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Giampaolo Francesconi

UNA TOSCANA SENZA AUTORI: SIENA E DINTORNI

Le memorie di quanti intervennero in una stessa azione, non


coincidono mai sulle medesime circostanze. Da qui resoconti
diversi, a seconda della individuale capacità di ricordo o delle
soggettive propensioni.
(Tucidide)

I cronisti medievali ti insegnano a narrare la vita,


quella di tutti i giorni che scorre come in un lento, grande fiume.
(Maria Corti)

I. Firenze fra Due e Trecento è stata egemone nella storia e nel racconto della
storia. Un primato quello fiorentino dal profilo complesso e sfuggente che è
divenuto però l'asse portante di una tradizione e ha avuto la forza di imporsi come
paradigma politico, letterario e linguistico1. Non si potrà certamente negare la
funzione del fiorentino nella storia della lingua italiana, così come non si potrà non
riconoscere l'importanza che la cultura di quella città ha impresso sulla prosa delle
origini2, anche se oggi si tende a decentralizzarne e sfumarne la portata3. Non si
potrà, allo stesso modo, non rilevare tuttavia che i tratti di quella storia siano stati
tutti inscritti nell'eccezionalità, un'eccezionalità da declinare in termini di qualità e
di straordinarietà, ma anche di unicità e di impossibile assimilabilità. Quel che
accade a Firenze, dallo scorcio del secolo XIII e poi lungo tutto il XIV, fu qualcosa
di talmente singolare che è poi riuscito ad imporsi come canone e come norma,
quando invece era per molti versi anomalia ed eccezione.
Firenze è stata una città da primato, in tutti i sensi. Firenze è stata capace
anche di porsi come il modello autorevole ed autoritario del nostro canone letterario
delle origini. La prima storiografia in volgare, che qui ci interessa da vicino, ha
continuato ad avere nei nomi di Dino Compagni, di Giovanni Villani, di
                                                                                                               
1
Sarebbe impossibile, e forse anche poco sensato, voler rendere contro di una bibliografia che si è
ormai sedimentata in una vera e propria tradizione storiografica, fino a costituire un canone interpretativo e
paradigmatico. Per comodità di rimando si può vedere la recente sintesi di J. Najemy, Storia di Firenze. 1200-
1575, Torino 2014, pp. 75-151. Il ruolo di Firenze come modello storiografico era stato oggetto di una
riflessione di J.C. Maire Vigueur, Il problema storiografico: Firenze come modello (e mito) di regime popolare, in
Magnati e popolani nell'Italia comunale. Atti del Quindicesimo convegno di studi (Pistoia, 15-18 maggio
1995), Pistoia 1997, pp. 1-16. Per l'importanza di Firenze come modello letterario delle origini conviene
vedere almeno F. Bruni, La letteratura volgare del Trecento nella Toscana e nell'Umbria, in Storia della civiltà
letteraria italiana, 1, Dalle origini al Trecento, tomo II, cur. G. Barberi Squarotti, F. Bruni, U. Dotti, Torino
1990, pp. 709-742. I rimandi alle voci del Dizionario biografico degli italiani fanno riferimento alla
consultazione on line.
2
Costituisce ancor oggi, nonostante il progredire degli studi, un percorso ricco di stimoli e di
sollecitazioni storiografiche quello offerto dal volume di Ch. T. Davis, L'Italia di Dante, Bologna 1988. Cfr.
inoltre G. Petrocchi, La Toscana del Duecento, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Storia e geografia,
I, Torino 1987, pp. 192-203. Sul versante più strettamente linguistico, cfr. F. Bruni, L'italiano letterario nella
storia, Bologna 2002, pp. 15-38; P. Manni, Il Trecento toscano, Bologna 2003, pp. 33-77; G. Frosini, Firenze, in
Città italiane, storie di lingue e culture, cur. P. Trifone, Roma 2015, pp. 203-246.
3
Il riferimento va all'impostazione geostorica e letteraria del recente Atlante della letteratura italiana,
I, Dalle origini al Rinascimento, cur. A. De Vincentiis, per il quale conviene rimandare all'Introduzione di
Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, pp. XV-XXV.
Marchionne di Coppo Stefani, e forse con poche concessioni all'Anonimo romano
e alla Cronaca di Partenope, i suoi referenti più continui e quasi esclusivi4. Che sono
poi i nomi di alcuni degli autori più significativi della nascente storiografia volgare,
ma che sono anche, e soprattutto i fiorentini, i testimoni di un antimodello
corrosivo e condizionante. E lo sono nella misura in cui la loro forte autorialità,
l'unità compositiva delle loro opere, in qualche caso la loro straordinaria fortuna -
con la notoria eccezione del Compagni - hanno costituito l'eccezione che ha
fuorviato una buona parte della storiografia che, fino a tempi molto recenti, si è
occupata di cronache, di cronisti e di tradizioni cronistiche5.
L'antimodello fiorentino è divenuto modello e ha spesso condotto a cercare
autori laddove era ben difficile trovare autori, a cercare opere compiute e definite
laddove era più comune trovare compilazioni e riscritture, a cercare tradizioni
quiescenti laddove - per usare le parole di Alberto Varvaro - era più usuale trovare
tradizioni attive6. Il tentativo sarà quello, allora, di condurre un discorso sulla
cronistica toscana della prima età volgare - dallo scorcio del Duecento al primo
Quattrocento - che possa almeno recuperare le specificità di una scrittura della
storia che nelle maggiori città della regione assunse i tratti di una costanza debole, di
una relativamente bassa autorialità e di una spesso scomposta e stratificata
successione di testi dal profilo aperto e dalla tradizione spesso tardiva. Ogni realtà
cittadina, sia le maggiori come Pisa e Siena, sia quelle di livello medio e piccolo,
come Lucca, Pistoia e Arezzo si mosse all'interno di una stringente dialettica fra
originalità e assimilazione, con il tratto abbastanza diffuso - e lo vedremo - di
moduli compositivi ricorrenti e di una larga adesione alla struttura annalistica.
Nelle città toscane della fine del Medioevo si scrisse di storia e lo si fece all'interno di
contesti ideologici, culturali e sociali che si legavano naturalmente alle logiche locali,
ma che allo stesso tempo rispondevano allo stimolo di milieu intellettuali e di
ragioni che avevano il loro retroterra nelle più diffuse pratiche del notariato, della
crescente acculturazione laica e mercantile, della perdurante propensione culturale

                                                                                                               
4
G. Arnaldi, Annali, cronache, storie, in Lo spazio letterario del Medioevo, 1, Il Medioevo latino, II, La
produzione del testo, Roma 1993, pp. 463-513: G. Porta, L'urgenza della memoria storica, in Storia della
letteratura italiana, II, Il Trecento, L'autunno del Medioevo, Milano 2005, pp. 159-210. R. Gualdo, La scrittura
storico-politica, Bologna 2013, pp. 15-26.
5
Per le tradizioni testuali si possono vedere i contributi di A. D'Agostino, La prosa delle origini e del
Duecento, in Storia della letteratura italiana, X, La tradizione dei testi, I, La tradizione manoscritta, Milano, 2005,
pp. 91-135: 126-128; R. Gualdo - M. Palermo, La prosa del Trecento, in ibid., pp. 359-414: 379-389, con i
rimandi prevalentemente ai numerosi lavori di recensio codicum di Giuseppe Porta per la tradizione villaniana.
Per il caso particolare di Dino Compagni, cfr. I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, 3 voll., Firenze
1879-1887, nello specifico il vol. II alle pp. V-XXVIII; e, soprattutto, il recente e determinante contributo
preparatorio all'edizione critica di D. Cappi, Del Lungo editore di Dino Compagni: il problema del testo della
“Cronica”, Roma 1995, magari insieme al saggio di carattere più tematico e problematico, Id., Dino Compagni
tra Cicerone e Corso Donati: i pericoli della parola politica, «Studi medievali», III, L (2009, pp. 605-671.
6
A. Varvaro, Critica dei testi classica e romanza. Problemi comuni ed esperienze diverse, «Rendiconti
dell'Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli», 45 (1970), pp. 73-117: pp. 86-87. Dello stesso
autore si può utilmente vedere anche il contributo di carattere più didascalico Id., Il testo letterario, in Lo spazio
del Medioevo, 2, Il Medioevo volgare, I, La produzione del testo, Roma, pp. 387-422. Sui problemi relativi alla
tradizione dei testi cronistici medievali si veda da ultimo anche F. Delle Donne, Testi “liquidi” e tradizioni
“attive” nella letteratura cronaschistica mediolatina, in Il testo nel mondo greco e latino, cur. A. Prenner, Napoli
2015, pp. 15-38
degli Ordini mendicanti ed entro esigenze di legittimazione politica e talvolta anche
istituzionale7.  

                                                                                                               
7
Si vedano i contributi, di impostazione anche molto diversa, di L. Capo, Cronache mendicanti e
cronache cittadine, «Mélanges de l'Ecole française de Rome», 89/2 (1977), pp. 633-639; Ead., Sulle cronache
medievali, in Ricerca come incontro. Archeologi, paleografi e storici per Paolo Delogu, cur. G. Barone - A. Esposito -
C. Frova, Roma 2013, pp. 265-278; M. Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma
1999, in particolare le pp. 1-37.

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