0 𝜋⁄ 𝜋
2 𝑉𝑆 2𝑉 𝑉𝑆
𝑏𝑛 =  ∫ − sin(𝑛𝜔𝑡 ) ⅆ𝜔𝑡 + ∫ 𝑆
sin(𝑛𝜔𝑡 ) ⅆ𝜔𝑡  ⇒ 𝑏𝑛 = 2  cos(𝑛𝜔𝑡)0−𝜋 − cos(𝑛𝜔𝑡 )0 
2
𝜋 2 2 2𝜋𝑛
−𝜋⁄2 0 2

4𝑉𝑆 4 𝑉𝑆 𝑉01
⇒ 𝑏𝑛 = Quindi la tensione di uscita 𝑉0 = ∑ sin⁡(⁡𝑛𝜔𝑡) per n=1 ho che 𝑉01 = =
2𝜋𝑛 𝑛=0 𝑛𝜋 2 √2
4 𝑉𝑆 1
= 0.45𝑉𝑆 . Se dai due rami di ponte derivassi un carico resistivo avrei che tensione e corrente
𝑛𝜋 2 √2
sarebbero in fase tra loro.
In realtà, la maggior parte dei carichi è ohmico-induttiva perciò la corrente risulterà sfasata di un
angolo in ritardo rispetto alla tensione che tende ad aumentare all’aumentare dell’ordine armonico.
Vado a definire la cosiddetta impedenza all’armonica come 𝑍𝑒𝑞 = 𝑅 + 𝑗𝜔𝐿; il rapporto tra le
armoniche di tensione e le armoniche di impedenza, mi dà una corrente corrispondente all’armonica
considerata per la tensione e l’impedenza. Analizzo il comportamento di tensione ed impedenza.
L’impedenza ha effetti:
• sul modulo→ man mano che aumento l’ordine armonico aumenta la reattanza dato che
considero pulsazioni sempre maggiori. In sostanza avrò un modulo dell’impedenza sempre
maggiore;
• effetto sulla fase→sulla 1° armonica avrò uno sfasamento in cui la parte attiva sarà
preponderante sulla parte reattiva o confrontabile. All’aumentare dell’ordine armonico la
resistenza rimane costante, ma la reattanza XL>>R e quindi alle armoniche superiori lo
sfasamento introdotto dall’impedenza renderà la tensione e la corrente sempre maggiormente in
quadratura.
Se considerassi una tensione che possiederebbe armoniche di ampiezza uguale, le armoniche di
corrente diminuiranno per il fatto che si verifica l’aumento del modulo dell’impedenza
all’aumentare dell’ordine armonico. Se al comportamento in sostanziale aumento del modulo
dell’impedenza aggiungessi un comportamento della tensione via via decrescente, la componente
della corrente alle alte frequenze sarebbe pressoché nullo. Questo perché per k∞ e Zk∞ un
carico ohmico-induttivo si comporta come un filtro passa-basso, dato che le armoniche di corrente
ad elevata frequenza vengono abbattute, e quindi la corrente sul carico tenderà in parte a pulirsi.

Vantaggi e svantaggi relativi alla struttura


• Riesco ad avere una sorta di convertitore a 4 quadranti con un solo ramo di ponte;
• le tensioni sulle due capacità in parallelo al BUS DC non avranno mai la stessa tensione
perché non troverò mai 2 capacità gemelle caratterizzate dalla stessa impedenza. Se metto in
serie due capacità non perfettamente uguali si possono venire a creare dei disallineamenti.
Se si scarica una capacità di più rispetto all’altra porto il nodo comune o più verso VDC o più
verso lo 0 ottenendo un’asimmetria. In questa maniera non ho più una forma d’onda
alternativa in uscita ma avrò una forma d’onda continua a valore medio diverso da 0.

Inverter monofase Full-bridge


Viene utilizzato per applicazioni a più alta potenza ed ha il pregio di garantirmi un miglior
sfruttamento della tensione in ingresso, che mi fa aumentare il range sulla tensione di uscita. Rispetto
all’inverter Half-bridge, questo convertitore presenta sul primo ramo anziché, la serie di 2 capacità, i
due interruttori controllati con due diodi di ricircolo della corrente in antiparallelo, ottenendo una
struttura analoga al convertitore DC/DC a 4 quadranti.

Full-Bridge Inverter
Grazie alla presenza di più interruttori aumentano le coppie di combinazioni (dato che questa volta ho
due rami disponibili) e tramite il loro controllo riuscirò ad avere diversi valori della tensione in uscita.
Si nota che le uniche combinazioni impossibili sono quelle che riguardano la chiusura di 2 interruttori:
S1-S3 e S2-S4 che chiuderebbero l’alimentazione in cortocircuito.
Si nota che, l’aggiunta di un ramo, aumenta il numero di combinazione e aggiunge un ulteriore livello
di tensione in uscita, quindi in questo modo riesco ad aggiungere, rispetto alla situazione precedente,
un ulteriore grado di libertà sulla tensione in uscita. Inoltre, rispetto alla situazione precedente, ho la
possibilità di avere sul carico un livello di tensione doppia rispetto alla situazione precedente.

tensione di uscita dell'inverter Full-Bridge

Tecniche di controllo utilizzate per l’implementazione di Inverter monofase Half/Full-Bridge


Per poter implementare sistemi di conversione ad inverter di questo tipo devo rispettare 2 esigenze
fondamentali:
• per ottenere una forma d’onda alternata regolabile in uscita devo avere il controllo della
frequenza e del valore massimo della tensione in uscita dall’inverter;
• devo cercare di ottenere in uscita una forma d’onda che si avvicini il più possibile
all’andamento di una sinusoide e ciò significa che cercare di ridurre il più possibile l’incidenza
in ampiezza di armoniche superiori, limitando il valore di inquinamento armonico della forma
d’onda.
Questi risultati possono essere ottenuti attraverso l’ausilio di specifiche tecniche di controllo per
questo tipo di inverter:
1. una prima tecnica presa in considerazione è stata quella della tecnica di modulazione PWM
onda quadra a singolo impulso, che partiva da un segnale a dente di sega che veniva confrontato
con un segnale di riferimento costante al cui variare sarebbe cambiato il duty cicle e dunque il
valore medio della tensione in uscita. Non riesco invece a controllare direttamente il valore
massimo dell’ampiezza della fondamentale, dato che il suo valore dipende dalla tensione in
ingresso che non è variabile, dato che sto parlando di sistemi a tensione impressa e in continua.
Posso soltanto variare la frequenza come parametro fondamentale, modificando la frequenza del
segnale di riferimento. La forma d’onda che mi viene fuori è una forma d’onda distorta con lo
spettro armonico meno ideale in assoluto per la nostra applicazione: ho una fondamentale che
dipende troppo dalla tensione di ingresso, che viene inquinata dalla presenza di armoniche di ordine
superiore di ampiezza troppo elevata e troppo vicino alla fondamentale. La proprietà passa-basso
dei carichi non taglia le armoniche a bassa frequenza, ma ad alta frequenza e quindi devo trovare
tecniche di modulazione in grado di avere una regolazione diretta della ampiezza massima della
tensione in uscita e una forma d’onda più pulita.
2. Si sviluppa quindi la tecnica di modulazione PWM a impulsi multipli, che permette aumentando
la frequenza del segnale a dente di sega, di migliorare la qualità del segnale in uscita
dall’inverter, approssimando maggiormente un andamento sinusoidale, riducendo il valore delle
armoniche superiori. Tale modulazione è però inapplicabile all’interconnessione con la rete
perché non avrei eliminato completamente l’inquinamento armonico e si dovrebbe investire
maggiormente nell’adozione di filtri costosi interposti tra l’inverter e la rete elettrica. Inoltre
l’aumento della frequenza di commutazione produce perdite di energia per la commutazione
degli interruttori, dispersa come calore e, visto che si è di fronte a dispositivi sensibile appunto
al calore è opportuno dotarli di dispositivi di dissipatori che creano problemi di volume relativi
agli ingombri.
3. Si sviluppa quindi la PWM sinusoidale, che come segnale di riferimento impiega un segnale
sinusoidale, non facile da realizzare, che tenderebbe ad approssimare meglio la forma d’onda
sinusoidale rispetto alle modulazioni precedenti dato che è stato diminuito l’inquinamento
armonico poiché si spostano le armoniche anche di ampiezza elevata verso le alte frequenze ed
annullo il loro effetto sfruttando la proprietà passa-basso dei carichi ohmico-induttivo.
Essendo difficile da realizzare, di solito vengono utilizzate delle tabelle di valor, anziché un vero e
proprio segnale sinusoidale, riducendo un po' la qualità, per la discretizzazione del segnale,
risparmiando soldi sull’implementazione di microcontrollori digitali altamente efficienti. Per
individuarne questi vantaggi significativi, si deve commutare ad una frequenza anche pari a 10 kHz,
quindi se da un lato la forma d’onda generata dall’inverter risulta meno inquinata dalle armoniche,
si deve tenere conto di un costo maggiore, dovuto ad un grande dissipatore. Ho ottenuto una
tensione e tramite la conoscenza dell’equivalente impedenza all’armonica, riesco a produrre una
corrente pressoché sinusoidale tale da essere iniettata nella rete elettrica pubblica, sempre dopo
essere stata ulteriormente filtrata tramite l’utilizzo di filtri LCL. L’unico problema riscontrabile è
rappresentato dalla presenza di perdite di commutazione perché è una tecnica di modulazione che
ha la sua efficacia se viene eseguita ad alta frequenza di commutazione. La PWM sinusoidale
riduce sostanzialmente la distorsione armonica del segnale in uscita, ma richiede l’impiego di
interruttori capaci di frequenze di commutazione elevate, con un conseguente aumento delle
perdite.
Per superare questi limiti sono stati sviluppati gli inverter multilivello, i quali riescono ad
incrementare i livelli della tensione di uscita e ridurre la distorsione armonica senza richiedere ai
singoli componenti prestazioni più elevate di quelle ammesse.

Convertitori multilivello
Gli inverter multilivello riescono a sintetizzare una tensione sinusoidale a partire da vari livelli di
tensione dc, tipicamente ottenuti da sorgenti capacitive, che formano gradini per approssimare la forma
d’onda desiderata. Al crescere del numero dei livelli si ottiene un incremento dell’accuratezza nella
riproduzione del segnale di riferimento, con una conseguente riduzione nella distorsione armonica.

segnale sinusoidale riprodotto tramite un convertitore multilivello.


È possibile individuare alcuni principali vantaggi degli inverter multilivello:
• La tensione e la potenza aumentano con l’aumentare del numero dei livelli;
• Gli interruttori devono sopportare stress, quali la caduta di tensione e frequenza di
commutazione inferiori rispetto agli inverter a due livelli di tensione;
• il contenuto armonico dei segnali di uscita è inferiore rispetto ai convertitori tradizionali, e le
esigenze di filtraggio, vengono ridotte;
• la minore distorsione prodotta può rendere superfluo l’utilizzo di tecniche di modulazione,
evitando gran parte delle perdite di commutazione.
Sono caratterizzati sicuramente da elevati costo relativo alla maggiore complessità tecnologica, ma
questo è compensato dal fatto che mi garantiscono rendimenti molto più elevati, quindi mi
garantiscono una potenza utile maggiore. Se nell’ambito domestico produco una potenza maggiore
rispetto a quello che consumo, riesco a trasferire questo surplus in termini di energia elettrica prodotta
sulla rete e il fornitore pagherà a seconda dell’energia messa in rete. Se a parità di impianto, utilizzo
questo convertitore, anziché un convertitore a due livelli, avrò un ritorno economico più veloce a parità
di potenza elettrica trasferita. Il principale svantaggio di questo tipo di convertitori è garantito dalla
complessità, in quanto, aumentando il numero di livelli, si ha un incremento degli interruttori da
gestire, e quindi una maggiore difficoltà nel controllo del dispositivo. Inoltre, per creare i gradini di
tensione, sono necessarie sorgenti dc isolate tra loro, condizione che non è sempre facile da ottenere.

Struttura del convertitore multilivello

Ho un bus di tensione in ingresso + 2


capacità in serie che mi parzializzano la
tensione in ingresso dividendola a metà su
entrambe le due capacità, ottenendo così
VS/2 e VS/2. In parallelo alle due capacità
serie vado a connettere un ramo di ponte
costituito da 4 interruttori che aumentano la
complessità strutturale del mio dispositivo e
4 diodi tra loro in antiparallelo che
garantiscono la richiusura della corrente che
fa sì che non si crei l’interruzione della
corrente di un eventuale carico ohmico-
induttivo. Posso effettuare le seguenti
combinazioni di apertura e chiusura di tutti
gli interruttori presenti:

• 1 1 0 0; 1 e 2 chiusi e Q3 e Q4 aperti, vuole dire che sto collegando il punto di derivazione del
carico al potenziale VS del bus di tensione. La corrente parte dall’alimentazione e si richiude
attraverso i diodi in serie;
• 0 1 1 0; chiudo gli interruttori centrali e apro tutti gli altri, sto collegando il morsetto di
derivazione del carico al punto di congiunzione tra le capacità, che ha il potenziale di VS/2: la
corrente che va dall’alimentazione al carico si richiude sul diodo D4 e va verso il carico
sfruttando appunto questo diodo e l’interruttore Q2. Una corrente negativa, che va dal carico
all’alimentazione passa per Q3, passa per il diodo e si richiude sulla capacità inferiore a tensione
VS/2;
• 0 0 1 1; chiudo Q3, Q4 e gli altri li lascio completamente aperti. Questo mi consente di portare il
punto di derivazione del carico a 0. Qualsiasi altra combinazione io vada a realizzare questa non
mi garantisce sempre la richiusura della corrente.

Connessione degli inverter alla rete

Dato che l’inverter è connesso alla rete, è necessario che rispetto agli standard imposti dal gestore della
rete elettrica, che riguardano problemi di qualità della potenza, rilevamento dell’operazione in isola
(cioè quando l’inverter è stato scollegato dalla rete e lavora solo un carico locale), messa a terra ecc…
Queste regole sono contenute nello standard internazionale IEC61727. Definito dalla Internatiol
Electotechnical Commision, e i più importanti contenuti sono riassunti nella seguente tabella:

principali regole contenute nello standard IEC61727


Si può notare come le condizioni siano abbastanza stringenti soprattutto per quanto riguarda le
armoniche di corrente e la componente continua della corrente di uscita, che deve essere limitata per
evitare la saturazione dei trasformatori di distribuzione.

Inverter per fotovoltaico


1. Per allacciare un campo fotovoltaico alla rete esistono 4 diversi tipi di configurazioni possibili:
Inverter centralizzati Questa configurazione è generalmente impiegata per potenze >10 kW ed è
caratterizzata da un basso costo “specifico” rapportato alla potenza processabile. In tale topologia è
utilizzato un unico convertitore collegato al generatore PV costituito da un certo numero di stringhe
connesse in parallelo per ottenere la potenza richiesta. Ciascuna stringa è formata da un certo numero
di moduli PV connessi in serie per raggiungere una tensione di stringa generalmente variabile dai 200
ai 600 V, le stringhe sono quindi collegate attraverso un diodo ad un bus principale facente capo
all'inverter. Questo tipo di realizzazione presenta alcune limitazioni quali:
- Abbassamento del rendimento del generatore fotovoltaico dovuto all'MPPT centralizzato (interno
all'inverter) che non estrae la massima potenza da ogni stringa ma agisce per estrarre la massima
potenza dal bus centrale, facendo ciò non è in grado di adattarsi alle inevitabili disomogeneità ed alle
eventuali parziali ombreggiature delle varie stringhe.
- La presenza di un unico convertitore di elevata potenza può tal volta limitare l'affidabilità
dell'impianto, infatti nell'eventualità di un guasto al convertitore tutto l'impianto fotovoltaico è reso
inutilizzabile, quindi, soprattutto per impianti di alta potenza la mancata produzione può arrecare anche
un ingente danno economico. Per ovviare ai precedenti inconvenienti, grazie anche allo sviluppo
tecnologico con conseguente abbassamento dei costi, vi è ora la tendenza ad utilizzare le
configurazioni ad “Inverter di Stringa” o ad “Inverter Integrato”, che forniscono una maggiore
modularità e versatilità al sistema.

Central Inverter.
2. Inverter di stringauna Questa tipologia è simile a quella ad inverter centrale, il generatore è suddiviso
in un
parallelo di stringhe, ciascuna delle quali assegnata ad un proprio inverter dedicato
(“String Inverter”). In questi impianti ciascun inverter implementa l'MPPT su ogni singola stringa, per
cui la resa energetica dei generatori PV è massimizzata in quanto anche nell'eventualità di
ombreggiature parziali di alcuni pannelli, l'inverter si adatta alle variate caratteristiche della stringa
riuscendo ad estrarre comunque la massima potenza aumentando quindi il rendimento totale. Inoltre,
grazie alla presenza di più inverter indipendenti, è incrementata anche l'affidabilità generale del
sistema, infatti un eventuale guasto di un singolo inverter pregiudica la produzione energetica di una
sola stringa, mantenendo invariata quella di tutte le altre. Un'ulteriore evoluzione di questa struttura
sempre più spesso adottata negli impianti di media potenza (1-40 kW) è l'inverter multistringa
“Multistring Inverter”
String Inverter.
Inverter multi-stringa più stringhe sono collegate attraverso il proprio convertitore dc/dc ad un
inverter centralizzato. Ogni stringa viene quindi controllata indipendentemente dalle altre, e,
dimensionando opportunamente il convertitore dc/dc è possibile variare il numero di moduli che
formano le stringhe;

Inverter Multistringa
Configurazione ad inverter integrato  Nella configurazione ad inverter integrato, utilizzata
comunemente per basse potenze (max. 500-700 W), si predilige l'adattamento energetico di ogni
modulo. In tale sistema un piccolo inverter è montato nel retro o nelle vicinanze di ogni singolo
modulo, esso provvede direttamente alla connessione del modulo alla rete elettrica. L'impiego di questa
configurazione (grazie all'MPPT implementato da ogni inverter connesso ad un singolo pannello)
elimina completamente i problemi di disadattamento dei moduli che rimane invece in minima parte
sempre presente nelle precedenti due configurazioni essendo le stringhe generalmente composte da più
pannelli (moduli).
Module Integrated Inverter

Sono state descritte le funzioni generali di ogni singolo blocco senza entrare nel merito di eventuali
strutture circuitali di realizzazione. Sebbene negli ultimi anni la struttura del convertitore di potenza
per applicazioni PV è andata via via uniformandosi indirizzandosi verso alcune specifiche strutture, di
seguito verranno illustrate le più diffuse strutture utilizzate anche in passato.

Categorie di convertitori
Dal diagramma di figura si notano essenzialmente due grandi categorie distinte dalla presenza del
convertitore DC/DC. Il motivo della presenza o l'assenza del convertitore DC/DC è prima di tutto
legata alla configurazione della stringa fotovoltaica, ad esempio avere molti pannelli in serie (elevata
tensione di stringa) e tensione di rete bassa (120V come negli USA o in Giappone) rende possibile
l'omissione del convertitore innalzatore di tensione, facendo ciò può quindi essere utilizzato un
convertitore DC/AC a singolo stadio ottenendo un significativo aumento dell'efficienza. Utilizzare una
stringa composta da molti pannelli PV connessi in serie comporta però una difficoltà nel raggiungere il
massimo MPPT che molto spesso, specialmente negli impianti di piccola potenza, dà luogo ad una
perdita di energia maggiore di quella che si recupera omettendo il convertitore DC/DC. Il problema
dell'isolamento galvanico è generalmente creato dalle normative di sicurezza elettrica in vigore nel
paese in cui l'impianto dovrà andare ad operare, attualmente l'isolamento è richiesto solo negli Stati
Uniti. Di seguito verranno descritte con l'ausilio di schemi elettrici le principali configurazioni facenti
capo alle categorie classificate nel diagramma di figura:

Inverter con convertitore DC/DC e isolamento

Inverter PV con convertitore DC/DC e trasformatore di isolamento


a) Con trasformatore a bassa frequenza LF. b) Con Trasformatore alta frequenza HF

L'isolamento è tipicamente implementato per mezzo di un trasformatore che può essere inserito dal lato
della rete elettrica “low frequency” (LF) sul lato in alta frequenza (HF) solitamente facente parte del
convertitore DC/DC. La soluzione ad alta frequenza è la più utilizzata, dà luogo ad un trasformatore
più
compatto di minor peso e ingombro, la cui realizzazione richiede però, visto l'alta frequenza in gioco,
maggior attenzione per riuscire a ridurre efficacemente le perdite. Le configurazioni più usate per
l'utilizzo del trasformatore HF sono: Full-Bridge isolated converter, single inductor push-pull converter
(SIC), dubble inductor converter (DCI), raffigurate nelle seguenti figure (a, b, c). Altre tipologie, ad
esempio Flyback (figura d), sono raramente utilizzate se non in particolari applicazioni di bassa
potenza; per questo motivo queste configurazioni minori non sono qui trattate.
Topologie di convertitore DC/DC con isolamento [1]. a) Full-Bridge; b) Singleinductor
push-pull; c) Duble-inductor push-pull. d) convertitore Flyback

Al fine di rendere il trasformatore più compatto possibile il range delle frequenze di commutazione,
utilizzate per impianti di media potenza, va dai 20 ai 200kHz. Il limite inferiore è scelto in modo tale
che eventuali vibrazioni meccaniche degli avvolgimenti soggetti al campo magnetico prodotto dalla
frequenza di commutazione non siano udibili dall’orecchio umano, il limite superiore di frequenza è
imposto nel tentativo di contenere le perdite energetiche interne del trasformatore e quelle dovute alle
commutazioni degli interruttori. Con l'evoluzione tecnologica dei semiconduttori di potenza e delle
ferriti utilizzate nei nuclei magnetici, nel tentativo di ricercare soluzioni sempre più compatte ed
efficienti, tale limite superiore di frequenza è comunque destinato ad aumentare. Il convertitore full
bridge (ponte intero figura a) è solitamente utilizzato per livelli di potenza maggiori di 700W e in
presenza di tensioni di ingresso relativamente elevate, tali da rendere trascurabili le cadute di tensione
dovute ai due interruttori che risultano in serie al trasformatore ad ogni istante di conduzione.
I principali vantaggi di questa tipologia sono:
- Magnetizzazione del nucleo magnetico con flusso bipolare con conseguente
buona utilizzazione dello stesso;
- Buone prestazioni durante il funzionamento a controllo di corrente, che
permette inoltre la riduzione della magnetizzazione residua dovuta ad
eventuali componenti di corrente continua.
Lo svantaggio principale di tale tipologia confrontata con la tipologia push-pull è la necessità di un
maggior numero di interruttori che, oltre a dar luogo ad un sensibile aumento delle perdite, rende anche
più complicata la struttura della circuiteria di comando, infatti i due interruttori superiori necessitano di
un comando flottante. Nel convertitore Push-Pull a singolo induttore (SIC) il trasformatore e
l'induttanza di Boost contribuiscono entrambi alla funzione di innalzamento di tensione riducendo di
fatto le perdite interne al trasformatore mantenendone un’ottima utilizzazione (magnetizzazione
bipolare) del nucleo. Ad una maggior efficienza del sistema è associata una corrente di ingresso
sensibilmente minore, tale corrente, nel percorso di richiusura attraversa la caduta di tensione di un
singolo interruttore (riduzione delle potenze dissipata in conduzione), rendendo quindi la
configurazione idonea al funzionamento con basse tensioni di ingresso (es. 48V delle celle a
combustibile). I due principali svantaggi che obbligano la scelta di componenti con specifiche
maggiori sono: la necessità degli interruttori di sopportare elevate tensioni di ingresso e la presenza di
una presa centrale nel trasformatore che ne rende più complicata l'ottimizzazione e la realizzazione. Per
ovviare agli inconvenienti delle precedenti due tipologie si può utilizzare il convertitore a doppio
induttore (DCI) (fig-c) dove l'induttore di Boost della configurazione precedente è stato diviso in due
induttori. Questa tipologia è assimilabile a due convertitori Boost interconnessi, ciò riduce il ripple
della corrente di ingresso; la costruzione del trasformatore è semplificata non richiedendo la presenza
della presa centrale e l'unico inconveniente rimane quello di dover inserire due induttori.

Inverter con convertitore DC/DC senza isolamento


Nei paesi, ad esempio Italia-Europa, in cui non è necessario garantire l'isolamento galvanico tra
pannelli fotovoltaici e rete elettrica pubblica, il convertitore DC/DC può essere ridotto ad un semplice
convertitore Boost (figura a). Questo convertitore è composto da un basso numero di componenti ed
offre quindi una soluzione economica e di elevato rendimento che è quasi sempre utilizzata negli
impianti multistringa, in quanto ciascun convertitore deve processare una potenza modesta. Inoltre,
grazie alla presenza del diodo e al particolare principio di funzionamento, la connessione in parallelo di
più convertitori boost ad un bus centrale (denominato DC link) può essere effettuata senza
complicazioni del sistema di controllo tralasciando addirittura la misura del valore della tensione del
bus (Vlink).
Inverter PV con convertitore DC/DC senza isolamento a) struttura generale; b) esempio
comune con convertitore Boost e full-bridge inverter

Inverter senza convertitore DC/DC con isolamento

Inverter PV senza convertitore DC/DC e con isolamento. a) Schema generale; b)esempio


pratico di inverter con trasformatore di isolamento
Per poter ottenere l’isolamento galvanico in questa tipologia è necessario utilizzare un trasformatore a
frequenza di rete (50Hz in l’Italia), spesso il rapporto spire del trasformatore può essere diverso da 1:1,
in tal modo si ottiene un ulteriore grado di libertà nella possibilità di adattamento della stringa
fotovoltaica alla rete. Uno degli svantaggi più rilevanti dei sistemi senza convertitore DC/DC con
isolamento è proprio l’utilizzazione di un trasformatore LF, a tale frequenza, anche per il trasferimento
di potenze relativamente piccole, il trasformatore risulta di grandi dimensioni, elevato peso e
ingombro. Attualmente questa struttura, dato l’elevato ingombro e la difficoltà ad effettuare un
accurato MPPT, è scarsamente utilizzata.

Inverter senza convertitore DC/DC e isolamento

Quest’ultima è la struttura più semplice realizzabile per la trasformazione dell’energia elettrica DC


prodotto dal generatore fotovoltaico in energia elettrica alternata tale da poter essere immessa in rete.
Per la realizzazione di questa struttura è comunemente utilizzato un’inverter a ponte intero controllato
in modalità PWM, con tale modalità di modulazione è possibile ridurre notevolmente il contenuto
armonico della corrente immessa in rete. Come nella struttura precedente l’MPPT è effettuato
controllando il valore efficace della corrente immessa in rete. Per ridurre le oscillazioni della corrente
assorbita dalla stringa fotovoltaica, questa tipologia necessita di un condensatore di disaccoppiamento
di valore elevato. La tipologia in esame, non essendo fornita di dispositivi in grado di aumentare la
tensione continua presente in ingresso, può essere utilizzata solo quando un numero elevato di pannelli
sono connessi in serie, in modo tale che la tensione di stringa risulti sufficientemente maggiore della
tensione di picco della rete in cui si desidera immettere energia.

inverter senza DC/DC converter e isolamento. a)schema di principio; b) configurazione


tipica; c) Cascaded Inverter

Un’interessante variante è riportata in figura c, essa si può implementare effettuando due


raggruppamenti, tra loro bilanciati, di stringhe. Questo particolare convertitore figura c’è un inverter a
cinque differenti livelli di tensione di uscita, sfruttando questi cinque gradini si può abbassare la
frequenza di commutazione degli interruttori (riduzione delle perdite in commutazione) riuscendo lo
stesso a mantenere una forma d’onda d’uscita con un ridotto contenuto armonico.

Conclusioni
Nel ventunesimo secolo la prerogativa dell’uomo è cercare di sfruttare al massimo un processo
produttivo, ad esempio uno di natura industriale, garantendo impatto ambientale 0 attraverso
l’ottimizzazione dei processi produttivi, la riduzione delle emissioni, l’aumento dell’efficienza a
discrezione del caso applicativo. Questo crescente bisogno di non intaccare l’ambiente già distrutto
dall’uomo stesso, sta portando al massimo sviluppo di questi impianti che nel decennio futuro
cercheranno di sostituire insieme agli impianti eolici l’uso di sistemi di alimentazione basati su fonti
non rinnovabili come petrolio e carbone.
Fonti
1. Wikipedia
2. Conoscenze personali
3. “Inverter e connessione alla rete elettrica” di Francesco Groppi Comitato elettrotecnico
italiano
4. “Analisi ed ottimizzazione di un convertitore multilivello per sistemi fotovoltaici
multistringa connessi alla rete” di Alberto Spazzoli
5. “Controllo di un inverter fotovoltaico monofase in presenza di un filtro LCL” di Stefano
Mazzocchetti
6. “Sistemi di Conversione statica per fonti di energia rinnovabile” del prof. Simone
Castellan
7. ANALISI E SVILUPPO DI UNA TECNICA DI CONTROLLO MPPT PER CONVERTITORI
BOOST BASATA SU INTERPOLAZIONE LINEARE DI VALERIO MICHELAN

8. ANALISI E SIMULAZIONI DI UN IMPIANTO FOTOVOLTAICO DOMESTICO DI


BONZETTI FRANCESCO

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