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Giovanni Mocchi
Logica ed emozione
A questa funzione estroversa e socializzante dell’educazione musicale fa da contraltare
l’esigenza della musica come percorso dell’interiorità e realizzazione del sé. Per questo è
opportuno ora ritornare sull’interrogativo ‘che cosa è la musica’, introducendo, tra le
risposte dei vari autori che si sono occupati della questione, quella di Eggebrecht, che ci
consente di fare un passo ulteriore nella direzione del suo significato culturale e formativo:
"Ovunque risuoni musica in senso occidentale, sono all'opera (...) quei due fattori
contrastanti che sono stati qui resi con i concetti di emozione e mathesis.. (…) Ambedue
sono radicate nella natura: l'emozione nella natura dell'uomo, la mathesis in quella del
sonoro (...) La musica in senso europeo è emozione matematizzata, o mathesis
emozionalizzata. (…) Essa è psiche e natura, anima in senso creaturale e ordine in senso
cosmologico. Induce la sensualità alla ragione, l'emozione all'armonia". (Dahlhaus C. -
Eggebrecht H. H., 1988, pag. 29-30).
La dialettica tra emozione e logica traccia due linee irrinunciabili nel percorso educativo: lo
sviluppo di competenze inerenti le strutture logiche della sintassi musicale, affiancate allo
sviluppo del gusto e del coinvolgimento emotivo. L’uno senza l’altro comporta o un
eccessivo tecnicismo o un cieco spontaneismo. Occorre riconoscere che, quand’anche si
siano conquistate abilità e competenze a scapito della tenuta del livello di motivazione o in
assenza di una tensione emotiva, si è forse fatto un passo avanti a livello cognitivo, ma a
scapito del potenziamento, a tempi lunghi, della musicalità della persona.
Questa interazione tra emozione e logica, offre lo spunto per una riflessione pedagogica più
generale. La nostra cultura scolastica tende a concretizzare, nel curricolo, il solo principio
cartesiano di mathesis, che declina l’ordine del mondo in termini di logica e vede la
conoscenza umana costruirsi attraverso un rigoroso metodo analitico, con la conseguente
rimozione delle emozioni, da considerarsi elementi di perturbazione delle chiarezza
razionale. Spesso le proposte culturali della scuola e gli stessi testi scolastici non
appassionano. Gli spazi per un equilibrato gioco logico ed emotivo sono relegati a momenti
marginali, se non extrascolastici.
Di tutt’altra tensione vive invece la cultura del ricercatore, dell’artista e perfino
dell’hobbista. Alle certezze cartesiane si sostituiscono il dubbio che diviene motore di
esplorazione di nuovi orizzonti, all’inibizione delle emozioni, il gusto e la passione per la
propria disciplina, alla fede incontrastata per i successi della ragione, l’apertura alla
trasgressione e alla divergenza. La consapevolezza di un’unitarietà psicofisica e logico-
emotiva dell’uomo è particolarmente sentita dai compositori: "L'origine dell'arte non sta
nella ragione, sta in quel tesoro sepolto che è l'inconscio (...) quell'inconscio che contiene
più intelligenza della nostra lucidità. Un eccesso di ragione è esiziale per l'arte, non si può
far scaturire la bellezza da una formula". (E. Varèse, op. cit. pag. 108-109). ‘Bisogna allo
stesso tempo scoprire la trasgressione ed usarla deliberatamente per distruggere le rigidità
del sistema e creare una sorta di imperfezione, digoffaggine, tanto necessaria per produrre
la vita. Occorrono disciplina e rigore nei fondamenti, e l’anarchia deve costantemente
combattere la disciplina. Da questa lotta nasce la poesia (…); una poesia che trascende il
conflitto tra ordine e caos’ (Pierre Boulez,1990, pag. 127).
La separazione tra i metodi propri dell’arte e della scienza, tra i luoghi e i tempi in cui è
lecito esercitare l’emozione e la logica ha costituito una forma mentis dell’uomo moderno,
messa in crisi soltanto a inizio Novecento dai dibattiti sui limiti della razionalità. Seppure
come proposta culturale marginale, più volte nella storia occidentale è emersa l’esigenza di
equilibrare le sorti tra i due poli. Portmann (1993) cataloga due funzioni esercitate
dall’uomo occidentale: la funzione teoretica - tesa al dominio del mondo e allo sviluppo
tecnologico ed economico e decollata in Occidente a partire dall’era moderna - e la
funzione estetica, il sapere attraverso il cuore, che richiama da vicino l’esprit de finesse di
Biagio Pascal (6).
La cultura come mathesis emozionalizzata?
Da quanto si è detto si può ipotizzare un interrogativo pedagogico più generale: è possibile
estendere alla cultura tout court la definizione di mathesis emozionalizzata
originariamente concepita per la musica? E’ una sfida prima ancora antropologica che
metodologica. Se l’uomo è insieme emozione e razionalità, simbolismo e realismo occorre
sviluppare armonicamente le due dimensioni, senza relegare ad alcune aree disciplinari il
compito di compensare gli eccessi di razionalità. La musica e il teatro insegnano, ad
esempio, che il senso di un’opera dipende profondamente dalle capacità e dalle scelte
interpretative. A scuola la comprensione del testo letterario si realizza attraverso l’analisi e
la contestualizzazione, quasi mai invece attraverso la interpretazione a viva voce, che nulla
ha a che fare con la lettura tradizionale. L’interpretazione è molto di più della
comprensione: investe l’approfondimento del senso del testo, l’immaginazione, implica
scelte espressive, ricostruzione del pathos che soggiace alla parola scritta, formulazione di
ipotesi che vanno sottoposte a prove e controprove. E’ il medesimo lavorio che deve
affrontare ogni compositore che si accinge a mettere in musica un testo letterario (cfr.
Delfrati C., 2001).
Si tratta dunque di ripensare alla cultura come un percorso dinamico, in cui il soggetto
svolge un ruolo attivo e motivato, nella costruzione del proprio sapere come del proprio
essere.
Per la maggior parte degli utenti scolastici la musica non costituisce una professione futura
e la loro educazione musicale ha senso se migliora la qualità della vita. La cultura, nella
sua globalità, non dovrebbe rispondere a questa stessa finalità (7)?
Musica e simbolismo
La dialettica ragione-emozione viene studiata da un’altra angolazione da Imberty (1990)
nella dinamica tra adattamento alla realtà e investimento affettivo. Piaget (1967) ha
individuato una evoluzione nel rapporto conoscitivo tra soggetto e realtà che si articola in
due fasi: la prima strategia del soggetto, nella sua relazione con l’ambiente esterno,
consiste nella assimilazione, cioè nell’adattamento della realtà alle proprie strutture
intellettuali e alle proprie esperienze pregresse; in seconda battuta si rende necessario
unaccomodamento alla realtà fattuale, ovvero un adeguamento delle proprie risposte alla
realtà, modificando così i propri schemi assimilativi. Per Piaget soltanto questa seconda
strategia risulterebbe pienamente adeguata. La gerarchizzazione tra fantasia e realtà, tra
simbolismo e realismo per Piaget fonda una superiorità sia genetica che metodologica della
rappresentazione cognitiva del reale. Se questa prospettiva può valere in ambito
scientifico, non consente di spiegare la genesi dell’opera d’arte e, più in particolare, la
produzione musicale. “La funzione simbolica – precisa Imberty – non è una funzione di
equilibrio negli scambi del soggetto con l’ambiente esterno, poiché gli scambi simbolici
non sfociano in una conservazione cognitiva del reale, ma, proprio al contrario, in una
deformazione soggettiva, di cui l’opera è, in arte, il principio e la “visione” C’è, in questo
caso, una proprietà specifica delle attività simboliche ed artistiche che si accorda male con
gli schemi di Piaget sul funzionamento del pensiero, ed in particolare con quelli della
rappresentazione cognitiva”. (Imberty, 1990 pagg. 37-38).
Da qui Imberty conclude che “L’opera d’arte contrappone al mondo scientifico e tecnico un
anti-universo che è la testimonianza della supremazia dell’uomo, e non del mondo
rappresentato. L’opera d’arte sostituisce all’ordine razionale della attività logica e
conoscitiva una contro-razionalità che scaturisce dall’investire il reale esterno con i
desideri e le rappresentazioni interiori, invece di inibire quest’ultime attraverso
l’accomodamento cognitivo. Il tipo di equilibrio che la funzione simbolica realizza è quindi
di una natura diversa rispetto all’equilibrio dello sviluppo del pensiero cognitivo”. (idem,
pag. 39). In altre parole, il pensiero cognitivo condiziona il soggetto ad adattarsi al mondo,
mentre il pensiero simbolico indirizza il pensiero e l’azione sui desideri e sui bisogni del
soggetto.
Dunque l’arte, nel rapporto tra soggetto e ambiente, svolgerebbe un percorso verso la
soggettività, una funzione comunque complementare ed indispensabile a qualsiasi
adattamento: “Quella di una compensazione dell’investimento della realtà, ottenuta
attraverso una derealizzazione del pensiero che permette l’investimento del soggetto stesso
ed il momentaneo ritorno alla priorità del principio del piacere, nella modalità ludica, con
una presa di coscienza che lo controlla e lo trasforma in principio di valori” (Imberty, 1990
pag. 39). Come si può notare la simbolizzazione non investe unicamente il campo estetico,
ma, più in generale, quello dei valori e della Weltanschauung, una visione del mondo
interiormente costruita, più che comparata con le coordinate della realtà, più umana che
asetticamente oggettiva. Si comprende perciò il bisogno individuale di musica, come
cammino verso l’interiorità, risposta ad una esigenza intimamente sentita che si esprime ai
vari livelli di età e nei più vari modi e contesti. Ma si spiega parallelamente perché essa
diviene lo scenario culturale in cui si dispiegano i miti e i valori, l’emozione razionalizzata,
il gioco e il dramma dell’umanità.
L’apertura al simbolo e al principio di piacere non significa rinuncia alla mathesis, alla
coerenza e razionalità interna all’opera. Piuttosto il pensiero simbolico costituisce “un
potente mezzo per controbilanciare la presa del reale sullo stesso pensiero cognitivo”
(idem, pag. 39).
Nella scuola la musica, insieme alle discipline che coinvolgono il corpo, la sensibilità e
l’emozione, ha, per sua costituzione, l’opportunità di mettere in gioco l’emozione e la
derealizzazione del pensiero, che, come afferma Imberty, è essenza di ogni creazione
artistica e scrittura del tempo dell’uomo. L’educazione musicale potenzialmente realizza
dunque un duplice percorso: verso l’interiorità, a risposta dei bisogni di identità della
persona, e verso il mondo degli uomini, in quanto è testimonianza del ‘sentire’ sociale, che
fa riconoscere l’uomo nel più ampio tessuto dell’‘umanità’.
Un’altra conseguenza, derivante dal superamento del confine del cognitivismo, è il
superamento metodologico del principio di non contraddizione. Le valutazioni estetiche
non rientrano, difatti nelle antitesi vero/falso, corretto/errato, si/no, ma nella flessibilità e
soggettività dei giudizi (convincente-artificioso, bello-brutto, valido-inefficace). Tanto
l’interpretazione semantica, quanto la scelta di alternative nel momento compositivo,
lasciano difatti ampi spazi alle scelte soggettive. Un brano può dar luogo a interpretazioni
personali molto diverse e anche contrastanti. Sono letture legittime?. Vanno corrette,
oppure il momento interpretativo va rimandato alla fase in cui esistono gli strumenti
cognitivi adeguati, oppure va addirittura evitata qualsiasi attribuzione di senso, come il
primo Stravinsky sosteneva? Educare all’ascolto significa esporre il punto di vista del
docente, motivato a livello analitico e sostenuto da pareri autorevoli, oppure aiutare il
soggetto a giustificare le proprie scelte interpretative e ad aprirle gradualmente a nuove
strategie interpretative? Una didattica che intende rendere partecipe il soggetto alla
costruzione culturale, lo pone nelle condizioni, in prima istanza, di trovare le giustificazioni
interiori a sostegno del proprio modo di sentire e, in un secondo momento, di approfondire
l’analisi, sapendo accogliere le interpretazioni e le giustificazioni alternative, espresse dagli
altri componenti del gruppo e, più oltre, nelle pubblicazioni degli studiosi, fino a riuscire a
comprendere l’opera dal punto di ascolto del compositore e dell’epoca che l’ha accolta.
Questo metodo, esplorativo-euristico mette in gioco il ruolo del docente nella sua relazione
con gli allievi, perché ne mette in crisi l’autorità indiscussa. Nel campo simbolico, nessuno
ha ragione in assoluto, ma ciascuno ha le sue ragioni che è invitato a chiarificare a se stesso
e agli altri. Ne risente anche lo stile di insegnamento, che non può che essere insieme
rigoroso e appassionante, coerente e coinvolgente, consapevole dell’obiettivo da
raggiungere, ma anche pronto a valorizzare intuizioni, imprevisti e alternative.
Gli universalia musicali
L’esame delle definizioni di musica ci ha portati ad ampliare gli orizzonti del fenomeno
oltre i confini della civiltà occidentale. Le ragioni di questo sconfinamento non rispondono
tanto all’internazionalizzazione della cultura musicale, che pure è un dato di fatto, quanto
all’esigenza di dare risposta alle esigenze del vissuto musicale che si esprime attraverso
manifestazioni simili in ogni parte del mondo. Come esistono tratti espressivi nel disegno
infantile riconoscibili a livello mondiale, indipendentemente dalle culture, così anche
nell’area musicale si è cercato di classificare gli ‘universali’, intesi come le costanti che
emergono all’interno delle variabili di ciascuna civiltà.
Il problema è stato affrontato da diverse angolature. Un primo gruppo di ricercatori ha
cercato di individuare gli universali nelle strutture interne alla musica. K. Sachs, ad
esempio, individua nelle melodie a picco e ad intervallo unico l'origine della produzione
melodica mondiale, poi evolutasi in differenti direzioni e complessità. M. Schneider
riconosce nell’intervallo di quinta la base dei sistemi scalari universali. Giannattasio
riscontra le costanti nell’opposizione tra suono e rumore, nell’organizzazione dei suoni in
sistemi di altezze e durate, nella distinzione tra produzione vocale e strumentale. Dowling e
Harwood le rintracciano, invece, nell’intervallo di ottava con suddivisioni in 5 o 7 altezze,
nelle differenze timbriche e nelle pulsioni ritmiche.
Una seconda prospettiva incentra l’attenzione sui meccanismi della psiche umana i quali,
nella veste di strutture profonde, producono ovunque effetti riconoscibili. “La nostra
esperienza prova – afferma J. Blacking – che ci sono alcune possibilità di comunicazione
interculturale. Sono convinto che la spiegazione di ciò vada cercata nel fatto che nella
musica, a livello di strutture profonde, esistono elementi che sono comuni alla psiche
umana, anche se non traspaiono dalle strutture di superficie”. (Blacking, 1986, pag. 120)
L’uso di forme largamente diffuse, come la simmetria e la specularità, la presenza di un
tema e della sua variazione, la ripetizione, la forma binaria sarebbero indice di tali
strutture profonde, non riconoscibili a livello dei sistemi musicali specifici, nelle loro
specificità melodiche, armoniche e ritmiche.
Secondo J. J. Nattiez. (1989), invece, gli universali vanno individuati nei processi di
produzione e recezione, ovvero nelle strategie da lui definite poietiche ed estesiche (8).
Le condotte universali
Giungiamo ora a considerare una terza tipologia di universali musicali. Se la prima poneva
l’attenzione sulle strutture del costrutto musicale e la seconda sui meccanismi della
percezione, quest’ultima interpreta la musica come risultato di atti finalizzati, riscontrabili
in ogni cultura e, potenzialmente, in ogni età, a partire dai tre anni. Anzitutto andrebbe
sottolineato che il comportamento musicale, come piacere che nasce dalla combinazione
dei suoni in costrutti che perciò stesso acquisiscono un senso, è specifico dell’uomo. Con
questo non si intende sostenere che non esistano costruzioni sonore anche presso gli
animali. Come non cogliamo il senso del canto degli uccelli, così le sintassi sonore umane
lasciano indifferenti gli animali. Il piacere che deriva dalla comprensione dei costrutti
musicali è stato utilizzato dagli archeologi come indicatore di attività spirituale
specificatamente umana. Dopo la scoperta in uno scavo archeologico di un osso di Ursus
speleus che presenta più fori allineati, alla maniera dei flauti in osso ancora in uso presso
gli Indios, l’uomo di Neanderthal vissuto tra 90.000 e 30.000 anni prima della nostra era,
ha avuto una promozione sul campo: da ominide con rudimentali abilità di scheggiatura
della pietra è assurto a uomo capace di apprezzare l’astrazione degli straordinari timbri e
intrecci sonori che un flauto in osso è in grado di produrre con una manipolazione
elementare. Non è importante che la scoperta, sia stata messa in dubbio da alcuni studiosi.
E’ essenziale invece sottolineare come la presenza della musica è indice per gli archeologi
di potenzialità simboliche e di spiritualità, ovvero di umanità.
Su altro fronte, l’alta sensibilità e reattività che i portatori di handicap mostrano all’ascolto
e alla produzione musicale diventa l’indubbio indicatore di risorse interiori e potenzialità
espressive che sono universali umani e che, anche quando altri canali sono interrotti o
inibiti, riescono a manifestarsi attraverso l’ascolto e la produzione musicale.
Cognitivismo e simbolismo
Con il supporto di queste riflessioni, l’interrogativo originario “che cosa è la musica?” ha
ormai acquisito uno spessore utile a rispondere, dall’osservatorio della disciplina musicale,
alle finalità generali dell’acculturazione e dell’educazione.
Una volta che accettiamo che i linguaggi espressivi – siano essi verbali o non-verbali –
entrino a far parte del curricolo, non possiamo fare a meno di avviare un processo di
revisione dell’impianto culturale consolidato. Chi si sta formando oggi, docente o alunno
che sia, nei decenni futuri dovrà far fronte a innovazioni e trasformazioni che si
preannunciano inimmaginabili e molto rapide e che incideranno evidentemente sui futuri
saperi di base, funzionali all’inserimento del soggetto nella società planetaria. Non
possiamo prevedere e pianificare quali saranno le competenze scientifiche richieste, ma
possiamo reputare che continuerà ad aver senso chiederci se vogliamo formare
esclusivamente un uomo razionale, con competenze logico-conoscitive adatte a rispondere
alle esigenze del reale, secondo strutture scientifico-economiche, oppure se crediamo che
abbia una sua ragione di esistere e vada perciò educato un uomo simbolico. Da questa
angolatura, non ha senso misurare quale grado di realtà possano soddisfare i simbolismi,
se le utopie, cioè, siano efficaci ed applicabili, se i valori abbiano anche valore fattuale. La
liceità del pensiero simbolico deriva non dalla sua funzionalità oggettiva, quanto dalla
funzione soggettiva ed esistenziale che soddisfa e, in definitiva, dall’ineludibile e appagante
esigenza di simbolizzazione dell’uomo.
Abbiamo così inteso dare risposta ad uno degli interrogativi posti all’inizio: perché far
musica. Altri linguaggi con altri strumenti e strutture sintattiche raggiungono il medesimo
scopo. A. Webern affermava “Che cosa è dunque la musica? La musica è linguaggio. In
questo linguaggio l’uomo vuole esprimere pensieri, ma non pensieri che si lasciano
convertire in concetti, bensì pensieri musicali” “Ognuno vuole comunicare con i suoni
qualcosa che non si può dire altrimenti. In questo senso la musica è un linguaggio” (A.
Webern, 1960, pagg. 46 e 17, citato in Imberty, 1990). Ciò sottolinea da un lato la
specificità e irripetibilità del linguaggio musicale, dall’altro la varietà delle espressioni
simboliche umane, che utilizzano, ciascuna, propri strumenti - la parola, i suoni, le
immagini, i gesti - senza che, tra di essi, si possa stabilire una gerarchia di priorità e, tanto
meno, un predominio del linguaggio verbale. L’esigenza di simbolismo musicale come
parte insostituibile della formazione umana può certamente trovare numerose teorie a
proprio sostegno, ma forse riceve la più incisiva testimonianza empirica dall’osservazione
dell’odiance: alla marginalità della formazione musicale nella scuola italiana, fa da
contraltare una fortissima domanda e un consumo di musica che trova nei media, non
ancora nella scuola, il proprio campo privilegiato.
Obiettivi e condotte
L’istanza formativa della musica, al pari degli altri linguaggi dell’espressione, si comprende
in modo più significativo se si stabilisce una distinzione tra due funzioni della formazione
scolastica.
Per un verso la scuola risponde all’esigenza sociale di trasmettere le conoscenze e le
competenze necessarie alle nuove generazioni perché possano divenire parte attiva e
propulsiva della società futura. E’ la scuola che programma gli obiettivi in termini di
capacità oggettivamente misurabili, che determina contenuti, competenze e livelli di
accettabilità, che ne verifica il raggiungimento (temporaneo) e che stabilisce un curricolo
connesso, in ultima istanza, all’inserimento nel mondo adulto e del lavoro. Su un altro
versante, la scuola si assume il compito di promuovere lo sviluppo del sé, nella sua
dimensione individuale e sociale. Questa prospettiva, che si incentra sulle motivazioni e le
esigenze di espressione, di scoperta e potenziamento delle attitudini personali, meglio si
declina con il concetto di condotta. La differenza sta nel fatto che gli obiettivi sono
deliberati dalla società in base alle proprie esigenze e in ragione delle competenze
raggiungibili in media dall’alunno a un certo livello della propria crescita, mentre le
condotte sono comportamenti che il soggetto mette in atto per raggiungere propri scopi.
L’acquisizione di competenze diventa, allora, il mezzo per soddisfare la finalità che il
soggetto intende raggiungere.
Se assumiamo la proposta di Delalande, secondo cui le condotte musicali si manifestano
sotto forma di gioco, dobbiamo dedurre che l’azione risulta sì finalizzata, ma nel modo in
cui lo è un gioco, aperto cioè a variazioni, ampliamenti, soluzioni impreviste. Questo aiuta
a comprendere che la condotta spontanea può divenire oggetto di una indefinita
propulsione e di un potenziale sviluppo. Il compito del docente è appunto quello di
rilanciare la condotta spontanea e di indurre da essa un percorso formativo, che preveda
l’acquisizione motivata di competenze, al fine di orientare il discente verso condotte
esperte.
Oltre la scuola delle finalità
L’insegnante che decide di strutturare il curricolo musicale a partire dalle condotte va
incontro anzitutto a una variazione di prospettiva nel processo educativo, oltre che a una
trasformazione nello stile di insegnamento-apprendimento: prima di costruire la
programmazione sui saperi da tramandare e sulle esigenze produttive della società futura,
si interroga sui bisogni che l’individuo e la collettività esprimono, è attento alla qualità
della vita scolastica e, quando necessario, al raggiungimento degli obiettivi sa anteporre la
tenuta della carica motivazionale. Al contrario dell’obiettivo, che si ‘raggiunge’, la condotta
si coltiva attraverso l’acquisizione delle competenze necessarie. Se opportunamente
sollecitata, essa si ravviva e si mantiene nel tempo, fino a divenire una costante nella vita
personale.
Il ri-orientamento della programmazione dagli obiettivi-finalità alle condotte, mette in
discussione non soltanto il progetto educativo e il lavoro degli alunni, ma, come s’è già
detto, lo stesso stile di lavoro del docente e il modo con cui si pone in relazione con i
discenti. Non è pensabile difatti che il docente possa valorizzare le condotte degli alunni
senza essere parte del ‘clima’ di scoperta, costruttività e motivazione che le condotte
mettono in campo. In altre parole, lo stile di insegnamento deve rispondere allo stile di
apprendimento che egli vuole promuovere negli alunni. Prima ancora che sondare le
condotte degli alunni, il docente ha dunque da interrogarsi sulle proprie condotte,
implicite ed esplicite. Ciò configura un modello di docente-ricercatore, che opera in vista di
una comprensione dinamica della cultura come dello stesso processo educativo.
Ciò si correla significativamente al nuovo ruolo che la scuola si trova a dover interpretare.
In assenza di spazi sociali per l’infanzia e l’adolescenza, di fronte alla disgregazione della
famiglia e alla frammentazione delle comunità in nuclei isolati e instabili, la scuola sembra
divenire la più naturale occasione di espressione e di aggregazione sociale, luogo in cui
emergono e possono quindi venire affrontati i problemi della collettività, della relazione
genitori-figli e del disagio giovanile. A un compito educativo così ampio la scuola della
disciplinarietà non sembra poter offrire soluzioni convincenti. Come si è sopra specificato,
le esigenze di formazione di competenze strumentali essenziali per il futuro cittadino
trovano, nei problemi della valorizzazione del sé e della ricerca del senso dell’esistenza, un
contrappeso non meno urgente. L’impegno scolastico non può sostenersi sull’esclusiva
motivazione a distanza, secondo la quale la buona preparazione scolastica prometterebbe
un appagante quanto remoto inserimento nel mondo del lavoro, tanto più che, come si è
già sottolineato, la rapidità con cui mutano i saperi mette in crisi l’idea che possa esistere
un nucleo permanente di conoscenze utili per il resto dell’esistenza individuale. Occorre
che la scuola sia gratificante in se stessa, per i curricoli che prospetta, per le esperienze che
fa vivere, le mete educative e le competenze che consente di raggiungere nell’immediato e
nel medio periodo. Occorre ripensare il compito delle istituzioni scolastiche non più
soltanto in termini di conoscenze-competenze-capacità, ma in quelli di relazione e
motivazione. E ciò almeno nei settori in cui il percorso formativo non ha l’urgenza di una
formazione professionalizzante.
Il dibattito sui confini entro cui la scuola debba programmare i propri obiettivi è ben
rappresentato da due definizioni del concetto di competenza. Colombo la definisce “Ciò
che, in un contesto dato, si deve saper fare (abilità) sulla base di un sapere (conoscenze)”.
(‘Musica Domani, n° 114, Ricordi, marzo 2000, pag. 12), precisando che la scuola non può
verificare l’efficacia della propria azione educativa sui comportamenti permanenti degli
alunni, proprio in quanto questi si manifestano oltre il tempo e lo spazio scolastico. Suo
compito è perciò programmare e verificare esclusivamente conoscenze e abilità acquisite in
itinere. Paradossalmente dunque la scuola non è in grado di misurare la propria efficacia
sociale. Vertecchi ne dà invece una accezione più ampia e definisce la competenza un
“Repertorio di elementi simbolici profondamente interiorizzati che assume valore
regolativo di comportamenti ulteriori” (Frascati, marzo 1999). Questa definizione finalizza
espressamente l’operato della scuola al ‘saper essere’ futuro dell’alunno. In definitiva la
prima definizione fa della competenza un sapere e un saper fare che non necessariamente
produce un atteggiamento che sfrutta attivamente e intenzionalmente gli strumenti
acquisiti; la seconda prospetta un sapere e un fare che divengono risorse costanti e vitali.
La competenza non è più soltanto uno strumento neutro, potenzialmente spendibile in
futuro per un suo valore intrinseco, ogni volta che si rende necessario, ma una risorsa
radicata, con valore regolativo per la attivazione di comportamenti ulteriori.
Tuttavia le competenze restano comunque guidate da finalità che descrivono
comportamenti socialmente desiderabili a conclusione del percorso educativo. Le
condotte, invece, sono atti presenti fin dall’inizio nel vissuto soggettivo. Benché siano
ancora spontanee e non competenti, le condotte hanno già un valore regolativo, e
rispondono a una finalità intrinseca e immediata. Sono la risposta a un’esigenza primaria,
tesa a un fare, in vista del proprio potenziamento. Le competenze divengono, in questa
prospettiva, i mezzi per rispondere e qualificare il bisogno esplorativo.
Come vedremo, le condotte posso estinguersi e non approdare necessariamente alle
competenze socialmente desiderabili, se all’apprendimento spontaneo non si affianca un
processo educativo che offra strutturate opportunità di apprendimento. E’ significativo
come la motivazione musicale finisca per perdersi per molti di coloro che intraprendono
studi specifici. Chi segue gli studi tradizionali deve difatti trovare le risorse interiori per far
fronte ai tecnicismi richiesti prima di poter finalmente accedere alla musica da vivo. Come
le capacità raggiunte rischiano l’inattività e l’oblio in assenza di adeguate motivazioni, così
le condotte non coltivate vanno incontro al rischio dell’estinzione.
Per sviluppare condotte esperte al docente compete il nuovo compito di sollecitare le
condotte spontanee, indurre interrogativi e motivazioni, focalizzare problemi irrisolti e
intuizioni abbozzate, rilanciare la riflessione per superare le soluzioni elementari e
immediate, far crescere l’esigenze di sistematizzazione delle conoscenze acquisite, offrire le
competenze necessarie alla soluzione dei problemi in vista di risposte sempre più
qualificate e coerenti alle proprie aspettative.
L’ambito dei linguaggi espressivi è un campo privilegiato di sviluppo delle condotte
spontanee, in quanto spesso esse sono già attive o si trovano allo stato latente. I linguaggi
espressivi (compresi dunque quelli verbali) danno ai giovani l’opportunità di sperimentare
ruoli creativi, interagire con il gruppo e con i docenti, operare per un fine osservabile e
spendibile a breve termine, divenire, in definitiva, soggetti attivi, protagonisti della propria
formazione. Il problema non si risolve con una scelta di contenuti gradevoli, ma di metodi
d’insegnamento-apprendimento che promuovano atteggiamenti di scoperta e
partecipazione.
Una pedagogia delle condotte sembrerebbe, in definitiva, meglio rispondere
all’acquisizione di un’identità di ‘appartenenza flessibile ‘ (cfr.nota 3) nel villaggio della
umanità globale, in cui l’individuo si possa muovere su rotte dell’informazione che egli
stesso traccia e seleziona, con l’autonomia critica necessaria ad affrontare il nuovo
‘nomadismo culturale’.
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Piaget J., La nascita dell’intelligenza, Firenze, Editrice Universitaria, 1967.
Schneider M., Il significato della musica, Milano, Rusconi, 1970.
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Webern A., Der Weg zur neuen Musik, Vortraege, 1932-1933, a cura di W. Reich, Wien,
1960
NOTE
1). “La rivoluzione agricola di ottomila anni fa ha sostituito gradualmente le comunità nomadi, e ha dato
origine a società sedentarie, che trovarono la loro coesione attorno alla territorialità (le coltivazioni) e alla
cultura (il culto), circoscritte entrambe nei medesimi confini. La lotta contro il vicino, la difesa del territorio,
la fede nelle proprie divinità resero più coeso il senso di identità sociale. “La parola “cultura”, usata con una
medesima radice in quasi tutte le lingue occidentali (…) è spesso intraducibile nelle lingue dei popoli
cacciatori, raccoglitori e pastori (…) Esprime un concetto che si è sviluppato presso popoli agricoltori. (…)
Probabilmente, gli stessi agricoltori hanno ampliato il concetto del termine usandolo non solo per la “Madre
terra”, ma anche per i “Figli della terra”, nel senso della coltivazione che alimenta e fa fiorire le facoltà
umane. E’ verosimilmente dunque un termine e un concetto inventato da popoli contadini”. (cfr. E. Anati, Le
radici della cultura, Jaca Book, Milano, 1992, pag. 16).
2). Cfr Havelock, La musica impara a scrivere, Bari, Laterza, 1987; W.J. Ong, Oralità e scrittura, Mulino,
Bologna, 1986.
3). “Le società paleotecniche trovavano il loro fondamento giustificativo nella stabilità e nell’autorità della
tradizione; quelle moderne nell’autonomia del giudizio individuale; quelle contemporanee non solo nel
giudizio dell’individuo stabilmente appartenente ad una determinata classe sociale, bensì dell’individuo
mobile e aperto, caratterizzato da ‘lealtà sovrapposte’ e da mète di vita differenziate, che giustifica e definisce
la sua identità in termini di spontaneità e creatività personale. E’ appena necessario osservare che l’individuo
nella società contemporanea deve continuamente ridefinirsi a seconda del mutare delle condizioni strutturali
della società complessa, determinata da una tecnologia produttiva in rapida evoluzione. L’identità, in queste
condizioni, non è più un dato fisso. E’ un processo problematico che va continuamente rianalizzato e
ricomposto nel quadro di una società in movimento. Vivere su un tapis roulant. Ciò diviene essenziale non
solo al livello individuale, ma anche a quello della società globale, tenuto conto dei flussi migratori che
definiscono il mondo attuale e che contribuiscono potentemente a labilizzare posizioni, credenze, usi e
costumi che si potevano ritenere eterni solo perché ad essi si era abituati. L’identità mette dunque in crisi gli
etnocentrismi esclusivi e richiede la capacità di appartenere flessibilmente e partecipare all’esperienza
umana nel suo significato più ampio”. F. Ferrarotti, Homo sentiens. Giovani e musica, Liguori Editore,
Napoli, 1995.
4). È d’altronde, questo, un assunto scontato per la società africana. J.H. Kwabena Nketia, nella introduzione
al suo testo sulla musica africana, sottolinea come ‘Nelle comunità africane il momento musicale è
generalmente un evento sociale’. (1986, pag. 30). Alcuni strumenti musicali, come la zanza, sono a volte vere
e proprie mappe sociali, con tasti che rappresentano gli anziani, altri le donne, altri ancora i guerrieri.
Suonare lo strumento significa porre in relazione tra loro i suoni nel modo in cui si codificano le relazioni
sociali. Ogni tentativo di comprensione non iniziata al significato autentico della musica prodotta con questi
strumenti sarebbe comunque falso e distorto, anche quando si riuscirebbero ad apprezzare esteticamente gli
esiti ritmico-melodici e formali.
5). Anche la musicoterapia si è interessata a questo fenomeno: ‘Affinché un contesto di produzione sonora
possa avere una dimensione terapeutica non bisogna solamente tenere in conto il prodotto sonoro o
musicale, ma anche il processo per cui è stato realizzato all’interno di una relazione individuale o di gruppo,
processo che gli dona senso”. (Lecourt 1999).
6). ‘Il primo tipo di attività spirituale può essere definito come funzione teoretica ed è caratterizzato dal
predominio delle forze razionali, logiche e dalla dominanza dei metodi fisico-matematici. Il secondo opera
invece non attraverso l’analisi delle percezioni sensoriali, è fortemente influenzato dalla vita emotiva ed è
dominato da corrispondenze di significato conforme; esso crea attraverso i colori, i suoni e gli odori:
possiamo chiamarlo sinteticamente funzione estetica. Molti popoli orientali hanno scelto questo secondo
modo di operare e hanno creato così una ricca e pura interpretazione, ma non una scienza, della natura.
L’occidente ha invece privilegiato la funzione teoretica, con una decisione carica di conseguenze, la quale ha
favorito in modo particolare la scienza della natura.
Ma l’unità dell’uomo è sempre così forte, che queste due funzioni principali dell’attività spirituale non
possono mai essere scisse del tutto.’. H. Rahner, E. Neumann, A. Portman, L’uomo ricercatore e giocatore,
1993, Red Edizioni, pag. 141.
7). D. Goleman sostiene che lo sviluppo della emotività dovrebbe trovare un posto autonomo nell’iter
scolastico. Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva migliora “l’autocontrollo, l’entusiasmo e la perseveranza,
nonché la capacità di automotivarsi.. E queste capacità, come vedremo, possono essere insegnate ai bambini,
mettendoli così nelle migliori condizioni per far fruttare qualunque talento intellettuale la genetica abbia
dato loro”. Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Superpocket, R.L. Libri, Milano, 2000, pag. 15.
8). Sul problema si veda il paragrafo ‘Gli universali della musica’ in Nattiez J. J., 1989, pagg.49-53.
9). "Noto che i giovani di oggi non ascoltano la musica, ma la abitano. Entrano in scena come se fosse una
casa, la loro stanza privata. La musica offre un riparo rispetto al mondo, alla società, che è e resta 'terra
straniera'. La musica come rifugio (come 'grembo materno'?)... La scienza odierna enfatizza la acuità visiva.
La musica aiuta il passaggio, e recupero, di un mondo non lineare, non sequenziale, non logico in senso
analitico, ma nel senso logico (più profondo) della logica del vivere, dell'ascolto interno." (Ferrarotti Franco,
1995, pag. 5).
"Ma è soprattutto la primitività di quella musica ciò che più attira i giovani e i giovanissimi... La nuova
musica, nel suo porsi come insieme di suoni e rumori "selvaggi", inediti e logicamente non domabili, si
riporta sullo stesso piano della vita vissuta: non è più soltanto ascolto - compunto, informato, dotto
(programma in mano e poltroncina numerata comoda) - ma esperienza totale, danza, ritmo, movimento. E'
scattato qualche cosa di nuovo, di storicamente inedito o, forse, il ritorno a una totalità antica, sulle colline
dell'Attica, alle origini della tragedia greca, quando rappresentazioni teatrali, musica, canto, ritmo e
cerimonia religiosa si fondevano e non era possibile distinguere gli attori dal pubblico poiché tutto erano allo
stesso titolo coinvolti. Quale che sia il giudizio, la valutazione finale che ciascuno potrà dare della nuova
musica, in particolare del rock, non c'è dubbio che questa nuova dimensione, che puntualmente corrisponde
alle folle tumultuanti degli stadi, andrà tenuta presente. E' caduto lo steccato tra musica e vita". (Idem, pag.
82). Cfr. G. 10) G. Mocchi ‘L’esplorazione sonora’, in A. Talmelli (a cura di) ‘Tre sei anni. L’esperienza
musicale’, Milano Ricordi, 1989.