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Le R.I. sono una disciplina teorica che individua regole generali a prescindere dal contesto storico e
geografico. L’obiettivo è quello di tracciare regole applicabili in qualsiasi contesto e l’ambizione è quella di
prevedere il comportamento futuro dei personaggi dello scenario internazionale. Vengono elaborati dei
modelli di comportamento per coloro che governano.
Le R.I. appartengono di più alle scienze politiche più che alle storiche, la storia serve per valutare se le
teorie sono applicabili nella realtà.
Sono una disciplina giovane (fine ‘800 – inizio ‘900) che nasce nelle università degli USA, che in quel periodo
emergevano come leader a livello mondiale regole che legittimino la loro potenza e giustifichino il loro
ruolo.
Gli USA sono uno stato giovane, senza il peso dell’antico passato. Inventano quindi un approccio ai
problemi politici che “rifiuta” la storia, perché non ne hanno bisogno teoria delle R.I.
La teoria delle relazioni internazionali esclude la storia in maniera da creare modelli distaccati delle singole
esperienze storiche per creare teorie applicabili in ogni epoca, creare un modello universale. Relazioni tra
nazioni in termini di interazioni fra poteri, a prescindere dal contesto.
La T. delle R.I. va a cercare i punti in comune tra le varie potenze, ad esempio similitudini strettamente
istituzionali, laddove cultura e storia potrebbero impedire un contatto.
Si differenzia dalla storia delle R.I. perché essa riguarda le dinamiche e i processi che hanno condizionato le
relazioni fra le nazioni.
13-09
Utilizzeremo i due metodi della teoria e della storia delle RI, attraverso questo gioco di confronto tra la
teoria e la pratica, che corrispondono ai due volumi che dobbiamo studiare.
Noi italiani ed europei siamo più avvantaggiati ed aiutati nella sensibilità ad usare il dato storico, rispetto
agli USA, perché la tradizione italiana di studio delle RI ha sempre fatto e continua a fare riferimento ai
contesti ed a usare il dato storico.
Ci sono dei punti di incontro fra i due approcci, e sono rappresentati dall’identità degli oggetti di studio: sia
che facciamo un discorso teorico e sia che utilizziamo un approccio storico, spesso gli oggetti di studio sono
gli stessi e corrispondono ad alcune parole chiave attorno alle quali ruota il mondo delle RI: Stati, nazioni.
Stato e nazione non necessariamente coincidono tra loro: lo stato è una rappresentazione istituzionale, una
organizzazione politica; la nazione è una comunità dal punto di vista linguistico, culturale e sociale.
Stati all’interno dei quali ci sono più nazioni: Spagna.
Nazioni che non hanno uno stato o che insistono sul territorio di più stati: Armeni, nazione ebraica.
Poi c’è un terzo campo ancora diverso, meno formalizzato perché non è disciplina di insegnamento, quello
della Politica internazionale, che è la cronaca dei fatti che accadono sullo scenario internazionale, è
l’attualità. Quindi non è interpretazione dei fenomeni internazionali ma è il racconto di quello che sta
accadendo, diventa materia di studio solo quando la distanza nel tempo diventa sufficiente per offrirci una
documentazione e un quadro d’insieme sufficientemente ampio per costruire una interpretazione.
Molto spesso i documenti della P. internazionale sono segreti.
Teorie delle RI: sono una materia che appartiene ad un campo più vasto, quello delle scienze sociali, tutte
le scienze che si occupano di studiare i comportamenti umani. Ci fa capire che alla base delle TdRI non c’è
solo una riflessione di tipo tecnico su che cosa accade sullo scenario internazionale, ma hanno ben presente
che “gli attori” della politica int. (organizzazioni internazionali, stati, nazioni, dittatori, ecc) comunque sono
sempre uomini, persone che si organizzano e uniscono politicamente.
Lo stato non è una entità teorica, è composto da persone che prendono decisioni, che a loro volta sono
influenzate dall’opinione pubblica o dal parlamento. Es: meccanismo della paura: strumento primordiale
che fa scattare determinati comportamenti nell’uomo singolo e comunità: la paura è un meccanismo che
antropologicamente attiva una reazione di difesa. Questo comportamento è lo stesso che si verifica in
alcune ipotesi in cui insorge una guerra, in cui si inizia una guerra per paura di essere attaccati dal nemico
(Saddam in Iraq con bombe chimiche – abbattimento del suo regime per paura di quella minaccia).
Un altro problema delle RI riguarda la periodizzazione, cioè l’arco di tempo sul quale si costruiscono queste
teorie. Il mondo è cambiato nei secoli e crea continuamente delle situazioni nuove. Quindi diventa ancor
più difficile trovare delle linee di tendenza sempre applicabili. Di conseguenza un’altra caratteristica che è
allo stesso tempo un limite delle RI è quella di adottare come periodo di studio un arco cronologico
relativamente breve, rispetto alla storia delle RI. Le teorie delle RI generalmente scelgono come periodo di
studio l’età della globalizzazione (tecnicamente è l’effetto della velocità delle comunicazioni che si è avuta
a partire dall’800). Nell’approccio della TdRI in realtà la globalizzazione è iniziata molto prima, cioè a partire
dai viaggi e dalle esplorazioni geografiche, quelli sono stati i primi segnali di questo mondo che si allargava
a partire dall’Europa.
Uno degli strumenti degli indicatori fondamentali per capire le RI, è il fenomeno della guerra. La guerra è
un indicatore e segnale di come si trasforma lo scenario internazionale. Ogni volta che c’è stata una guerra,
è stata poi seguita da un cambiamento. La guerra è il corrispettivo sullo scenario internazionale dell’istinto
naturale che ha l’uomo di difendersi e offendere. Se guardiamo alla storia, di guerre ce ne sono state
sempre e comunque, non c’è mai stato un periodo di pace ininterrotta. Quindi quali di queste guerre sono
veramente degli indicatori per capire le trasformazioni del sistema internazionale? Se proviamo a
classificare tutte le guerre del nostro pianeta, dentro questo arco di tempo di 500 anni della
“globalizzazione”, e le classifichiamo in base alla loro grandezza (misurata su tanti elementi: morti, armi,
ritmo economico, ecc) ci accorgiamo che le guerre che hanno influito in maniera più sistemica sullo
scenario internazionale e con risultati a livelli mondiali, si concentrano in alcune fasi ben definibili: con
cadenza secolare, a partire dalla metà del ‘500, in modo tale da consentire l’individuazione di diverse fasi
che si sono succedute fra di loro: 1 fase, che si conclude intorno alla prima metà del ‘500 (formazione stato
moderno, guerre di religione, Carlo V, ecc), è un periodo che a partire dall’assetto che si realizza nella prima
metà del 500 riesce a garantire una relativa stabilità del sistema internazionale (prevalentemente europeo),
attraverso la garanzia offerta dalla alleanza fra la monarchia spagnola e la religione cattolica.
Questo sistema entra in crisi con la guerra dei trent’anni (1618), ultima grande guerra di religione
(protestanti vs cattolici). A seguito, si sostituisce alla stabilità internazionale garantita dalla religione, una
garantita dall’equilibrio fra tutti gli stati che hanno grossomodo le stesse dimensioni e che scongiurano il
pericolo di una superpotenza come era stata la Spagna di Carlo V (monarchia spagnola viene divisa).
Questa cosa dura fino al 1792 con Napoleone, compare una nuova superpotenza, si va avanti fino al 1914
con le due guerre mondiali, ecc.
È un sistema criticabile ma ha il vantaggio di dimostraci che le grandi guerre sistemiche si verificano quando
non funzionano più i criteri prima adottati per stabilizzare l’ordine internazionale. Queste guerre sistemiche
si sono verificate quando il sistema fino a quel momento adottato non bastava più a garantire la pace.
Dal punto di vista teorico questo significa che possiamo considerare la guerra come una sorta di “febbre”
dell’organismo internazionale e nello stesso tempo preannuncia il fatto che terminata quella guerra verrà
adottato un sistema di regole per governare il mondo e garantire la stabilità, che cercherà di rimediare agli
errori del passato. La guerra è anche il segno di una crisi del sistema internazionale che apre la strada a
nuove regole che cercano di stabilizzarlo. Dal punto di vista della teoria, questo tipo di guerra ha una
valenza positiva perché ci mostra un momento di svolta e assume un nome tecnico nella teoria delle RI
perché viene chiamata guerra costituente (va a costituire un nuovo ordine internazionale).
Ma le teorie delle RI vogliono fare una prognosi e trovare delle regole costanti nel tempo: sempre
procedendo a quest’opera di astrazione, ci accorgiamo che ogni 100-130 anni nel nostro mondo globale si è
verificata una guerra costituente che ha prodotto un cambiamento sistemico. Se questa è la tendenza,
allora la tendenza è anche a ripetersi, di questo fenomeno. Quindi i teorici delle RI ci dicono che verrà
un’altra guerra costituente che rappresenterà l’apice della crisi del sistema internazionale e getterà le basi
per un nuovo sistema che garantirà stabilità. Questo è il punto attorno al quale si arrovellano gli studiosi
delle RI, capire quando si arriva a questo punto, anche perché ormai sono cambiati i modi di fare le guerre.
Ma a che punto siamo? Questa crisi che ci sta accompagnando, è una crisi che porta di nuova verso l’alto o
verso la distruzione di un mondo come era stato creato dopo la II guerra mondiale, verso un nuovo assetto
di stabilità? Quale sarà il soggetto che dovrà garantire la stabilità nel sistema internazionale?
OGGETTI DI STUDIO
19/09
Solo gli stati sovrani diventano dei soggetti capaci di concludere trattati e accordi internazionali, perché
solo questi presentano delle caratteristiche di affidabilità (stabilità del governo) che spingono un altro
soggetto delle RI a stringere degli accordi, anche se poi si tratta di uno stato tiranno e dispotico. È più facile
fare un accordo con un paese non democratico ma stabile (Russia, Assad ecc.) piuttosto che con una
democrazia fragile dove non sai cosa può accadere il giorno dopo.
Nell’occidente, in realtà gli stati sono tutti piccoli. Europa e Americhe sono tutti stati piccoli
territorialmente. Gli Stati Uniti sono una federazione di tanti stati che sono uniti ma non sono super stato.
Ogni volta che nella storia è apparso all’orizzonte un super stato (Carlo V, Napoleone, il terzo impero di
Hitler, quello sovietico, ecc.) noi immediatamente abbiamo associato a quel grande territorio, che
annullava i piccoli stati, il dispotismo, la tirannia, la dittatura…
Questa idea dello stato, soggetto fondamentale della politica internazionale, viene usata da tutti però è
stata prodotta dall’occidente, non è completamente un’idea neutra, ma si porta dietro 2000 anni di storia
occidentale. Ci porta quindi a guardare in un determinato luogo ciò che è diverso, in primo luogo le società
orientali: la loro non è soltanto una differenza geografica ma è una differenza tra diverse concezioni del
mondo e anche delle RI. Notiamo che l’oriente è sempre tendenzialmente formato da grandi stati, quando
in oriente c’è uno stato piccolo allora ci sembra più amico (Giappone vs Cina) e paragonabile a ciò che
conosciamo. Solo sulla base di queste diversità associamo a questi grandi territori il fatto che nella storia
sono sempre stati molto più a lungo di noi territori nomadi abitati da popolazioni nomadi. Quindi se per noi
stabilità è cultura urbana (quindi residenzialità e democrazia), per noi diventa instabilità politica una realtà
nella quale non esiste un tipo di organizzazione politica stanziale (es: Gheddafi in Libia faceva esattamente
la cosa che in occidente si faceva nel medioevo: con la sua tenda si spostava di volta in volta nei territori dei
vari clan che formano la Libia per controllare il territorio).
Indicatori che vengono usati nell’analisi delle RI per realizzare questa operazione di costruire delle teorie
rendendo paragonabili tra loro situazioni diverse. Nel corso del tempo in cui si è costruita la disciplina delle
RI, nel momento in cui si passava dalla teoria alla pratica, ci si rendeva conto che era necessario adottare
dei correttivi.
STATO
14 punti di Wilson: indica un percorso attraverso il quale pacificare il mondo a conclusione della guerra e
ridisegnare la geografia politica dell’Europa sostituendo agli antichi avversari dei paesi amici degli USA. Al
posto dei grandi imperi europei bisognava mettere dei piccoli stati che si ispirassero agli stessi principi di cui
si facevano portatore gli USA. Ogni nazione sufficientemente ampia ha diritto ad avere in Europa il proprio
stato (principio della nazionalità). Questo è il cardine su cui si cominciarono a costruire le teorie delle RI
all’inizio del ‘900. Una teoria che legittimava come principale ed unico soggetto della politica internazionale
lo stato che avesse le caratteristiche pensate nei 14 punti di Wilson: uno stato che fosse
contemporaneamente una nazione, che avesse sovranità verso interno e indipendenza verso esterno, ecc.
Contemporaneamente però si riusciva per la prima volta a creare un sistema il più possibile uniforme anche
se modellato sull’esperienza americana. Non è un caso che proprio Wilson fu il primo a inventarsi
l’antenata delle nazioni uliti, che è la società delle nazioni: una delle conseguenze della fine della prima
guerra mondiale fu l’invenzione di questa società, un luogo ideale in cui si ritrovavano tutti i paesi uguali tra
di loro, che condividevano gli stessi principi di tipo politico. Si rende teoricamente tutti uguali.
Il vantaggio è che questa esperienza ha rappresentato una esperienza di pacificazione, così le Teorie delle
RI sono riuscite a contenere e poi espellere il problema delle dittature nate con il secondo conflitto
mondiale, ma contemporaneamente questo modello in sé aveva già delle criticità che la storia del ‘900 era
destinata a dimostrare rapidamente all’interno delle TdRI: vuoi entrare nel meccanismo? Devi vestirti da
stato effetto sul decolonialismo: tutto il mondo coloniale comincia a sviluppare delle aspirazioni
nazionali o di indipendenza nei confronti delle potenze coloniali, è spinto a vestirsi sotto la forma di Stato,
anche se erano culture che non ne sapevano nulla di stato.
Ancora oggi non si è riusciti a trovare nulla di convincente che possa sostituire lo stato come principale
soggetto delle RI, al punto che per esempio l’ISIS per comunicare con l’opinione pubblica dell’occidente si
presenta come lo Stato Islamico nonostante non sia uno stato.
Abbiamo definito lo stato come una specie di involucro, perché quando parliamo di esso come soggetto
della politica internazionale, noi ci asteniamo dal fare un’indagine sul contenuto di questo involucro.
Nel momento in cui andiamo ad analizzare ciò che sta dentro lo stato, ci spostiamo su un secondo livello.
Se devo fare un accordo tra stati, la Russia (o la Turchia) mi va bene, perché anche essa è uno stato. Se poi
andiamo a vedere all’interno, ci accorgiamo che non si rispettano i diritti umani, non c’è la libertà di
associazione, violenza, ecc. Perché quindi andiamo a fare un’analisi dei contenuti? È una risposta che nasce
ad alcuni problemi che si sono verificati durante la seconda guerra mondiale es: tattica di Hitler per
estendere il suo potere: prima fase in cui incorpora direttamente nella Germania alcune regioni vicine di
lingue tedesca e razza ariana. Poi ha fatto l’operazione di “creazione di stati fantoccio” come la Francia,
dove ha messo qualcuno di fedele a governarla, o Mussolini in Italia, che pensava di essere il capo ma sotto
sotto rispondeva comunque alle linee dettate da Hitler.
La seconda guerra mondiale mise i teorici delle RI difronte al problema di stati che sopravvivevano, ma
dei quali era rimasto solamente l’involucro e non c’era nel contenuto più nulla di ciò che era assimilabile
ai criteri che avevano ispirato i 14 punti di Wilson. Proprio queste situazione misero in luce che la
categoria dello stato non era più sufficiente.
Uno stato occupato non solo non ha più un governo, ma non ha più la sovranità interna e l’indipendenza
verso l’esterno. Serve trovare una alternativa che permetta di costruire delle relazioni internazionali: con il
concetto di governo accanto allo stato. Stato e governo per noi italiani sono la stessa cosa, ma in altre
situazioni non è così. Normalmente solo nelle democrazie coincidono stato e governo. Molto spesso invece
non è così, esiste uno stato ed esiste un governo, oppure come in Libia, esiste uno stato ma ci sono più
governi. Le TdRI pur senza abbandonare il concetto dello stato, usano a seconda della convenienza,
l’elemento del governo per integrare o modificare la soggettività dello stato, per graduare la legittimità
dello stato a muoversi sullo scenario internazionale. ES: rapporti fra palestinesi e israeliani: Israele è una
invenzione dell’occidente, è uno stato creato nel mondo arabo come risarcimento per gli ebrei dopo la
Shoah, accanto al popolo arabo che viveva in quelle zone, i palestinesi, che viceversa uno stato non ce
l’aveva. Gli ebrei erano storicamente una nazione senza stato, popolo nomade, e si vedono legittimati ad
entrare nello scenario internazionale vestiti da Stato di Israele. I palestinesi invece rimangono senza uno
stato. È un conflitto permanente tra i palestinesi che rivendicano i territori perduti e gli israeliani che
difendono il proprio stato-nazione. Per poter costruire delle RI bisognava rendere teoricamente comparabili
realtà che non lo erano, cioè uno stato-nazione e una nazione senza stato. Come ci sono riusciti?
Riconoscendo la soggettività del governo (autorità nazionale palestinese) anche se non aveva un governo.
Quando la categoria classica dello stato non è sufficiente a trovare la soluzione si usa una categoria nuova
cioè del governo che permette di far dialogare due soggetti che altrimenti non comunicherebbero.
Oggi ci sono relazioni internazionali costruite anche fra governi regionali o tra governi di regioni autonome
(Valle d’Aosta e paese Basco, ecc.).
Governo: organo o istituzione che è capace di prendere autonomamente delle decisioni ed è capace anche
di metterle in pratica. Un governo è tale quando assume autonomamente decisioni politiche ed è capace di
metterle in pratica. Ecco perché si è potuto riconoscere i palestinesi anche senza stato. In Libia il problema
attuale è capire nei tre governo che ci sono quale di questi può essere un vero governo capace di prendere
decisione e rispettarle. Siamo a livello di pura meccanica della politica internazionale.
Un governo consiste nelle istituzioni responsabili nell’assunzione di decisioni collettive per la società, quindi
organizzazioni destinate a rendere effettive le decisioni della comunità. Quindi un governo offre
esattamente come lo stato, le stesse garanzie di sicurezza e prevedibilità nell’azione del comportamento
sullo scenario internazionale, garantendo la durevolezza degli accordi e garantendo che non vengano
cambiate arbitrariamente.
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Non bisogna confondere il governo con la governance, concetto molto recente che consiste in una indagine
sulla qualità e sulla effettività del modo con cui funziona un governo. Il governo è l’istituzione capace di
prendere decisioni collettive, è pura meccanica, mentre una analisi della governance va a vedere se
effettivamente quel meccanismo funziona (giudizio di qualità). Il governo è una istituzione, la governance è
uno strumento di valutazione dell’efficace e la qualità di un qualsiasi tipo di governo.
Nelle RI parliamo di questo perché è un elemento aggiuntivo che serve per valutare il grado di stabilità di
un soggetto della politica internazionale. Ci sono dei fenomeni di governance in assenza di uno stato o di un
governo, cioè si fa riferimento a tutte le situazioni nelle quali all’interno della globalizzazione vengono
prese delle decisioni efficaci sul piano internazionale, senza che sia possibile individuare con precisione la
fonte di quella decisione, senza che ci sia un governo o uno stato da cui derivi (es: OPEC, cioè il cartello dei
paesi produttori di petrolio, che fissa il prezzo del barile di greggio per mantenerlo il più possibile alto;
questo sistema di accordi che controllano il mondo non è imputabili ad un governo o ad uno stato o ad una
organizzazione di stato, il soggetto al quale imputare l’origine di questi accordi è abbastanza vanescente).
Governance (definizione elaborata all’interno dell’UE): sistema di regole e di prassi che vanno a valutare e
misurare l’efficacia delle decisioni e dell’influenza sulla società civile e sulla politica degli stati membri.
Nella storia europea per gran parte dell’800 gli stati erano monarchie dove il potere veniva esercitato da un
sovrano, cioè da un principe. Oggi nel linguaggio politico contemporaneo abbiamo trasferito questo
sostantivo “sovrano” in un aggettivo e abbiamo trasferito la sovranità dalla persona fisica del re, nel corpo
politico della cittadinanza, trasformandola in una qualità politica di una collettività.
Il meccanismo ce lo ha spiegato alla fine dell’800 un fondatore della sociologia moderna, Max Weber, egli ci
spiega il meccanismo attraverso il quale si forma la sovranità e la comunità politica si organizza nella forma
di stato, a partire dall’incontro di tante volontà individuali. Gli uomini non sono solo portati naturalmente a
stare insieme, ma sono anche naturalmente portati a sopraffare i propri simili. Gli uomini hanno bisogno di
risolvere questo paradosso, cioè di essere spinti a vivere insieme ma anche di essere naturalmente spinti
alla competizione, che va a sopraffare l’avversario. Partendo da questa immagine, Weber ha spiegato in
termini politici come si forma un governo e uno stato: un governo si forma (e si è anticamente formato
attraverso la scelta di un principe) perché per preservarsi da questo istinto naturale alla sopraffazione del
proprio simile, ad un certo momento abbiamo rinunciato alla vendetta privata e a fare ricorso alla
violenza, delegando questo potere ad uno che lo esercitava per conto nostro, a qualcuno che ci governasse.
In età moderna, questo lo faceva il re. Nel momento in cui una comunità per preservare se stessa delega
l’uso della forza ad una autorità, in quel momento si forma un governo e da quel momento in poi, quel
soggetto (governo, giudice, capo tribù, ecc.) che eserciterà la forza, la eserciterà in quanto è stato delegato
ad avere il monopolio della violenza legittima. Questo è il momento in cui si forma la sovranità e in cui la
comunità si organizza politicamente. La sovranità consiste nel monopolio dell’uso della violenza legittima.
Ciò ha una ricaduta importantissima nel campo della guerra, siamo in grado di distinguere l’uso della
violenza fine a se stessa (specchio di quella antica natura umana a sopraffare i simili), dall’uso della guerra
come strumento di soluzione delle controversie internazionali. La guerra è una manifestazione della
sovranità, modo attraverso il quale uno stato o un altro soggetto esercita legittimamente il monopolio della
violenza che gli è stato delegato dai propri abitanti. La guerra è giustificata perché corrisponde a questo
legittimo uso della forza (che diventa anche difesa) esercitata in nome e per conto di tutta la collettività che
l’ha delegata ad una autorità sovrana.
Il sistema delle RI funziona come una specie di specchio di ciò che avviene ad un livello più elementare
all’interno di una qualsiasi comunità politica, dobbiamo imparare a considerare gli stati come la proiezione
sul piano internazionale delle comunità di persone che ci sono a un livello più basso. Sugli stati si proiettano
tutte le caratteristiche e tutti i problemi che noi registriamo quando analizziamo qualsiasi comunità umana.
Il fenomeno della guerra e del ricorso alla violenza nel sistema internazionale non è altro che il riflesso della
natura umana, questo provoca problemi nella prevedibilità dei comportamenti, perché la natura umana è
incontrollabile e in continua evoluzione e così cambiano anche gli orientamenti degli stati a livello
internazionale.
Solo negli ultimi due secoli è stata costruita una concezione impersonale dello stato che prima invece
coincideva con la figura propria del sovrano. Il modo classico con cui si facevano prima gli accordi
internazionali era il matrimonio (es: Napoleone sposa la figlia dell’imperatore d’Austria che era suo
nemico). Una delle grandi conquiste delle RI degli ultimi 200 anni è il fatto che si sia arrivati ad una
concezione impersonale dello stato e del potere. Questo tipo di stato moderno nel corso del ‘900 è
diventato uno “stato di diritto”, un tipo di stato che rende visibili e riconoscibili i meccanismi attraverso i
quali vengono prese e garantite le decisioni a livello internazionale. Più uno stato le rende visibili, più
diventa affidabile sul piano internazionale il soggetto ideale delle Ria è uno stato moderno, sovrano, che
non si fa condizionare da altri soggetti estranei, che coincide con un governo e che è uno stato di diritto
(segue regoli visibili e verificabili). Solo tra stati uguali si possono costruire accordi internazionali su base
paritaria. Devo riconoscere nel mio interlocutore le stesse mie caratteristiche, allora posso fare un accordo
su basi paritarie. I trattati internazionali si muovono su queste premesse. Tutti i trattati internazionali tra
soggetti diversi tra di loro, vengono chiamati tecnicamente “trattati disuguali”.
Lo stato è il centro intorno al quale ruotano le RI contemporanee: per quanto sforzo si stia ancora facendo
non si è riusciti a trovare un soggetto che fosse un sostituto abbastanza valido dello stato. Non è sostituibile
perché il tempo lungo in cui si è formato non ha consentito ad oggi la formazione di altri soggetti
alternativi.
26/09
Nel momento in cui si è riusciti a rendere formalmente gli stati tutti uguali, acquistano un nuovo significato
i trattati e le negoziazioni internazionali che non sono più l’effetto dell’imposizione del più forte sul più
debole ma diventano degli accordi tra pari. La stessa ONU nasce da un trattato internazionale che rende
formalmente uguali gli stati partecipi. Oggi la politica internazionale non si fa più attraverso incontri tra
pochi potenti (congresso di Vienna), oggi la diplomazia viene fatta attraverso accordi multilaterali che
nascono all’interno delle organizzazioni internazionali.
LA NAZIONE: noi europei siamo inconsciamente abituati al fatto che il nostro stato coincida con la nostra
nazione. Stato e nazione però nel resto del mondo non necessariamente coincidono, perché lo Stato è stato
inventato dall’occidente. Inoltre si è sovrapposto, spesso in maniera forzata, su delle realtà sociali che sono
state costrette a inserirvisi dentro o sono state costrette a dividersi tra più stati (nazione Armena).
Come definiamo cos’è una nazione? Tradizionalmente è una comunità che parla la stessa lingua, sta sullo
stesso territorio ed è accomunata dalla stessa storia (e religione). Ma questo vale sempre per l’occidente.
“Le comunità immaginate” libro di Anderson: dice che una nazione non è basata sulla comunanza
linguistica e su dei criteri esteriori. Una nazione esiste nel momento in cui un popolo è capace di
raccontarsi, di inventarsi come una comunità unica (es: india, composta di tanti popoli con tanti dialetti e
religioni, eppure riesce a diventare indipendente tramite la lotta di Gandhi, inventandosi come nazione e
riuscendo a costruirsi un’immagine unitaria proiettata verso l’esterno). Non esistono solo nazioni che
hanno radici in una storia comune, esistono anche nazioni capaci di inventare se stesse. Una nazione non
ha bisogno di avere una lingua comune, può anche crearsela. L’unico vero elemento comune è il luogo di
nascita. La nazione francese è una di quelle con radici più antiche mentre in Europa ci sono nazioni più
recenti che si sono inventate a loro volta nel corso del XX secolo, come l’Ungheria.
Nella teoria delle teorie delle RI si è presa progressiva consapevolezza che lo stato non è sufficiente a
spiegare le dinamiche delle RI e che un ulteriore elemento da prendere in considerazione è la nazione,
dove però questa idea a sua volta porta dei problemi, perché esistono nazione molto diverse tra loro,
esistono quelle “alla occidentale” ed esistono le nazioni immaginate, che si auto inventano come appunto
dice Anderson, che non sono meno importanti di quelle “alla occidentale”.
La caratteristica delle RI è che di fronte a questa alternativa non usano una regola che viene applicata da
ora in avanti per sempre, le RI a seconda delle circostanze danno minore o maggior peso all’elemento stato
piuttosto che all’elemento nazione, perché l’obiettivo al quale si guarda è sempre quello della stabilità
internazionale, quindi qualsiasi metodo è giustificabile se è per garantire l’equilibrio.
L’altra immagine dello stato-nazione viene raccontata dallo storico Eric Hobsbawm in “Nazioni e
nazionalismo”, dove spiga tutte le modalità e tecniche con le quali l’occidente si è inventato lo stato
coincidente con la nazione (lingua, tradizione, bandiera, inno nazionale e pure squadra di calcio).
Nel sistema internazionale contemporaneo anche l’invenzione della nazione come nuova categoria accanto
allo stato non è sufficiente a prevenire tutte le possibilità di conflittualità, perché nel sistema internazionale
contemporaneo esiste un meccanismo che vincola il riconoscimento dei diritti e delle libertà alla possibilità
di rivolgersi ad una autorità che li faccia rispettare e li garantista (monopolio della violenza legittima).
Se vai in vacanza in un determinato paese e sei violato in qualche modo nei tuoi diritti, ti rapinano eccetera,
la prima garanzia che hai è di rivolgerti ad una autorità che ti protegge e ti reintegra nei suoi diritti, perché
uno non può farsi giustizia da solo. Nel sistema attuale questo avviene nel momento in cui noi siamo
cittadini di uno Stato, facciamo parte di una comunità all’interno della quale abbiamo delegato queste
funzioni a qualcuno che ci governa. Quando siamo all’estero, il primo e naturale garante dei nostri diritti è
l’autorità del nostro Stato: la rappresentanza consolare, l’ambasciata. Abbiamo costruito un meccanismo
di garanzie che poggia non sulla nazione ma sulla appartenenza ad uno stato e attorno a questo si è creata
tutta una serie di rapporti che riguardano anche le relazioni fra persone. Una delle conseguenze più
importanti del discorso, e che ci fa capire che non abbiamo alternative nel liberarci dalla categoria dello
stato, sta nel fatto che per risolvere gran parte dei problemi facciamo ricorso al criterio della
CITTADINANZA, cioè il rapporto che ci lega allo stato al quale apparteniamo.
Oggi al mondo non è più tecnicamente possibile essere privi di una cittadinanza. Gli unici tentativi di
superare l’idea della cittadinanza legata esclusivamente allo stato sono quelli legati agli accordi di
associazione fra più stati (cittadinanza europea). Anche questa nuova cittadinanza dipende dalla
preesistenza di vari stati che se lo sono inventato.
Nel corso del XX secolo l’evoluzione delle teorie delle RI non ha prodotto solo quello slittamento dallo stato
verso la nazione, ma anche una evoluzione nel significato del concetto della sovranità e si è andati quindi a
vedere l’organizzazione del potere al suo interno. Per capire quali sono le modalità attraverso le quali si
costruisce il potere, cioè si organizza la sovranità, è intervenuto ancora una volta Weber che ha spiegato le
principali tendenze. Dice che esistono tre modalità che si ripetono con una certa costanza nel tempo,
attraverso le quali si organizza il potere politico: 1) la tradizione 2) il carisma 3) la modalità legale.
LA TRADIZIONE: il potere basato sulla tradizione è quello che fonda la sua esistenza, legittimità e
affidabilità sul tempo e sulla continuità, è un comportamento ripetuto nel tempo costantemente e quindi
nel tempo accettato. Es: la storia inglese è un esempio di potere condiviso tra il re e il parlamento, ma non
c’è scritto da nessuna parte che deve funzionare così, solo la tradizione e la ripetizione lungo il tempo
hanno garantito l’affidabilità di questo sistema. La tradizione e la ripetizione nel tempo è fonte della sua
stessa legittimità. Quando non c’è questa tradizione o è molto recente, allora sentiamo parlare di “giovane
democrazia”.
CARISMA: a differenza della tradizione, che è un comportamento collettivo ripetuto nel tempo, quello
carismatico è un potere INDIVIDUALE, legato ad una sola persona (leader politico). Per Weber è quello del
dittatore o del tiranno. Il potere tradizionale ha il tempo alle spalle come fattore legittimante, quello
carismatico non ha dalla sua il tempo, anzi spesso va contro la tradizione e il tempo. Quindi non è legato ad
un meccanismo razionale della ripetitività, ma è legato all’attivazione de3lle emozioni e degli istinti. Mentre
il potere tradizionale è più stabile grazie alla ripetitività, quello carismatico nasce dal nulla e non ha le radici
della tradizione, quindi è instabile ed è destinato a scomparire con la scomparsa fisica della persona.
L’unico rimedio per correggere questa tendenza è cercare di stabilizzare questo potere carismatico. Hitler
non ci è riuscito perché non ha pensato al futuro (trasferire il suo potere ad un successore). Ci riuscirono
invece Francisco Franco e Fidel Castro.
MODALITÀ LEGALE: uso della forza e ricorso all’obbedienza, quindi un tipo di potere che se non è ben
bilanciato può sfociare in una forma autoritaria. L’unico sistema per evitare che diventi tale è un sistema
molto rigido di regole che renda riconoscibile il meccanismo attraverso il quale viene traferito. Es: USA,
repubblica presidenziale dove hanno introdotto la tradizione del divieto del doppio mandato del
presidente. Sono regole visibili.
27/09
Dopo il secondo conflitto mondiale il nostro mondo è diventato sempre più globalizzato. La globalizzazione
è un modello delle RI all’interno del quale i soggetti e gli stati prima di tutti, sono sempre più dipendenti
l’uno dall’altro. Nessuno è più in grado di operare e decidere autonomamente e si è legati da una
molteplicità di relazioni e accordi. L’altra caratteristica della globalizzazione è la velocità delle
comunicazioni. Quest’ultima ha ulteriormente accentuato questo meccanismo di interdipendenza degli
stati a livello internazionale. Se ne ebbe la prima grande dimostrazione nel 1929 con il crollo della borsa di
Wall Street, una crisi finanziaria che produsse i suoi effetti istantaneamente a livello mondiale, perché i
meccanismi finanziari erano molto connessi tra loro. Ci fu anche un effetto collaterale di questa
interdipendenza, nel momento in cui gli stati dipendono l’uno dall’altro sono anche automaticamente
meno indipendenti, perdendo una parte della loro sovranità. La globalizzazione ha contribuito ad
accentuare le criticità che erano presenti nell’idea dello stato che non sempre riusciva a rispondere alle
varie esigenze che venivano messe in campo.
La seconda metà del ‘900 è stata un’epoca delle RI che ha messo in profonda crisi l’idea della centralità
dello stato come soggetto della politica internazionale, di conseguenza tutte le teorie della seconda metà
del 900 non sono stato altro che tentativo di trovare delle risposte al problema di come gestire il sistema
globalizzato delle RI con uno stato che non aveva più la sovranità o il potere sufficienti per garantire la
stabilità.
Un altro fattore che ha contribuito alla globalizzazione è stato il processo di decolonizzazione, che si è
svolto prevalentemente nella seconda metà del ‘900, perché ha favorito la creazione di nuovi stati che non
conoscevano questo tipo di organizzazione e ha moltiplicato la quantità di rapporti di tipo internazionale
esistenti tra questi soggetti. Infine questo tipo di stato esportato nel resto di mondo non poteva essere un
tipo di stato qualunque, ma si pretendeva fosse modellato sui contenuti che aveva acquisito il modello di
stato basato tipicamente sulle democrazie occidentali. Dentro questo fenomeno della globalizzazione è poi
emersa in concorrenza con gli stati (che stavano perdendo parte della loro sovranità), la nascita di altri
soggetti che nel tempo sono diventati sempre più concorrenti allo stato tradizionale: le organizzazioni non
governative “ONG”, non governative proprio per distinguersi dalla caratteristica principale dello stato cioè
il governo (le org. non governative per essere tali devono essere indipendenti rispetto al territorio di un
singolo stato, si devono muovere sul territorio di più stati e il loro budget non deve dipendere dal
finanziamento governativo). Un altro grosso concorrente è stato il potere economico, che segue delle sue
proprie regole che non corrispondono alle leggi politiche. Lo stato cerca di controllare l’economia ma non
sempre ci riesce e nel mondo globalizzato si sono sempre più affermati dei soggetti che hanno acquistato
forza sfuggendo al controllo degli stati e che sono diventati capaci di condizionare e influenzare il mondo
delle RI (es: Microsoft). La globalizzazione ha quindi mostrato la grande crisi dello stato ma ha aperto una
domanda molto importante: che cos’è che muove la politica internazionale? Finché era formata solo da
stati, allora la politica internazionale era mossa dagli interessi degli stati. Nel momento in cui ci sono anche
altri soggetti, e quindi l’interesse dello stato è solo uno dei possibili interessi in campo, cosa muove la
politica internazionale? Sono state elaborate una serie di teorie che sono riposte a questa domanda.
Tutte le teorie si basano su due meccanismi:
1) PARADIGMA DELLO STATO DI NATURA: dice che la politica internazionale non è altro che la
proiezione sullo scenario internazionale di quelli che sono i comportamenti naturali degli uomini
(atteggiamenti degli esseri umani tra di loro). Per provare a capire che cosa muove la politica
internazionale basta andare a vedere cosa muove il comportamento degli esseri umani nella loro
condizione primordiale: istinto naturale alla competizione, a difendersi e offendere, tendenza ad
associarci per ottimizzare il nostro sistema di difesa e per non annullarci l’uno con l’altro ed evitare
la distruzione. Quindi anche nelle RI ciò che muove la politica sono questi medesimi istinti.
Dove questo non funziona, prevale l’egoismo di alcuni stati e prevale uno dei tre istinti. Questa
situazione è sempre stata avvertita da quando esistono le RI, la dimostrazione è data
dall’invenzione della diplomazia e dei trattati, modi per controllare l’istinto naturale di
competizione tra stati.
2) PARADIGMA DELL’INTERESSE: afferma che ciò che muove la politica internazionale è sempre ed
esclusivamente l’interesse egoistico di stati e altri soggetti che compaiono. Per quanti sforzi si
facciano, la comunità internazionale è destinata ad essere un mondo di soggetti in competizione tra
loro e se così è, tutta una serie di fenomeni che il paradigma dello stato di natura cerca
fiduciosamente di poter controllare, non sono controllabili. Prima di tutto il fenomeno della guerra,
che non potrà mai essere eliminato perché domina il paradigma dell’interesse. Anche quando i
soggetti della politica internazionale fanno accordi tra di loro, non lo fanno perché spinti ad
associarsi, ma lo fanno al solo scopo di preservare un loro interesse. Il paradigma dello stato di
natura costruisce una rappresentazione ottimistica del sistema internazionale, invece il paradigma
dell’interesse è una chiave di lettura negativa, che porta meno fiducia sul piano delle RI.
Sono teorie che sono state elaborate nel corso del ‘900 ma ancora oggi vengono utilizzate.
Il realismo è stata la prima grande teoria delle RI, elaborata con la nascita di questa disciplina. Usa gli
elementi che in quel momento sono conosciuti e ritenuti stabilizzatori del sistema internazionali: non
c’è ancora la globalizzazione né il problema delle nazioni, ma c’è lo STATO come soggetto unico e che
produce politica. Il realismo politico è caratterizzato dal fatto che mette al centro lo stato e la politica
come manifestazione della sua volontà. L’ordine che c’è all’interno dello stato si contrappone al
disordine internazionale. Gli stati devono proiettarsi sullo scenario internazionale perché nel momento in
cui lo fanno portano tutti quei meccanismi di stabilizzazione che hanno al loro interno.
03/10/16
Realismo politico -> tutte le teorie che si sono formate col tempo si sono confrontate con quella del
realismo.
Teoria del realismo nelle RI: realismo viene da realtà, la realtà delle RI come si presentava fra 800 e 900.
L’unico soggetto delle RI all’epoca era lo Stato. Quindi la teoria del realismo ha come cardine la centralità
dello stato come unico soggetto capace di muoversi sullo scenario internazionale (vedi stato appunti
precedenti). L’unico soggetto che può agire sul versante internazionale è lo stato e lo può fare con il modo
in cui la comunità si esprime: la politica. Ciò che lo stato fa sullo scenario internazionale è la proiezione dei
bisogni e delle tendenze naturali dell’uomo (diritto a difendersi, offesa, ecc), la teoria del realismo accetta il
fatto che la guerra è un fenomeno naturale (naturale tendenza dell’uomo a offendere e difendersi), quindi
è inevitabile e certe volte necessaria. Lo stato è necessario secondo il Realismo perché è l’unica modalità
conosciuta attraverso la quale diventa importante a livello internazionale la volontà degli individui.
Caratteristiche realismo in sintesi: centralità dello stato, primato della politica e paradigma dello stato di
natura, utilità della guerra come strumento di assestamento della società.
Teoria del realismo: è quella attorno alla quale si comincia a riorganizzare il sistema internazionale a inizio
900 e spiega in termini politici lo scoppio della 3 guerra mondiale e gli assetti che vengono a crearsi dopo.
Uno dei risultati positivi è che agli stati plurinazionali si sostituiscono gli stati-nazione, che accolgono il
principio della nazionalità.
Questo porta nella teoria del realismo alcune conseguenze assiometriche (assunte come vere senza
bisogno di dimostrazione): 1) centralità dello stato (non c’è un concorrente); 2) la guerra è uno strumento
necessario delle RI, fa parte integrante della sovranità. Appartiene allo stato di natura. Fare la guerra
equivale al diritto alla difesa. Se togli ad uno stato il diritto di difendersi compi un attentato alla sua
sovranità e indipendenza.
Altro aspetto della completezza della sovranità di uno stato consiste nel fatto che proprio in virtù della
politica non può eliminare l’istinto naturale alla difesa ma lo può controllare/regolamentare.
Uno dei “padri nobili” (primi teorici del realismo delle RI) è Clausewitz: era un ufficiale prussiano (inizi 800)
che scrive “L’arte della guerra”, la sintesi del suo discorso è che la guerra nelle RI è la continuazione della
politica, con altri mezzi (diversi dalla diplomazia). Quando la politica non basta più o non riesce a
controllare il naturale bisogno/istinto degli esser umani a difendersi/offendere sopraggiunge la guerra,
modo di agire nel piano delle RI. La razionalità della politica può e deve controllare la guerra come
fenomeno naturale. Questa teoria è una diagnosi per lo Stato (vedere a che punto è la sovranità), la guerra
in questo contesto è utile, serve solo se è subordinata ad un obiettivo politico, altrimenti è solo istinto
naturale e come tale va estinto, represso. La guerra è legittima solo se condotta da uno Stato e se ha un
obiettivo politico. Ciò che accade in guerra non è punibile e lo controlla lo Stato (tramite accordi). Quando
invece la violenza esce dall’ambito della guerra come prosecuzione politica (campi di concentramento, ecc.)
allora quelli diventano crimini punibili. Lo scopo della guerra non è la distruzione del nemico ma la
sottomissione del nemico alla propria volontà politica. Uno stato è una potenza quando è capace di
sottomettere un’altra potenza internazionale di servirsene per i propri scopi. (GB vs India).
Raymond Aron: individua nello scopo dell guerra un obiettivo diverso dai quello che i classici del realismo
indicavano come sottomissione del nemico. Il fine ultimo della guerra deve essere la garanzia della pace.
Influenza di Clausewitz nel realismo e negli USA: sottomissione della sfera militare alla sfera politica. Si
considera affidabile uno stato in cui prima c’è l’autorità politica e poi quella militare. I leader politici non
indossano MAI la divisa militare (es: a parte il dittatore nord coreano, che si mostra in divisa quindi la sfera
militare è prevalente alla sfera politica). Finché la violenza è imputabile ad uno stato, è in qualche modo
legittimo, altrimenti ci troviamo davanti a crimini di guerra.
Con l’avvento del nucleare ci si è resi conto che non era più sufficiente la teoria del realismo, perché per
esempio le bombe sul Giappone hanno dimostrato che lo stato non è più in grado di controllare la guerra.
Dal 1945 in poi (equilibrio del terrore, accordo universale secondo cui le armi esistono solo come
strumento di dissuasione e gli stati si impegnano a non utilizzarle) si comincia a lavorare su delle alternative
la teoria del realismo è importante non solo perché è la prima cronologicamente, ma ha anche dominato
più a lungo, ciò non significa che non ci siano state delle critiche in questo periodo di tempo, che riuscivano
a mettere in luce i problemi che stavano dietro alla teoria del realismo.
Un contributo enorme alla critica del realismo è dato dal teorema dell’impossibilità (1930): gli autori
dicevano la fiducia invocata dai realisti in realtà è ml riposta: per quanto si usi la razionalità per controllare
il sistema internazionale, questo non raggiungerà mai l’obiettivo della pace. Non basta la politica e non
basta lo stato, l’istinto naturale è destinato a prevalere. Studioso di questo teorema: Reinhold Niebhur.
Dice che, come l’uomo per natura egoista e calcolatore può essere toccato dalla grazia divina, così avviene
per le nazioni religione, valori religiosi, morale e cultura. Nella politica ci si fa guidare non solo
dall’interessa ma anche dai valori, la società americana questi valori li ha sempre trovati nella religione
cristiana.
04/10/16
Critiche alla teoria del realismo: durante il conflitto e dopo il bombardamento in Giappone, i dubbi
diventarono tali da sfociare in vere e proprio critiche e contestazioni. Una prima parte sta nel tentativo di
inserire all’interno della teoria del realismo dei correttivi che attenuassero… alla razionalità si contrappone
l’elemento irrazionale della natura, dicono che la natura è comunque destinata a prevalere. Un correttivo si
va a cercare in una legge normale, una norma etica che deriva a qualcosa a cui gli uomini non possono
sottrarsi, quindi è la religione cristiana, comune in EU e anche in America. Idea condotta da Neibhur:
principio secondo cui una politica estera anche nell’ambito del realismo deve essere basata non solo sui
criteri classici del realismo ma deve essere ispirata dalle norme etiche intese come valori morali, che
mettono in campo questioni di cui prima il realismo non teneva conto (dignità dell’uomo, ruolo della
persona). Il realismo politico invece interessa Lo Stato. L’ONU è un’organizzazione di Stati ma viene
accompagnata dalla promulgazione di un documento che è la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Così l’uomo entra a far parte del realismo e diventa un elemento di equilibrio. La politica degli USA è
sempre stata influenzata dalla religione.
Le critiche nacquero all’interno del realismo fra ’40-’50 ed erano una critica non soltanto alla teoria del
realismo, ma anche alla politica estera degli USA, perché mirava a denunciare il fatto che gli USA dall’inizio
del ‘900 in poi non facevano altro che perseguire degli interessi di uno stato all’interno del quadro del
realismo (modo in cui gli USA avevano gestito la politica estere nell’ultimo tempo). Mascheravano dietro il
diritto della nazionalità (offendere/difendersi) una politica realista, basata sull’interesse unico degli USA.
Prasseologia: modalità dell’agire, modo con cui la teoria viene messa in pratica.
Il modo tipico attraverso il quale viene applicata la teoria del realismo è l’equilibrio di potenza. Viene
spiegata nel 1948 da Morgenthau. Si tratta dell’aggiornamento di un modo di organizzare la politica
internazionale che risaliva alla pace di Westfalia del 1648. Ancora una volta gioca la tradizione.
Con la pace non si voleva più che la religione influenzasse il potere e non si voleva più la presenza di una
superpotenza come lo era stata la Spagna. La soluzione che venne architettata fu creare gli stati nazionali
con confini fissi, che avessero all’incirca tutti la stessa dimensione e per saldare questo equilibrio si inventa
un sistema che consiste in una grande fascia di interposizione (che parte dalla penisola scandinava fino alla
Sicilia) di piccoli stati deboli che dividono e tengono in equilibrio le grandi potenze.
Nel 1945 si rifà la stessa cosa, si dividono Germania, Austria e Italia, ecc.
La teoria del realismo nel momento in cui diventa operativa usa l’antico sistema di equilibrio risalente alla
pace di Westfalia.
Morgenthau inserisce questa idea di equilibrio all’interno della Teoria del realismo per confermare che le RI
sono governate da leggi oggettive (politiche, fatte dagli uomini) con lo scopo di rimediare alle imperfezioni
della natura. Nel 1948 siamo nel pieno della lotta tra indiani e UK. Rivendicano la propria indipendenza ma
secondo il realismo non è un problema perché l’india non è uno Stato.
Morgenthau dice anche che una politica estera è valida se minimizza i rischi e massimizza i profitti. La
risposta che dà è che è inevitabile la tensione fra le esigenze di successo dello stato nella politica
internazionale e le esigenze razionali.
Morg. si pone anche un altro problema: quando è che ci troviamo veramente di fronte a un interesse dello
stato? Solo quando uno Stato è in grado di organizzare il proprio potere in raggiungimento di un obiettivo.
Es: interesse di uno stato è la sicurezza? È visibile quando uno stato riesce ad organizzare il proprio potere
per difendersi/spaventare un eventuale nemico. In questo modo lo stato diventa potenza. Potenza
internazionale: non solo uno stato ricco, esteso. La Potenza È la capacità di organizzare il proprio potere in
funzione di un raggiungimento di un certo obiettivo nella politica internazionale, e non tutti gli stati ci
riescono.
L’equilibrio di potenza è una soluzione necessaria per stabilizzare il sistema internazionale, se fossero tutti
Stati non Potenze non avremmo bisogno dell’equilibrio. Ne abbiamo bisogno per frenare le potenze che si
formano e competono l’una con l’altra. Senza un sistema di equilibrio si torna al paradigma dello stato di
natura. E questo significa una realtà dove la politica non ha spazio e cessa la sua funzione regolatrice,
scompare l’elemento che frena l’uomo dall’autodistruzione. È necessaria per evitare l’anarchia. Prevedendo
l’anarchia si può raggiungere la pace (intesa come tecnica per salvarsi dal caos internazionale, evitare che
l’uno prevalga sull’altro).
Raymond Aron aveva asserito che il fine della guerra deve essere la pace e non la vittoria. Tentativo di
spostare il discorso dalla politica verso qualcosa di nuovo, l’essere umano per esempio. Scrive “Pace e
guerra tra le nazioni” e in questo testo spinge la critica alla Teoria del Realismo ad un livello di profondità
ancora maggiore, fino a discutere il concetto stesso di interesse che sta alla base del realismo. Dice che i
realisti hanno fatto confusione tra concetto di interesse inteso come interesse dello stato legato alla
Potenza, e l’idea di interesse della comunità che sta all’interno dello Stato. Accanto all’interesse dello stato
c’è anche quello dei cittadini! Gli anni ’60 sono quelli in cui iniziano ad emergere i grandi movimenti di
opinione.
Aron dice che c’è anche l’interesse della società civili, quindi se vogliamo ancora usare il sistema
dell’equilibrio dobbiamo sapere che deve essere integrato da altri elementi e deve tenere in conto anche di
altri interessi che possono entrare in campo.
Contestazioni al realismo: anni 50-60. La politica non è più la soluzione a tutto! Non basta più cercare dei
correttivi al realismo, bisogna creare nuove teorie su come funziona il mondo e la politica internazionale.
Recupero 08/10/16
Gli anni 50-60 sono importanti perché sono gli anni della decolonizzazione. Primo banco di prova per la
teoria del realismo per riflettere dell’utilità al ricorso alla guerra. Anche sul piano militare le guerre
dell’Algeria, della Corea e del Vietnam mostrano come l’uso della forza militare non è più funzionale al
raggiungimento degli obiettivi che il realismo si proponeva. Queste guerre non sono mai state guerre che
hanno ottenuto il rafforzamento degli stati che le proponevano e si concludono senza portare alcuna
stabilità. E così anche le guerre in Afghanistan, Iraq ecc. La guerra non è più utile per il rafforzamento dello
stato a livello internazionale, come voleva appunto il realismo. Il realismo senza l’aggancio stretto tra
politica e guerra perde una delle sue caratteristiche fondamentali, lo stato non è più capace di controllare
la guerra quindi lo stato non è più sovrano.
Un altro grande fattore di critica della Teoria del Realismo è stata la globalizzazione, che è prima di tutto un
fenomeno legato alla dimensione del commercio e delle comunicazioni, ha portato come conseguenza una
cessione sempre maggiore di sovranità e interdipendenza tra stati. Es: USA e Cina, quest’ultima è il maggior
detentore del debito USA, in qualsiasi momento la Cina può minacciare gli USA rendendoli più deboli dal
punto di vista economico. Mentre con le organizzazioni come ONU è una cessione volontaria, nel caso della
globalizzazione questo fenomeno non è controllato.
La globalizzazione chiede un altro duro colpo alla TdRealismo, mostrando quanto fosse debole la capacità di
uno stato a restare sovrano, e dice che le relazioni internazionali sono guidate solamente dagli interessi
degli stati mentre nella globalizzazione c’è una molteplicità di interessi che si intrecciano tra di loro, in
modo che l’interesse del singolo diventa sempre meno condizionante.
Critica ontologica (il superamento dello Stato) no esame: critica sull’essenza stessa dell’oggetto. La prima
riflessione ha riguardato il problema del superamento dello stato come sogg. della politica internazionale.
Bisogna trovare un sostituto, perché l’alternativa è il disordine a livello mondiale. Lo stato non è più capace
di garantire la stabilità del sistema internazionale. Come si è proceduto nella critica all’idea dello stato?
In due modi: il primo è stato quello di lavorare intorno alla diversificazione degli attori sullo scenario
internazionale. Il secondo è stato la denuncia del carattere onnicomprensivo della politica: se lo stato non è
più in grado di dare stabilità e la politica è la massima espressione della sua sovranità allora significa che
dobbiamo anche relativizzare la politica e che la politica è lo strumento tipico ed esclusivo dello stato. Se
introduciamo altri attori (ad esempio la nazione) dobbiamo scovare altri strumenti che sono tipici di questi
nuovi soggetti. La politica non è l’unico strumento per governare il sistema internazionale (economia,
movimenti di opinione, ecc.)
Diversificazione degli “attori” nuovi accanto allo stato: come si individuano nuovi attori? Proprio il
processo di decolonizzazione che stava avvenendo, ha dato delle prime indicazioni su quali potessero
essere. La decolonizzazione altro non è che una contestazione dello stato.
I movimenti di liberazione nazionale sono delle situazioni che non soltanto vanno contro lo stato, ma c’è il
rifiuto l’uso di tradizionali strumenti del realismo, come quello della politica. Il caso della Palestina è
l’emblema del discorso, gli altri paesi non la vogliono riconoscere ma nemmeno loro stessi vogliono
diventare Stato organizzati sotto un governo. La diversificazione di questi attori significa anche rifiuto del
primato della politica e rifiutandolo si rompe il monopolio della rappresentanza che lo stato dichiara di
avere a livello internazionale (in Italia la Lega si è formata attraverso una contestazione dello stato e della
sua capacità di rappresentare una parte del territorio. Ora è diventata partecipe dei procedimenti legislativi
e delle attività di governo). Un riflesso della contestazione della capacità degli stati di mantenere la
sovranità è la critica all’ONU e sulla capacità di questa organizzazione di garantire la stabilità dell’ordine
internazionale. Tutte le critiche sono nel segno dell’insufficienza degli stati a stabilizzare l’ordine internaz.
perché non sono più di mantenere la stabilità. Il fatto di mettere in campo soggetti diversi dallo stato e
strumenti diversi dalla politica, consente di riconoscere nell’ordine internazionale delle finalità diverse da
quella della sopravvivenza dello stato.
Un esempio interessante del declino della politica è proprio la nostra Unione Europea: nasce in un contesto
di generale indebolimento degli stati nel nostro continente. Gli stati europei per coordinarsi tra di loro non
potevano ricorrere alla politica e scelgono un’altra strada, cioè la cooperazione economica. Dopo il 1945 si
scelse la cooperazione economica al posto della cooperazione politica (unione doganale, libera circolazione
dei beni e servizi, cooperazione monetaria).
Accanto alla critica ontologica esiste anche una critica epistemologica, cioè non sui presupposti ma sul
metodo usato dai realisti. Consiste nel fatto che si dice “il realismo si limita a descrivere una meccanica ma
non consente invece di capire il sistema, il contesto più generale nel quale il meccanismo si inserisce.” È
importante studiare il contesto, perché ogni contesto produce delle variabili che la teoria non può
prevedere. La critica epistemologica al realismo è stata messa in campo dall’applicazione nelle RI di una
teoria presa in prestito per spiegare alcuni fenomeni che si verificano continuamente nelle R.I. : LA TEORIA
QUANTISTICA. È la teoria che spiega che esiste un ordine nella materia anche dove apparentemente c’è
caos. Una delle affermazioni che amano portare avanti i realisti consiste nel fatto che se abbandoniamo lo
stato, il risultato è il caos. La teoria quantistica dice che il caos non è disordine, è un diverso ordine che
segue altre leggi fisiche. Quindi la critica dice che non è sbagliato soltanto il presupposto dei realisti, ma
anche il metodo, nel momento in cui ci dicono che tolto lo stato c’è solo caos. La t. quantistica dice che
dietro questo caos ci sono delle leggi fisiche che spingono ad una nuova organizzazione delle cose dietro ad
una apparente disorganizzazione. La fisica ci dimostra che comunque esiste una tendenza alla
riorganizzazione andrà individualizzata e studiata.
Qui è nata la prima critica in alternativa al realismo. Questa prima grande teoria è stata costruita
contrapponendo all’interesse dello stato l’individuazione di obiettivi nuovi diversi dall’interesse dello stato
verso i quali tendere. Ci si basa sul fatto che al centro delle RI non c’è l’interesse dello stato, ma altri
obiettivi verso cui orientare tutti i soggetti che si muovono nelle RI. Questa teoria si chiama
FUNZIONALISMO, perché individua delle funzioni e degli obiettivi che però non sono quelli tipici
dell’interesse “egoistico” dello stato. Es: nascita della cooperazione europea (vedi sopra), nata individuando
degli obiettivi comuni a tutti collocati fuori degli interessi dello stato.
Quanto più la funzione è capace di sintetizzare interessi di una molteplicità di soggetti, tanto più forte
diventa la cooperazione e stabilità del sistema internazionale, l’attenzione si sposta verso quell’obiettivo
comune che può diventare interesse comune e diventare ancora più forte.
Questa scuola funzionalista mettendo in campo gli obiettivi è stata in grado di reagire di fronte alle
esigenze di una società sempre più complessa, come quella della globalizzazione. La scuola funzionalista è
riuscita anche a superare l’idea della centralità dello stato dal punto di vista culturale e ideologico, nel
momento in cui è riuscita a superare con difficoltà il nazionalismo, cioè il senso di identità ridotto entro i
confini dello stato. Qui sono state messe in campo una serie di azioni capaci di rilevare la memoria
collettiva dei popoli, quindi non solo le culture nazionali. È difficile misurare i risultati ma ci sono alcuni
fenomeni rilevanti, come il fallimento quando si è tentato di scrivere una costituzione europea, cercando di
inserire come indicatore alla memoria collettiva europea le radici religiose cristiane del nostro continente.
Invece un enorme successo è stato a partire dall’inizio degli anni ’80 con il programma erasmus, creato con
lo scopo di formare cittadini europei. Al di là delle diversità, far sentire una contiguità in una nuova
generazione. Nasce all’interno di questa logica di superamento della dimensione degli stati.
Il funzionalismo non è nato sui tavoli degli studiosi e dei teorici, ma è nato come pratica e progetto politico
di collaborazione tra gli stati, attraverso l’azione di uno di padri della comunità europea, che fu Robert
Schuman. Alla base della teoria del funzionalismo c’è una forte fiducia nel fatto che gli stati come le
persone sono naturalmente spinte a cooperare tra di loro, quindi la politica internazionale deve
assecondare questo fenomeno. Il vantaggio è che applicando questo ragionamento si rende più evidente il
fatto di dover andare oltre allo stato come unico soggetto della politica internazionale. Quindi dietro c’è
una grande fiducia nell’attitudine naturale dei popoli a collaborare l’uno con l’altro.
Esempio dell’UE: rifiuto della guerra e del primato della politica (contro il realismo), la cittadinanza è il
centro del discorso (es: passaporti con scritto unione europea e non repubblica italiana), ecc.
Il caso dell’UE rappresenta un unicum nel sistema mondiale, in nessun’altra parte del mondo si è riusciti a
realizzare la teoria del funzionalismo nel modo in cui abbiamo fatto noi europei. Non è un prodotto abituale
dell’ambito della politica internazionale, che rimane prevalentemente la categoria del realismo.
Il processo portato avanti tramite UE non è scontato, oggi viviamo una situazione (brexit, immigrati, ecc.)
nella quale si tende a tornare alla teoria del realismo. In Europa abbiamo una libertà di movimento nel
continente che nessun altro ha, e l’Inghilterra ci sta mostrando che basta pochissimo per perdere questa
libertà conquistata in 60 anni.
Stiamo vivendo in Europa uno dei momenti di pace più lunghi della storia.
Altre teorie, oltre al funzionalismo, che hanno tentato di superare il realismo: 1) l’interdipendenza
complessa 2) mondialismo 3) scuola della “dependencia” o dell’economia-mondo. Tutte queste teorie
vengono raggruppate nel trans-nazionalismo, denominazione che viene utilizzata per indicare tutte le
teorie che hanno tentato di superare i limiti del realismo.
L’interdipendenza complessa è una teoria sviluppata lungo gli anni ’70, in un contesto d globalizzazione
avanzato rispetto a quando è nato il funzionalismo, ed è una teoria che in qualche modo prevede che la
stabilizzazione delle RI è data prevalentemente da scambi fra economie (non di persone ma di beni
materiali). Al centro ci sono i beni e i servizi e fa derivare la circolazione degli uomini e delle idee come
conseguenza della circolazione di beni e servizi. È stata messa in campo perché nel corso degli anni ’70 si
verificò a livello mondiale una crisi energetica dovuta al condizionamento dei prezzi del petrolio da parte
dei paesi arabi e alla minor produzione di petrolio rispetto alla richiesta, al fine di controllare l’economia
mondiale e di creare l’OPEC. I paesi produttori di petrolio bloccarono la produzione di petrolio per
organizzarsi assieme in un cartello attraverso il quale fissare un prezzo comune sotto il quale non scender e
di conseguenza calibrare la produzione in funzione di mantenimento di quel prezzo. La conseguenza
immediata fu una crisi energetica, perché i paesi che non disponevano di risorse energetiche erano
dipendenti da questi fornitori. Nuovo aspetto della globalizzazione: dipendenza dalle risorse energetiche.
Se dentro un sistema globalizzato è necessario ricorrere ad un sistema di dipendenza, quanto questo è più
articolato, più compensa i deficit degli approvvigionamenti. È un altro modo per superare il realismo,
nessuno stato ha più la forza politica per poter condizionare da solo l’assetto internazionale. Un singolo
soggetto non è più capace di alterare da solo l’aspetto internazionale, nel realismo uno stato era capace di
farlo da solo. Questa chiave di lettura permette anche di offrire una diagnosi delle crisi internazionale, chi
l’ha provocata e per quali ragioni. Le crisi internazionali appaiono ora come un tentativo di riappropriarsi di
una politica di potenza nel quadro del realismo classico.
MONDIALISMO: è una teoria che ha cercato di rompere il monopolio degli stati, mettendo al centro non le
funzioni come il funzionalismo, non i beni, ma le persone. Il sistema delle RI è in realtà una sorta di
ragnatela basata su molteplici legami transnazionali cioè tra singoli individui, quindi si scompone lo stato in
società di individui. Se le RI sono relazioni fra individui, allora sulle RI si proiettano anche tutta una serie di
comportamenti dell’essere umano in quanto individuo singolo. Questo mette fuori gioco la politica e mette
in campo il discorso sulle emozioni e i sentimenti, cioè il discorso sulla natura dell’uomo e sulla sua
imprevedibilità. È una critica che non ha portato risultati paragonabili al funzionalismo.
LA SCUOLA DELLE DEPENDENCIA: teoria elaborata in America latina, rappresenta uno dei presupposti
teorici attraverso i quali l’America latina è riuscita ad uscire da uno stato di inferiorità nella politica
internazionale e di proporsi come potenza emergente. La caratteristica di questa storia è la contestazione
del realismo attraverso una sua variante, che è stato l’imperialismo. È una reazione al realismo delle
potenze coloniali. È una critica che parte da delle basi economiche che non riguardano l’economia di
mercato, ma la filosofia politica che stava alla base dell’imperialismo, utilizzando il linguaggio e gli
strumenti offerti dal Marxismo. Il Marxismo è una teoria elaborata da Marx. Per descrivere le dinamiche di
questa società industrializzata scrive “IL CAPITALE” in cui spiega i nuovi meccanismi di funzionamento della
società in termini di competizione che dentro la società industrializzata si chiama lotta di classe: i capitalisti
(detengono il capitale), i borghesi e il proletariato (unica ricchezza è la prole). La società industrializzata è
una eterna competizione tra queste tre classi. Il proletariato che cerca di migliorare la propria situazione
sociale, il capitalista si arricchisce sfruttando il proletariato, ecc.
Questa teoria viene trasferita dalla società di persone alla società di stati a livello internazionale. Così come
esistono tre classi di persone, così esistono tre classi di stati in competizione: quelli capitalisti, quelli
“borghesi” e quelli sfruttati, cioè proletari. L’imperialismo è la trasposizione sul piano internazionale della
lotta di classe che aveva descritto Marx. Questa scuola usa il marxismo come teoria che permette di
prevedere una rivoluzione a livello internazionale che trasforma questi stati sudditi protagonisti della
politica internazionale. Stadio supremo del capitalismo destinato ad esplodere. Ci sarà una fine allo
sfruttamento dei paesi colonizzati e quello sarà il momento più favorevole per rivendicare un’indipendenza
economica sullo scenario internazionale. Questa teoria ha guidato le politiche estere dei paesi dell’America
latina nel corso degli anni ’90 e 2000. Da cui nasce il movimento dei paesi dell’America Latina che
prendono l’occasione per affermarsi a livello internazionale e avviare delle politiche economiche che
consentano di cambiare la loro immagine a paesi emergenti.
10/10/16
Questa teoria associa il ruolo di grande potenza alle democrazie dell’occidente. La scuola dell’economia-
mondo era anche una riflessione ideologica legata al fatto che con l’esaurimento dell’esperienza capitalista
si sarebbe esaurita anche l’esperienza democratica. La conseguenza è che il sottosviluppo non è un
semplice ritardo dal punto di vista economico e tecnologico, ma è il segno di una inadeguatezza tra il
modello di un paese dominante e uno di periferia. La teoria dell’economia-mondo diceva che quando
questa economia capitalistica penetra nelle economie sottosviluppate produce instabilità, anche
l’instabilità politica non è imputabile a questi paesi. L’unica spirale per uscirne era quella di rompere questo
sistema capitalistico.
Accanto al transnazionalismo nel corso degli anni ’80 si sviluppano altre teorie in contrapposizione al
realismo. Queste invece che sul meccanismo economico, queste guardano di più alla società. I nuovi grandi
protagonisti delle RI sono gli essere umani con le loro nuove forme di organizzazione sociale. Queste teorie
vengono sintetizzate in “COSTRUTTIVISMO E STRUTTURALISMO”, due sinonimi che indicano le costruzioni
sociali (quelle non formalizzate come i movimenti di opinione), cioè modi di organizzazione della società
non assimilabili alla politica e quindi allo stato. Il costruttivismo intendeva studiare questi modi nel
momento in cui erano capaci di influenzare le RI, sia direttamente che indirettamente. Bisognava andare a
guardare non più solo economie e politica ma anche le variabili instabili, cioè fattori prevalentemente
identitari e non formalizzati ma che erano in grado di influenzare le RI (il tema delle identità di genere,
emancipazione femminile, per esempio). Consentiva di individuare interessi diversi da quelli degli stati.
NEOREALISMO: il realismo nel corso degli anni ’80 risponde a queste nuove istanze/proposte e si
ripresenta sotto una nuova veste che prende il nome di Neorealismo. Contesto internazionale degli anni ’80
è quello dell’ultima parte della guerra fredda dove non c’è però alcuna traccia di dialogo fra est e ovest,
anzi le due superpotenze si confronto tra loro su uno scenario particolare che è lo scenario mediorientale.
L’unione sovietica tenta di dimostrare la sua leadership invadendo l’Afghanistan e negli USA va al potere il
partito repubblicano (repubblicani vs democratici USA: il part. Repubblicano in politica estera ha sempre
usato una politica sull’affermazione dell’America sullo scenario internazionale, invece il part. democratico è
sempre stato orientato alla collaborazione e ai trattati). Negli anni ’80 dopo la presidenza di Carter
(democratico) prende il potere il partito repubblicano e quindi con una politica estera basata su una
affermazione della leadership statunitense sul mondo. Si manifestò attraverso una maggior produzione di
testate missilistiche, la corsa allo spazio, interventismo sullo scenario mediorientale. Tutto questo viene
accompagnato dall’elaborazione del neorealismo come sostegno di questo rilancio della funzione dello
stato (USA) come garante della stabilità internazionale. Il neorealismo accompagna la fase di maggior
presenza degli USA come garante della pace internazionale.
Il maggior teorico del Neorealismo è Kenneth Waltz che pubblica “teoria della politica internazionale”. I
neorealisti non negano che ci siano altri attori sullo scenario internazionale, ma finché questi non
acquistano la forza che ha lo stato, allora non sono da considerare perché non sono dei competitori rispetto
allo stato. Non sempre lo stato riesce a controllare armi e guerra, i neorealisti accettano la critica però la
loro risposta sta nel fatto che mentre il realismo cercava la stabilità del sistema internazionale attraverso la
guerra, il neorealismo la cerca attraverso la sicurezza. Obiettivo non è più l’uso della forza ma la sicurezza,
che diventa l’unico elemento che legittima e giustifica l’uso della forza. La sicurezza è proprio l’altra faccia
del realismo che viene veicolata tramite il neorealismo.
Il sistema internazionale per i neorealisti: è tendenzialmente anarchico (natura umana) ed è formato dalla
coesistenza di unità egoistiche (es: gli stati che perseguono i loro interessi, religioni, partiti, ecc.) che si
regolano in modo spontaneo. Il neorealismo studia le differenziazioni strutturali per capire le
trasformazioni infrasistemiche, per capire i cambiamenti che avvengono alle periferie degli stati e delle
categorie tradizionali. Si va a guardare, oltre allo stato, gli imperi (grandi aggregazioni di poteri economici,
massmediali, grandi sfere di influenza che sono capaci di orientare le RI), i blocchi (ideologie che avvicinano
un certo numero di stati o soggetti). Sono tipologie di possibili attori delle RI che il neorealismo prende in
considerazione perché, se ignorati, indebolirebbero l’importanza dello stato. Il neorealismo anziché
socializzare lo stato (far sfumare le caratteristiche politiche dello stato per dare più rilevanza alle strutture
sociali), politicizza gli attori delle RI e i campi sociali, per questo viene chiamato realismo strutturale (che
ingloba le strutture sociali).
LIBERALISMO: è una corrente politica che nasce alla fine del ‘700 ed è principalmente rappresentata da un
economista inglese, Adam Smith, che scrive un saggio che si intitola “Sulla ricchezza delle nazioni” ed
afferma un principio: bisogna lasciare che gli stati, le economie e le persone seguano il loro ritmo di
sviluppo naturale perché naturalmente la natura è orientata positivamente verso la crescita, l’evoluzione e
il progresso. I liberali si domandano a cosa serva lo stato, se la natura ci ha già predisposti verso un
percorso di miglioramento. Il compito dello stato è quello di assecondare questo processo, creando le
condizioni e le opportunità perché avvenga. Non deve né promuovere né reprimere. Il liberalismo non
nega che lo stato sia necessario e presente, ma ne limita le funzioni. Lo stato non deve primeggiare ma
soltanto regolare.
11/10/16
Il liberalismo è solo in parte una teoria nuova, in realtà è una teoria politica tra le più antiche (18° secolo), è
la stessa cosa del liberismo in economia, e ha come punto centrale di riflessione il principio che bisogna
lasciare la libertà di iniziativa politica ed economica (la libertà è un diritto naturale) e che lo stato e la
comunità internazionale devono porsi un limite, devono assecondare il conseguimento di queste libertà e
deve astenersi dall’intervenire quando queste libertà sono garantite. Il massimo teorico è John Ikenberry
(anni ’90) spiega che lo stato nel momento in cui emerge a livello internazionale (diventa attore della
politica internazionale) ha sempre solo due alternative: o asseconda e quindi rientra nei propri limiti (ed è
uno stato liberale), oppure supera questi liberi diventando stato oppressore (sistema imperiale, dittatura,
tirannia, ecc.). Lo scopo di questa riflessione sta nel fatto che solo il modello di stato che rispetta le regole
all’interno del liberalismo, offre garanzie di stabilità a livello internazionali perché rende visibili le “regole
del gioco” (es: cerimonia di giuramento dei presidenti USA, ripetizione di regole che danno
affidamento).
Tutte queste teorie cercano un criterio sicuro per garantire stabilità al sistema internazionale ed evitare
l’anarchia. Alla fine del ‘900 la comunità internazionale si trovava di fronte ad una situazione nuova, che
nessuno aveva conosciuto prima: la scomparsa delle grandi potenze. Quindi si doveva capire come riuscire
a stabilizzare il sistema internazionale in assenza dei protagonisti che l’avevano fatto per molto tempo. Non
c’è più una o più potenze in grado di stabilizzare l’ordine internazionale. Cosa può succedere?
L’unica alternativa alla stabilità è il CAOS. Alla fine degli anni ’90 si assiste alla comparsa di due fenomeni:
1) una serie di teorie nuove che cercano di interpretare questa fase di caos che si sta aprendo;
2) tentativo di individuare usando la teoria quantistica delle possibili regole attraverso le quali si potrà
stabilizzare in futuro il sistema internazionale.
La prima risposta consiste in una serie di teorie che cercano di fare i conti in un sistema dove lo stato ha
cessato di esercitare il suo ruolo di stabilizzatore:
1)TEORIA DELL’ANARCHIA INTERNAZIONALE: anarchia significa che non esiste più un potere, nelle RI
significa che non esiste più una forza in grado di stabilizzare il sistema internazionale. Mancando questo
potere viene a mancare soprattutto un interesse capace di muovere e organizzare la politica internazionale.
è lo stato quello che è capace di veicolare efficacemente gli interessi che portano ad accordi. Soluzioni ad
una situazione di anarchia internazionale: 1) teoria dei regimi, dice che un sistema internazionale può
preservarsi dal caos in assenza di uno stato attraverso meccanismi di autoregolazione della comunità
internazionale che nascono per il fatto stesso che la globalizzazione ha portato ad un sistema diffuso di
relazioni o reti (fra individui) che sono capaci di autoregolarsi anche senza uno stato e sono capaci di
produrre tutti gli aggiustamenti per stabilizzare l’ordine e bilanciare tra di loro gli stati che sopravvivono in
una qualche forma (la primavera araba si è mossa e costruita attraverso reti sociali).
2) intergovernalismo: corrente delle RI che studia i meccanismi che spingono gli stati ad associarsi
mettendo in luce il fatto che gli accordi internazionali non necessariamente vengono fatti tra governi di
stati ma ance tra altre forme di governo (es: in italia un accordo internazionale può essere fatto dal governo
ma anche da un governo regionale, tipo presidente della regione veneto che fa un accordo con il presidente
della regione Tirolese…). Un conto è l’interesse del governo italiano, un altro è l’interesse del governo del
veneto o magari del governo di una città. Consente di mettere in campo una gamma di interessi molto più
vasta rispetto a quelli tradizionali di cui si fa a capo lo stato. È una prospettiva utile a preservarsi
dall’anarchia internazionale dando voce a tutti questi soggetti e forme di governo, al di là e nonostante gli
stati. Le organizzazioni internazionali invece sono organizzazioni di stato, non governo. Ma non si eclissano
come lo stato, perché sono dei moltiplicatori di potenza e consentono di dare forza a dei soggetti che
altrimenti sarebbero deboli.
Recupero 15/10/16
Non si capisce più come rendere stabile l’ordine internazionale in assenza di una qualche super potenza che
sia in grado di esercitare il suo ruolo egemone. L’unica prospettiva che si apre è quella del disordine
mondiale, l’opposto di quanto detto dal realismo: irrazionalità, caos, disordine. Ciò favorisce la nascita di
nuove teorie che hanno la caratteristica di non fare i conti con i concetti tradizionali visti fino ad ora:
centralità di stato e politica.
Teoria dei regimi: parte da due presupposti: 1) uso della fisica quantistica, le teorie della fisica quantistica
permettono di vedere un ordine attraverso un apparente disordine. Anche se ci troviamo di fronte al
disordine, non è anarchia. Risolviamo spostando l’attenzione dalla tipologia di soggetti che venivano
studiati, verso le reti come sistemi di relazioni, al di là di chi mette in campo queste relazioni. Queste
relazioni possiedono in se stesse dei meccanismi di auto-regolazione.
2) intergovernalismo: particolare tipo di rete e relazione che continua a dare attenzione alla politica ma che
scegli come attori da studiare in campo internazionale i governi anziché gli stati e tutte le organizzazioni che
dipendono dagli stati. Facendo un grafico tra tutte queste relazione tra tipi diversi di governo ci troviamo di
fronte ad una rete. L’intergovernalismo sfrutta il dibattito che c’è stato nel corso del ‘900 che aveva già
spostato l’attenzione dallo stato al governo. L’intergovernalismo salva un tipo di attori delle RI che altre
teorie mettono in discussione, cioè le organizzazioni internazionali, dice che se opportunamente usate
possono diventare dei moltiplicatori di potenza.
3) Anarchia matura, formatasi nel corso degli anni 90. Indica un sistema globalizzato nel quale, da una
parte la scomparsa dello stato e dall’altra parte il prevalere degli istinti naturali egoistici delle nazioni e
comunità, hanno portato alla costruzione di una sorta di villaggio globale in cui tendenzialmente
prevalgono appunto gli interessi di natura egoistica, e lo stato che si è indebolito non ha la forza per
controllare e frenare questo tipo di interessi egoistici (competizione, istinto a sopraffare il proprio
avversario, istinto a fare la guerra, ecc.). Questa teoria ha aperto la strada agli studi sulla sicurezza, ha
permesso di mostrare che tutti questi interessi egoistici incontrandosi formano una nuova identità
collettiva che corrisponde (negativamente) da una parte alla logica della sopraffazione e dall’altra
(positivamente) all’esigenza della sicurezza. Non si tratta più di un discorso a livello dello stato, ma a livello
mondiale. Ma mancando lo stato non esiste un potere a livello mondiale capace di controllare questo
meccanismo. Manca un potere politico superiore al di là dello stato in grado di controllare. Il merito di
questa teoria è stata quello di aprire un grande filone di studi sul quale si sta lavorando in questi anni, che è
quella degli STUDI SULLA SICUREZZA. La parola sicurezza è un modo più moderno per intendere la difesa.
Questa teoria dell’anarchia matura si pone a metà strada tra i transnazionalisti e i realisti. Va oltre gli stati
ma si pone un problema politico che è un tema realista. In questo modo riesce a fare differenze nette tra le
categorie utilizzate dal realismo, che non funzionano più bene e invece le teorie che usiamo oggi
normalmente. Società internazionale (quella delle organizzazioni internazionali quindi dipendenti dalla
politica non in grado di stabilizzare il mondo delle RI), la società mondiale invece è una società non legata
politicamente.
4) la Pax Democratica: teoria nata nell’area britannica tra fine anni ’80 e inizio ’90, che cerca di recuperare
alcuni elementi del liberalismo, sempre in un contesto di disordine. Sostiene che dentro questo apparente
disordine mondiale c’è una tendenza facilmente riconoscibile, quella degli stati democratici a non fare la
guerra perché il loro interesse è quello di promuovere le libertà individuali, prima di tutto quella
commerciale. Gli stati democratici cercano la via della pace e ricorono alla guerra solo quando sono
costretti. Se questo è vero allora è possibile promuovere una nuova forma di stabilità del sistema
internazionale promuovendo il modello della democrazia (con tutti i suoi difetti) a livello universale, così
che tutti i paesi del mondo saranno naturalmente indotti a cercare la pace e stabilizzare il pianeta.
Dopo la fine della guerra fredda
Queste 4 teorie sono dei tentativi di interpretare il disordine internazionale, il caos che si è determinato
dopo la guerra fredda (siamo a livelli di tentativi e ancora oggi non si è trovata una teoria altrettanto forte).
Accanto a queste prime proposte si è cercato di riflettere anche su cosa sia veramente accaduto a livello
sistemico, cioè a livello complessivo. Siccome questo periodo di crisi non si è risolto in tempi brevi, bisogna
capire se è una fase di transizione o se ci troviamo dentro a qualcosa di completamente nuovo che non
riusciamo a capire. Si è aperto quindi un campo di studi che è quello di coloro che dicono “non siamo in un
a fase di transizione, siamo di fronte ad un cambiamento sistemico e le RI sono cambiate così
profondamente che non possiamo più applicare alcuna teoria precedente”. Un segnale di questa rottura
consiste nel fatto che sembra essere venuto meno il principio del sistema dell’equilibrio, per la prima volta
dopo 500 anni. Un altro elemento che ha fatto riflettere, consiste nel fatto che in 25 anni non si è ancora
trovato alcun modo per instaurare un nuovo ordine internazionale. Questa idea della rottura ha prodotto
all’inizio degli anni 2000 un certo numero di riflessioni: 1) teoria della fine della storia: nata da un libro
pubblicato da Frencis Fukuyama nell’anno del crollo del muro di Berlino 1989, affermando che questa fine
della storia coincideva con il fatto che la democrazia come modello di vita rappresenta il punto finale
dell’evoluzione ideologica della comunità. La democrazia è il punto massimo al quale può aspirare l’umanità
e per questo si finisce nel caos, perché non c’è più un obiettivo. Di conseguenza si può raggiungere la
stabilità solo fino a che rimane questo obiettivo della democrazia. Se tutti gli stati del mondo diventassero
democratici, allora non c’è più il governo del mondo. Accusa verso gli USA: hanno interessa affinché alcuni
non raggiungano la democrazia perché solo così possono perseguire la loro leadership mondiale.
Lo scontro di civiltà: Samuel Huntington. 1993. In questo caos del governo mondiale non c’è una
prospettiva di stabilizzazione ed è anche l’eclissi delle religioni, siamo ad un percorso verso l’anarchia
mondiale che va misurata non solo come scomparsa di ideologia ma anche delle religioni. Sia nel
cristianesimo che nell’islam. Questo fatto non è positivo, se non ci si fa guidare nemmeno dalla religione
non c’è più nessun potere in grado di dare stabilità. Non c’è più né lo stato, né la politica, né la religione e
cultura, quindi resta lo scontro tra civiltà: anarchia internazionale.
Il nuovo medioevo: Alain Minc, 1993. Nella storia si contrappone l’età moderna (razionalità) al medioevo
(disordine). L’anarchia nella quale siamo precipitati è il riemergere di tanti particolarismi che la razionalità
del mondo moderno aveva superato. Mentre in un sistema moderno esistevano autorità capaci di
esprimere un comando e pretendere un’obbedienza ora ci si trova ad una quantità incontrollabile di
movimenti. Significa anche la scomparsa di categorie familiari alla politica del ‘900, cioè divisioni e
separazioni come quella del pubblico e del privato.
Post-strutturalismo: superare lo strutturalismo (studio delle strutture sociali). Nasce da esperienze di tipo
linguistico e dice che nel momento in cui nelle RI si va a studiare questi fenomeni bisogna guardare oltre le
strutture sociali per riconoscere l’importanza delle narrazioni. Non è importante come si organizza un
soggetto delle RI ma come si racconta. È importante come la nazione racconta se stessa ed è capace di
offrire una certa immagine. Il post strutturalismo avviene in tutti i campi, anche le rappresentazioni
geografiche. Oltre la politica, oltre le strutture sociali, ci sono le narrazioni, che si basano prevalentemente
sulle differenze e non sulle identità. Noi definiamo la nostra identità attraverso le differenze. Il post
strutturalismo può essere definito con una specie di ideologia dello scetticismo, nel senso che ciò che conta
non è la realtà ma come questa realtà viene raccontata. Quindi qualsiasi categoria tradizionale può essere
messo in discussione. Lo stato è tale perché si è narrato in questo modo.
Post-colonialismo: nelle RI sostiene che tutte le categorie che noi usiamo nelle RI non sono neutrali. Tutte
le teorie che abbiamo incontrato non sono neutrali in termini di razza e genere ma sono tutte il riflesso del
dominio dell’occidente. La grande paura che sta dietro al caos in realtà è la paura dell’occidente che ha
perso la sua supremazia. Il mondo post coloniale non è un mondo che è uscito dal colonialismo, significa
che il colonialismo è continuato ma in forme diverse.
L’interesse alla difesa dei singoli stati si proietta nell’interesse globale della sicurezza. Questo problema
della sicurezza è stato introdotto allo scopo di capire quali sono le tendenze possibili del sistema
internazionale. Questo problema della sicurezza viene studiato da due tendenze:
1) Peace studies: in un ambito post strutturalista i peace studies si propongono di capire quali sono le
possibili spinte verso una società globalizzata all’insegna della pace, come riflesso di un istinto naturale
dell’uomo capace di vivere pacificamente. Dicono che se questa è l’immagine della natura destinata a
prevalere, allora dobbiamo andare ad analizzare una serie di nuovi fattori che prima non venivano presi in
considerazioni, vere cause degli squilibri e tensioni internazionali: le disuguaglianze tra gli esseri umani
intesi come disparità di classe, genere e razza. Si può stabilizzare il sistema internazionale nel momento in
cui si vanno ad eliminare tutte le cause di disparità, perché l’instabilità non è determinata dagli interessi
egoistici di stati ecc., ma dalle disuguaglianze. Hanno introdotto gli studi sulle trasformazioni non violente
cioè che non si esprimono attraverso la politica e poi annullano tutte le gerarchie di tipo verticale (dallo
stato al governo più piccolo) e vanno ad analizzare fenomeni su scala mondiale e multiculturale che
intercettano gli stessi piani. 2) Critical security studies: avviato in Canada, elabora il concetto della
sicurezza mondiale non come proiezione del bisogno di difesa della comunità, ma come proiezione del
bisogno di sicurezza delle singole persone. La sicurezza globale non è una proiezione del bisogno di
sicurezza degli stati ma delle singole persone. Grande effetto dopo le torri gemelle. Lavorano sul concetto
di sicurezza globale andando ad analizzare l’origine delle minacce che ci sono a livello globale, la loro
origine ecc., e a suggerire delle risposte che risponde al bisogno delle persone e non degli stati. Uno
sviluppo di questi security studies sono gli human security studies: non riguarda più nemmeno la sicurezza
fisica ma riguarda l’ambiente, l’alimentazione, le disparità economiche, il traffico di droga, il terrorismo,
ecc.
Dentro questo quadro sta succedendo qualcosa di nuovo negli Stati Uniti d’America: in realtà era già
iniziato con la “dottrina Monroe”: negli anni ’20 dell’800 presenta un programma di politica estera che
rivendica la decisione sulle questioni americane (del continente) esclusivamente agli americani rifiutando
l’influenza delle potenze coloniali europee. Primo grande segnale di cambiamento perché come
conseguenza gli USA iniziano ad influenzare economicamente l’America centrale e latina. Apertura di un
enorme mercato per gli USA che fa crescere l’economia e il prestigio di questo giovane continente. Mentre
l’EU esce da un sistema di equilibrio che fa perno sulla GB, gli USA cominciano a crescere come potenza.
Riescono a imporre la propria volontà politica nel resto d’America.
Inoltre rappresentano un mercato tra i più grandi del mondo (in termini di territorio), quindi rispetto alla
GB che aveva un territorio molto piccolo e doveva ricorrere alle colonie, gli USA hanno il vantaggio di poter
ricorrere a risorse che hanno già in casa loro. In EU tutti avevano usato il sistema coloniale per cercare
risorse al di fuori.
Al loro interno poi, gli USA mettono in pratica delle strategie di impresa che si riveleranno nel breve e
medio periodo molto efficaci per gestire l’economia industriale: sistema di integrazione verticale tra le
imprese. In EU si utilizzava un sistema orizzontale: per diventare più forti si tendeva a integrare tutte le
imprese che svolgevano la medesima attività. Gli USA si inventano un sistema nuovo per essere competitivi:
l’integrazione verticale: si integrano tra loro tutte le aziende che servono a fornire dei servizi e prodotti che
servono l’una all’altra. Nel sistema industrializzato di fine 800 questa novità dà un valore aggiunto che
rende le imprese statunitensi più competitive rispetto a quelle occidentali. Consente tuttavia di ottimizzare
la produzione e mantenere alti margini di profitto.
22/11
Contesto di industrializzazione avanzata e di imperialismo, che è un contesto di competizione globale.
Questo scenario nuovo che si viene a creare nel corso dell’800-900 rivela l’insufficienza degli strumenti
adottati dalla GB, che funzionavano nel rapporto con l’Europa e l’Atlantico, ma funziona meno quando
l’industrializzazione mette in risalto questioni sociali.
Una delle chiavi per capire la diversa scala su cui si muovono gli USA è l’industrializzazione: no imprese
familiari come la GB e no mercato esterno. Gli USA costruiscono la loro leadership ricorrendo ad un
mercato interno perché sono un paese molto grande e hanno in casa il proprio mercato. Questo bypassa il
problema di investire risorse per acquisire mercati, cosa che invece facevano sia olandesi che britannici.
Vantaggio che nessuna delle egemonie precedenti aveva a disposizione. La Russia si trova in una situazione
simile, con un confine che si stava allargando verso est.
L’innovazione più importante avviene nell’impresa, attraverso al sistema di fusione tra imprese e industrie
che non avviene più in senso orizzontale come in Europa ma avviene in senso verticale (vedi sopra).
L’industria dell’automobile è un esempio (Ford). Questa innovazione permette di spingere
l’industrializzazione verso un’ottimizzazione (aumento margine del profitto) che prima non si poteva
immaginare, perché non solo consente di ridurre i costi ma anche i concorrenti.
Altra caratteristica di innovazione sta nel fatto che questo modello di impresa è informale (non regolato,
con un bassissimo livello di controllo da parte delle leggi dello stato). Lo stato si astiene dall’intervenire nel
mondo dell’economia → libertà di impresa.
Se lo stato non regola, le regole vengono dalla capacità dell’economia di autoregolarsi, da qui il bisogno di
vedere se esistono regole naturali diverse dalla politica che consentano al mondo dell’economia di
autoregolarsi. Se l’economia deve autoregolarsi e la politica non ha più importanza, come conseguenza
porta ad un indebolimento degli stati, che rappresenta un danno nelle RI perché se lo stato non ha più
capacità di regolare le RI, chi altro lo può fare?
Questo dilemma si verifica anche nel mondo del lavoro: per uscire dalla crisi di Wall Street, Roosvelt crea la
politica “New Deal” che si legava al fatto che il nuovo strumento che doveva consentire di creare un
accordo sociale tra l’elettorato e chi lo governava (tra esecutivo ed elettori) non era un contratto politico
ma economico, il cui contenuto era il consumo di massa come forma di appagamento della società (grado
di soddisfazione di chi è governato). La soddisfazione si misura attraverso un pubblico consumatore.
In questo meccanismo la politica intesa come la intendeva il realismo, non è più rilevante. Nella società
americana del 1930 un altro dei risultati paradossali è stato quello di delegittimare non solo lo stato ma
anche una serie di organi e funzioni legati alla politica (i partiti, i sindacati, la cooptazione dei lavoratori
nella gestione della politica). Il livello di leadership degli USA è un modello dentro il quale la politica rispetto
la globalizzazione ha uno spazio sempre più marginale.
Quando avviene il passaggio tra GB a USA?
1) ingresso nella 1^ guerra mondiale
2) Crisi di Wall Street
Sono il segno della fine dell’egemonia britannica che non è più in grado di esercitare la sua storica
leadership a livello mondiale.
Meccanismi attraverso il quale avviene: gli Usa erano indebitati con la GB allo stesso modo in cui la GB era
indebitata con l’Olanda. Gli Usa entrando in guerra decidono di pagare i propri debiti in fornitura di armi
anziché denaro e mettono la GB in crisi di liquidità.
Dal punto di vista finanziario la GB perde l’egemonia che aveva esercitato fino a quel momento. Il crollo
della borsa di Wall Street è conseguenza di questa tecnica che gli USA avevano messo in campo.
Tutto ciò sembra confermare che la crescita degli USA avviene perché non ah un altro competitore, non
avviene attraverso una competizione diretta attraverso la GB. Nel momento in cui gli USA diventano leader
mondiale lo diventano in un modello globale che era diverso da quello in cui erano diventati leader i
britannici, quindi gli americani oltre a riprendere alcuni aspetti delle egemonie precedenti devono anche
inventarne di nuovi
Cambiamento radicali dei sistemi interstatali: lo stato non ha più quei poteri che aveva prima quindi gli USA
devono dotarsi di strumenti per esercitare la leade3rship di fronte ad uno stato che si è indebolito. Iniziano
ad essere costruite le teorie del Neorealismo, in risposta a tutte le teorie che avevano messo ai margini il
realismo. Metà del ‘900: gli Usa devono reagire ad un contesto di globalizzazione che ha messo in crisi la
centralità dello stato. Il neorealismo rilancia la centralità dello stato anche in mondo globalizzato (uso della
guerra, della bomba atomica come arma di persuasione, ecc). Un’altra cosa che fanno è ridurre la
competizione internazionale ad una competizione fra stati, togliendo autorità a tutti gli attori diversi dagli
essi (governi, organizzazioni non governative, stati protonazionali: non hanno ancora raggiunto l’obiettivo
di lingua, cultura, territorio comuni).
28-11
I 30 anni della crisi iniziata con la fine della guerra fredda probabilmente non sono sufficienti per capire se
questa crisi corrisponde ad una nuova transizione egemonica o ad un crollo sistemico. 30 anni sono troppo
pochi per fare una analisi completa ma forse si possono individuare delle costanti. La crescita dell’egemonia
statunitense è iniziata con la dottrina Monroe a inizio 800, è cresciuta e consolidata nell’800. Gli USA
portano ad una fase più matura il fenomeno dell’industrializzazione inserito all’interno della
globalizzazione, dando un ruolo di primo piano all’industria e mettendo in secondo piano lo stato, perché
all’interno dell’idea del liberismo lo stato doveva allentare al massimo i vincoli. Questo allentamento ha
corrisposto ad una scomparsa dello stato?
Gli avvenimenti della prima metà del ‘900 (1917-1945) rappresenta l’apice della crescita egemonica degli
USA e contemporaneamente rappresenta la crisi definitiva della potenza britannica. Si rovescia il rapporto
tra USA E GB come prima si era rovesciato quello tra GB e Olanda: la GB diventa creditore. Il deficit
commerciale britannico supera quello degli USA che diventano vero motore dell’economia mondiale. Il
1945 rappresenta il momento massimo dell’ascesa degli USA. L’apice di questo percorso corrisponde anche
all’inizio di una lunga decadenza.
Quali sono i segnali che ci mostrano l’apice della potenza degli USA? Ce ne sono diversi:
-Il dato finanziario: da paese debitore diventano paese creditore;
-il mondo che si è allargato (globalizzazione): coincide con tutto il pianeta, non esistono più aree non
scoperte; quindi cambia anche il centro possibile di questa globalizzazione: non sono più né l’Olanda né la
GB, lo diventano gli USA.
Gli USA consolidano la loro egemonia partendo dal discorso finanziario e lo fanno declinando lo strumento
della finanza su un piano nuovo rispetto al passato, quello della gestione della moneta: possibilità di
esercitare una leadership dal punto di vista finanziario trasformando il dollaro da valuta nazionale a valuta
mondiale.
Attraverso il discorso sulla moneta, gli USA cambiano le forme della competizione fra stati, che si fa sempre
meno attraverso la guerra e l’industria, ma attraverso la funziona attribuita alla moneta. Ci riescono nel
1944, gettando le basi per il consolidamento della loro egemonia, l’esercizio della funzione di equilibrio.
Una delle tappe più importanti è costituita dagli accordi di Bretton Woods, dove per la prima volta si decide
una novità: fino a quel momento in tutto il mondo il valore della moneta è strettamente legato al rapporto
diretto che quella moneta ha con l’oro (la capacità di battere moneta e di poterlo fare in completa
autonomia con l’unico limite della quantità di oro corrispondente che hai). Gli USA riescono ad imporre
tramite questi accordi un sistema che abbandona questo rapporto diretto tra le monete nazionali e l’oro,
per costringere tutti i paesi del mondo a porre la capacità di fare moneta sotto un organo di controllo
comune che è il fondo monetario internazionale, al quale tutti i paesi partecipano in proporzione alla quota
di adesione. È formalmente una garanzia ma in realtà è una manifestazione della politica di potenza che è
capace di esercitare lo stato maggiormente azionista all’interno del Fondo monetario. Gli USA attraverso
questo sistema riescono a cambiare il meccanismo di rapporto tra le monete nazionali che non è più
direttamente con l’oro ma con il dollaro.
Il valore di ogni moneta nazionale è legata al valore del dollaro. Se l’economia statunitense cresce, allora
cresce il valore del dollaro e anche delle altre monete. Gli USA hanno anche la libertà di stampare quanti
dollari vogliono. Il risultato è che gli USA possono stampare la quantità di dollari che vogliono, scaricando
all’esterno la loro inflazione (ristagno e crisi economica che si manifesta negli anni 70-80-90) e mettono
nelle mani di tutti gli attori del mondo i dollari che sono il loro debito pubblico. Se tutte queste banconote
finiscono in mano ai cinesi, questi diventano i padroni dell’America perché detengono il loro debito
pubblico. Nel 1944-45 queste cose non interessavano ancora a nessuno, l’importante è creare un
meccanismo finanziario attraverso il quale gli USA possono esercitare il loro ruolo di leadership (la moneta
è strumento tipico del realismo).
Gli USA affermano la loro egemonia anche tramite la guerra (altro strumento del Realismo). L’egemonia è
stata esercitata attraverso il controllo dell’arma nucleare come forza di dissuasione a partire dalle bombe
sganciate sul Giappone.
Il terzo ambito nel quale gli USA sanciscono la loro egemonia nel 2°dopoguerra è il sistema del commercio
mondiale: viene esercitato attraverso le organizzazioni internazionali, attraverso la particolare idea del
mercato applicata all’idea di consumo, attraverso le reti informatiche.
Caratteristiche egemonia USA vs LE ALTRE
Concentrazione senza precedenti di capacità sistemiche: sono l’unico paese al mondo in grado di
concentrare con tanta efficacia le capacità sistemiche necessarie per “governare” la globalizzazione. Sono il
paese che ha la maggiore autosufficienza e la minore complementarietà rispetto al contesto e ai sistemi
precedenti. Olanda e GB avevano un forte grado di integrazione nel SI, nell’ordine che si è creato dal 1945
gli USA hanno avuto un sistema di integrazione molto più basso. Gli USA hanno mostrato che l’innovazione
tecnologica è uno degli strumenti fondamentali per esercitare una leadership a livello globalizzato.
Altra novità by USA: mentre nel caso olandese e inglese si è trattato di egemonie costruite dal basso, nel
caso degli USA gran parte dell’egemonia è stata costruita dall’alto come atto consapevole da parte dei
governi statunitensi, cioè attraverso programmi politici trasmessi tramite la comunicazione di massa.
Lo vediamo dal fatto che i sistemi di comunicazione di massa a partire da quel momento iniziano a piegare
come si deve affermare questa nuova egemonia, attraverso la distruzione degli equilibri precedenti.
Messaggi politici molto chiari. Il primo caso è la “Dottrina Truman”, dove una delle cose più evidenti è il
fatto che nei discorsi pubblici tutte le alterazioni all’ordine internazionale vengono ricondotte alla
responsabilità di altri, diversi dagli USA, vengono ricondotti a una ideologia del nemico, viene attribuita
maggiormente all’unico particolare concorrente che è l’Unione Sovietica alla quale viene attribuita questa
immagine del male, riservando agli USA l’immagine positiva secondo una tattica che poi, una volta ridotta
la minaccia sovietica, ripropongono nei rapporti con il medio oriente.
Viene messa anche in campo l’ideologia della sicurezza (security studies): lo stato è unico garante della
sicurezza delle persone, dell’economia eccetera.
Mercato economico, mondo dell’industria: gli USA come potenza leader si sono attenuti ai principi del
liberismo economico, evitando di intervenire direttamente. Sono intervenuti solo: 1) con la depressione
dopo il crollo di Wall Street; 2) dopo la crisi finanziaria del 2008.
La grande industria americana globalizzata per espandersi ha dovuto farlo all’estero. Quindi è diventata
sempre più dipendente da ciò che avveniva fuori dagli USA, di conseguenza da una parte l’industria si è
rafforzata, dall’altra è diventata sempre più esposta a crisi che si verificavano in altre zone del mondo.
29/11/16
Finanza, impresa e società: aspetti di ogni egemonia da studiare bene per l’esame.
IL MONDO ASIATICO
Asimmetrie del mondo asiatico rispetto ai tre cicli egemonici che abbiamo visto finora: come si è
comportato il mondo asiatico rispetto la globalizzazione e ad un sistema di RI che è prevalentemente
eurocentrico e comunque condizionato dall’occidente?
1)Guardare il mondo asiatico dal punto di vista europeo
2) guardare il mondo asiatico dal punto di vista asiatico
Allora si riesce ad avere a disposizione molti strumenti di analisi utili per capire se il mondo asiatico abbia
fatto parte del percorso di globalizzazione ose è rimasto completamente fuori ed è diventato attore delle RI
in tempi recenti. Le TdRI pretendono di delineare delle norme di comportamento che si pretendono essere
universali. Bisogna capire se il mondo asiatico avvalora queste teorie o se le mette in discussione.
La prima avvertenza fondamentale per questo studio, è che il concetto dello stato come soggetto
privilegiato delle RI è un concetto che è stato prodotto dall’occidente e nel momento in cui andiamo a
studiare il mondo asiatico dobbiamo capire se è esistito una specie di stato sovrano come quello classico.
Una seconda avvertenza è che in realtà non è del tutto vero che il mondo asiatico è completamente assente
dal sistema delle RI da prima dell’800-900. Accanto al sistema internazionale europeo e occidentale è
esistito anche un sistema delle RI circoscritto al mondo asiatico e questi due diversi sistemi internazionali
che prima si incrociavano in maniera occasionale, per effetto della globalizzazione sono venuti a contatto
sempre più diretto fino a fondersi l’uno con l’altro.
Già con il sistema egemonico olandese si è assistito a meccanismi di confronto e relazioni con il mondo
asiatico, basati su una serie di accessi privilegiati che l’egemonia di turno aveva col continente asiatico con
l’esclusione di altri concorrenti (gestione in esclusiva dei rapporti con il mondo asiatico).
Anche qui nella transizione di queste egemonie, possiamo riconoscere un progressivo salto di qualità nei
rapporti col mondo asiatico, si è passati da un basso grado di interferenza tra occidente e oriente, ad un
livello sempre più elevato del mondo occidentale con l’asiatico. La fase olandese è a bassa interferenza, a
partire dalla fase britannica, con la penetrazione nei territori (India) si ha sempre più interferenza.
Altro problema di fondo da tenere ben presente: il mondo asiatico fin dall’età moderna, è una realtà
caratterizzata da grandi civiltà anche intese come grandi organizzazioni politiche. Il sistema delle RI
occidentali si confronta con una realtà su cu insistono grandi civiltà e raffinate organizzazione politiche. È
una storia dell’allargamento verso modelli di organizzazioni politica competitivi del sistema internazionale
rispetto l’occidente: il sistema delle RI occidentale si espande perché si disgrega il sistema internazionale
dell’oriente basato su rapporti stretti. Molto probabilmente era il sistema asiatico che era già in crisi e
quindi l’occidente intercetta questa fase di crisi e ciò permette l’espansione del modello europeo. Nel corso
del 700 le società asiatiche erano vulnerabili e questa loro vulnerabilità li rende vittime di questa
esperienza di globalizzazione che ci ha portato verso il sistema contemporaneo. Fino alla fine del ‘500 gli
studi hanno dimostrato che il sistema asiatico era più sviluppato rispetto a quello occidentale.
Caratteristiche sistema di commercio intra-asiatico
Era un sistema molto evoluto nel momento in cui gli europei lo conoscono, ed era caratterizzato da un’idea
dell’equilibrio in cui la centralità era attribuita all’India. Questo sistema aveva una organizzazione politica
molto complessa, non assimilabile allo schema di rapporto fra stati in occidente, ma formata da strutture
(basate molto sull’organizzazione familiare e su vincoli personali che univano i singoli a chi governava), che
interagivano tra di loro attraverso legami personali. Nel momento in cui entra in crisi, proprio nel corso
dell’età moderna occidentale, le parti più periferiche di questo sistema vedono rotti i legami che li uniscono
al centro rappresentato dall’area indiana. Succede che la struttura politica interna si sgretola e sopravvive
la rete commerciale. Gradualmente le potenze occidentale accentuano la disgregazione che è già in atto.
Mano a mano che la tecnologia militare europea si sviluppa, quella orientale va sempre peggiorando
facendo sì che l’oriente non possa essere competitivo.
Effetti dell’intrusione europea: spagnoli e portoghesi
I portoghesi nella colonizzazione non penetrano nei territori per intolleranza religiosa. Questo però non
influisce sul commercio asiatico.
Gli spagnoli non interferiscono col mondo asiatico perché sono concentrati sulla rotta atlantica. Arrivano
nel mercato cinese attraverso le Americhe, non attraverso la via asiatica, quindi i rapporti che hanno sono
minimi.
Diversamente invece dalla fase olandese, che appropriandosi delle rotte commerciali, inizia a disarticolare
le strutture del sistema inter asiatico. Sfruttano meccanismo di monopoli anche nel commercio con
l’oriente, si intercetta la rete commerciale esistente ma la si sfrutta per commerciale solo determinati
prodotti che non interessano agli asiatici così da non creare competizioni. Sempre attraverso questo
sistema gli olandesi riescono a focalizzare l’attenzione su delle specifiche zone dell’area asiatica perché
funzionali per il sostenimento del commercio (Indonesia).
La fase britannica rappresenta un passo in avanti nel processo di disarticolazione del sistema asiatico:
investe in termini di attenzione e colonizzazione molto di più sul mondo asiatico rispetto gli olandesi.
Inoltre non si ha solo l’intercettazione delle rotte commerciali ma anche la penetrazione nei territori
(sfruttamento forze lavoro). Nel momento in cui gli inglesi inaugurano questo approccio si ha il culmine
della crisi asiatica, con un collasso interno dell’India. L’impero indiano all’inizio del ‘700 è in crisi profonda.
Gli inglesi sostituiscono il loro sistema di governo a quello dei Moghul, ereditando tutto il sistema che era
già stato messo insieme (rapporti fra caste, organizzazione della società verticale).
Si crea la nozione moderna di IMPERIALISMO, con la penetrazione inglese dell’India il controllo diventa
anche uso della forza e diventa dominio. In questo modo andando a colpire il centro del sistema asiatico si
determina il collasso del sistema asiatico. La GB non soltanto non ha più concorrenti in Euopa, ma non ha
più nemmeno un competitore nel mondo asiatico. L’unica minaccia possibile rimasta è l’impero cinese. La
competizione fra GB e Cina sarà quella che permetterà l’emergere anche nel mondo asiatico di una nuova
potenza egemone che saranno gli USA.
5 DICEMBRE
Fase britannica relativa all’espansione in Asia:
egemonia legata alla penetrazione nel territorio e quindi controllo del territorio. Questa penetrazione
avviene in particolare nel continente indiano che rappresentava il centro del sistema del commercio
asiatico ed in quel momento era l’area di maggiore criticità del punto di vista istituzionale. I britannici
entrano e non fanno altro che conservare il sistema commerciale intra-asiatico e sostituirsi al potere
politico e al governo dei mogol. Dal punto di vista istituzionale e commerciale nella prima fase i britannici
non compiono alcuna innovazione nell’organizzazione politica né quella sociale perché è da li che poi i
britannici trarranno le risorse sotto forma principalmente di forza lavoro per sviluppare la loro egemonia
dal punto di vista del processo di industrializzazione (abbattimento costi, ecc.. ). Ma operando così i
britannici disarticolano le RI nel sistema intra-asiatico e rendono visibile una nuova caratteristica delle RI
dell’800 e 900, ovvero quella legata al fenomeno dell’Imperialismo (capacità di imporre la propria volontà
sugli altri).
Le parole d’ordine sono COERCIZIONE, CONTROLLO E DOMINIO. Sono le parole che caratterizzano la
politica di potenza da questo momento in poi.
‘Imperialismo’ deriva da ‘impero’ ed è una particolare modalità di esercizio dell’impero attraverso gli
strumenti di coercizione, controllo e dominio. Per questo oggi ha una valenza negativa.
Come conseguenza si ha anche uno spostamento sempre più evidente nel corso dell’800 e nel 900 del
baricentro delle RI intorno al mondo asiatico (India e poi progressivamente Cina e area del Pacifico).
Sullo scenario asiatico assistiamo a un conflitto tra due potenze competitrici che potenzialmente possono
diventare leader ma all’esito di questo conflitto spunta fuori un terzo soggetto che sarà quello destinato a
svolgere il ruolo egemone (USA).
La crescita dell’egemonia britannica è una tappa fondamentale per capire come si arriva al conflitto tra i
due grandi attori che avrebbero potuto essere leader (Gran Bretagna e Impero cinese). È qui che si decide
l’esito del sistema delle RI intra-asiatico. Nel confronto tra le due si vede il mondo in cui il mondo delle RI
diventa un mondo globalizzato e anche il mondo asiatico ne entra a far parte.
Quali sono le fasi attraverso le quali si svolge il confronto tra impero cinese e Gran Bretagna?
È un passaggio graduale anche in questo caso. Inizia nella cultura occidentale molto precocemente rispetto
alla competizione commerciale e politica e inizia sotto forma di competizione culturale. In altri termini si
passa da un atteggiamento occidentale nei confronti della Cina che, per buona parte dell’età moderna, fu di
ammirazione e rispetto, perché ritenuta anche quasi superiore all’Occidente, a un’immagine negativa della
Cina, dove a partire dal 700 viene presentata come antitesi dello stato egemonico occidentale che ha
conosciuto la civilizzazione ed è entrato nel ciclo industriale. Lo stato moderno in occidente si è evoluto ed
è dentro il percorso dell’industrializzazione. L’idea di evoluzione in senso di progresso (prima di tutto
tecnologico, industriale, politico…) viene utilizzata sul piano culturale per costruire un’immagine
dell’Oriente e della Cina vista in contrapposizione rispetto all’Occidente.
Questo nuovo paradigma naturale rappresenta il primo passo per la conquista occidentale della Cina che
avviene nel corso dell’800 attraverso due guerre che vanno sotto il nome di Guerre dell’Oppio.
Ricordiamo che gli olandesi quando iniziarono a conoscere il commercio asiatico si erano creati uno spazio
per commerciare dei generi sui quali non avrebbero potuto avere nessun tipo di concorrenza e quindi
avevano massima libertà e massimo profitto. Commerciavano solo spezie nei rapporti con l’Oriente perché
usavano le reti commerciali asiatiche senza interferire e inoltre si creavano una specializzazione che non
faceva concorrenza al commercio di altre economie commerciali (non pestavano i piedi a nessuno).
Ricordiamo anche che la Gran Bretagna, nel momento in cui inizia il percorso di potenza egemone, riprende
le tecniche degli olandesi rinnovandole (per esempio le compagnie commerciali). La stessa tecnica i
britannici la usano nel rapporto con il mondo asiatico dove sfruttano la tecnica olandese di specializzarsi in
un ramo del commercio che non interferisce con altri competitori. Si appropriarono quindi nell’oppio.
Il commercio dell’oppio interessava la Cina, anzi era il genere di commercio su cui la Cina aveva costruito un
sistema di monopoli. Lo commerciava esclusivamente all’interno del mondo asiatico.
Gli inglesi decidono di appropriarsi dell’oppio ma per farlo devono spezzare il monopolio cinese. I britannici
cercano il pretesto per avviare il conflitto nelle differenze culturali. La Cina non voleva assoggettarsi agli usi
dell’Occidente che produce un’arroganza cinese tale da far scoppiare il conflitto (Prima guerra dell’Oppio).
La Prima guerra dell’oppio è la prima guerra che combatte la Gran Bretagna per costringere la Cina a
rinunciare al monopolio dell’oppio. Questo discorso non riguarda solo l’oppio ma la sovranità cinese perché
se la Gran Bretagna fosse riuscita a far rinunciare il monopolio alla Cina avrebbe messo in discussione anche
la sua leadership dentro il mondo asiatico.
Questo è l’effetto della Prima guerra dell’oppio che si conclude nel 1842 con il Trattato di Nanchino. Il
Trattato con il quale la Gran Bretagna impone alla Cina di aprire il mercato, di eliminare qualsiasi vincoli,
abrogare il monopolio e soprattutto impone alla Cina delle cessioni territoriali a favore della Gran Bretagna
tra cui il famoso caso di Hong Kong ceduta all’amministrazione britannica per la durata di 99 anni. La Gran
Bretagna è riuscita a mettere in crisi l’unico competitore che può avere in questo scenario. Ciò che non sa la
Gran Bretagna è che nel momento massimo della sua potenza già sta entrando in una fase di crisi a livello
internazionale.
Un altro motivo per cui l’attenzione britannica si sposta verso oriente, quindi verso la Cina piuttosto che
l’altro emisfero del sistema asiatico, ovvero il Medio Oriente, è che nella parte occidentale del Medio
Oriente la Gran Bretagna avrebbe avuto come competitore la Francia. La scelta britannica non è casuale,
scelsero un competitore già debole. La Cina lo sapeva benissimo perché la crisi del sistema asiatico era
iniziata molto tempo prima. Gli storici ci suggeriscono che proprio questa consapevolezza della crisi aveva
tenuto fuori il Medio Oriente dal sistema delle RI che si era formato in Occidente (avrebbero avuto soltanto
da perdere).
6-12
1 appello 20 gennaio
2 appello 3 febbraio
Chiarimenti:
Integrazione Verticale vs integrazione Orizzontale nel sistema statunitense:
Int. Orizzontale: inaugurato in Europa dai tedeschi, associazione di tutte le industrie che si occupano del
medesimo settore. Negli Usa nell’800 si riprende quest’ide ama lo si fa con l’integrazione verticale,
inglobando tutti gli anelli di una catena che si occupa di un preciso prodotto. Si rivela lo strumento più
efficace per dare maggior forza al settore industriale.
Sistema della triangolazione del sistema olandese: una delle reti economiche più potenti. Questo sistema
in realtà esisteva già nella fase olandese, con caratteristiche di maggior complessità rispetto alla fase
britannica, la fase britannica lo semplifica in Gran Bretagna – Africa – America, per commercio degli schiavi
per ottenere manodopera a basso costo. Mentre gli olandesi avevano un sistema di scambi reciproci di una
moltitudine di prodotti, non solo di schiavi come la GB, ma erano scambi tra Olanda - Africa, Africa –
sponde Atlantiche e poi America – Europa.
La prima guerra dell’oppio è un segnale di Imperialismo, capacità di imporre la propria volontà agli altri. Si
evidenzia nel momento in cui la GB riesce ad imporre alla Cina una serie di condizioni restrittive dopo il
1842, non solo limitano la sua libertà ma segnano la fine dell’egemonia cinese nel mondo asiatico; tra le
varie condizioni che riescono ad imporre alla Cina c’è la rottura del monopolio del commercio dell’oppio nel
mondo asiatico, perdono la possibilità di imporre vincoli al commercio degli stranieri nel mondo asiatico e
fanno cadere ogni barriera rispetto al proselitismo (conversione religiosa, espansione del cristianesimo)
che gli europei portano avanti nel mondo asiatico.
Questo produce nella storia tutta una serie di conseguenze nel lungo periodo, per cui il mondo asiatico e
cinese fino al 900 inoltrato continuerà a vivere questa esperienza traumatica come una situazione rispetto
alla quale dover in qualche modo guadagnare una rivincita.
Cessione territoriale dopo trattato di Nanchino 1842: fa aprire il mercato, abroga il monopolio, impone
cessioni territoriali (Hong-Kong).
Questo tipo di trattati come quello di Nanchino vengono chiamati trattati ineguali perché sono a sé stanti
rispetto ai trattati tradizionali fatti tra due soggetti considerati uguali.
Perché questo confronto tra Cina vs sistema internazionale avviene solo ora? Fino all’età moderna il
sistema asiatico riesce a preservare la propria autonomia nonostante la debolezza dei suoi attori interni,
consapevole che una integrazione col mondo europeo avrebbe provocato solo svantaggi.
(Il medio oriente aveva un valore strategico perché era il mercato dell’impero Ottomano, che aveva come
centro la Turchia. Era un mercato non marittimo come quello asiatico che venne intercettato, ma era
terreno).
Componente culturale: rafforza le caratteristiche egemoniche della potenza che rimane in campo, che
rimane tale perché fa parte di questo anche una narrazione di superiorità culturale. Dipende anche dal
fattore religioso: in occidente pensavamo che le RI fossero ormai secolarizzate, ma l’elemento religioso è
molto importante che spiega anche il modo con cui sono costruite queste egemonie in termini non solo di
superiorità economica/tecnologica ma anche culturale e la religione è stata un supporto da questo punto di
vista. Es: gli olandesi era calvinisti (accentuazione libertà dell’individuo, ecc… che il cattolicesimo non
permetteva). Il calvinismo mette in circolo l’idea della libertà e indipendenza che si devono difendere anche
attraverso le armi. Stessa cosa nella lotta dei coloni americani contro la GB nell’800.
Anche la GB mette in campo la religione: la diversa concezione che si aveva in occidente rispetto all’oriente
del diritto internazionale piuttosto che della morale: la cultura cinese affermava che la morale e la religione
legate al diritto internazionale, dovessero limitarsi agli affari domestici, non si potevano applicare al di fuori
della comunità in riferimento. La GB invece dice che se dei principi etici/religiosi ispirano le RI questi
devono valere per tutti, non solo nella sfera domestica.
Altro momento di consolidamento britannico nell’inglobamento del mondo asiatico: -2^ guerra dell’Oppio:
a differenza della prima, che non ha conseguenze interne sulla politica cinese, la seconda produce dei
cambiamenti sociali, serie di rivolte popolari che sfaldano il sistema al suo interno.
Il mondo asiatico diventa uno scenario nel quale si misura una parte di competizione degli stati impegnati
nel consolidamento egemonico. È un terreno lontano, esterno, sul quale si confrontano le potenze
attraverso invasione di territori, influenze politiche, ecc. (guerra del Vietnam).
Fase americana: ultimo fenomeno rilevante, nascita della potenza giapponese, elemento particolare perché
è stato un paese chiuso fino agli ultimi anni dell’800. Passa da isolamento totale a quasi potenza durante la
II guerra mondiale. Come ha fatto? Fase USA: la GB e la Cina si scontrano per la leadership nel mondo
asiatico, intanto gli USA iniziano ad emergere e si inventano un nuovo competitore che si scontri con la
Cina: il Giappone.
Guerra Cino-giapponese e conquista della Cina a sfavore della GB. Politica di alleanze per affermazione
degli USA come unica grande potenza egemone globale.
12-12
L’asia orientale entra nel sistema dell’egemonia USA. La GB piega la Cina, entrano gli USA attraverso il
Giappone, utilizzato come strumento per aprire una zona di crisi sul versante orientale pacifico. Ascesa del
Giappone come specchio dell’intrusione progressiva degli USA, che diventano competitori stessi della Cina.
Il Giappone dopo un lungo periodo di isolamento entra nel sistema internazionale-intrasiatico e nella logica
competitiva contro la Cina, sconfiggendola. Dentro il sistema di sviluppo occidentale: produzione bellico-
industriale, investimento dei profitti. La Cina perde l’autonomia e importanza.
Meccanismo di assimilazione che riproduce nel mondo asiatico una serie di fenomeni tipici del mondo
occidentale: il nazionalismo.
Accelerazione dei fenomeni: l’oriente li vive in ritardo rispetto all’Occidente, ma molto più velocemente.
Fenomeno della diaspora capitalista e finanziaria, dispersione dei capitali cinesi, impiego di tecnologie
militari, abbandono delle culture e filosofie orientali e adozione del Marxismo/Leninismo, globalizzazione
velocizzata. L’occidente ha gestito il fenomeno della globalizzazione in 5 secoli, l’oriente in 50 anni.
L’occidente lo elabora, l’oriente lo subisce.
I territori della Cina e USA sono simili, hanno quasi la stessa grandezza. La Cina viene inglobata e assimilata,
ma il suo territorio le permette di svilupparsi nuovamente e diventare un potenziale pericolo e avversario
degli USA per la leadership. Sotto la globalizzazione ci sono delle premesse affinché la Cina recuperasse
l’identità e la capacità di gestire una leadership come riscatto dell’umiliazione subita. La ricostruzione della
Cina è la risposta a questa umiliazione.
Nel 1989 l’URSS viene sconfitta, restano gli USA e la Cina a competere e in mezzo c’è l’Europa come punto
debole.
Teoria: gioco di poteri, gli USA declinano la Cina ha il debito americano e diventa la futura leader.
Penetrazione in Cina che è stata superficiale, non ha intaccato il sistema cinese ma le ha fornito una serie di
elementi intorno ai quali costruire la propria egemonia. Se l’Asia fosse rimasta fuori, non avrebbe avuto a
disposizione gli strumenti per diventare un’egemonia (industria bellica e arma atomica).
CONCLUSIONI
Transizioni egemoniche basate sull’esperienza occidentale, risultato di cambiamenti e adattamenti ai
contesti vari che si verificano. Ogni fase di espansione si è sempre conclusa con una fase di crollo, non è un
processo di espansione infinito, le fasi sono cicliche. Previsioni di un crollo in questi anni di crisi della
leadership americana? O emergerà una nuova leadership, o nascerà un mondo non più controllato da una
egemonia.