Sei sulla pagina 1di 12

Introduzione al “Discorso sul metodo” (1637) - Tullio Gregory

1. Gli studi di René Descartes


Nasce il 31 marzo 1596 a La Haye (in Turenna, l’Aia) da una famiglia di alti funzionari e magistrati.

Prima formazione al collegio dei gesuiti di La Fleche, dove studiò per 9 anni (dal 1607 al 1615).
Dei suoi studi parla nel Discorso sul metodo, nella parte 1.

Studiare a La Fleche prevedeva che si studiassero studi grammaticali e retorici con la lettura di
prosatori e poeti latini nei primi sei anni; negli ultimi tre ci si dedicava allo studio della filosofia,
orientata verso la logica, la fisica, la matematica, la morale e la metafisica. La filosofia insegnata
dai gesuiti era comunque sempre incentrata sulla teologia ed era insegnata da teologi. Quindi era
oggetto di studio la filosofia aristotelico-tomista (fondata sullo studio di Aristotele e di alcuni
manuali). Nel Discorso ricorda i suoi anni scolastici con amore per la poesia e il piacere della
matematica. Si interessava alla matematica “per via dell’evidenza e della certezza delle sue
ragioni: ma non ne afferravo ancora le vere funzioni”. Rispetto alla filosofia invece si sentiva
insoddisfatto perché non ci trovava alcuna certezza.

Uscito dal collegio, diventa dottore in diritto canonico e civile nel 1616 a Poitiers. Nel 1618 si
arruola nell’esercito del principe Manuzio di Nassau.

2. Descartes e Beeckman
Nel 1618 inizia un lungo periodo di viaggi per Cartesio. C’è anche un incontro importante, quello
con Isaac Beeckman. Egli aveva studiato a Leida e poi in Francia, a Caen. Beeckman ha lasciato
un Diario, in cui parla anche dell’incontro con Cartesio, assieme alle proprie osservazioni, ipotesi,
letture e discussioni. Egli emerge come uno scienziato in aperta polemica con la fisica scolastica
e sostenitore di una fisica corpuscolare che ammetteva anche il vuoto (che invece era
inammissibile per Aristotele). Nel 1613 Beeckman formulava il principio della conservazione del
movimento, dicendo che ogni cosa in movimento non si ferma se non per un impedimento
esterno.

Cartesio e Beeckman si incontrano a Breda nel 1618.

Incrociando il “Diario” di Beeckman con le “Cogitationes privatae” di Cartesio (diario pervenuto da


Leibniz) possiamo delineare gli interessi di Cartesio:

• fine 1618 - inizio 1619: Cartesio studia il problema della caduta dei gravi, pressione dei liquidi

• 31 dicembre 1618: Cartesio conclude il suo “Compendio di musica”. Alla fine di questo scritto
troviamo il contrasto che si era creato tra il Cartesio soldato e la sua vita interiore. Emerge qui
l’idea di Cartesio come filosofo mascherato: “su questa scena mondana, di cui fin qui fui
spettatore, mi avanzo mascherato (larvatus prodeo)”.

3. Una scienza meravigliosa


Nell’aprile 1619 lascia l’Olanda e va in Danimarca, Ungheria, fino a Francoforte, dove assiste
all’incoronazione dell’imperatore Ferdinando, re di Boemia e Ungheria. Aveva abbandonato
l’esercito di Maurizio di Nassau per arrularsi in quello cattolico di Massimiliano di Baviera.

Nella seconda parte del discorso, parla proprio di questo periodo (“Mi trovavo in germania…”, per
precisione, nel ducato di Neuberg): rimase bloccato dalla neve in un quartiere e rimase per
svariato tempo in una stanza, dove poteva pensare e restare immerso nei suoi pensieri. In questa
occasione fa un sogno, legato alla visione dell’unità delle scienze e all’approfondimento dei
fondamenti di una “scienza meravigliosa”.

È difficile stabilire in senso esatto di “scientia mirabilis” e di “inventum mirabile” (mirabile


ritrovato). Nel Discorso, Cartesio parla di quegli anni come gli anni in cui decise di liberarsi dalla
“scienza dei libri” e dalla cultura ricevuta a scuola per seguire da sola la propria luce della ragione
applicando alcune regole per “condurre per ordine” i propri pensieri; il significato di “scientia
mirabilis” però va cercato nei frammenti del 1619-1620, periodo in cui Cartesio di occupava sia di
fisica e di matematica, ma anche di altre questioni, proprio perché voleva costurire una scienza
unitaria e completa.

Il suo programma di lavoro è quello quindi di disegnare una “scientia penitus nova”, una scienza
completamente nuova, “che permetta di risolvere in generale tutti i problemi che possono
proporsi in qualsiasi quantità, sia continua che discontinua”.

Una scienza nuova quindi, con regole che permettono di cogliere la concatenazione di tutte le
scienze (catena scientiarum).

Nello stesso periodo, si occupava anche di quelle “scienze curiose e rare”, secondo gli interessi
del tempo per l’ottica e della meccanica.

1 di 12
Penserà di scrivere, più tardi, un libro dedicato ad illusioni ottiche e costruzione di macchine con
possibilità autonome di movimenti, gli automi appunto.

Appare evidente una ricerca sin dall’inzio di Cartesio verso una nuova enciclopedia in cui tutte le
scienze erano connesse tra di loro, come la serie di numeri (catenam scientiarum). Le scienze
sono tutte concatenate.

Quindi possiamo dire che la scientia mirabile di cui parla Cartesio comprende le scienze curiose,
l’enciclopedia, l’arte della memoria, le ricerche di ottica e prospettiva e il lavoro di rinnovamento e
unificazione della scienza matematica. Il suo entusiasmo era scaturito dall’idea di una scienza
interamente nuova: non solo costruire su basi nuove tutta la geometria, ma tutto il sapere
secondo catene di ragioni con un metodo che avesse però lo stesso valore dimostrativo e la
stessa evidenza della geometria.

Cartesio sembra aver interpretato il suo sogno come di origine celeste e quindi in qualche modo
si sente affidato questo incarico di unificazione.

4. Descartes a Parigi: Marin Mersenne


Negli anni successivi prosegue nei suoi viaggi, per nove anni. Rientra in francia nel 1622 e nel
1623 si incontra a Parigi con Marin Mersenne, che rimane per lui l’amico più sicuro.

Nel 1623 va in italia e poi dal 1625 al 1628 a Parigi. 



Ha iniziato a scrivere alcune opere:

• “Algebra” (1628 sembra essere finita)

• “Studium bonae mentis”

• “Regulae ad directionem ingenii” (1627-1628)

A Parigi discute presso il Nunzio Gia Francesco Guidi di Bagno alla presenza del cardinale Pierre
de Bérulle, fondatore della Congregazione dell’Oratorio e di illustri uomini di scienza, tra i quali
anche Marsenne. Cartesio, davanti ai discorsi di Chandoux, che era un medico e fisico
aristotelico, ne mostrò le lacune ed espose i risultati della propria ricerca, ai quali era arrivato
attraverso il metodo e con la sua arte di ben ragionare.

Cartesio fu poi sollecitato da Bérulle, che era rimasto entusiata, a pubblicare la sua filosofia.
Questo avvenimento importante è collocato da alcuni alla fine del 1628, da altri alla fine del 1627.
Sono proprio gli anni in cui Cartesio stava scrivendo le “Regulae”, l’opera più importante per
comprendere l’espistemologia cartesiana.

Il soggiorno parigino è anche importante per la rete di contatti e connessioni che si andò a creare.

5. Le “Regulae ad directionem ingenii”


Con questo testo Cartesio tenta di creare una teoria della conoscenza in rapporto al concetto di
scienza e di metodo. È un’opera incompiuta in cui possono essere individuati vari nuclei tematici,
non sempre organicamente coerenti tra loro (utilizza infatti appunti e vari).

Il problema centrale è la definizione di scienza “penitus nova”, sulla quale meditava da anni. Si
tratta di prendere tutte le scienze e riportarle a tutto quello che ne costituisce il fondamento
unitario nel soggetto conoscente, ovvero la ragione. Tutte le scienze sono connesse tra loro e per
cogliere la verità delle cose si deve “aumentare il lume naturale della ragione”.

La scienza è “conoscenza certa ed evidente”; si devono quindi prima di tutto rifiutare le cognizioni
che sono probabili e occuparsi solo di quegli oggetti di cui si può avere una certezza dimostrabile
e geometrica.

I due atti dell’intelletto: intuito e deduzione


Indica l’intuito e la deduzione come “unici atti del nostro intelletto”: sono capaci di darci una
conoscenza chiara ed evidente. Attraverso di loro possiamo giungere alla conoscenza delle cose
senza cadere in errore. Sono:

- Intuito: “la concezione sicura di una mente pura e attenta che nasce solo dal lume della
ragione”

- Deduzione: “uno sviluppo continuo e ininterrotto del pensiro che intuisce con trasparenza le
singole cose”, secondo la successione con cui alcune verità discendono necessariamente da
altre conosciute con certezza.

Ma la stessa deduzione si riduce ad intuito come unico atto dell’intelletto capace di cogliere la
verità: la deduzione è una successione di atti intuitivi, in quanto ogni momento della deduzione
consiste nel cogliere con evidenza (cioè intuire) il nesso fra una verità e quella da cui dipende
immediatamente. 

Quindi la deduzione da una cosa ad un’altra avviene per intuito. 

2 di 12
La differenza tra deduzione ed intuito sta nel fatto che, mentre l’intuito coglie in un atto solo e
semplice, la deduzione comporta una successione di intuizioni, un “movimento del nostro
ingegno che inferisce una cosa da un’altra”. 

Nella deduzione concepiamo uno sviluppo e una successione; l’intuito no.

Per la deduzione non è necessaria un’evidenza attuale, perché trae la propria certezza dalla
memoria; per l’intuito invece è necessaria. 

I primi principi sono per intuito, le conclusioni lontane per deduzione.

Definizione di metodo
Il metodo è l’insieme delle regole certe e facili, grazie alle quali - se usate non si assumerà mai il
falso come vero e non si stancherà la mente. Il sapere aumentarà di grado e si perverrà alla
cognizione di tutte le cose possibili dalla mente.

Il paradigma delle matematiche


In questi temi è presente il paradigma delle matematiche. Cartesio aveva studiato matematici
antichi come Pappo e Diofanto. I risultati di questi studi coenfluiranno nella “Geometria” (1637).

Nelle Regulae è definita la priorità di una “matematica universale”, intesa come “scienza generale
che spieghi tutto ciò che può essere richiesto intorno all’ordine e alla misura, senza riferirla ad una
speciale materia”. Questa scienza è l’algebra; l’algebra però per Cartesio si deve liberare dai
numeri e dalle figure sotto le quali è sepolta. Cartesio si impegna quindi a configurare un nuovo
metodo di annotazione algebrica.

Alcune altre regole


• Necessità di abbandonare la classificazione secondo le categorie proprie della logica scolastica.
Queste infatti classificano secondo genere gli enti. Cartesio dice che, invece, bisogna
organizzare le conoscenze in modo seriale, in modo che da una cosa ne derivi un’altra, secondo
rapporti che vengono stabiliti dall’intuito e dalla deduzione.

• In questo ordine, bisogna individuare quale sia la verità più semplice e quali rapporti intercorrano
con le altre conoscenze. In questo consiste il “segreto dell’arte”.

• Poi è necessario procedere secondo una enumerazione completa: è necessario percorrere un


moto continuo e ininterrotto, prendendo una per una le cose che si riferiscono al nostro scopo e
abbracciarle in una enumerazione sufficiente ed ordinata.

L’enumerazione ha un carattere importante nelle Regulae perché è uno strumento metodologico
essenziale per garantire la continuità e la completezzza del processo deduttivo (che è una
successione di atti intuitivi). L’enumerazione sufficiente (o induzione) porta alla verità con
maggior certezza che mediante qualsiasi altro metodo di prova.

Alcuni temi
Possiamo individuare alcuni temi che costituiscono un nucleo di dottrine metafisiche che Cartesio
stava elaborando in quei tempi.

• Tema delle “nature semplici”, note di per sé, evidenti: la loro conoscenza è trasparente e chiara
e non possono essere divise ulteriormente. Costituiscono i principi di quelle “catene di ragioni”
secondo cui si deve costruire la scienza. “Tutta la scienza dell’uomo consiste nel vedere in
modo distinto come queste nature semplici concorrano insieme alla composizione di altre
cose”. Queste nature sono semplici perché sono colte dall’intuito, atto semplice dell’intelletto, e
si coordinano tra loro secondo rapporti necessari o contingenti.

• Tra questi rapporti necessari, Cartesio indica non solo i rapporti matematici, ma anche la
connessione con il dubbio (se socrate dice di dubitare di tutto, perlomeno intende che dubita) e
la separazione della mente dal corpo.

• Cartesio aveva anche affermato che l’uomo è dotato di una forza puramente spirituale e distinta
da tutto il corpo e a questa si riconducono anche le facoltà sensibili, la fantasia,
l’immaginazione, la memoria. Questa forza, secondo le diverse funzioni, si chiama o intelletto
puro o immaginazione o memoria o senso; può essere anche ingegno.

• L’autonomia dell’anima/mente rispetto al corpo elimina l’apporto dei sensi nei processi
conoscitivi e assciura la priorità dell’intuito intellettuale come solo capace di cogliere la verità
con evidenza. Per questo motoivo si può parlare di razionalismo. Per cartesio mondo e metodo
vanno insieme. Il metodo della razionalità permette di vedere la razionalità nel mondo. Questo
rende possibile che chiunque possa ragionare in modo autonomo.

3 di 12
I temi di natura semplice e di intuizione/deduzione integrano le quattro regole del Discorso sul
metodo che vengono presentate nella seconda parte del libro.

6. Il “Trattato di metafisica” e la creazione delle verità eterne


A fine del 1628 Cartesio si trasferisce in Olanda. Il 26 aprile 1629 si iscrive all’Università di
Franeker come philosophus gallus.

Va ad Amsterdam ed altre città dal 1643 al 1649. Nel ’49 parte per Stoccolma, invitato dalla regina
Cristina di Svezia e lì muore l’11 febbraio 1650.

Trattato di metafisica
Nel 1629, mentre prosegue i suoi studi di fisica, mette mano ad un piccolo “Trattato di
metafisica”, i cui punti principali, dice, sono quelli di provare l’esistenza di Dio e quella delle
nostre anime, dal momento che sono separate dal corpo.

Sono temi che troveremo nelle “Meditationes de prima philosohia” (1641); il nucleo della
metafisica di cartesio, però, doveva già essere definito nel 1629 proprio in quel trattato.

Le verità eterne
Un altro tema fondamentale di quegli anni è quello delle verità matematiche. Queste, come tutte
le verità eterne, dipendono da Dio che le ha create ed egli ne è quindi il garante. Sono stabilite da
Dio e ne dipendono completamente. L’esistenza di dio è la prima e la più eterna di tutte le verità
che si possano dare e da essa derivano tutte le altre.

7. “Il mondo o Trattato della luce”: la nuova fisica


Interrompe la stesura del Trattato di metafisica per tornare a problemi di fisica, stimolato dal fatto
che erano apparsi falsi soli (o pareli). Cartesio per spiegare i pareli si impegna in problemi di fisica
celeste e di ottica. In questo periodo si iniziano a delineare:

• “Discorso sul metodo”

• “Le meteore”

• “La diottrica”

• “Il mondo o Trattato della luce”: scritto tra il 1630 e il 1633. Nel 1633 però decide di non
pubblicarlo. Infatti nello stesso anno era stato condannato Galileo. Nel suo sistema la fisica
scolastica e la tradizione aristotelico-tolemaica era stata abbandonata ed era stato affermato il
moto della Terra attorno al Sole.

Cartesio però non voleva pubblicare qualcosa che fosse disapprovato dalla chiesa e per questo
mise da parte il lavoro.

Nonostante ciò, i temi centrali della sua fisica erano ormai definiti e tornano nelle sue opere
posteriori, in rapido riassunto anche nel Discorso (parte V) e nei “Principi di filosofia” (1644).

Alcuni temi centrali della fisica cartesiana nel “Mondo”


Nel “Mondo” definisce con chiarezza la critica della teoria scolastica delle qualità, delle forme
sostanziali, della dottrina aristotelica del movimento. La nuova fisica non vuole avere a che fare

4 di 12
con le forme, le essenze, le qualità della scolastica. Vuole svolgere un discorso fisico fondato su
un minimo di nozioni chiare ed evidenti.

Non vuole spiegare come questo mondo sia stato fatto, ma come avrebbe potuto essere creato
da dio negli spazi immaginari (quegli spazi che i filosofi ponevano fuori del nostro mondo fisico).

È una favola per testare un’ipotesi, una prova di spiegazione della realtà fisica (il metodo e
l’ipotesi lavorano per l’autonomia della ragione. vd. schema).

Immaginiamo quindi che Dio abbia creato una materia senza nessuna delle forme o delle qualità
teorizzate da aristotele. Questa materia è un “vero corpo perfettamente solido che riempie allo
stesso modo tutte le lunghezze, larghezze e profondità”. La materia è quindi pura estensione o
quantità, dove l’estensione non è un accidente ma è invece la vera forma ed essenza della
materia stessa.

Riduce quindi all’estensione, al “quantitativo”, il mondo. Il mondo è un mondo di corpi geometrici


che hanno 3 caratteristiche: grandezza; figura; velocità (il colore etc dipende sempre dalla
variazione di quantità degli elementi di base).

Dio, quindi:

a) Ha creato la materia come pura estensione


b) Ha impresso il moto o movimento a questa materia. Il movimento è retto da tre leggi
fondamentali, che sono dedotte da Cartesio dall’idea stessa dell’immutabilità divina.

Le tre leggi del moto sono:

1) Legge sugli urti: “ogni parte della materia in particolare persite nel medesimo stato finché
l’urto delle altre non la costringe a mutarlo”

2) Legge sulla conservazione della quantità di moto: “quando un corpo ne spinge un altro, non
può comunicargli alcun movimento senza perderne contemporaneamente altrettanto del
proprio, né sottrarglielo senza aumentare il proprio nella stessa misura”

3) Legge sul moto retilineo: “quando un corpo si muove, benché il suo movimento avvenga per
lo più secondo una curva e ogni movimento sia sempre in qualche modo circolare, tuttavia, le
sue parti, prese singolarmente, tendono sempre a continuare il loro in linea retta”

Cartesio non vuole supporre altre leggi all’infuori di queste; attraverso queste tre verità infatti è
possibile dedurre le conseguenze. Si potranno così avere dimostrazioni “a priori” di tutto ciò che
può essere prodotto in questo nuovo mondo.

Questo mostra l’idea di una fisica-matematica costruita in modo deduttivo che è costante in
Cartesio.

Quindi Dio crea una materia estesa il cui movimento è retto dalla fondamentale legge di inerzia
che è quella già formulata da Beeckman, “il principio della conservazione del movimento” che
permette di identificare sul piano ontologico la differenza tra riposo e movimento.

Il movimento è uno stato. Ha una propria realtà e NON è una qualità o un processo.

Con questi principi Cartesio spiega il costituirsi dell’universo, secondo leggi meccaniche. La
formazione del cosmo quindi risulta meccanica. La spiegazione meccanicistica spiega il reale
riducendolo al movimento dei corpi secondo causa ed effetto e all’interazione tra forme,
dimensioni e forze.

Identificata la materia con l’estensione e con lo spazio, Cartesio nega l’esistenza del vuoto dal
momento che la materia è indivisibile all’infinito. Rifiuta infatti l’atomismo democriteo. Nella
concezione cartesiana il moto impresso da Dio alla materia porta alla sua frantumazione in
particelle sempre ulteriormente divisibili che costituiscono i tre elementi fondamentali (fuoco, aria,
terra), la cui diversità è costituita solo dalla struttura quantitativa delle varie parti di materia e dal
movimento di cui esse sono dotate.

Le particelle di fuoco, in movimento vorticoso, formano il sole e le altre stelle; le particelle di aria,
che girano intorno al sole, formano i cieli; le particelle di terra formano i pianeti.

Viene negata la distinzione tradizionale tra fisica terrestre e fisica celeste, come aveva fatto
già Galilei. La materia che costituisce cieli e tera è unica e sono identiche le leggi del movimento
che agiscono. La centralità del sole e il moto della terra sono affermati e dedotti dai principi stessi

5 di 12
della sua fisica, che a loro volta derivano dai fondamenti della metafisica e dall’idea stessa di Dio
creatore.

Tutto è dunque creato da Dio: ripulisce la fisica da elementi magici e dall’ontologia vitalistica della
materia.

8. “L’uomo”: la macchina del corpo


Il “Trattato del Mondo” si completa con i capitoli sull’Uomo: voleva spiegare tutti i fenomeni vitali e
i processi sensitivi con le stesse leggi di una fisica meccanicistica, quelle usate cioè per spiegare
la costruzione del mondo fisico.

Nasce così lo schema interpretativo dell’uomo macchina, degli animali come automi.

Il corpo è una macchina a somiglianza di dio, con all’interno collocate tutte le parti richieste per
camminare, mangiare, respirare, imitare.

L’insistenza sulle macchine rimane nella filosofia di cartesio, nel Discorso e nei “Principi”, quando
dirà che per spiegare le funzioni del corpo umano si è servito solo di “nozioni chiare e distinte”,
cioè con figure, grandezze, movimenti e con le leggi fondamentali della geometria e della
meccanica.

Sono presenti a Cartesio gli esempi di automi che ornano le fontane dei celebri giardini. Il modello
che ha in mente per descrivere come si muove la macchina del corpo è quello delle fontane, dove
la forza d’acqua sola riesce a far suonare qualche strumento o pronunciare qualche parola, a
seconda della disposizione dei tubi all’interno. 


I tubi rappresentano i nervi: lavorano come conduttori, tubi di macchine idrauliche. In essi corrono
filamenti che come dei tiranti trasmettono al cervello lo stimolo sensibile esterno, puramente
meccanico. Cartesio insiste sul filo che muove una certa parte del cervello e provoca l’apertura di
canali attraverso i quali gli spiriti animali si precipitano nei nervi e provocano meccanicamente i
movimenti dei muscoli. Al centro del cervello c’è la ghiandola pineale, alla quale, attraverso il
cervello, affluiscono dai sensi esterni gli stimoli degli oggetti imprimendo le idee o le forme degli
oggetti nella ghiandola. La ghiandola è la sede dell’immaginazione e del senso comune. 


Identica è la spiegazione dei sentimenti interni o passioni: sono gli stessi spiriti animali che
provocano nella macchina del corpo i movimenti del tutto analoghi a quelli che noi chiamiamo
bontà, liberalità, amore. Di questi, se le loro parti sono più forti e grosse, provocano movimenti
come fiducia e ardimento etc. Quindi il difetto o l’eccesso delle qualità suscita nella macchina
movimenti che vengono indicati con i vari nomi delle passioni.

È un gioco dunque di reazioni e azioni meccaniche. Queste funzioni derivano naturalmente dalla
disposizione degli organi nella macchina (come le ruote e i contrappesi funzionano in un orologio).

Questo verrà ripetuto anche nel Discorso e nei Principi. L’anima razionale si aggiungerà a questa
macchina per portarvi il pensiero e quella ghiandola pineale diventerà il punto di contatto tra le
due realtà indipendenti: la ghiandola, infatti, unisce la res extensa (corpo umano, animali,
vegetali, oggetti innati) alla res cogitans (anima/mente umana).

Questa affermazione solleverà molte polemiche. È il tema, che accenna nelle Meditazioni, centrale
nelle “Passioni dell’anima”.

9. Il “Discorso sul metodo” e i “Saggi”


Il trattato del Mondo e dell’Uomo resterà inedito. Si rimetterà invece a lavorare alla “Diottrica”, alle
“Meteore” e alla “Geometria”. Questi sono i tre “Saggi” che compaiono a Leida nel 1637 (senza
nome dell’autore) insieme al “Discorso sul metodo”, che ne costituisce la premessa.

Per Cartesio solo negli Essais si può riconoscere quanto il Discorso valga.

Il Discorso è stato scritto dal 1635 al 1637. Probabile che in un primo tempo abbia redatto la parte
VI, intesa come introduzione ai due scritti Diottrica e Meteore. Ma cartesio voleva che fosse anche
un’introduzione più ampia alla Geometria.

10. La struttura del “Discorso sul metodo”


Il Discorso ha una struttura a mosaico e le parti riprendono e riordinano le parti precedenti. 


6 di 12
1) Prima parte: deriva dal rifacimento della “Histoire de mon esprit”; considerazioni relative alle
scienze


2) Seconda parte: relativa al metodo, riprende alcuni passi delle Regulae e gli appunti utilizzati
per il III libro della Geometria; principali regole del metodo (4 norme)


3) Terza parte: la cosidetta “morale provvisoria”, pensata e composta ex novo per sfuggire ai
possibili attacchi della censura civile: dubitare ogni cosa lo avrebbe potuto far passare per un
uomo senza fede e potenziale sovvertitore; regole morali che derivano dal metodo


4) Quarta parte: adattamento del piccolo trattato su Dio e sull’anima di cui si era occupato nel
’29; dimostrazione dell’esistenza di dio e dell’anima umana, fondazione della metafisica

5) Quinta parte: breve riassunto del “Mondo” e degli studi di fisiologia (comprendenti quelli sulla
circolazione del sangue); ordine dei problemi fisici

6) Sesta parte: scritta per la prima volta del ’35, come prefazione di Diottrica e Meteore;
considerazioni utili per progredire nell’indagine naturalistica

11. “Al livello della ragione”: i precetti del metodo


Nella prima parte del Discorso, Cartesio ricorda i suoi anni giovanili: gli studi a La Fleche,
l’insoddisfazione per i contenuti dell’insegnamento filosofico, l’amore per la poesia, l’eccellenza
delle matematiche e anche la loro limitatezza.

Cartesio, convinto dell’inutilità della suo scuola, decide di voler trovare da solo una nuova via del
filosofare, “a livello della ragione”, liberandosi dagli errori che avevano offuscato la “ragione
naturale”. Questo sapere nuovo non può utilizzare fondamenta vecchie.

Sottolinea quindi la necessità di definire un metodo, di “cercare il vero metodo” per arrivare a tutte
le conoscenze di cui l’uomo è capace.

Il metodo si articola in alcune norme, che ricordano in qualche modo i motivi presenti in modo
dettagliato nelle Regulae, per orientare l’uso retto dell’intuizione e della deduzione, i due unici
strumenti di conoscenza:

1) EVIDENZA: “non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi evidentemente
esser tale, giudicando ciò che si presentasse alla mia mente in modo così chiaro e distinto da
non offrire nessuna occasione di dubbio”

L’evidenza è la caratteristica propria della conoscenza vera; evidente è ciò che si presenta allo
spirito con immediatezza e semplicità, come oggetto di proprio intuito intellettuale che
esclude ogni ricorso di percezione sensibile e resiste al dubbio.


2) ANALISI: “dividere ciascuna delle difficoltà che esaminavo in quante più parti era possibile, in
vista di una miglior soluzione”

Dividere le difficoltà per poterle risolvere significa semplificare i problemi complessi e ricordurli
a parti o componenti più semplici 


3) SINTESI: “imporre ai miei pensieri un ordine, cominciando dagli oggetti più semplici per risalire
poi per gradi alla conoscenza dei più complessi”

Impone di ricondurre per ordine i propri pensieri cominciando dagli oggetti più semplici, per
passare a quelli più complessi.


4) ENUMERAZIONE: “fare, in ogni occasione, enumerazioni tanto complete e rassegne per


essere sicuro di non dimenticare nulla”

Impone un’enumerazione ordinata delle parti in cui si è scomposto il problema.

12. Metodo e scienza delle proporzioni


I precetti del metodo hanno permesso a Cartesio di affrontare problemi di matematica. La
matematica è l’unico ambito nel quale - gli pare - si possano avere dimostrazioni “certe ed
evidenti”. Al di là però dei problemi particolari, egli si rivolge subito alla più generale scienza “dei
rapporti o proporzioni”. Questa scienza è quella che nelle Regulae chiamava “matematica
universale”.

7 di 12
Nel Discorso accenna alla portata innovatrice della sua geometria, in cui presentava una nuova
semplificazione. In questo modo superava la distinzione aritmetica (scienza dei numeri) e
geometrica (scienza delle grandezze), esprimendo i numeri (quantità discontinua) con le
grandezze (quantità continua), ovvero con delle linee cui possono ricordursi sia le superfici sia i
solidi.

Poi, procedendo per successive semplificazioni, cartesio aveva adottato un nuovo sistema di
notazione algebrica. Nelle equazioni, sostituisce ai numeri le lettere dell’alfabeto a, b, c per
indicare le qualità note, mentre x, y, z per le incognite. Per indicare gli esponenti, anziché usare le
lettere dell’alfabeto, usa i numeri scritti in alto a destra.

In questo modo eliminava la distinzione tra algebra e geometria e poneva i fondamenti della
geometria analitica.

Provata nell’ambito matematico la validità di questo metodo, vuole applicarlo anche agli altri
ambiti delle scienze fisiche, per costruire la grande “meccanica della natura”. Proprio in questo
momento però avverte di aver bisogno di risalire a fondamenti più stabili, che solo la filosofia può
dare. Per questo passa dalla fisica alla metafisica, la filosofia prima o scienza dei principi primi.
Vuole stabilire su una nuova metafisica i fondamenti della propria fisica-matematica. Così, la
ricerca di una scienza penitus nova lo aveva portato al primo nucleo di dttrine metafisiche che
erano state fissate nel “Trattato di metafisica” (andato perduto. Iniziato nel 1629). Questi temi
tornano nella parte IV del Discorso.

13. La morale provvisoria


Sembra a cartesio necessario, prima di costruire una nuova filosofia, garantire la validità di certe
regole che permettessero un comportamento pratico, morale, per evitare la critica e il rifiuto da
parte delle convenzioni tradizionali.

Quindi cartesio, nella III parte del Discorso, formula le 3 regole della sua “morale provvisoria”:

1) Obbedienza alle leggi e costumi del paese in cui si è nati, osservanza della religione in cui si è
stati allevati e adesione alle opinioni moderate della società in cui si vive. Atteggiamento di
cauto conservatorismo di Cartesio

2) Risolutezza nelle proprie azioni: si deve essere decisi nel compiere un’azione

3) Cercare sempre di vincere piuttosto noi stessi che la fortuna, essere pronti cambiare i propri
desideri piuttosto che l’ordine del mondo. Questa terza regola è di origine stoica e vuole
richiamare la responsabilità dell’uomo nell’ambito suo proprio, quello della ragione.

Cartesio non scriverà mai una morale definitiva ma si occuperà comunque di questioni morali
negli ultimi anni, sia nelle lettere ad Elisabetta, sia nelle “Passioni dell’anima”.

14. Il dubbio
Nella IV parte del discorso presenta una rapida delineazione dei principi della sua metafisica, che
fa risalire al 1628-1629, quando era tornato in olanda.

In Olanda può fare una vita “dolce e innocente”. Il riferimento è alle prime meditazioni, che
rinviano al “Trattato di metafisica” cui lavorava nel 1629 e che conteneva le dimostrazioni
dell’esistenza di Dio e dell’immaterialità, quindi immortalità dell’anima. Queste verità costituiscono
i fondamenti di tutta la sua filosofia.

Quando scrive il Discorso, Cartesio ha approfondito quel primo nucleo di pensiero di molti anni
prima e lo presenta ora come definito nei contenuti essenziali.

Nel comportamento morale, abbiamo visto, è necessario seguire come indubitabili anche opinioni
che ci possono sembrare incerte; nella ricerca della verità, invece, si deve assumere
l’atteggiamento opposto, ovvero quello di rifiuto “come assolutamente falso tutto ciò di cui si
possa avere il minimo dubbio, per vedere se, dopo un tale rifiuto, qualcosa sarebbe rimasto a
godere la mia fiducia come del tutto indubitabile”.

Per la verifica della validità o falsità delle conoscenze acquisite fino a qui, non è necessario
esaminarle singolarmente. Basterà invece vederne l’origine, esaminare gli strumenti di
conoscenza. Qui si rivela la forza del dubbio, detto “dubbio metodico” perché è orientato a
ricercare un fondamento che sia valido per tutto il sapere.

Riprende in questo un’antica tematica scettica, di rifiutare come false tutte le ragioni che in
passato si erano ritenute come dimostrazioni.

8 di 12
Inoltre Cartesio constata anche che nel sonno a volte abbiamo pensieri identici a quelli che
abbiamo quando siamo svegli, quindi dice di aver deciso di fingere che tutto quello che gli
passava per la testa avesse lo stesso grado di verità di un sogno.

Espone i motivi del dubbio in modo più approfondito nelle “Meditazioni sulla filosofia
prima” (1641), dove a queste ragioni elencate nel Discorso, si aggiunge la più radicale ipotesi
teologica secondo la quale Dio, nella sua onnipotenza, potrebbe avermi fatto tale da ingannarmi
sempre; potremmo essere vittime degli inganni di un “genio maligno”, il diavolo, che ha la facoltà
diingannare le conoscenze relative al mondo esterno.

Per capire comunque questi problemi è opportuno leggere la Meditazione I.

15. “Penso dunque sono”: la regola dell’evidenza


Dal dubbio e dal pensare quindi che tutto sia falso, nasce paradossalmente una prima certezza:
dice Cartesio che “bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E
osservando che questa verità, “penso dunque sono”, era così salda e certa da non poter vacillare
sotto l’urto di tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza
scrupolo come il primo principio della filosofia che cercavo” (pag 45).

Posso fingere di non avere un corpo, ma non posso fingere di non esistere, se dubito e se penso:
il mio pensiero e il mio dubitare mi rendono intuitivamente certo del mio esistere.

Rimane quindi ancora il dubbio sull’esistenza del mondo esterno, del mio corpo e di qualsiasi
cosa che non sia il mio pensiero (il mio cogito), non posso dubitare di essere, se penso. Se
cessassi di pensare non avrei alcuna ragione di credere che esisto.

Dovrò dire quindi che il pensiero è un attributo che mi appartiene necessariamente e che rinvia a
un esistente, a una sostanza (il nulla non ha proprietà: una attività rinvia sempre ad un essere
esistente).

Non solo penso (cogito), ma sono “una cosa che pensa” (una res cogitans, nelle meditazioni).
Cartesio conosce “di essere una sostanza la cui essenza o natura è esclusivamente di pensare e
che per esistere non ha bisogno di alcun luogo. Io, l’anima in forza della quale sono ciò che sono,
è interamente distinta dal corpo e addirittura è più facile a conoscersi del corpo, e, anche se esso
non fosse, l’anima, nondimeno, sarebbe tutto ciò che è” (pag 45).

L’evidenza dell’intuizione intellettuale che coglie il cogito non afferma solo il mio esistere, ma pone
l’io pensante come sostanza pensante o anima, autonoma rispetto alla realtà materiale e quindi
ne dimostra l’immaterialità e l’immortalità. Questo è un momento importante nell’itinerario
speculativo cartesiano, perché qui Cartesio attinge una realtà sostanziale, la prima di cui abbia
conoscenza certa ed evidente. È anche però un momento problematico: Cartesio ha in mente lo
schema scolastico della distinzione sostanza-attributo per il quale ogni attributo (in questo caso il
pensiero) rinvia ad una sostanza come soggetto cui l’attributo inerisce e come causa dello stesso.
Tale sostanza è conosciuta attraverso gli attributo, in questo caso il pensare. Possiamo non
sapere nulla di noi stessi, ma perlomeno sappiamo, necessariamente, di essere una sostanza
come soggetto del pensiero. Va però anche detto che se qui Cartesio condivide una
fondamentale dottrina scolastica, se ne distacca nel momento in cui assegna alla sostanza un
attributo che non è solo da essa inseparabile, ma che le è così essenziale da far conoscere
l’essenza stessa della sostanza (oltre alla sua esistenza), essenza che l’attributo definisce
pienamente: “Una sostanza la cui essenza o natura era esclusivamente il pensare”.

Questa sostanza, la res cogitans, è l’io, la mente, l’anima, lo spirito, l’intelletto, la ragione; il
soggetto di tutti i pensieri particolari o fatti di coscienza, come il sentire, l’immaginare, il volere (in
quanto ne siamo coscienti).

Il cogito, attività di una cosa che pensa, è la condizione stessa della conoscenza di ogni altra
realtà. Cartesio scriveva a Mersenne che l’anima, come aveva dimostrato, “non è che una cosa
che pensa: è impossibile quindi che si possa mai pensare a qualche cosa senza avere nello
stesso tempo l’idea della nostra anima come di una cosa capace di pensare a tutto quel che si
pensa, poiché è per essa che concepiamo tutte le cose, ed essa è pure di per sé più concepibile
di tutte le altre cose assieme”.

Dall’analisi del cogito, primo principio, cartesio trae il suo fondamentale “criterio di verità”: posso
dire prima di tutto che “io penso, dunque sono”, dal momento che vedo “molto chiaramente” che

9 di 12
per pensare bisogna esistere. Quindi si può assumere come regola generale che tutte le cose che
sono percepite da noi in modo chiaro ed distinto sono tutte vere.

Dalla certezza del cogito deriva il principio stesso dell’evidenza che, formulando i precetti del
metodo, aveva esemplato dalle matematiche: qui invece è l’intuizione della verità del primo
principio (il cogito) che costituisce la regola della verità stessa.

16. L’esistenza di Dio


1) Prima prova dell’esistenza di Dio

In possesso della prima verità, cioè il cogito, Cartesio cerca di capire se sia possibile uscire
dalla sfera del cogito per recuperare una realtà esterna, fuori da esso. L’unica via è quella
dell’analisi dei contenuti del pensiero, ovvero l’analisi delle idee presenti nel cogito. Tra
queste, alcune derivano dai sensi e quindi sono compromesse per la propria stessa origine.
Spicca un’idea, però, di essere perfetto in rapporto alla quale io, che dubito, mi riconosco
imperfetto per il fatto stesso di dubitare. Qual è l’origine di questa idea di essere perfetto?
Cartesio dice che questa idea non può derivare da me perché dal meno (soggetto imperfetto)
non può derivare il più (idea di essere perfetto). Essa dovrà essere messa in me da un essere
perfetto che abbia tutte le perfezioni di cui potevo avere l’idea: questo essere è Dio.

2) Seconda prova dell’esistenza di Dio



L’io, il cogito, che ha l’idea di Dio, dipende da questa idea radicalmente come sua creatura; se
non ne dipendesse, se l’io quindi avesse creato se stesso, si sarebbe dato tutte le perfezioni
di cui ha l’idea. 


3) Terza prova dell’esistenza di Dio



Questa idea di Dio come essere perfetto implica che egli veramente esiste: l’esistenza infatti è
compresa nell’idea di essere perfetto (Dio), come nell’idea di triangolo è compreso che i 3
angoli sono eguali a due retti. Questa dimostrazione ha una certezza almeno pari a una
dimostrazione matematica. È una prova a priori.

Abbiamo visto che alle prime due prove se ne aggiunge una a priori, detta da Anselmo da Aosta e
criticata da Kant (prova ontologica: La prova ontologica presume, secondo Kant, di poter
pervenire dalla semplice idea di qualcosa alla sua esistenza reale, prescindendo dal dato di
esperienza. Egli immagina in proposito, in maniera piuttosto ironica, di avere in tasca cento talleri
e di pensarne cento: quelli che lui pensa dovrebbero essere meno di quelli che ha in tasca, poiché
ciò che è pensato è meno perfetto di ciò che è esistente. Ma pur continuando a pensarne cento,
non per questo ne avrebbe di più in tasca. E quindi è per lui impossibile una prova di questo
genere. Il criticismo di Kant partiva in effetti dal presupposto che l'essere non fosse una qualità
autonoma, ma soltanto una copula, un attributo assegnato dall'io ad ogni giudizio sintetico
riguardante esclusivamente l'esperienza empirica. Questa concezione fu criticata da alcuni suoi
contemporanei, i quali fecero notare che quella di Kant era un'instabile teoria della conoscenza,
basata su un soggettivismo arbitrario, che impediva, ad esempio, di usare il concetto di essere nel
suo valore ontologico, snaturandolo e restringendolo all'ambito dei fenomeni sensibili).

La terza prova di Cartesio trova la sua forza nel principio: esprime ciò nelle “Risposte alle II
Obiezioni alle Meditazioni”.

Con la dimostrazione dell’esistenza di Dio, Cartesio attinge fuori dal cogito una realtà assoluta,
perfetta, dalla quale ogni altra realtà relativa, imperfetta, dipende: non è più “solo al mondo” ed è
in possesso di due verità: il cogito e Dio. 

Tutto il resto resta sospeso al dubbio ed è privo di certezza metafisica. Nel Discorso non compare
infatti una dimostrazione della realtà esterna fisica.

Solo l’eisstenza di Dio ci rende certi della regola dell’evidenza che Cartesio aveva tratto
dall’evidenza dell’“io penso, dunque sono”: il principio secondo cui le cose concepite da noi in
modo chiaro ed evidente sono tutte vere, trova il suo fondamento della propria certezza solo nel
fatto che Dio è o esiste e che è un essere perfetto e che tutto ciò che è in noi viene da lui.

Le nostre idee, quindi, essendo reali, vengono da lui. Sono vere perché sono state messe in noi
da Dio e dipendono da lui. Sono definite da Cartesio come “cose pensate” (perché sono dotate di
una propria realtà).

Questa dottrina implica alcuni presupposti:

10 di 12
- Le idee sono realtà messe in noi dal Creatore (respinge l’assioma che nulla sia nell’intelletto se
prima non è nei sensi)

- Ogni realtà dipende da Dio, che ne è la sua causa (anche le verità matematiche e tutte le verità
eterne dipendono da Dio)

Quando l’uomo sbaglia è perché le idee si sono presentate a lui in modo non chiaro e distinto;
sono confuse e oscure e questo dipende dall’imperfezione dell’uomo. Di qui l’affermazione
cruciale: “se non sapessimo che quanto vi è in noi di reale e di vero viene da un essere perfetto e
infinito, per chiare e distinte che fossero le nostre idee, non avremmo nessuna ragione di essere
certi che posseggono la perfezione di essere vere”.

17. Dio e il fondamento della regola dell’evidenza


È stato obiettato a Cartesio che egli entra in un circolo vizioso: affermiamo infatti di essere certi
che le idee concepite chiaramente e distintamente sono vere perché Dio esiste e non è
ingannatore; abbiamo dimostrato però che Dio esiste usando il canone dell’evidenza. Sembra che
Cartesio oscilli tra il porre ora il cogito, ora Dio come fondamento primo della certezza.

Le obiezioni alle Meditazioni fanno sì che Cartesio riaffermi il valore primario del cogito e della
regola dell’evidenza che da esso deriva. Il cogito è vero indipendentemente dall’esistenza di Dio e
stessa cosa per la regola dell’evidenza, vera indipendentemente.

Da un punto di vista metafisico però, questa esistenza del cogito non è sufficiente a fondare una
scienza oggettivamente valida, perché la regola dell’evidenza è valida fin quando si tratta di verità
attualmente e immediamente percepite, cioè attualmente presenti al mio spirito.

Il ricorso a Dio è necessario perché garantisce della nostra facoltà di ragionare e di non essere
ingannati e quindi ci garantisce anche della verità di quello che abbiamo in pasato concepito con
evidenza e che non è attualmente presente con evidenza al nostro spirito.

Dio garantisce la permanenza delle verità che l’uomo concepisce con evidenza. Inoltre, il cogito
costituisce il fondamento di una scienza soggettivamente valida, mentre Dio costituisce il
fondamento di una scienza oggettivamente valida e necessaria: non si potrebbe uscire dalla
soggettiva certezza del cogito se Dio non garantisse che le verità percepite con evidenza sono
oggettivamente, realmente, vere.

Resi certi dalla regola dell’evidenza, è possibile superare anche il dubbio indotto dall’incerta
distinzione tra sonno e veglia, perché la regola dell’evidenza è sempre e comunque valida: “svegli
o addormentat, non dobbiamo mai lasciarci persuadere se non dall’evidenza della nostra
ragione”. Così dunque la regola dell’evidenza rende possibile riconoscere che i sogni che
immaginiamo nel sonno non debbono indurci in nessun modo a porre in dubbiio la veritò dei
pensieri che abbiamo da svegli.

18. La fisica: il mondo e l’uomo


Svolge sommariamente il nucleo della metafisica: lo riprenderà nelle Meditazioni. Cartesio nelle
parti V e Vi si limita ad indicare sommariamente “la catena delle verità” che ha dedotto dalle
prime. È sulle prime verità metafisiche che Cartesio ritiene di dover fondare la fisica. Però nel
DIscorso, di tutta la sua fisica dà una piccola esposizione e somamria. Fa una specie di riassunto
di ciò che aveva detto nel Mondo.

La condanna per Galilei coinvolgeva tutta la filosofia di Cartesio. Nel Discorso, senza farne nome,
parla della sentenza.

La parte V del Discorso ripropone quindi il complesso di dottrine presenti nel Mondo, ripetendo
l’ipotesi della creazione da parte di Dio “negli spazi immaginari” e muovendo dalle leggi che Dio
ha stabilito nella natura e le nozioni che ha impresso nella nostra anima. Non ripete leleggi o i
processi di formazione del mondo, ma fa solo alcuni cenni, in aperta polemica contro la scolastica
e la dottrina scolastica delle forme sostanziali.

Anche per i corpi viventi - uomini ed animali - propone una teoria meccanicistica: in questa parte il
Discorso sta seguendo il trattato sull’Uomo con l’ipotesi della macchina.

Parla della centralità del cuore, della circolazione del sangue, del sistema nervoso, dell’origine
della conoscenza sensibile e delle passioni. Pag 55, 59. Pag 61-63

Il modello dell’uomo macchina e dell’animale macchina serve a Cartesio per differenziare


radicalmente l’uomo dall’animale e, ancora di più, l’anima razionale dal corpo. Uomo e animale
sono simili nel corpo: tutto quanto quello che ha a che fare con la vita vegetativa e sensitiva può e
11 di 12
deve essere spiegato secondo le generali leggi della meccanica. Invece, la differenza tra i due è
data dall’anima razionale: un discrime nettissimo tra uomo e animale. Il discrime è reso evidente
dall’uso del linguaggio articolato e della flessibilità della ragione.

La polemica qui è contro le correnti contemporanee che tendevano a negare questa distinzione,a
llineando i processi di consocenza seguendo una fenomenologia della sensazione che porta
progressivamente dalle immagini sensibili alle idee. Per cartesio la sostanziale distinzione tra
sostanza pensante e sostanza estesa (che trova origine nel cogito e nell’opposizione tra pensiero
e sensazione) e l’esistenza di Dio, due verità che riteneva di aver dimostrato con evidenza
superiore anche alle dimostrazioni matematiche, costituiscono i capisaldi di una metafisica
spiritualistica, la sola capace di far fronte agli spiriti forti, i libertini e gli atei.

19. Il progresso delle scienze


Nell’ultima parte del Discorso, Cartesio indica il suo programma di ricerca. Polemizza contro
l’aristotelismo scolastico e la filosofia delle scuole che è contenta di ripetere gli insegnamenti di
Aristotele. La filosofia di Cartesio viene posta dallo stesso Cartesio come filosofia liberatrice,
come luce contro il buio e la ceictà degli aristotelici.

Insiste sulla necessità del lavoro dei molti per passare oltre. Quindi vanno accumulate esperienze
e conoscenze per il bene comune e per renderci “signori e padroni della natura”.

Cartesio insiste sul lavoro pratico della nuova filosofia che deve avere come suo scopo il
rinnovamento della medicina per migliorare la condizione umana e prolungare la vita.

È convinto della necessità di comunicare al pubblico le proprie scoperte (e preferisce compiere


però una ricerca personale, per evitare obiezioni e polemiche di scuola) però dichiara di aver
deciso di non pubblicare per ora i fondamenti della sua fisica, benché egli dica, sono così evidenti
che basta sentirli per accettarli. Dà anticipazioni su questi fondamenti nei Saggi e nel Discorso.

La sentenza a Galilei lo aveva dissuaso a pubblicare il Mondo. Inoltre non vuole essere impegnato
in polemiche, percé vuole dedicarsi ai lavori con tranquillità.

Per questo decide di procedere da solo, con l’aiuto di tecnici e artigiani da lui istruiti e renumerati.

Si vuole rivolgere a tutte le persone di buon senso, e non ai dotti che si attengono alla tradizione.

Scrive il Discorso in francese, lingua madre, perché così può essere intesa da più persone
possibile.

12 di 12

Potrebbero piacerti anche