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Khmer rossi, condannati ultimi leader.

La
sentenza: «volevano creare una società atea»
21 novembre 2018

Condanna Khmer rossi. Nessuno riporta le


parole della sentenza, in cui si legge che “volevano creare un società atea ed omogenea”. Lo
stesso progetto di tutte le dittature del Novecento. Pol Pot era amico di Sartre e un ammiratore
della Rivoluzione Francese.

Sorprende che l’organo di stampa del comunismo italiano, Il Manifesto, parli della condanna degli
ultimi due leader dei Khmer rossi, seguaci militari del dittatore cambogiano Pol Pot e responsabili
di uno dei maggiori stermini di massa della seconda metà del secolo scorso. La Corte
straordinaria della Cambogia, infatti, ha condannato per genocidio Nuon Chea e Khieu Samphan.

Meno strano che nel riportare la notizia, invece, il giornalista comunista Emanuele Giordana eviti
accuratamente di citare la parola comunismo. Come se i Khamer rossi fossero stati solo un po’
matti e non esecutori pratici dell’ideologia che anima lo stesso quotidiano rosso. Il New York
Times, al contrario, fin dalle prime righe ha scritto: «Undici anni dopo il loro arresto, e dopo un
lungo e costoso processo, sono stati condannati come membri sopravvissuti di una comunità
comunista molto unita e ritenuti responsabili dell’uccisione di almeno 1,7 milioni dei loro
connazionali dal 1975 al 1979».

Né il Manifesto, né il New York Times, tuttavia, riportano le parole esatte della sentenza che li ha
condannati: i Khmer Rossi, si legge, «volevano stabilire una società atea e omogenea,
sopprimendo tutte le differenze etniche, religiose, razziali, di classe e culturali». I due condannati
hanno negato le atrocità commesse, ma i giudici cambogiani hanno denunciato il piano di Pol Pot di
voler estirpare «i vietnamiti fino all’ultimo seme», come pure l’etnia Cham. Secondo le
testimonianze emerse al processo, fra 100mila e 500mila Cham (un’etnia musulmana) sono stati
uccisi con massacri collettivi, roghi di libri di preghiere, decapitazioni, stupri, matrimoni forzati e
cannibalismo.

Dunque, nero su bianco, è scritto: “volevano creare una società atea e omogenea senza divisioni di
classe”. Ma non fu lo stesso identico progetto tentato nel Novecento da tutte le grandi dittature?
Quel secolo senza Dio, come è stato ribattezzato? Da quella cinese a quella sovietica, da quella
jugoslava a quella nordcoreana? Molti non sanno che il dittatore Pol Pot era un grande amico di
Jean-Paul Sartre, fu un ammiratore della Rivoluzione francese ed entrò presto in contatto con gli
ideali marxisti dei rivoluzionari parigini. Nel 1951, vent’anni prima di dare avvio al genocidio nel
suo paese, Pol Pot si unì al Partito Comunista Francese.

Il quotidiano comunista francese, Liberation, ha cercato di minimizzare l’influenza parigina sui


futuri sterminatori. Ha dato la parola a Henri Locard, uno storico specializzato sulla Cambogia:
«Questi studenti non sono stati introdotti al marxismo in Francia, erano già politicizzati lasciando
la Cambogia». Locard ha comunque ammesso: «Si unirono al Partito Comunista francese, spesso
sotto altri nomi per cercare di contrastare i servizi di intelligence francesi. I cambogiani vennero
influenzati molto dalla storia della Rivoluzione francese, il loro più grande eroe fu Robespierre.
Presto, l’idea che lo scopo della loro nobile lotta potesse tollerare l’esecuzione degli esseri umani
divenne un’ovvietà». Il fratello del dittatore Pol Pot, Saloth Neap, il giorno della sua morte, aveva
invece precisato: «E’ in Francia che è cambiato». Così, i leader dei Khamer rossi appresero le loro
idee sulla “società atea” proprio nella Parigi illuminista, culla della democrazia e dei “nostri
valori” secondo alcuni odierni intellettuali. Oggi tutti esultano per la loro condanna, senza però
raccontare la verità. E senza nemmeno leggere la sentenza di condanna.

La redazione

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