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RINASCIMENTO E UMANESIMO (MACCHIAVELLI, LUTERO ED ERASMO)

UMANESIMO

L’Umanesimo precede il Rinascimento o meglio inizia prima, il Rinascimento è parte dell’Umanesimo.


Periodo storico le cui origini sono rintracciate dopo la metà del 14secolo e culminato nel 15 secolo. Il
termine UMANESIMO è usato per caratterizzare ogni orientamento che riprenda il senso e i valori
affermatisi nella cultura umanistica: dall’amore per gli studi classici e per le humanae litterae alla
concezione dell’uomo e della sua ‘dignità’ quale autore della propria storia. Si può dividere in:

• UMANESIMO FILOLOGICO per distinguere l’attività degli umanisti intesa al recupero, allo studio,
alla pubblicazione dei testi classici, dall’attività degli umanisti intesa più generalmente alla creazione
letteraria e filosofica, all’elaborazione di una nuova civiltà.

• UMANESIMO VOLGARE  quando gli ideali letterari di scrittura armoniosa e ornata sono trasferiti
in Italia alle opere letterarie volgari.

• UMANESIMO RINASCIMENTALE RINASCIMENTO

Umanesimo filologico

Intorno alla metà del 14 secolo gli studi classici grazie a Petrarca assunsero un carattere nuovo, il cui
aspetto più appariscente fu la ricerca dei codici antichi. Si manifestò l’esigenza di non contentarsi di quella
parte della letteratura latina che era giunta sino allora per tradizione scolastica e culturale ininterrotta, ma
di recuperare anche la parte di essa che era stata dimenticata. Si cercò, inoltre, di restituire le
testimonianze della grecità che, salvo nell’Italia meridionale, erano state sino allora trascurate. Il latino così
diventò la lingua letteraria per eccellenza. Petrarca esercitò un’azione decisiva nella storia testuale dei
classici, sia scoprendo nuovi testi, sia riunendo in un unico corpo i documenti della tradizione manoscritta.
A Petrarca si deve la scoperta (1333) di due orazioni ciceroniane per esempio; a Boccaccio le riconquiste o
la rivalorizzazione critica di testi di, Seneca, Ovidio,Tacito. Anche l’Umanesimo greco comincia da Petrarca e
da Boccaccio, il quale ultimo ospitò a Firenze il calabrese Leonzio Pilato e lo fece nominare lettore di greco
allo Studio: da lui i due amici ebbero facilmente la traduzione latina dei poemi omerici. I testi da sempre
conosciuti e quelli ora ritrovati erano corretti, interpretati, commentati dal punto di vista linguistico,
storico, archeologico; s’instaurava così, al posto della semplice ricezione medievale, una lettura critica ad
alto livello, nella quale consiste la più importante novità dell’Umanesimo. In Italia, la ricerca erudita
sull’antichità continuò nel primo Cinquecento, ma con minore libertà e inventività critica, mentre si
sviluppavano le raccolte archeologicoantiquarie; la grande filologia riprese nel secondo Cinquecento. Alla
fine del secolo, il primato filologico passò a Francesi, Olandesi, Tedeschi, Inglesi.

Umanesimo volgare

Essendo l’educazione dell’uomo la meta finale, era naturale che presto o tardi, svanita l’antistorica
speranza di una resurrezione pura e semplice della lingua latina, ci si accorgesse che essa non poteva essere
raggiunta se non attraverso l’adozione della lingua da tutti parlata. Ciò avvenne in Italia nella seconda metà
del Quattrocento. Ma occorreva che l’uso del volgare fosse sottratto all’arbitrio di ogni scrivente e
sottoposto a regole fisse. Questa gara diventa aperta e consapevole in Petrarca e in Boccaccio, i quali
intesero realizzare in volgare opere in tutto degne dell’antico; giunse poi a piena maturazione nel secondo
Quattrocento, accompagnando o causando il risorgere della poesia ricevette infine nel primo Cinquecento
da P. Bembo la sua sistemazione nella teoria e nel concreto campo grammaticale e stilistico.
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Scrittura umanistica

Scrittura usata nei manoscritti del XV sec., dopo la riforma scrittoria promossa dagli umanisti italiani.
L’ammirazione per la scrittura chiara e sobria degli antichi manoscritti indusse a riportare in uso la littera
antiqua, ritenuta la scrittura antica dei Romani, a riprodurre cioè l’alfabeto rotondo e aggraziato della
carolina. Accanto all’umanistica libraria o rotonda si ebbe una forma corsiva (usata prevalentemente nei
documenti) che rappresenta la trasformazione della gotica corsiva sotto l’influenza della rotonda.

Inoltre l’Umanesimo nasce in Italia, ma in diversi paesi come Francia e Polonia ci sono degli studi sulla
letteratura latina e greca.

Macchiavelli vede, infatti, il passato come filo conduttore per capire il presente, egli dialoga con gli antichi 
gli interroga sul passato per trovare delle fonti di ispirazione per trovare soluzioni nelle questioni del
presente. Si parla di studio storico e filologico degli antichi.

Vengono ripresi autori come Aristotele e Platone, ma interpretati nel loro contesto storico.

 Lorenzo Valla vuole trovare la falsità della DONAZIONE DI COSTANTINO (documento di donazione di
un territorio quindi inizio del potere temporale per il Papa e per la Chiesa) e lo fa seguendo
appunto una critica filologica andando a discutere su tutto.

L’Umanesimo si può dire che apre la critica sulla storia critica anche alla politica e ai dogmi (Valla)

Il RIMNASCIMENTO ha invece come suo centro la centralità dell’uomo, c’è un cambiamento in tutto e
fioriscono le biografie anche delle persone del popolo. Uno storico importante di quel periodo è Burkharal.
Secondo quest’ultimo, nascono dei veri e propri tipi di umani diversi , emergono nuovi condottieri , nuovi
principi.

• L’eresia nasce nel 1100 , l’eretico non accetta alcuni dogmi e mette in discussione la Bibbia. Un
esempio è infatti Lutero , il quale porterà allo scisma della Chiesa seguendo il principio del “ vivere per se
stessi e con la propria religiosità”. Lutero tradurrà la Bibbia in tedesco per la prima volta per far si che la
gente possa avere un’idea propria di religione.

L’individuo emerge rispetto al gruppo, quindi singolarità personale, genio, libertà personale. Nel
Rinascimento l’artigiano diventa importante (Michelangelo, Brunelleschi, Leonardo Da Vinci…)

Politica nel Rinascimento  Firenze  Umanesimo civile

I congiurati dei Medici (signoria di Firenze) si ispiravano al modello di REPUBBLICA ROMANA (Bruto uccise
Cesare, il padre, perché era un dittatore). Questi vogliono seguire l’esempio di Bruto per capire la dittatura
moderna.

Il Rinascimento è anche importante dal punto di vista estetico. Per esempio Raffaello introduce la
PROSPETTIVA. L’apertura alla cultura bizantina, ellenica, orientale.

È in questo quadro che si sviluppa il pensiero di Macchiavelli, Erasmo e Lutero.

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SCHEMA  PARTE BUONA PARTE CATTIVA

Monarchi Tirannide

Aristocrazia Oligarchia

Democrazia Anarchia/Demagogia

MACCHIAVELLI P.103/112

Nato il 1469 a Firenze. Durante il periodo savonarolino occupa il posto di cancelliere della seconda
cancelleria e poi quello di cancelliere dei Dieci di Balia che si occupavano di politica estera. Non è uno
scrittore ma un funzionario che ama la sua patria ,che la serve con fedeltà e che vorrebbe vederla assumere
un ruolo di grande potenza all’interno della scena internazionale.

Ritornati al potere i Medici, nell’estate del 1512, Macchiavelli perde l’incarico e si ritira nel suo podere a
Sant’Andrea. È qui che scrive le sue grandi opere fra cui: Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Il
Principe, Le istorie fiorentine .

La logica delle cose del mondo per Macchiavelli, è tutta interna alle cose stesse e risiede nell’ inevitabile
presenza della contingenza - del caso - nelle vicende umane. Gli uomini agiscono e cercano di avere
successo in un mondo intrinsecamente ostile , in mezzo a uomini malvagi ed egoisti. Quest’assenza
dell’ordine dell’essere , in Macchiavelli assume il nome di FORTUNA, termine con il quale egli manifesta la
propria convinzione che la storia sia un ciclo di accadimenti di cui l’uomo non ha e non può avere il
controllo , e che non è finalizzato alla sua salvezza o al suo benessere.

L’unico modo per dare un senso a questo trionfo della contingenza, è l’agire politico virtuoso. La Virtù è
quella energia umana che si oppone alla fortuna e che mette gli uomini in condizione di uscire da se stessi e
dal proprio meschino egoismo e di compiere gesta collettive grandi e gloriose per essere ricordati dai
posteri. La politica virtuosa, infatti, è centrata sulla:

 LIBERTA’ COLLETTIVA (nei Discorsi ).


 RICERCA DELLA POTENZA E DELLA GLORIA (nel Principe).

Riguardo alla contingenza, Macchiavelli si interroga sui motivi che consentono che lo stesso tipo di azioni, a
volte giovi e a volte no. Egli attua un tentativo di interpretazione più profondo della realtà e individua due
aspetti della realtà politica, la natura dei tempi e la natura degli uomini , dall’unione dei quali nasce il
successo.

Con il passare degli anni, questa giovanile fiducia umanistica che l’uomo possa ben adattarsi ai tempi e ai
alle circostanze, verrà meno e Macchiavelli passerà ad una più complessa tematica della virtù: l’agire
umano non gli sembrerà più padrone assoluto dell’azione, ma esso sarà sempre costretto a fronteggiare le
avversità dei tempi o quelle create da altri uomini.

 I DISCORSI : sono tre libri , strutturati in modo da discorrere prima delle cose accadute a Roma, poi
di quelle che Roma fece all’estero, aumentando il suo impero, e infine delle azioni degli uomini
“particulari” che contribuirono alla grandezza della città.

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Macchiavelli legge la storia della Roma antica adattandola alla Firenze del suo tempo e alle possibili
alternative istituzionali rappresentate da Venezia, per cercare di trovare risposta ai problemi che
spingono Firenze alla corruzione.
Questi problemi rientrano nei Discorsi tramite due vie: la prima è rappresentata dalla riflessione
sulla crisi della repubblica romana ,dove viene illustrata la crisi del “vivere libero” e la necessità di
utilizzare mezzi politici non consoni a una vita politica libera, per trattenere le civiltà dal cadere nel
baratro; la seconda è costituita dalla tensione tra l’Esemplarità degli antichi e la sua inapplicabilità
alla vita odierna.—dunque il primo problema affrontato nei discorsi è appunto la mutevolezza della
politica in base al periodo , vista come una drammatica instabilità.

Macchiavelli, infatti, si chiede come mai esista una pluralità di forme politiche , e riconosce dietro ognuna di
esse, sia una differenza di principi politici primari ( espressi in Principato/repubbliche degli Ottimati o
nobiliare/ repubbliche popolari), che lui chiama umori , sia la facilità con cui ciascuna forma pura entra nel
circuito della degenerazione.

- Ciascuno di quegli umori, preso da solo può dar forma ad una sola forma politica che, se buona
è fatalmente breve, se cattiva è fondamentalmente instabile. Così avviene che, il Principe
(buono) in breve diventi Tiranno(cattivo), questo viene poi sconfitto dagli Ottimati (buoni) che
diventeranno Oligarchi (cattivi) i quali verranno sconfitti dalla repubblica popolare (buona) che
inseguito diventerà licenziosa (cattiva), pronta ad essere governata da un Principe nuovo e così
via, in un circolo vizioso.

Questo Realismo Politico, spinge così Macchiavelli a considerare la politica come un campo di forze aperto
allo scontro e alla formazione di egemonie .In questo contesto di mutamento circolare, gli Stati confinanti,
diventano agenti politici pronti ad approfittare di un momento di instabilità e debolezza per affermare la
propria potenza, ed è questo il fine ultimo, secondo Macchiavelli, la vera sostanza della politica.

Dunque,per risolvere la situazione, suggerisce, sullo spunto di altri pensatori, un assetto politico Misto,
costituito da una parte di principato, una di aristocrazia e una di governo popolare. La “mistione” degli
umori diventa capace di congiungere libertà ,partecipazione e potenza , cosa che avvenne prima a Sparta ,e
solo dopo a Roma, (per puro caso)- Nonostante gli scontri interni fra patrizi e plebei , infatti, Roma è
rimasta una città libera e prospera, grazie alla sua capacità di accogliere le diverse spinte sociali e di darvi
sfogo sia politico che istituzionale, facendo del conflitto e della contesa il motore della vita politica.

Ora, mentre nella storia di Firenze , gli umori corrodono la repubblica dall’interno, a Roma il
conflitto, fu tenuto sotto controllo grazie al Tribunato della Plebe, istituzione inventata a salvaguardia della
libertà e che tenne sotto controllo i nobili. Secondo M. la scelta di Roma è stata benefica sotto più aspetti:

1. In primo luogo perché i desideri della plebe sono naturalmente compatibili con il diritto e con la
libertà di tutti.
2. In secondo luogo, perché la plebe, chiamata così a partecipare alla vita politica, potè costituire
quella “milizia” che diede a Roma un espansionismo militare.

La scelta filopopolare di Macchiavelli, non si basa su in ideologia che preveda la naturale bontà del popolo,
ma sulla considerazione razionale che riconosce al popolo minori possibilità di usurpare la libertà . i nobili,
per le loro risorse economiche e politiche, sono più pericolosi e anarchici rispetto ai plebei..

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Inoltre, Macchiavelli preferisce una repubblica volta all'ampliamento militare. Il popolo deve essere
armato , ma questo lo rende difficilmente manipolabile e obbediente , provocando facilmente tumulti
interni. Lui è quindi consapevole che un organismo politico che voglia conservarsi sano, deve incanalare le
proprie energie conflittuali entro meccanismi istituzionali che si possano utilizzare politicamente ,
impedendo così, che la contesa assuma carattere privatistico innescando faide distruttive. Si noti però che i
conflitti interni, tramite le istituzioni, verranno solo incanalati, e non neutralizzati. Questo di Mcchiavelli
infatti, è il primo modello politico che coincide con il conflitto, senza neutralizzarlo.

Un altro punto fondamentale è la religione , la quale, nel caso di Roma ha portato unità, non solo in senso
costituzionale, ma anche a livello civile ,e non privato, assumendo il ruolo pubblico di tutelare tanto la
sacralità dei giuramenti e dei patti dei privati, quanto 'intangibilità delle leggi. Macciavelli da quindi vita ad
un nuovo circolo virtuoso : quello che lega la religione ai buoni ordini, questi alle armi, e queste ultime al
successo complessivo dell'intera repubblica.

La virtù politica però, è fragile, infatti si arriva a capire che il vero problema è costituito dalla possibilità di
mantenere la libertà per un popolo che sia entrato nella corruzione. La corruzione rappresenta la
MALATTIA del corpo politico e si configura con il disprezzo delle leggi, l'allontanamento dai principi, la
ricerca di un bene solo per una parte, e non per tutta la repubblica ecc. Queste portano alla rottura
dell'uguaglianza fra i cittadini e alla crisi della libertà.

L'unica soluzione ( che in realtà è solo un palliativo) è rinnovare gli ordini e gli assetti organizzativi ogni volta
che quelli attuali vengono corrosi dalla corruzione. Se fosse necessario imporre un rinnovamento
all'improvviso, allora si ricorrerebbe necessariamente a metodi non ordinari quali le armi e istituire
immediatamente un principe il quale non potrà che essere un uomo violento e malvagio . Macchiavelli
arriva quindi alla conclusione che è impossibile mantenere una repubblica in tempi corrotti o crearla di
nuovo ; la repubblica dovrebbe infatti diventare quasi una monarchia per frenare tutti coloro che non
sottostanno alla legge.

Nel suo pensiero inoltre, chiunque voglia istituire un regno in un contesto politico egualitario, potrà farlo
solo su tempi lunghi. Occorrerà innanzitutto selezionare, dal popolo, dei cittadini ambiziosi, ai quali si
dovranno donare dei possedimenti, nonché sostanze economiche e uomini, e poi aspettare che la
situazione faccia il suo corso ,trasformando la struttura sociale in termini politici.

Per quanti invece vorranno costituire una repubblica all’ interno di un contesto fortemente aristocratico,
questi non potranno farlo prima di aver eliminato l’aristocrazia completamente. La repubblica, infatti, è per
Macchiavelli un organismo più vivo ,duraturo e più forte di un Principato, perché permette alle forze
economiche di dispiegarsi completamente. L’unica differenza che pone è quella fra repubblica antica e
repubblica moderna : l’età a lui contemporanea segna la comparsa della virtù antica, quello che la
modernità non ha più ,rispetto all’antichità è , a suo parere un ethos pubblico incarnato in una religione
pubblica. Questa religione deprime l’amore per la libertà e la grandezza ,esaltando valori come umiltà e
passività, non adatti alla politica. Affermò, quindi, che è bene che il privato sia povero, perché la repubblica
sia ricca e potente.

 IL PRINCIPE: il problema principale è: come individuare una forma politica energica, virtuosa e
capace di agire efficacemente in un mondo sempre più instabile.
L’opera ha il fine di liberare l’italia dai barbari e di salvare, attraverso una potestà regia , un
organismo in cui è entrata la corruzione.

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Macchiavelli analizza i diversi tipi di Principato, e il solo che davvero gli interessa è il Principato nuovo:
infatti è proprio da un principe nuovo che egli si aspetta l’abbreviazione dei processi che portano al
formarsi della virtù politica nelle repubbliche. È chiaro però, che in questo modo tutte le capacità e le virtù
saranno concentrate in un solo uomo, e non diffuse nel corpo del popolo e delle istituzioni politiche.

È da notare che: questo principe non è un tiranno, infatti lui distingue tra governo politico e governo
tirannico. Il primo punta alla potenza e alla gloria della città ( parliamo quindi di una persona PUBBLICA
consapevole delle regole e della capacità della politica), l’altro si interessa solo dei vantaggi che potrà
ottenere dal governare.

Ora, il principe per prima cosa dovrà armare i propri sudditi e creare una milizia ( condanna però gli eserciti
mercenari) , perché è con essa che la virtù si forma e si mantiene nel principe, nello stato e nei sudditi.
Inoltre affianca a queste “ buone arme” anche la “buona legge” , ovvero le buone istituzioni capaci di
esaltare la virtù.

Nella sua visione, l’ etica tradizionale Cristiana resta valida, perché il bene morale che la Chiesa sostiene , è
per Macchiavelli , molto importante, ma la politica si sottrae ad essa perché si fonda su un'altra etica in cui
il bene è il successo del principe, ossia la potenza dello Stato. Questo obbiettivo va perseguito dal principe a
qualunque costo, anche violando l’etica religiosa.

La potenza, il successo, costituiscono la “grammatica” della politica. Macchiavelli invita il principe a non
avere altro interesse se non la guerra, il suo ordine e la sua disciplina. A quel principe che sperimenterà in
se la dimensione demoniaca del potere, egli prospetta la perdita dell’anima , anche quando l’entrata del
male è resa necessaria per fronteggiare l’imprevedibile corso degli eventi e della fortuna .

Sono le strategie per domare la fortuna, infatti che differenziano il principe virtuoso da quello che non lo
è , eppure una definitiva vittoria non sarebbe possibile perché , nonostante le sue virtù politiche, il principe
avrebbe sempre incontrato sul suo cammino la contingenza, l’imprevisto , il quale , insieme ai rapporti
sociali, rende sempre più limitato l’agire della politica.

Nell’ultima parte dell’opera, Macchiavelli descrive il Principato civile, ovvero quel principato in cui
qualcuno, con il favore degli altri cittadini( o i Grandi, o il popoli) , diventa “principe della sua patria”.
Questo principe però, incontrerà 2 inconvenienti: non potrà controllare i Grandi, i quali gli chiederanno di
comandare e opprimere il popolo , mentre il popolo, dal canto suo chiederà di non essere oppresso. Il
principe si troverà quindi fra due fuochi. Il consiglio che da Macchiavelli a questo principe è quello di farsi
il popolo amico, in modo da poterlo armare senza doverlo temere.

 DELL’ARTE DELLA GUERRA: 1521, composta da sette libri. Argomento principale è quello di tornare
ai “modi antichi” romani, armarsi di una propria milizia e realizzare un esercito di popolo, animato
da una salda disciplina, in modo da impedire che la guerra diventi una professione, un mestiere con
cui arricchirsi. Tutto ciò presuppone una politica nuova, dove solo un buon principe sarà in grado di
armare il popolo senza temere che questo possa rivoltarglisi contro, di fare del popolo il cuore del
suo esercito (emarginando i nobili che fino ad allora avevano rappresentato la cavalleria) senza
timore di essere detronizzato.
 LE ISTORIE FIORENTINE: qui si cala nella propria epoca e riflettendo sulla decadenza della sua città
e di tutta l’Italia, sembra perdere del tutto le speranze di una RINNOVATIO.

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A Firenze crescevano esponenzialmente le divisioni fra i nobili, quelle fra questi ultimi e il popolo e poi
ancora fra popolo e plebe, impedendo il consenso necessario al governo per operare, inoltre queste
divisioni avvenivano su un terreno privato ed economico, diversamente da quello pubblico della Roma
antica, dove il conflitto era stato incanalato e aveva portato alla nascita della virtù. Mentre a Roma , i i
rapporti di forza dei gruppi sociali e le dispute si cristallizzavano in leggi ed istituzioni , a Firenze le
inimicizie terminavano con l’esilio o con la morte, infatti, Macchiavelli riguardo queste divisioni, ne
mette in luce una genesi esclusivamente privatistica: un matrimonio mancato, un offesa ecc., potevano
diventare il pretesto per una divisione che pur assumendo in seguito connotati politici, rimaneva
confinata entro un'unica classe dirigente.

LA RIFORMA: ERASMO P119/121 E LUTERO 122/124

L’Umanesimo si sviluppa in Europa agli inizi del Cinquecento. Negli stessi anni in cui Macchiavelli sogna un
Principe nuovo forte e audace, Erasmo ne figura uno diverso, dedito alla pace e profondamente cristiano.

Convinto della possibilità di una mediazione fra fede pagana e cristiana , Erasmo formulò una vera e
propria teoria critica della società e dello Stato , una proposta di totale renovatio che partiva dalla messa in
dubbio della veridicità dei valori del suo tempo.

Si parte quindi dal commento che , negli Adagia , egli dedicò all’antico proverbio “i Sileni di Alcibiade”: i
sileni sono statuette di legno che potevano essere aperte o chiuse; quando erano chiuse rappresentavano
l’immagine deforme di un suonatore di flauto, mentre una volta aperte mostravano qualcosa di bello. Con
la loro differenza fra esterno ed interno, i sileni diventano il pretesto per invitare a guardare al di là delle
apparenze e sovvertire le opinioni comuni. Questo lo porta ad un elogio della povertà e dell’umiltà e del
rifiuto della gloria, e attacca quei valori ormai decaduti che hanno portato l’intero sacerdozio (dal prete al
papa) alla ricerca del potere e a dimenticare la propria missione.

Critica della guerra: l’amore per i cristiani porta Erasmo a definire la guerra come male assoluto. La
QUERELA PACIS del DE BELLUM INEXPERTIS , si presenta come un vero e proprio rifiuto di ogni
atteggiamento giustificativo della guerra, avvalendosi, invece , dell’insegnamento del Cristo visto come
amore del prossimo, fratellanza e pace.

Erasmo invita i cristiani alla conversione, mediante una strategia che persegue più obiettivi :

1. mostrare gli orrori materiali e spirituali della guerra , non solo la devastazione dei campi e delle
citta, la perdita delle persone care , ma anche una generale e negativa “trasmutazione” dei valori,
che porta necessariamente ad apprezzare cose come il brigantaggio, il fratricidio, o il disprezzo
delle leggi.
2. mostrare l’incompatibilità del cristianesimo con la guerra: se gli effetti sono questi, è possibile
conciliare la guerra con il cristianesimo? No. Erasmo non ammette l’uso di armi, anche quando
queste sono benedette da vescovi e papi.
3. delegittimare la guerra mediante la critica al concetto di guerra giusta, intesa come punizione o
castigo di un colpevole. Al riguardo , Erasmo distingue fra riparazione di un torto fra privati, dove
l’intento è quello di punire qualcuno, con un’azione giudiziaria, per preservare la comunità, e la
presunta riparazione di un torto fra Stati. In questo caso invece, l’intento di punire un unico
colpevole, viene soddisfatto solo quando a pagare sono migliaia di innocenti.

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Per Erasmo, la guerra è un affare che riguarda i principi, e li accusa di ricorrere ad essa solo per imporre più
facilmente la loro tirannide ai sudditi. “un buon principe non entrerà in guerra se non quando vedrà che
non può proprio evitarla.”

Pacifismo: ISTITUTIO 1516 . In quest’opera Erasmo fa un’analisi della TIRANNIDE , lato negativo della
regalità . Partendo dal presupposto che nella sua epoca si giungeva al principato non per elezione, ma per
nascita, Erasmo capisce che se si vuole operare sulla politica, bisognerà farlo in senso pedagogico sul
principe. Bisogna scegliere bene i mezzi e i principii con cui il principe verrà istruito e dai quali verrà
influenzato nelle decisioni politiche che prenderà nella vita adulta.

Fa inoltre ,al principe, un invito nel ricordare che deve intercorrere una sorta di patto, un consenso, fra
governante e governati , perché il potere si esercita sempre su uomini liberi, e che, avendo una base di
valori cristiani, deve stare lontano da una dominazione pagana, limitandosi “all’amministrazione, al
beneficio e alla custodia”. Un patto di questo genere insegnerà al principe ad essere, da un lato,
sottomesso alle leggi , e dall’altro, lo porterà ad una moderata esazione fiscale, capace di essere utile allo
Stato senza impoverire il popolo.

Avendo di mira l’interesse comune, servito sempre con onestà e giustizia, il principe sarà cristiano non
soltanto a parole ma anche nei fatti , diventando figura terrena dello stesso Iddio.

- Con l’arrivo della Riforma, però , le idee di libertà, volontà e valore vengono svalutate, ed
Erasmo, che inizialmente voleva restare neutrale, si erge invece con IL DE LIBERO ARBITRIO
DIATRIBE SIVE COLLATIO 1524 per difendere i valori dell’umanesimo. In quest’opera cerca una
via media che non annulli la facoltà dell’uomo di dire si o dire no alla grazia, nel senso
dell’aderire o meno ad una dottrina politica o al cristianesimo , secondo la propria volontà.

LUTERO : nato nel 1483 in Sassonia fu monaco agostiniano .

Egli non si sentiva testimone di una felice fusione tra antichità e cristianesimo , ma piuttosto della severità
del giudizio di Dio e dell’angoscia circa il proprio stato di eletto o dannato.

Riflettendo sul problema teologico del rapporto tra salvezza e opere, tra legge e grazia, Lutero già nel 1515
comincia a pensare che le opere non siano sufficienti per garantire la salvezza, prodotta invece, dalla sola
fede. In occasione della predicazione delle indulgenze volute da Roma nel 1517, infatti , Lutero esprime
posizioni estremamente critiche (culminate con l affissione delle 95 tesi sulla porta della cattedrale di
Wittemberg) riguardo al potere del papa che se ne serve.

Gli anni tra il 1518/20 trascorsero cercando di evitare di essere processato a Roma riuscendoci solo grazie
all’ intervento del principe Federico di Sassonia, il quale però non riuscirà ad evitargli la scomunica nel
1520, inflitta da Leone X, con la Bolla Exsurge Domine. Di contro Lutero brucia la Bolla e pubblica alcuni
importanti volumi con cui supera la semplice controversia teologico-dottrinale per entrare a pieno titolo
nella storia assumendo il ruolo di creatore della Riforma- insieme a Calvino – almeno fino alla metà del
‘600.

La frattura tra Lutero e il papato si rivela inevitabile. Accettato il principio secondo cui la prima e più alta
opera buona è la fede in Cristo, e , immaginata la grazia in relazione alla sola fides individuale del singolo
credente, Lutero smantella la centralità del sacerdozio nella chiesa e della funzione del sacerdote come
mediatore tra uomo e Dio. La salvezza consiste quindi nella azione di Dio che, irrompe nella coscienza del
credente. In questo modo salta tutto l apparato ecclesiastico destinato alla produzione delle opere buone e
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viene meno la differenza tra sacerdozio e laicato. Lui parla di sacerdozio universale : non esistono più i
diversi gradi di perfezione fra chierici e laici perché questi gradi non sono nulla difronte all’ azione di Dio. Di
conseguenza i sacramenti si riducono a due, battesimo ed eucarestia, la gerarchia ecclesiastica viene
smantellata e si costituiscono i capi saldi di una rivoluzione che si basa sia sulla libera interpretazione della
bibbia, sia sulla leggibilità da parte di ciascuno cristiano grazie alla traduzione di questa in tedesco,
effettuata proprio da Lutero.

Per Lutero la libertà del cristiano è accompagnata dal dovere dell’obbedienza alle autorità politiche
esteriori , e questa obbedienza raffigura tutte le opere buone che il cristiano può compiere. (questo è lo
schema che emerge dal Sermone delle buone opere ).

La consapevolezza che la riforma potesse compiersi solo grazie all’alleanza dei principi tedeschi, o dei poteri
delle città libere, spinge Lutero proprio ad appellarsi a questi, sperando che essi comincino ad avviare la
cosa. È il potere, infatti ,per Lutero, che deve proteggere i buoni e punire i malvagi e deve perfino riformare
la Chiesa “senza guardare in faccia nessuno, papa, vescovo o prete che sia”.

Qual è la funzione del potere? Lutero fa riferimento al periodo medievale. Il Medioevo , infatti, aveva
teorizzato la funzione “correttiva” del potere, ma non si riferiva al potere assoluto e senza limiti a cui invece
si riferisce Lutero. Non solo, infatti, l’età medievale affiancava al potere politico, il potere spirituale della
Chiesa –che Lutero invece distrugge - , ma lo vincolava anche al rispetto della Giustizia, che nel pensiero di
Lutero, non sembra più una cosa praticabile.

 Nel saggio DELLA LIBERTA’ DEL CRISTIANO , Lutero dimostra sia l’assoluta libertà del cristiano ,
signore di tutte le cose e non soggetto ad alcuno, , sia l’assoluta servitù del cristiano , servo di tutte
le cose e soggetto ad ognuno.
La duplice natura del cristiano ( carnale e spirituale) e la duplice natura dei due regni (celeste e
terreno) mostra il credente , libero ,grazie alla fede , dalle opere e signore su di esse, e al
contempo, per la sua permanenza nel mondo e nella carne, per i suoi rapporti interpersonali,
sottomesso alle cose e alle persone. Questo rapporto per nulla pacifico tra religione e autorità
politica si chiarisce se si considera che, per Lutero , il potere politico è una coazione solamente
esteriore, che non tocca l’essenza vera del cristiano giusto. Questi non ha bisogno del potere,
istituito da Dio solo per punire i malvagi; ma da prova di essere giusto proprio obbedendogli, cioè
riconoscendo la su funzione divina.

Questi problemi sono affrontati nello scritto SULL’AUTORITA’ SECOLARE 1523 , dove parla della
teoria dei due regni, entrambi presenti nello stesso regno e nello stesso spazio e ispirati a principi
diversi ed opposti. Coloro che appartengono al regno di Cristo non hanno bisogno né del “diritto”
né della “spada” perché la fede in dio li rende capaci di autolegittimarsi, mentre gli altri, figli del
regno della terra ,sono stati posti sotto la “spada” affinché non possano esercitare la propria
malvagità. Lo scritto , quindi, impone al cristiano un obbedienza soltanto esteriore , all’autorità.

Nel complesso, Lutero ,scardinati gli equilibri delle teorie politiche medievali, lascia all’età moderna il
compito di legittimare e organizzare un nuovo rapporto fra l’infinita libertà del soggetto e l’esigenza
funzionale del potere politico.

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IL COSTITUZIONALISMO P 135

Uno dei principi fondamentali della Libertà, almeno per quanto riguarda Inghilterra e Europa, è da
individuare nei privilegi tipici del rapporto feudale.

Se il mondo romano e il suo diritto imperiale potevano essere riassunti nel principio : Ciò CHE PIACE AL
PRINCIPE HA VALORE DI LEGGE, il mondo barbarico e quello feudale , danno invece più importanza al
popolo. In ambito germanico, infatti, la cessione da parte del popolo, dei propri diritti, al re, non è una
totale alienazione ,ma solo un affidamento temporaneo dell’esercizio del potere , che risulta , quindi ,
essere consensuale .

La Germania feudale, infatti, risulta favorevole allo svilupparsi del costituzionalismo medievale .

Qui, la legge, secondo teorici come Bracton , doveva essere SCOPERTA e promulgata, piuttosto che
artificialmente costruita. Essa non era mai in pieno possesso del legislatore, ma costituiva quella trama di
rapporti razionali e giuridici fondati sull’anteriorità della giustizia rispetto alla legge. Ne emergeva la tesi
secondo cui la Legge veniva concepita più come iustum- Giustizia appunto-, e non come iussum-
Comando-. Inoltre il Medioevo è caratterizzato dall’assenza dello Stato e dalla presenza di un diritto di tipo
pluralista, che è espressione della Società e della molteplicità di ordinamenti presenti nella sovranità
politica.

 La Magna Carta Libertatum: il carattere negoziale e pattizio del diritto e della libertà, emerge con
chiarezza nella Magna Carta concessa dal re Giovanni Senza terra ai baroni nel 1215. Questo è un
atto scaturito dalla volontà del sovrano col consiglio di altri soggetti ed è un atto che si sostanzia
nella statuizione di un certo numero di privilegi; sottrae, insomma, singoli ,corpi o collegi all’attività
normativa della corona.

BRACTON: uno dei più grandi giuristi della storia di Inghilterra che nel 1240 pubblicò il DE LEGIBUS ET
CONSUETUDINIBUS ANGLIAE.

Egli affronta una miriade di temi attinenti alla vita sociale e a quella privata quotidiana e afferma che in
Inghilterra, legge e consuetudine stanno insieme. È solo l’Inghilterra, infatti, che a suo avviso, può vantare
una legge senza legislatore, la quale, pur non essendo scritta non smette di essere valida.

Questo fondamento consuetudinario implica la rilevanza costituzionale e giurisprudenziale della


consuetudine , che assume valore anche rispetto ad altre istanze normative, come la volontà sovrana.

Questa impostazione del problema spiega il carattere di INTANGIBILITA’ attribuito alle leggi ,dato che esse,
essendo “approvate dal consenso di coloro che le usano, confermate dal giuramento dei re, non possono
essere né mutate né abolite senza il comune consenso di coloro che le approvarono in principio”. La
molteplicità dei soggetti necessari alla promulgazione della legge , impedisce la sua arbitraria
manipolazione.

Bracton, inoltre, rammenta anche i limiti del potere supremo. Questo potere, infatti, se deve essere
superiore rispetto ad ogni altra istanza politica, non deve tuttavia dimenticare i propri limiti : “ il re non
deve essere sottoposto agli uomini ma a Dio ed alla Legge , perché è la legge che fa i re”. Quello che fa di
un re un re, è il reggere il regno secondo il diritto, e non il semplice regnare .

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Il re, inoltre, è legittimato alla funzione di “dire il diritto” , di amministrare la giustizia, ma solo se si spoglia
della propria volontà per diventare espressione della legge , la quale è intelletto senza passione. A questo
re, Bracton individua una serie di freni e controlli, identificati principalmente nel sottostare al diritto e
dell’uguaglianza . Egli sarà CUSTODE della costituzione e dell’ equità.

IL PURITANESIMO P138: la rivoluzione puritana, da un lato era l’espressione di una forte egemonia della
corona, dall’altro aveva contribuito a scatenare forze politico-religiose destinate a sconvolgere i delicati
equilibri costruiti dal costituzionalismo.

Quando il termine PURITANES, dopo la seconda metà del’500, cominciò a circolare in Inghilterra, indicava in
maniera dispregiativa quell’insieme di persone ( o setta) ,unificate dal rifiuto della Chiesa anglicana e dei
suoi principi. Parliamo di un movimento sorto nell'ambito del protestantesimo calvinista inglese il quale
scopo era, appunto, quello di purificare la Chiesa d'Inghilterra da tutte le forme non previste dalle Sacre
Scritture.

In questo contesto si fece strada l’idea che la nuova Gerusalemme -- la città dei santi – dovesse e potesse
essere costruita nel presente storico in cui stava per venire a compimento il tempo della fine. La teoria
della predestinazione si tradusse in un attivismo frenetico atto a dare a ciascun fedele la certezza della
propria salvezza.

Il punto principale del Puritanesimo era la suprema autorità di Dio sulle questioni umane, particolarmente
nella chiesa, e specialmente come espresso nella Bibbia. Questa visione li condusse a ricercare la
conformità individuale e collettiva agli insegnamenti biblici, e ciò li condusse ad inseguire la purezza morale
fino al più piccolo dettaglio così come la purezza ecclesiastica al più alto livello. (proprio come i santi)

A livello individuale, i puritani enfatizzarono che ogni persona avrebbe dovuto essere continuamente
riformata dalla grazia di Dio per combattere contro il peccato insito nell'uomo e fare ciò che è giusto
davanti a Dio. Una vita umile ed obbediente sarebbe adatta ad ogni cristiano.

Un'altra importante distinzione era l'approccio puritano alle relazioni fra chiesa e stato. Essi si opponevano
all'idea anglicana della supremazia del monarca nella chiesa , e, come Calvino affermavano che l'unico capo
della Chiesa celeste o terrena è Cristo (non il papa o l'arcivescovo di Canterbury). Credevano che i governi
secolari fossero responsabili davanti a Dio e che avessero il compito di proteggere e ricompensare la virtù,
inclusa la "vera religione", e punire chi sbagliava . Volevano riformare la Chiesa allontanandola dalla
struttura gerarchica dell’episcopalismo anglicano.

In fondo, la formula di Giacomo I “no bishops no king” ( se cadono i vescovi cade anche la monarchia) aveva
almeno il merito di essere chiara, perché esprimeva la solidarietà fra Chiesa Alta dei vescovi e monarchia,
quindi la vicinanza fra anglicanesimo e papismo (almeno nelle decisioni ). Per i Puritani invece, tutti i
problemi dovevano essere discussi, analizzati, risolti con il consenso di tutti nelle assemblee e nelle riunioni
della congregazione.

GIACOMO I : l’attribuzione alla corona, di ampi poteri nella sfera religiosa voluta da Enrico VIII fu solo un
tassello del processo di rafforzamento della monarchia avviato dai Tudor e continuato con gli Stuart, in
particolare con Giacomo I. All’inizio di questo processo vi era stata l’azione di Thomas Cromwell ,consigliere
di Enrico VIII , che aveva spinto la monarchia ad acquisire più potere a livello finanziario e militare per fare
da base ad un efficiente Stato assoluto.

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Sullo scadere del 500 Giacomo pubblicò due importanti opere: THE TRUE LAW OF FREE MONARCHIES e il
BASILIKON DORON (scritta per il figlio) , in cui mette l’accento proprio contro i puritani , criticando appunto
i “santi” che predicavano uno stato politico di tipo democratico ,ma perseguivano invece lo scopo di
condurre il popolo a proprio piacimento . A parere di Giacomo, la parità voluta dai “santi” non può
coesistere ne con l’ordine della Chiesa, ne con una ben regolata monarchia.

Un altro importante versante da lui affrontato, oltre a d aver identificato il nemico da battere in quelle
teorie politiche-religiose che invocavano la priorità del popolo sul re, fu costituito dalla nobiltà e dai teorici
del Parlamento.

Per quanto riguarda il rapporto con la nobiltà, Giacomo consiglia al figlio di ricordare che, contro la loro
grandezza e il loro arrogante potere, non sembra esserci soluzione se non obbligarla ad osservare le leggi ,
mentre per i secondi, il Parlamento , questi avevano cercato di imbrigliare la libertà di azione del re, ed è
proprio per questo che Giacomo sembra replicare con l’analisi delle conseguenze politiche della propria
teoria della “conquista”.

All’origine degli assetti politici, non è da porsi, infatti, un popolo che sceglie che sceglie un re e stabilisce
con lui le regole del governo , ma un re che è tale per aver conquistato il suo ruolo, la terra e gli abitanti
dell’isola. I RE DONO GLI AUTORI E I PRODUTTORI DELLE LEGGI, E NON LE LEGGI DEI RE. Solo a Dio compete
il giudizio sulla correttezza del rapporto fra re e sudditi , e perciò solo a lui il re deve rendere conto della sua
amministrazione.

Ai teorici del Parlamento, Giacomo spiega con argomenti tratti dalla Bibbia la sua teoria del diritto divino
dei re. In breve, tutto il potere e tutta l’autorità, vengono conferiti al re direttamente da Dio e grazie a
questa investitura, il re può unificare la multitudo, facendola diventare un populus.

LA RIVOLUZIONE E CROMEWLL: nel 1642 scoppiò il conflitto fra corona e parlamento, che resisteva al
tentativo del re di renderlo più docile. Il conflitto riguardava i poteri del re e le forme e i limiti del loro
esercizio , ma in campo c’era ormai un nuovo protagonista politico: i puritani, che, in quanto rivoluzionari
di professione ,erano portatori di una diversa politica, rispetto a quella ecclesiastica di quegli anni. I
puritani si erano da tempo riuniti in illegittime assemblee alleandosi con i difensori dei diritti del
Parlamento, con i seguaci del costituzionalismo, e , rispetto al verticismo incarnato nelle Chiesa di Roma ,
quella presbiteriana rappresentava un’alternativa democratica, poiché ammetteva il principio dell’elezione
da parte di tutti i membri adulti della comunità del Consiglio degli Anziani ,cui era affidata la direzione della
comunità.

Bisogna tenere presente questo contesto per poter comprendere le premesse del moto rivoluzionario che
trovò la sua arma vincente nel New Model Army, al cui comando fu posto Oliver Cromwell.

Parlamentare sia del Corto che del Lungo Parlamento, Cromwell fu il primo a comprendere che un esercito
di uomini liberi e di umili natali, ma disciplinato e pienamente convinto della bontà della causa per cui
combatteva, sarebbe stato migliore di uno formato da nobili e professionisti della guerra. Questo esercito
divenne uno strumento invincibile .

Di fronte ad un successivo tentativo del Parlamento, di sciogliere questo esercito, _ il quale, nel frattempo
si era dato anche un organo rappresentativo nel Consiglio Generale_, Cromwell si dimostrò leale e risoluto
nel contrastare sia il decreto di scioglimento voluto dal Parlamento sia contro i seguaci del re.:…“Dobbiamo
chiederci se questo esercito non costituisca un potere legittimo chiamato da Dio ad opporsi al re…”

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Nel 1649 fu decisa l’abolizione della monarchia e la condanna a morte del re Carlo I. successivamente fu
promulgata una nuova costituzione repubblicana e Cromwell assunse il titolo di LORD PROTETTORE di
Inghilterra, Scozia e Irlanda. La repubblica ebbe però vita breve, e nel 1660 fu restaurata la monarchia .

Con il governo di Cromwell vi è una iniziativa di suffragio universale maschile, richiesta che però non fu
accettata da tutti: Ireton, genero di Cromwell infatti, si fece portavoce dei critici, ritenendo che non si
poteva dedurre un diritto “naturale” alla rappresentanza politica, e che forse poi le richieste sarebbero
continuate. Nei suoi discorsi si scorgono in parte le posizioni dei

• LIVELLATORI (ritenevano illegittima qualunque livellazione della proprietà privata e della ricchezza,
quello che desideravano era livellare il peso politico dei cittadini, combattendo così il despotismo, sia di un
potere monarchico, sia di un parlamento senza scadenza. Un loro punto cardine era la necessità che tutte la
cariche venissero legittimate per principio di elettività a suffragio universale maschile, e che fosse
pesantemente utilizzato il concetto di rappresentanza.)

• ZAPPATORI (L’obbiettivo degli zappatori (detti così perche si impegnarono a coltivare un terreno
pubblico come sostentamento per i poveri) era portare all’estremo compimento la rivoluzione, eliminando
qualunque forma di potere, evitando però che a quello monarchico si sostituisse quello parlamentare,
poiché così le cose resterebbero identiche. L’Inghilterra doveva essere una libera repubblica e andava
attuata una forma di comunismo che redistribuisse la terra. La libertà permette infatti di garantire un buon
uso comune della terra e nutrimento e sostentamento.)

IL REPUBBLICANESIMO: In Inghilterra, in quegli stessi anni , si consolida anche un gruppo di pensatori che
precede, accompagna e segue l’esperienza di instaurazione della repubblica e il suo crollo. Si tratta dei
repubblicani, che attraverso più generazioni, condivisero obbiettivi polemici e propositivi ed ebbero in
comune tanto le fonti quanto il lessico politico di ispirazione classica.

I membri di questa corrente erano accumunati da un opzione repubblicana che faceva del
commonwealth ,non solo una forma di governo non monarchica , ma quel tipo di convivenza capace di
realizzare valori quali la libertà personale , la partecipazione nella vita politica e l’autogoverno collettivo.

Questi valori, a livello istituzionale, sii esprimevano nell’apprezzamento del governo misto ,come garanzia
della partecipazione di tutti e nella fortissima avversione alla TIRANNIDE, contro la quale teorizzavano la
resistenza fino al tirannicidio.

Per perorare la causa repubblicana, questi procedettero secondo due vie: con la prima cercano di annullare
le differenze tra la forma regale e la sua degenerazione tirannica, con la seconda, mostrano l’incompatibilità
trà la libertà e la monarchia così intesa , l’eccellenza della repubblica come unica forma politica che
consente l’esplicarsi della libertà e il suo coincidere con l’autogoverno.

La convinzione che l’autogoverno fosse possibile solo attraverso una generale e diffusa presenza della virtù
politica tra i cittadini, fa del repubblicanesimo qualcosa di più di una semplice preferenza istituzionale
antimonarchica. Ne fanno un sistema di pensiero, una vera e propria filosofia politica..

MILTON: 1° epoca Cromwelliana. Il pensatore che più di altri difese la libertà repubblicana fu John Milton.
Egli aveva cominciato nel 1643 difendendo il divorzio, continuando con la difesa della libertà di stampa e di

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opinione. Difese infatti, le ragioni filosofiche ed etico politiche della tolleranza e della libertà contro un
decreto del Parlamento che istituiva la censura sulla stampa.

È animato da due profonde convinzioni: la prima è la fiducia che la verità abbia bisogno del dialogo, del
confronto, e anche dell’errore per crescere e per manifestarsi. La seconda è che non vi sia vita morale ne
libertà politica senza la pluralità delle opinioni , senza il male , senza la tensione individuale verso il bene ed
il meglio. Milton ribadisce che “nonostante la gravità dell’uccisione di un uomo, chi distrugge un buon
libro, distrugge la ragione stessa”.

La libertà di parlare e di discutere liberamente e secondo coscienza, serve a combattere quella


pietrificazione della vita morale e politica che scaturirebbe da una società di “santi” , e per questo che
Milton estende il diritto della critica non solo alla Chiesa, ma anche allo Stato.

Con THE TENURE OF KINGS AND MAGISTRATES, Milton intende provare la legalità e della deposizione e
dell’uccisione di un tiranno o di un re malvagio, da parte del popolo, qualora i magistrati ordinari non lo
avessero fatto di propria iniziativa dopo un regolare verdetto. Re e magistrati, secondo l’autore, scaturivano
da un patto mediante cui i popoli avevano rinunciato da una parte del proprio diritto naturale, trasferendo
ad altri l’autorità connessa sia alla funzione giurisdizionale sia all’applicazione delle sentenze. Re e
magistrati dunque, non erano padroni dei popoli, ma deputati e commissari vincolati al rispetto della legge.

L’idea centrale che Milton difendeva era la rivendicazione di un’ originaria appartenenza del potere al
popolo, che quando decideva di affidarlo al re lo faceva nella forma di un rapporto fiduciario,
costringendolo quindi al dover rendere conto del proprio operato.

Il tiranno, non è solo il sovrano che si macchia di delitti o che abusa del suo potere a discapito di ciò che
effettivamente, questo contratto, gli permette, ma è colui che diventa tale perché è la stessa monarchia
che lo trasforma da semplice funzionari dello Stato , in padrone dello Stato. La monarchia, infatti, svincola il
re dai patti e dalle promesse , contravvenendo così all’uguaglianza naturale e alla libertà.

Come Milton affermerà, infatti, il problema non è costituito dall’involuzione tirannica della regalità, ma
dallo stesso istituto monarchico che, paragonato agli ideali di libertà e di autogoverno, si rivela non
necessario, gravoso e dannoso.

 Anche se la libertà repubblicana produce un incremento delle ricchezze e del poter e di una
nazione, tuttavia Milton guarda al valore della repubblica prevalentemente nel suo aspetto morale :
la repubblica è per lui quella forma di governo che da valore all’uguaglianza , che postula l’esercizio
costante delle virtù morali e politiche da parte di tutti i cittadini i quali si assumono l’onere morale e
politico della libertà. Ne risulta che la repubblica, non solo realizza l’equità e la giustizia, ma induce
alla bontà d’animo e all’abolizione della servitù.

Nell’AREOPAGITICA, anche se afferma che si debbano rimuovere i numerosi Lord spirituali e temporali che
possono provocare un danno alla repubblica, Milton ritiene però, che, per organizzare politicamente la
libertà, l’istituto che a suo parere è in grado di incarnare i principi di un Governo livero, è un Consiglio
generale di uomini più capaci, scelti dal popolo con elezione , perché si occupino di volta in volta dei
pubblici affari in vista del bene comune. Una sorta di Senato, il quale però dovrà esercitare una sovranità
DELEGATA e non TRASFERITA, e la sua durata dovrà essere perpetua , come perpetue sono le funzioni di
governo che tale consiglio è chiamato a svolgere.

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HARRINGTON: ( antiassolutista e utopico, massimo ispiratore della rivoluzione americana e della
costituzione americana).

Come Macchiavelli, John Harrington aderisce alla forma di governo misto . il fatto che la repubblica sia
presentata come una necessita, non significa però, che per Harrington essa non incarni anche un valore:
l’eguaglianza, infatti, non rappresenta solo un prodotto dei tempi , ma ha anche il valore politico che
sorregge la libertà. Convinta del fatto che la disuguaglianza dei possessi si traduca nella servitù dei meno
abbienti, e anche del fatto che la libertà politica esiste se vi è autosufficienza economica, harrington lega
libertà e proprietà, facendo della seconda uno strumento per l affermazione della prima.

La forma che la libertà, per lui, deve assumere è quella mista. Harrington offre al pubblico colto e allo stesso
Cromwell il modello di una repubblica di complessa articolazione , fatto di molteplicità e di pluralismo,
caratteristiche tipiche dello stato misto .. . Se la mistione nell’antichità doveva servire a superare le cause di
debolezza interna di certe realtà politiche essa assume con harrington un altro significato. Non bisogna
infatti dimenticare che se il processo dell eguagliamento delle ricchezze e la legge agraria hanno sconfitto
quella “grandezza” che è nociva alla repubblica, rappresentata dalla proprietà fondiaria, la repubblica ha
bisogno di una certa grandezza solo politica. Lo scopo è quello di ottenere il miglior funzionamento
possibile per la macchina dello Stato.

Il punto di partenza è costituito da una legge agraria capace di fissare un limite ai possessi, non orientata in
senso ugualitario, ma graduata , in modo da non pregiudicare l attribuzione dei diritti politici.

Convinto che tutti questi requisiti di virtù fossero identificabili nella gentry, piccola nobiltà dei possidenti
terrieri, e che il processo di trasformazione di una democrazia in anarchia fosse favorito da una libertà non
bilanciata, harrington pone al centro del suo progetto, oltre alla legge agraria, il principio dell’elegibilità a
scrutinio segreto per tutti i membri del Parlamento. Affianca quindi, al senato (il quale propone le leggi)
una Camera ( che ha il potere di accettarle o respingerle).

Il popolo sarebbe stato libero perché avrebbe obbedito solo alle leggi che avrebbe votato.

Si inserisce anche il meccanismo della rotazione che, ogni anno faceva cambiare un terzo degli eletti per
garantire un buon livello di circolazione dell’ elite .

Definisce che l aristocrazia è per il popolo come l anima è per il corpo. Essendo in possesso delle ricchezze
necessarie, questa nobiltà deve impiegare il proprio tempo nella cura degli affari pubblici; da parte sua , il
popolo armato costituisce la materia dello stato. Il suo compito è quello di costituire la “guardia della
libertà” attraverso l approvazione o il rifiuto delle proposte legislative precedentemente selezionate dal
senato. Il popolo ha la titolarità del potere deliberativo o sovrano come potere ultimo di decisione. Gode
della libertà non solo attraverso l esercizio di questo potere , ma anche costituendo il potere giudiziario,
come un tribunale. Se a ciò si aggiunge la costituzione dell esercito tramite il servizio di leva obbligatorio
(con la conseguente scomparsa di un esercito mercenario) si avrà un quadro di alto livello per la tutela delle
libertà delle proprietà e delle istituzioni del popolo.

MORO : ricordato per aver scritto nel 1516 il libro utopia . il termine utopia indica un luogo che non esiste
all interno del quale troviamo benessere e felicità dei suoi membri nonché giustizia.

Il libro è diviso in due parti: nella prima è descritta la situazione miserevole della società inglese, dove
nonostante la durezza delle pene, compresa quella capitale, il numero dei ladri non diminuiva. Dove i

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cittadini vengono spogliati dei propri averi e dove i grandi politici preparavo guerre pensando che le
imprese e le glorie militari valessero più delle benefiche arti della pace.

Il passaggio tra il primo e il secondo libro, tra il male e il bene, ha luogo proprio quando il protagonista
Raffaele itlodeo , viaggiando, arriva alla descrizione di un nuovo mondo da lui visitato . Il segreto della
felicità di questo mondo, costituito da un isola e abitato da popoli felici, risiede proprio nella mancanza
della proprietà privata e del denaro .

Poiché tutti gli abitanti dell’ isola praticano a rotazione l agricoltura, coltivando il terreno pubblico, e tutti gli
altri mestieri necessari, il lavoro occupa solo sei ore al giorno, un tempo che se pur breve, è ampiamente
sufficiente per soddisfare le necessità del popolo.

Una volta abolita la proprietà privata, gli abitanti dell’ isola porteranno i prodotti del loro lavoro ad un
mercato dove ogni padre di famiglia si recherà per domandare tutto ciò di cui la sua famiglia ha bisogno e ,
senza denaro otterrà ciò che chiede. Gli abitanti consumeranno i pasti in comune , veglieranno ai bisogni
dei malati e avranno tutto ciò che è necessario ad una vita semplice e frugale. Questo popolo ha poche
leggi e pratica una religione che scoraggia le dispute e l odio e incoraggia la credenza nell’ immortalità
dell’anima e nell’ esistenza della provvidenza.

Secondo moro praticare una vita secondo natura e virtù, accogliendo ognuno nella comunità porta il popolo
ad una vita felice; inoltre secondo lui il più importante dei saperi è quello che conduce alla saggezza. “la
gioia nella vita, dicono gli utopiani, ci viene imposto dalla natura stessa , come fine di tutte le azioni” , si
tratta di un piacere orientato dalla virtù in una direzione individuale come la salute, ma anche sociale . i
problemi cominciano quando ci si domandi di quale tipo è, e quale spazio occupi il potere politico nell’isola.

Tommaso moro arriva alla conclusione che la politica è mescolata da un lato alla morale e dall’ altro
all’amministrazione, tanto da far pensare che il legame sociale intenso e totalizzante sostituisca il potere
politico.

Moro fu decapitato nel 1535 per essersi rifiutato di riconoscere la supremazia del re sulla chiesa d
inghilterra.

UTOPIA LINK: Termine utopia coniato da Tommaso Moro con la sua opera nel 1516 ,epoca in cui nasce la
scissione della chiesa anglicana dalla cristianità cattolica. Tommaso Moro è un autore dichiarato santo,
autore che anche se non è un cattolico ortodosso si oppone alla decisione di Enrico VIII di scindersi dalla
chiesa cattolica, in base al fatto che secondo Moro la religione doveva avere una importanza non politica
ma spirituale. Effettivamente l’operazione di Enrico VIII era un operazione di tipo politico, procura questa
scissione in base a un ragionamento di tipo politico-dinastico non in base a una diversa concezione religiosa
al contrario di Lutero. La chiesa anglicana in fondo è la fotocopia della chiesa cattolica (all’inizio poi non lo è
più) stessi dogmi con un capo diverso: il re che si autoproclama capo della chiesa anglicana . Per quanto
riguarda le questioni di tipo religioso di tipo dogmatico, la chiesa anglicana all’inizio è perfettamente
identica a quella cattolica.

Utopia ha nel suo significato due orientamenti: 1) utopia come non luogo, mancanza di luogo, il luogo che
non esiste ; 2)e Utopia cioè il luogo perfetto , per i greci è il luogo ideale . Per cui rappresenta entrambe le
cose rappresenta un luogo che non esiste e in qualche modo un luogo modello ideale , di perfetta felicità, è
un ideale politico.

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Utopia non è solo un ideale politico è anche qualcosa di più : il governo di utopia rappresenterà anche un
ideale di tipo sociale, morale, religioso.

I progetti di utopia non sono come nella tradizione realista, formule di governo , non sono soluzioni che
vengono date alla questione di come governare (quello che fa Macchiavelli). Macchiavelli non si interessa
di religione ma si interessa di come governare, come conquistare il potere, nient’altro ; non gli interessa
della moralità, tanto che la religione, secondo Macchiavelli è qualcosa che può avere un significato
politico ,perché essa da alla comunità un senso forte di appartenenza, per cui la religione è vista in
funzione della politica .

Macchiavelli ho una tradizione realista, gli interessa la politica. Nella tradizione utopica che è una
tradizione parallela perché -Moro e Macchiavelli sono contemporanei--, l’idea non è quella di fornire un
governo degli uomini sugli uomini , l’idea è quella di formulare un’ideali come funzionerà la società dal
punti di vista economico, sociale ,giuridico, religioso, morale, costumi, tradizioni. C’è una grossa differenze
tra le due idee : la tradizione realista (Macchiavelli) è una tradizione in cui lo scienziato politico cerca di
comprendere come agire nell’ambito della realtà per risolvere un problema politico; mentre quella utopica
è totalmente diversa come idea ,rappresenta un gioco di immaginazione , l’autore ha sempre come
riferimento la realtà ma la realtà viene rovesciata, completamente trascesa. Noi possiamo immaginare una
società perfetta che è totalmente diversa , antitetica rispetto a quella attuale .

Distopia :l’immagine ancora più negativa della realtà, nel senso che si prendono le tendenze peggiori della
realtà e li si condensa in una immagine del futuro. Sia nell’utopia che nella distopia c’è un rapporto molto
sottile con la realtà anche se utopia è un gioco di immaginazione che prende alcune tendenze della realtà o
le rovescia (prende una realtà e la rovescia completamente)nel caso di Moro, mostra come il mondo
sarebbe felice se fosse governato da idee completamente diverse es: razionalità come nel caso di Moro , se
gli uomini ispirassero tutti la loro condotta alla razionalità effettivamente non avremmo problemi. La
rappresentanza sarebbe perfetta per cui esisterebbe un governo politico perfetto, una società perfetta;
oppure fa il contrario. Prende le tendenze negative e le rovescia. Nei film di distopia c’è comunque una idea
politica.

La prima utopia non è quella di Tommaso Moro ma è quella di Platone perché la sua idea di politica è la sua
idea di repubblica fatta a tavolino , l’idea di un modello ideale di governo, è un modello che viene pensato
dai saggi, dai filosofi che non pensano alla politica ma a tante altre cose: all’economia, alla distribuzione dei
beni che ci sarà , alla politica genetica. Bisogna però precisare che il termine ”utopia” è stato coniato da
Moro ,Platone ne utilizzava un altro.

Ci saranno alcuni autori che criticheranno l’idea utopistica , per esempio nel 700 Diderot parlerà di utopia
come di un esercizio inutile di immaginazione, utopizzare significherà nel 700 parlare di cose che non hanno
alcun tipo di rapporto con la realtà eppure l’idea di utopia è un’idea forte che percorre tutta la letteratura.
Verrà anche coniato il termine ucronia che è un tipo particolare di utopia(Moro immagina l’isola che non
c’è) che è il non tempo, è viaggio nel futuro o nel passato.

Un tipo di ucronia è il viaggio di Gulliver: il personaggio principale si trova a viaggiare immaginariamente


per 80 giorni in tutti i paesi del mondo ; quello che succede è che lui incontra tutta una serie di popoli,
l’autore di questo testo fa un esercizio di relativismo culturale: vede che tutte le società che il protagonista
incontra saranno società fortemente ingiuste caratterizzate da rapporti di oppressione che rendono gli
uomini infelici ma penseranno di essere le società migliori del mondo, per cui tutte le società soffriranno di
etnocentrismo penseranno di essere tutti i popoli migliori, le società migliori. Gulliver che arriva da fuori
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che è quindi lo straniero riuscirà a vedere quello che non tutti vedono, dirà che l’unica società che è basata
su principi umani sarà quella che non è umana e sarà quella dei cavalli che è l’unica società che è basata su
principi di equità, di libertà. Swift autore del romanzo ha l’obiettivo di condurre una vera e propria critica
alle culture ,ogni cultura pensa di essere la migliore e non riesce a guardarsi dall’esterno solo lo straniero
vede quello che non funziona, perché tutti siamo convinti di fare le cose nel modo migliore ma non è così.
L’utopia può avere diverse funzioni può essere utilizzata come critica sociale.

L’utopia di Tommaso Moro è un gioco di immaginazione ma ci saranno anche utopie che avranno un
rapporto più forte, più concreto con la realtà. Saranno le utopie socialiste quelle del primo socialismo
utopico francese, i pensatori dell’epoca che sono dei veri e propri ingegneri sociali istituiranno delle
comunità che saranno per loro dei modelli per la società futura ,cioè piccole comunità che lavoreranno
secondo dei principi utopici e che dovranno fornire e comprendere come dovrebbe funzionare una società.
In questo caso l’utopia ha un grosso impatto sulla realtà, diventa un modello che la realtà deve seguire non
è più solo immaginazione è un modello politico.

Marx critica questa forma di socialismo utopico, infatti lui utilizza il termine utopico in senso negativo
perché afferma che questi tentativi non son abbastanza radicali perché non mettono in discussione le basi
della società cioè creano dei piccoli laboratori che però non hanno alcun impatto sui problemi reali, non
hanno alcun influsso sulla realtà vera perché questi socialisti non sono abbastanza radicali da considerare
realmente le cause del dominio dell’uomo sull’uomo nella società capitalista. Per combattere contro
l’ordine borghese bisogna rovesciarlo completamente e poi si può costituire una comunità comunista, ma
solo dopo il completo abbattimento delle strutture economiche, sociali e politiche della borghesia. Ecco
perché marx distingue tra socialismo utopico( quello di questi autor)i e il comunismo scientifico( che è
quello di Marx) che riesce a fare un discorso soprattutto a partire da una analisi scientifica della realtà come
essa è per capire come rivoltarla come agire nella prassi per cambiarla totalmente.

Un altro autore più contemporaneo che parlerà di utopia è Main Haim che distinguerà utopia da ideologia e
darà un significato positivo alla parola utopia al contrario di Marx, infatti per Main Haim utopia rappresenta
lo sforzo per le emancipazione dell’umanità; l’utopia è la capacità dell’uomo di pensarsi politicamente
diverso e in grado di migliorare la sua condizione. L’utopia intesa come trascendenza rispetto alla realtà è
contrapposta all’ideologia. L’ideologia è intesa in senso marxiano come la copertura ideologica di
rapporti di dominio in rapporti in cui alcuni dominano sugli altri e l’ideologia diventa una copertura per far
accettare i rapporti di ingiustizia, di dominio. L’utopia è l’emancipazione dal dominio (esattamente il
contrario rispetto all’ideologia). La storia per Main Haim è un il rapporto tra queste due tendenze cioè una
tendenza all’utopia all’emancipazione e una tendenza alla conservazione dei rapporti di dominio.

Un’altra idea di utopia è quella di tipo reazionario di Mirciriade che è un filosofo della religione, ha studiato
l’utopia come ritorno al passato, l’idea che sbarazzandosi della modernità si riesca a ritornare a un passato
primordiale che è visto come momento di origine di felicità , quello che viene prima della modernità sia
qualcosa di estremamente positivo che viene contrapposto al presente; per cui l’utopia in questo caso è il
ritorno al passato paradossalmente.

MACCHIAVELLISMO E ANTIMACCHIAVELLISMO: La situazione politica italiana ed europea nella prima


metà del 16 secolo pareva orientata verso il rafforzamento dei principati e delle monarchie nazionali. Il
mondo sembrava non potersi reggere che su forti monarchie le quali, dalla corte di Roma a quelle di Francia
Spagna, rafforzavano i propri apparati amministrativi, militari e burocratici. In questo clima l ispirazione
repubblicana dei Discorsi di Macchiavelli li rendeva inattuali tranne che nei paesi protestanti. Per quel che

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riguarda il Principe, il libro fu interpretato (erroneamente) come una sorta di appendice dell armamentario
tecnico dell arte del governare cui i principi si sarebbero dovuti ispirare per conservare il potere.

E’ opinione comune che l antimacchiavellismo si sviluppi a partire dal 1539 dall APOLOGIA A CARLO conn
cui il cardinale inglese Reginald Pole voleva giustificare il proprio operato di difensore della fede cattolica
contro lo scisma di inghilterra. Pole ricorda l impressione negativa che aveva riportato da un colloquio
avuto con Thomas Cromwell (non oliver) , consigliere di re Enrico VIII. Questi discutendo con lui sui doveri
del consigliere aveva affermato che il compito del consigliere non è di fungere da coscienza morale del
sovrano , ma di indagare e assecondare lo scopo che il sovrano si prefigge. Per T. Cromwell, l ufficio del
buon consigliere consiste nel far realizzare ai sovrani i loro desideri di potenza, anche criminali. Il Principe
viene interpretato male. La mancanza di fede , la simulazione della virtù, l invito ad essere temuto più che
amato sembrano indicare al principe comportamenti malvagi ed empi, per mandare in rovina i sudditi. Pole
riconosceva la natura complessa del libro, e pur vedendolo come un trattato sulla tirannide lo attribuiva ad
una precisa vocazione antitirannica di Macchiavelli, il quale , secondo lui, voleva “che quel principe si
rovinasse per quanto possibile, con le sue stesse mani”. In seguito quando gli autori antimacchiavellici
divennero numerosissimi queste ipotesi di” intenzione obliqua” cadde.

Durante le guerre di religione che devastarono il paese a partire dagli anni 60/70 la connessione
interpretativa tra macchiavellismo e tirannide si fece più intensa. All indomani della strage della notte di
San Bartolomeo nel 72, in cui a Parigi gli ugonotti furono sterminati dai cattolici, molti videro nell azione
della Reggente fiorentina Caterina de Medici, l applicazione delle massime che Macchiavelli aveva esposto
nel Principe . Si sviluppò allora un antimacchiavellismo protestante che ebbe il suo campione nell ugonotto
Innocent Gentillet . Il compito che si era assegnato era di smontare la scienza politica di Macchiavelli con la
finalità di smascherare i principi tirrannici cui ormai la monarchia francese ispirava il proprio corso, e di
porre le premesse per un ritorno a modalità regali non tiranniche. La prima cosa da fare era mostrare come
il libro di Macchiavelli fosse debole e la sua scienza rovinosa.

Gentillet suddivide il pensiero di Macchiavelli partendo dai concetti del Principe, e inizia prendendo in
considerazione il primo, e cioè che << il buon consiglio di un principe deve procedere dalla sua stessa
prudenza , altrimenti egli non può essere ben consigliato>>, arrivando poi alla religione, cui sono dedicate
dieci massime della seconda parte, al rapporto tra fortuna e umori politici e , infine all ampia trattazione
della terza , articolata in 37 massime, aventi come oggetto la police-arte di governo alla quale deve ispirarsi
un principe. Dietro la tesi di Macchiavelli che il principe deve decidere da solo, Gentillet vede una
concentrazione di potere nelle mani di una sovranità che si va affrancando da freni e controlli. Quindi egli
ricorda i limiti del potere assoluto del re di Francia e la necessità che questo sia accompagnato dal potere
civile, insistendo sul fatto che in Francia il buon consiglio è dato da un organo costituzionale, gli stati
generali . Questi, articolati in nobiltà, clero, e terzo stato, sono infatti a suo parere, la seconda colonna
oltre al re- sulla quale è fondata la monarchia francese e rappresentano la nazione e la saggezza del regno
di fronte alla possibile stoltezza del re e dei suoi consiglieri.

BODIN: CONTESTO: disordine, crisi politica sociale e morale, accompagnata dalle guerre di religione che si
diffondono a partire dal 1500. Jean Bodin nato nel 1530 era un giurista. A suo parere le guerre civili di
religione e il macchiavellismo in quanto teoria che esorta alla tirannide sono le due facce dello stesso
problema: la crisi dello stato e delle autorità, che si tratta di restaurare se si vuole evitare il caos, e i pericoli
della tirannide, che si nutre della ingiustizia e della anarchia prodotte dalla ribellione.

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Il centro del suo pensiero è il concetto di sovranità assoluta, cioè svincolata da ogni altra legge. Bodin
definisce lo Stato come “il governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto
ciò che esse hanno in comune tra loro “. Il primo presupposto è che la associazione familiare sia originaria e
naturale. È necessario per lo Stato avere qualcosa di comune e di pubblico come, il tesoro pubblico o lo
spazio occupato dalle città. Ma soprattutto insiste su quel governo giusto e sovrano che definisce l anima
dello stato.

Per lui la sovranità è un potere assoluto , perpetuo e indivisibile, ( ma non necessariamente monarchico)
proprio dello Stato; perpetuo, perché non sottoposto a vincoli temporali; assoluto perché non riconosce
alcuna istanza superiore, ed è in grado di dare leggi ai sudditi, restando da parte sua esente sia dalle leggi
dei suoi predecessori sia da quelli che esso stesso ha fatto ; indivisibile, perché fortemente unitaria e
inalienabile.

Nel 1566, nella METHODUS, Bodin divide la legalità legittima in due specie: quella non vincolata da nessuna
legge e quella che al contrario non lo è, e si domanda se non sarebbe bene che una legge emanata e
approvata da tutti , fosse rispettata anche dal principe che l ha fatta. Il re non ha alcun potere dato che i
decreti regi per essere validi, devono essere registrate dalle corti superiori le quali possono, volendo,
negarne la registrazione.

Dieci anni dopo lavorando sulla logica della sovranità, Bodin ne fisserà i limiti. Egli infatti enfatizza i
caratteri distintivi della sovranità proprio per battere l assurda opinione che vorrebbe i sudditi di Francia “
compagni e colleghi del principe sovrano”.affiancata alla sovranità troviamo una rigorosa difesa del diritto
privato, dell intangibilità della proprietà e della giustizia; E’ questa difesa a distinguere la sovranità
assoluta dall arbitrio, e a farne intravedere i limiti: il diritto divino, il diritto naturale, il riconoscimento dell
autonomia e della proprietà privata dei sudditi.

Così il suo pensiero sembra oscillare tra i diritti irrevocabili della famiglia e il potere legislativo assoluto del
sovrano. Bodin allora guarda allo stato monarchico , dove il potere di Uno è legittimo e legale, insistendo
sull obbedienza dei sudditi al re ma anche sull obbedienza di questi alla legge di natura e al rispetto della
proprietà dei diritti e dei beni del popolo. Questa è la teoria della monarchia royale,fulcro della garanzia di
libertà che, nell ambito privato, è ciò che Bodin sostituisce agli stati generali e alla magistratura cui erano
state affidate le tutele della libertà pubblica.

Ogni condivisione del potere, ogni mistione, introduce elementi di debolezza e di confusione nella
compagine statale, che deve invece essere tenuta insieme dalla sovranità, producendo non uno Stato, ma
solo la sua corruzione. Questa convinzione, non esclude da parte di Bodin una attenzione analitica alla
politica concreta e alle molteplici forme in cui si organizzava il potere dello Stato. Anzi , egli distingue tra
forme di stato , che sono solo le tre “semplici” e forme di governo , che possono essere molteplici, avendo a
che fare con le modalità secondo le quali la sovranità viene esercitata.

Ad esempio, un regime monarchico può coesistere con una forma di governo democratica, come quando il
principe permette a tutti di partecipare alle assemblee, alle magistrature ecc, senza riguardo alla nobiltà,
alle ricchezze, o al merito .

le forme di giustizia per Bodin: esse sono tipiche di ciascuno dei tre regimi esistenti. Qui Bodin individua tre
forme possibili di giustizia: quella commutativa, tipica degli stati popolari, i quali vogliono la divisione
uguale di cariche, di onori, di uffici, benefici, denari ecc; quella distributiva, tipica degli stati aristocratici, in
cui si distribuiscono grandi onori e benefici ai gentiluomini, e piccoli uffici che non comportano potere al
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popolo. La terza è quella regia che mostra l eccellenza della monarchia in cui tenuto conto dell esigenze, dei
ceti e delle loro forme di tutela- uguagliaza, proporzione- si fa in modo che onori e dignità vadano ai ricchi
mentre i profitti vadano ai poveri.

ALTHUSIUS: IDEA DI FEDERALISMO : decentramento del potere negli enti regionali.

Joannes Althusius rappresenta un alternativa federale rispetto alla scelta unitaria della repubblica.

L’originalità e la profondità del suo pensiero stanno nella rivendicazione dell’ appartenenza della sovranità
all popolo , che in nessun caso potrebbe neppure se volesse, rinunciare a tale diritto ne trasferirlo ad altri
altrimenti morirebbe.

La realtà politica è contrassegnata secondo Althusius dal un primato dell Associazione, mediante cui gli
uomini con un patto espresso o tacito si obbligano reciprocamente alla mutua comunicazione di ciò che è
utile e necessario alla vita sociale. Lo Stato è quindi un insieme di associazioni.

La associazione è il vero punto di partenza dell intera Politica sia per Althusius che per Bodin . esse vanno
dalla famiglia alla corporazione, passando per la città , la provincia e infine proprio dello stato. Come nelle
associazioni private si entra volontariamente mediante un patto(che sia tra coniugi o tra membri di una
corporazione), e ci si entra volontariamente.

All’interno dell associazione privata vi è bisogno di un rettore istituito con il come consenso dei colleghi, il
quale è superiore ai singoli membri ma inferiore all associazione nel suo complesso. Il potere di governo
sarà un potere concesso dal popolo.

Althusius non distingue tra diritto privato e diritto pubblico e si serve di questa analogia per affermare il
primato delle associazioni sui singoli privati che ne fanno parte. Questo vale anche per le città i cui membri
sono le diverse associazioni private di coniugi, di famiglie, e di corporazioni e, di città e province per lo
stato.

Il rifiuto di entrare nella logica moderna dell autonomia della politica porta Althusius a ricordare contro
Bodin e i suoi discepoli che il potere supremo è subordinato alla legge naturale , a quella divina, alle leggi
civili, alla giustizia e soprattutto a ricondurre la summa potestas del monarca al corpo dell associazione
generale/ stato .

La sovranità dello stato è in realtà federale, perché si nutre del foedus, del patto fra associazioni minori .

Se il titolare della sovranità è il corpo politico del popolo nel suo complesso , chi esercita la sovranità non è
il popolo. Esercitare la sovranità vuol dire amministrare e governare il popolo e siccome questo non può
farlo da solo , affidò tale governo a dei ministri che lui stesso aveva eletto e trasferendo loro l autorità
necessaria. Alla sommità della piramide amministrativa, Althusius pone due poteri : quello del sommo
magistrato e quello degli efori . Gli efori, eletti attraverso suffragio universale devono a loro volta eleggere
il sommo magistrato. Il loro compito sarà di collaborare con questa autorità per la cura dell interesse
generale, ma anche di limitare ed impedire che il sommo magistrato varchi i limiti del suo ufficio .
necessario ma pericoloso il potere supremo va dunque controllato e bilanciato da quello degli efori, che
difendono e rappresentano tutte quelle libertà e quei diritti che il popolo non ha trasferito al sommo
magistrato.

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Per impedire la tirannide Althusius afferma che nel caso in cui il magistrato supremo infranga le leggi
fondamentali e viola le clausole del patto stipulato con il popolo , gli efori hanno il potere di deporlo.
Althusius concede ai singoli efori il diritto di salvaguardarsi da un tiranno che non sia riconosciuto come tale
da tutta la collettività , e benchè un tiranno che non sia stato dichiarato tale da tutta la collettività non
possa essere ucciso, sarà lecito da parte degli efori, tuttavia sottrarsi al magistrato tiranno per
salvaguardarsi.

ucciso, sarà lecito da parte degli efori, tuttavia sottrarsi al magistrato tiranno per salvaguardarsi.

HOBBES: Ha un idea fortissima di “STATO”, di come funziona e di come si legittima, inoltre ha una
concezione sensistica dell’uomo, il quale vuole evitare il dolore.

Thomas Hobbes elabora una filosofia politica entrata sul conflitto morale , da evitare, e sull’ordine, da
costruire. Non più il summum bonum, la destinazione dell’uomo ad una vita migliore, ma la fuga dal
summum malum, dolore e morte violenta. Questa inversione delle finalità, raggiunge il punto massimo nel
Leviatano , termine usato per definire lo Stato nato da un contratto. Hobbes si riferisce al mostro di cui
parla la Bibbia nel libro di Giacobbe e lo vede come il potere più alto che esista. Esso è stato creato in modo
tale da non avere paura ma da incuterla. Tiene a freno i superbi e con lui non si possono stringere patti.

Queste sono appunto le caratteristiche del Leviatano (Stato) , creato come un grande uomo artificiale
costituito da uomini più piccoli con in capo una corona e che sovrasta la città che deve proteggere , con in
una mano una spada e nell’altra un pastorale. Il libro è suddiviso in 4 parti, escluse l’introduzione e la
conclusione, e cioè: Dell’uomo, Dello Stato, Di uno stato cristiano, Del regno delle tenebre.

• NATURA, PATTO, ARTIFICIO: all’origine dello Stato di Hobbes c’è una lettura nuova della natura
umana, fornita nella prima parte del libro. Se per la maggior parte dei protagonisti della politica del tempo,
il conflitto avveniva tra gruppi, ( Stati, corporazioni, città, chiese, feudi ecc) , per lui, invece, il conflitto
avveniva fra individui , unici attori primari della politica. Se Il conflitto era considerato come una questione
di Giustizia violata, per Hobbes è una cosa del tutto naturale.

Gli uomini sono sostanzialmente tutti uguali, portatori di diritti naturali e, la natura, è per Hobbes, assenza
dii ordine (politico o morale, presente o finalistico).

Anche le passioni, oltre che la ragione, sono movimenti interni all’uomo , infatti quando “ l’uomo vuole
andare verso qualcosa, o lo vuole evitare, prima sente al proprio interno, amore o avversione. Desiderio o
repulsione”.

In natura, sostiene Hobbes, non ci sono ne armonie prestabilite, ne gerarche stabili fra gli esseri umani , che
sono tutti egualmente animati da una stessa energia vitale: cioè dal potere o diritto naturale, che si può
anche definire libertà.

Questo potere è l’insieme dei mezzi che ciascuno ha per soddisfare i propri desideri e si estende su tutte le
cose che servono all’uomo per rimanere in vita.

L’uomo cerca sempre di esercitare il propro diritto di appagare il desiderio di ricchezze e onori , quindi non
ha dei fini propri, raggiunti i quali potrà considerarsi soddisfatto.

Abbiamo quindi un desiderio perpetuo e senza tregua di un potere dopo l’altro, che cessa solo dopo la
morte.

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L’uomo sarà quindi perennemente insoddisfatto e questo genererà conflitti inimicizie e guerre. Gli uomini,
per Hobbes saranno costantemente gli uni contro gli altri, diffidenti, in competizione e alla ricerca della
vana gloria. Da qui il concetto di homo homini lupus.

Ne deriva quindi che in natura, sono impossibili un potere stabile e una vita civile evoluta, fondata
sull’agricoltura il commercio e l’industria, anzi, c’è continuo timore e pericolo di morte violenta e la vita
dell’uomo risulta misera breve e solitaria.

Questi comportamenti asociali, non sono per Hobbes ne una colpa, ne un reato, poiché non c’è nessuna
legge in grado di garantire una giustizia efficace che tuteli la vita dell’uomo. Diventa quindi necessaria l’
uscita dallo stato di natura , che avviene per l’utilità di ciascuno, ossia per la paura della morte .

Questa razionalità è la legge naturale, ovvero un comando della ragione che vieta ad ogni uomo di fare ciò
che è lesivo della sua vita.

Come la ricerca della virtù e della gloria era il presupposto morale e l obbiettivo della politica di
Macchiavelli per Hobbes, questa politica obbliga invece alla conservazione della vita umana. La legge
naturale si specifica in parecchie leggi, 19, le più importanti dei quali sono le prime 3: queste dicono che,
ogni uomo deve ricercare la pace, che a tal fine ogni uomo deve lasciar cadere il proprio diritto su tutte le
cose, e che tale patto deve essere rispettato da tutti. Le altre leggi sono riassumibili nel principio “non fare
agli altri quello che non vorresti essere fatto a te”.

L obbiettivo della politica è dunque costruire le condizioni che consentono a tutti di obbedire alle leggi di
natura e vivere in pace; a tal fine egli introduce i concetti di attore, autore, rappresentanza. Hobbes
sostiene che i singoli uomini devono autorizzare (cioè conferire la propria autorità) un attore che agisce per
conto loro, come loro rappresentante. Questo produce un ordine artificiale che segna l uscita degli uomini
dallo stato di natura. Questa istituzione è il sovrano

Nella seconda parte del Leviatano Hobbes spiega che tutto questo è possibile tramite la stipulazione di un
patto . il concetto hobbesiano di patto è distinto da quello di “contratto”, perché questo è solo il mutuo
trasferimento del diritto, mentre il patto si proietta in avanti nel tempo e implica l instaurazione della
fiducia reciproca. La rappresentanza si realizza attraverso un patto di tutti con tutti dove si cede il diritto
naturale (tranne il diritto all autodifesa) al rappresentante sovrano, esprimendo la formula: “io autorizzo e
cedo il mio diritto di governare me stesso a quest uomo, o a questa assemblea di uomini, a condizione che
tu gli ceda il tuo diritto e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile”.

Il prodotto è il Leviatano, dio mortale, che ha in se il potere di tutti e che ha il fine di procurare la sicurezza
del popolo.

L irresistibilità del potere sovrano, non deriva da una sua superiorità naturale o metafisica, sui sudditi, ma
dal fatto che ubbidendo al sovrano si ubbidisce in realtà a colui che noi stessi abbiamo creato per farci
esistere come corpo politico. La politica infatti, è la sola via grazie alla quale i lupi vengono trasformati in
uomini civili, gli uomini naturali in cittadini. Questo potere è per Hobbes costruito da tutti secondo ragione,
e per questo che viene considerato il padre del razionalismo politico moderno. La politica per lui non può
che legittimarsi secondo ragione; in Hobbes infatti, il concetto di auctoritas risulta capovolto: non è più l
instanza - ad esempio la chiesa- che legittima la politica mettendo in relazione il Cielo e la Terra, ma è la
sovranità autorizzata dal patto, che raccoglie in se l originaria facoltà di azione che pertiene ad ogni uomo
nello stato di natura.

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Per quanto riguarda il concetto di giustizia, la autore sostiene che “non c’è nulla che un sovrano possa fare
ad un suddito che possa essere chiamato in giustizia, poiché ogni suddito è la autore di ogni atto che fa il
sovrano quindi nessuna legge può essere ingiusta”. Di conseguenza Hobbes sostiene anche che non c’è
differenza tra regno legittimo e tirannide , visto che è l unione di tutti che fa nascere il corpo politico. Il
Leviatano è delegato dal popolo stesso, e una volta scelto non si può più destituire perché il suo potere è
perpetuo.

Da questo patto deriva l impossibilità del diritto di resistenza, non ci si può opporre al Leviatano poiché lui
non ha deciso di prendere parte al patto, ne è semplicemente il risultato, quindi non lo si potrà accusare di
esservi venuto meno.

Appunti: distingue tre tipi di Stato : Monarchia, un solo rappresentante- Aristocrazia, sovranità detenuta da
pochi – Democrazia, comanda l assemblea al completo.

 Il sovrano : Hobbes elabora la teoria di uno Stato che è assoluto in senso logico, ma è ben più
irrazionale e coerente degli Stati assoluti storici, poiché il sovrano rappresentativo , in quanto ha il
potere di tutti senza aver dovuto stringere patti con nessuno,è titolare di un potere indivisibile,
incondizionato e irresistibile. Il sovrano non solo ha il diritto di scegliere i ministri, di dichiarare
guerra e comandare l esercito, ma soprattutto non deve rispondere a nessuno del proprio operato,
e non deve cedere a nessuno il proprio potere di punire, premiare, e giudicare.

Dentro lo Stato nessuno oltre il sovrano è titolare di un potere politico e indipendente, tanto che i partiti
sono definiti vermi intestinali e i corpi politici hanno sempre un potere limitato.

Hobbes affida alla decisione del sovrano anche l instaurazione della proprietà privata , la quale non è un
diritto naturale ma un istituzione resa possibile dalla politica.

Il sovrano è però soprattutto legislatore, le sue leggi diventano tali solo ed esclusivamente per il fatto che è
da lui che sono state prodotte; Hobbes sostiene che “la legge di natura e la legge civile si contengono
reciprocamente e sono di eguale estensione “ insomma , il Leviatano non fa altro, con le sue leggi e con il
suo potere irresistibile che consentire agli uomini di obbedire alle leggi di natura.

Il sovrano è l unico detentore del potere legislativi perché il suo è l unico comando che abbia la forza
sufficiente a imporsi a tutti in ugual modo e la legge deve essere nota a tutti. Ciò che esclude Hobbes, è
però che il sovrano sia soggetto alle leggi civili che esso stesso ha creato. Ora, questa sovranità legislativa è
certamente assoluta ma non è arbitraria, e questo è dimostrato dal fatto che essa è intrinsecamente
vincolata alla logica per cui è stata istituita, <<cioè la pace dei sudditi con se stessi e la loro difesa contro un
comune nemico>>. Quindi, poiché nasce per difendere la vita dei cittadini, il Leviatano non solo non può
comandare ad un cittadino di uccidersi, ma non può nemmeno metterlo a morte legalmente.

Solo nel caso che dalla morte di quest uomo dipenda la vita del leviatano, è possibile che questo venga
messo a morte. Lo stesso vale per la guerra esterna che, il Leviatano può dichiarare , ma a cui non può
costringere i sudditi tranne che dalla sconfitta in questa guerra non possa derivare la distruzione del
sovrano.

Tuttavia Hobbes nota che obbedire non è credere: lo Stato e le sue leggi si rivolgono solo ai comportamenti
esteriori del cittadino e lasciano libera l interiorità dell uomo che in cuor suo può credere o non credere a
ciò che il sovrano ordina.

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La costruzione del Leviatano ha fatto nascere la sfera pubblica – lo stato – rispetto alla quale la sfera
privata è ciò che resta a ciascun uomo dopo la alienazione del diritto naturale: essenzialmente la vita
esterna, fisica e quella mortale, interiore. È chiaro quindi che per l autore la costruzione della sfera pubblica
è l obbiettivo della politica, ma che questa a sua volta ha come fine la salvaguardia dell individuo privato.

Lo stato rende possibile anche lo spazio della società, posizione intermedia tra stato e cittadino.

Un ulteriore aspetto importante della spazialità politica implicita nel pensiero di Hobbes , è la rigida
separazione tra pace e guerra. Data la pluralità dei leviatani, questi, possono farsi guerra tra di loro, ma non
ci sarà nessun terzo, in questo caso che potrà giudicare chi ha torto o ragione.

La guerra, dato che gli Stati sono tra di loro nello stato di natura, non è un atto di giustizia ma un atto di
sovranità . La sostanza di questa tesi è quindi che bisogna distinguere fra guerra e diritto, fra nemico
(esterno) e criminale (interno), che comporta la fine della teoria sulla “guerra giusta” poiché questa
prevedeva una disuguaglianza morale o giuridica, cosa che fra gli Stati (tutti uguali) non ha senso. Non
esiste una giustizia, vince chi è più forte. Lo stato è perciò un Dio mortale , un artificio fatto dagli uomini
che errori e casualità possono distruggere.

Le cause di dissoluzione dello stato consistono , essenzialmente nell incomprensione della necessità dell
obbedienza che è dovuta al sovrano, e nella pretesa del soggetto di avere diritti che producono lo Stato e
che quindi possono essere rivolti contro lo stesso.

 Teologia politica : rapporto fra religione e politica : per Hobbes la nostra religione , e il nostro
Salvatore, ci hanno insegnato “ le leggi del regno di Dio”. Così , mentre delle religioni diverse da
quella cristiana ( false ) si sono serviti legislatori dell antichità per insegnare ai sudditi l ubbidienza, il
problema di Hobbes è come si possa obbedire al Dio cristiano i cui insegnamenti sono parte della
politica divina. Anche qui la soluzione al problema è il Leviatano che secondo Hobbes elimina ogni
effetto politico – polemico della trascendenza religiosa .

Ma lo Stato non può essere presentato come un entità che prescinde dal rapporto con la religione anzi, per
Hobbes lo Stato può nascere bene solo dalla retta comprensione del comando divino. Deve quindi
presentarsi come Stato cristiano e , la politica laica come teologia politica. La sua teologia politica giustifica
con argomentazioni religiose il fatto che la politica non sia fondata sulla religione in senso tradizionale: non
si fonda sulla presenza di Dio ma sulla Sua assenza, come fondamento della politica. Per Hobbes il rapporto
con Dio è tenuto soltanto dallo Stato ossia dal sovrano, il quale è il “vice reggente di Dio sulla terra”.

In generale << regno di Dio>> significa per Hobbes <<regno civile>> di Dio che regna su di un popolo come
accadde quando Dio regnava su Israele. Dio parlò al suo popolo per mezzo dei profeti ( i sovrani), unici
intermediari fra lui e il popolo. Mentre nel regno di Dio, per patto , si obbedisce alla legge positiva divina,
cioè ad ogni volere di Dio, il problema si pone quando Dio cessa il suo regno sulla terra e non comanda più
gli uomini. Assente, Dio continua però a regnare sugli uomini perché i suoi comandi sono diventati leggi
naturali razionali, e dato che per Hobbes Dio è inconoscibile agli uomini , l unico modo per rendergli onore
è obbedire a queste leggi. Dunque , poiché il centro della legge naturale / divina è il comando della pace, l
obbedienza al leviatano – unico modo per vivere in pace è anche obbedienza alla legge di natura e quindi a
Dio . Chi obbedisce a Dio salva il suo corpo e la sua anima.

L assenza diretta del sacro spiega l atteggiamento di Hobbes verso le profezie, la scrittura e i miracoli. Per
lui non si deve credere a sedicenti profeti che , vantando un rapporto diretto con Dio istigano la

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disubbidienza al sovrano. Per Hobbes Dio ha lasciato la sua parola nelle leggi ed è queste che bisogna
seguire, e dato che i miracoli sono opere di Dio per mezzo delle quali egli vuole “procurare credito ad un
suo messaggero”, anche di questi come dei profeti , si deve dubitare. Bisogna diffidare di chiunque
pretenda di compiere i miracoli che di solito sono inganni e mistificazioni; naturalmente un privato ha
sempre la libertà di credere o non credere.

Polemica anticattolica: questa è la teoria secondo cui il pontefice, pur non avendo diretto potere politico sui
cristiani, ha però un potere sulle anime , e può far appello alle coscienze dei fedeli per incitarli a disubbidire
alle leggi che secondo lui vanno contro il volere di Dio . questa posizione è inaccettabile per Hobbes, il quale
interpreta la bibbia per confutare la pretesa della chiesa cattolica di essere stata fondata da Cristo, mentre
è solo l insieme dei fedeli che credono che gesù è il cristo.

La chiesa di Roma vuole comandare politicamente, il Papa esercita un potere politico simile a quello di un
altro Stato, ma obbedire a due sovrani, Chiesa e Stato non è possibile. I sudditi cristiani sono per hobbes gli
unici i quali possono davvero obbedire al potere politico poiché, affermando che gesù è il Cristo e,
aspettando la sua resurrezione, affermano inconsapevolmente un potere divino , al momento,
effettivamente non c’è, e che quindi è necessario obbedire al sovrano ( nel frattempo) se si vuole davvero
ottenere la pace. È il sovrano, quindi il Leviatano, l unico che può intercedere con Dio e non il Papa.

Infine nell ultima parte del Leviatano, del regno delle tenebre , Hobbes non fa che ribadire la propria
avversione alle interpretazioni sbagliate delle scritture, tanto cattoliche quanto protestanti.

LOCKE: Liberismo = presentazione dei diritti individuali e delle libertà.

A differenza di Hobbes , il quale obbiettivo politico era la costruzione dello stato assoluto capace di
neutralizzare le guerre civili di religione, quello di Locke è invece la rivoluzione antiassolutistica.

Locke costruisce un modello di ordine politico che consente di limitare il potere , a beneficio del cittadino e
della società; é per questo che introduce sia la partizione delle funzioni del potere sia i concetti chiave del
costituzionalismo moderno, e del liberalismo (filosofia politica che vede il soggetto e le sue libertà alla base
dell ordine politico, come proprio centro e come proprio fine).

1689: anno della rivoluzione GLORIOSA , non sanguinosa. In quest anno Locke pubblica i due trattati sul
governo. Gli Stuart furono cacciati dal trono e dal paese e sostituiti con la dinastia olandese degli Orange, il
cui primo re, Guglielmo dovette accettare il Bill Of Rights che il parlamento aveva votato dopo aver
destituito il sovrano Giacomo II Stuart per aver infranto il patto fra re e popolo .

Locke scrive il primo trattato in risposta al Patriarca di Filmer , che teorizzava il diritto divino dei re come
alternativa a quella whig . Aa queste pretese il partito dei whig oppose argomentazioni fondate sul
costituzionalismo inglese e sui privilegi del parlamento . l’obbiettivo polemico di Locke è duplice: prima di
tutto colpire la modernità cattolica dii Filmer, estranea al contratto; in secondo luogo rendere le dottrine
moderne del contratto (avanzate da Hobbes) adatte ad ospitare le libertà sociali e individuali. Il primo
trattato quindi , si pone come obbiettivo quello di battere l assolutismo cattolico, mentre il secondo quello
di sconfiggere i possibili esiti del contrattualismo.

 Il primo trattato: La tesi di Filmer è che nessun uomo nasce libero ma è sempre soggetto al re , il
quale trae il suo titolo da due principi: dall autorità paterna che Dio ha dato ad Adamo sul genere
umano e dalla proprietà di tutte le cose del mondo conferita da Dio ad Adamo. Questa autorità del
re da Adamo, si è poi propagata a tutti i patriarchi, ed è il titolo grazie a cui regna ogni re. Contro
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questa tesi Locke intende dimostrare che Adamo non ebbe da Dio nessun potere ne sugli uomini e
ne sulle cose. Adamo non è sovrano, in quanto per Locke il sovrano sta ai sudditi come il padre sta
ai figli, ha una funzione genitoriale. La creazione diede ad Adamo solo l esistenza, non il dominio
politico sui figli sulla moglie e sulle cose. Locke prende poi in esame la questione dell eredità di
Adamo mostrando che anche se Adamo fosse stato sovrano assoluto degli uomini (il che non è )
questa regalità sarebbe stata trasmissibile ai suoi eredi; ogni figlio di Adamo, ogni uomo ne avrebbe
così goduto, al pari con i propri fratelli; di conseguenza a meno che non sia Dio a scegliere uno dei
suoi figli per renderlo sovrano sopra ai suoi fratelli, il diritto spetterebbe a tutti quanti.
 Il secondo trattato: qui Locke passa alla costruzione dell ordine politico razionale.
Locke inizia dallo stato di natura , condizione naturale di perfetta libertà ed uguaglianza, governato
dalla legge di natura che obbliga tutti a non nuocersi a vicenda. Ciascun uomo è giudice ed
esecutore della legge di natura e può punire chi la trasgredisce, perché il colpevole è nemico di
tutta l umanità . A questo diritto di punire si affianca poi, il diritto di chiedere riparazione, della
parte offesa. Rispetto a quello di Hobbes quindi, è più complesso perché troviamo la presenza di
una Giustizia che da sola potrebbe trovare applicazione pratica. Lo stato di natura però può
facilmente trasformarsi in stato di guerra, essendo questo il risultato del diritto di autodifesa a cui
ogni uomo può ricorrere quando subisce un ingiustizia e quando non c’è nessuna autorità superiore
a parte Dio a cui appellarsi per ottenere giustizia. A differenza che in Hobbes, la guerra non è, in
Locke la condizione normale dell umanità nello stato di natura, ma è estremamente probabile.
Un’ altra differenza fra i due autori sta nel fatto che per Locke la proprietà è un diritto naturale al
pari della libertà e della vita. Pur ammettendo che la terra appartiene in comune a tutta l umanità,
Locke sostiene che il singolo, lavorandone una parte ne diventa proprietario anche senza consenso
esplicito degli altri. L uguaglianza di natura si modifica dal lavoro, perché questo fornisce valore
differente alle cose dando vita alla disuguaglianza. (appropriazione, recinzione, lavorazione).
Locke sostiene poi che in natura gli uomini sono sottoposti ad una sola autorità, quella dei genitori,
e questa si esercita sui figli minorenni e pone, la superiorità del marito sulla moglie. Tuttavia le
gerarchie famigliari valgono solo nell ambito privato e non nella sfera pubblica.

Locke sostiene che lo spirito umano è in grado di “ tenere in sospeso l esecuzione di un atto e la
soddisfazione di un suo qualunque desiderio”. Questo controllo della ragione sulle passioni rende lo
stato naturale di Locke diverso e più complesso di quello di Hobbes. Per Locke già in natura vige
una legge morale e razionale di reciproco rispetto degli uomini e delle loro proprietà, pertanto il
patto di cui Locke si serve ha lo scopo di costruire un ordine politico artificiale che serve a garantire
meglio i diritti naturali dell uomo. Il patto di Locke è meno innovativo di quello hobbesiano e pure è
necessario per garantire l ordine politico razionale.
Lo stato di natura ha tre difetti che lo rendono scomodo: non vi è legge certa, perché gli uomini
interpretano la legge in maniera soggettiva e passionale; non vi è un giudice riconosciuto ed
imparziale; non vi è un potere esecutivo. Quindi Locke sostiene che per difendere i propri diritti
ciascun uomo può liberamente rinunciare al proprio potere naturale di punire le infrazioni e
rimetterlo nelle mani della comunità . le controversie quindi saranno d ora e in poi, risolte da
magistrati autorizzati sulla base di leggi certe ed imparziali decise dalla stessa comunità.
Siamo in presenza di un patto fondato sulla logica dell autorizzazione .A differenza di Hobbes però
non è detto che questo patto dia origine ad un sovrano tipo il Leviatano, e di conseguenza il potere
legislativo può essere esercitato sia dal corpo politico sia dai suoi rappresentanti fiduciari.

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Cosa fa questo patto? I cittadini cedono ad un corpo politico i propri diritti naturali di vita, libertà e
proprietà, ma se li vedono restituiti, trasformati in diritti civili e politici. Questo corpo politico
sovrano non potrà essere assoluto, poiché nessun popolo a rigor di logica porrebbe i propri diritti
nelle mani di un sovrano non vincolato da alcuna legge , perché in questo modo i cittadini non
sarebbero tutelati nel caso in cui il sovrano (Leviatano di Hobbes) si trasformi in tiranno.

Divisione dei poteri: passiamo all analisi dettagliata del corpo politico in quanto potere legislativo
sovrano . Abbiamo già visto che il potere legislativo risiede presso il popolo sovrano, il quale lo
delega ai suoi rappresentanti eletti, che riuniti in parlamento possono legiferare. Ora, Locke
enuncia una tripartizione del potere nelle sue tre funzioni: legislativo, come potere supremo ma
non assoluto; esecutivo, cioè il governo che ha il potere di applicare le leggi e di punire i
trasgressori. Questo potere è subordinato al legislativo e responsabile verso di questo. Infine
abbiamo il potere federativo, ossia la gestione della politica estera, quindi i rapporti di chi non è
sottoposto alle leggi del corpo politico ma nei confronti di questo si trova in stato di natura (altre
comunità). A riguardo è possibile parlare di guerra giusta ( difesa) o ingiusta (aggressione) a
differenza dei leviatano di Hobbes , i quali combattono fra loro guerre che non sono ne giuste ne
ingiuste. Per Locke sia il potere esecutivo che quello federativo sono in mano al re. Questo re però
non è assoluto poiché se dovesse rompere il patto, il popolo che è sovrano potrà reagire. E in
questo modo che Locke legittima la resistenza del Parlamento- corpo politico inglese- contro
Giacomo II Stuart. La prerogativa regia, quindi, è legittima solo se va a vantaggio del popolo,
mentre se lo danneggia esso può ricorrere alla ribellione. Chiarito questo Locke può trattare della
tirannide . questa si caratterizza per l esercizio illegale ed abusivo della forza da parte del supremo
magistrato, titolare del potere esecutivo. Si può resistere alla tirannide attraverso i tribunali e , solo
in casi estremi con l uso della forza. Si esercita così il diritto di resistenza o , come lo definisce
Locke, << l’appello al Cielo>>. Il punto centrale è che l istituzione rappresentativa, il Parlamento,
non è propriamente sovrana, ma è delegata dal potere sovrano del popolo, sia pure
eccezionalmente.

 La tolleranza: se riguardo al rapporto fra religione politica l obbiettivo di Hobbes era di individuare
le condizione della pace interna allo Stato, il fine di Locke è invece quello di individuare le
condizioni che permettano la libertà sia interiore che pubblica di culto per ogni cittadino. Locke
vuole disegnare uno Stato- quello liberale- che non teme l esercizio pubblico della libertà religiosa,
e , un insieme di Chiese che non temono lo Stato. Si segnalano tre Lettere sulla tolleranza . nella
prima lettera Locke argomenta che esistono due strategie intrecciate: da una parte egli si esprime
a favore della separazione tra Stato e Chiesa , e dall altra afferma che la libertà religiosa dei cittadini
nasce dall impossibilità di stabilire quale sia la vera religione.
Lo Stato per Locke deve promuovere e rispettare la libertà di culto. Abbiamo una pluralità di
religioni e devono essere tutte promosse tranne quelle che vanno in contrasto con lo Stato , o
quelle che si comportano in maniera politica. Quindi oltre ad essere estranea al patto politico la
religione, per Locke esige anche libertà di coscienza. La Chiesa ha solo potere di insegnamento sui
propri membri, ha il potere di allontanarli con la scomunica , se è il caso, ma senza che questo
provvedimento interno abbia effetti politici sulla vita, sulla libertà e sullo scomunicato.
La religione quindi, è libera e privata, perché la cura dell anima spetta al singolo e non ad autorità
esterne come lo Stato e la Chiesa.

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In virtù della separazione liberale tra Stato e Chiesa , le diverse chiese , confessioni e sette , devono quindi
essere tollerate dal potere politico e devono inoltre tollerarsi a vicenda. Parliamo del diritto alla libertà
religiosa , il quale incontra però dei limiti: cioè lo Stato non può tollerare Chiese che si fondino su dogmi
avversi alla società umana e ai buoni costumi , ne i cattolici, perché i papisti obbediscono in realtà ai
pontefici di Roma e non al sovrano, ne infine agli atei incapaci di mantenere i giuramenti. MONTESQUIEU :
riprende la discussione sui limiti da porre all’esercizio del potere monarchico, contro le degenerazioni
dispotiche. Nelle sue opere, questo tema esce dal riferimento specifico alla situazione francese che pur
rimane sempre sullo sfondo, per entrare in una riflessione universale sulle forme di governo.

Di tutte le cose che governano gli uomini, clima, religione, leggi, culture ecc, ne deriva uno spirito generale ,
che M. descrive nello Spirito delle leggi, e che rappresenta un allargamento dell’orizzonte della prospettiva
del pensiero politico moderno, che va ad abbracciare le cause più profonde, all’origine del meccanismo
dello Stato.

L’analisi di M. determina un nuovo concetto di legge, analizzando un nuovo metodo atto a spiegare la
stretta relazione che intercorre tra le leggi naturali ( determinate da condizioni geografiche, sociali, culturali
ed economiche) che regolano lo sviluppo storico, e le leggi umane che regolano i comportamento politico
degli individui.

Gli uomini, per lui, sono esseri sociali ,i quali però non potrebbero vivere senza le leggi, che sono ciò che
sorregge la trama dei loro rapporti. M. quindi, riconosce la necessità che si sia usciti dallo stato di natura
( anche se non tramite un patto come per Hobbes e Locke), e che si siano formate le istituzioni politiche e
la legge positiva, per garantire che la socialità naturale divenga reale e che dalla lotta per il potere possa
uscire una stabile obbligazione politica.

In questo quadro si delinea l’originale teoria delle forme di governo legittime che, secondo lui , sono tre:
quella monarchica, quella repubblicana e quella dispotica. Ritroviamo due elementi originali, perché,
intanto viene introdotta la repubblica( la quale a sua volta sarà suddivisa in aristocrazia e democrazia) , e in
secondo luogo, viene introdotto anche il dispotismo, il quale appunto risulta legittimo e non interpretato
come una degenerazione della monarchia.

La natura del governo repubblicano è che il popolo detenga il potere sovrano e, mentre il principio che
muove la repubblica democratica è la virtù, quello che muove la repubblica aristocratica è la moderazione.

La natura del governo monarchico è che il principe abbia il potere sovrano e lo eserciti secondo leggi
stabilite, sulla base di un principio di onore.

La natura del governo dispotico prevede che un uomo possa governare arbitrariamente, servendosi della
paura.

È proprio con l’ultimo modello che M. allarga il proprio sguardo fino a comprendere anche l’Oriente, visto
come lo specchio negativo di tutta l’Europa. Il dispotismo orientale diviene il mezzo per criticare la
monarchia assoluta della Francia del 18 secolo e di tutti quegli Stati in cui la libertà dei sudditi non è
salvaguardata dall’arbitrio del sovrano e la società non è governata secondo i principi di giustizia tolleranza
e libertà. La libertà politica, che M. riconosce come massima in Inghilterra, è quella condizione che
garantisce la sicurezza del cittadino e che viene tutelata attraverso norme penali, tribunali e un sistema di
governo ben organizzato. Per questo motivo, egli studia le forme storiche dello Stato per dimostrare la
differenza tra un regime dispotico e uno di libertà.

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In questo senso si spiega l’ elogio alla costituzione inglese , esempio del modo in cui le leggi di libertà,
costituiscano la libertà di una nazione, attraverso la distinzione delle funzioni dei poteri: legislativo,
esecutivo e giudiziario.

Questi sono separati e reciprocamente bilanciati secondo il modello del balance of power ,per cui ogni
organo, poiché tende ad accrescere il proprio potere , finisce per limitare il potere degli altri e viceversa.

L’autore, però, non può proporre il modello inglese, in quanto tale, alla Francia , motivo per cui egli si erge
a difensore del Parlamento, il quale con le sue funzioni, è l’unico che possa limitare il potere del monarca .
La monarchia, deve diventare una forma di governo moderata , poiché l’uomo non deve essere governato
da uno solo, ma è necessario ricercare “freni e contrappesi” al potere, per garantire la libertà
dell’individuo.

In questo quadro si inserisce la tematica della tolleranza, dove si ritrova su posizioni vicine a quelle dii
Hobbes: entrambi sentono il problema di evitare sommovimenti e conflitti all’interno dello Stato e perciò,
al di là di ogni considerazione sulla verità della fede e sulla libertà di culto di ognuno , stabilendo uno stretto
rapporto fra leggi e religione.

M. pur ritenendo auspicabile l’unità religiosa, all’interno dello Stato, afferma la tolleranza, concessione del
sovrano al pluralismo religioso, come male minore, quando si manifestano conflitti religiosi in seguito alla
presenza di tanti culti. Rimane in ogni caso il dovere dello stato di controllare non si introducano nella
compagine politica sempre nuove religioni.

ETA DEI LUMI : ILLUMINISMO

L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da una condizione di minorità di cui egli stesso è responsabile . “Sapere
aude!” . Abbi il coraggio di servirti del tuo stesso intelletto. Questo è il suo motto. Si colloca tra il 1680 e il
1789. Furono gli illuministi francesi i “philosophes” a scendere in campo contro tradizione e autorità , in
nome del progresso e di una riforma razionale della società . La filosofia dei lumi è una filosofia morale e
politica, una filosofia militante, è un ordine nuovo che parte dalla consapevolezza della necessità di ridare
all’uomo un posto riconoscibile nell’universo.

La nuova situazione dell’uomo è ciò che gli illuministi assumono consapevolmente riqualificando i concetti
chiave della tradizione filosofica alla luce della ragione :il termie illuminismo alla lettera significa
rischiaramento, con il lume della ragione , delle tenebre dell’ignoranza e della servitù della superstizione. I
2 termini che definiscono la ragione sono : potere e critica : la ragione illuministica opera come critica ,
critica dell’uomo, critica del reale, della tradizione e della filosofia del passato, e potere , inteso come
capacità di compiere un azione, unica capacità propria dell’individuo moderno .

Questa critica determina il passaggio dall’ ambito trascendente a quello di realtà positiva, cioè, l’ uomo
conosce solo attraverso le proprie sensazioni , la sua mente è una tabula rasa e non esistono in lui idee
innate. L’uomo è cosi libero nelle proprie capacità conoscitive e può esercitare il potere razionale,
elaborare la realtà che lo circonda senza più dipendere da un modello o da una legge trascendente. Tutto
ciò porta ad definizione del tutto nuova del luogo e del ruolo dell’uomo nell’universo , dato che si supera il
dogma della provvidenza divina e della natura come creazione di Dio.

Si apre così, un dibattito sul male: uno dei problemi centrali della speculazione illuministica. Si presenta il
problema di determinare una nuova etica individuale e sociale che indirizzi l’uomo e lo tragga fuori da
quella condizione di solitudine angosciosa ,determinata dalla fine della tradizione. È l’ideologia del
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progresso, inteso come cammino da compiere lungo la via e la ragione al fine di trionfare sulle tenebre del
male e ricostruire una visione ottimistica, con una nuova idea di uomo e società.

Si configura una nuova fede, un vangelo della ragione e del progresso, basato sui 3 precetti che guidano il
18 secolo:-fiducia nella ragione -ottimismo verso futuro -sentimento di umanitarismo .

L’illuminismo ,inoltre ,riflette sul problema di come giustificare la presenza del male nel mondo. È il tema
della teodicea - la giustificazione del male a partire dalla volontà divina, fonte assoluta di giustizia , ma che
si esprime attraverso modalità incomprensibili x la razionalità umana.

Il movimento dei lumi non fu unitario ma si possono distinguere diversi tipi geografici di
illuminismo( francese tedesco italiano scozzese polacco e russo), dei quali, quello principale è quello
francese che a sua volta si divide in diversi partiti: il gruppo dell’Enciclopedia guidato da Diderot e
D’Alembert, Voltarie da una parte, Rousseau dall’altra, i materialisti , Holbach e Helvètius , i radicali ,Mably
e Morelly.

C’è una Constante in tutti è la riflessione sulla libertà : Dio ha creato l’ uomo libero e come tale lo ha
lasciato nel mondo , in balia della sua ragione e delle sue passioni, il problema è saper usare tale libertà e
determinare fin dove essa si estende . Qui avremo coloro che sostengono il libero arbitrio e chi la teoria
determinista secondo cui l’ uomo, essendo parte dell’universo, è sottoposto alle sue leggi.

Nascono anche discussioni sulla sfera pratica, influenzando i diversi orientamenti politici che nascono da
diverse immagini dell’uomo: spicca fra queste l’Immagine dell’intellettuale, di cui i philosophes sono i primi
esempi.

A partire da 18 secolo , si crea una nuova coscienza all’interno dei philosophes, che prendono coscienza di
essere un gruppo sociale che si pensa indipendente, autonomo e libero dall’ influenza del potere e che
decide di servirsi di questa condizione x influenzare lo stesso potere politico e la società.

In questo clima Habermas ha individuato i primi fermenti della della nuova sfera dell’ opinione pubblica ,
uno spazio nuovo e distinto sia da quello privato della famiglia che da quello politico dello Stato, un luogo di
discussione e diffusione delle idee, connotato da una relativa libertà di giudizio e composto dai salons,
accademie, clubs, salotti, caffe, luoghi dove far sentire la voce pubblica attraverso la diffusione di gazzette e
giornali . Dopo il 1780, l’avanzare della rivoluzione intellettuale , che segna la trasformazione dei filosofi in
politici( individui che partecipano alle attività pubbliche), la funzione critica di questo gruppo si esaurisce.

Con la rivoluzione si assiste poi ad un’ulteriore trasformazione nella funzione del philosophe,che diventerà
in deputato, rappresentante della nazione.

Inoltre, Universalismo, che, nell’illuminismo è creato dall’ uguaglianza della legge, diventa quel processo di
civilisation che investirà nell’ottica del progresso , tutti i popoli.

 La critica illuminista alle strutture del potere rivela la crisi di una forma istituzionale , l’assolutismo
dell’antico regime .
Quella 700 esca, è una società in trasformazione profonda, infatti al suo interno sta emergendo
una nuova forma di organizzazione , quella borghese , fondata su nuove forme di rapporti
economici strettamente legati alle dinamiche del lavoro industriale. Difronte a ciò, il sistema di
Antico regime, non sembra più in grado di garantire la stabilità dell’ordine politico. A partire dal 18

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secolo la politica moderna conosce non solo la forma –Stato , ma anche la concretezza della
società pensata come ambito che deve essere regolato dallo stato.
Il problema degli illuministi è quindi quello di individuare un centro di potere unico e stabile. Ma
ciò che cambia così radicalmente, è proprio questo centro, che passa da stato assoluto a stato
affiancato da forze economiche, politiche e intellettuali. Nello spazio che sta tra lo Stato e
l’individuo, , si pone una entità nuova, la società, e in questa, il tribunale del pubblico ,istituisce una
nuova forma di azione sociale di intervento ,pratico e teorico, nell’amministrazione dello Stato e
nell’esercizio della giustizia.

Il pubblico a cui si rivolgono gli illuministi sono gli individui razionali , i Lumi, i quali hanno una visione
negativa del popolo, sedizioso e irragionevole che deve essere guidato e istruito in attesa del progressivo
rischiaramento della ragione. Da qui ne risulta una riflessione che presenta due facce :

-utopia di una società governata dalla ragione ,

-il sentimento di necessità di riforme (non di rivoluzioni,) secondo ragione e giustizia , che spiega il
rapporto con i sovrani assoluti .

La realtà storica costrinse gli illuministi a confrontarsi con la monarchia, istituzione principale e cardine
dell’Antico regime, ma anche questa, nonostante tutto fu sottoposta a critiche . lo stato a cui pensano gli
illuministi, è fondato su principi naturali di libertà e uguaglianza formale. Di fatto però, si instaurò dagli
anni 40 fino agli inizi anni 80 del 18 secolo, un rapporto di collaborazione tra philosophes , in particolare fra
Volatier e Diderot, e i sovrani assoluti attraverso l’ incontro tra le riforme amministrative, giudiziarie ed
economiche e i principi di giustizia, uguaglianza benessere e tolleranza. Nasce l’idea di sottoporre al
controllo statale ,l’educazione , sottraendola alla Chiesa.

Emblematico fu il caso dei gesuiti che vennero espulsi prima dal Portogallo e poi dalla Francia e infine
soppressi nel 1773 con la Bolla papale . questo avvenne in seguito anche per molti altri organi ecclesiastici .
La stagione delle riforme fallì con gli inizi degli anni 80 quando, ideali di ragione e liberta si scontrarono
definitivamente con la politica di potenza dei Sovrani Europei . Gli stessi sovrani europei dovettero
affrontare diverse difficoltà nell’applicazione di alcune riforme , come ad esempio l’abolizione delle servitù.
Questa riforma infatti non fu più portata a termine per timore del caos politico e sociale che un
mutamento di tale portata avrebbe prodotto.

La tolleranza: Politica e religione rimasero strettamente legate per tutto il 18 secolo, quando ogni scritto
dei Lumi veniva considerato sia politico, che, allo stesso tempo antiecclesiastico. La polemica si accese nei
confronti di tutte le religioni che impongono i propri dogmi oscurando la ragione degli individui, e in
particolare l’attacco fu rivolto alla Chiesa Cattolica e all’ alleanza fra trono e altare su cui si fondava
l’assolutismo .

Al dogmatismo si oppose la religione naturale e l’affermazione della tolleranza. Il tema della religione
naturale fu elaborato in Inghilterra in ambienti deistici e , successivamente, diffuso in Europa da Voltaire
.Alla base c’è il problema della vera religione con l’implicita distinzione tra credere e conoscere. Questo fu
uno dei motivi ispiratori del deismo- dottrina filosofica che va distinta dal teismo.

Teismo : credenza in un Dio personale , trascendente, creatore , determinato , dottrina che si oppose al
deismo .

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Deismo: sviluppatosi in Inghilterra con John Toland, dottrina che afferma come unico vero credo quello
nella religione naturale, unica religione priva di dogmi, e che si basa sul riconoscimento dell’ esistenza di un
essere supremo, razionale, creatore del mondo, ispiratore negli uomini sia di una ragione che di una
morale. Un essere che non interviene mai direttamente nelle vicende umane. Il deismo, basandosi sull’
empirismo, si presenta come un sistema intellettualistico, ritenendo i miracoli e i misteri religiosi i veri
nemici della fede religiosa, perché ne offuscano il reale contenuto che appare comprensibile solo con gli
strumenti propri della ragione umana.

La polemica deista assume anche connotazioni politiche perché mira a negare la missione sovrannaturale
delle chiese storiche, la divinità delle scritture. Le affermazioni dei deisti erano tese a fondare una nuova
etica laica per i nuovi ceti borghesi da sostituire alle sopravvivenze dell’antico assetto gerarchico della
società.

I temi del deismo divennero centrali nella lotta x la tolleranza, condotta in particolare da Voltaire . Dal
punto di vista della tolleranza, l’epoca dei Lumi può essere racchiusa anche fra altre due date: 1689, anno di
approvazione, in Inghilterra del Toleration act; che riduceva le pene verso chi non faceva parte della Chiesa
di Inghilterra; e il 1787, quando Luigi 16simo promulgò un editto di tolleranza nei confronti dei protestanti.

Tuttavia la questione della tolleranza viene ad assumere anche un rilievo teorico-pratico, poiché va a
toccare i temi dei rapporti fra Stato e Chiesa e fra sovrano e singoli individui. Voltaire e i philosophes
pensano ad una ristrutturazione dell’ordine politico a partire dalla subordinazione della Chiesa allo Stato,
perché l’urgenza del momento ( la crisi dell’ Antico Regime) non permette di pensare ad una loro
separazione. In definitiva, la tolleranza diventa cuore della discussione politica settecentesca e dell’azione
riformatrice dei sovrani europei , e vale per tutti coloro che fanno parte dello spazio politico dello Stato e
che perciò sono uguali , in quanto sottoposti alla medesima legge.

ILLUMINISMO AMERICANO : RIVOLUZIONE AMERICANA

Il 4 luglio 1776 a Philadelphia, nel congresso continentale, i rappresentanti delle 13 colonie inglesi
dell’America del nord firmavano la “ Dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America”. Questo è
uno dei testi centrali della modernità occidentale, un testo complesso in cui sono inserite diverse tradizioni
filosofiche ; repubblicanesimo, protestantismo, giusnaturalismo, motivo antitirannico di matrice illuminista
ecc. Redatta da Thomas Jefferson, e sottoposta a correzioni da Benjamin Frenklin e John Adams, la
dichiarazione si situa nella tradizione giuridica inglese dei documenti di protesta inviati dai sudditi inglesi
alla Corona. La dichiarazione è in realtà un documento politico nuovo perché distrugge e scardina il legame
tra monarca e i sudditi, proclamando il diritto dei governati di scegliersi governo (sovranità popolare) e per
ciascun cittadino i diritti naturali alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità.

Si istituisce cosi un nuovo popolo: il popolo americano e si afferma, per la prima volta in un documento
politico, il diritto alla rivoluzione. Questo documento si divide in 2 parti :

la prima parte : afferma l’evidenza del l’ uguaglianza degli uomini, dei diritti naturali e della necessita del
consenso per legittimare i governi .

nella seconda parte: ci sono le imputazioni rivolte al re Giorgio , accusato di tirannia. Inoltre, è grande
l’influenza di un testo inglese, “ Cato’s letters” scritte da John Trenchard e Thomas Gordon ,e costituiscono i
più importanti testi del repubblicanesimo inglese del 700, perché in esse è centrale il tema della virtù
politica e la difesa della libertà sia politica che religiosa contro la tirannide. In queste lettere si attacca

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l’idea del potere assoluto e in nome della libertà si difende l’uccisone del tiranno. Nella lettera si trova
anche una difesa della libertà individuale e della sua inalienabilità con l’ affermazione del principio
uguaglianza e la necessita del meccanismo della rappresentanza. Nelle lettere ci sono anche i temi del
contratto , del rapporto fiduciario che lega governanti e governati, del controllo su chi esercita potere, della
proprietà come primo principio di ogni potere.

La dichiarazione di indipendenza rende possibile la creazione del popolo universale, del popolo che afferma
i diritti di tutti gli altri uomini di tutti gli altri popoli, costituito da individui portatori di diritti, e la definizione
di un popolo storico, il popolo americano, che introduce il concetto di nazione da cui sono esclusi gli inglesi,
gli indiani, i neri e le donne. In linea teorica, essa introduce anche il concetto di nazione.

L’ idea fondamentale nella dichiarazione è l’idea di una politica democratica che si sottrae a ossessione
dell’unità politica. In America il popolo esiste unitariamente come nazione ma questa esistenza è garantita
dalla sua auto-costituzione come popolo e non dalla sovranità.

Sostegno alla causa delle colonie era stato Edmund Burke che affermò la necessità del nesso tra tassazione
e rappresentanza, facendo sue le rivendicazioni delle colonie inglesi. Lui è a favore di una soluzione di
compromesso che riconosce ai coloni diritto alle libertà inglesi e che tiene conto della comune utilità , dato
che impossibile separare il giusto dall’ utile , e che in politica è sbagliato fare discorsi astratti di giustizia e
applicare rigidamente la ragione geometrica. P.S. “ NO TAXATION WITHOUT RAPPRESENTATION.

Costituzione federale : La Guerra di indipendenza si conclude nel 1783, con il riconoscimento


dell’indipendenza dei 13 stati. Ogni stato si diede ognuno una costituzione scritta fondata sul principio
sovranità popolare. Nel 1787 fu convocata a Filadelfia la Convenzione , un assemblea di delegati degli stati,
con il compito di rafforzare il potere centrale della Confederazione . Si trattava di ratificare una nuova
Costituzione degli Stati Uniti nella forma della federazione. A Filadelfia si svolse una lunga battaglia per la
ratifica della costituzione. La forma politica che emerse da questo lungo dibattito fu una forma
assolutamente nuova , quella della “ repubblica federale”.

Con la federazione saltava la logica della sovranità: all’inteno del medesimo sistema politico ,cenivano a
coesistere assemblee legislative indipendenti, quella federale e quella statale. In questa battaglia spicca la
figura di Alexander Hamilton, che scatenò una vera e propria campagna giornalistica per convincere
l’opinione pubblica, che era inizialmente ostile al riconoscimento di una costituzione valida per tutti .
Documento principale di tale dibattito è il Federalist che raccoglie tutti 85 articoli , raccolti in 2 volumi. Gli
articoli furono scritti da Hamilton, John Jay e James Madison. Gli articoli di Hamilton sottolineavano
l’esigenza di un potere federale forte e in grado di agire, Madison redasse quelli dove viene posto l’ accento
sulla necessità di limitare il potere, anche quello federale e sull’ esigenza di stabilire strumenti di controllo e
bilanciamento su di esso.

L’opera si divide in 2 parti : i primi 36 articoli attaccano la confederazione, i successivi difendono la


costituzione federale. Gli articoli del Federalist partono da un ragionamento sul buon senso : la federazione
è scelta perché è ritenuta la forma politica migliore per garantire la pace, ma anche perché è l’ unica
barriera possibile contro le fazioni interne, in quanto permette il duplice processo di accentramento degli
interessi generali e il decentramento degli interessi locali. La Costituzione si afferma come democratica,
frutto del potere del popolo americano. Madison divide la repubblica dalla democrazia :

la repubblica è quel regime democratico in cui opera il sistema rappresentanza, offre maggiori garanzie del
controllo delle fazioni
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la democrazia , indica invece la partecipazione diretta dei cittadini al governo, ed estende la sua influenza a
un numero maggiori di cittadini.

Ciò che contraddistingue la virtù del popolo americano è la lotta contro la tirannide del monarca inglese.
Questo motivo determina la scelta di convocare le elezioni a brevi periodi di distanza, al fine di esercitare
uno stretto controllo del popolo sui suoi rappresentanti , e la scelta di delegare pochi poteri all’esecutivo
centrale.

 la repubblica federale : il federalismo è capace di risolvere tutti i problemi. Essa è capace di istituire
una forma politica unitaria e molto estesa , in grado di respingere la spinta disgregatrice delle
fazioni, ma anche di lasciare che le singole parti della federzione vivano attivamente la propria
libertà.

Questo bilanciamento federale e costituzionale, è anche alla base di uno degli elementi che
contraddistingue la costituzione degli Stati Uniti : il forte accento posto sull’ onnipotenza delle leggi. La
strutturazione del legislativo si divide in 2 assemblee : la camera dei rappresentanti che rappresenta il
popolo e il Senato che rappresenta gli stai dell’unione. In questo contesto emerge il ruolo del potere
giudiziario a cui viene delegato il potere di interpretare le leggi e dichiarare nulli gli atti del legislativo, che
da origine al sistema del controllo di costituzionalità. La costituzione degli Stati Uniti fu emendata con
successivi 21 articoli, dei quali i primi 10 costituiscono il Bill of right. Essi inseriscono la dichiarazione dei
diritti dell’individuo , in particolare libertà di parola, di stampa, e di religione.

PAINE: scrive “ the Common sense” opera in cui sulla base del principio del senso comune , l’autore
discute dei rapporti fra madrepatria e colonie ,denunciando la tirannide e la monarchia inglese. Lui pone la
distinzione tra società e governo: la società è frutto dei bisogni dell’individuo, il governo, nasce dalla
perversità umana. Secondo lui il governo è un male necessario anche quando è perfetto, se poi il governo è
imperfetto allora è un male intollerabile, da qui deriva per lui l’esigenza delle colonie di diventare
indipendenti .

Il governo migliore è quello repubblicano. In” the right of man”, scritto contemporaneamente ai 10
emendamenti del bill of right, ritorna centrale il tema dei diritti degli individuo, che declina il concetto di
uguaglianza e lo pone sotto l’ influenza del repubblicanesimo anglosassone . il primato della costituzione è
l’emanazione ella volontà del popolo sovrano, sul governo. La centralità del popolo sovrano è
l’affermazione della sovranità del popolo che sottopone a revisione la costituzione che esso stesso si è dato.

Il concetto attorno al quale ruta il discorso di Pain è quello della rappresentanza , quella democratica, che
esprime la vera volontà di tutta la nazione.

RIVOLUZIONE FRANCESE

Si basa su un’altra logica cioè rivendicazione sociale, rottura col passato. È un’azione violenta contro
l’ARISTOCRAZIA e rispetto all’America deve “tagliare le teste” perché deve sventrare l’Assolutismo. La
Rivoluzione Francese nasce da un bisogno di fame e soprattutto di povertà. Si ha una rottura con la società
gerarchica cioè quella tradizionalista per arrivare a un rinnovo completo delle istituzioni.

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È basato sulla SOVRANITÀ POPOLARE, la quale è un potere costituente che deve continuamente legittimare
l’azione politica. Il potere costituente, a differenza dell’America, indica il potere nel popolo ed è l’unica
fonte di legittimità.

Il popolo, secondo Sieyès e Rousseau, non deve essere rappresentato perché questi diventeranno i veri
sovrani. Ci sono molte fasi come quella Giacobita perché il potere costituente cambia continuamente, così
come le Costituzioni. Vogliono in un certo senso avvicinarsi alla democrazia diretta, ma questo è un
progetto troppo difficile.

La NAZIONE, nata come idea proprio con la Rivoluzione Francese, diventa un esercito che si mobilita per
rivoluzionare. (POPOLO IN ARMI). Infatti l’elemento popolare è importantissimo perché sono loro che
rovesciano tutte le autorità.

DICHIARAZIONI DI DIRITTI UNIVERSALI: diritti che verranno applicati solamente nel ‘900 come il diritto al
lavoro, di dare la cittadinanza ai coloni.

I tre fondamenti sono:

• FRATELLANZA  solidarietà

• LIBERTÀ  dalla tirannide e dall’assolutismo

• EGUAGLIANZA  condizione per la libertà

Riferimento a Trainspotting sulla libertà di scelta: si può oggi scegliere il telefonino, scegliere di essere
testardi, ma qual è la libertà di scelta se si è in balia degli altri? Non si può scegliere. Questa cosa collegata
alla rivoluzione perché prima di essa non c’era alcuna possibilità di scelta perché si pensava solamente alla
sopravvivenza.

Sieyès afferma il popolo va contro la aristocrazia cioè coloro che opprimono gli altri. È un popolo che
combatte. La sua prima idea parla del popolo come detentore del potere costituente e quindi ogni volta
deve scegliere e decidere. Quindi non si può esaurire nella rappresentanza semplice, ma devono essere
mandatari, portavoce del popolo. La rappresentanza deve sempre consultare il popolo, tranne quelle
straordinarie che hanno più libertà (devono essere limitate). Cambia idea con Robespierre e i Giacobiti
perché l’assemblea ingloberà il potere esecutivo e diventerà onnipotente perché seguirà le leggi che essa
stessa si fa e diventerà un tiranno. Quindi parlerà di rappresentanza necessaria come figura professionale,
ma è debole perché fa sempre tornare la rappresentanza al popolo. Solo alla fine dell’esperienza
rivoluzionaria tornerà a un’idea costituzionale.

ROUSSEAU: il pensiero fondamentale del pensiero politico di R. è costituito dalla discontinuità tra storia e
società giusta . infatti, la bontà naturale dell’uomo è appunto ciò che nello stato di natura dissocia gli
uomini e li rende autosufficienti, o li spinge a vivere in piccoli gruppi.

L’uomo non è naturalmente sociale, tuttavia l’ingresso in società è inevitabile ed è dovuto alla sua
perfettibilità: questa differenzia l’uomo dall’animale ed è quella capacità naturale che è all’origine della
“depravazione sociale” e che promuove l’uscita dallo stato di natura.

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 La civiltà e la storia: già con Il Discorso sulla scienza e sulle arti, R. valuta il progresso ,come negativo
per il miglioramento della vita morale e per la libertà degli uomini. Il primo Discorso istituisce un
confronto tra il mondo civilizzato e quello delle città stato greche o della Roma repubblicana , che
conferisce agli antichi il primato della virtù e della semplicità dei costumi, e proietta sui moderni la
condanna del lusso , addebitando alla moderna cultura la causa della decadenza delle virtù
guerriere e patriottiche , del parassitismo, della mediocrità.
Il giudizio pessimistico si accentua nel secondo Discorso , dove R. vede nella ricchezza e non nella
cultura, l’elemento che genera la corruzione . Quando, con un bando, l’Accademia di Digione
propone nel 1753 un quesito –“ qual è l’origine della disuguaglianza degli uomini e se essa si
autorizza dalla legge naturale” – nella sua risposta, R. ricostruisce la storia dell’umanità a partire da
un ipotetico stato di natura che però, no viene concepito come la base naturale da cui sorge lo
Stato.
Per i giusnaturalisti, ( Giusnaturalismo: scuola filosofica del diritto naturale sviluppatasi fra fine 600
inizi 700 ) lo stato di natura è sostanzialmente una condizione di indipendenza in cui gli uomini si
trovano prima dell’istituzione del governo civile , cioè quando non sono ancora sottomessi
all’autorità politica . Ciò equivale ad affermare che nessuno, per natura è soggetto all’autorità di un
altro e sostenere che gli uomini nascono liberi e uguali. Se nessuno è naturalmente soggetto
all’autorità altrui il diritto di comandare può derivare unicamente da una convenzione o da un
contratto che porta i singoli a rinunciare al proprio naturale diritto di disporre della libertà e delle
forze a favore di un uomo o di una assemblea. La teoria contrattuale è quindi indissociabile
dall’ipotesi dello stato di natura.
I giusnaturalisti, però, secondo R., non riconoscendo che lo stato naturale è una condizione di
dispersione e isolamento, non hanno fatto differenza fra impulsi primitivi e passioni fittizie , fra ciò
che è innato e ciò che è conquista sociale.

Lui parte dal principio secondo cui l’uomo naturale è isolato , e vive un esistenza solitaria senza
contatti con i suoi simili e senza conoscere la comune appartenenza alla sua stessa specie. L’uomo
di natura, è dipinto come un essere amorale che mostra la sostanza originaria dell’uomo, il suo
istinto di autoconservazione, la sua capacità di condividere le sofferenze con i propri simili , la sua
libertà di volere , e la capacità di fare scelte in quanto agente libero. Il diritto primitivo, quindi, non
è che l’ altra faccia della naturale bontà dell’uomo, mentre il diritto naturale, ricostruito dalla
ragione, non può precedere la costituzione di società civili e della legge. Nel passaggio da stato di
natura a stato civile il diritto naturale si modifica parallelamente all’ evoluzione dell’umanità :ciò
che nello stato di natura era istinto e bontà diventa nello stato civile giustizia e ragione.
Le tappe compiute dall’umanità, non sono il frutto della provvidenza, ma sono effetto della
“perfettibilità” ,che rende gli uomini capaci sia di evolversi che di corrompersi. È proprio questo che
porta alla disuguaglianza propria dell’umanità civilizzata.
Lui, unendo l’analisi antropologica dell’umanità preistorica con quella civilizzata, descrive la linea
ascendente che porta l’uomo a quella prima rivoluzione che è la costituzione delle famiglie, una
società nascente che è una forma di equilibrio tra natura e civiltà, fino ad arrivare alla seconda
grande rivoluzione , la divisione del lavoro , comportata da 2 arti : metallurgia e agricoltura, che
segna l’ avvento della proprietà .

L’analisi della” disuguaglianza nascente”, culmina nel processo di accumulazione della ricchezza
sociale che legittima la proprietà privata e consolida la disuguaglianza morale e politica. Il patto

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iniquo, imposto con la rapina e la violenza a danno dei più poveri portarono la società allo stato di
guerra . Per R. lo stato di guerra coincide con la condizione umanità civilizzata e non con le società
primitive delle origini. Solo da quando gli uomini sono diventati sociali è iniziata la guerra generale.
Gli uomini hanno dovuto abbandonare il loro isolamento iniziale per far si che ci fossero società
politiche e norme giuridiche. Ma la società ingiusta da essi creata è percorsa da inimicizia
reciproca : ecco perché loro avvertono l’ esigenza di ubbidire a un autorità comune, in modo di
evitare la guerra di tutti contro tutti.

Per evitare un conflitto è stato così necessario ricorrere al contratto sociale che fa nascere società civili e
ristabilisce pace. Il pactum unionis sul quale queste si formano, però, si configura come un patto ingiusto,
come una forma di organizzazione giuridica che giustifica legalmente l’ azione di rapina dei ricchi suoi
poveri.

La necessità di sancire questo patto anche sul piano giuridico e politico sta all’ origine della nascita dello
Stato, il quale non fa che incrementare un processo di decadimento che si divide in 3 tappe :

- la fondazione della legge e del diritto proprietà

- l’istituzione della magistratura

- la trasformazione del potere legittimo in potere arbitrario .

Infine il Tratto conclusivo dell’affermazione dell’umanità avviene con l’ affermazione del dispotismo e della
schiavitù politica . A questo punto tutto si riporta alla sola legge del più forte , ovvero un nuovo stato di
natura diverso da quello con cui si è iniziato, in quanto il primo aveva la natura nella sua purezza ,
quest’altro, invece è il frutto di un eccesso di corruzione. Per risolvere il problema, R. propone un progetto
di nuove associazioni basate su uguaglianza , ragione e sulla volontà generale.

 IL CONTRATTO: Il concetto di volontà generale, volontà di tutti, viene concepito come unico
fondamento possibile di uno Stato basato su un patto di equità.
Il contratto per R. è un patto di associazione( e non si sottomissione), è un patto di unione
orizzontale che non implica l’alienazione di parte della propria libertà o volontà politica ad un terzo(
ex il Leviatano) e che ha come fine la disalienazione dell’uomo, la sua liberazione, e non genera un
istituzione sovrana ma una comunità.
Il contratto ha 2 caratteristiche :
-non serve ad uscire dallo stato di natura ma a correggere il corso corrotto della storia . Ha come
obiettivo “rifare” l’uomo, restituirgli la pienezza e l’ integrità che la storia gli ha tolto.
-la sovranità ,per R. è un tutto omogeneo e onnipotente, capace di esercitare la sua potenza in ogni
direzione .
La sicurezza comune non deve implicare la sottomissione al sovrano . Egli quindi, non considera la
generalizzazione della volontà come un atto unico e irripetibile, ma come un presupposto
costantemente rinnovato dell’esistenza dello Stato. Bisogna creare le condizioni che permettono
all’ uomo di unirsi in un corpo politico senza rinunciare al diritto di libertà.
Condizione essenziale del patto è l’ alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti alla
comunità. Ogni contraente cessa di essere una persona privata e assume la nuova qualità di
membro indivisibile del tutto, ritrovando se stesso nella comunità dei suoi pari. Nasce cosi un
corpo morale collettivo con una vita e una volontà e un io comune. I singoli individui cedono nel
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patto l’insieme dei loro diritti individuali pre-sociali per tutelare la loro sicurezza, libertà e
uguaglianza.
La persona pubblica che si forma attraverso l’unione di tutte le altre si chiama Repubblica o corpo
politico. Quest’ultimo è definito dai suoi membri: Stato quando è passivo, Corpo Sovrano quando
è attivo , Potenza in relazione ad altri corpi politici. Questa completa rinuncia ai diritti naturali ha
favorito una interpretazione di Rousseau come un pensatore totalitario , ma si tratta di una
prospettiva che non coglie appieno il rapporto stabilito tra R. tra libertà e obbligo politico.
Anzitutto perché obbedire alla volontà generale significa obbedire a se stessi in quanto membri del
corpo politico.
L’alienazione totale di ciascun associato implica la trasformazione di diritti naturali in civili.

Con il contratto sociale la libertà naturale viene ceduta in cambio della libertà civile. Dopo il patto
l’individuo si trova libero come lo era nello stato di natura , si è solo eliminata la possibilità che un uomo
cada vittima nel dominio di un altro, perché l’associazione civile ha lo scopo di mettere l’uomo al riparo da
ogni forma di dipendenza personale

In ambito sociale però, questa garanzia dipende dalla forza dello stato e dalla subordinazione delle volontà
particolari alla volontà generale ,ossia dall’autorità assoluto del sovrano che, non facendo nessuna
differenza fra i cittadini, li mantiene in una condizione di libertà.

La volontà generale si configura pertanto come espressione cogente della sua stessa volontà. Il contratto
sociale di R. è un patto del popolo con se stesso .Gli uomini come sudditi ,obbediscono a se stessi come
autorità sovrana.

La volontà generale però, è diversa dalla volontà di tutti, e, il consenso unanime, è richiesto al momento
della stipulazione del patto sociale . La volontà generale coincide con l’ interesse comune, perché il popolo,
per se stesso, vuole solo il suo bene.

 LA DEMOCRAZIA: per R. qualunque sia la forma di governo, la costituzione dello Stato deve essere
democratica e repubblicana, la sovranità appartiene alla totalità dei cittadini, considerati un solo
corpo, un ente collettivo, una persona morale.
Il popolo non può alienare o trasmettere a terzi l’ esercizio della sovranità in quanto essa è
sostanzialmente volontà , e la volontà non si rappresenta. I deputati eletti dal popolo sono solo
commissari, non rappresentanti, e a loro compete la preparazione e la proposta di legge, ma è al
popolo che spetta il diritto di ratificare o respingere la proposta.
La volontà generale quindi non può essere rappresentata, sia per quanto riguarda l’ attività
legislativa ordinaria, sia per l’ atto attraverso cui il popolo si da una costituzione .

Il legislatore, è colui che, dall’esterno, propone al popolo la costituzione formale senza coinvolgere
la sovranità popolo, lui ha un ruolo indiretto e pedagogico , e agevola e canalizza l’espressione della
volontà generale che resta sovrana , e libera di accettare le proposte costituzionali del legislatore.

Per questa concezione di sovranità popolare R, è considerato il teorico della democrazia moderna,
anche se lui parla di repubblica come forma di Stato fondata sulla legge. Parla di un contratto che
da vita a un potere democratico in cui non c’è l’ alienazione tra uomo e cittadino , tra privato e
pubblico. Quella di Rousseau è una democrazia totale, che si fa carico di tutti gli uomini e di tutto
“l’uomo” , della sua integrità.

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Rousseau non pensa alla libertà politica come sicurezza della privata indipendenza, bensì , come
“cittadinanza”, come partecipazione collettiva al potere e al corpo politico. Il fatti che la sovranità
sia unica e venga assimilata al potere legislativi non implica insomma, l’identificazione tra legislativo
ed esecutivo.
Lui pone una netta differenza fra la sovranità, a cui spetta l’ emanazione delle leggi, e governo, cui
spetta la sua esecuzione. Il governo è solo un ministro del popolo sovrano e può essere affidato dal
popolo a persone o istanze diverse, senza alcuna delega della sovranità popolare. Rousseau ritiene
possibili 3 forme di governo :
-democrazia: quando il corpo sovrano rende depositario del governo tutto il popolo o la sua
maggioranza, intesa come forma di autogoverno popolare in cui legislativo ed esecutivo tendono a
coincidere. Il governo democratico è possibile solo a determinate condizioni : stato di dimensioni
limitate, comunità di uomini virtuosi, sostanziale uguaglianza economica.
-aristocrazia: governo nelle mani di una minoranza
-monarchia : governo nelle mani di uno solo.
Il governo democratico è adatto per i piccoli stati, l’aristocrazia per gli stati medi, la monarchia per i
grandi stati .
L’alternativa tra la politica della virtù e la politica della potenza è evitabile solo attraverso il sistema
governi federali.

L’unità dello stato non dipende tuttavia solo dalle sue dimensioni, ma anche dalla sua religione, a
cui R. da una funzione decisiva per la solidità dello Stato. È una religione civile, ridotta a semplici
dogmi, che pone sotto il controllo dello Stato la funzione di tenere unita la collettività, ed è distinta
dalla religione del “prete”. Questa religione civile accentua gli impegni morali e civili assunti con il
patto da ciascun contraente e si identifica come una metafora della virtù politica.

Democrazia: LINK

Il termine democrazia ha avuto un’accezione negativa per molto tempo: è solamente nelle liberal-
democrazie attuali che la democrazia ha un significato positivo; al contrario, ad esempio, Aristotele definiva
la democrazia come la forma degenerata di politeia, cioè la degenerazione del governo dei più in una
conflittualità sociale interminabile, nella mancanza di ordine e di pace. In effetti i Greci hanno una
concezione negativa di democrazia (Erodoto fu il primo a parlare di democrazia) ed assume un significato di
degenerazione e conflittualità della politica; loro parlano molto di isonomia cioè di eguale condizione dei
cittadini davanti alle leggi, e questo è un concetto neutro rispetto al concetto di democrazia che invece è un
concetto negativo.

Kant, ad esempio, parla di repubblica e non di democrazia, ed anche per lui la democrazia è un regime
negativo in quanto in essa non vi è distinzione tra i poteri perché il popolo ha insieme il potere legislativo
ed esecutivo (cioè fa le leggi e le esegue al tempo stesso): per lui questo tipo di sistema, dove il popolo ha
entrambe le funzioni politiche, è un sistema tendenzialmente dispotico, questo perché la sua concezione
politica è basata sulla separazione dei poteri in modo tale che questi si controllino.

Colui che utilizzerà la parola democrazia, contribuendo alla sua fama negativa, sarà Robespierre riferendosi
al regime giacobino.

Tre tipi di accezione:

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1) PRINCIPIO DI LEGITTIMITÀ: è quella forma di governo che trova la sua legittimità nel popolo, quindi
la fonte di legittimazione della democrazia è il popolo che è sovrano; questa sovranità viene esercitata
tramite le elezioni politiche (democrazia rappresentativa)

2) ESERCIZIO DI POTERE: i meccanismi che regolamentano la vita politica sono democratici (elezioni,
controllo degli elettori, controllo del governo); quindi parliamo di democrazia come meccanismo
procedurale

3) IDEALE: concetto che storicamente non è stato mai completamente realizzato (le democrazie in
quanto tali, cioè il governo del popolo in cui tutto il popolo è sovrano, è qualcosa che non è mai stato
realizzato); ma comunque, secondo Sartori, la democrazia sono quei sistemi che tendono ad avvicinarsi il
più possibile a questo ideale (cioè hanno come ideale il fatto che il popolo sia il più possibile partecipe del
potere politico). Per Sartori la dimensione ideale della democrazia è molto importante perché i sistemi
democratici sono imperfetti (non esiste la democrazia in quanto tale, a livello di realizzazione della stessa,
ma esistono approssimazioni alla democrazia): questo porta i sistemi democratici ad essere dinamici e
aperti, anche ad un’evoluzione, alle critiche, a un processo di inclusione (cioè tendenzialmente includono la
maggior parte degli individui, tendono a farli partecipare sempre meglio). Per cui i sistemi democratici sono
difficili, nel senso che sono contraddittori perché, essendo sistemi che tendono a un ideale, necessitano di
essere coltivati (è necessario crederci nella democrazia). Al contrario i sistemi non democratici sono molto
più semplici da realizzare perché sono basati su una cessione completa della sovranità dal popolo al capo
autocrate e dunque su una deresponsabilizzazione completa. Ma in quei casi la politica esiste come
elemento materiale e brutale, come esercizio puro del potere senza nessuna idea di apertura. E in effetti si
è parlato, fino alla caduta del muro di Berlino (1989), di due tipi di democrazia: la democrazia socialista e la
democrazia liberale; il problema è, per quanto riguarda la democrazia liberale, che è imperfetta, mentre la
democrazia socialista era, secondo Sartori, una forma di governo abbastanza schizofrenica perché da una
parte doveva essere (idealmente) già la realizzazione degli ideali di uguaglianza e di sovranità popolare, ma
in effetti era il dominio di una classe politica (la nomenclatura) su popolazioni a cui venivano negati dei
diritti fondamentali. Secondo Sartori la democrazia vera è la prima e non la seconda, perché la democrazia
in quanto tale è sempre qualcosa che è aperto e che si deve sviluppare, non è un dogma o una dottrina ma
è un processo che si sviluppa continuamente, qualcosa di perfezionabile.

TIPOLOGIE DI DEMOCRAZIA: POLITICA, ECONOMICA E SOCIALE

• POLITICA: procedure, sovranità del popolo e ideale democratico

• SOCIALE: ne parla Tocqueville: quello che lui vede durante il suo viaggio in America non è una
politica diversa ma è proprio una società diversa, un’idea di concepire la vita diversa rispetto all’Europa. La
democrazia è anche una mentalità all’interno della società: la struttura sociale non è vista come qualcosa di
stratificato e piramidale (cioè classi che governano o che hanno il potere ed altre che non ce l’hanno);
anche se questo esiste, non è un ordine che deve essere necessariamente mantenuto: l’uomo democratico,
secondo Tocqueville, è un uomo che non rispetta le gerarchie, che pensa di poter diventare il Presidente
della Repubblica, cioè ognuno pensa di poter ascendere all’interno della gerarchia sociale; non vi sono
dunque classi né barriere, la società è vista come una società di tipo orizzontale dove tutti possono
ascendere o discendere nella gerarchia. Dirà anche Bryce, un teorico successivo a Tocqueville, che la
democrazia è questo ethos egualitario (il fatto di pensare di essere tutti uguali, che tutti possano fare
qualsiasi cosa, che non ci siano ragioni per cui un uomo non possa raggiungere il benessere economico di
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un altro uomo, oppure che possa raggiungere anche lo sviluppo mentale e culturale di un altro uomo): cioè
il fatto che l’eguaglianza diventi un valore indispensabile per la crescita individuale. La democrazia è anche
caratterizzata dal fatto che esiste la dimensione macro di democrazia e quindi come forma di stato, e di
micro dimensioni della democrazia ovvero associazioni, società e imprese che si autogestiscono, e
prevedono che tutti i membri decidano tutti all’unanime. In una visione più spinta e forte, la democrazia
corrisponde alla liberazione da tutte le catene, del passato e del presente, liberi da tutte le costrizioni
istituzionali che opprimono gli individui, la libertà è un valore fondamentale.

• ECONOMICA: non è un idea del tutto marxista, perché quando Marxs parla della società comunista
non delinea bene ne caratteri ne la struttura del lavoro all’interno del mondo economico e in più non
presuppone che tale struttura debba essere necessariamente democratica. La sua idea è più conflittuale,
tutti i valori del sistema dovevano essere rovesciati e bastaportata avanti dai coniugi Webb, da questa
concezione verrà data vita al partito laboure inglese, questi coniugi, considerano la democrazia come
gestione delle fabbriche, secondo loro i lavoratori dovranno gestire la produzione delle fabbriche che
considerano come micro governo democratico. Nonostante siano progetti interessanti sono progetti che
hanno avuto una scarsa realizzazione. In Germania invece si realizza il processo di codecisione, basato
sull’assunto che i lavoratori devono cooperare per quanto riguarda la determinazione del governo delle
fabbriche, ma le fabbriche non vengono autogestite completamente dagli operai, ma rappresentano
comunque un importante componente decisionale e insieme ai vari consigli di amministrazione le
gestiscono.

Interessante è comprendere che la democrazia politica intesa come esercizio del potere, che attraverso
meccanismi elettivi permette la partecipazione del popolo, questa idea di democrazia è un presupposto per
le altre, la democrazia economica o sociale funzionano all’interno di questa, non si può pensare ad una
società di uomini liberi dalle catene senza avergli garantito prima di tutto la democrazia da un punto di vista
politico. La democrazia politica è la base sulle quali si realizzano le altre forme di democrazia. Infatti
Tocqueville parla di democrazia sociale ma sempre inserendola in sistemi politici democratici, se non ci
fosse ci sarebbe uguaglianza nel senso vero, ma una uguaglianza per esempio nella servitù tutti uguali
come servi, mentre la democrazia politica garantisce la sovranità, libertà e pluralismo popolare in questo
quadro funziona l’idea di democrazia sociale.

Democrazia moderna e antica:

la democrazia in Grecia era un tipo di sistema in cui l’individuo partecipa direttamente alla cosa pubblica, è
una democrazia diretta, questo aspetto è importante, dal momento che il cittadino non ha bisogno di
avere dei rappresentanti perché il cittadino esercita e promulga le leggi, l'assemblea che governa è a
sorteggio e qui di c’è rotazione delle cariche per esercitare la propria funzione, l’idea di stato non esiste
nella nostra eccezione che è considerata come macchina che imbriglia le libertà e mediante una cessione da
parte del popolo governa .Per i greci questo non esiste i cittadini direttamente fanno politica, non c’è
distinzione tra uomo politico e privato.

Aristotele definisce l’uomo politico, l’uomo è definibile solo in termini di politicità , il non politico è un
‘idiota’ (non è una parolaccia perché ha pure descritto l’etimologia della parola) perchè gli manca la
capacità principale cioè la politicità, non c’è distinzione tra cittadino che partecipa alla gestione del
pubblico, e il privato è totalmente subordinato alla politica. Essere un uomo impegnato nella politica
rappresenta la massima realizzazione . Non c’è distinzione tra stato e società. Non c’è l’idea di stato come

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entità terza perchè lo stato sono se stessi, l’esercizio del potere è direttamente esercitato dall’assemblea
non c’è un governo che orienta l’azione politica.

Antica Roma: inizia a cambiare la separazione, e ad instaurarsi una divisione tra sfera pubblica e privata,
tant’è vero che troviamo già una divisione tra popolo e senato intesi come nuclei di legittimità nella
repubblica romana, l’idea di popolo, per i romani è intesa come qualcosa che può estendersi verso
l’infinito ,il popolo è una categoria vasta e per questa ragione ci si chiede chi e come governa, ma ancora
non si sviluppa l’idea di stato.

Medioevo: viene presupposto un rapporto tra popolo e principe, tale rapporto trova le sue radici nel
trasferimento del popolo della propria sovranità al principe, ciò che piace al principe è legge ma solo perché
il popolo ha trasmesso a lui il potere. Per quanto riguarda la forma imperiale ,nella traslazio impero il
popolo ha alienato la sovranità politica del tutto e per sempre al principe. Altri parlano di concessio imperi
ovvero il popolo ha trasmesso la sua sovranità ma temporaneamente e potrà riprenderla quando vuole.

Idea attuale di democrazia: innanzitutto pensiamo al principio di maggioranza, la prima idea di elezioni a
maggioranza ha la sua origine nelle chiese medievali per l’elezione delle alte cariche, anche se poi coloro
che si rifiutavano venivano convinti. Locke invece rappresenta la maggioranza come requisito di legittimità
per l’esercizio dei poteri. Dal medioevo all’idea di Locke ciò che cambia è la struttura sociale,le guerre di
religione, e quindi la società descritta da Locke non è una società unitaria ma basata da una pluralità di
forze che vanno tutelate, ci riferiamo alla pluralità delle varie fazioni, e per questo per mettere insieme le
varie diversità interviene il principio della maggioranza, il concetto di unanimità non esiste più. C’è il
passaggio dell’uomo greco ovvero l’uomo pubblico all’uomo di Locke che tutela la sfera privata, che è
talmente importante da istituire l’autorità politica. Si assiste ad un capovolgimento delle libertà. Il
passaggio successivo è da uno stato liberale costituzionale, con la sovranità imbrogliata dal parlamento in
cui il potere sovrano deve essere legato alle leggi all’idea di stato liberal democratico che unisce il rispetto
della libertà con la sovranità popolare, gradualmente sia nella prassi che nel sistema politico gli stati sempre
più includeranno fasce più ampie della popolazione e si serviranno di meccanismi di rappresentanza del
popolo. La rivoluzione americana ha come presupposto il governo del popolo americano nel rispetto delle
leggi e degli individui, nella tradizione americana prevale la concezione che lo stato deve salvaguardare i
diritti degli individui, in particolare la libertà come forma di legittimità dell’esercizio del potere. Il passaggio
successivo sarà quello dai sistemi liberal democratici alle nostre democrazie liberali, l’elemento della
sovranità popolare diventa importante quanto le libertà individuali assumono sempre più valore. Sartori
sostiene che nell’arco del tempo c’è un processo che avviene grazie all’estensione del suffragio. che
permette a tutti gli strati sociali, che sono sempre più ampi, portando come risultato il fatto che tutti i
cittadini legittimino i sistemi democratici. Nella rivoluzione francese del 1848, che è una rivoluzione del
popolo, il quale richiede l’esercizio del popolo, grazie a questa rivoluzione la Francia concede il suffragio
universale. Tocqueville a partire da questa rivoluzione elabora una distinzione tra società democratica e
società socialista, entrambe si basano sull’idea di promozione di uguaglianza dei cittadini, con la differenza
che la democrazia rende uguali i cittadini nella libertà, il socialismo li rende uguali nella servitù. Nel 800 la
componente liberale lascia spazio a una legittimazione democratica, gli stati si legittimano sulla base della
sovranità popolare, e non più sulla tutela dei diritti degli individui. Da una preminenza dell’idea di libertà si
passa ad una prevalenza dell’idea di eguaglianza, la democrazia si ritrova di più nell’idea di uguaglianza. Il
sistema dei partiti sarà fondamentale perché canalizza le domande del popolo e di aggregare gruppi con gli
stessi orientamenti e bisogni. Kelsen dirà senza partiti non esiste politica, la democrazia rappresenta tutti,
include tutti ma questi tutti sono portatori di interessi diversi, e con il suffragio universale e quindi per
tenere in considerazione l’interesse di tutti i cittadini, i partiti sono fondamentali. Presentano il solo
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problema di polarizzazione, Sartori sostiene che non è importante per una società politica quanti partiti
politici ci sono ma come sono divisi; al fatto che siano polarizzati e più o meno distanti tra loro, se ce ne
sono tanti più o meno vicino lo stato e la società sarà pacifica, al contrario se ce ne saranno pochi anche
solo due ma molto polarizzati tra loro e quindi in totale opposizione, ci sarà una totale contrapposizione tra
due teorie antitetiche, e il risultato sarà che o vincerà uno o l’altro, sarà una società comunque conflittuale.
Lijphart a questo proposito dividerà le democrazie maggioritarie e le democrazie consociative, in alcune
società omogenee è relativa al consenso su alcuni valori politici funziona la democrazia maggioritaria
(modello inglese, esistono due partiti e si alternano al potere), questa idea non è funzionale quando la
società è di tipo segmentato, composta da varie micro società che hanno difficoltà a comprendersi, in
questo caso la polarizzazione tra due forze politiche non va bene, sarà fonte di conflitti, per questo genere
di società è meglio un tipo di democrazia consociativa, un sistema tendenzialmente proporzionale in cui
tutti i segmenti della società vengano rappresentati e che a livello politico le decisioni vengano prese da un
accodo tra varie forze politiche che a loro volta rappresentano i vari segmenti che sono in distacco gli uni
tra gli altri. Alla fine della sua vita parlerà di democrazia consensuale riferendosi al principio più importante
come coalizione tra le varie forze politiche.

Democrazia rappresentativa: è impensabile esercitare direttamente la sovranità popolare, dobbiamo


necessariamente votare dei rappresentanti ,e questo mette in pericolo la democrazia perché i
rappresentanti devono fare gli interessi non di chi l’ha eletto ma di tutta la nazione. Però noi siamo sovrani
quando le élite che sono al potere devono conquistarsi i nostri voti una volta finito il proprio mandato,
dimostrandoci di essere capaci di governare, quindi la sovranità sta nello scegliere tra molti partiti, il
rappresentante dovrà guadagnarsi la fiducia ed essere competitivo e non solo, perché anche se il
rappresentante vuole essere rieletto deve comportarsi in maniera congrua, questo è il principio della
rispondenza. Infine la democrazia per essere considerata tale deve predisporre elezioni frequenti e
rincorrenti. Schumpeter, il più recente autore , parla di poliarchia, inteso come insieme di tante élite
aperte nel senso che chi vuole può entrare in democrazia e chi entra compete per guadagnarsi i voti
elettorali inoltre le elezioni devono essere libere.

Quando parliamo di non distinzione tra pubblico e privato, ci riferiamo al 900, periodo storico ricordato per
il totalitarismo, ovvero una perversione assoluta perché l’uomo che vive nei regimi totalitari ha abdicato le
sue responsabilità politiche, conferendole al leader, è un uomo spossessato da se stesso, in questo caso
non c’è distinzione tra pubblico e privato, lo stato si impossessa di tutti gli aspetti della vita dell’uomo e
quindi viene eliminata qualsiasi forma di libertà .

La libertà: per i greci corrispondeva alla partecipazione alla vita politica. La libertà dei primi autori moderni,
Locke ed Hobbes, è intesa come assenza di impedimento, che ha il corpo nel muoversi (Hobbes); Locke
invece sosterrà che la libertà consiste nel essere sottratti al volere arbitrario di un altro individuo. Sartori
definisce questa libertà attribuendole l’aggettivo ‘ protettiva’, si tratta di una libertà all’interno di un
ambito, in più nessuno ha il diritto di interferire, questa libertà è anche detta negativa, perché deve essere
protetta da qualsiasi intervento ‘libertà DA qualcosa’. Un’altra tipologia di libertà denominata positiva è
una ‘libertà DI FARE qualcosa’, implica un atteggiamento più propositivo (libertà che implica una attività).
La libertà è possibile mediante il rispetto delle leggi pubbliche. Per Sartori la libertà DA è condizione per la
libertà DI. Prima di tutto bisogna assicurare all’individuo la protezione dei suoi diritti fondamentali, e a
partire da questo si possono promuovere altri diritti. Per es: non è possibile pensare ai diritti sociali di pari
opportunità (libertà DI)se non sono prima garantiti i diritti fondamentali (libertà DA). Sartori, continua
dicendo che la democrazia deve essere liberale, altrimenti non è lontanamente democrazia, i diritti DI sono
i presupposti per l’uguaglianza. Per questo l’idea Rousseauiana, secondo la quale basta garantire la
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sovranità popolare, senza però limitare il potere politico è una concezione che ha poche possibilità di
funzionare, perché porterebbe alla dittatura, dal momento che lo stato sarebbe libero di fare ciò che vuole.
Anche Kant distingue la libertà in interiore ed esteriore (libertà di obbedire alle leggi, ed è analoga alla
libertà protettiva, perché se un individuo rispetta la legge non interferisce con i diritti fondamentali degli
altri individui); invece la libertà interiore, fa riferimento alla creazione di una propria morale che si
concretizza nel valore e nel significato che ciascun uomo intende dare a valori come la giustizia e
uguaglianza, pertanto la libertà interiore coincide con il volere. L’opposto della libertà interiore è
l’eteronomia, nel senso, nella libertà interiore è l’individuo che definisce autonomamente il proprio senso
morale, al contrario nell’eteronomia l’individuo è dipende da qualcuno per determinare per esempio il
senso del bene o del male, e quindi affida la propria libertà a qualcun'altro. Invece il contrario della libertà
esteriore, cioè il rispetto della legge, è la coercizione, ovvero l'obbligazione intesa come violenza sul
soggetto. Sartori sostiene anche in questo caso che la libertà interiore(libertà di scegliere i propri fini)
dipende dalla libertà esteriore (ci sono leggi che garantiscono i propri diritti), sarebbe impossibile realizzare
i propri progetti di vita in uno stato che opprime il soggetto.

Eguaglianza: può essere definita in diversi modi:

• eguaglianza aritmetica: tutto uguale per tutti;

• eguaglianza proporzionale: rispetta il principio ‘ ad ognuno secondo i propri i bisogni’ e ‘ad ognuno
secondo il suo merito o abilità’; promossa da Marxs

• eguaglianza sociale : basata sull’idea di dare a tutti pari opportunità

• eguaglianza economica: Babeuf sosteneva che la soluzione era dare a tutti lo stesso:

tutte le forme però prevedono dei problemi:

• eguaglianza aritmetica: perché basata sulla concezione di dare a tutti lo stesso, indipendentemente
dalle attività svolte, inoltre presuppone che tutti gli individui siano uguali, ma questo sappiamo che non è
ne vero ne possibile

• eguaglianza di proporzionalità: dal momento che quando si mettono in pratica politiche di


redistribuzione, è difficile stabilire soglie di povertà e di bisogno, ovvero chi considerare povero e chi ricco,
ma soprattutto è difficile stabilire quale tipo di intervento mettere in atto. Le politiche re-distributive sono
soggette a difficoltà interpretative. Se lo stato intervenisse fortemente nel mercato, potrebbe ledere
altrettanto fortemente l’idea di libertà, e quindi potrebbero esserci dei conflitti perché qualcuno potrebbe
ribellarsi dal momento che si vede privato di parte della propria ricchezza per sostenere progetti che a
quest’ultimi non interessano;

• eguaglianza sociale: anche in questo contesto è difficile definire eguaglianza di opportunità,


potremmo riferirci a pari opportunità di arrivo, ovvero uguaglianza di tutti nell’entrata per esempio nel
mondo del lavoro o in istituzioni; o a pari opportunità di partenza, idea anche questa molto delicata, perché
presupporrebbe che dalla nascita dovemmo mettere tutti e vedere come si sviluppa il resto della vita di
questi tutti . Questo è storicamente impossibile. L’unica soluzione che sembra più plausibile è la seconda,

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ovvero redistribuire cercando di compensare punti di partenza diversi, anche per chi nasce in un contesto
sociale di vita più svantaggiato, potrà ricevere l’istruzione e altri mezzi che gli permettano di avvicinarsi ad
una situazione più avvantaggiata, quindi che riceva dei sostegni che funzionano anche se non le paga.

• eguaglianza economica: l’idea di Babeuf, innanzitutto presuppone di eliminare la proprietà privata e


in secondo luogo dare a tutti lo stesso, questo non significa però che tutti riusciranno ad ottenere di più,
pertanto sarebbe necessario ‘inventare’ nuovi meccanismi per ridistribuire e poi ridare tutto a tutti.

Nonostante le varie idee la democrazia è difficile da costituire realmente, perchè è continuamente


perfezionabile e quindi non sarà mai veramente perfetta, dal momento che si basa su concezioni delicate,
legate al contesto storico e a continui conflitti.

Maggioranza : intesa come una procedura attraverso cui si decidono determinate questioni. La regola di
maggioranza nella democrazia deve essere accompagnata dal rispetto delle minoranze, che potrebbero
essere le maggioranze del domani. Inoltre attraverso il confronto tra maggioranza e minoranza, la
maggioranza potrebbe migliorarsi e perfezionarsi. La democrazia è definita come governo della
maggioranza, ma in realtà non è così; molti autori sostengono che anche nel sistema più democratico, non
governano le masse e quindi i cittadini, ma le élite, che sono particolarmente abili e organizzate e si
governano reciprocamente, effettivamente questo è vero, ma è vero anche che le élite vengono scelte
attraverso le elezioni; in secondo luogo sono aperte e permettono l’ingresso di chi vuole partecipare, in
terzo luogo le élite sono concorrenti, c’è quasi un sistema poliarchico, (dal momento che i componenti
dell’élite economica siano diversi dall’élite culturale), questo perette la concorrenza tra loro, ma sopratutto
questo permette che nessuna élite abbia tutto il potere e questo fa si che il meccanismo sia aperto,
rinnovato nel tempo e per questo si parla di poliarchia.

Condizioni della democrazia:

Sartori sostiene chela democrazia da un punto di vista economico è inefficiente, perché costosissima, però
presuppone delle peculiarità: presuppone una condizione di pace, è difficile che si realizzi un regime
democratico durante la guerra; in secondo luogo è un idea legata a quella di benessere dei cittadini; ed è
probabile che la democrazia sia legata al mercato libero e all’idea di pluralismo, di libertà di iniziativa e che
quindi ci sia una libera competizione a livello economico.

Democrazia come ideale: bisogna considerare analizzando i vari paesi, che la democrazia non deve essere
considerata come variabile ‘c’è o non c’è’ ma come gradazione presente nei vari paesi, ovvero quanto
pluralismo c’è, quanto rispetto c’è dei diritti civili, quanto rispetto c’è nella partecipazione politica e quanto
è sviluppato il potere politico. Analizzando tutte le dimensioni, e comprendendo a che gradazione sono
sviluppate, comprendiamo in un paese a che livello è la democrazia. La democrazia come tale non esiste ma
è possibile studiare ogni paese, quale grado di democrazia cerca di raggiungere.

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LA RIVOLUZIONE: alla vigilia delle rivoluzione, l’assolutismo monarchico francese poggia ancora sulla
distinzione dei tre organi: clero, nobiltà e Terzo stato.

Condizionata da una aristocrazia impegnata a difendere i propri privilegi, sociali e fiscali , la corona non
appare più in grado di interpretare autonomamente la riforma delle istituzioni.

La Rivoluzione francese scoppia nel 1789, contro l’ Antico Regime, combattendone l’intero complesso delle
relazioni politiche e sociali. Fu un grande evento che ruppe col passato e aprì un orizzonte politico nuovo e
irreversibile. Le sue dinamiche furono di accelerazione e progresso verso il futuro.

La Rivoluzione francese è stata un insieme storico, politico, intellettuale, profondamente contraddittorio .


Prima di tutto, la rivoluzione è stata sia distruttiva sia costruttiva ; oltre che l’abbattimento dell’ Antico
regime, essa è anche la rivoluzione che va contro la sovranità del re per affermare quella del popolo.

È stata il tentativo di realizzare praticamente i presupposti del razionalismo politico moderno, di fare cioè
della politica una costruzione razionale cosi che il cittadino abiti uno Stato del tutto riconducibile a ragione.
Le solenni dichiarazioni scritte dei diritti dell’uomo e del cittadino che si susseguono nel corso della
rivoluzione , insieme alle Costituzioni, sono le più importanti manifestazioni di questo intento razionalistico
e istituzionalistico.

La Rivoluzione rompe il razionalismo politico perché l’ azione rivoluzionaria si svolge non attraverso il
singolo ma attraverso il popolo o la nazione. Il popolo ha un potere costituente , che non può trovare
limite alcuno nelle norme costituzionali . La presenza diretta della volontà della nazione si fa sentire dentro
ogni atto politico cosi che la legislazione viene concepita come emanazione diretta della sovranità
popolare.

A questo aspetto poi , si affianca la reintroduzione della guerra nella politica : il popolo combatte i propri
nemici dentro e fuori le frontiere, portando a un conflitto della politica interna

La rivoluzione francese ha inoltre altre intrinseche contraddizioni: afferma la libertà dell’agire umano
,insieme a uguaglianza, fraternità , ma ben presto ci si rende conto che essa costituisce invece una
macchina coordinata da logiche interne obbligate , piuttosto che dalle libere scelte dei protagonisti politici i
quali, venivano travolti dalle reazioni che la rivoluzione aveva attivato. Pareva infatti che, una volta attivata,
la rivoluzione non potesse più essere fermata (neanche volendo).

conosce fasi : monarchiche , costituzionali e liberali, poi repubblicane, democratiche e radicali ( girondini) ,
terroristiche ( giacobini) , neoaristocratiche ( termidoro), imperiali ( napoleone ) e sarà conclusa solo con
la Restaurazione che accetterà alcune conquiste politiche fatte dalla stessa rivoluzione.

I principi universalistici della rivoluzione sono stati poi recepiti in Europa in senso particolaristico: anzicchè
produrre un maggiore affratellamento in una più vasta umanità, i valori rivoluzionari sono stati la base e la
legittimazione dei singoli Stati e del loro .

Nel complesso, la rivoluzione lascerà ai posteri il compito di comprenderla: una sterminata messe di
interpretazioni mostra quanto sia stato inevitabile interrogarsi sul nesso che lega la rivoluzione francese e
quella bolscevica del 1917 in Russia.
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Insieme al compito di interpretarla, la rivoluzione ha anche lasciato ai posteri il compito di realizzarne gli
ideali, il che, nell’800 ha prodotto la distinzione fra destra liberale moderata e sinistra democratica. La
corrente moderata ha voluto assumere , dalla rivoluzione francese, la spinta a formare ordini politici
pienamente moderni per razionalizzare pienamente lo Stato, per dare alla rappresentanza popolare tutto o
in parte il potere legislativo, così che i cittadini possano vedere i loro diritti tutelati nelle leggi.

A questo versante si è opposto però, quello democratico-radicale, poi socialista, che periodicamente ha
tentato di far rivivere il mito e le dinamiche della grande rivoluzione francese proprio nei suoi aspetti di
destrutturazione dell’ordine politico.

SIEYES : fonda la sua prospettiva sulla distinzione tra, insieme di tutti I francesi -nazione, a cui viene
attribuito il potere costituente, e l’organizzazione politica francese - stato, titolare dei poteri costituiti.

La volontà generale della nazione assume il profilo di una persona morale che si perpetua attraverso gli
individui e le generazioni. Non a caso, alla definizione di Società come una realtà produttiva in grado di
soddisfare i bisogni e gli interessi degli associati per mezzo delle divisione del lavoro, S. affianca la
definizione politica della nazione , come corpo unitario di cittadini, generato dal diritto naturale, che
esercitano una volontà comune e inalienabile :“ la nazione esiste prima di ogni cosa, la sua volontà è
conforme a legge, essa è legge stessa”.

Il potere costituente è per lui la legittimità che è fonte di ogni legalità , e la Costituzione è la forma
giuridica che limita i poteri costituiti e che non può limitare il potere costituente .ne deriva che i rapporti tra
il legislativo e l’esecutivo non vengono definiti in termini di equilibrio dei poteri, ma di specializzazione
delle funzioni : il legislativo è fatto per volere, esecutivo per agire in base alla volontà del primo . Da questa
concezione della nazione deriva una visione della cittadinanza concepita come associazione tra individui
basata su rapporti di uguaglianza e universalità tali da escludere il privilegiato. Gli ordini privilegiati sono
esclusi dal corpo della nazione ,in quanto, per definizione, non possono essere utili ne uguali. In tempo di
rivoluzione sono nemici interni.

La RAPPRESENTANZIONE: Sieyes, nel saggio del 3 stato scrive che il “ potere risiede solo nell’insieme , la
comunità ha bisogno di una volontà comune, senza una volontà unita, non potrà mai costruire un qualcosa
che vuole e agisce”. Ma istituire un legame tra rappresentanza unitaria e volontà nazionale unitaria,
implica molti problemi: In pratica, S. rifiuta la rappresentanza sa in senso cetuale, in quanto estranea
all’unità della nazione, sia quella moderna, che costituisce il rappresentante come sovrano, e priva della
sovranità il mandante, il popolo.

La rappresentanza di cui lui parla è si unitaria, ma commissaria , cioè, i delegati sono solo incaricati di agire
per gli affari del governo .solo la rappresentanza straordinaria si avvicina a quella moderna con mandato
libero, perché la volontà dei rappresentanti è uguale a quella della nazione , ma Sieyes precisa che
nemmeno in questo caso la nazione aliena per sempre la propria volontà , anzi, lo conserva presso di se e
ne fa quello che vuole.

la sovranità della nazione, la sua volontà, il suo potere costituente sono superiori a ogni forma
costituzionale, e la sua volontà è sempre la legge suprema.

Ben presto ,S. lega la teoria della sovranità della nazione con la teoria della rappresentanza politica .
Collega il concetto di rappresentanza agli stessi principi che nella società moderna promuovono la divisione
del lavoro. Questi, per lui sono concetti di “ ordine rappresentativo”; la divisione del lavoro riguarda le

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attività di tipo politico , cosi attraverso l’ istituzione del lavoro rappresentativo , la rappresentanza politica è
delegata ai più competenti e svincolata dai vincoli corporativi e cetuali dell’antico regime, per cui il popolo
parla e agisce attraverso i rappresentanti.

I deputati sono rappresentanti della nazione, pensati come mandatari della volontà nazionale ,dove l’intera
cittadinanza costituisce i loro committenti. Questa teoria della rappresentanza ,che da un punto di vista
pratico politico darà vita alla costituzione del 1791, permetterà al Terrore di sovvertire i principi
costituzionali, e la certezza del diritto mediante un continuo appello alla forza superiore della sovranità
nazionale.

Il potere esecutivo viene ridotto al compito di semplice amministrazione funzionale alla applicazione della
legge . Di fatto, è come se dietro al potere costituito (il legislativo) fosse sempre attivo il potere
costituente : il che implica che i legislatori, in quanto commissari della nazione , possono provocare
profonde alterazioni alle istituzioni , in nome della volontà generale.

Proprio per evitare il pericolo del corpo rappresentativo unico ,bisogna organizzare i poteri costituiti
distribuendo competenze e funzioni in una pluralità di corpi. S. propone allora, la strategia della regola,
che consiste nel limitare preventivamente il potere , stabilendone gli ambiti di applicazione.

Questa prospettiva assume forma istituzionale nella Costituzione termidoriana del 1975 , in cui sono
separate nettamente le funzioni legislative ed esecutive e viene cancellato il principio che affida al popola la
potestà legislativa , affidando a corpi diversi la responsabilità di proporre leggi e votarle. La struttura
istituzionale è articolata in più organi, che assicurano “un’unità d’azione” ,evitando al contempo “l’ azione
unica” dell’assolutismo. Questa costituzione pone l’identificazione tra potere legislativo e quello
costituente.

Il Principio di Sieyes ,secondo cui una Costituzione o è un corpo di leggi obbligatorie o non è niente , lui
sostiene che con l’ istituzione dell’associazione politica gli individui non solo non hanno delegato tutti i loro
diritti alla società, ma non hanno neppure trasferito al corpo sociale tutti i loro poteri individuali,
mantenendo invece i propri diritti e creato questo potere al solo scopo di poterli conservare.

KANT: Deve mettere insieme le intersoggettività tramite la morale formale e lo stato di diritto.

Benchè fondato sulla distinzione fra uomo noumenico – l interiorità in cui vigono la libertà assoluta e il
comando morale- e uomo fenomenico , il lato empirico ed esteriore dell uomo, il pensiero politico di Kant
non contrappone politica e morale, ma le pone in relazione attraverso il diritto.

La morale Kantiana si basa sulla coincidenza tra libertà assoluta e dovere incondizionato che trova
espressione nell’imperativo categorico.

P.s. (Secondo Kant, gli esseri umani occupano uno speciale posto nella creazione e la moralità può essere
definita come somma ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, da cui tutti derivano tutte le
obbligazioni ed i doveri. Egli definì un imperativo come una proposizione che dichiara una certa azione (o
inazione) essere necessaria.

Un imperativo ipotetico costringe all'azione in determinate circostanze: se io desidero dissetarmi devo


assolutamente bere qualcosa.

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Un imperativo categorico, d'altro canto, denota un'assoluta e incondizionata richiesta che dichiara la sua
autorità in qualsiasi circostanza, entrambi necessari e giustificati come un fine in se stesso.)

L uomo è portatore di una volontà libera per la quale vige unicamente il principio “agisci in modo che la
massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione
universale” : insomma il dovere che il soggetto ha di agire come se fosse universale e, nel rispettare tale
universalità trattando ciascun uomo senza strumentalizzarlo . E’ questo un imperativo etico formale :
qualsiasi azione morale deve agire nel senso che ognuno deve rapportarsi agli altri come farebbe con se
stesso ; non usare gli altri come mezzi ma come fini della propria azione. Regola universale.

E’ importante notare che il soggetto morale, con la sua volontà assolutamente libera, è orientato al dovere
e non alla felicità.

In quanto uomini noumenici, esseri morali, gli uomini sono liberi e indipendenti, ma poiché esiste anche l
uomo fenomenico (dimensione empirica dell esistenza ), l uomo appartiene a due mondi. La storia politica,
nella sua forma empirica è sicuramente, per Kant la dimensione della forza e della violenza, ma l uomo ha
una destinazione morale, e pertanto deve agire in modo da realizzare nella realtà l idea morale di libertà.

LA POLITICA: la politica orientata alla morale resta il campo della forza e della obbligazione, ma com’è
possibile organizzare l obbligazione secondo ragione? Kant affianca all obbligazione morale, in cui consiste
la libertà interna (morale), un obbligazione politica che assume la forma del diritto.

Il diritto deriva dalla ragione pura pratica, intesa come la facoltà di agire secondo leggi universali, e funge da
ponte fra politica e libertà, tra individui esteriormente liberi in quanto sottomessi alla stessa legge e
interiormente liberi , in quanto aderenti all imperativo categorico. Insomma il diritto è la forma e al tempo
stesso l obbiettivo della politica, e domina tutti, anche i governanti che, in questo modo si autolimitano.

Inoltre la politica ha il diritto come fine : il suo scopo è appunto promuovere il regno del diritto, ossia
realizzare una condizione nella quale sia riconosciuta ad ogni individuo una sfera di indipendenza personale
protetta dalle leggi. Quindi, benchè non spetti alla politica instituire le leggi morali, essa non è un ambito
moralmente neutro anzi, è orientata alla morale.

STATO DI NATURA E CONTRATTO ORIGINARIO : Kant ricostruisce la genesi della politica non per stabilire
come essa si svolse (cioè secondo la forza), ma per indicare come essa debba svolgersi (cioè secondo
ragione) : secondo la ragione pratica( la morale) che è l’Essere ; e secondo la ragione politica,( il diritto), che
è invece il Dover Essere . Egli sostiene che lo Stato organizza la libertà esteriore, giuridica e fenomenica e
non la libertà interiore, morale, noumenica.

Lo stato di natura, non viene concepitO da Kant come una condizione pregiuridica, ma come l orizzonte del
diritto privato (quello naturale) come base a quello pubblico (ossia il diritto positivo dello Stato).

Nello stato di natura però manca un autorità legittima che dissipi le controversie ,quindi impedisce al diritto
di affermarsi in quanto tale, e cioè in modo certo e cogente per tutti. E poiché il diritto è una forma di
relazione tra uomini liberi dettata dalla ragione, il superamento dello stato di natura è necessario secondo
ragione.

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Questo superamento coincide con la affermazione della volontà generale , ossia con una condizione in cui l
esercizio del potere è legittimato dalle leggi, di conseguenza la prima cosa che ognuno è obbligato a
decidere, se non vuole rinunciare ad ogni concetto di diritto è: “se si deve uscire dallo stato di natura nel
quale ognuno fa di testa sua, e ci si deve unire con tutti gli altri al fine di sottomettersi ad una costrizione
legale entrando in uno stato civile.

Lo stato di diritto è la comunità razionale che per garantire a ciascuno la libertà affida le decisioni sul diritto
al potere pubblico, e non a quello privato, il quale prenderà le decisioni attraverso la legge universale. Ma
stabilire un ordinamento universale equivale a giustificarlo sulla base di una volontà generale, ed è per
questo che Kant ricorre al “contratto originario” promosso dalla volontà generale il quale stabilisce una
costituzione generale tra uomini che hanno deciso di rinunciare allo stato naturale.

La rappresentanza , ovvero la costruzione di un potere pubblico per contratto ha, anche in Kant la
conseguenza che la legge è frutto della volontà del sovrano, ma questo è obbligato a fare le leggi non in
modo arbitrario , ma come se derivassero dalla volontà collettiva del popolo. Il popolo dal canto suo è
tenuto in ogni caso a sottomettersi alla legge.

Anche se Kant riconosce al popolo diritti inalienabili, derogando ai quali, il sovrano commette un ingiustizia
nei confronti dei cittadini, questi diritti non hanno il significato di diritti coercitivi. Il popolo non ha alcun
diritto di resistenza poiché per giustificare un diritto simile dovrebbe esistere una legge pubblica che la
permettesse, cioè la legislazione sovrana dovrebbe contenere una disposizione secondo cui essa non
sarebbe più sovrana e il popolo, come suddito verrebbe dichiarato invece sovrano di colui al quale è
soggetto. Tutto questo è contraddittorio.

Questo non significa che al cittadino non debba essere riconosciuta la possibilità di esprimere dissenso nei
confronti dei decreti sovrani ingiusti. Il sovrano può essere criticato poiché esiste la cosiddetta “libertà della
penna”. Ma se questa critica non riuscisse a far modificare la legge al sovrano, l obbedienza resta sempre
dovuta .

Kant sostiene che il sovrano anche se non nasce dal patto , deve comportarsi come se in realtà lo fosse
stato , poiché l obbiettivo è che il potere si conforme alla ragione e si orienti attraverso il diritto, alla libertà;
il che non vuol dire che la politica debba rinunciare al potere.

STATO E DEMOCRAZIA: Lo Stato a cui kant pensa è <<stato di diritto>> , perché è fondato sul diritto all
interno del quale tutti gli uomini sono liberi ed eguali, ed inoltre perché è uno Stato che promuove il diritto
come unico bene comune cui dedicarsi. La politica è dunque la pratica del diritto che rende possibile la
conciliazione con la dimensione morale.

Kant non delinea il profilo di uno Stato realmente esistente, ma solo di uno conforme ai principi della
ragione. Esso è uno strumento funzionale alla garanzia dei diritti soggettivi delle persone, diritti ai quali le
leggi positive devono ispirarsi.

Questo Stato deve costituirsi in modo da garantire la libertà di ogni membro della società, l uguaglianza di
ogni membro con un altro, l indipendenza di ogni membro con un corpo comune; nelle dimensioni
rispettivamente di : uomo, suddito e cittadino.

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 LIBERTA’: Lo Stato deve impedire che l uomo serva anche solo esteriormente a fini altrui : non
significa impedire ad un individuo di obbligarsi verso terzi, ma l obbligazione deve essere libera e
reciproca. Qui Kant inserisce il cosiddetto impero parentale , cioè un governo paterno nel quale i
sudditi sono considerati come figli minorenni incapaci di decidere, e debbano aspettare che lo
Stato, nella sua benevolenza gli indichi come debbano essere felici. Questo è per Kant il peggior
governo possibile, poiché calpesta la soggettività morale degli individui.
 UGUAGLIANZA: lo stato di diritto deve garantire ad ogni individuo l uguaglianza dinanzi alla legge
 INDIPENDENZA: il cui bersaglio polemico è il governo dispotico- lo Stato deve offrire ad ogni
cittadino l opportunità di godere della propria indipendenza economica, sulla quale si fonda l
uguaglianza politica. In questo modo la proprietà viene ad occupare un ruolo centrale nel pensiero
Kantiano poiché, consiste nell assicurare all individuo il più ampio orizzonte possibile di libertà
compatibile con la libertà degli altri.

Per Kant diversamente da Hobbes la proprietà non è una creazione dello Stato e, diversamente da Locke
non è un concetto fondato sul lavoro. Essa si fonda sul possesso, che in un primo momento è un rapporto
puramente naturale e fisico tra l uomo e le cose e, in seguito, si trasforma in un rapporto intersoggetivo
regolato dal diritto . La proprietà sorge già nello stato di natura e, proprio per tutelarla gli uomini passano
allo stato civile, trasformando la propria acquisizione da “provvisoria” a “perpetua”.

Non è infatti, cittadino plenoiure chi non possiede una qualche proprietà che gli procuri mezzi per vivere e
sia costretto a cedere l uso delle sue forze a qualcun altro per riceverne un salario. E’ proprio Kant che
concepisce lo status economico.

Per quanto riguarda la struttura dello Stato Kant accoglie il principio della separazione dei poteri , e inoltre
distingue tra forma di Stato e forme di Governo. Della prima sono possibili solo tre tipi:
monarchia/autocrazia – aristocrazia - democrazia. Della seconda Kant pone l alternativa fondamentale tra
forma repubblicana e forma dispotica .

Il regime ideale è quello repubblicano, fondato sulla separazione dei poteri. Qui il vero potere sovrano
appartiene al legislativo, che può deporre o riformare l esecutivo, ma né il primo né il secondo possono
giudicare . Tale separazione è posta da Kant a fondamento del principio rappresentativo.

Il regime dispotico , invece, è caratterizzato dall esecuzione arbitraria delle leggi e dell uso da parte del
governatore della volontà pubblica come sua volontà privata. Questa è una forma di governo non
rappresentativa , e non conosce la separazione dei poteri tanto che il legislatore può assumere
contemporaneamente anche il ruolo di esecutore della propria volontà.

Kant afferma che anche la democrazia è dispotismo, perché ognuno vuole essere signore, il che rende
impossibile un sistema rappresentativo.

La democrazia degenera in dispotismo quando vi è identità tra reggitore e legislatore, e quando la volontà
unica del popolo come volontà sovrana pretende di valere immediatamente.

LA STORIA, L ILLUMISMO E L ORDINE INTERNAZIONALE: in Kant c’è l idea che il cammino dell umanità,
verso un ordine civile razionale sia inevitabile, come lo è il progresso della specie umana. Muovendo dal
presupposto che le azioni umane siano governate da leggi naturali universali, kant ritiene che nel
contraddittorio corso delle cose umane, sia possibile scoprire un disegno della natura , un filo conduttore
che fa da principio direttivo della storia e che si attua attraverso le azioni degli individui.

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In questa crescente espansione delle facoltà umane kant inserisce anche la sua valutazione della
rivoluzione francese che viene considerata secondo un duplice profilo: come fatto violento essa non può
essere giustificata perché, la violenza è appunto quell aspetto della politica che deve essere superato dal
diritto razionale; come risultato giuridico storico viene invece considerata da kant come la più significativa
manifestazione della tendenza storica ad una costituzione razionale. La rivoluzione è un atto di entusiasmo
e passione , da seguire con partecipazione, e nasce dal diritto di un popolo di darsi una costituzione che
esso crede buona.

La costituzione repubblicana, lo Stato di diritto, sono obbiettivi storicamente adeguati al tempo dell
illuminismo. L illuminismo, definito da Kant come il coraggio di sapere e come il fare uso pubblico della
ragione, è lo scopo della storia. Questo insegna a rispettare la razionalità e la libertà interne ed esterne dell
uomo , e non esprime tanto la vocazione ad emancipare l umanità da vincoli giuridici, quanto da quelli
politici: ogni potere che non consideri i membri della comunità politica come maggiorenni è incompatibile
con i principi razionali del diritto.

Tuttavia Kant distingue tra uso pubblico e uso privato della ragione. Il primo è l uso che ne fa uno studioso
dinnanzi all intero pubblico dei lettori; il secondo coincide con l impiego o con la funzione civile che gli viene
affidata. Se nel primo caso gli studiosi devono poter contare sulla piena libertà, nel secondo devono invece
ispirare la propria condotta alla volontà del governo.

L istanza ad entrare in uno stato civile regolato dal diritto non concerne unicamente i rapporti interni, ma
anche quelli esterni della comunità , che in quanto Stato in rapporto con altri Stati , si conserva in una
condizione di libertà illimitata. Nati dal contratto o dalla guerra che ha costretto gli uomini ad associarsi
anche contro il loro volere, gli stati non hanno tra loro rapporti necessariamente pacifici.

L ideale della pace si configura nello scritto del 1795 per la pace perpetua, come quella situazione in cui la
ragione umana è destinata a realizzarsi attuando un idea di progresso morale: non della morale in quanto
tale, che è assoluta, ma della disposizione umana a sottomettersi ai suoi comandi .

E’ proprio questa reciproca conflittualità tra gli stati ad essere immorale, irrazionale e ingiusta e a rendere
doverosa la pace perpetua, che non deriva da un sentimento di amicizia ma dalla logica esigenza morale.

Si deve quindi far in modo che il diritto internazionale consista nella sottomissione volontaria della
sovranità dei singoli stati alla legge internazionale , che non è esterna .

Se le condizioni negative della pace perpetua hanno a che fare con la forte attenuazione del carattere
assoluto della sovranità, quelle positive elencate da Kant sono: 1) la costituzione di ogni Stato deve essere
repubblicana, 2) il diritto internazionale deve fondarsi sopra una federazione di liberi stati, 3) il diritto
cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di un universale ospitalità.

Questa libera federazione di stati è una tappa intermedia rispetto all obbiettivo finale che è “una lega dei
popoli” . il diritto cosmopolitico, ovvero il diritto universale non degli stati , non dei popoli, ma delle
persone singole: si tratta del “diritto di visita” di accogliere e di essere accolti ovunque nel mondo senza
fare o subire sopraffazioni o colonizzazioni , e spetta a tutti gli uomini non per benevolenza ma in quanto
siamo tutti comuni possessori della terra.

SOCIALISMO (Link)
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Nel socialismo sono inseriti quei progetti di riforma sociale, fondati sullo sviluppo delle libertà individuali e i
diritti di uguaglianza, i quali sono due valori interconnessi, come in Rousseau. È una concezione che precede
il Comunismo.

Questo progetto è anche caratterizzato da una concezione solidaristica che nasce durante la rivoluzione
francese come fratellanza. Viene visto anche come MUTUALISMO che indica l’aiuto che un individuo può
dare a un altro. È basato sull’etica del lavoro e sulla dignità dell’uomo. Queste sono le caratteristiche
principali del socialismo.

I primi pensieri, idee si hanno già con Platone, il quale parla di uguaglianza degli uomini davanti alla legge e
di uguaglianza di distribuzione.

Harrington con Oceania e Moro con UTOPIA inseriscono il concetto di uguaglianza come COMUNITÀ DI
BENI, distribuzione delle terre. Comunismo e socialismo prevedono anche una comunanza di beni cioè non
si parla di proprietà privata, bensì di grandi magazzini dove uno va e prende cosa vuole.

Il primo che parla di socialismo (protosocialismo, cioè una fase iniziale del socialismo) è Owen, che fonda
delle piccole comunità in Inghilterra in cui il valore delle merci è il lavoro e non a mercificazione. Promuove
le prime forme di sindacato, ma non ha molto successo nel suo periodo (‘800), per andare contro lo
sfruttamento, la schiavitù, i lavoratori e la loro vita era molto precaria e si crea quindi disagio sociale e lo
Stato non ha ancora nessuna capacità per intervenire, per attenuare la situazione.

Da qui si inizia a parlare di SOCIALISMO UTOPICO, i vari autori sono moto coinvolti nella politica per
impedire lo sfruttamento dei capitalisti sugli operai e sfocia nel realismo con la creazione di vere comunità.
Da Marx e Hegel invece verrà interpretato in modo diverso.

Inoltre il socialismo sfocia in un'altra corrente cioè quello del CARTISMO, che è un movimento inglese nato
durante la Rivoluzione industriale che rivendica la carta del popolo per eliminare lo sfruttamento e
rivendicare il suffragio universale maschile, azioni di resistenza perché lo sciopero non è ancora istituito.
O‘Brian confronterà i lavoratori inglesi con gli schiavi e noterà che effettivamente sono allo stesso livello
perché non vi è protezione per infortuni, malattie. Queste sono delle ORGANIZZAZIONI LAICHE.

Sain Simon, padre del presocialismo , scrive nel 1822 “Il sistema industriale” ed è un positivista , quindi la
sua posizione è quella degli Illuministi. Crede nello sviluppo scientifico e razionale, studia infatti le varie
comunità da quella più semplice fino a quella scientifica dove gli individui si autogestiscono e la società si
fonda sulla SCIENZA, SOLIDARIETÀ e VERITÀ. Ignora la religione secondo i vecchi precetti, sono comunità
laiche, ma ci sarà una concezione razionale religiosa della natura. Lega il positivismo con il socialismo.

Fourier ha una concezione laica ed è un critico nei confronti della civiltà della macchina perché le istituzioni
imprigionano l’individuo, vede il matrimonio come una gabbia per l’amore, il lavoro schiavizza l’uomo.
Rifiuta il CAPITALISMO e l’INDIVIDUALISMO, ma per lui è importante la CONDIVISIONE e l’AMORE.

Cabet è un francese ed è un socialista utopista- egli scrive Viaggio in Icaria dove si parla dell’abolizione della
proprietà privata e quindi del COMUNISMO.

Luis Blanc è stato definito il primo social-democratico, è un rivoluzionario di professione. La sua idea che
troverà riscontro e mai effettuata nel’48 in Francia con l’atelier sociali, esempi di collocazioni,
organizzazioni che permettono di trovare lavoro.

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Marx e Hegel nascono dalla tradizione tedesca e da una impostazione filosofica, diversa da quelli
precedenti, hanno un pensiero più complesso e più completo basato su analisi e dati economici. Il
MANIFESTO del partito comunista viene commissionato nel 1847 a Marx e Hegel dalla LEGA DEI GIUSTI
(dopo Lega dei comunisti), un’associazione di intellettuali tedeschi che vivono a Londra, che si ispirano a
principi comunisti. Nel 1848 viene redatto e nello stesso anno ci sono rivoluzioni in tutta Europa.

La concezione marxista scaturisce nel SOCIALISMO SCIENTIFICO che si differenzia dal SOCIALISMO
UTOPICO. Mark e Hegel vedono gli autori visti fin ora come dei socialisti utopici perché non guardano alla
reale motivazione dello sfruttamento dell’uomo, non riescono a vederlo nell’ambito storico,
contestualizzarlo cioè perché lo sfruttamento è un passaggio obbligatorio per il capitalismo. La storia deve
essere vista da un punto di vista filosofico, di LOTTA DI CLASSI: patrizi e plebei nel mondo romano,
capitalisti e proletari. Questa lotta di classe trova conferme secondo Marx nel capitalismo e nei borghesi,
classe irruenta, oppressiva, che rivoluziona tutti i rapporti preesistenti come nella Rivoluzione francese.

La rivoluzione francese azzera tutto e ricomincia daccapo ed è ciò che fa anche la borghesia e Marx e Hegel
vedono l’elemento borghese nella rivoluzione francese più dei proletari in quanto questi sono guidati dai
borghesi. I borghesi radono al suolo le tradizioni, i valori, tutto quello su cui si basavano i rapporti sociali per
sostituirli con i criteri di interessi: valore delle merci, arricchimento, competizione individualista. Quindi dal
valore umano si passa al valore delle merci. Lo Stato è semplicemente appendice, colui che legittima e
organizza questa oppressione, dominio da parte dei borghesi e permette uno sviluppo libero del
capitalismo.

Questo diventerà la pietra miliare del socialismo. Da qui inizieranno ad esserci movimenti che seguono il
socialismo marxista fino ad arrivare al 1864 all’internazionale (unisce le neo formazioni socialiste) di Londra
dove tutti i neosocialisti vogliono lottare per abolire la schiavitù, eliminare l’oppressione. In Inghilterra si
andrà verso una prospettiva più pratica, di resistenza, per esempio scioperi, manifestazioni, contro
l’oppressione. In Francia invece si andrà verso una prospettiva mutualistica, si solidarietà. Si parlerà anche
di collettivizzazione dei beni.

Bakunin contrasta Marx già dal 1870 perché Marx aveva individuato nella classe operaia/proletaria la classe
che avrebbe rovesciato il capitalismo, Bakunin invece allarga questa concezione alle altre classi oppresse
(contadini, emarginati). L’internazionale che organizza la protesta è inaccettabile, ha una concezione meno
rigido per quanto l’orientamento politico. Se Marx aveva parlato dell’esistenza di Stato nella dittatura del
proletariato, Bakunin invece afferma che lo Stato non deve esistere ed è considerato uno dei capostipiti
dell’anarchismo.

Per Marx, la dittatura del proletariato è un processo intermedio tra stato borghese e comunismo, dove lo
Stato esiste, ma è retto e gestito dalla borghesia. Il processo intermedio è quello che ritroviamo nello
Stalinismo.

Nel XIX secolo c’è un processo di nazionalizzazione e in questa situazione il socialismo si pone come un
fattore che alcune volte sostiene e altre no la nazionalizzazione. La cosa più importante è che con il
passaggio dalla prima alla seconda internazionale si passa da una concezione socialista di lotta di classi a
una concezione di patito (attenzione all’organizzazione, decisioni prese democraticamente). Questo è ciò
cha accade nella seconda internazionale, è più integrativo al sistema democratico.

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Il primo tentativo di partito socialista avviene in Germania dove si uniscono il partito dei lavoratori e il
partito social-democratico nel 1875. Bismarck cercherà di buttarlo giù e farà un partito sociale, basato sul
welfare.

Kautsky farà un primo tentativo di far considerare il partito sociale non solo come di una classe ma del
popolo e il partito diventa importante per SOCIALIZZAZIONE DELLE MASSE, educarle per avere un
cambiamento rivoluzionario, idea presente anche in Marx.

Nel ‘900 Berstein non vede più come obiettivo del partito socialista la rivoluzione ma la riforma in modo
tale che le masse abbiano un ruolo di partecipazione. Nel ‘900 ci si rende conto che alcune previsioni di
Marx non si sono avverate cioè non c’è la disgregazione sociale, né la lacerazione tra chi è sfruttato e chi
sfrutta, non c’è stata la rivoluzione da parte dei lavoratori perché non ci sono stati i presupposti stabiliti da
Marx.

Si avrà quindi una situazione di disagio per il partito socialista poiché ci saranno teorie anarchiche prima, il
Comunismo e Socialismo poi: durante il NAZI-FASCISMO saranno ancora in conflitto e poi con Lenin e Stalin
si crea ancora di più questa spaccatura tra comunismo e social-democrazia, che ha avuto una accelerazione
nei paesi del Nord-Europa, hanno promosso il welfare.

LIBERALISMO (Link)

Locke e Kant fanno parte di questa linea di pensiero.

Il liberalismo comprende quei diritti individuali antecedenti allo Stato, il quale deve proteggere questi diritti,
ma non modificarli o/e eliminarli. Non ne fanno parte i DIRITTI SOCIALI poiché lo Stato interviene
(pensione, malattia, maternità, welfare). Per Locke i diritti fondamentali sono LIBERTÀ, VITA e PROPRIETÀ.

Il termine liberalismo nasce nell’800, i padri sono autori precedenti che danno luogo a questa concezione.
Gli individui vengono prima dello Stato e cedono i loro diritti a un terzo che li detiene finché li rispetta se no
è potere illegittimo. È un sistema politico ed economico che serve a tutelare la borghesia (ascesa. Libero
scambio).

Laski parla dei GENTRY, piccoli proprietari terrieri nel ‘500 in Inghilterra. Questa non può essere considerata
borghesia perché aspirano a diventare parte della aristocrazia e nasce nell’ambiente agricolo e non nelle
città. Si parla anche di processo di industrializzazione che porterà alla creazione dei gentry.

Non si può partire solo dalla base cioè dal cambiamento economico, ma bisogna guardare anche il contesto
storico del ‘500/’600 dove troviamo le lotte di religione e si inizia a parlare di tolleranza.

Le parrocchie detengono il potere politico ed amministrativo, infatti questi gruppi religiosi (Puritani,
Cromwell) entrano a far parte del gruppo politico.

La libertà di pensiero va a chiedere la limitazione del potere del monarca.

Le gentry e le lotte di religione permettono l’origine del pensiero liberale.

Locke vede il potere politico come un potere fiduciario e la libertà di stampa, la giustizia per esempio sono
mezzi per limitare il potere del monarca.

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Kant pensa che “nessuno mi può obbligare ad essere felice a modo suo”; vede la libertà tramite la legge,
autonomia, mancanza di servitù mentale  STATO DI DIRITTO unito alla LIBERTÀ.

Constant è un rivoluzionario francese e pensa che la sovranità appartiene al popolo, ma pone due limiti:

1. Rispetto delle minoranze: le minoranze potrebbero un giorno diventare maggioranze e alcune volte
li maggioranze possono anche aver torto.

2. Rispetto della proprietà privata: critica Rousseau perché qualcuno dovrà pur far parte del governo
(politico) perciò non saranno tutti uguali e per tutelarli serve la proprietà privata.

Liberalismo e proprietà:

Locke crede che la proprietà privata non possa essere ostacolata da nessuno ed è intesa in un senso più
ampio cioè libertà di pensiero, alla vita…

Constant contrappone il diritto non innato al liberalismo, ma solo attraverso il riconoscimento dello Stato e
degli altri attraverso il POSSESSO. (Rivoluzione francese  spezzettamento dei latifondi in piccoli terreni più
gente ricca  Dinamica)

John Stuart Mill  la società deve permettere di guadagnare il proprio posto, combattere per avere i
propri bene, quindi si parla di pluralità, di collettivizzazione attraverso i sindacati che devono gestire le
fabbriche e devono essere in concorrenza tra di loro (ANTI-STATALITÀ)

EREDITARIETÀ BENI IMMOBILI non per eredità perché è ingiusto, si va a creare uno spreco della
ricchezza.

Il liberalismo promuove la pluralità.

Kant parla si socievole e insocievole, quindi la competizione migliora la società e origina il progresso.

Humboldt crede che la competizione deve mantenere, promuovere la diversità individuale. Non vuole che
ci sia lo sviluppo della burocrazia perché vuole limitare le azioni dello Stato

Tocqueville sviluppo umano attraverso il dibattito con gli altri nell’ambito politico, quindi confrontarsi
perché la verità non ce l’ha nessuno, bisogna vedere attraverso altre prospettive e rispettare le minoranze.

Liberalismo e democrazia

Humboldt intende la democrazia come una volontà popolare che non deve tener conto delle minoranze ed
è una grossa limitazione e involuzione per lo Stato.

Tocqueville crede che la democrazia renda tutti gli uomini uguali e ci sarà il benessere anche se saranno
forse meno liberi. Solo la maggioranza e la pluralità verrà a mancare. Gli individui sanno CONFORMISTI e
APATICI (tutti uguali ed essendo apatici si può arrivare facilmente al DISPOTISMO).

Questo conflitto viene ripreso da Bobbio il quale dice che uguaglianza e libertà non vanno d’accordo: il
welfare entra nell’ambito della proprietà privata e in effetti va in contrasto con il liberalismo. Impigrisce i
cittadini e quindi evitano di produrre ricchezza

Altri accettano l’intromissione dello Stato per garantire la sussistenza di quelli più disagiati, si parla di
criterio di MERITOCRAZIA.
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Croce differenzia il LIBERALISMO POLITICO dal LIBERALISMO ECONOMICO e crede nel rispetto della libertà
di opinione (anche nei sistemi non liberali).

LA QUESTIONE SOCIALE :

nel corso dell’Ottocento ,tra 1830 e 1848, i dibattiti che si svilupparono in Francia, Germania e Gran
Bretagna attorno al tema del peuperismo registrano i caratteri del nuovo oggetto destinato a dominare gli
sviluppi del pensiero politico nel secolo: la miseria e lo stato di bisogno affliggono masse enormi di
lavoratori ,da cui dipende, in buona misura, la creazione della ricchezza del nuovo mondo industriale.

La distinzione fra “classi laboriose” e “classi pericolose” attorno alla quale le politiche di polizia tentarono
di isolare l’ elemento “criminale” all’interno della popolazione delle grandi città in espansione , è
continuamente sfidata dal rischio che proprio una parte importantissima delle classi laboriose (classe
operaia, proletariato industriale ) si ponga come minaccia dell’ordine costituito.

Nella prima metà del XIX secolo, la scoperta e analisi della questione sociale comportano sia la ridefinizione
dei saperi e delle tecniche di governo sia lo sviluppo delle prime organiche proposte di riforma economico-
sociale e dei primi sistemi di pensiero socialisti e comunisti.

Uno dei primi pensieri che si affermano in questo periodo è quello Jean Charles Leonard Simonde de
Sismondi il quale afferma che è compito del potere sociale e del legislatore intervenire per temperare le
disuguaglianze e consentire agli uomini di partecipare ai benefici prodotti dalla nuova organizzazione
sociale.

Per quanto riguarda i sistemi di pensiero socialisti, questi furono definiti “utopistici” , e gli elementi che
accomunano i pensieri di questi autori furono :

-critica delle crescenti disuguaglianze sociali legate a capitalismo

.-fiducia in un’ organizzazione razionale e scientifica della società e dell’economia che avrebbe consentito di
realizzare ideali di giustizia.

In Inghilterra, dove il movimento si sviluppò nei tardi anni 30, con lo sviluppo del Cartismo (da Carta del
popolo , per la fine dello sfruttamento e del suffragio universale maschile) , spicca la figura di :

Robert Owen , lui stesso capitano d’industria, introdusse riforme e organizzazione su base cooperativa
nella fabbrica tessile, di cui era proprietario. Egli studia le piccole comunità in cui li valore è dato dal lavoro,
promuove le prime Trade Unions (sindacati) . I lineamenti di fondo del suo pensiero si basano sulla
convinzione che il carattere dell’uomo sia prodotto dall’ambiente sociale che lo circonda, privilegia
l’interesse della comunità rispetto a quello del singolo o del profitto, e si muove a tutela degli individui che
si muovevano dalle campagne alle città per lavorare nelle industrie e finivano con l’essere sfruttati dai
capitalisti senza alcuna tutela.

In Francia il socialismo, parte con gli scritti rivoluzionari di

 Charles Fourier : lui non nutriva fiducia nella lotta di classe ma preferiva affidare a esperimenti
finanziari il compito di prefigurare il futuro razionale della società. Fourier accusa il sistema
capitalistico , di ridurre in una condizione di schiavitù i lavoratori e di promuovere attività

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parassitarie come operazioni finanziarie e speculative. Afferma che la civiltà a lui contemporanea,
rappresenta solo una tappa intermedia di degenerazione, tra Eden e futura armonia, arrivando a
privilegiare un “ ritorno alla vera legge della natura” , in base a cui gli individui si inquadravano in
piccole comunità produttive, raccolte in “ falansteri “ , dove essi avrebbero potuto dispiegare
armonicamente le loro passioni, riorganizzando la propria esperienza erotica in base a principio
libero amore.
 Pierre –Joseph Proudhon : nella sua concezione ,la proprietà è un furto. Il fulcro del suo pensiero è
la concezione mutualistica e cooperativa dell’ordine sociale che oscilla tra anarchia e federalismo.
Il suo obiettivo è una riforma completa che trasformi i capisaldi dell’ordine sociale capitalistico,
criticato in nome di un diritto naturale dell’operaio alla proprietà degli oggetti che produce. È
convinto che i difetti del capitalismo derivano dal valore attribuito allo scambio monetario, al
capitale finanziario e al sistema creditizio, quindi propone come istituto fondamentale della nuova
società il credito gratuito : una banca popolare che emette senza interessi, buoni convertibili in
merci, rendendo superflua la moneta.

In Germania giunsero le diagnosi più lucide della nuova situazione che si basava sull’ industrializzazione. Si
svilupparono 2 filoni di pensiero politico- liberale :

1. quello tedesco-settentrionale di impronta storicistica, il cui maggior esponente è Friedrich


Chrristoph Dahlmann. La sua politica è fondata sullo studio del ceto medio , largamente diffuso e
sempre crescente, visto come elemento capace di unificare attorno a se la società nel suo
complesso e di attuare un progresso moderato.
2. quello tedesco – meridionale , il cui esponente è Karl Rotteck, di ispirazione razionalistica e
giusnaturalistica. Nei suoi scritti abbiamo un accentuato individualismo che produce l’ immagine di
una società coincidente con la somma degli spazi di libertà dei singoli.

Entrambe le correnti condividono l’ immagine di una Società come spazio libero, ed entrambi avevano
posto dei limiti precisi nella proposta di civilizzazione è liberalizzazione dello stato ,come ad esempio il
rispetto delle forme storiche di organizzazione politica ( monarchia). Questi limiti iniziarono a essere
superati nel nuovo clima che si creò con la divisione della scuola hegeliana, avvenuta sulla critica alla
religione e su interpretazione del detto di Hegel “ il reale è razionale” . i filosofi della sinistra, lo
interpretarono in senso critico e progressivo come se volesse dire “ il reale deve diventare razionale”

Fra gli autori che si riconobbero nella “ sinistra hegeliana” o “i giovani Hegeliani” abbiamo:

Arnold Ruge : il Rapporto tra razionale e reale diventa il principio di una critica di tutte le esistenze
storiche. Critica direttamente il mondo della politica : lo stesso liberismo tedesco è da lui accusato di essere
sceso a compromessi umilianti con lo status quo, di aver pensato a una libertà concessa dall’alto, e di non
aver capito che il concetto stesso di popolo porta ad un annullamento della casta e delle barriere di
classe.

Ludwig Feuerbach : critica dell’alienazione religiosa, ovvero delle modalità attraverso cui l’ uomo,
proiettando la propria essenza fuori di se, nell’esteriorità di un immaginario essere divino , finisce con l’
essere dominato da quegli stessi attributi umani resi autonomi dal soggetto creatore.

Bruno Bauer : critica anche maggiore sull’ alienazione religiosa. Lui imputa al cristianesimo di aver
introdotto nel mondo la coscienza infelice, di aver presentato il dolore come un destino ,per l’uomo, e di
aver postulato il primato delle leggi eteronome sulla libertà.
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Wilhelm Weitling : prima formulazione teorica tedesca di un sistema socialista, fa parte della lega dei
proscritti, fondata a Parigi.

Lorenz von Stein : promuove in Germania la consapevolezza della minaccia, esprime la convinzione che
nel grande laboratorio politico dell’Europa continentale, cioè in Francia, sia passato il tempo dei
movimenti politici, e se ne stia preparando un altro: cosi come un ceto del popolo si era sollevato contro lo
Stato, cosi ora una classe di esso medita di rovesciare la società . La plebe hegeliana , nel suo pensiero,
diventa classe e si appropria del concetto di UGUAGLIANZA infondendo in esso contenuti nuovi dell’ordine
borghese. I proletari , si sono separati dai poveri.

Mentre i poveri non hanno nulla che gli appartiene e anche fisicamente non riescono a lavorare, i proletari
hanno forza –lavoro e volontà per usarla.

Nel suo pensiero, la Società si presenta organizzata intorno ai principi della dipendenza e della libertà ,
conseguenza dello scontro tra capitale e lavoro. Ciò provoca tensione tra i principi di libertà e uguaglianza
incarnati da Stato e dal Diritto , che ,proprio il movimento sociale del proletariato cerca di risolvere facendo
coincidere uguaglianza formale e uguaglianza materiale. Von Stein è nemico della rivoluzione sociale ma
pensa che l’ avvento del proletariato installi la questione sociale nel cuore del problema politico, per
questo lui ritiene urgente edificare una “ scienza della società” che individui le condizioni per un
armonico inserimento del proletariato nell’ordine sociale, privandolo dei caratteri più minacciosi.

Sotto il profilo politico invece, Stein afferma che lo Stato deve predisporre un attività amministrativa , che
abbia come oggetto centrale l’ elevare le classi più basse . Lui propone la “ monarchia sociale”, come base
per un “riformismo statale”, che, in Germania sembra trovare attuazione nel governo di Bismark alla fine
del secolo .

IL POPULISMO

La prima definizione di populismo è quello russo nel ‘800 .Nasce all’interno di una società rurale non
sviluppata dove si sviluppano idee marxiste e socialiste e l’ideale del populismo è restaurare la vecchia
società rurale (valori tradizionali, arcaici) e di vedere questo tipo di società come il modello del socialismo.
Secondo i populisti non c’era bisogno del passaggio ad una società industriale perché proprio questa
società rurale sarebbe stata in grado di istituire una nuova società comunista e quindi in una società dove
non si è sviluppato il capitalismo.

In questa prima definizione vi è una società arcaizzata da contadini e quindi un modello ideale che
corrisponde al passato cioè nel futuro è visto come il passato. La politica si basa su valori ideali quali:
solidarietà, moralità e giustizia sociale e il popolo detiene la sovranità ed è un corpo unico in cui le
individualità sono viste in secondo piano.

Nei populismi vi sono due idee di popolo:

1. Sovranità del popolo cioè idea di democrazia, Costituzione americana e quindi popolo come fonte di
sovranità;

2. Idea escludente di popolo su basi etniche, razziali, produttive ad esempio popolo come comunità di
produttori che esclude quelli che produttori non sono.

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Sono due idee diverse, una universalista e l’altra ristretta, e vengono ad avere un rapporto particolare in
quanto il populismo comprende entrambe queste idee anche se spesso sono confuse e in conflitto tali da
mobilitare il popolo in maniera inconscia. Il populismo russo viene sconfitto dai bolscevichi nel 1917. Il
bolscevismo russo riprende le idee marxiste del comunismo e cioè della rivoluzione proletaria che deve
avvenire dopo l’industrializzazione; questa corrente del populismo non scomparirà ma verrà messa da
parte.

Il populismo americano si sviluppa nel 1892 e importante è il partito People party che si rifà ad una
corrente interna americana. Vi è un’idea forte di popolo infatti il popolo americano è visto sia come popolo
uguale , sia come fonte di legittimità; molti sono i pensatori americani che denunciano molte forme di
potere o tutto quello che è fonte di disuguaglianza. Sostenitori di questo partito sono gli agrari ma anche gli
operai e la classe borghese bianca. Quest’ultima si sente minacciata del suo status sociale e teme di essere
considerata al pari dei neri . Nel populismo americano inizia questa dialettica fra ordine e rivoluzione e fra
mantenimento della sicurezza sociale e richiesta di sovranità in cui quello che vige è l’elemento dell’ordine.

In Europa si parla di populismo in riferimento al fascismo cioè come forma ideologica del fascismo e cioè
legittimare un’idea di potere. Si parla male di populismo in Germania perché si parla di totalitarismo.

Ha successo il populismo nei paesi dell’America Latina (Brasile, Argentina, Cile) dove si sviluppa in base ad
una società in transizione di tipo agraria e capitalista e ciò porta a una battaglia da parte della classe media
per mantenere i privilegi e l’ordine, dato che questa si sente minacciata dall’avvento del capitalismo. Questi
sono regimi militaristici che arrivano al potere con l’aiuto dei militari e quindi con la forza e a differenza di
quello che si sviluppa in Europa, questo è un populismo che accelera i processi di modernizzazione e per
alcuni studiosi è come una società che si apre.

Infine importante è il neo populismo attuale (ad esempio: Lega nord, Berlusconi, Grillo) che può essere
confrontato con quello del People party o del fascismo e non con quello russo. Vi è un’idea duale di popolo:
popolo come fonte di legittimazione politica e popolo come forte connotazione identitaria. Con il neo
populismo si intendono quei partiti che sono al di fuori della dicotomia sinistra e destra, si oppongono al
sistema politico e alla società in cui vivono, instaurano un rapporto carismatico tra capo e elettore ove si
utilizzano strumenti di propaganda politica, c’è mobilitazione e non partecipazione alla politica, possono
includere o escludere l’idea di popolo e sono partiti antisistemi perché contro i sistemi parlamentari,
l’Unione Europea, rifiutano l’idea di voto.

LINK

Il termine ‘populismo’ corrisponde alla parola russa narodnicestvo, la quale deriva da narod, ovverosia
‘popolo’. In Russia si diffuse anche il termine narodnik, ovverosia ‘populista’. Negli anni settanta dell’800 il
movimento cui faceva riferimento la nuova parola, sino ad allora un insieme di teorie politico-sociali e di
realtà oggettive, assunse una visibilità che lo rendevano al suo interno omogeneo, distinguendolo dal
movimento socialista europeo. Gli anni settanta si aprirono con la morte di Herzen, l’uomo che, nell’esilio,
aveva rappresentato il movimento democratico e socialista russo e fu lui che cominciò a individuare nel
patrimonio comunitario dei contadini russi il punto di partenza della rigenerazione sociale in Russia.
E’ comunque con il fallimento in Occidente delle rivoluzioni democratiche del 1848-1849 che si può far
datare l’inizio di un approccio ‘populistico’ allo sviluppo delle idee rivoluzionarie in Russia, un approccio che
è stato innescato da una risposta alle sfide vincenti (lo sviluppo) o alle sfide abortite( l’avvento della
democrazia) ,delle aree geoeconomiche considerate storicamente più evolute.
Se lo sviluppo industriale era in Occidente l’alleato dell’emancipazione operaia e della marcia verso il
61
socialismo, nell’ Europa orientale, per i populisti, era considerato la possibile causa di un deragliamento
strutturale che avrebbe potuto anche inquinare e nel tempo demolire il comunismo contadino autoctono.
Nel mondo moderno e contemporaneo il ‘popolo’ diventerà la totalità della popolazione, resa compatta in
taluni casi dal concetto forte di nazione, e il luogo sociale-universale da cui verranno fatte scaturire la
sovranità e la rappresentanza. Tutte le sfaccettature e le propensioni, del pensiero democratico e socialista
occidentale, sono state comunque recepite dal populismo russo, il quale ha mantenuto la propria
fisionomia e le forme organizzative, sospinto dall’evoluzione storico-sociale della Russia e anche grazie alle
suggestioni assorbite dalla cultura filosofica, politica e letteraria occidentale. Il populismo non poté dunque
emanciparsi dall’Occidente e il socialismo ‘occidentalizzato’ russo non poté, a sua volta, emanciparsi dal
populismo. Lo stesso Lenin considerò la socialdemocrazia russa come la sola erede legittima del populismo
rivoluzionario. Il People party sorse come reazione dei piccoli contadini e in genere dai piccoli proprietari
contro lo strapotere del sistema bancario e della grande finanza plutocratica; fu, nei primi anni novanta, il
punto terminale di una vasta protesta agraria, originata negli ultimi tre decenni del secolo dalla crisi sociale
e morale succeduta nel Sud alla guerra civile, ma anche dagli effetti della ’grande depressione’. Il termine
populismo cominciò ad assumere, nella lingua inglese, sfumature negative e tali sfumature erano destinate
a persistere. Già nella seconda metà degli anni novanta alla parola in questione venivano associati significati
che tendevano a connotare il populismo come un fenomeno accostabile al paternalismo e alla demagogia.
E se in russo il termine populismo veniva sempre collegato a una forma di socialismo, ora il termine si
bipartiva in due realtà contigue ma differenziate per referente e per significato. Per un verso, sul versante
oggettivo, dal punto di vista della sociologia della modernizzazione, esso stava a significare una sorte di
sindrome che si impadroniva della ‘piccola’ gente in una situazione di disagio economico ove il populismo
rappresentava una forma di resistenza, alle difficoltà e ai traumi, anche psicologici, di un dirompente
mutamento sociale. Per un verso, sul versante soggettivo, dal punto di vista della sociologia della
conoscenza, il populismo rientra a pieno titolo nella storia delle ideologie.
In Italia il termine populismo, penetrò dopo la prima guerra mondiale e in modo particolare all’inizio degli
anni venti. Sul terreno letterario, il termine ebbe, in Francia, qualche risonanza positiva e fu proprio il
cinema francese della seconda metà degli anni trenta a incarnare al meglio l’indirizzo artistico che non
aveva temuto di autoproclamarsi ‘populistico’. Gramsci intervenne su questi movimenti letterari francesi
‘verso il popolo ’ definendoli tendenze populiste, oltre che idealizzanti.
Il popolo, per i fascisti italiani, costituiva un’unità genetica che consentiva a ogni appartenente di uscire
dalla sua singolarità per ritrovarsi in una realtà che lo includeva. Il populismo fu sempre nazionalistico,
talvolta volto a esaltare la tradizione antichissima di un popolo, talvolta, almeno ideologicamente,
antimperialista e antistatunitense. A differenza che in Russia e negli Stati Uniti, il populismo latino
americano è stato però fatto iniziare, in sintonia con la dinamica strutturale del subcontinente, nel periodo
della prima guerra mondiale e fu sempre in antitesi ai movimenti russo e nordamericano, un fenomeno
urbano, che coinvolse masse di immigrazione nella città. Si trattava di masse non tutelate sino a quel
momento da alcun sindacato e prive di integrazione sociale. Nell’America Latina la spinta definita
populistica è sembrata essersi esaurita: prima, tra gli anni sessanta e settanta, a cause di svolte autoritario-
reazionarie promosse da organismi oligarchici e dittature militari e poi negli anni ottanta a causa di una
riproposta considerato lo scenario sociale attraversato da macroscopiche diseguaglianze della democrazia
rappresentativa e del riformismo.
Quanto al populismo, si avvertiva che esso non andava inteso nel senso storico, ma nel senso più
strettamente sociologico, col fine di cogliere l’apparire di un’atmosfera attraversata da idee semplici e da
passioni elementari, da un diffuso antintellettualismo e dalla rivolta contro lo specialista, l’esperto, lo
studioso. La caduta dei comunisti avrebbe poi mutato le cose e generato nell’Est europeo flussi di
partecipazione politica e di arroccamento sociale che sarebbero stati definiti ‘nazionalpopulistici’. Il
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populismo sarebbe però diventato in realtà, e non solo in Italia, trionfo dell’omogeneo sempre mutevole,
dell’indistinto, del ‘senza radici’. Si sarebbe affermato, secondo i sociologi, il regno della moltitudine, frutto
della globalizzazione che fa implodere le masse, affossa le appartenenze, produce spaesamento. L’ultimo
arrivato tra i populisti sarebbe così un populismo senza popolo, un populismo forse perfetto.

MARX : nato a Treviri nel 1818 da una famiglia di ebrei. Redattore di una gazzetta di stampo democratico,
lasciò la Germania quando fu istituita la censura che soppresse il giornale. Si trasferì prima in Francia poi in
Belgio dove aderì alla “lega dei Giusti” . Con le rivoluzioni europee del 48 tornò in Germania per rifondare
la Gazzetta, ma vi restò poco tempo, trasferendosi successivamente a Londra dove morì nel 1883.

Il suo pensiero è un cantiere aperto, disseminato di frammenti e abbozzi inconclusi. Immerso nello studio
del materialismo, la società moderna si rivela a lui come una guerra di tutti contro tutti, che ha come
principio e fondamento “l’ egoismo sociale tra le classi”.

La società è divisa in 2 campi : borghesi e proletari, e la politica percorre nelle forme della guerra l’intero
spettro dei rapporti sociali, ed è proprio questo a determinare il suo passaggio politico da radicalismo
democratico a comunismo.

la sua analisi si precisa sul concetto di “ classe”, infatti afferma che, ciò che contraddistingue la società
civile è il principio dell’interesse privato e soprattutto l’antagonismo sociale tra classi . La critica che fa alla
distinzione tra società civile e Stato si precisa come critica di una scissione, di una alienazione che passa
all’interno stesso di ogni uomo , separando la sua vita nella comunità politica ( in cui si considera ente
comunitario) dalla sua esistenza quotidiana nella società ( in cui agisce come uomo privato, che considera
gli altri uomini come mezzo , degrada se stesso a mezzo) . Da questo mezzo deriva la convinzione che ogni
prospettiva di emancipazione solo politica è insufficiente e impedisce la liberazione genuinamente umana ,
possibile solo in virtù di un superamento della separazione tra società civile e stato.

Qui cominciano a manifestarsi i motivi che di li a poco lo avrebbero condotto ad una rottura con la sinistra
hegeliana , accusata di essersi arrestata alla “critica del cielo”, cioè di essersi limitata a interpretare il
mondo, mentre ora si tratta di trasformarlo .

Lui inizia a indagare l’alienazione non più solo politica ma anche economica . Il lavoratore perde il controllo
del mondo esterno proprio mentre la sua attività diviene centrale per la produzione di quel mondo. Questo
spinge Marx a concentrarsi su un soggetto parziale : “ la classe operaia, il proletariato”, la quale, in virtù
della propria oggettiva posizione nel sistema capitalistico della produzione, custodisce il segreto sia
dell’assoggettamento che della liberazione .

Per tutta la vita, Marx rimane convinto che nella moderna società capitalistica , per le sue contraddizioni
strutturali, si forma una classe proletaria, che è in grado di ergersi a soggetto storico di una rivoluzione che
abolisce il dominio di tutte le classi insieme con le classi stesse. Quella comunista è l’unica società in cui lo

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sviluppo originale e libero degli individui, non è solo una frase ed indica come sua modalità storica di azione
, l’abolizione della proprietà privata.

La proprietà privata, deve essere abolita nella società comunista non come facoltà dei singoli individui di
appropriarsi dei prodotti sociali, ma come base che consente alla borghesia di appropriarsi del lavoro
altrui.

2.2 LA STORIA: CRITICA ALL ‘ IDEOLOGIA: A suo parere, la storia di ogni società esistita fin ora è la
storia di lotte di classi.
È così che inizia il primo capitolo del “ manifesto del partito comunista “ del 1847 scritto da Marx
ed Engels. Nucleo centrale della concezione materialistica della storia, è che Il comunismo, è
presentato come quel movimento volto ad un possibile superamento di quella struttura sociale
che pone l’ intera storia umana sotto il segno del dominio dell’uomo sull’uomo.
Marx vede la produzione economica e la struttura sociale che ne deriva, come la base per la storia
politica e intellettuale di quell’epoca. Muovendo dal presupposto che è la vita che determina la
coscienza, Marx ed Engels affermano che si parte dall’analisi dagli uomini realmente “operanti”,
sulla base del processo reale della loro. Le ideologie sono infatti in tutte le loro espressioni, morali,
religiose ecc, sublimazioni del processo materiale della loro vita, legato a presupposti materiali. La
funzione dell’ideologia è quindi il legittimare i rapporti di domino e le idee delle classi dominanti.
La concezione materialistica della società e della storia si riduce a uno schema secondo cui la
struttura economica condiziona in modo automatico ogni sovrastruttura , e questo fa si che nella
produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati e necessari,
indipendenti dalla loro volontà. Questi rapporti di produzione corrispondono a un determinato
grado di sviluppo delle loro forza produttive materiali e l’insieme di questi rapporti di produzione
definisce la struttura economica della società – IL c.d. MODO DI PRODUZIONE.(Lui distingue 4 modi
di produzione : “ asiatico, antico, feudale, borghese moderno”) .
Secondo M., questo è il processo di sviluppo delle forze produttive nella storia di una formazione
sociale, e , ad un certo punto, quando questa società avrà sviluppato tutte le forze produttive a cui
può dare corso , entrerà in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti , portando ad una
rivoluzione sociale . Cioè: cambia la base economica e di conseguenza si sconvolge la
sovrastruttura sociale .
Queste frasi sembrano porre la rivoluzione comunista come esito automatico e necessario dello
sviluppo del modo di produzione capitalistico, definito come “ ultima forma antagonistica del
processo di produzione sociale”. Al riguardo M. scrive “. Gli uomini fanno la propria storia, ma non
la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro , ma nelle circostanze che essi trovano
davanti a se, determinate dai fatti e dalla tradizione” .
2.3 IL “MANIFESTO”: Nell’ideologia tedesca si afferma che “ i singoli individui formano una classe solo
perché devono condurre una lotta comune contro un'altra classe, e questo pone le basi per la
distinzione tra “ classe in sé” ( che risulta dall’oggettiva posizione sociale degli individui) e” classe
per sé” (la quale acquisisce conoscenza e si pone come soggetto politico).
I comunisti lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia,
affiancandosi ad altri partiti ,non mancando mai, però, di risvegliare negli operai l’esistenza
dell’antagonismo ostile esistente tra borghesia e proletariato. La concezione di comunismo, per
Marx, rimane invariata nel tempo, ma invece, si modifica l’orizzonte temporale al cui interno
inserisce la rivoluzione comunista. Da questo punto di vista, Il Manifesto è pervaso dalla

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convinzione di un imminente crisi generale del capitalismo , grazie a cui si sarebbe presentata una
situazione favorevole per la presa di potere del proletariato.
Al riguardo, Marx considera la rivolta francese del 1848 , come l’avvenimento più grandioso nella
storia delle guerre civili, poiché rappresenta la prima prova , il primo passo del nuovo soggetto
storico che si andava affermando.
2.4 LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA: con l’espressione “ feticismo della merce” , M. intende
denotare un “ apparenza socialmente necessaria”, un modo di presentarsi della realtà economica
che ha un oggettiva necessità nella struttura del modo di produzione capitalistico. La merce, come il
denaro, è una delle principali “astrazioni reali”, che nella loro semplicità, ricapitolano in sé tutto
l’insieme dei rapporti sociali. la merce è prodotta da un determinato lavoro umano, e ha un suo
specifico valore d’uso, una sua utilità per il compratore; su questi aspetti prevale l’oggettività del
valore di scambio che deriva dal fatto che la merce si pone come una cristallizzazione di una
quantità di “lavoro astrattamente umano”.
La merce si rivela una cosa imbrogliatissima, il suo carattere di feticcio sta proprio nel fatto che nel
suo valore di scambio, espresso di solito attraverso il prezzo in denaro, i rapporti sociali esistenti
sono presentati agli uomini come un rapporto tra cose-- le merci restituiscono ai produttori un
immagine rovesciata dei caratteri sociali del loro lavoro.
Nella sfera dello scambio della società capitalistica ,gli uomini intessono le loro relazioni reciproche
attraverso relazioni contrattuali, ma è nel processo produttivo che viene consumata la merce forza-
lavoro. Attraverso il contratto infatti, l’operaio vende questa sua merce liberamente al singolo
capitalista. Questa non è intesa come lavoro concreto svolto giorno dopo giorno, ma proprio come
l’astratta capacità di lavorare, e il suo prezzo (il salario) è la misura di questa astratta capacità
quantificata su quanto è necessario a riprodurla.
Marx definisce lavoro necessario la parte della giornata lavorativa consumata a questo scopo e
plus lavoro la parte di giornata lavorativa in cui operaio lavora oltre i limiti del lavoro necessario
senza produrre alcun valore per sé. Il plus lavoro crea plusvalore , che sorride al capitalista ,e
l’appropriazione da parte del capitalista di questo plus valore porta lo sfruttamento.
Il capitalista per rendere più lunga possibile la giornata lavorativa, fa valere il suo diritto di
compratore della forza lavoro.
Qui per lui nasce l’antinomia del diritto contro diritto : Fra diritti uguali decide la forza , cosi la
durata della giornata lavorativa si presenta come l’ esito della lotta tra capitalista collettivo(classe
dei capitalisti) e operaio collettivo ( classe operaia). Il suo concetto di sfruttamento è dinamico. La
quota di lavoro necessaria alla riproduzione della forza lavoro, al capitalista si presenta come
prolungamento della giornata lavorativa, e quello cosi ricavato è definito da M. come plus valore
assoluto. Attorno alla durata della giornata lavorativa si combatte una guerra . Al capitalista si
presenta un'altra possibilità di ricavare plus valore , e cioè accorciando il tempo di lavoro , con
l’utilizzo della tecnologia. in questo modo si ricava il plus valore relativo.
Alla distinzione tra plusvalore assoluto e relativo corrisponde quella tra sussunzione formare e
reale del lavoro al capitale. Nella sussunzione formale il capitale si limita a sottomettere alle
proprie norme un modo di lavoro sviluppato prima che il rapporto capitalistico sorgesse, e qui il
plusvalore è prodotto solo prolungando la durata del tempo di lavoro, sotto forma di plus valore
assoluto. Nella sussunzione reale invece, il capitale organizza direttamente i modi di lavoro,
incrementando la forza produttiva del lavoro socializzato, e promuovendo l’applicazione della
scienza, ponendo le basi l’ estrazione plusvalore relativo.

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2.5 LA POLITICA: Nella prospettiva di Marx , la progressiva socializzazione del lavoro crea le condizioni
oggettive per il passaggio al comunismo, nella misura in cui approfondisce la contraddizione tra :
carattere sociale della produzione e carattere privato dell’appropriazione.
Il Comunismo è per lui “ un associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del
libero sviluppo di tutti”. La comune di Parigi ( governo socialista che diresse Parigi nel
1871)rappresenta una sfida per Marx, perché essa segue la guerra franco-prussiana che mostra il
prevalere delle passioni nazionali sulla lotta di classe come forza storica fondamentale, inoltre
rappresenta l’esito di una rivoluzione proletaria scoppiata in Francia, e non in Inghilterra, dove lui
voleva.
Comunque Marx celebra la comune di Parigi come invenzione del “ primo governo della classe
operaia” , come forma politica che consente di realizzare l’ emancipazione economica del lavoro.
Dalla Comune di Parigi lui elabora la tesi della “ dittatura rivoluzionaria del proletariato”. Che
corrisponde glia interessi della maggioranza della popolazione e che ha come contenuto il
deperimento dello stato.

La teoria della transizione del capitalismo al comunismo, culminata nella definizione di


“socialismo”. Marx distingue 2 fasi dell’età comunista :

-prima fase : prevalgono gli standard giuridici ed economici capitalistici

-fase avanzata : scompaiono sia la subordinazione dell’individuo che la divisione del lavoro scegliendo il
motto “ciascuno secondo le sue capacità e ciascuno secondo i propri bisogni”.

TOCQUEVILLE: ( riferimento alla DEMOCRAZIA)

È uno dei primi pensatori che tratta la questione della democrazia; è un autore aristocratico che vive
nell‘800, in Francia, e che compie un viaggio in America che gli aprirà una prospettiva completamente
diversa per quanto riguarda la sua concezione della democrazia sia in Europa che in America. Per lui
l'esperienza americana non significa semplicemente un'esperienza di un'altra forma di governo, ma
significa esperire un altro tipo di mentalità, osservare un altro tipo di società, cioè una società orizzontale,
che non accetta le gerarchie, una società in cui effettivamente gli individui non trovano davanti nessuna
barriera sociale al loro sviluppo economico.

Secondo Tocqueville l'America è comunque il futuro dell'Europa: per lui la democrazia è un tipo di società
che si troverà alla fine dello sviluppo di tutti i paesi, nel senso che è un processo che rappresenta il futuro di
tutte le nazioni, cioè, secondo Tocqueville, la democrazia è la politica del futuro, per cui sostiene che il
processo di democratizzazione interesserà prima o poi tutto il mondo. La democrazia, secondo lui, è una
forma mentis, è prima di tutto lo sviluppo di una mentalità basata sul profondo disprezzo delle gerarchie e
su l'enfatizzazione dell'impresa individuale: gli americani, secondo Tocqueville, non solo disprezzano ogni
barriera sociale, ma sono anche estremamente individualisti, cioè pongono la loro felicità nella loro
realizzazione individuale;

la società americana è fondamentalmente individualista e materialista: il benessere materiale è il fine


principale del cittadino americano, per cui vi è un estremo amore per l'eguaglianza, anzi secondo
Tocqueville l'eguaglianza è tanto amata da mettere in pericolo la libertà. Questo perché la democrazia
americana, in quanto democrazia, ha come principio regolatore quello della maggioranza;
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il problema è che questo principio da solo va ad appiattire e ad omogeneizzare la società perché
effettivamente la maggioranza, su cui sono basate tutte le istituzioni americane, non promuove lo sviluppo
del dissenso e dell'individualità.

Secondo Tocqueville il benessere materiale e la libertà di pensiero o ancora la partecipazione politica sono
due cose molto diverse, e cioè se l'America promuove l'idea di benessere materiale, cioè lo sviluppo
dell’impresa commerciale, lo sviluppo materiale, quindi il benessere inteso nell'ambito del privato, questa
cura del benessere materiale va a deperimento della partecipazione politica perché il cittadino americano
in qualche modo si concentra sul benessere materiale, cerca di portare avanti i suoi affari e ritiene la sua
partecipazione politica o lo sviluppo anche di idee che portino avanti un dibattito politico, come una cosa
secondaria;

cioè paradossalmente il cittadino che è tutto proteso a sviluppare il suo benessere materiale e le sue
imprese commerciali, metterà un po' da parte la politica perché sarà una partita di tempo, e questo è in
qualche modo garantito e promosso proprio dallo Stato democratico perché questo protegge il cittadino,
nel senso che questo è uno Stato amministratore che in qualche modo regola proprio il benessere
materiale del cittadino, cioè lo fa vivere in condizioni che sono di benessere e gli dà l'opportunità di avere
una vita facile e di portare avanti facilmente i suoi affari.

Ma proprio il fatto che lo Stato sia accentratore e amministratore fa si che il cittadino possa disinteressarsi
alla cosa pubblica perché c'è lo Stato che accentratore che porta avanti la cosa pubblica; si crea quindi un
apatia del cittadino nei confronti della politica. Questo problema si pone anche grazie al fatto che la regola
di maggioranza, che viene vista come una regola domina in tutti gli ambiti, scoraggia lo sviluppo delle
minoranze e del dissenso, e cioè se effettivamente anche l'opinione pubblica è in qualche modo pervasa dal
principio secondo cui la maggioranza ha ragione per il solo fatto di essere tale, coloro che sono dissenzienti
saranno scoraggiati perché penseranno di avere torto;

Paradossalmente, sostiene Tocqueville, la società democratica garantisce meno libertà della società
tradizionale, pur partendo da principi che sono quelli della protezione della libertà; cioè, di fatto, quello che
succede è che il cittadino nella democratica è più conforme agli altri, mentre invece nella società
tradizionale aristocratica, che era divisa al suo interno in classe che erano diverse, in certi posti
diversamente nella gerarchia, comunque vi erano modelli diversi di riferimento: la vita dell'aristocratico
nell'ancien régime era molto diversa dalla vita del contadino, dell'operaio, del commerciante, vi erano
dunque modelli diversi di vita e per chi era dissenziente vi era sempre la possibilità di avere come
riferimento un modello diverso dagli altri.

Nella società democratica invece c’è un solo modello: quello dell’uomo democratico, che è un uomo che ha
come suo fine il benessere materiale, che è competitivo, che è commercialmente un attivo. Per cui chi è
dissenziente avrà un grosso problema perché non avrà nessuno con cui compattarsi, con cui fare forza,
perché la società democratica è tanto aperta quanto è chiusa.

Vi è poi un altro problema della società democratica e questo problema lo vede soprattutto in Francia, cioè
quell’idea che lo stato procuri il benessere ai cittadini, che lo stato in qualche modo debba regolare la vita
dei cittadini in maniera abbastanza minuziosa; così facendo, però, abitua i cittadini a non partecipare e non
farsi carico della propria responsabilità politica. Questa tendenza all'apatia in America viene compensata da
altri fattori; infatti l’America un vantaggio sull'Europa: nasce da una comunità di persone che fuggono
dall'Europa e che si trovano all'inizio nelle stesse condizioni di partenza; quindi è una società che si crea dal
nuovo e che parte da basi effettivamente egualitaria. Per questo la società americana sviluppa quello che
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Tocqueville chiama antidoto a questa tendenza al conformismo (che chiama tirannia della maggioranza e
dispotismo della maggioranza) cioè le associazioni: la società americana è basata molto sulle associazioni
che sono delle piccole formule di democrazia in cui cittadini, in ambito micro, partecipano a determinate
iniziative, per cui tramite le associazioni si risolve il problema dell’apatia del cittadino americano. Quindi la
società americana, proprio grazie al fatto che si è formata ad associazioni, mantiene la diversità e il
pluralismo perché effettivamente le associazioni da una parte stimolano la partecipazione dei cittadini e
dall'altra parte, essendo vari tipi di associazioni, permettono anche dissenzienti di trovare espressione, e
quindi mantengono quel momento di individualità diversità di opinione e di pluralismo. Un altro modo in
cui la società americana risolve la questione del conformismo è anche quello del governo basato sui principi
del federalismo; questo è importante perché, attraverso il governo locale, i cittadini riescono a prendere
parte alla cosa politica e ai processi politici e ad avere una parte rilevante nella gestione delle comunità
politiche a livello locale, per cui riscoprono o hanno interessa alla cosa politica perché riescono, a livello
locale, a controllare i processi politici che invece a livello nazionale non si vedrebbero. Il cittadino, a livello
locale, riesce a vedere gli effetti della partecipazione politica e quindi questo lo stimola alla partecipazione
politica.

Il discorso invece è completamente diverso per quanto riguarda l’Europa, e cioè Tocqueville fa il confronto
tra America ed Europa (e soprattutto la Francia), vede la differenza tra quello che è successo nella
rivoluzione americana, la società che si è formata dalla rivoluzione americana e la società che si è formata
dalla rivoluzione francese; lui dice che i punti di partenza sono completamente diversi perchè se la società
americana è una società fondata da coloni che erano più o meno tutti uguali, nella stessa condizione per cui
fondarono una società nuova a partire da basi di effettiva eguaglianza, nella società francese invece questa
società nuova post-rivoluzionaria è stata fondata su basi che erano gerarchiche, cioè la società francese
pre-rivoluzionaria era una società gerarchica, profondamente divisa in classi (o meglio in ceti) ed è una
società piramidale; questa società era tenuta insieme da rapporti di lealtà e di riconoscimento reciproco di
ruoli; così tutta la società francese pre-rivoluzionaria è basata su un forte legame sociale e su una società
divisa ma, allo stesso tempo, incollata dal legame sociale e dalla differenza di ruoli, che però vengono
riconosciuti; questa società viene travolta dalla rivoluzione francese, ma, al suo posto, non viene fuori un
nuovo modello basato sulla solidarietà effettiva, sull’ideale della fraternità, perché la società francese
continua ad essere fondamentalmente attraversata da sentimenti di vendetta, dall’idea di vendicarsi dei
torti subiti e cioè le masse vogliono vendicarsi rispetto all’aristocrazia, per cui spezzano il legame sociale
che avevano servo e padrone, e al suo posto non mettono un’effettiva solidarietà tra ricchi e poveri o anche
tra gli stessi poveri, ma piuttosto un conflitto continuo e un sentimento di invidia che continua ad esserci;
per cui il collante sociale non si ricrea nella società post- rivoluzionaria proprio perché rimane ancora una
società che ha come sua genealogia, come suo antecedente, una società divisa in classi/ceti e non la società
americana, che era basata effettivamente su un’idea egualitaria vera, che stava all’origine dell’America.

Il problema della Francia, poi, è un altro: la rivoluzione francese ha condotto ad accentuare un elemento
che era proprio dell’assolutismo, che è quello dell’accentramento del potere, cioè: il re Luigi XIV, che era
appunto un sovrano assolutista, aveva accentrato tutti i poteri nelle sue mani e aveva dispossesstato i corpi
intermedi, in particolare l’aristocrazia, di ogni tipo di potere; cioè la corte di Luigi XIV è una corte in cui
l’aristocrazia era depauperata di ogni tipo di potere ed aveva una funzione rappresentativa, nel senso
simbolico del termine; questo fa si che ci sia un sovrano che domina in modo incontrastato sui sudditi,
nonostante il limite dei parlamenti (i quali non furono mai riuniti da Luigi XIV).

Quello che succede è che lo stato rivoluzionario è uno stato che accentra il potere così come aveva fatto
l’assolutismo. La centralizzazione dello stato sviluppa uno stato che è accentratore, burocratico e
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tendenzialmente dispotico, come ad esempio lo stato giacobino: questo è stato uno stato che aveva
accentrato tutti i poteri e che non trovava alcun limite né alcun tipo di equilibrio, che non rispettava i
cittadini, ed era anche lo stato democratico che era, in qualche modo, uno stato che amministrava nei
minimi particolari anche la vita dei cittadini e li rendeva incapaci di autorganizzarsi; cioè questo stato
accentratore è uno stato che tende a deresponsabilizzare i cittadini riguardo la partecipazione politica
perché, accentrando tutti i poteri, non considera nessun potere intermedio (es. aristocrazia). Quindi questo
è uno stato che favorisce il dispotismo;

infatti sostiene Tocqueville che è facile che, da uno stato accentratore che deresponsabilizza i cittadini e che
non li fa effettivamente partecipare (perché li rende apatici) che si arrivi alla dittatura di uno, quindi al
dispotismo. Lui infatti aveva in mente l’esempio del passaggio tra la rivoluzione popolare del 1848 e la
dittatura Luigi Bonaparte, dove succede qualcosa di questo genere: la repubblica termidoriana si trasforma,
attraverso un processo rivoluzionario, in una repubblica radicalmente popolare; ma poi questa repubblica
verrà a trasformarsi, grazie all’intervento di Luigi Bonaparte, in un dispotismo. Sarà facile per un uomo, in
una situazione in cui lo stato è completamente accentrato, riuscire a prendere il potere.

Quello che Tocqueville vede con preoccupazione è lo sviluppo che la rivoluzione ha avuto dal 1789 in poi,
cioè il fatto che la Francia dalla rivoluzione fino Luigi Bonaparte (e oltre), quindi fino al e oltre, vive continue
fasi di rivoluzione e reazione.

Tutto ciò non succede in America perché la società e la democrazia americana prima di tutto è fondata su
queste basi salde che sono proprio nell’idea sociale di eguaglianza, nel fatto che effettivamente gli uomini
che hanno dato origine a questa democrazia erano veramente uguali, non vi erano veramente strutture
gerarchiche, per cui hanno veramente costruito una società unita e fraterna, solidale e stabile. Ma anche
perché l’idea di democrazia americana è un’idea in cui funzionano tutti i meccanismi di pesi e contrappesi,
in cui funziona l’idea di federalismo; per cui vi è la contemperanza di principi liberali e democratici. La
società francese invece, secondo Tocqueville, è una società spaccata in quanto non è equilibrata, che
comunque non troverà mai il suo equilibrio perché l’idea Rousseauiana di democrazia non tutela gli
individui e pone un obiettivo che è altissimi, quello del governo popolare, ma che non gli dà effettivamente
la possibilità di esprimersi completamente all’interno di istituzioni. Il processo rivoluzionario che inizia nel
1789, secondo Tocqueville, è destinato a continuare perché la società francese è una società che
continuerà ad essere altamente conflittuale, in quanto la rivoluzione francese nasce come una rivoluzione
destabilizzante di un ordine politico e sociale che continua, però, ad essere nelle menti delle persone
perché la società francese è nata come società spaccata e continuerà ad essere spaccata tra masse che
richiedono continuamente un rivoluzionamento delle strutture politiche e invece élite politiche che
tendono a prendere ed assumere tutto il potere politico e a continuare ad avere una concezione accentrata
e assolutistica del potere politico.

WEBER : CAPITALISMO E SCIENZA SOCIALE: Durante i suoi studi universitari Weber segue il formarsi
dell’analisi storico-sociale del diritto. Traspare quell’interesse delle condizioni materiali e giuridiche che
hanno reso possibile l affermazione del capitalismo in Europa.

L’inchiesta svolta nel 1892 sulle condizioni dei lavoratori agricoli dei territori prussiani lo porta a studiare le
trasformazioni della cultura prussiana constatando come il tradizionale ceto nobiliare degli Junker si fosse
ormai definitivamente trasformato in una moderna classe di imprenditori capitalistici che avevano

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sostituito il mantenimento del proprio status con la ricerca del profitto . E’ qui che scopre il capitalismo
visto come una potenza sovversiva e nichilistica.

La sua affermazione, infatti corrispondeva al processo di proletarizzazione. Era una potenza oggettiva
destinata a dominare presente e futuro. La riflessione di Weber punta sul soggetto, sul tipo umano che è
all’origine dello sviluppo capitalistico. Egli afferma che il mondo sociale può essere interpretato solo a
partire dalla comprensione degli orientamenti dei singoli individui. Questo metodo presenta la tesi secondo
cui specifiche motivazioni << ideali>> avrebbero portato in maniera predestinata al capitalismo. Ciò
avrebbe diretto il credente verso un disciplinamento dei propri impulsi attraverso il lavoro, ponendo le basi
per la diffusione di una condotta di vita metodica e razionale.

E bene precisare che secondo Weber alle origini del capitalismo ci sarebbe la costituzione di una forma
specifica di soggettività (modello della moderna borghesia) capace, con il proprio autodisciplinamento a
dare un senso ad una vita terrena che di per sé, non può essere l’ ambito nel quale ci si merita la salvezza
“attraverso le opere”. Questo schema interpretativo dell’origine del capitalismo viene inserito nella storia
dell’Occidente come processo di razionalizzazione e di disincantamento del mondo . Il processo di
razionalizzazione cui Weber riconduce il capitalismo ha però in sé una logica che lo porta a ritorcersi contro
le stesse motivazioni che ne hanno dato avvio, il che significa che la società borghese che c’era alle origini
viene nullificata dal capitalismo con la creazione di relazioni sociali coattive che si impongono al soggetto
come una “ gabbia d’acciaio”. Il lavoro si rende autonomo dal soggetto grazie al nuovo interesse per la
tecnica che stava prendendo progressivamente il posto dell’operaio.

Si comprende quindi che l’intero pensiero di Weber sia dominato dalla sua preoccupazione per il destino
della borghesia e per il nuovo tipo umano tipico della modernità. Esprime il timore che i valori classici
dell’illuminismo e del liberalismo si mostrino inconsistenti difronte alle tendenze tecniche che dominano
nel presente e che portano sia l’impresa capitalistica che lo stato moderno ad una burocratizzazione
universale.

Le due figure che fino ad allora caratterizzavano la società moderna ( l’imprenditore e il politico), appaiono
sempre più marginalizzate da sviluppi che assegnano un rilievo crescente ha strutture burocratiche che
funzionano come macchine. Presto a queste due figure si affianca quella dell’intellettuale, il quale si trova
appunto ad operare in un contesto di crescente burocratizzazione anche nell’ambito scientifico e vede
sempre più venire meno il controllo delle sue capacità sul sapere.

3.2: IL PENSIERO POLITICO : Il documento più importante del pensiero politico giovanile di Weber: lo stato
nazionale e la politica economica tedesca. Il testo appare dominato dallo Stato nazionale , a cui viene
subordinata la stessa economia politica. I problemi fondamentali che Weber pone sono da una parte quello
della composizione sociale della nazione tedesca e dall’altra, a esso collegato quello del compimento del
processo di unificazione nazionale avviato nel 1971. Qui è decisiva l’analisi della trasformazione degli Junker
(monarchia prussiana) dato che tra le loro file venivano reclutati coloro che occupavano gli alti gradi
dell’esercito e i posti di responsabilità di amministrazione. L’affermazione del capitalismo nelle campagne
pone in crisi il ruolo degli Junker ponendo il problema di un rinnovamento della classe dirigente che deve
guidare la Germania in quello sviluppo capitalistico a tappe forzate che pone la base affinchè il secondo
Reich possa ambire a partecipare alla lotta per la potenza politica mondiale. Necessitava quindi un gran
lavoro di educazione politica attraverso il quale sarebbe stato possibile far crescere l’intera nazione. A
riguardo Weber negli anni successivi intensifica la propria attenzione per i movimenti del proletariato
tedesco, nonché del partito socialdemocratico che continuava ad essere confinato dalle retoriche

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dominanti nei “nemici del Reich”. Ne conclude che l’unificazione sociale della nazione non può che
coincidere con il coinvolgimento della socialdemocrazia in responsabilità di governo a partire dall’ambito
municipale.

Momento decisivo nel suo pensiero è rappresentato dalla Grande Guerra. In questo periodo si schiera a
favore dell’assunzione del suffragio universale come condizione necessaria di legittimità dei partiti di massa,
e prende posizione in particolare per l’attuazione di una riforma costituzionale che sancisca la dipendenza
del Governo dal Parlamento.

La centralità politica del Parlamento non stà tanto nel fatto che esso produce la rappresentanza politica,
quanto nel costituire l’arena in cui i capi partito si confrontano in una lotta alla conquista di una leader ship.
E’ qui dunque, che avviene la selezione dei capi e dei politici di professione. E’ importante notare come per
Weber la Germania imperiale non sia capace di fare politica, vista come azione rischiosa, e tende invece a
sostituirla con la razionalità tecnico-burocratica che ha solo capacità organizzative. La politica è per Weber
una lotta, un conflitto tra diverse pozioni ideali (politeismo dei valori)

Weber distingue 3 tipi puri di potere legittimo in base alle diverse motivazioni di obbedienza dei soggetti.

 Potere tradizionale: che poggia la propria legittimità sulla convinzione che chi lo esercita derivi la
propria autorità dalla sacralità delle tradizioni che esistono da sempre.
 Potere razionale: la cui legittimità deriva dalla credenza nella legalità di ordinamenti e procedure
 Potere carismatico: consiste nel riconoscimento del carattere “straordinario” di un capo che può
essere un profeta così come un capo partito.

Nello stato moderno si afferma prevalentemente il secondo tipo.

Lo Stato moderno è sicuramente strutturato da elementi razionali anche se la sua prima realizzazione si
incontra nella fase in cui le città medievali usurparono il potere del principe e rivendicarono la fondazione
di una nuova forma politica, ponendosi come gruppo politico illegittimo e rivoluzionario tutt’altro che
razionale.

Nei mesi immediatamente successivi alla conclusione della Grande Guerra, difronte al crollo della
monarchia, Weber constata che resta solo la legittimità rivoluzionaria basata sulla sovranità del popolo, e
propone una democrazia parlamentare in cui il presidente della repubblica – dotato di potere assai più
ampi di quelli che gli furono attribuiti dalla costituzione di Weimar, realizzi una nuova democrazia dei capi.

IL TOTALITARISMO

Quando si parla di totalitarismo ci si riferisce a due regimi politici: nazismo e stalinismo. La parola nasce in
Italia negli anni ’20 inizialmente con una connotazione negativa, ad esempio, Giovanni Amendola,
oppositore del fascismo, scrive un articolo sul mondo nel 1923 e definisce il totalitarismo come un regime
totalitario al cui centro vi è il culto della nazione che è simile più ad una religione che ad un regime politico;
investe la sfera privata del cittadino cioè richiede un’obbedienza che va oltre l’obbedienza esteriore tipica
invece degli Stati moderni ma diviene una vera e propria dottrina. Questa considerazione viene seguita
anche da un altro oppositore Lelio Basso. Un esponente del fascismo, invece, il filosofo Giovanni Gentile,
parlando di Stato totale lo definisce come uno Stato che investe l’individuo e che lo realizza infatti il
fascismo non è solo un regime politico ma una vera e propria religione civica che assorbe in sé sia le
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caratteristiche dell’imporre un certo ordine politico che una componente fideistica facendo saltare l’idea
tra privato e pubblico e tra società civile e Stato. Anche Don Luigi Sturzo e Benedetto Croce nel 1926
criticano il fascismo come un regime che non lascia spazio alla libertà dell’individuo.
All’inizio degli anni ’30 nasce in Germania da parte di autori della Rivoluzione Conservatrice (un movimento
ideologico intellettuale nato a inizio del secolo che comprendeva molti orientamenti: uno di questi erano i
neoconservatori) il termine TOTALE. Uno dei neoconservatori. Stuart,unger, parla di mobilitazione totale
cioè meccanismo su cui si basa la politica contemporanea e cioè una politica basata sulla mobilitazione
delle folle e sul fatto che le folle sono un tutt’uno, un’entità organica che va a sovrastare sugli individui che
ne fanno parte e quindi la massa è diversa dall’individuo. Queste folle fanno la politica per cui essa non è
più pensabile attraverso meccanismi di intermediazione. Attualmente la politica non è più parlamentare ma
una politica di mobilitazione delle folle e di riconoscimento di figure carismatiche.
Importante è, anche, Carl Schmitt, giurista e pensatore più importante del novecento, che aprirà la strada
inconsapevolmente alla presa di potere di Hitler con la sua concezione dello Stato di emergenza cioè uno
Stato di eccezione dove vengono sospesi tutti i diritti civili e politici compresa la Costituzione e quindi è la
creazione di una dittatura. Quando Schmitt utilizza questa categoria lo fa per spiegare il titolo di un libro “Il
custode della Costituzione” e non per legittimare il potere di Hitler ma per una riattivazione della
Costituzione. Inoltre il giurista parla di due tipi di Stato totale: 1. STATO TOTALE PER DEBOLEZZA (quello
della Repubblica di Weimar) mangiato dai movimenti politici, dalla lotta politica per cui non è capace di
neutralizzare la politica. Si pensi ad esempio ad Hobbes che quando pensa al Leviatano pensa ad una
neutralizzazione della politica secondo cui lo Stato deve porsi al di sopra dei movimenti politici, deve
garantire l’ordine a prescindere dai movimenti religiosi, dalle convinzioni politiche. Bisogna quindi invertire
la tendenza per cui si parla di STATO TOTALE PER INTENSITA’ secondo cui a partire da un concetto forte di
ordine si deve trasformare lo Stato attraverso una dittatura di tipo transitorio dove vi sia una decisione che
distingua quelli che fanno parte dello Stato e chi no in base al criterio di distinzione.
I protagonisti dei movimenti totalitaristi non utilizzano molto la parola totalitarismo (Hitler, Stalin) ma
piuttosto c’è un’idea di RIVOLUZIONETOTALE della società, dei valori, della morale e della politica. Il
termine totalitarismo si definisce meglio negli anni ’30 in Francia: ora il problema diventa la distinzione tra
AUTORITARISMO E TOTALITARISMO. La maggior parte degli autori convengono all’idea che il primo
permette una concezione plurale della società secondo cui il pluralismo non viene completamente
eliminato ma ridotto e quindi non tutte le forme di società civile vengono eliminate (associazioni di tipo
politico o economico); il secondo concetto nega invece ogni forma di partecipazione politica. Un ulteriore
differenza tra questi due termini sta nel fatto che lo Stato AUTORITARIO produce un ordine statale
servendosi di leggi e burocrazia stabile mentre lo Stato TOTALITARIO rappresenta il predominio del partito
sullo Stato. Inoltre il totalitarismo è caratterizzato da una flessibilità cioè di essere sottoposto alla volontà di
un capo. Ad esempio il nazional-socialismo era dominato dal principio del capo dove non vi era una
struttura gerarchica tipica della burocrazia ma vi erano tante organizzazioni in competizione l’uno con
l’altro. A questo si lega lo sterminio degli Ebrei non deciso direttamente da Hitler ma vi fu una conferenza
nel 1942 organizzata dai capi delle varie organizzazioni in competizione tra loro per rispondere al quesito
“cosa che facciamo degli Ebrei?”. La decisione che ne è venuta fuori è stata una radicalizzazione cioè si è
passati da prendere gli Ebrei e trasferirli nel Madagascar a prendere gli Ebrei e deportarli tutti nei campi di
concentramento.
Le prime definizioni nell’ambito francese sono, invece, di Trotsky che ci parla di rivoluzione fallita. Per lui lo
stalinismo rappresentava un tradimento della rivoluzione cioè una trasformazione di essa in una pressione
sulla popolazione attraverso un apparato burocratico. Per cui Trotskj parla di stalinismo come una forma di
bonapartismo ricordando la figura di Luigi Bonaparte il quale aveva preso il potere instaurando dei rapporti
di soggezione con la popolazione legittimandosi sul fatto di rappresentare simbolicamente il popolo.
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Il primo interprete che utilizza la parola totalitarismo è Victor Serge guardando all’Unione Sovietica come
ad uno Stato totalitario che opprime le libertà e ogni tipo di dissenso; inoltre l’Unione Sovietica viene al
contempo definita, già nel 1953, un regime ‘socialista’, ‘burocratico’ e soprattutto ‘totalitario’ proprio
perché monopolizza in un unico centro il potere politico, economico e culturale. Un altro autore è
Souvarine il quale evidenzia analogie tra fascismi italiani, nazional socialismo tedesco e comunismi con
l’idea che essi sono regimi caratterizzati dal rapporto tra leader e masse. L’autore Aron invece definisce il
totalitarismo come una nuova esperienza e per lui si rendono necessaria 4 strategie per riuscire a definire
questo regime: 1. Liberarsi della filosofia della storia hegeliana come cammino verso il progresso (questa
idea è negativa); 2. I regimi fanno leva sull’idea di rivoluzione come sovvertimento di idee politiche; 3.
Sbarazzarsi del primato dell’economia sulla politica (poiché questi regimi fanno leva sulla politica); 4.
Totalitarismo come ideologie cioè come strutture mentali che inducono l’individuo a convincersi dell’idea
totalitari (indottrinamento). Diverso, ancora, è George Bataille che inaugura quella linea di lettura filosofica
che costituisce un capitolo importante della critica al totalitarismo. I temi che caratterizzano l’opera
bataillana il Sacro, il Potere, i Miti insomma l’eterogeneo’ assumono rilievo proprio dal tentativo del filosofo
francese di capire il fascismo, il nazismo e lo stalinismo. Secondo Bataille il totalitarismo deve il proprio
successo al vuoto lasciato dal razionalismo moderno e dalle sue creazioni. Se si vuole combattere il
totalitarismo si deve riconoscere che la sovranità politica dei fascismi e del comunismo staliniano fa leva sul
bisogno del Mitico, dell’Affettivo, della Comunità, sul fascino della Violenza; esercita attraverso un’abile
utilizzazione dell’eterogeneo, una grande forza d’attrazione sulle masse. Anche se in realtà né il fascismo né
il comunismo danno autentico spazio all’eterogeneo’ finendo per negarne il potenziale liberatorio.
Negli anni ’40 è il nazionalsocialismo a essere preso in considerazione da questi autori: il primo è Fraenkel il
quale afferma, nel libro “Lo Stato duale” scritto nel 1942, che nel nazionalsocialismo c’è un apparato di
stato che funziona secondo un’attività legislativa e c’è un altro stato che è quello vero in movimento che ha
espressione nel partito nazionalsocialista. Quindi fascismo e nazionalsocialismo lasciano la stessa struttura
statale ma sovrappongono il partito allo stato per cui esautorano lo stato come istituzione e chi ha potere è
il partito; il secondo autore è Neumann secondo cui il nazionalsocialismo si instaura su una società spaccata
la quale viene sfruttata per imporre un ordine che annulla l’individuo ed è il terrore che fa funzionare lo
Stato del nazionalsocialismo. Il terrore è indeterminato rispetto alla paura che è rivolta invece verso
qualcosa di specifico. Per esempio si poteva finire in un campo di concentramento nonostante il soggetto
avesse avuto un comportamento ingenuo e quindi senza sapere la causa di questa deportazione. Il terzo
autore è Sigmund Neumann che nel 1942 afferma che alla base del totalitarismo vi è un rapporto tra
fuhrer(capo) e masse. In una società disgregata le masse possono essere affascinate perché non riescono a
pensare collettivamente ma ognuno pensa al proprio interesse utilitaristico e quindi il fuhrer sfrutta
l’individualismo di queste masse.
La definizione più completa di totalitarismo è data da Hannah Arendt. Ora il totalitarismo deve essere
analizzato con nuove categorie e risultano inutilizzabili categorie tradizionali della politica, del diritto,
dell’etica e della filosofia. Inoltre il totalitarismo non può essere descritto in termini di oppressione,
tirannide, illegalità, immoralità e autoritarismo ma richiede una spiegazione ‘innovativa’. L’autrice divide il
suo libro “Le origini del totalitarismo” scritto nel 1951 in tre parti fondamentali: 1. ANTISEMITISMO:
radicalizzato nella società moderna; gli ebrei rappresentano per lo stato moderno una categoria particolare
cioè sono apolidi ovvero rappresentano una sfida all’ordine politico e una distruzione dell’ordine moderno
perché sono apolidi per definizione ma fanno parte di una cultura unitaria che è quella ebrea.
2. IMPERIALISMO: fa si che gli stati europei trasferiscano il loro potere nelle colonie perché non sanno
gestirlo e per vendere i loro prodotti in modo tale da trovare un’espansione economica e politica fuori dai
loro confini per cui quando diventano stati imperialisti sviluppano politiche violente perché essendo le
colonie territori vuoti l’uomo si vede come portatore di civiltà. Questa forma di conflitto viene reimportato
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in Europa tra nazionalsocialismo ed ebrei.
3. RAZZISMO E IDEOLOGIA. L’ideologia per Arendt rappresenta la volontà di trasformare il mondo senza
alcun assunto della realtà cioè ricreare l’uomo e rifondare la società o a partire da un’idea antisemita o
razzista. Gli uomini vengono convinti di concetti fuori dalla realtà.
La manifestazione più importante dei regimi è il campo di concentramento come manifestazione
dell’ideologia per cui si diventa insensibili all’umanità e gli uomini vengono trasformati in animali. La
crudeltà diventa una forma di amministrazione normale della società e lì individualità viene trasformata in
un’unica razza cioè un solo tipo di uomo, un solo tipo di religione.
Partendo dalla tesi di Arendt vi sono due tendenze: la prima analizzare il fenomeno del totalitarismo cioè i
regimi totalitari eliminano la differenza tra società civile e stato e il partito che si “mangia” lo stato diventa
sovrano della società civile. Anche l’economia viene diretta dalla politica e non esiste più la differenza tra
uomo pubblico o privato ma solo uomo pubblico cioè l’uomo come cittadino nazista o comunista
nell’ambito delle ideologie totalitarie. L’autore Linz, politologo statunitense, ricategorizza il totalitarismo
mediante alcune definizioni. La seconda tendenza mette in evidenza il legame tra filosofia occidentale e
totalitarismo infatti alcuni autori vedono la comprimità tra filosofia razionalista intesa come attività
teoretica e totalitarismo con un’idea ossessiva di un’unica umanità riducendo la pluralità dell’individualità
ad un unico progetto.
Un altro autore è Gauschet che vede il totalitarismo come espressione di due tendenze: tendenza al
materialismo della filosofia occidentale in cui gli uomini sono visti come animali e la seconda tendenza
come riduzione all’uno cioè una politica trasparente a sé stessa. Lo stalinismo e il nazionalsocialismo
riusciranno a estremizzare entrambe queste tendenze.

LE CRITICHE FILOSOFICHE DELLA MODERNITA’ : ARENDT

Hannah Arendt , pensatrice ebreo-tedesca pone una critica sia del liberalismo moderno sia dei
totalitarismo. La sua critica si estende anche ad ogni tipo di filosofia politica , poiché intende recuperare la
politica intesa come azione collettiva. Dall’uscita del libro le origini del totalitarismo, il concetto del
totalitarismo come lo usa la Arendt presenta due caratteristiche fondamentali :

 E’ un concetto che dell’esperienza totalitaria non individua un origine economica o di classe, ma


politica, sia di destra (nazista) sia sinistra (comunista)
 E’ un concetto che fa del totalitarismo un regime del tutto nuovo, estraneo alla tradizionale teoria
dei regimi politici.

Per Arendt è vero che il totalitarismo è opposto allo stato, ma è anche vero che è da questo che deriva.
Nella prima delle tre parti dell’opera, sull’ antisemitismo , sostiene che l’ebraismo è segno di
contraddizione per lo stato moderno fin dall’inizio. Nel migliore dei casi infatti gli ebrei furono costretti
all’assimilazione, cioè a perdere la propria identità per essere ritenuti cittadini uguali agli altri, ma n realtà
furono sempre sospettati di essere diversi. Questi sospetti divennero accuse quando nella seconda metà
dell’800 le società borghesi andarono in crisi. Le masse borghesi ebbero bisogno di un capro espiatorio a cui
imputare il proprio declassamento, e scelsero gli ebrei.

Nella seconda parte dedicata all’ imperialismo l’autrice mostra che alla fine dell’800 lo stato gravato da
contraddizioni economiche, scelse la via dell’imperialismo alla conquista di nuovi mercati. All’estero infatti, i
ceti piccoli borghesi che in patria stavano crollando potevano ora rafforzarsi. Lo stato quindi dimostra di
non poter sempre garantire ordine e stabilità e che per sopravvivere è costretto a muoversi e acquistare
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maggiore potere politico. Questo dinamismo aumenta e diventa fatale quando la proiezione imperialistica
avviene in Europa, all’interno della quale si sviluppano nuovi movimenti come il nazionalismo tribale o i pan
movimenti, i quali sono grandi nemici dello stato , poiché il fulcro che questo deve proteggere è la razza.
Essendo in crisi lo stato, ora deve fornire “appartenenza nazionale”, e chi invece è profugo, sradicato o
apolide si ritrova ben presto in un limbo. Nella terza parte la Arendt sostiene che il totalitarismo ha come
causa scatenante la prima guerra mondiale e la disintegrazione politica e sociale che essa ha provocato,
soprattutto la nascita di masse in rivolta contro lo status quo. Queste masse non si basano su valori comuni
ma sono composti da individui solitari, privi di legami sociali e attivi, e per unificarli il totalitarismo utilizza la
propaganda, in modo da poter mobilitare le masse, distruggere la realtà e crearne una nuova. Lo strumento
di questa opera di distruzione è il nemico interno, ossia un qualunque individuo x la cui presunta azione di
resistenza e sabotaggio impedirebbe il raggiungimento del regime attraverso terrore e violenza .
All’individuazione di questo individuo x ne seguirà subito un altro in un circolo vizioso, in un susseguirsi di
distruzioni ed eliminazioni. E’ per questo che la Arendt descrive il totalitarismo come un struttura a cipolla,
poiché non solo sono gli strati del potere uno interno all’altro, ma lo è tutta la compagine sociale e politica
destinata ad essere sfogliata pezzo dopo pezzo. Il totalitarismo quindi è privo di forma e di durata. E’
permanentemente instabile , e ha come obbiettivo quello di trasformare il mondo completamente, e
ricreare da capo l’uomo e la società e chi fornisce l’energia e la motivazione per il movimento totalitario è
un Idea che, per venire applicata alla realtà politica ne distrugge la concretezza.

Il totalitarismo è quindi l’esito dello sforzo di fare della politica un ambito scientificamente ordinabile. La
Arendt si rifà all’antico mondo greco e alla sua filosofia e individua il concetto di vita activa con il quale
intende tre funzioni:

 Il lavorare: ciò che caratterizza l’uomo come “ animale che lavora “ ossia il produrre per soddisfare
le necessità della vita biologica.
 L’operare: che caratterizza l’uomo faber (l’uomo artefice) , cioè la costruzione degli strumenti per
fabbricare il mondo artificiale delle cose- diverso dalla natura.
 L’agire: l’unico che mette l’uomo a contatto con altri uomini.

Queste modalità sono sempre presenti e non si collocano in successione cronologica. Accanto alla vita
activa si trova la vita contemplativa , e questa riguarda il filosofo che contempla in solitudine la verità
immutabile.

La Arendt nota poi che nel mondo greco , la polis – sfera pubblica- è distinta dall’ambito privato. Nella
prima si svolge la vita in comune che non è ne naturale ne artificiale ma è libertà; nel secondo troviamo la
casa, luogo in cui avviene la produzione per soddisfare le necessità della vita.

La sfera pubblica è caratterizzata dalla potenzialità dell’agire in comune; l’annientamento di questa sfera
può avvenire in vari modi.

 Violenza : costrizione fisica del tiranno che distrugge il potere comune della polis, riducendo la
pluralità ad unità
 La svalutazione dell’agire e del deliberare in comune a fronte della vita contemplativa, da cui
discende la pretesa dei filosofi di governare la città e di unificare la vita in comune per realizzare la
verità.

E’ proprio a causa del pericolo che la filosofia costituisce per la politica che la Arendt mostra ripetutamente
di apprezzare di più una civiltà pratica come quella di Roma.
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L’ età moderna è caratterizzata dall’alienazione de soggetto dal mondo per fattori storici come la scoperta
dell’America o filosofici. Il singolo risulta sempre più spaesato ma al tempo stesso sempre più in grado di
ridurre l’esperienza a formule matematiche e scientifiche. Quindi nell’età moderna abbiamo un trionfo
della teoria sull’azione comune e uno spostamento del centro della teoria sul soggetto. In parallelo si forma
una sfera sociale dove il lavoro esce dal privato e diventa spazio pubblico.

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