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menti, ecc., che vengono condivisi dai membri di una determinata comunità”
(Thomas S. Kuhn).
5 Dizionario Patristico di Antichità Cristiane, Marietti, Casale Monferato 1983, p.
3513.
6 Adolf von Harnack nella sua Storia del dogma sosteneva che “Il dogma, nella sua
concezione e nel suo sviluppo, è una costruzione dello spirito greco sul terreno
del Vangelo… [...] Gli strumenti concettuali mediante i quali nell’antichità si te n-
tò di rendere comprensibile il Vangelo, si sono fusi con il suo contenuto assu r-
gendo a dogmi” dando luogo a quella che lui riteneva una “degradazione” del ke-
rygma originario.
sostituite da una visione molto più articolata rispetto alla rigi-
da equazione tra elaborazione dogmatica e influenza della filo-
sofia greca, 7 comunque fuori discussione che in linea molto
generale possiamo affermare con certezza che l’elaborazione
dogmatica del cristianesimo è avvenuta in un contesto ellenico
e che il pensiero cristiano su Dio, il cosmo e l’uomo venne o-
rientato in modo decisivo dalle questioni poste al cristianesi-
mo dalla filosofia e del pensiero greco. 8 Oggi possiamo dun-
que dire che il confronto tra la filosofia greca e la fede cristia-
na fu un confronto dialettico, con reciproche contaminazioni,
dove i primi filosofi cristiani usarono il linguaggio e i concetti
messi a diposizione dalla loro formazione culturale per inne-
starvi i contenuti della loro fede ed arrivare a concetti comple-
tamente nuovi, al punto che qualcuno ha parlato di “cristia-
nizzazione dell’ellenismo”. 9 A questo rapporto dialettico dob-
biamo aggiungere che allo sviluppo del dogma non ha concor-
so soltanto il confronto con la filosofia greca, ma anche i pre-
stiti paralleli a realtà sociali e politiche comuni tanto ai cristia-
ni che ai greci. L’adesione al monoteismo, ad esempio, era sot-
to certi aspetti un problema politico, così come era un pro-
blema politico anche la degiudaizzazione del messaggio di Ge-
sù operata da un Giustino nel II secolo.10
D’altra parte, se lo sviluppo del dogma non può più essere
visto semplicisticamente come determinato esclusivamente
7 Ci riferiamo, tanto per intenderci, agli studi di Jean Danielou.
8 Sui rapporti tra ellenismo e cristianesimo è possibile trovare una breve sintesi
alla voce Ellenismo e cristianesimo di A LAIN LE B OULLUEC in Il sapere greco, Dizionario
critico a cura di Jacques Brunshwig e Geoffrey E.R. Lloyd, Volume II, Einaudi,
Torino 2005, pp. 430-444 oppure a Ellenismo e cristianesimo di JEAN P ÉPIN , in Storia
della filosofia a cura di François Châtelet, volume II, Rizzoli, Milano 1976, pp. 7-
32.
9 La definizione è stata riproposta in un recente saggio sul pensiero di Clemente
di F RANZ DÜNZL , Breve storia del dogma trinitario, Queriniana, Brescia 2007. Per lo
sviluppo della dottrina invece c’è il classico testo di J OHN N.D. K ELLY , Il pensiero
cristiano delle origini, EDB, Bologna 1972.
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263.
divino ed il pleroma è descritta con il concetto di homoousia e
nel documento valentiniano Il Vangelo di Verità si parla della
relazione tra il Padre ed il Figlio in termini analoghi a quelli in
seguito utilizzati dai cristiani della grande Chiesa. Sempre se-
condo Werner “per mezzo di stimoli gnostici la teologia eccle-
siastica acquisisce il concetto di generazione e si mette in gra-
do di spiegare il nuovo punto di vista sulla divinità di Cristo in
modo da far derivare il divino in Cristo direttamente da Dio, il
Padre di tutto”. Tertulliano si approprierà persino del termine
greco probolé (emanazione) per indicare la generazione del Fi-
glio e si servirà anche delle stesse immagini utilizzate negli
scritti gnostici: i raggi con il sole, il fiume con la sorgente,
l’albero con la radice.18
Per quanto riguarda i sistemi filosofici, quelli più popolari
tra le classi intellettuali, comprese quelle in seno al giudaismo
ellenistico, erano il platonismo e lo stoicismo. Gli stoici met-
tevano al centro di tutto la nozione di logos, il supremo princi-
pio razionale chiamato divinità, destino o provvidenza che
pervadeva l’universo materiale. L’uomo, secondo gli stoici, è
portatore di una scintilla del logos, i “logoi seminali” (logoi sper-
matikoi) parti del logos supremo e universale. L’anima è il logos
dell’uomo e gli stoici fecero un’importante distinzione tra “lo-
gos immanente” (logos endiathetos), che è la ragione presente
nell’uomo, ed il “logos espresso” (logos prophorikos) che invece
era la ragione resa nota per mezzo della parola 19. Questi con-
cetti verranno utilizzati dai cristiani per articolare la loro te o-
logia in termini filosofici, così come utilizzeranno quelli del
medio platonismo, che con la sua tendenza a sottolineare la
suprema trascendenza di Dio e lo sforzo di raggiungere nella
vita personale la massima somiglianza possibile con Dio, di-
venne particolarmente attraente per i primi teologi cristiani. In
18 Contro Prassea 8,5
19 J OHN N.D. K ELLY , Il pensiero cristiano delle origini, p. 23.
QUANDO GESÙ DIVENNE DIO
la propensione di Ignazio a definire Gesù theos, oltre a testimoniare l’idea che per
Ignazio Gesù era autenticamente divino, potrebbe essere legata all’uso di questo
termine come epiteto onorifico per l’imperatore romano soprattutto al tempo dei
Flavi e quindi sottolineare polemicamente il rifiuto di Ignazio di onorare
l’imperatore come divino, riservando tali formulazioni devozionali a Gesù e d i-
mostrando che per lui l’unico essere umano a cui ci si poteva legittima mente ri-
volgere come theos era Gesù e non l’imperatore.
25 Efesini 1,1; 7,2; 18,2; 19,3; Romani saluti; 3,3; Smirnesi 1,1; a Policarpo 8,3.
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no 2000, p. 168.
uno dei predicati di Cristo, come in Giovanni, ora diventava il
predicato di Cristo per eccellenza, spostando il baricentro cri-
stologico in direzione della preesistenza precosmica del Figlio
di Dio e dunque sui rapporti tra il Logos premondano ed il
Dio Padre. Ad esempio essi si richiamano alla distinzione tec-
nica di logos, o Principio Razionale, fatta dagli stoici, distin-
guendo tra la Parola, o il logos, immanente (logos endiathetos) e la
Parola pronunziata o espressa (logos prophetikos). Con questa
distinzione in mente essi distinguono due stadi di esistenza del
Logos, in un primo stadio esso risiedeva in Dio (logos immanen-
te) e dopo come una persona distinta, generata (ma non crea-
ta) da Dio (il logos espresso). Teofilo di Antiochia (verso il
180) scrive che “Dio aveva suo verbo insito nelle proprie vi-
scere, lo generò insieme con la sua sapienza (quasi) emetten-
dolo dai precordi avanti tutte le cose” (Ad Autolico, II,10). 28
Gli apologeti erano così sempre meno interessati al Cristo dei
vangeli e sempre più al Logos, e questi concetti permisero loro
di definire con più precisione la divinità di Cristo aprendo così
la strada alla cristologia del “Verbo-carne”. Melitone di Sardi
significativamente dichiara che Gesù è “per natura Dio e uo-
mo”29 affermandone con vigore la preesistenza e la completa
divinità e se lo scritto di cui parliamo è autentico, 30 arriva a
parlare delle “sue due sostanze” (tas duo autou ousias) secondo
una formula che dalla filosofia è passata alla teologia gnostica
e, quindi, a quella dei teologi greci, sia eretici che ortodossi,
per essere infine canonizzata dal concilio di Calcedonia. In-
somma, i teologi cristiani per spiegare la loro concezione di
Dio e di Gesù, logos divenuto carne, hanno adottato i modelli
forniti dalla filosofia greca, talvolta filtrata da Filone, secondo
28 Traduzione di Salvatore Frasca, Teofilo. I tre libri ad Autolico, SEI, Torino 1938.
Vedi anche II, 22.
29 Sulla Pasqua, 8.
30 Sull’incarnazione di Cristo, 3, fram. 6, anche se alcuni autori (come Kelly e Gril-
una logica binitaria di Dio che, benché andasse oltre ciò che
Gesù stesso e le comunità giudeocristiane intendevano con
Dio e Figlio di Dio, aveva il vantaggio di essere uno sfondo
concettuale plausibile negli ambienti intellettuali del mondo
ellenistico conservando allo stesso tempo l’unicità di Dio e la
divinità di Cristo, anche se inevitabilmente queste speculazioni
finiranno per dare origine ad una serie di modelli cristologici
diversi ed in polemica tra di loro fino ed oltre il IV secolo.
Quello che rispetto a queste speculazioni può sorprendere
è che comunque fino al II secolo i filosofi cristiani sembrano
sostanzialmente essere disinteressati a definire una concezione
trinitaria di Dio, anzi, sembrano ignorarla completamente. È
vero che talvolta, tanto nel Nuovo Testamento che negli scrit-
ti dei padri apostolici, si incontrano formule triadiche, ma in
nessun caso sembrano esprimere l’idea di una trinità nell’unità.
Il primo teologo cristiano che in modo ancora disarticolato e
confuso introduce l’idea di trinità è Atenagora di Atene, le-
gandolo al modello platonico di logos e che vede nel concetto
di origine pagana di “potenza” (dynamis) l’elemento unificatore
delle triade divina.31 Questo atteggiamento concordista con la
filosofia greca è comune anche a Giustino, che fa appello al
Timeo per difendere la triade cristiana. 32 Per quanto riguarda
l’Occidente latino è Tertulliano il primo a parlare di trinitas. In
reazione al modalismo monarchico egli argomenta che se la
monarchia è il governo di uno solo questi può comunque ave-
re un figlio ed infatti il Figlio di Dio è della stessa sostanza
(substantia) del Padre, in quanto da lui proferito o generato. In
questo modo Tertulliano sostiene che Dio è una trinitas 33 di
personae (per Tertulliano persona probabilmente significava
“personaggio, ruolo, parte drammatica” come il ruolo che
31 Già in Filone le “Potenze” sono considerate manifestazioni dell’attività di Dio
in cui sono distinguibili tre livelli.
32 1 Apologia, 60.
33 Contro Prassea, 9.
l’avvocato assumeva in un processo al posto di colui che rap-
presentava) ciò vale a dire che l’unica sostanza divina avrebbe
tre figure distinte tra di loro, che fuoriescono da essa, per
svolgere una funzione ben precisa nella creazione e redenzio-
ne del mondo (trinità economica): il Padre nell’Antico Testa-
mento, il Figlio nel Nuovo e lo Spirito dalla sua rivelazione.
La generazione è precedente al “momento” della creazione ed
il Padre rimane completamente trascendente e “maggiore” del
Figlio, che non si è trasformato, ma si è solo rivestito della
carne.
Rispetto a tutte le complicazioni e le difficoltà che emergo-
no dal definire il rapporto di tre persone in Dio sarebbe inte-
ressante capire come mai i cristiani del III secolo, per di più di
fronte all’assenza di specifiche affermazioni trinitarie, tanto
nel Nuovo Testamento che nella tradizione sub-apostolica,
abbiamo cominciato a sviluppare il concetto di una trinità in-
tradivina. Le ragioni possono essere molteplici, certamente il
numero tre esercitava un innegabile fascino che emanava, per
esempio, dal pitagorismo dove simboleggiava la totalità, una
molteplicità in un’unità chiusa, così come potevano attrarre le
triadi di divinità diffuse non solo nell’antica Babilonia o in E-
gitto, ma soprattutto in ambito ellenistico a Delfi, nel culto di
Dioniso, nella religione di Asclepio, nel culto imperiale o nelle
triadi metafisiche della gnosi o nel neoplatonismo (l’Uno -
l’Intelletto - l’Anima). Quello che però sembra decisivo rispet-
to al successo di questo concetto e la sua successiva adozione
da parte dei teologi cristiani è che “la scienza filosofica di all o-
ra riteneva necessarie, per la sua impronta neoplatonica, tre
ipostasi in Dio” 34 e da questo punto di vista risulterà fonda-
mentale il contributo fornito da Origene. Egli, come Clemente
Alessandrino, concepiva la trinità in termini gerarchici, pro-
prio come nella triade neoplatonica, ma benché il Figlio e lo
34 H ANS K UNG , Cristianesimo. Essenza e Storia, Rizzoli, Milano 1997, p. 182.
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41 Storia della Chiesa, 5,28.