Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
DIFFERENZA
Non si può parlare di traduzione se tra due azioni segniche non esiste una differenza
di un certo tipo. Chiaramente la differenza non si limita a quella linguistica.
MEDIAZIONE
Se il testo fonte non riesce a circolare nell’ambiente di destinazione allora lo farà il
testo tradotto. Una traduzione rappresenta l’originale, quindi la semiosi traduttiva
corrisponde a un’opera di mediazione.
FEDELTÀ ED EQUIVALENZA
Piuttosto che di somiglianza, nei translation studies si parla di equivalenza. Essa non
è una caratteristica dei testi tradotti e nemmeno un presupposto della semiosi
traduttiva, quanto piuttosto un suo prodotto, il risultato delle inferenze che i traduttori
fanno mentre sono al lavoro. Gran parte di loro hanno un’idea statica di equivalenza:
A=B. Chiaramente è logico che ci sarà sempre una traduzione B ottimale rispetto ad
altre; il compito del traduttore consiste nello scegliere il miglior B fra quelli che
riesce a immaginare e nel dichiararlo equivalente ad A.
Il concetto di fedeltà, invece, è cambiato nel corso del tempo a seconda del contesto
culturale entro cui si è visto collocato. Esso è un concetto variabile.
Proprio riguardo al problema della fedeltà, possiamo prendere in analisi le traduzioni
della Bibbia.
La prima traduzione greca della Bibbia, detta “Settanta”, cominciata nel III secolo è
nata dalla necessità di quegli ebrei emigrati che nel giro di poche generazioni hanno
perso la lingua d’origine. Gli ebrei sono numerosi nelle grandi città dell’epoca,
particolarmente ad Alessandria d’Egitto dove si sviluppa il progetto di trad. greca.
Secondo Filone d’Alessandria, la traduzione sei Settanta viene ispirata direttamente
dalla divinità, infatti alla fine del progetto, benchè ciascun traduttore avesse lavorato
isolatamente dagli altri, le 72 traduzioni risultarono identiche. Si tratta di un concetto
di fedeltà che rimanda all’autorità divina.
L’altra grande impresa di traduzione della Bibbia rimanda a un’idea di fedeltà
diversa. Si tratta della traduzione di San Gerolamo (IVsec.) che prende il nome di
Vulgata. Gerolamo andò incontro a numerose critiche in quanto non mantenne intatta
l’oscurità propria delle Sacre Scritture, e si difese richiamando Cicerone e Orazio a
favore di una traduzione a senso più che letterale. Gerolamo dunque adottò un’idea di
fedeltà ben diversa appellandosi a una sorta di riscrittura dell’originale.
La versione tedesca con Lutero è presente invece la volontà di rendere la Sacra
Scrittura comprensibile a tutti. Questo desiderio di chiarezza diventa però in Lutero
una tendenza alla germanizzazione del testo sacro. In questo caso parliamo di fedeltà
ermeneutica perché parte da una interpretazione dell’originale come base della
semiosi traduttiva e guarda a un’intenzione comunicativa che si potrà cogliere
nell’ambiente di destinazione.
IL SEICENTO
Nel ‘600 cambia il discorso sulla fedeltà in quanto è l’epoca in cui si distinguono i
conservatori dai modernisti. I sostenitori degli antichi intendevano la creazione
letteraria come imitazione dei classici, mentre i modernisti affermavano che gli autori
dovessero essere superati e rinnovati. Il tipo di traduzione prevalente è quella che si
adatta ai criteri stilistici dell’epoca in quanto si voleva cercare di ottenere lo stesso
effetto che l’autore aveva in mente e adattarlo secondo il gusto del tempo corrente.
Ciò costituì in Francia un’idea di fedeltà più libera e lo stesso anche in Inghilterra con
Dryden : egli si dichiara per la parafrasi.
L’EPOCA CONTEMPORANEA
Sempre nell’ambito del discorso sulla fedeltà, Nida ha sostituito il concetto di fedeltà
a quello di equivalenza dinamica grazie alla quale il testo tradotto dovrebbe produrre
nel lettore una risposta simile alla risposta del ricevente originale. Ciò significa che è
il traduttore a scegliere quale sia l’effetto che il testo originale produceva sui suoi
lettori di partenza. L’innovazione dei translation studies contemporanei è un
rovesciamento di prospettiva, in quanto prima era normale guardare solo all’originale
mentre ora è importante anche guardare avanti. In questo periodo in Germania, (anni
70-80) si sviluppò la Skopostheory ad opera di Vermeer. L’assunto fondamentale di
questa teoria è che il testo tradotto e la strategia adottata per realizzarlo sono
determinati dalla funzione che ha la traduzione in quel testo. Il criterio per valutare
una traduzione non è più l’equivalenza ma il grado di adeguatezza che essa mostra in
relazione al suo obiettivo funzionale.
Si è insistito sul fatto che un testo tradotto ha un suo proprio valore testuale che non
ne fa un semplice prodotto derivato ma lo costituisce come qualcosa di autonomo
perlomeno nella cultura di arrivo. Per questo, secondo anche la teoria dei polisistemi,
si permette alla cultura d’arrivo di ristrutturarsi o addirittura di costituirsi secondo
canoni estranei alla propria traduzione. A Roma la traduzione è un mezzo
fondamentale per creare la cultura latina così come la conosciamo. Il punto
fondamentale è che attraverso questi testi tradotti si tenta di creare una tradizione.
Questo spiega anche l’atteggiamento nei confronti del testo di partenza che viene
trasformato senza pensare alla fedeltà.
UMANESIMO
L’Umanesimo porta un cambiamento di prospettiva nei confronti della traduzione.
Per Bruni la traduzione è fondamentale, ermeneutica
All’origine del dibattito italiano sta proprio una presa di posizione nei confronti della
traduzione. Riferendoci al testo di Madame de Staël, riprendiamo le sue
considerazioni “dovrebbero a mio avviso gli italiani tradurre poesie inglese e
tedesche, mostrare novità. Per conoscerle non per diventare imitatori.” In questo
senso la traduzione è vista come un modo per rigenerare la cultura