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NEUROPSICHIATRIA INFANTILE

SVILUPPO PSICO-AFFETTIVO DEL NEONATO E IMPATTO DELLA MALATTIA

La malattia cronica accompagna un bambino durante i momenti cruciali del suo sviluppo: va quindi
ad interferire con lo sviluppo psichico del bambino e con il vissuto dei genitori che sono in
relazione con il bambino. Così, il bambino avrà da un lato le conseguenze di ciò che vive in prima
persona che interferiranno con la sua evoluzione, dall'altro quello che riguarda la sua relazione con i
genitori disturbati a loro volta. La malattia nel bambino interferisce fino a determinare
un'alterazione dello sviluppo della sua identità.

Lo sviluppo del bambino avviene principalmente attraverso la sua relazione con i genitori, tanto
più fondamentale quanto più piccolo è il bambino. All'inizio della vita la dipendenza del bambino
verso i genitori è quasi totale.
In condizioni normali, subito dopo la nascita, vi è la necessità di instaurare una situazione più
stabile possibile, più tranquilla possibile, affinché una madre possa dedicarsi al suo bambino ed
essere con lui nel migliore dei modi: quindi l'allattamento, le prime cure dovrebbero avvenire in una
situazione in cui la madre sia così serena da potersi dedicare al bambino totalmente e in maniera
adeguata.
Poniamo il caso che questo non possa avvenire perché il bambino già alla nascita presenta un
problema; rimane quindi ospedalizzato e non può rimanere sempre assieme alla madre. Il bambino e
la madre si trovano quindi in un ambiente estraneo e la madre può stare con il bambino soltanto in
determinati momenti. I genitori in questa situazione sono solitamente estremamente preoccupati per
la sopravvivenza del bambino, non sanno cosa accadrà al figlio, e nel momento in cui la madre è
con il bambino non è tranquilla, la sua mente è totalmente ingombrata dalla sua preoccupazione. Il
bambino incontra quindi una madre troppo preoccupata.
Normalmente il bambino quando nasce vive degli stati primitivi di terrore (di morire, di
disintegrarsi, di precipitare) che sono mitigati dalla madre: la madre riesce a trasformare questi
terrori e a restituire al bambino qualcosa di più accettabile. La madre comincia a parlare al bambino,
il bambino non recepisce il senso della comunicazione, ma coglie tutto quello che passa attraverso il
tono della voce, l'abbraccio della madre. Il bambino quindi smette di piangere. Un po' alla volta il
bambino sarà in grado di svolgere autonomamente questa funzione: riuscirà a trasformare da solo
questi suoi momenti drammatici.
Viceversa, in presenza di una malattia, questa funzione viene immediatamente intaccata: la madre
ha lei stessa una preoccupazione per la salute del bambino, quindi non sarà la stessa madre che
normalmente riesce a trasformare i terrori del bambino.
Il bambino si troverà quindi o più solo, o con degli stati angosciosi non trasformati e incapace di
trasformarli lui stesso.
In presenza di malattia quindi la prima cosa che viene compromessa è la relazione tra genitori e
bambino. Si ha quindi una condizione di rischio per la psiche del bambino.
Il periodo di maggiore vulnerabilità è quello in cui il bambino ha anche il più importante sviluppo
psichico (i primi 6 mesi, fino a un anno). Il bambino all'inizio non si sente ancora un'unità a sé
stante, è completamente dipendente dalle madre, anche se può avere delle iniziative indipendenti da
lei.
La differenza tra i primi giorni di vita e i 6 mesi è una differenza drammatica perché all'inizio non
c'è un riconoscimento di una persona che sta al di fuori di se stesso in modo globale, al sesto mese
di vita con lo svezzamento questo invece accade. Questo significa che il bambino gradualmente
andrà incontro a quella integrazione necessaria per riconoscere che i suoi sentimenti sono
ambivalenti, cioè l'amore e l'odio possono essere diretti verso la stessa persona. Questa integrazione
dei sentimenti rivolti alla stessa persona, è fondamentale per lo sviluppo della persona per tutto il
resto della vita. Nelle gravi psicopatologie questo passaggio non è mai avvenuto: i bambini affetti
da gravi psicopatologie, infatti, fanno una scissione, rivolgono cioè sentimenti amorosi verso una
sola persona o un solo oggetto.
Un bambino di sei mesi sano invece acquisendo questa capacità di dirigere sentimenti opposti verso
una stessa figura, è in grado anche di dispiacersi di provare determinati sentimenti, sviluppa
completamente entro i 10 mesi un senso di responsabilità per i suoi sentimenti.
Il senso di responsabilità diventa così fondamentale per lo sviluppo della creatività, ad esempio, che
costituisce un’attività sublimante, con la quale il bambino cerca di riparare ad eventuali ostilità
verso la madre in modo differente rispetto alle dimostrazioni dirette d’affetto.
Questo passaggio dalla nascita ai 6 mesi è fondamentale: da qui in poi il bambino comincerà a
svilupparsi come persona intera, come un essere umano completo, capace di distinguere il suo
interno dall'esterno. Se questa proiezione non è troppo massiva, fa parte della normalità.
Il senso di continuità dell’esistenza, fondamentale per uno sviluppo corretto e sereno è, una volta
ancora, dato dal rapporto con la madre, che scandisce in modo ritmico e regolato i primi mesi di
vita.

Non è vero che a malattia organica corrisponde una psicopatologia. Però una malattia organica
può essere un fattore di rischio per la comparsa di una psicopatologia.
Pensiamo ad esempio a quando un bambino piccolo deve essere sottoposto ad un intervento
chirurgico: come affronta l'anestesia, come affrontano i genitori l'intervento. Si assiste ad una
sospensione da parte della madre della relazione tra madre e figlio fino a dopo l'intervento.
Intanto, però, il bambino perde la relazione di attaccamento fondamentale per crescere fino a quel
punto. Bisogna quindi sgombrare la mente materna, offrendo alla madre un contenitore per le sue
angosce, in modo che possa avvicinarsi al bambino e cogliere i segnali mandati dal bambino: una
madre preoccupata non si accorge dei bisogni del bambino. Con un accompagnamento psicologico
per la madre, la relazione madre/figlio viene conservata.
In queste circostanze, la madre desidererebbe avere un atteggiamento più protettivo, ma non sempre
questo avviene. Tra madre e bambino passa l'inconscio, non passa la coscienza: se c'è un problema,
il bambino lo sente, e questo diventa una specie di corpo estraneo nella mente del bambino. Questo
ingombro lo possiamo poi trovare nei sintomi che i bambini possono avere, non necessariamente in
presenza di malattia: disturbi del sonno, disturbi dell'alimentazione, asma, disturbi della crescita.
Bisogna quindi trasformare questi ingombri risolvendoli prima nella testa dei genitori e di
conseguenza nel bambino. Il bambino viene quindi liberato in qualche modo e il sintomo non ha più
ragione d'essere.
Lo stesso vale per i disturbi alimentari: il bambino ha il canale del cibo per dire di no, chiude la
bocca e non fa passare tutto ciò che sente disturbante. Dietro il rifiuto del cibo, vi è il rifiuto a fare
entrare qualcosa nel proprio interno.
La malattia non deve occupare troppo spazio mentale nel bambino: rischia di lasciare problemi di
autonomia, autostima, identità e capacità di viversi come un individuo normale, vivere senza
angosce.

Nel primo anno di vita un bambino malato deve essere considerato anche dal punto di vista dello
sviluppo psicologico. La dipendenza con i genitori è totale all'inizio, ma è importante fino
all'adolescenza. Dopo il primo anno di vita, verso i 3-4 anni viene anche seguito con colloqui
individuali, senza cioè la presenza dei genitori.
Il trauma non rielaborato, rimane e tende a ripetersi sempre uguale, tanto più se il trauma è stato
vissuto prima dei 2 anni. I traumi vissuti prima dei 2 anni di vita non hanno accesso alla memoria
dei ricordi, ma restano nella memoria “preverbale implicita”: vi è solo la possibilità di ripetere e
non di portare alla consapevolezza. Il bambino non ricorderà ma manterrà le tracce, che possono
costituire un importante fattore che porta i pazienti a ripetere gli errori e a ricreare le condizioni di
difficoltà che hanno creato il trauma, sempre però inconsciamente.
Per questo, il supporto psicologico viene dato immediatamente al bambino e ai genitori:
l’esperienza traumatica non è comunicabile, ma è condivisibile, ed è si questo terreno che può agire
il neuropsichiatra.
I terrori natali, primo fra tutti quello del parto, che corrisponde a senso di dissoluzione di sé, caduta,
morte prima d’aver vissuto (idee molto diverse rispetto alla percezione della morte fra gli adulti, che
è piuttosto quella di lasciare il proprio corpo) e lascia probabilmente segno di sé con i sogni di
caduta, vengono rimossi ed eliminati soprattutto grazie alla madre, che fa da contenitore dinamico
per la psiche del bambino.
Nell’autismo, invece, nella quale non si instaura il rapporto con la madre, manca la possibilità di
riversare le ansie su di lei e riaverne una risposta consolatoria, per cui i terrori si protraggono oltre i
primi sei mesi di vita.

Il supporto psicologico viene accettato più volentieri se vissuto fin dall'inizio del trauma (es. fin
dall'inizio di un trapianto). Questo perché un'esperienza traumatica può essere condivisa, ma non
raccontata. Al contempo, l’inclinazione a chiedere aiuto psicologico (e non) per sé e per i propri
famigliari è molto più sviluppata in coloro che hanno già goduto in passato dei benefici della
terapia.
In queste circostanze, l'osservatore ha il compito di far notare ai genitori tutti i segnali che il
bambino manda nel corso della giornata: il bambino manda segnali di attaccamento che rinforzano
la relazione con la madre. Dopo l’età di sviluppo del pensiero simbolico e rappresentativo (che
inizia ai 3-4 anni), è possibile “studiare” il bambino anche nel corso del gioco, che diventa campo di
analisi del vissuto del bambino e confronto con il neuropsichiatra, quanto la conversazione
nell’adulto: si pone attenzione, ad esempio, alla capacità di relazione del bambino, o alla sua
creatività, contrapposta a comportamenti stereotipati o ripetitivi.
Nel bambino più grande riserviamo anche uno spazio privato: l'adolescente ha bisogno di avere una
distinzione tra sé e i genitori. È importante tener presente che è fondamentale, nell’adolescenza, la
conquista di autonomie dai genitori, e che questo processo diviene molto più complesso nel malato,
che ha maggior bisogno di attenzione e protezione, ma è, di conseguenza, maggiormente esposto al
rischio di iperprotezione, ossia, meno indipendente.
Nel sostegno al bambino e alla famiglia non va mai dimenticata la figura del padre, che non
dev’essere defilata né allontanata: è infatti fondamentale per il bene della coppia e, di conseguenza,
del bambino.

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