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Silvio Barbaglia

Har Karkom interroga l’esegesi e la teologia.


Un primo bilancio della ricezione dell’ipotesi
di e. anati nei dibattiti sulle origini di israele

L’ipotesi di E. Anati e le origini di Israele

Cosa significa affermare che Har Karkom1 interroga l’esegesi e la teologia? La


domanda qui posta ha valore solo se il monte in oggetto ha la pretesa di essere il
candidato princeps all’identificazione con il monte Sinai/Horeb di biblica memo-
ria. E le conseguenze di questa identificazione chiamano in causa direttamente la
fede, quella del testo biblico e quella che è maturata nella storia in virtù del mede-
simo testo, prima nella tradizione ebraica e poi in quella cristiana.
Con il presente contributo, si vuole affrontare, in modo esplicito, la posta in
gioco effettiva delle ricostruzioni archeologiche e, conseguentemente, storiche
che E. Anati ha illustrato in molteplici pubblicazioni da trent’anni a questa parte2.
Si tratta di ipotesi di lavoro non certo «indolori» per l’intera storia biblica e del
vicino oriente antico. Nel senso che, una teoria come quella di E. Anati che cerca
di rendere ragione della plausibilità delle narrazioni del testo biblico – dall’epoca
dei patriarchi all’insediamento della terra, con particolare focalizzazione sul ciclo
dell’Esodo – attraverso il riscontro diretto dell’archeologia e delle deduzioni in-
terpretative dell’antropologia culturale può apparire, a una prima istanza, una ri-
proposizione del classico adagio kelleriano de «La Bibbia aveva ragione»3. L’ar-
cheologo E. Anati, a ben vedere, non ha alcun interesse apologetico di carattere
confessionale, non entra nel merito dei contenuti della fede espressa dal testo bi-
blico, piuttosto si limita a segnalare una serie di convergenze e di corrispondenze
degne di nota tra reperti archeologici e narrazioni bibliche, che porterebbero a
offrire un quadro alquanto diverso rispetto alle tradizionali coordinate storiche

1  Har Karkom significa in ebraico il «monte dello zafferano», ma anticamente era conosciuto

con il nome arabo di Jebel Idein che può significare «montagna delle celebrazioni» o «montagna
delle moltitudini» (foto n. 1).
2  La bibliografia più aggiornata e ordinata si trova in E. Anati, La riscoperta del Monte Sinai.

Ritrovamenti archeologici alla luce del racconto dell’Esodo (Bibbia e Terra Santa 3), Padova 2010,
237-245; Har Karkom. Guida ai siti principali del riscoperto Monte Sinai (Bibbia e Terra Santa 2),
Padova 2010, 130-133.
3  W. Keller, La Bibbia aveva ragione (Il corso della storia), Milano 1955.

Liber Annuus 61 (2011) XX-XX


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dell’Israele antico. Due universi a confronto, quindi, un contesto riletto attraverso proto-templari e geoglifi7. L’altopiano, diversamente dalle valli circostanti, è po-
l’interpretazione archeologica e antropologica, da una parte e, dall’altra, un testo polato di siti che documentano il culto umano di tribù del deserto: ivi sono stati
interpretato alla luce di alcune osservazioni scaturite lungo i trent’anni di esperien- scoperti circa sessanta tumuli e ciò produce l’impressione che questo monte fosse
ze di scavi nell’ampio territorio del deserto del Negev. stato, nel periodo BAC, un immenso luogo di culto dell’antichità. Quindi, per oltre
800 anni viene abbandonato e non più frequentato; seguono poi pochi insediamen-
Har Karkom, «la montagna sacra» del deserto del Negev ti dall’età del Ferro. Motivo: mutazione climatica, grande siccità e desertificazione
radicale del territorio8.
Come è noto, E. Anati sostiene che Har Karkon sia «la montagna sacra» per Nessun altro luogo nel deserto del Negev e nella penisola sinaitica, allo stato
eccellenza di tutto il territorio del Negev, luogo di passaggio e di stanziamento di attuale dei sondaggi archeologici, è così ampiamente costellato di insediamenti e
molteplici popolazioni antiche4. di incisioni rupestri di carattere sacro come Har Karkom (foto n. 3). E i sondaggi
L’identificazione del più antico santuario conosciuto nel vicino oriente, data- archeologici in altre zone del Sinai e del Negev confermano la mutazione clima-
bile attorno ai 40.000-35.000 anni a.C. nell’era del paleolitico superiore5 fa di Har tica che all’inizio del Bronzo medio ha prodotto il fenomeno di progressiva sicci-
Karkom, secondo E. Anati, un’area sacra di valore eccezionale già a partire tà e di desertificazione del territorio.
dall’epoca delle migrazioni dell’Homo sapiens sapiens lungo una delle più impor- In conclusione, se il procedimento di datazione dei reperti è corretto e se sono
tanti piste di passaggio dall’Africa all’Asia (foto n. 2). Ma soprattutto i sondaggi corrette o plausibili la lettura e l’interpretazione degli insediamenti catalogati
archeologici attivati sia sul plateau del monte (un altopiano alto circa 800-850 m. nell’area archeologica di Har Karkom, si può affermare, con un alto livello di
s.l.m. esteso 4,5 km lungo l’asse nord-sud e da 1 a 2,5 km sull’asse est-ovest) sia probabilità, che ci troviamo di fronte al più importante luogo di culto, cioè alla
alla base, hanno restituito un numero impressionante di reperti consistenti in pic- montagna sacra più significativa dell’epoca BAC di tutta l’area del Negev,
coli siti databili al periodo denominato BAC (Bronze Age Complex)6. Dei 1300 dell’Araba e della penisola sinaitica, allo stato attuale delle ricerche.
siti complessivamente catalogati ad Har Karkom, ben 300 sono datati all’epoca
BAC. Pertanto il sito archeologico di Har Karkom è caratterizzato sostanzialmen- La collocazione topografica del Sinai/Horeb secondo
te da un interesse relativo a un’epoca che si estende dal paleolitico superiore le tradizioni bibliche
all’inizio del Bronzo medio per poi ricomparire con qualche raro esempio di pre-
senza nomadica nell’epoca del Ferro fino a giungere al periodo bizantino e arabi- Un secondo passaggio nella costruzione della teoria consiste nella ricerca del-
co. Il gap cronologico per l’assenza di cultura materiale relativo al Bronzo medio la possibile collocazione topografica del monte Sinai/Horeb secondo le tradizioni
e recente è evidente non solo nell’area del sito di Har Karkom ma in tutta l’esten- bibliche9. Come è risaputo, le indicazioni topografiche del Sinai a sud della peni-
sione del deserto che caratterizza lo spazio di collegamento delle popolazioni
della Mezzaluna fertile. Così, nel contesto di una cultura materiale BAC tipica 7  Scoperti questi ultimi nel 1993 sull’altopiano. Si tratta di disegni fatti con ciottoli di grandi
della penisola del Sinai, del Negev e dell’Arava l’aspetto specifico di Har Karkom dimensioni rappresentanti segni geometrici e astratti oppure esseri antropomorfi e quadrupedi este-
si concentra sulle strutture che mostrano interesse per il sacro e la dimensione si sul terreno oltre 30 metri. Si vedono meglio dall’aereo e si pensa che siano delle offerte a un’in-
religiosa: dalla presenza di santuari privati, a simboli sacri e tumuli della testimo- visibile divinità uranica da parte dei popoli del deserto nell’età del Bronzo.
8  Cf. il capitolo: «Concordanze archeologiche e climatiche» in E. Anati, Esodo tra mito e
nianza, con ortostati, sovente antropomorfi, pietre con funzione di altare, strutture storia. Archeologia, esegesi e geografia storica (Studi Camuni 18), Capo di Ponte (BS) 1997,
249-250.
9  La difficoltà riscontrata nella storia della ricerca nel localizzare il monte Sinai non è data
4  La rilevanza accademica e scientifica dello scavo è attestata dagli articoli su Har Karkom, a tanto o solo dal fatto che ci si trova a contatto con racconti epici, per alcuni versi connotati da tratti
firma di Emmanuel Anati, nel terzo volume del 1993 e nel quinto volume supplementare del 2008 mitologici e leggendari, quanto piuttosto – secondo l’opinione di chi scrive – dalla volontà implici-
della prestigiosa enciclopedia: E. Stern et alii (ed.), The New Encyclopedia of Archaeological Ex- ta dei redattori del testo biblico di voler occultare la posizione geografica del monte Sinai/Horeb.
cavations in the Holy Land, III, Jerusalem 1993, 850-851; E. Stern et alii (ed.), The New Encyclo- Nulla di più stabile e immobile di un monte, di un monte imponente, eppure la Scrittura elabora una
pedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, V. Supplementary Volume, Jerusalem - forma di «teoria dei monti santi», una sorta di geografia teologica dei monti. Tutti i «monti santi»
Washington, D.C. 2008, 1899-1901. devono tendere verso il «monte santo» che Dio si è scelto in Gerusalemme, il «monte del Tempio»
5  Collocato all’estremità del palteau di Har Karkom, affacciato sull’immenso deserto di Paran, che ora è chiamato Sion (Is 2,3; Mi 4,2; Am 1,2; originariamente indicava la città di Davide sul
con un gruppo di ortostati antropomorfi in selce (sito archeologico: HK/86b). picco roccioso a sud di Gerusalemme, tra il Tiropeion e il Cedron), ora Moria (2Cr 3,1: da monte
6  Il periodo BAC si estende dal periodo del Calcolitico all’inizio del Bronzo medio (4000-2000 del sacrificio di Isacco in Gen 22,2 alla sua locazione in Gerusalemme). Entro questa lettura, il
a.C. circa). monte Sinai/Horeb è pensato in relazione con lo stesso «monte del Tempio» a Gerusalemme, in
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Foto 1: Profilo di Har Karkom

Foto 3: Incisione di un orante

quanto le parole dell’alleanza, le dieci parole scritte con il dito di Dio, transitano attraverso le mani
di Mosè e l’arca dell’alleanza dalla cima del monte Sinai/Horeb al Santo dei Santi sul «monte del
Tempio» (1Re 8; 2Cr 5,2–6,2). L’anello di congiunzione di questa traiettoria è rappresentato sinte-
ticamente, sul piano teologico, dal cantico di Mosè nel passaggio del mare dove è già presentato il
punto di arrivo di tutto l’itinerario sul monte dell’eredità, luogo di fondazione del santuario in Ge-
rusalemme (cf. in particolare Es 15,13.17). In un certo senso, si vuole mostrare che l’unica locazio-
ne che va riconosciuta e identificata, perché voluta da Dio, è quella del «monte del Tempio», cioè
la dimora di Dio: le altre alture sono «in cammino» verso quella! Il monte Sinai/Horeb è il monte
della rivelazione, della Parola di Dio e la Bibbia lo identifica più per la sua funzione che per la sua
localizzazione. Valga l’esempio del racconto neotestamentario della trasfigurazione, narrata dagli
evangelisti sinottici e localizzata dalla tradizione cristiana al monte Tabor nella bassa Galilea: il
contesto narrativo tracciato e le simbologie sottese fanno trasparire nella descrizione dell’«alto
monte» (Mt 17,1-8 e par.) l’identificazione del monte Sinai/Horeb inteso come «monte della rive-
lazione» al cospetto degli «uomini del monte Sinai/Horeb», Mosè ed Elia. A queste brevi note che
afferiscono alla mentalità ebraica dell’intenzione del redattore biblico di volere occultare la locazio-
ne del Sinai/Horeb si oppone la prassi del cristianesimo, già a partire dal sec. IV, quando insorse
Foto 2: Sito archeologico HK/86b: Santuario con selci del Paleolitico Superiore antico l’esigenza di ritornare ai luoghi sacri delle Scritture, cioè a partire da quando si riscontrano le prime
testimonianze dei pellegrinaggi antichi verso la Terra Santa (Anonimo di Bordeaux del 333; la
pellegrina di origine spagnola, Egeria del 380 circa).
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sola omonima sono documentate solo a partire dal III-IV sec. d.C. e identificano do13 – pascolava il gregge di suo suocero Ietro/Reguel, che era un sacerdote ma-
la montagna sacra, il Sinai/Horeb con il Jebel Musa ai cui piedi venne edificato, dianita proprio in quella regione. Ebbene, se si osservano le carte geografiche
in epoca giustinianea, il Monastero di Santa Caterina. Tale territorio, allo stato degli atlanti o delle monografie di settore che sostengono l’identificazione del
attuale delle ricerche archeologiche, appare ricco di insediamenti monastici e di monte Sinai/Horeb con Jebel Musa, a sud della penisola sinaitica, si percepisce
resti di chiese di epoca bizantina, ma nulla compare di epoche precedenti10. Re- subito l’evidente contraddizione nel collocare all’interno della stessa mappa le due
centi tentativi di rendere nuovamente plausibile nei dibattiti scientifici la locazio- locazioni: ad oriente, l’area di influenza della tribù di Madian nella zona dell’Ara-
ne tradizionale di matrice cristiana del monte Sinai/Horeb si basano sulla sola ba, comunque oltre Ezion Gheber, cioè il golfo di Aqaba e a sud della penisola
prova di una tradizione continuativa dai primi secoli della diffusione del cristiane- sinaitica, il Sinai/Horeb. Poiché la locazione della tribù di Madian è confermata
simo, ma non certo su attestazioni archeologiche cogenti11. da più testi nella Bibbia14 e la sua area geografica è identificata presso la regione
L’identificazione tradizionale del Sinai/Horeb presso il Monastero di Santa desertica dell’Araba, a nord della penisola arabica, ci domandiamo come si possa
Caterina non solo non può vantare una documentazione archeologica a sostegno, localizzare nella stessa mappa il monte santo, il Sinai/Horeb a una distanza minima
ma difetta anche rispetto alla narrazione del testo biblico: ovvero, le narrazioni di 150 km dalla locazione biblica di Madian. Nella logica del racconto biblico, i
bibliche, ci pare, escludano la possibilità che la montagna sacra dell’Esodo possa pascoli di Madian non potevano essere certo condotti presso un monte a una di-
essere topograficamente collocata a sud della penisola sinaitica. Il punto di mag- stanza così inverosimile! È evidente che la Bibbia quando pensa e localizza il
gior resistenza alla collocazione del monte Sinai/Horeb nel luogo tradizionale è il monte Sinai/Horeb lo vuole intendere in prossimità della tribù di Madian. Infatti,
rapporto documentato dalle attestazioni bibliche tra le popolazioni del deserto e il E. Anati nella relazione tra madianiti e monte Sinai/Horeb ha posto un anello
monte. E tra le popolazioni, quella che maggiormente è identificata topografica- fondamentale nella concatenazione del suo teorema. In effetti, dalla localizzazione
mente presso il monte Sinai/Horeb è la tribù di Madian. Infatti, se il monte Sinai della tribù di Madian dipende quella del monte Sinai/Horeb e non viceversa, e i
e il monte Horeb sono lo stesso monte o due monti relativamente vicini, come due sistemi sono tra loro collegati, secondo le indicazioni topografiche della Bib-
appare anche da tradizioni antiche12, Mosè – secondo il racconto del libro dell’Eso- bia. Metodologicamente parlando, questo dato che stabilisce una logica nella re-
lazione tra la topografia del testo e la topografia del territorio ci pare fondato e
10  Ci riferiamo all’area interessata dalla localizzazione tradizionale del Sinai/Horeb presso il rende così alquanto improbabile l’ipotesi classica dell’identificazione del monte
Monastero bizantino di Santa Caterina. Va precisato però che a nord di questa zona, nella direzione Sinai/Horeb con Jebel Musa.
ovest-est, dall’oasi di Feiran a Sheikh Faranj ritroviamo una serie di insediamenti tutti collocabili Pertanto, accanto e al di là delle molteplici annotazioni addotte da E. Anati,
nell’epoca del Bonzo antico con tipologia di ceramica assimilabile alla cultura materiale degli stra-
ti I-III di Arad nel deserto del Negev. In altre parole, non è tanto l’elemento distintivo della cultura
crediamo che se può essere esistito un monte ritenuto santo dalle popolazioni tri-
egiziana che si riscontra in questa zona della penisola sinaitica (come invece lo è per il sito di Sera- bali del deserto nell’epoca BAC questo debba essere, allo stato attuale della ricer-
bit el-Kadem più a nord con le famose miniere del turchese, il tempio della dea Hator databile ca, Har Karkom. E se il monte Sinai/Horeb di biblica memoria non è mera finzio-
all’epoca di Amenofis I della XII dinastia, nella prima parte del XX sec. a.C.), quanto quello di
cultura cananea in continuità con la cultura materiale semitica del Negev (cf. A. Negev, «Sinai», in
E. Stern et alii [ed.], The New Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land, III, cominciammo ormai a discendere dalla sommità del monte di Dio, sul quale eravamo saliti, per
Jerusalem 1993, 1384-1403). andare su un’altra montagna, unita a questo; il luogo si chiama in Choreb e vi si trova una chiesa»:
11  P.A. Kaswalder, La terra della promessa. Elementi di geografia biblica (SBF. Collectio Egeria, Diario di viaggio. Introduzione, traduzione e note di Elena Giannarelli (Letture cristiane del
minor 44), Jerusalem - Milano 2010, 42-53: è la trattazione più recente di geografia e topografia primo millennio 13), Cinisello Balsamo (Milano) 1992, 138.
biblica e ribadisce la tesi tradizionale della locazione del Sinai/Horeb basandosi sulle attestazioni 13  Cf. i testi di Es 2,15–4,19; 18.

della tradizione cristiana e delle prime mappe topografiche di epoca bizantina. Kaswalder, docente 14  La tradizione biblica fa derivare Madian da Abramo e da Chetura (Gen 24,2.4), antenato dei

presso lo Studium biblicum franciscanum di Gerusalemme, alle pp. 48-49 ricorda altre identifica- Madianiti, raffigurati come nomadi cammellieri all’epoca di Abramo. Conosciuti per i loro greggi
zioni del monte Sinai e tra queste riporta un piccolo accenno anche alla teoria di E. Anati: «Una e per il commercio dal ciclo narrativo di Giuseppe (Gen 37,28.36; Is 60,6). La locazione da parte
identificazione particolare è sostenuta da E. Anati che propone Har Karkom, non distante da Qadesh dei geografi è nell’Arabia del nord, a est del golfo di Aqaba ma l’unica annotazione precisa è posta
Barnea» (p. 48). nel racconto della fuga in Egitto di Hadad della stirpe regale di Edom. E si afferma che partì da
12  Girolamo nella versione latina dell’Onomastico di Eusebio spiega l’identità di Sinai e Horeb Madian con i suoi uomini (quindi lasciarono Edom ad est) e andarono in Paran e quindi in Egitto.
riferiti allo stesso monte, indizio per cui nell’antichità, Eusebio compreso, i due monti erano consi- È chiaro che l’itinerario è da est a ovest e i territori sono da Edom, a Madian, a Paran verso l’Egitto
derati distinti: «Horeb, monte di Dio nella terra di Madian, vicino al monte Sinai, oltre l’Arabia nel (1Re 11,18). I Madianiti fecero incursioni in Edom (Gen 36,25), in Moab (Num 22,4.7; 25,31) e
deserto; si incontrano il monte e il deserto dei saraceni, che si chiama Faran. A me però sembra che nella Palestina centrale (Gdc 6–8). La figura di Mosè è posta in relazione diretta con Madian (Es
con il duplice nome si chiama lo stesso monte, una volta Sinai e una volta Horeb» (Onomastico 2,15–4,19; 18). Madian però appare anche come nemico di Israele (Num 25,6-18; 31,1-12; Gs 1,21)
173,13-16). Si veda anche la descrizione della pellegrina Egeria che testimonia tale distinzione: «4.1 soprattutto nella storia di Gedeone (Gdc 6,1-6.33-35; 7–8) e l’espressione “il giorno di Madian” sta
- Soddisfatto completamente ogni desiderio per il quale ci eravamo affrettati a fare l’ascensione, ad indicare la sconfitta di Madian (Is 9,3; 10,26; Sal 83,10).
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ne letteraria, il procedimento di identificazione topografica deve necessariamente to biblico. Queste popolazioni, infatti, verrebbero identificate con quelle docu-
confrontarsi con i dati archeologici del territorio che mostrano una recessione mentate dal testo biblico nell’area analizzata. Pertanto, Amorrei, Horiti, Amaleci-
delle popolazioni del deserto lungo l’arco di tutto il II millennio a.C., epoca nella ti, Madianiti, Emei e, insieme, Israeliti entrerebbero sulla scena della storia nel
quale la tradizione biblica invece sembra collocare il ciclo dei patriarchi e dell’eso- deserto del Negev e nell’Araba all’epoca del Bronzo antico, antedatando così di
do fino a giungere al possesso della terra promessa. quasi un millennio i racconti esodici e dell’insediamento nella terra rispetto alla
teoria cronologica classica che registra la presenza di tali popolazioni solo a par-
L’ipotesi di Har Karkom come il monte Sinai/Horeb tire dal Bronzo recente.
della tradizione biblica Se le tradizioni bibliche descrivono la nascita e l’identità di Israele in relazione
a un evento di rivelazione della propria divinità su un monte santo, ritenuto tale
L’archeologia ricostruisce un assetto territoriale e di cultura materiale senza dalle popolazioni antiche del deserto, si può allora spigare nell’ipotesi di E. Anati,
necessariamente produrre identificazioni con precisi soggetti storici: abbiamo un che tale monte santo fosse esattamente il complesso di Har Karkom. Ammesso che
monte santo, chiamato dalla tradizione arabica «montagna delle moltitudini» o si possa identificare il Monte Sinai narrato dai libri biblici, l’ipotesi di Har Karkom
«montagna delle celebrazioni», abbiamo un’attestazione di popolazioni che l’han- appare come la più plausibile. Infatti, tra i punti di forza che le altre identificazio-
no abitato e ritenuto luogo di culto, ma non sappiamo come effettivamente fosse ni prodotte non hanno, ve ne sono almeno due: 1) le testimonianze archeologiche
chiamato quel luogo e come si denominassero tali popolazioni. Il rapporto tra di luoghi di culto che fanno di questo monte un «monte santo» e 2) le testimonian-
dati archeologici e testo biblico consiste nel «nominare» ciò che l’archeologia ze di tribù vissute in questo territorio che la Bibbia identifica con il territorio di
solo descrive e cataloga. Ma nel «nominare» si produce un’identificazione, nella Madian. Questi elementi sono il punto di partenza per gli sviluppi ulteriori della
pretesa che il racconto biblico esca dal testo, sua culla naturale, per entrare nel suo teoria di E. Anati a cui ora accenniamo.
contesto topografico e storico, stabilendo così una relazione con forme visibili e
documentabili. Tale procedimento, quando è applicato, stabilisce il rapporto tra la Har Karkom come il monte Sinai/Horeb quale perno per ridatare
documentazione scritta e le attestazioni archeologiche e rappresenta uno dei ver- la storia delle origini di Israele secondo la Bibbia
tici delle operazioni interpretative degli studiosi di antichità. E per questo motivo,
azioni analoghe a queste e, in specie nel campo dell’«archeologia biblica»15, sono Dall’ipotetica identificazione di Har Karkom con il monte Sinai/Horeb e
sovente oggetto di critica severa. dall’individuazione dei soggetti storici in campo – le popolazioni del deserto nar-
Già nel primo contributo su Har Karkom, pubblicato nella prestigiosa The New rate dalla storia biblica – E. Anati si confronta con le indicazioni topografiche
Encyclopedia of Archaeological Excavations in the Holy Land nel 1993, a conclu- offerte dal racconto di Esodo e Numeri; vi riscontra una grande coerenza misura-
sione dell’articolo, lo stesso E. Anati affermava: «In this writer’s opinion, the site ta sul campo – in virtù di una presenza cinquantennale nel deserto del Negev – e
should be identified with biblical Mount Sinai»16; e la bibliografia del 1993 e del ritiene, in sintesi, che chi ha redatto i testi biblici aveva ben presente le localizza-
2008 riporta tutti gli studi che sostengono le tesi che obbligano a ridiscutere com- zioni indicate nel tracciato storico17. A ritroso, vengono ipotizzati dei riferimenti
plessivamente le teorie delle origini dell’Israele antico a partire dalla localizzazio- di convergenza storica con l’Egitto, antecedenti il ciclo dell’Esodo. Il rapporto con
ne del monte Sinai/Horeb e dei cicli narrativi del deserto. l’Antico Regno egiziano, in particolare con la VI dinastia sotto il faraone Pepi I
L’identificazione del Sinai/Horeb con Har Karkom è in rapporto diretto, secon- (2333-2283 a.C.) – epoca nella quale abbiamo testimonianza di un comandante di
do E. Anati, con una topografia delle popolazioni del deserto alla luce del raccon- nome Uni che fece spedizioni punitive contro gli asiatici18 – presenta, secondo E.

15  L’espressione «archeologia biblica» è oggi tendenzialmente criticata perché avallerebbe una 17  Si veda per questo punto la trattazione in Anati, Esodo tra mito e storia e Idem, La riscoperta

dipendenza delle selezioni di scavo in rapporto a un universo testuale, quello biblico appunto. Lo del Monte Sinai, 57-67; tra le altre cose E. Anati a questo proposito afferma: «Vorremmo sottolineare
scavo archeologico ha un suo contesto topografico e culturale che non dovrebbe dipendere da una che non condividiamo l’idea di coloro che affermano che l’identificazione dei luoghi biblici è impos-
selezione canonica di testi. Per la discussione di questi aspetti si veda il cap. «Definizione e compi- sibile, o perfino che essi non hanno alcuna connessione con il territorio reale. Conoscendo il territorio,
to» in V. Fritz, Introduzione all’Archeologia biblica (Biblioteca di storia e storiografia dei tempi l’itinerario dell’Esodo come viene descritto nei libri dell’Esodo e dei Numeri, dalla terra di Goshen
biblici 7), Brescia 1991 [tit. or.: Einführung in die biblische Archäologie, Darmstadt 1985], 13-21. fino al Sinai e successivamente fino alla terra di Moab e a Gerico, appare essere riferito a luoghi reali
16  E. Anati, «Karkom, Mount», in E. Stern et alii (ed.), The New Encyclopedia of Archaeological che erano ben conosciuti dai viaggiatori al tempo della compilazione dei testi» (p. 57).
Excavations in the Holy Land, III, Jerusalem 1993, 851. L’articolo viene aggiornato con le scoperte 18  Cf. J.B. Pritchard (ed.), Ancient Near Eastern Texts Relating to the Old Testament, Princeton

più recenti dallo stesso E. Anati nel volume supplementare della stessa enciclopedia del 2008. 19693, 227.
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Anati, interessanti analogie con le narrazioni del ciclo dell’Esodo19. Così la vicen- natura di una documentazione scritta, un sito archeologico è anche testimonianza
da della schiavitù di Israele in Egitto offrirebbe la possibilità di ritrovare paralleli diretta della scena offerta agli eventi accaduti lungo il tempo della storia. Mentre
nei fatti narrati nel testo biblico con la cultura e la storia dell’Egitto all’epoca il testo racconta, basandosi sulle dimensioni spazio-temporali, il sito archeologico
dell’Antico Regno, in un periodo di mille anni precedente quello tradizionalmen- fotografa tali dimensioni in uno spazio preciso, ancor oggi visibile e misurabile,
te considerato come scena storica dell’Esodo. che diviene testimone di un tempo che non è più, ma che ha lasciato tracce di sé.
Lo spartiacque del monte Sinai/Horeb influisce anche sul mutamento cronolo- È il monte Sinai/Horeb un’invenzione narrativa di una montagna sacra funzio-
gico e sociale dell’epoca dell’ingresso nella terra. L’insediamento, nella forma nale alla fondazione storica di una tradizione legislativa di Israele, oppure esso è
della conquista armata e la relativa presa di possesso della terra, sarebbero confer- uno «spazio sacro» riconosciuto e ricordato dagli antichi testi biblici a partire da
mati, secondo E. Anati, dalla descrizione dei libri di Giosuè e dei Giudici. A un riscontro topografico oggettivo ed extratestuale? Come ogni identificazione di
quell’epoca, tra la fine del Bronzo antico e l’inizio del medio, in base ai sondaggi siti archeologici conosciuti dalle fonti antiche anche questa necessita di una coe-
archeologici, si ritroverebbe la convergenza cronologica delle distruzioni di im- renza attestata tra topografia intratestuale e topografia extratestuale, ovvero tra
portanti città presentate dal libro di Giosuè: Gerico, Ai e Hazor20. coordinate di spazio definite dalla narrazione e coordinate topografiche, culturali,
In tal senso, ci troveremmo di fronte a un’operazione originale e inedita nel cronologiche e di cultura materiale individuate dall’identificazione archeologica
quadro dei dibattiti sulle origini di Israele, nel tentativo di offrire una soluzione al del sito. In questo procedimento ritroviamo il punto di forza dell’operazione di E.
tradizionale conflitto tra dati dell’archeologia e racconto biblico, così come si Anati capace di porre la sua teoria a critica dell’identificazione tradizionale del
presenta nei libri di Giosuè e dei Giudici. L’identificazione del monte Sinai/Horeb monte Sinai/Horeb o delle altre identificazioni cresciute lungo la storia.
con Har Karkom provoca – come si è potuto vedere –variazioni significative del- Ma il conto da pagare per tale dislocazione del Sinai/Horeb nel cuore del de-
la storia biblica e del vicino oriente antico. Occorre porsi la domanda se l’identi- serto del Negev, a confine – secondo il racconto biblico – tra la tribù di Madian e
ficazione spazio-temporale di Har Karkom con il Sinai/Horeb debba trascinare di Amalek è alto. Significa destabilizzare le individuazioni topografiche e crono-
necessariamente con sé la conferma della concatenazione e della descrizione degli logiche (spazio e tempo) divenute patrimonio condiviso dalla storia e dall’esegesi
eventi della narrazione biblica che precede (epoca dei patriarchi e della schiavitù dell’Antico Testamento. Quali sono, dunque, le conseguenze concrete, i punti di
in Egitto) e dell’epoca che segue il racconto di Mosè al monte Sinai/Horeb (il forza e di debolezza della teoria di E. Anati per l’esegesi e la teologia?
cammino nel deserto, la conquista della terra e lo stanziamento in essa)? E poi
ancora: il riscontro topografico dei siti che sono citati nel testo biblico significa
necessariamente che gli eventi raccontati attorno ad essi siano accaduti «in quel La ricezione della teoria di Emmanuel Anati da parte
tempo» o non piuttosto e anzitutto che all’epoca del redattore tali siti esistessero e dell’esegesi e della teologia
costituissero lo strumentario topografico in virtù del quale collocare memorie fon-
dative della propria tradizione religiosa? Har Karkom per E. Anati rappresenta il
perno attorno al quale si diparte «un prima e un poi» della narrazione biblica e su La dimensione della storicità del testo biblico secondo
questo essa si regge e, nel contempo, «un prima e un poi» di uno spazio biblico l’ermeneutica biblica della tradizione cattolica
topograficamente coerente.
Ribadiamo i dati di sintesi: Har Karkom è una montagna, qualificata «sacra» Di fronte al ribaltamento cronologico e alla mutazione radicale dell’assetto
dall’interpretazione archeologica dei dati raccolti nelle pubblicazioni che fanno storico e sociale entro il quale sono collocate le origini di Israele secondo la teoria
capo al lavoro di E. Anati nell’arco di questi ultimi trent’anni. Come ogni sito di E. Anati, l’esegesi – ovvero la scienza che si interroga sul senso e sulle possibi-
archeologico, dimensione precisa nello spazio, Har Karkom è anche testimone di lità referenziali del testo biblico – e la teologia – disciplina che ne riconosce la
un tempo che non è più. Diversamente, ma in una modalità complementare alla sacralità e la trascendenza divina – dovrebbero raccogliere, almeno in linea teori-
ca, una serie di elementi positivi. Infatti, vagliata la possibilità che la storia di
19  Così pure altri riferimenti di analogia tra documenti egiziani e racconto biblico. Le analogie
Israele – per la parte relativa al ciclo dei patriarchi e dell’Esodo – non trovi anco-
vengono così ritrovate in un contesto antidatato di circa mille anni, all’epoca dell’Antico Regno. Cf. ramenti cronologici così oggettivi e fondati, tali da far dubitare di ogni tentativo
Anati, Esodo tra mito e storia, 245-248. di proposta alternativa, l’esegesi e la teologia, per statuto tradizionale, dovrebbero
20  Per questi aspetti si veda il cap. IX, «L’epos di Giosuè» in Anati, Esodo tra mito e storia,
riscontrare un immediato vantaggio nel constatare una continuità più diretta tra
191-212.
28 Silvio Barbaglia Har Karkom interroga l’esegesi e la teologia 29

referenza testuale e referenza storica, cioè tra ciò che il testo narra e il relativo ri- personaggi e i contenuti degli stessi, nella difesa del monogenismo, dell’atto cre-
scontro nelle testimonianze storiche e archeologiche21. Pertanto, indipendente- atore, del peccato originale, ecc.23.
mente da un’adesione o meno a un credo religioso, la posizione di E. Anati, così
come viene formulata, potrebbe offrire molteplici spunti positivi ad esegeti e teo- La tensione attuale tra ermeneutica biblica della tradizione cattolica
logi nella comprensione sempre più «realistica» del racconto biblico. e la linea di tendenza delle recenti posizioni accademiche in tema di
Naturalmente ci riferiamo a una teoria esegetica e teologica che fa capo alla storia delle origini di Israele
tradizione cristiana e, in specie, cattolica secondo la quale la dimensione della
storicità degli avvenimenti narrati è assolutamente fondamentale22. Si tratta dello Oggi, le posizioni ufficiali della Chiesa cattolica sono sicuramente più sfuma-
statuto epistemologico di una fede – direbbe il magistero e la teologia – fondata te, molte acquisizioni sono state accolte anche in seno alla prassi magisteriale, ma
sulla storia e sugli eventi e quindi non derivata da narrazioni mitiche o frutto di non è certo venuta meno l’istanza ermeneutica centrata sulla storicità dei racconti
mera fiction destoricizzante. Per questo motivo, i dibattiti che dal XIX al XX sec. biblici24.
si sono succeduti in materia di storicità dei racconti biblici hanno messo a dura Svincolate da queste preoccupazioni ermeneutiche si pongono invece quelle
prova l’esegesi e la teologia cattolica. La tesi teologica e magisteriale dell’inerran- pubblicazioni che negli ultimi decenni hanno prodotto una forma di de-storicizza-
za della Scrittura, in quanto «Parola» ispirata da Dio, si è trovata sempre più in zione sempre più radicale del racconto biblico sulle origini di Israele. A partire dal
conflitto con i guadagni dell’esegesi storico-critica. La preoccupazione «troppo ciclo dei Patriarchi, dell’Esodo, alle tradizioni della conquista fino alla storia
teologica» di un determinato concetto di storicità attribuito ai testi biblici ha pro- dell’insediamento di Davide in Gerusalemme e del regno unito si è assistito a una
vocato infatti uno scontro radicale, in particolare, con le cosiddette «teorie moder- forma di destrutturazione progressiva e sistematica dei capisaldi tradizionali che
niste» che si diffusero alquanto, oltre i consessi accademici, all’inizio del sec. XX. da millenni hanno definito le linee guida della storia del popolo di Dio, nella tra-
La risposta offerta dal Magistero della Chiesa cattolica alle questioni relative ai dizione ebraico-cristiana.
racconti delle origini vanno nella direzione di ritenere storici gli avvenimenti, i Se già all’interno dei dibattiti tra gli esegeti di professione, credenti e non cre-
denti, la tenuta «storica» delle narrazioni bibliche sembra vacillare seriamente, a
maggior ragione il dato è riscontrabile tra i contributi che provengono dagli stori-
ci e dagli archeologi del vicino oriente antico25. Un bilancio particolareggiato dei
21  Ricordiamo che l’attuale cronologia biblica dall’epoca dei patriarchi alla conquista della terra
diversi revisionismi storici relativi ai «dogmi» più o meno consolidati che hanno
ha poco più di un secolo di vita, da quando cioè si è iniziato a far coincidere l’epoca di Mosè con
quella dei faraoni Ramses II e Merneptah. A ben vedere la cronologia biblica conteggia il tempo di-
definito il layout della storia di Israele dalle sue origini lo si può ritrovare nell’ope-
versamente. Basti pensare che la costruzione del Tempio all’epoca di Salomone è cronologizzata ra di Keith Whitelam, L’invenzione dell’antico Israele26. E tra coloro che in questi
nell’anno quarto del suo regno (verso il 960 a.C.) e a 480 anni dopo l’uscita degli israeliti dall’Egitto
(1Re 6,1). Se si calcola questo dato secondo il nostro modello di computo cronologico l’Esodo
dall’Egitto sarebbe collocato nel 1440 a.C. circa, mentre le cronologie ormai tradizionali collocano 23  Si veda, come sintesi della posizione ufficiale del pontificato di papa Pio X a questo pro-

l’Esodo oltre 200 anni dopo, nel XIII sec. antecedente rispetto alla stele di Merneptah, figlio di Ramses posito, il «Decreto “Lamentabili” dell’Inquisizione» del 4 luglio 1907 intitolato: «Principali er-
II (1209 a.C.), che è il primo documento storico che cita esplicitamente Israele al di fuori dalla Bibbia. rori del riformismo o modernismo» in Filippi - Lora (ed.), Enchiridion Biblicum, n. 49, pp. 244-
22  A mo’ di esempio riportiamo la risposta alla questione rivolta alla Pontificia Commissione 259. Opponendosi alle 65 proposizioni del modernismo il documento vi include anche l’esclusio-
Biblica del 23 giugno 1905 in tema di «Narrazioni solo apparentemente storiche»: «Al seguente ne di un’ermeneutica e di un’esegesi biblica destoricizzanti. Si veda anche la condanna degli er-
dubbio presentato, il pontificio Consiglio per gli studi biblici ha ritenuto opportuno rispondere come rori modernisti all’interno dell’Enciclica «Pascendi» di Pio X (8 settembre 1907).
segue: Dubbio. Si può ammettere come principio di retta esegesi la sentenza che sostiene che i libri 24  Passando attraverso l’Enciclica «Humani generis» di Pio XII (12 agosto 1950), la Costitu-

della sacra Scrittura considerati storici, nella loro totalità o in qualche loro parte, talvolta non riferi- zione dogmatica «Dei Verbum» del Concilio Ecumenico Vaticano II (18 novembre 1965) e soprat-
scano la storia propriamente detta e oggettivamente vera, ma presentano solamente l’apparenza tutto il documento della Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chie-
della storia per significare qualcosa di differente rispetto al senso propriamente letterale o storico sa. Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II e Documento della Pontificia Commissione Biblica,
delle parole? Risposta. No, eccetto il caso, che non si deve ammettere facilmente o con leggerezza, Città del Vaticano 1993.
nel quale, senza opporsi al senso della chiesa e salvo sempre il suo giudizio, si provi con solidi ar- 25  La problematica è trattata in modo esplicito ad es. in L.L. Grabbe (ed.), Can a “History of

gomenti che l’agiografo non intese riferire una storia vera e propriamente detta, ma sotto il genere Israel” be Written? (European seminar in historical methodology 1, Journal for the study of the Old
e la forma di storia, intese proporre una parabola o una allegoria o qualche altro significato diverso Testament: Supplement series 245), Sheffield 1997.
dal senso propriamente letterale o storico delle parole. (Il giorno 23 giugno 1905, nell’udienza be- 26  K.W. Whitelam, L’invenzione dell’antico Israele. La storia negata della Palestina (Nuova

nignamente concessa ai due reverendissimi segretari consultori, sua santità ha ratificato la suddet- Atlantide), Genova 2005 [tit. or.: The invention of ancient Israel: The silencing of Palestinian histo-
ta risposta e ha comandato di pubblicarla)», in A. Filippi - E. Lora (ed.), Enchiridion Biblicum. ry, London 1996]. Segnaliamo inoltre anche la recente pubblicazione in lingua italiana di un’altra
Documenti della Chiesa sulla Sacra Scrittura (Strumenti), Bologna 1993, n. 44, pp. 224-225. opera che cerca di smontare le radici stesse dell’ideologia sionista posta alla base dell’autocoscien-
30 Silvio Barbaglia Har Karkom interroga l’esegesi e la teologia 31

decenni hanno attirato l’attenzione della critica internazionale su queste tematiche, co denunciano chiaramente modelli ermeneutici diversi e sovente tra loro incom-
va citato il noto archeologo israeliano Israel Finkelstein che rilegge il contesto patibili e, nel contempo, una confusione in atto nell’intendere le categorie stesse
genetico delle narrazioni delle origini di Israele come una forma di retroproiezio- attorno alle quali crescono le discussioni e le diatribe.
ne delle istanze teologiche e religiose dell’VIII-VII sec. a.C. e, in particolare,
dell’epoca del re Giosia27. E, nel contesto italiano, basti citare i contributi di Gio- La direzione controcorrente di E. Anati
vanni Garbini28 e di Mario Liverani29 per comprendere quanto la categoria di
storia, tradizionalmente intesa, applicata al testo biblico, si trovi oggi radicalmen- E. Anati in tutto questo, nonostante trent’anni di attività archeologica ad Har
te in crisi. A questo riguardo, M. Liverani, a principio del suo Oltre la Bibbia. Karkom, la mole notevole di pubblicazioni in tale direzione – se rapportata alle
Storia antica di Israele, afferma: altre scoperte archeologiche del vicino oriente antico31 – la pubblicazione ufficia-
le dei risultati degli scavi, recentemente editata32, è ancora, allo stato attuale, un
«Ancora una storia dell’antico Israele? Non ce ne sono già abbastanza? E archeologo e uno storico della religione d’Israele poco ascoltato, raramente citato
che senso ha una storia d’Israele scritta da un autore che non è neppure un e, conseguentemente, recensito con parsimonia nonostante le implicanze radicali
Alttestamentler di professione, ma uno storico dell’Antico Oriente? È vero, della sua teoria. Potremmo dire che la posizione di E. Anati, nell’attuale panora-
di storie dell’antico Israele ce ne sono già tante, magari troppe, ma tutte si mica degli studi, da una parte, farebbe il gioco dei «massimalisti»33, ma l’ipotesi
assomigliano tra loro perché tutte inevitabilmente assomigliano alla storia sostenuta è troppo distante dalla visione tradizionale della storia biblica struttura-
contenuta nel testo biblico. Ne assumono la linea narrativa, ne fanno pro- ta su un asse cronologico ormai reso universale da secoli; dall’altra, sarebbe disap-
pria la trama, anche quando debbono constatarne criticamente l’inattendi- provato dai «minimalisti» per il tipo di metodologia adottata, identificata in una
bilità storica»30.
forma palese e diretta di «concordismo biblico», tra reperti archeologici e pagine
bibliche34.
Dibattiti tra esegesi aconfessionale e posizioni confessionali, tra approcci sto-
rico-critici e approcci teologici, tra minimalismo e massimalismo storico-esegeti-

za dello Stato di Israele e tende a mettere in luce le logiche sottese alle molteplici operazioni che
hanno definito l’autocoscienza di Israele, dal tempo della Bibbia al sec. XX: S. Sand, L’invenzione
del popolo ebraico, Milano 2010. 31  Nell’ultima pubblicazione in traduzione italiana di Anati, La riscoperta del Monte Sinai si
27  Si veda in particolare: I. Finkelstein - N.A. Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra
contano di E. Anati quasi una settantina tra monografie, saggi e articoli relativi ad Har Karkom e
storia e mito (Saggi 14), Roma 2007 [tit. or.: The Bible Unearthed. Archaeology’s New Vision of un’ottantina tra monografie, articoli e recensioni di altri autori.
Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts, New York 2002]. 32  E. Anati - F. Mailland, Archaeological Survey of Israel. Map of Har Karkom (229), Sinai
28  G. Garbini, «“Narrativa della successione” o “storia dei re”?», Henoch 1 (1979) 19-41;
Project. Italian Archaeological Experition to Israel, Génève - Cemmo di Capodiponte 2009.
«Attestazioni epigrafiche su Jahvé e Jahvismo», Rivista Biblica 28 (1980) 79-88; «Dati epigra- 33  La distinzione tra «massimalisti» e «minimalisti» in sede di storiografia dell’antico Israele è
fici e linguistici sul territorio palestinese fino al VI sec. a.C.», Rivista Biblica 32 (1984) 67-83; data dal rapporto di continuità o di discontinuità tra attestazione testuale del racconto biblico e riscon-
Storia e ideologia nell’Antico Israele (Biblioteca di storia e storiografia dei tempi biblici 3), tro archeologico. Negli ultimi decenni gli scavi archeologici nel territorio siro-palestinese hanno pro-
Brescia 1986; I Filistei. Gli antagonisti di Israele (Orizzonti della storia), Milano 1997; Mito dotto un’inversione di rotta rispetto all’ottimismo biblico-archeologico della prima parte del secolo
e storia nella Bibbia (Studi Biblici 137), Brescia 2003; Scrivere la storia d’Israele. Vicende e scorso. Da una prospettiva di scavo che tendenzialmente era tesa a confermare il racconto biblico a un
memorie ebraiche (Biblioteca di storia e storiografia dei tempi biblici 15), Brescia 2008. approccio «laico» che invece ha messo sempre più in discussione la possibilità di un rapporto realista
29  M. Liverani, «Implicazioni sociali nella politica di Abdi-Ashirta di Amurru», Rivista degli
tra racconto biblico e storia effettiva. La scuola «minimalista» è quella che in questi ultimi decenni
Studi Orientali 45 (1965) 267-277; M. Liverani et alii (ed.), L’alba della civiltà. Storia, economia e progressivamente ha prodotto contributi che tendono a decostruire sistematicamente la visione classi-
pensiero nel Vicino Oriente antico, II, Torino 1976; M. Liverani, «Un’ipotesi sul nome di Abramo», ca delle origini di Israele ricalcate sulla narrazione biblica. Si tratta anzitutto di Thomas Thomson, Neil
Henoch 1 (1979) 9-18; «Le “origini” d’Israele. Progetto irrealizzabile di ricerca etnogenetica», Rivista Peter Lemche dell’Università di Copenaghen e di Philip Davis dell’Università di Sheffield.
Biblica 28 (1980) 9-32; Antico Oriente. Storia, Società, Economia, Bari 1988; «Terminologia e ideo- 34  Basterebbe leggere il giudizio di I. Finkelstein e di N.A. Silberman che con queste parole
logia del patto nelle iscrizioni reali assire», in L. Canfora et alii (ed.), I trattati nel mondo antico. concludono l’Appendice B del loro fortunato testo circa la veridicità dei racconti esodici e del
Forme, ideologia, funzione (Saggi di Storia Antica 2), Roma 1990, 113-147; Idem (ed.), Le lettere di monte Sinai: «Sembra quindi che la combinazione del panorama maestoso e delle condizioni
el-Amarna. Vol. I: Le lettere dei “Piccoli Re” (Testi del Vicino Oriente antico 2.3.1), Brescia 1998; Le ambientali relativamente favorevoli (della regione montuosa del Sinai, ndr) abbia incoraggiato il
lettere di el-Amarna. Vol. II: Le lettere dei “Grandi Re” (Testi del Vicino Oriente antico 2.3.2), Brescia pellegrinaggio e la continua venerazione di località situate in questa parte della penisola del Sinai.
1999; Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele (I Robinson / Letture), Bari 2009. Il potere del racconto biblico del monte Sinai ha sempre incoraggiato i tentativi di identificare
30  Liverani, Oltre la Bibbia, vii.
delle singole località. Questi tentativi, tuttavia, rimangono nell’ambito del folclore e della specu-
lazione geografica, non dell’archeologia», in: Finkelstein - Silberman, Le tracce di Mosè, 340. Si
veda anche, in particolare, da p. 76.
32 Silvio Barbaglia Har Karkom interroga l’esegesi e la teologia 33

E così la posizione di E. Anati rischia paradossalmente di restare al di fuori dei Diciamo che in tempi diversi, un’esegesi e una teologia biblica di area cattoli-
dibattiti accademici in atto lungo questi anni. Infatti, si registrano sostanzialmente ca avrebbero colto immediatamente i vantaggi ermeneutici della teoria di E. Ana-
esposizioni della sua teoria a senso unico, funzionali certamente a farla conoscere, ti nella difesa di una continuità tra testo, topografia e realtà storica. Ma oggi la gran
ma ancora pochi tra gli studiosi hanno accolto l’invito a discuterla, accettarla o parte delle posizioni dell’esegesi e della teologia insegnate nelle Facoltà pontificie
contrastarla; semplicemente, per lo più è ignorata, dai «massimalisti» ai «minima- o negli Studentati teologici ecclesiastici38 perseguono una linea che potremmo
listi», da un estremo all’altro delle teorie in atto. definire «media», che cerca cioè di accogliere dalla storia biblica tanto quanto non
Eppure, sebbene le ipotesi di localizzazione topografica del monte Sinai/Horeb sconfini oltre il verosimile, al punto da dover rendere inaccettabile una ricostru-
si aggirino attorno alla ventina, questa di E. Anati, a nostra conoscenza, è l’unica zione storica dell’evento e, nel contempo, cerchi di mostrarsi aggiornata rispetto
che porta con sé conseguenze così rilevanti sull’intera storia delle origini di Isra- alle nuove teorie «minimaliste» cresciute in questi ultimi decenni39.
ele. Essa infatti conduce a ripensare, accanto all’aspetto topografico, tutto ciò che In tale contesto potremmo indicare una via minima che la scoperta di Har Kar-
la Bibbia narra prima e dopo l’evento del Sinai. Una collocazione spazio-tempo- kom può comportare per gli studi biblici. Ciò che in definitiva è Har Karkom,
rale così unica fa della teoria di Anati, tra tutte, la più intrigante ma, nel contempo, indipendentemente dalla storia biblica – cioè il luogo sacro più importante per le
probabilmente, la più difficile da accettare. Sì, perché ciò che viene sostenuto popolazioni del deserto del Negev nei tempi remoti – può divenire il dato essen-
obbliga a una riscrittura dell’intera storia del vicino oriente antico o, quantomeno, ziale anche nei dibattiti attuali sulle origini di Israele. Ipotizzare che la memoria
alla riscrittura delle origini di Israele a confluenza con un tessuto sociale mesopo- di un monte ritenuto sacro dalle popolazioni antiche del deserto potrebbe contri-
tamico ed egiziano fotografato circa un millennio antecedente rispetto alle coor- buire a comprendere la genesi delle tradizioni dell’origine della religione Jahwista
dinate tradizionalmente accolte da tutti i libri di storia. proveniente dal sud e dal deserto40 è, tutto sommato, ciò che può essere esportato
La teoria complessiva dunque – nonostante le molteplici pubblicazioni ad essa in «modo indolore» negli attuali dibattiti che tendono sempre più a riconoscere
dedicata, la recente illustrazione ufficiale degli scavi, le varie riprese televisive e i nella redazione finale, in epoca recente, un’ideologia funzionale alla fondazione
lanci mediatici di importanti quotidiani35 – non riesce a scalfire i livelli accademi- storica di tradizioni attestate. In questo senso Har Karkom può divenire il candi-
ci, laici e confessionali, dei dibattiti. E quindi, se in linea teorica, l’esegesi e la dato princeps tra i monti sacri del deserto anche per chi non è disposto a rimettere
teologia cattolica dovrebbero mostrarsi interessate favorevolmente in senso posi- in gioco tutto il sistema storico, cronologico, archeologico e sociale del vicino
tivo a una «teoria confermativa» rispetto al rapporto di continuità tra Bibbia e oriente antico. Il «minimalismo» biblico rivolto ad Har Karkom potrebbe essere
storia, concretamente, si riscontra invece un interesse ancora troppo flebile e qua- foriero di un vantaggio non indifferente: quello di riconoscere a questo monte un
si impercettibile al di fuori della cerchia di esperti e volontari che già collaborano ruolo così particolare tale da poter essere stato il luogo ispiratore di racconti di
o hanno collaborato allo scavo di Har Karkom36. L’eccessiva posta in gioco origine confluiti tra i testi sacri e fondativi dell’Israele antico. La volontà di sepa-
dell’ipotesi produce, paradossalmente, un abbassamento di interesse tra le prospet- rare metodologicamente la cronografia, unita al racconto degli eventi biblici dalla
tive e i dibattiti in atto: la rivoluzione dell’asse cronologico e storico, la deriva funzione sacrale di Har Karkom, individuata dall’analisi archeologica, potrebbe
biblico-concordistica e la conclamata radicale conferma della veridicità storica dei permettere un ingresso almeno minimo della prima parte della teoria di E. Anati
più antichi racconti biblici fanno di E. Anati una «voce che grida nel deserto» da nei dibattiti sulle origini della religione di Israele. In tale direzione potrà accadere
trent’anni, e resta per lo più inascoltata37. che Har Karkom ricominci effettivamente a interrogare l’esegesi e la teologia in-
dipendentemente dalla teoria biblica e storica elaborata da chi l’ha fatto conoscere
quale sede del più antico santuario del vicino oriente e luogo di culto delle popo-
lazioni dell’epoca BAC.

35  Nel panorama italiano va sottolineato tra tutti l’articolo pubblicato su Avvenire a firma di 38  Ci riferiamo al caso italiano che conosciamo meglio.
Lucia Bellaspina, il 3 agosto 2010 dove, attraverso un’intervista ad E. Anati, implicitamente si offre 39  Nel contesto italiano vanno annotate, in particolare, le riflessioni avanzate negli atti dei Con-
un avallo all’ipotesi espressa. vegni di studi veterotestamentari che, sotto la guida di Gian Luigi Prato, hanno prodotto in questi ul-
36  La stragrande maggioranza delle pubblicazioni riportate nella bibliografia più aggiornata su
timi trent’anni, con cadenza biennale, una ricerca su tematiche vicine agli aspetti qui dibattuti. Per
Har Karkom mostra questo dato. cogliere la prospettiva cresciuta anche nei dibattiti interni all’esegesi e alla teologia si può considerare
37  Si veda anzitutto una breve riflessione metodologica sul rapporto tra archeologia e Bibbia di
il seguente volume: G.L. Prato, Identità e memoria nell’Israele antico. Storiografia e confronto cultu-
Antonio Bonora in Bibbia e Oriente 26 (1984) 215-217; inoltre, una delle prime recensioni alle rale negli scritti biblici e giudaici (Biblioteca di storia e storiografia dei tempi biblici 16), Brescia 2010.
posizioni di E. Anati: G.L. Prato, in Civiltà Cattolica 1986/I, pp. 298-300; posizione sostanzialmen- 40  Basti pensare come tale ipotesi potrebbe agganciarsi alla nota teoria Madianita e Kenita
te ribadita qualche tempo dopo anche da G. Ravasi.
34 Silvio Barbaglia Har Karkom interroga l’esegesi e la teologia 35

Dall’osservatorio di chi scrive ciò che sembra mancare nel dibattito attuale non Entrare e uscire dal testo biblico è l’alternanza interpretativa che da sempre i
è tanto la conoscenza dei dati biblici, storici e archeologici che posti a confronto lettori pongono in essere: introdurre o introdursi alla comprensione di un testo,
paiono sovente in contraddizione in molti punti e neppure l’informazione sulle attrezzati di conoscenza e forma mentis guadagnate dal contesto è l’operazione
diverse e contrapposte teorie in campo, quanto piuttosto una teoria ermeneutica indispensabile per riconoscere la natura originariamente storica di ogni testualità,
all’altezza della richiesta avanzata da parte degli studiosi; una teoria capace di compresa quella sacra; di converso, uscire o portar fuori dal testo il messaggio in
articolare le logiche distinte e complesse della testualità antica, di un testo cano- esso contenuto è il compito precipuo dell’esegesi – in accordo con il suo signifi-
nicamente trasmesso quale è il testo biblico, atta a configurare un mondo di senso cato etimologico –; quest’operazione è altrettanto indispensabile per riconoscere
che chiede di essere decodificato nelle sue intenzionalità storiche, all’interno di la natura «altra» della testualità rispetto alle conoscenze, precomprensioni e attese
una propria e specifica teoria del tempo e della storia. Solo allora, nella reciproca di ogni lettore. Nella ricerca di questa natura «altra» del modo con il quale la Bib-
distinzione e autonomia dei sistemi di comprensione (quello del mondo del testo bia pensa le origini di Israele ci pare ci sia ancora molta strada da compiere nella
biblico e quello del mondo della storia del vicino oriente antico) sarà possibile direzione di un lavoro epistemologico ancora troppo carente in sede di dibattito
articolare un rapporto prolifico e creativo nell’interazione dei sistemi.41 Ma ci storico, storiografico e archeologico.
pare di dover dire che il cammino è ancora lungo…

Silvio Barbaglia
Conclusione. L’alterità di senso del testo biblico rispetto Docente di Scienze Bibliche, Seminario San Gaudenzio, Novara
al tema delle origini di Israele

Nella teoria di E. Anati il passaggio dal contesto topografico e archeologico di


Har Karkom al testo biblico ha provocato un ribaltamento radicale del modo di
immaginare e di leggere la storia biblica. Tenere separati i due sistemi può essere
– allo stato attuale dei dibattiti – la via più efficace perché Har Karkom inizi a ri-
coprire un ruolo significativo nello studio della memoria culturale di Israele sulle
proprie origini. Da qui le teorie – in risposta alle questioni sopra ricordate – po-
trebbero moltiplicarsi, aggiungersi e confrontarsi con quella già elaborata da E.
Anati. E ciò che rimarrebbe al centro del dibattito è la funzione di Har Karkom
nella ricostruzione della storia della religione di Israele: un elemento nuovo che si
inserisce nel più ampio quadro dei tratti essenziali da non trascurare per un’intel-
ligenza storica, esegetica e teologica delle origini di Israele. Ma, come abbiamo
già sottolineato, il rischio in atto è quello contenuto nel noto proverbio popolare
del «buttare via il bambino con l’acqua sporca», cioè a motivo dell’eccessiva
posta in gioco della teoria storica e biblica di E. Anati «buttar via» anche il deci-
sivo ruolo sociale e religioso rappresentati dal sistema Har Karkom. E per ripen-
sare nuove strade di valorizzazione del ruolo di Har Karkom occorre anzitutto ri-
portare l’attenzione sulle logiche redazionali del testo biblico.

delle origini dello Jahwismo (H. Gressmann, Mose und seine Zeit. Ein Kommentar zu den Mose-
Sagen, Göttingen 1913).
41  Per questi aspetti metodologici cf. S. Barbaglia, «Tempo e storia», in R. Penna et alii (ed.),

Temi teologici della Bibbia (I Dizionari San Paolo), Cinisello Balsamo (Milano) 2010, 1363-1371.

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