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IL PARADOSSO NELLA FOLLIA DI DON CHISCIOTTE

La follia libresca di Don Chisciotte è occasione per una critica alla letteratura
cavalleresca, ai valori che diffonde, alla società che quei valori consuma:
paradossalmente, è il folle Don Chisciotte l'unico personaggio a possedere solidi
principi e, in definitiva, una grande, originale personalità.

Alla base dello squilibrio mentale di Don Chisciotte c'è una maniacale passione
per i libri di cavalleria. Ai tempi di Cervantes il genere cavalleresco era molto
apprezzato dal pubblico di lettori dell'intera Europa, e in particolare in Spagna. Al
ciclo bretone e a quello carolingio si affiancarono opere nuove, che proponevano
genealogie sempre più complesse e trame sempre più audaci. Al pari della tv dei
nostri giorni, i romanzi cavallereschi omologavano la vita e la mentalità di tutti gli
strati sociali spagnoli dell'epoca. La cavalleria errante, così com'era vagheggiata e
praticata da Don Chisciotte non esisteva, ovviamente, nella Spagna d'allora;
continuavano però la loro attività alcuni ordini cavallereschi che intendevano
mantenere lo spirito guerresco e "civilizzatore" che aveva animato i Crociati secoli
addietro. Più in generale l'intera società del tempo, e i suoi settori militari in
particolar modo, consideravano della massima importanza la fedeltà al
cerimoniale e il rispetto delle gerarchie.

Cervantes, durante il suo soggiorno in Italia, ebbe modo di conoscere le opere del
Pulci, del Boiardo e dell'Ariosto, e in particolare da quest'ultimo ereditò l'uso
dell'ironia e della saggezza nel raccontare e un'attenzione per i caratteri umani e
per la dimensione sociale.

Secondo Cervantes la letteratura cavalleresca influiva negativamente sulla


società spagnola, in quanto veicola e consacra i modi pomposi e vacui del
cerimoniale cavalleresco, l'arroganza smargiassa, una certa ridicola e artificiosa
spocchia e quel sentimentalismo sdolcinato e verboso che snatura le passioni
vere.

LA DENUNCIA: Cervantes effettua perciò una sottile denuncia dei riflessi nefasti
che quella letteratura ha, oltre che sulla debole mente del protagonista, sull'intera
società spagnola del XVII secolo.

Nel XXX capitolo i duchi che ospitano i due protagonisti, i quali teoricamente
dovrebbero essere i naturali portatori degli ideali cavallereschi, con le loro burle
rivelano la loro reale volgarità e stupidità, e una scadente umanità.

L’IRONIA: Cervantes mette in atto un rovesciamento ironico delle fittizie imprese


di amore e di guerra dei romanzi cavallereschi, sostituendo all'eroe tradizionale
un rinsecchito e stralunato hidalgo della Mancia.

IL PARADOSSO: Don Chisciotte dimostra di essere in possesso di valori reali e, in


definitiva, di una grande, originale personalità: pur recependo come autentiche le
favole cavalleresche, pur conformandosi con demente puntiglio ai dettami
libreschi, sembra il solo a potersi salvare dalla menzogna interiore che
contraddistingue la vita fatua e mediocre della maggioranza degli uomini. La fuga
dalla realtà amara, solitaria, dolente della sua esistenza non allontana Don
Chisciotte dalla verità umana, da una genuina, sincera disponibilità emotiva, da
posizioni "filosofiche" sempre all'insegna dell'altruismo, dell'impegno verso i più
deboli; nel suo inetto impegno cavalleresco, al contrario, la personalità di Don
Chisciotte si raffina, si nobilita, diviene intimamente ancor più pura. E, anzi, la
poesia del personaggio risiede proprio nel suo goffo, inalterato candore, nella sua
eroica e inalterata innocenza: la follia lo preserva dal male, lo rende immune da
grossolane pulsioni, lo salva dall'avvilente, ipocrita compromesso con una realtà
miserevole e brutale, umanamente deficitaria.

Ha affermato Francisco de Quevedo, un grande scrittore spagnolo del Seicento:


"ci sono molte cose che sembrano esistere e avere un essere proprio e, invece,
non sono altro che un nome e una parvenza". Una delle opere più rappresentate
di questo autore è Sogni (1627), e ad essa potremmo affiancare, anche se di poco
posteriore, il capolavoro del teatro spagnolo dell'epoca, La vita è sogno (1635), di
Calderòn de la Barca. Il Secolo d'oro della letteratura spagnola ritorna spesso sul
tema degli incerti confini che separano la realtà dall'illusione, il sogno dalla veglia,
l'immaginazione e la fantasia dalla vera e propria pazzia.

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