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c   



Suddiviso in gusci concentrici a densità crescente con la profondità. In questo mezzo le onde
sismiche sono soggette a fenomeni di riflessione e rifrazione. In particolare, se durante il tragitto
attraversano mezzi di densità differenti subiscono delle    ; se invece incantano un mezzo o
una superficie difficile da attraversare subiscono riflessioni.

¬  ñ    
     
 
 
  
 
   


 
  
     
     
    !  
  "  ! 

 

La velocità di propagazione è fortemente influenzata dal mezzo attraversato;

v x aumenta se il mezzo attraversato è più compatto e più elastico


v x diminuisce se il mezzo attraversato è meno compatto e meno elastico

Poiché le caratteristiche fisiche della terra variano in modo discontinuo, le onde sismiche vengono
variamente deviate, ed assumono traiettoria e forma diverse; generalmente curvilinee.
Gli studi dimostrano che a certe particolari distanze dalla sorgente sismica, la velocità di
propagazione delle onde subisce repentine variazioni. Questo indica una improvvisa variazione
delle caratteristiche fisiche del mezzo attraversato.
E¶ dunque possibile individuare alcune a    a   che indicano il limite tra i varii
gusci.

Le principali  a   sono:


G| la discontinuità di  
G| la discontinuità di d 
L¶interno della terra può quindi considerarsi diviso in tre parti:

G| { c

 c

SiO2 59,71%, Al2O3 15,41%, CaO 4,90%, MgO 4,36% Na2O 3,55% , FeO 3,52%, K2O 2,80%, Fe2O3
2,63% )
Moho (discontinuità)
G| 

Gutemberg (discontinuità)
G| {

Le analisi dei sismogrammi hanno consentito di ottenere informazioni sugli strati terrestri più
superficiali: ad esempio si è scoperto che sotto i continenti la profondità media della Moho è di 33
Km.
Si tenga presente che comunque la Gutemberg e la Moho sono le discontinuità più evidenti, ma ce
ne sono delle altre che portano ad una suddivisione più dettagliata.

Un¶altra suddivisione che tiene conto delle   a    degli strati esterni li
vede suddivisi come segue:


c 
è la parte più superficiale ± costituita dalla crosta e dagli strati superficiali del Mantello (che sono
più freddi e più rigidi del mantello profondo)

c
c 
zona composta da materiale più caldo e semi-solido, più molle della litosfera ed a comportamento
³plastico´. Questa zona può scorrere originando vasti movimenti laterali di materiale fluido.

La cosa interessante da rilevare riguarda gli spessori della litosfera al di sotto dei bacini oceanici e
degli scudi continentali. E i valori sono assai diversi:

Spessore Litosfera sotto scudi continentalix 110 ± 130 Km


Spessore Litosfera sotto scudi bacini oceanicix 75 Km
Tale spessore è, invece, assai ridotto in corrispondenza delle a  , luogo in cui si
forma nuova crosta, ed aumenta fino ai valori indicati man mano che ci si allontana dall¶asse della
dorsale.

E¶ interessante osservare che il limite inferiore della litosfera non è netto, ma graduale! L¶aumento
continuo della temperatura varia le proprietà meccaniche del materiale e porterebbe la sua base a
temperature prossime a quelle di fusione (800-1000 °C); tale base (della litosfera) si identifica con
la parte superiore del cosiddetto aa   in cui le onde sismiche si propagano con
velocità minore e l¶attività sismica è notevolmente attenuata.
In definitiva si tende a considerare la litosfera (rigida) come uno strato particolarmente soggetto alle
sollecitazioni meccaniche, ed il movimento che si realizza con più facilità sia lo scorrimento
sull¶astenosfera (plastica) in corrispondenza del canale a bassa velocità!


 

Quando in corrispondenza delle fratture del suolo è possibile riconoscere dei movimenti relativi tre
le due ³labbra´ è possibile ricadere nella definizione di   e la superficie su cui avviene il
movimento sono detti      

L¶entità dello spostamento tra le due parti della faglia si chiama   . Se la  !   le
due labbra sono simmetriche; non è cos¶ì, invece, in caso     . In tal caso, la parte che
si trova sopra il piano di faglia viene chiamata   e quella sottostante    

A seconda dei movimenti relativi tetto-muro si distinguono due tipi di faglia:

G| d " 

 (o normale) - il tetto è abbassato rispetto al muro. Esse sono il


risultato di    
 #, che comportano un allungamento del volume di roccia
interessato dalla dislocazione. Aree della crosta a margini divergenti!

G| d# c ± il tetto è sollevato rispetto al muro. Esse sono il risultato di   


# con accorciamento del settore roccioso. Aree della crosta con margini
convergenti!
Le faglie viste sono caratterizzate da forte prevalenza di movimento sulla componente verticale, se
invece il movimento è a componete prevalentemente orizzontale si dicono
d
c{ 


Un tipo particolare di faglie a scorrimento sono le D¬$% &'¬(D '$, che sono
prevalentemente associate alle aree a    dove, secondo la tettonica a placche, si
verifica l¶espansione del fondo oceanico con formazione di nuova crosta. Tali faglie (ipotizzate da
Wilson nel 1965) sono dotate di caratteristiche particolari.Wilson ipotizzò che:

á 
) 



  * 
     )
## ##       # 

   



)   
 á  ## 



 


¬+
    )  #)   ##  
  

#,   
    - 

 
 *      

.   
 +
 


Gli studi dimostrano che in presenza di faglie trasformi i terremoti si distribuiscono effettivamente
nella fascia compresa tra i due tronconi di dorsale. Ed evidentemente le dorsali sono il risultato di
una fatturazione non omogenea della crosta terrestre.

Comunque sia, non tutte le faglie producono terremoti. Quelle in grado di originare un sisma sono
classificate come  a a  o   a queste appartengono le faglie che sono in grado
di originare terremoti solo in tempi socialmente rappresentativi.

Alle singole strutture presenti in superficie e che si attivano solo in occasione di un evento sismico
si da il nome di   ; esse vanno considerate come l¶espressione superficiale delle struttura
sismogenetica profonda. Le faglie capaci costituiscono un elemento essenziale per il riconoscimento
e la classificazione delle faglie sismogenetiche principali.





   $ 
La teoria delle placche fu ideata oltre 30 anni fa. Essa riesce a spiegare un gran numero di
fenomeni. Vediamo in dettaglio.
Una placca tettonica (o placca litosferica) è sostanzialmente una piastra di roccia solida, costituita di
litosfera continentale ed oceanica di dimensioni e spessori variabili. I terremoti e l¶attività vulcanica
sono concentrati lungo i punti di contatto delle placche.
Un terremoto si origina quando le rocce della crosta terrestre, sottoposte ad uno sforzo continuato
oltre il limite di resistenza e come comportamento del loro comportamento rigido, si fratturano.
Il      di un corpo sottoposto a tensioni è causa di fratturazioni, a differenza del
  a  che consente di assorbire lentamente le tensioni accumulate. Si può quindi
concludere che:
  aa a       a  
a a    ! %aaa          


La figura mostra i movimenti delle &'    








   $ 

Le placche sono delimitate da tre tipi di margini (o limiti), più un quarto tipo indicato come  
   Quest¶ultima è una zona in cui i limiti non sono ben definiti e gli effetti delle
interazioni tra le zolle non sono del tutto chiari poiché le deformazioni legate al movimento delle
placche si estendono su di una fascia piuttosto ampia.

I tre principali tipi di margini si distinguono in:

    (o in accrescimento) ± in corrispondenza dei quali viene generata nuova crosta
e le placche si allontanano l¶una dall¶altra.
In pratica i margini divergenti si ritrovano lungo aa    a    da cui si genera
nuova crosta. Il limite divergente più noto è la dorsale medio-atlantica la cui velocità di espansione
media è di 2,5 cm l¶anno.

l¶isola d¶Islanda che si trova all¶estremo nord della dorsale si sta praticamente spaccando in due
lungo il centro di espansione, dividendosi tra la placca Nord-americana e quella Euro-asiatica.
Fenomeni simili hanno dato vita allo spostamento dell¶Arabia Saudita con la formazione del Mar
Rosso.



  { (o in consunzione) ± in corrispondenza dei quali viene distrutta parte della
crosta e una placca si infila sotto l¶altra.
Le dimensioni della terra sono variate di poco negli ultimi 600 milioni di anni, ciò implica (Hess)
che la crosta debba essere distrutta allo stesso ritmo con cui viene generata (in prossimità delle
dorsali oceaniche, come abbiamo visto)


Tale distruzione avviene lungo i limiti di convergenza delle placche, dove queste si muovono l¶una
verso l¶altra (margini convergenti) e, talvolta una di esse penetra sotto l¶altra (subduzione). Il luogo
in cui avviene tale fenomeno è detto  a  

Il tipo di convergenza tra placche dipende dal tipo di litosfera coinvolta; possono aversi fenomeni di
convergenza tra:
G|    
 

G|  
G| 
 


{   ({    ± A largo del Sud America, lungo la
fossa Perù-Cile, la placca di   viene spinta dentro ed in sub-duzione sotto la
parte continentale della zolla Sud-Americana.

Per contro la zolla Sud-Americana si sta sollevando dando origine alla catena
delle Ande. In questa regione sono assai frequenti terremoti forti e distruttivi e
rapidi sollevamenti di catene montuose.

{   (  ± Anche quando la convergenza interessa


due placche di tipo oceanico si riscontra, solitamente, il fenomeno della sub-
duzione, e nel corso del processo si forma una .


 aa     ad esempio indica un luogo in cui la veloce placca
pacifica converge verso quella più lenta delle filippine. In queta situazione la
placca discendente costituisce una sorgente incessante di sforzi poderosi che
determina il frequente ripetersi di eventi sismici. Si crede che per effetto dello
sprofondamento di una zolla in corrispondenza di una fossa oceanica, le alte
pressioni e temperature che si sviluppano diano luogo a processi di ÎD  
./ dei materiali rocciosi, con formazione di magmi che risalgono in
superficie in corrispondenza di fratture determinatesi parallelamente alla fossa
stessa.

Si forma, in tal modo, una catena di vulcani (inizialmente sottomarini e poi


affioranti sulla superficie) che tende ad assumere una caratteristica forma ad
arco. Da cui il nome di ³Arco Insulare´.

{  {   ({    ± quando due masse continentali si


incontrano, al temine del processo di sub-duzione che ha determinato la totale
scomparsa nel mantello della litosfera oceanicainterposta tra le due, nessuna di
esse viene più sub-dotta poiché le rocce continentali sono relativamente leggere
e quindi si oppongono al movimento verso il basso. La crosta continentale tende
infatti a deformarsi ed a essere spinta verso l¶alto o lateralmente.
La catena Himalayana continua ancora oggi a sollevarsi oltre 1 cm l¶anno, con
un tasso di crescita di 10 km in un milione di anni. Considerati i tempi di
persistenza di questi fenomeni viene da chiedersi come mai l¶altezza di questi
rilievi non sia ancora maggiore. Si ritiene che la placca Euro-Asiatica, piuttosto
che spingersi verso l¶alto, si stia ³stirando´ ed allungando per effetto di
fenomeni di sub-sidenza (progressivo abbassamento del terreno) per effetto della
gravità.



  
a  (o conservativi) ± in corrispondenza dei quali due placche scorrono
lateralmente l¶una rispetto all¶altra , senza produzione né distruzione di crosta. La zona in cui due
placche scorrono orizzontalmente l¶una rispetto all¶latra è detta   a . Come visto,
Wilson ipotizzò che tali faglie sono collegate:
1)| ai centri di espansione oceanica (margini delle placche divergenti)
2)| alle fosse (margini di placche convergenti)

Queste faglie si osservano principalmente sui fondali oceanici, tuttavia alcune sono presenti anche
sulla terraferma;


un esempio è la zona della faglia di S. Andrea collega tra loro i margini divergenti della dorsale
pacifica orientale (a sud) e della dorsale Gorda-Juan de Fuca Explorer (a nord).
Poiché il movimento relativo lungo la faglia avviene parallelamente alla faglia stessa, ne consegue
che le faglie trasformi sono le uniche linee da cui si può desumere la direzione del moto relativo tra
le placche. Lungo queste linee le forse in gioco sono enormi e danno origine a sismi di forza
devastante.


  ) 

Negli anni sessanta si è ipotizzato che le rocce del mantello superiore (dal comportamento plastico)
vengano lentamente rimescolate da ampie    che risalgono in corrispondenza di certe
aree del globo (  ) e sprofondano in corrispondenza di altre (.   0 . ).

sotto le placche litosferiche, a determinate profondità, il mantello è parzialmente fuso e può fluire
(lentamente) in risposta alle forze a cui è sottoposto. Le rocce solide del mantello, infatti, quando
nell¶interno della terra vengono sottoposte ad alte pressioni ed elevate temperature (per milioni di
anni) si comportano come il metallo solido, diventando malleabili ed in grado di assumere differenti
forme.
Si parla di convezione termica poiché il calore non viene trasportato per diffusione o irraggiamento,
ma per effetto del movimento di insieme del materiale. La differenza di densità tra il fluido caldo
astenosferico e quello freddo degli strati superiori del mantello determina il flusso verso l¶alto.
La litosfera è costituita da ampie zolle dal comportamento fragile, i cui margini sono in
accrescimento lungo le dorsali dei fondi oceanici ed in consunzione lungo le profonde fosse
oceaniche, secondo il seguente schema:
le zolle della litosfera si spostano lateralmente sull¶astenosfera; il materiale dell¶astenosfera risale
sotto le dorsalioceaniche, fonde e produce lava che viene eruttata va a formare nuova crosta nel
fondo oceanico. Le zolle divergono a mano a mano che il materiale che risale forma nuova litosfera;
la formazione della nuova litosfera viene bilanciata dalla distruzione di una quantità equivalente ai
margini delle zolle che convergono, dove la piastra viene assorbita nel mantello.

  ($ 


Il 95% dei terremoti interessa le zone di contatto tra le placche. Essi sono definiti   
poiché relativi ai movimenti ed alle interazioni relativi tra le zolle litosferiche.
Essenzialmente, definiscono quattro tipi diversi di zone sismiche:

G| Il primo tipo di fascia sismica è associato all¶asse delle a  (  in
corrispondenza del quale si registrano terremoti ad ipocentro poco profondo (< 70 km).


Gli assi delle dorsali costituiscono, com¶è noto, i luoghi di formazione di nuova crosta
terrestre in cui si realizza l¶espansione dei fondi oceanici e si l¶allontanamento delle placche.
Alla formazione di nuovo fondo oceanico lungo le dorsali medio-oceaniche si associa una
continua e persistente attività sismica. Si tratta in prevalenza di terremoti di bassa energia.

G| Il secondo tipo di zona sismica è associato a    a      ed


è caratterizzato da terremoti ad ipocentro poco profondo e dall¶assenza di attività vulcanica
(ed es. faglia nord anatolica). Lungo la faglia (che scorre orizzontalmente) il contatto genera
attriti che accumulano enormi tensioni che una volta liberate danno origine a terremoti di
grandi proporzioni. Una volta liberata la tensione i due blocchi scorrono lateralmente l¶uno
accanto all¶altro anche per parecchi metri; gli spostamenti verticali sono, invece, molto
contenuti

G| Il terzo tipo di fascia sismica è connesso con le aa   e gli   a  che
danno luogo ai cosiddetti sistemi arco-fossa caratteristici delle zone di subduzione. In tali
aree si registrano terremoti superficiali, intermedi o profondi; le profondità ipocentrali sono
in funzione della profondità della fossa, cioè della struttura lineare in cui avviene
l¶immersione della placca litosferica oceanica per essere, poi, riassorbita dal mantello
(processo di subduzione).
la placca che sprofonda definisce un piano (Piano di Benioff) lungo il quale si osservano
terremoti distribuiti a varie profondità.

Le zone di subduzione costituiscono, quindi, delle aree particolarmente attive sotto il profilo
sismico. In effetti circa il 90% dell¶energia sismica sprigionata, per effetto dei movimenti
relativi tra le zolle tettoniche, è prodotta dai terremoti che si verificano nelle zone di
subduzione.
A maggiori profondità lungo il Piano di Benioff la litosfera subisce ulteriori deformazioni
che danno origine a terremoti di spaventosi e profondi dai quali si può originare un
sollevamento del fondo oceanico anche di oltre 10 metri.

G| Il quarto tipo di zona sismica interessa una vasta area continentale che dalla Birmania
interessa tutto il continente asiatico fino ad arrivare alla regione mediterranea.
in questa fascia, i terremoti sono caratterizzati da un ipocentro poco profondo e si associano
ad elevate   ala cui origine va attribuita a fenomeni compressivi che si sono
prodotti in quest¶area del pianeta.
Quando due zolle di litosfera continentale convergono, non si verifica alcun processo di
subduzione (la litosfera continentale è troppo leggera per sprofondare nel mantello
terrestre). Al contrario, le zolle si scontrano e si contorcono fortemente, ripiegandosi e
distruggendo gli strati superiori della litosfera (vedi l¶Himalaya).




  ($ 


Sono eventi estremamente rari. Ma possono verificarsi terremoti all¶interno della placca, molto
lontano dai bordi delle stesse. Sono caratterizzati da un¶estrema potenza, poiché la crosta
continentale più rigida che forma l¶interno di una placca è in grado di trasmettere l¶energia sismica
con maggiore efficienza rispetto alla crosta estremamente fratturata dei bordi.

Ci sono tre diverse teorie che hanno tentato di spiegarne l¶origine.

Teoria delle concentrazioni delle tensioni ± Proposta da Campbell ne 1978, suggerisce che
  presenti nella crosta possano causare locali concentrazioni di tensioni nella crosta.
Anche se poiché le in omogeneità sono generalmente localizzate, i terremoti che potrebbero
scaturire da queste condizioni sarebbero comunque di modesta entità.

Teoria delle zone di debolezza ± ipotizza che i terremoti si verificano quando la placca è stata
indebolita da precedente attività tettonica (ad esempio la placca che si formerebbe a seguito di un
precedente scontro di due placche), si ritiene che il contraccolpo di enormi forze possa determinare
la fatturazione di zone interne più deboli e quindi il terremoto. Anche se terremoti intraplacca sono
stati osservati in zone in cui la crosta non aveva deformazioni pregresse.

Teoria dell¶elevato flusso di calore ± spiegherebbe alcuni eventi (terremoto di new madrid) ma non
altri.

Probabilmente la spiegazione della genesi dei terremoti intraplacca si trova in una teoria che
racchiude tutte e tre le ipotesi viste.











      
L¶origine dei terremoti è da attribuirsi a ³perturbazioni´ che si manifestano al di sotto della crosta
terrestre o al suo interno. Di solito la causa è associata a dislocazioni di masse rocciose (più o meno
grandi) ad opera di faglie la cui attività sottopone la roccia a tensioni e deformazioni spinte oltre il
limite di resistenza elastica. In tal caso si parla di      .

La seconda categoria di eventi tellurici è associata a fratture che si manifestano prima e durante
l¶attività eruttiva di un vilcano: si parla allora di     

È chiaro, quindi, che alla base di un terremoto c¶è sempre una ³ROTTURA´ nel punto di minor
resistenza della massa rocciosa.
Dal punto iniziale la rottura si propaga verso l¶alto con una velocità di 3 km/s; in alcuni casi tale
rottura arriva ad intersecare la superficie terrestre originando così il fenomeno della   
a    

In alcuni casi si possono riscontrare sulla superficie del suolo dei ³gradini´ che corrispondono allo
spostamento (rigetto) della faglia che generato l¶evento sismico (faglia sismogenetica).

{ aa   a    %  


Un¶ulteriore classificazione identifica i terremoti in base alla profondità dell¶ipocentro secondo il
seguente schema:

SUPERFICIALI x con profondità ipocentrale tra 0 ± 70 km


INTERMEDI x con profondità ipocentrale tra 70 ± 300 km
PROFONDI x con profondità ipocentrale tra 300 ± 700 km



 a    
Si possono individuare tre fasi, distinte e conseguenti, che caratterizzano un evento sismico:

1)| 
 
#" cc {{c 
2)| {{" d c
{
è l¶accumulo di energia elastica nella litosfera, tale fase è generalmente molto lenta
3)| * )" % d{{

il rilascio (solitamente brusco e rapido) dell¶energia assorbita dalle masse rocciose

E¶ interessante osservare che la in omogeneità dei materiali che costituiscono il mantello terrestre è
evidenziata dall¶esistenza di zone con caratteristiche chimico-fisiche (temperatura, pressione, stato
aggregativi etc.) assai diverse tra loro. Tali differenze determinano un continuo rimescolamento dei
materiali teso a ristabilire una condizione di equilibrio chimico-fisico. Questo rimescolamento
interno si traduce nella formazione delle già viste    che fanno interagire tra loro
le placche che si deformano fino a rompersi. Nel momento in cui si determina la frattura, l¶energia
elastica accumulata durante la fase di deformazione viene rapidamente rilasciata ed irradiata in tutte
le direzioni sotto forma di onde sismiche, provocando così il terremoto. La zona dove inizia la
frattura si chiama   e può collocarsi a profondità più o meno elevata. La proiezione
verticale di tale punto sulla superficie terrestre (il punto di superficie che per primo viene toccato
dall¶onda sismica) è l¶   



     
Harry f. Reid elaborò la cosiddetta
 " ) c
{ , secondo la quale le rocce
hanno un comportamento elastico che consente loro, quando sono sottoposte a uno sforzo, di
accumulare l¶energia meccanica di deformazione (come farebbe una molla compressa).

la teoria della reazione elastica ammette che due blocchi in movimento della crosta terrestre,
ciascuno dei quali parte di una diversa zolla della litosfera si incontrano in una faglia (fig.a).
Inizialmente, l¶attrito fra le zolle lungo la superficie della faglia impedisce il reciproco scorrimento,
ma il materiale circostante la fagli viene deformato (fig. b).
Ad un certo punto, gli sforzi agenti superano la resistenza esercitata dall¶attrito e la roccia cede nel
suo punto di minor resistenza (fig. c). Da quel punto la frattura si propaga lungo la faglia e le rocce
che si trovano ai lati opposti della faglia scorrono le une contro le altre. In conseguenza di ciò una
buona parte dell¶attrito sviluppatosi ai lati della faglia prima della frattura viene liberata con
violenza ed istantaneamente facendo scattare all¶indietro (    a ) la roccia lungo la
faglia.
Nel giro di pochi secondi si ristabilisce la condizione iniziale di equilibrio ed il ciclo ricomincia.

Il rilascio dell¶energia elastica, che si accumula durante la fase di deformazione, avviene sotto
forma di onde sismiche e calore dovuto all¶attrito che si mobilizza lungo la faglia.

Occorre osservare che, la reazione elastica non avviene sempre nel giro di pochi secondi, ma in un
arco di tempo maggiore; ciò fa si che l¶energia sismica che viene rilasciata ad ogni istante sia molto
piccola: in questi casi si parla di a  a a  

Secondo alcuni ricercatori prima di un grande terremoto l¶attività lungo le faglie sarebbe
prevalentemente di tipo asismico.
Le evidenze in superficie di tale fenomeno si manifestano con impercettibili e lente deformazioni
del suolo. Il movimento asismico di una faglia giocherebbe quindi un ruolo molto importante nel
controllo delle tensioni regionali e dell¶innesco dei terremoti.


 {  c a 

Un terremoto è l¶effetto manifesto dello squilibrio fisico che si determina del sottosuolo per effetto
di forse tettoniche. Dopo il rilascio dell¶energia sismica, l¶aria interessata dall¶evento tende a
riportarsi in una nuova condizione di equilibrio e permane in questo stato per un certo periodo di
tempo, durante il quale l¶attività sismica vera e propria è nulla. Per effetto dell¶azione incessante di
forze tettoniche l¶area è comunque sottoposta a un continuo processo di accumulo e successivo
rilascio di energia; questo processo è detto   a a .

Il ciclo sismico può essere diviso in tre stadi:

c
" 
 cc{ ± (che si colloca tra un sisma ed il successivo) ± in questa fase avviene
l¶accumulo di energia di deformazione che verrà successivamente rilasciata sottoforma di onde
sismiche. Questo stadio è molto importante, può fornire diverse informazioni in quanto ad esso si
associano una serie di   a (sismici, elettrici, geomagnetici, etc. che nella fase
precedente l¶innesco si manifestano con evidenti anomalie nelle caratteristiche fisiche dei materiali
rocciosi);

c
" {(cc{ ± (che si colloca nel corso del sisma) ± gran parte dell¶energia accumulata
viene liberata sottoforma di energia cinetica con conseguente vibrazione del suolo: si ha il
terremoto!
Questo stadio è preceduto da una fase (a   (a a  immediatamente prima del terremoto)
nel corso della quale la deformazione del materiale diventa particolarmente intensa e che continua
fino al momento della rottura.

c
" $c
(cc{ ± (che si colloca dopo il sisma) ± si ha il lento ritorno alla condizione di
equilibrio e si verificano scosse di replica e la scomparsa delle anomalie fisiche che si erano
prodotte in precedenza.

In generale, comunque, il ciclo sismico è da intendersi solo come un ³canovaccio´ atto a descrivere
la sequenza degli eventi che interessano un sisma. Le tempistiche e la durata del ciclo sono
fortemente dipendenti dalla ³regionalità´ del luogo interessato, e non possono in alcun modo
rappresentare un ciclo nel senso stretto del termine come può essere il sorgere ed il tramontare del
sole!

"dd"+%,)"%"

Un¶onda sismica che si propaga nella materia induce uno spostamento delle singole particelle del
mezzo (supposto continuo) rispetto alla loro posizione di equilibrio.
Le equazioni che governano la propagazione delle onde sono ottenute a partire dall¶ipotesi
semplificativa di considerare piccole perturbazioni rispetto ad una posizione di equilibrio.
L¶altra semplificazione normalmente utilizzata è quella di linearità tra sforzo e deformazione.

L¶elasticità rappresenta la proprietà di un corpo a ritornare nella condizione di non deformazione


una volta che le forze applicate sono rimosse (Figura 2.1).

D   1 Un oggetto di lunghezza L si deforma


diminuendo la propria lunghezza di una quantità ǻL per
effetto di una compressione uniassiale ı. In condizioni
regime elastico il corpo ritorna alla sua dimensione
iniziale quando viene rimossa la sollecitazione ı.

è pertanto necessario introdurre i concetti di sforzo e deformazione e stabilire una relazione fra
queste due grandezze nell¶approssimazione di piccole deformazioni e assumendo un
comportamento elastico.

c  
Lo sforzo (
) è una grandezza fisica che esprime la forza agente per unit`a di superficie.
Se la forza varia da punto a punto della superficie considerata sar`a variabile anche lo sforzo
risultante. In tal caso lo sforzo (>) in un punto si calcoler`a considerando un elemento infinitesimo
della superficie e valutando il rapporto tra la forza totale agente in quel punto () e la superficie
elementare (ǻS) al tendere a zero di quest¶ultima:


L¶unità di misura dello sforzo è il Pascal (1Pa = 1Nmí2). L¶orientazione della forza e quella della
normale alla superficie ǻS risultano essere parte integrante della definizione di sforzo.
Se la forza applicata ha una direzione ortogonale alla superficie, allora parleremo di sforzo normale
(o pressione). Se la forza agente `e invece tangenziale alla superficie lo sforzo risultante `e detto di
taglio. Per una forza orientata in modo generico rispetto alla superficie lo sforzo può essere
comunque scomposto nelle sue componenti lungo le direzioni normale () e tangenziale ( ) alla
superficie e può quindi essere espresso in termini di componenti normale ıne di taglio ıt 
' ' 


 
D   1 Qualsiasi sforzo può sempre essere D   1 Componenti cartesiane dello sforzo agente sulla
scomposto nelle sue componenti lungo le direzioni faccia parallela al piano (y, z) di un cubetto elementare. 
normale e tangenziale alla superficie ǻS. 


Si consideri un elemento di volume infinitesimo (cubetto elementare) disposto rispetto ad un
sistema di riferimento cartesiano ortogonale (x, y, z) come in ' -.

Lo sforzo totale agente su ciascuna delle facce del cubetto può essere espresso in termini delle sue
componenti cartesiane. Se indichiamo rispettivamente con
x,
y e
z gli sforzi applicati sulle
facce del cubetto ortogonali alle direzioni x, y e z, si può scrivere


essendo .x, .y e .zi versori degli assi coordinati. Quando il volume del cubetto tende a zero, le forze
agenti sulle facce opposte diventano uguali e ciò significa che per descrivere lo stato di 
sono
necessarie le sole nove componenti cartesiane dello sforzo. Queste componenti possono essere
rappresentate in notazione matriciale assegnando la seguente corrispondenza fra indici:

componente x ĸ 1
componente y ĸ 2
componente z ĸ 3

Secondo tale notazione, ad esempio, la componente ıyxsi scriverà ı21. Le componenti ıijsono gli
elementi del tensore degli sforzi >:


Evidenziamo che, in accordo con la notazione adottata, per la componente ıij del tensore degli
sforzi l¶indice È rappresenta la direzione della componente di sforzo e l¶indice  è la direzione della
normale alla superficie considerata.

c  %/  
Per un cubetto elementare in uno stato di equilibrio, o in uno stato ad esso prossimo, come
presuppone l¶elasticità, il momento meccanico associato agli sforzi agenti sul cubetto deve essere
nullo e di conseguenza le componenti ıij e ıjidevono essere uguali.
Per dimostrarlo, riferiamoci alla figura 2.4 dove `e rappresentata la sezione di un cubetto elementare
parallela al piano (x, y).

D   1 Sforzi agenti su una sezione parallela al
piano (x, y) di un cubetto elementare.

In tal caso la coppia di forze ıyxd2d. tenderebbe ad indurre una rotazione in verso anti-orario del
cubetto elementare. La coppia di forze ıxyd3d. produrrebbe invece una rotazione in verso orario del
cubetto stesso. In condizioni di equilibrio i momenti meccanici associati a queste due coppie di
forze, avendo versi opposti, devono essere uguali in modulo:

> † 0>  †

Da tale relazione si ricava che ı yx= ıxy. Generalizzando il risultato si ottiene ıij= ıji. Le
considerazioni sulle condizioni di equilibrio conducono quindi alla conclusione che tensore degli
sforzi >è simmetrico e ciò riduce a sei il numero delle sue componenti indipendenti.

"  


Il volume di un materiale soggetto a sforzi subisce una deformazione, cioè cambia la sua forma e le
sue dimensioni.

D  1
Spostamento del punto P dalla posizione occupata al tempo t0a quella occupata ad un istante di tempo t > t0. Lo
spostamento asubito dal punto P è dato da í 1.

Si consideri un punto P appartenente al volume soggetto a deformazione e avente coordinate (x01,


x02, x03) all¶istante t = t0. L¶evoluzione della posizione del punto P nel tempo può essere descritta
utilizzando una rappresentazione lagrangianao euleriana.

©   
  
 VLUDSSUHVHQWDOીHYROX]LRQHVSD]LDOHPHGLDQWHXQ
YHWWRUHVSRVWDPHQWRFKHLQGLFDODSRVL]LRQHGHOJHQHULFRSXQWR3DGRJQLLVWDQWHGLWHPSRW 
WRULVSHWWRDTXHOODFKHLOSXQWRVWHVVRRFFXSDYDDOWHPSRGLULIHULPHQWRW W R
©   
   
 VLUDSSUHVHQWDOીHYROX]LRQHVSD]LDOHGHOJHQHULFRSXQWR3
DVVHJQDQGRJOLDFLDVFXQLVWDQWHGLWHPSRWXQYHWWRUHSRVL]LRQH ULVSHWWRDOOીRULJLQHGHO
VLVWHPDGLULIHULPHQWR

Nel caso di piccole deformazioni (piccoli spostamenti di P rispetto alla posizione di equilibrio)
risulta conveniente usare la descrizione lagrangiana.
Supponiamo che la posizione di P al tempo t = t osia individuata dal vettore 1= x01 .1+ x02 .2 + x03 .3.
Ad un tempo t > to, in seguito alla deformazione del volume a cui P appartiene, tale punto si
ritroverà in una nuova posizione definita dal vettore  = x1 .1+x2 .2+x3.3. Adottando la
rappresentazione lagrangiana, la nuova posizione di P sarà quindi descritta dal vettore spostamento
a(P) = í0 che corrisponde alla posizione di P al tempo t rispetto alla sua posizione iniziale. Ciò
equivale a scegliere un sistema cartesiano avente origine coincidente con la posizione occupata dal
punto P al tempo t0. In figura 2.5 s1 e s2rappresentano le componenti del vettore ain questo sistema
di riferimento. In 3 dimensioni, a(P) = s1 .1 + s2 .2+ s3.3. Poichè adipende dalla posizione del punto
nel volume deformato, nel caso generale s1, s2, s3sono funzioni delle coordinate dei vari punti che
costituiscono il volume in esame.
Consideriamo adesso un punto Q, prossimo a P, e posto a distanza dda quest¶ultimo (Figura 2.6).



D "1Spostamento subito da un punto Q, prossimo al punto P, per effetto della deformazione.


Quando il volume che contiene i punti P e Q si deforma in condizione di regime elastico (piccoli
spostamenti), il punto P verrà a trovarsi in P¶e il punto Q in Q¶. Sia d%la distanza fra P¶e Q¶.
Indicando con 1 e , rispettivamente, le posizioni di P e P¶ e con /1 e /quelle di Q e Q¶, si
ricava
a(Q) = / í /1
Dalla figura 2.6 risulta
/1= 1+ d

/= + d¶

e sostituendo nella relazione precedente si ottiene

a(Q) = (í 1) + (d% í d)


Dal momento che risulta

í 1 = a(P) e d%= d+ da(P)
in conclusione si ricava
a(Q) = a(P) + da(P) (2.5)

dove da= ds1 .1+ds2 .2+ds3 .3 ed essendo ds1, ds2 e ds3i  .delle componenti dello
spostamento a(P).
3HUGHILQL]LRQHLO d  GLXQDIXQ]LRQHI X X X  CHGDWRGD



  aa  

Riscriviamo la (2.5) per ciascuna componente esplicitando l¶espressione del differenziale davalida
nell¶approssimazione di 

:



La definizione di  

 è strettamente connessa a quella di piccola deformazione. La deformazione è
una quantità adimensionale ( essendo la lunghezza lineare del volume non deformato e la variazione di
lunghezza causata dalla deformazione) che si esprime attraverso un rapporto minore di 1. La definizione di piccola
deformazione implica dunque . Nella Terra le deformazioni co-sismiche (dovute a dislocazioni su faglie
che avvengono durante i forti terremoti) sono dell¶ordine di 10í4, quelle associate alla propagazione delle onde
sismiche sono più piccole di alcuni ordini di grandezza (10í9í 10í8). Le deformazioni misurate su campioni di roccia
in laboratorio mostrano valori ben più elevati ( 10 í3). La differenza di un ordine di grandezza rispetto alle osservazioni
co-sismiche viene usualmente spiegata con la presenza di fratture preesistenti e piccole fenditure nelle rocce terrestri
che le rendono più ³deboli´ rispetto ai campioni usati in laboratorio.

In forma compatta le (2.6) si scrivono come:



Per ogni coppia di indici i e j fissati, il termine ˜s j/˜uipuò essere scritto come

Sostituendo la (2.8) nella (2.7) si ottiene

Nel caso di piccoli spostamenti i primi due termini al secondo membro della (2.9) rappresentano,
rispettivamente, una traslazione e una rotazione rigide. L¶ultimo termine rappresenta invece la
deformazione. Il tensore costituito dagli elementi
è detto tensore delle deformazioni infinitesime (
 ). Appare evidente dalla sua definizione che il
tensore delle deformazioni è simmetrico e di conseguenza risulta caratterizzato da sei componenti
indipendenti. L¶elemento İijesprime l¶effetto di distorsione su di una linea d iper cui la distanza
relativa dei suoi estremi varia della quantità İij d i. Ad esempio, l¶elemento İ11, che in maniera
esplicita si scrive

esprime la variazione relativa della posizione di 4 nella direzione 1.

Determiniamo adesso la variazione relativa di volume d5 subita da un parallelepipedo di lati d 1 ,


d 2, d 3per effetto della deformazione (Figura 2.7). Il volume del parallelepipedo non deformato
È dato da
d5 = d 1d 2d 3

Per conseguenza della deformazione, la lunghezza dell¶elemento nella direzione u1 diventa

d +1= d 1+ İ11d 1= d 1(1 + İ11)


In modo analogo è possibile valutare la variazione di lunghezza per gli altri lati nelle direzioni
rimanenti. Il volume deformato sarà quindi uguale a



in cui Ø(İ) indica termini in İ di ordine superiore al primo e quindi trascurabili (İij<< 1). In
definitiva



La quantità ǻ = xö a= İ11+ İ22+ İ33, detta dilatazione, rappresenta la frazione di volume di cui è
variato dV ed esprime la deformazione volumetrica.

La relazione tra sforzo e deformazione in regime elastico (piccole deformazioni) nasce dagli
esperimenti di Robert Hookeche stabilì la proporzionalità tra lo sforzo applicato e la deformazione
risultante. Nella sua forma generalizzata la legge di Hooke afferma che ciascuna componente dello
sforzo in ogni punto del corpo `e una funzione lineare delle componenti indipendenti della
deformazione (Figura 2.8). In un mezzo non isotropo (cioè un mezzo per il quale le proprietà
elastiche dipendono dalla direzione) sono, in linea di principio, necessarie 81 costanti che legano le
nove componenti del tensore degli sforzi alle nove componenti del tensore delle deformazioni


D  6 1 In condizioni di regime elastico
lo sforzo dipende linearmente dalla
deformazione. Il processo è completamente
reversibile nel senso che la deformazione si
annulla una volta rimosso lo sforzo applicato.
Superato un certo valore dello sforzo agente, si
entra nella regione di regime plastico: il corpo
subisce una deformazione permanente. Se si
continua ad aumentare lo sforzo applicato si
giunge al punto di rottura.

Detto cijpqil tensore delle costanti elastiche, la legge di Hooke generalizzata si scrive in modo compatto
come
ıij= cijpqİpq

dove si `e fatto uso della notazione di Einstein (sommatoria sugli indici ripetuti). Il numero di costanti
indipendenti si riduce a 21, per un mezzo generalmente anisotropo, utilizzando le seguenti simmetrie:

cijpq= cijqp essendo İpq= İqp


cijpq= cjipq essendo ıij= ıji
cijpq = cpqijbilancio energetico

La Terra è assimilabile, in prima approssimazione, ad un mezzo isotropo. In tal caso le costanti di


proporzionalità si riducono a due, le a   234.

In un mezzo elastico ed isotropo le costanti di proporzionalità indipendenti si riducono a due: le
costanti elastiche Ȝ e ȝ dette costanti di Lamè. In definitiva la legge di Hooke in un mezzo elastico
ed isotropo si scrive


per gli sforzi normali, ed


per gli sforzi di taglio. In forma compatta le equazioni (2.16) e (2.17) si scrivono come

ıij= Ȝ(İ11+ İ22+ İ33) įij+ 2ȝİij


Dalla (2.16) si deduce che gli sforzi normali producono deformazione anche in direzioni diverse da
quella dello sforzo agente. Dalla (2.17) segue che la costante ȝ esprime la resistenza alla
Deformazione di taglio e, per questa ragione, essa è nota come modulo di taglio o di rigidità.
Entrambe le costanti di Lamè Ȝ e ȝ hanno le dimensioni fisiche dello sforzo.
Altre costanti elastiche sono generalmente definite a partire dalle costanti di Lamè.
Il modulo di Young% esprime la resistenza di un materiale a deformazioni lineari sotto l¶azione
di compressioni o dilatazioni. Esso `e dato da ( Inserto 2.1 )

Nell¶esempio di Figura 2.9, assumendo per convenzione che gli sforzi di compressione siano
negativi, risulta ı11< 0 e, di conseguenza, İ11< 0.



D 71Deformazione di un rettangolo sottoposto ad uno sforzo uniassiale

Il     $ aa5 esprime il rapporto tra le componenti della deformazione parallela ed
ortogonale alla direzione dello sforzo agente ed `e dato da:

      aa    esprime la resistenza di un materiale a un cambiamento di


volume per effetto della pressione:

Le costanti elastiche sono, per loro stessa definizione, positive. In particolare:

G| il rapporto di Poisson assume valori compresi tra 0 e 0.5.


G| I valori di  variano
da 1 16 per rocce estremamente rigide
fino a 1 76 per materiali soffici poco consolidati.
G| Per i liquidi 401 e quindi 01 6.
G| Per la maggior parte delle rocce % e 8 sono dell¶ordine di 
10 í 200GPa = 10 í 200 x 10 9Nmí2.

a ' &


{     8   $ aa 

Riferendosi alla Figura 2.9, supponiamo che sia ı 22= ı33= 0 e ı11 = 0. In tal caso, dalle (2.16) e
(2.17),



si ha

ı11= Ȝǻ+2ȝİ11= Ȝ(İ11+ İ22+ İ33) + 2ȝİ11 (i)


ı22= Ȝǻ+2ȝİ22= 0  Ȝǻ = í2ȝİ22(ii)
ı33= Ȝǻ+2ȝİ33= 0  Ȝǻ = í2ȝİ33(iii)

Dalle ultime due relazioni segue immediatamente: x í2ȝİ22 = í2ȝİ33


e dunque x İ22 = İ33(iv)
Sostituendo la (iv) nella (i) si ottiene: ı 11í 2ȝİ11= Ȝǻ = Ȝİ11+ 2Ȝİ22(v)
e tenendo conto della (ii) si ricava 2ȝİ 22= í Ȝǻ = í Ȝİ11í 2Ȝİ22
da cui segue immediatamente che: í2ȝİ 22= í Ȝİ11í 2Ȝİ22
e quindi:
(vi)
Sostituendo l¶espressione (vi) per İ22 nell¶equazione da cui la relazione (2.19) per il rapporto di
Poisson:
X11= Ȝİ11+ 2Ȝİ22+ 2ȝİ11

che si ricava immediatamente dalla (vi), si ottiene la relazione (2.18) per il modulo di Young.

/      a 
Utilizzando come ingredienti la seconda legge della dinamica e la legge di Hooke, è possibile
derivare l¶equazione che governa lo spostamento di una particella in un mezzo elastico sottoposto a
sforzo.

Negli argomenti trattati fino ad ora si è discusso di elementi di volume che si trovano in condizioni
di equilibrio statico o in prossimità di esso. Consideriamo adesso il caso di equilibrio dinamico nel
quale un cubetto elementare è sottoposto ad una deformazione di piccola entità per la quale è valida
l¶approssimazione di regime elastico. Supponiamo inoltre che il cubetto sia sufficientemente
lontano dalla regione in cui si è prodotta la causa (sorgente) della perturbazione di sforzo in modo
da poter considerare il contributo della sorgente trascurabile ai fini del calcolo del campo di
spostamenti.
        
Supponiamo che ı 11, ı12 e ı13siano gli sforzi agenti sulla faccia posteriore del cubetto ortogonale al
piano (u2, u3); gli sforzi agenti sulla faccia anteriore sono dati dalle relazioni



Ciò è valido nell¶ipotesi che le dimensioni del cubetto siano infinitesime. In tale circostanza le
variazioni di sforzo tra le facce possono essere espresse mediante relazioni lineari del tipo (2.21).
Poichè gli sforzi (positivi) sulle facce opposte del cubetto hanno segno opposto, le componenti
dello sforzo risultante sono date da



Valutiamo adesso le componenti delle forze corrispondenti. Tali forze, associate agli sforzi agenti,
vengono dette forze di trazione o di contatto e vanno distinte dalle .    


.

In generale la forza totale agente sul cubetto elementare comprende sia le forze di trazione (o di contatto) che le forze
di massa. Esempi di queste ultime sono la forza gravitazionale o quella elettromagnetica e sono forze che agiscono a
distanza. In definitiva la forza totale agente è data da
F(tot) = F(trazione) + F(massa)
Nel caso considerato di deformazioni di volumi elementari all¶interno della Terra le forze di interazione a distanza
sono considerate come aventi effetti trascurabili sulla propagazione di onde elastiche. Infine, nell¶ipotesi che la
particella in considerazione sia sufficientemente lontana dalla regione sorgente, il termine di forza ad essa associato è
anch¶esso da ritenersi trascurabile.

Dalla definizione di sforzo (forza unit`a di superficie), la forza F11vale (Figura 2.11)




essendo dV il volume del cubetto elementare. La quantità F11 nella relazione (2.23) rappresenta la
componente della forza per unità di volume agente ortogonalmente al piano (u2, u3).


D 1Lo sforzo ı11 agisce perpendicolarmente alla faccia parallela al piano (u 2, u3) di un parallelepipedo
elementare di dimensioni du 1, du2, du3

Applicando gli stessi ragionamenti alle altre coppie di facce opposte del cubetto, si ricava


Segue allora che il risultante delle forze per unità di volume agenti lungo la direzione u1 è dato da

essendo >1= (ı11, ı21, ı31).


*     
Utilizzando la seconda legge della dinamica (= ȡ , dove `e il risultante delle forze per unità di
volume che agiscono sul cubetto elementare di volume 5 e densità ȡ e è l¶accelerazione indotta da
tale risultante) la componente lungo u1 della forza totale (per unità di volume) associata alle sole
forze di trazione sarà data da



Per la legge di Hooke (relazioni 2.16 e 2.17) risulta

ı11= Ȝ(İ11+ İ22+ İ33) + 2ȝİ11


ı21= 2ȝİ21 (2.27)
ı31= 2ȝİ31
e sostituendo le (2.27) nella (2.26) si ottiene


Dove ǻ = İ11+ İ22+ İ33 è la dilatazione.

/   


Dalla definizione del tensore delle deformazioni infinitesime (relazione 2.10) risulta



Sostituendo le (2.29) nella (2.28) otteniamo *$ 


essendo ǻ = İ11 + İ22+ İ33la dilatazione. Considerando le analoghe espressioni per le altre
componenti, in forma vettoriale si ottiene




Nella 2.31 definiamo il vettore x2a; (x2s1,x2s2,x2s3)

le cui componenti sono degli scalari. Ad esempio



Utilizzando le proprietà degli operatori xǻ e x2ae sostituendo nella (2.31) si ricava



che rappresenta l¶equazione del moto cercata. Notiamo esplicitamente che
G| il primo termine al secondo membro della (2.32) è a    (xx [x(xö a)] = 1) ed è
dunque un termine irrotazionale
G| il secondo termine al secondo membro della (2.31) è a     (xö (x x x x a) =
0) e quindi solenoidale.

' 6/ %


La (2.32) è un¶equazione differenziale del secondo ordine a coefficienti costanti e descrive lo
spostamento nel tempo delle particelle di un cubetto elementare di un mezzo continuo sottoposto ad
una variazione infinitesima di sforzo, trascurando l¶effetto della sorgente della perturbazione che,
nel caso più generale, rappresenta un termine additivo al secondo membro della (2.32). I due
termini, irrotazionale e solenoidale, al secondo membro dell¶equazione (2.32), rappresentano moti
con #
 ... .

Per definizione, la polarizzazione di un¶onda rappresenta la direzione del vettore spostamento che corrisponde alla
direzione di oscillazione della particella che subisce la sollecitazione.
In generale, la soluzione dell¶equazione (2.31) è un campo di spostamenti delle particelle del
cubetto elementare che hanno polarizzazione qualunque.
Consideriamo i due casi limite per cui, alternativamente, lo spostamento a sia irrotazionale o
solenoidale.
G| a irrotazionale (x x a = 1 xx xx a = 1). Dal punto di vista fisico questa soluzione
rappresenta uno spostamento che non produce moti trasversali nel mezzo.
Poichè x(x ö a) = x2 a, sostituendo nell¶equazione (2.32), si ottiene l¶equazione del moto per
la componente $ (o di compressione) dello spostamento

essendo ij il potenziale scalare di Helmholtz.

G| a solenoidale (xö a = 0 x (x ö a) = 0). Dal punto di vista fisico questa soluzione


rappresenta uno spostamento che non produce variazioni di volume nel mezzo. In questo
caso,x x x x a= íx2a per cui, sostituendo nell¶equazione (2.32), si ottiene l¶equazione del
moto per la componente c (o di taglio) dello spostament

essendo 9il potenziale vettore di Helmholtz.

Per sostituzione diretta si può verificare che i potenziali scalare ij e vettore 9soddisfano equazioni
identiche rispettivamente alle (2.33) e (2.34  /      ' --  ' -7 a  
/   % e, come vedremo nel seguito, le loro soluzioni rappresentano perturbazioni che
sipropagano nello spazio e nel tempo.
!           
       *    ) 
 .  +9 .  
   *  #  


  
+
..  
 . 
:
. *;  L  #    9 .  +    
 .  9   
   


 

 <*=x;>x xL 

Notiamo che le equazioni (2.33) e (2.34) hanno entrambe forma del tipo




La costante c ha le dimensioni di una velocità, come si può verificare da una analisi dimensionale
dell¶equazione (2.35). Questa costante dipende dalle proprietà elastiche (Ȝ e ȝ) e dalla densità ȡ del
mezzo di propagazione, assume un valore differente per le componenti onda P ed S e rappresenta la
velocità di propagazione delle onde nel mezzo.






""# 

aa        $c 

La soluzione analitica dell¶equazione elastodinamica (2.32)

può essere ottenuta solo nel caso di un mezzo omogeneo, isotropo illimitato. Qualora si introduca
un termine di sorgente che rappre-senti una forzai mpulsiva ed unidirezionale, (descrivibile
mediante una funzione delta di Dirac) la soluzione dell¶equazione (2.32) prende il nome di funzione
di Greenelastodinamica, in analogia al caso elettromagnetico. Nella sua forma più generale, la
  d viene solitamente indicata con la notazione

d ‘— 1:— 

In questo modo si intende rappresentare la componente 0in funzione del tempo t del campo
di spostamento prodotto in x da una forza impulsiva unitaria applicata in ȟ altempo t0 e diretta lungo
la direzione 0. La funzione di Green così definita risulta essere un tensore che dipende dalle
coordinate della sorgente e del ricevitore e soddisfa l¶equazione

Dove ȡ è la densità del mezzo e cijkl rappresenta 


  


.

In un mezzo omogeneo, isotropo ed illimitato le costanti elastiche cijkl si riducono alle Costanti di Lamè ¦ e

Le condizioni iniziali che di solito si utilizzano per risolvere l¶equazione (3.2) prevedono che:

G| Gip (ȟ, t0; x,t)

G|

siano entrambe nulle per t ” t0 e x  ȟ. Per calcolare univocamente G restano da fissare le condizioni
al contorno che dipendono in maniera specifica dalle applicazioni. Risolvendol¶equazione (3.2) in
un mezzo omogeneo, isotropo ed illimitato si ricava    da ;a  
a     

dove le costanti:
|

hanno le dimensioni di una velocità, r = | x - ‘ | è la distanza tra la sorgente e il ricevitore, e i


coefficienti ¬ | , ¬ e ¬ |sono delle quantità dipendono dall¶orientazione relativa della forza e
della componente dello spostamento osservato.

G| Il primo termine al secondo membro della (3.3) è detto di # o di  (  )
G| mentre gli altri due sono detti di 
 o di  ( ) e si riferiscono alle
componenti onda | ed onda | dello spostamento.

Tali definizioni prendono spunto dall¶ampiezza relativa dei tre termini in funzione della distanza r
dell¶osservatore dalla sorgente. Tenuto conto della forma della funzione integranda, il primo
termine si attenua piu` rapidamente con la distanza (rí3 ) rispetto agli altri due (rí1 ); d¶altra parte il
termine di campo vicino domina per distanze prossime alla sorgente. I termini di campo lontano
mostrano una dipendenza da un tempo ritardato tipica di una perturbazione che si propaga nello
spazio con velocità finita. Le costanti vP e vS rappresentano, di conseguenza le velocità di
propagazione dei termini di campo lontano che corrispondono alle componenti di onda P e di onda
S dello spostamento. I coefficienti A nell¶equazione (3.3) determinano le direzioni
P e di onda S dello spostamento. I coefficienti A nell¶equazione (3.3) determinano le direzioni del
moto associato a ciascuno dei termini (... ): mentre il primo termine ha una polariz-
zazione indefinita, risultando dalla composizione simultanea di moti P ed S, il termine di campo
lontano onda P possiede una polarizzazione parallela alla direzione di propagazione e quello onda S
presenta invece una polarizzazione ad essa ortogonale.
Per quanto fin qui affermato, la condizione di predominanza in ampiezza dei termini di campo
lontano rispetto a quello di campo vicino sembrerebbe dipendere esclusivamente dalla distanza del
punto di osservazione dalla sorgente di emissione delle onde. In realtà, l¶ampiezza relativa dei
termini di campo vicino e lontano dipende dalla frequenza (o meglio dalla lunghezza d¶onda) del
segnale emesso dalla sorgente. Infatti, calcolando la trasformata di Fourier della (3.3), risulta che
l¶ampiezza relativa tra il termine di campo vicino e quelli di campo lontano è funzione dei rapporti
vP/Ȧr e vS/Ȧr, quantità che esprimono il numero di lunghezze d¶onda P ed S, rispettivamente,
esistenti tra la sorgente ed il ricevitore     . ?.

Risulta, ad esempio per l¶onda P

avendo ricordato che il numero d¶onda k e` definito come k= (2 ʌ ) / Ȝ = Ȧ/v p


In base a questa valutazione è possibile affermare che i termini di campo lontano nella (3.3) sono
dominanti quando le distanze tra l¶osservatore e la sorgente risultano maggiori di qualche lunghezza
d¶onda, oppure in analogia alle condizioni di validità dell¶ottica geometrica, quando le lunghezze
d¶onda caratteristiche del segnale sono inferiori alla distanza percorsa (}||).
Il termine di campo vicino e` invece dominante per tutti quei punti distanti al massimo una piccola
frazione di lunghezza d¶onda dalla sorgente.

$  a&("

Per introdurre il concetto di velocita` di propagazione di un¶onda di volume consideriamo il caso in


cui la soluzione dell¶equazione d¶onda è del tipo a ||a| || ., per cui la sola componente adello
spostamento è non nulla ed è  .    
. †|
 
.

Le onde elastiche sono un campo vettoriale. In figura 3.1 le frecce indicano lo spostamento subito da ciascun vertice di
un quadrato per effetto di uno sforzo applicato.
 a  - & gli spostamenti subiti dai vertici hanno tutti stesso modulo, direzione e verso; ilquadrato allora
risulta semplicemente traslato e la sua forma e volume non saranno variati a0a0a0a
 a  - & gli spostamenti subiti da ciscun vertice sono diversi l¶uno dall¶altro e di conseguenza
il volume risulta deformato.
Questi esempi ci permettono di comprendere come lo spostamento possa essere una funzione della posizione della
particella all¶interno del volume considerato:
a||a| | |
|| a | | |
|a | | |
|a
| | |
 

Questa situazione corrisponde ad una perturbazione longitudinale che si propaga attraverso un


mezzo lungo e sottile di materiale elastico.
Riprendiamo l¶equazione d¶onda 2.35



che nella sua forma scalare e in una dimensione è:

|
|
e consideriamo il caso a|a| | . E` possibile verificare per sostituzione diretta che una qualunque
funzione delle variabili spazio-temporali | | | e` soluzione della (3.4).  a    
 %/  % ; / a a    a       a    
% ( 

a| ||| | || ||| ||  | | | (3.5)

ciascuno dei quali corrisponde a un¶onda, cioe` a una perturbazione di spostamento, che si propaga
nel mezzo con velocità .
     %/ - 6rappresenta un¶onda che si propaga con velocita` |nel senso
dell¶asse |positivo (onda progressiva)
 a   rappresenta un¶onda che si propaga con velocità | nel senso dell¶asse | negativo
( #).
- & - a  

La soluzione generale nel caso 1-D a||a| || . dell¶equazione (3.4) rappresenta, come visto, due
onde che si propagano in direzioni opposte lungo l¶asse |con velocità costante .
La (3.5) esprime l¶equazione di un¶onda piana.

a| ||| | || ||| ||  | | | (3.5)

La quantità | |  e` definita 2   ed i piani (o in generale le superfici, nel caso di onde non
piane) per cui il valore della fase e` costante sono piane) per cui il valore della fase e` costante sono
definiti 
 + (Figura 3.3).

D 1Fronti d¶onda piani che si propagano con velocità c=ǻr/ǻt ad istanti di tempo successivi.

Indicata, in generale, con | la direzione e con | la velocità di propagazione, l¶onda piana mantiene
uniforme, per ciascun istante di tempo, il valore di ampiezza dello spostamento delle particelle del
mezzo appartenenti al piano ortogonale alla direzione , ed il piano associato ad un determinato
valore di spostamento avanza ortogonale alla direzione , ed il piano associato ad un determinato
valore di spostamento avanza nella direzione |con velocita` .
La propagazione di un¶onda (piana o non) puo` essere rappresentata, nel limite di alta frequenza,
mediante vettori normali al fronte d¶onda, che sono detti  
Nel caso di un¶onda piana, i raggi, essendo ortogonali a fronti d¶onda piani, risultano essere
paralleli tra loro. Come vedremo in dettaglio nel seguito, nei mezzi isotropi la direzione delle
normali al fronte d¶onda coincide sempre con la direzione di propagazione dell¶onda. La traiettoria
di un¶onda è la curva descritta dai raggi (sismici) durante la propagazione dalla sorgente al
ricevitore. Vedremo successivamente che      a   (ossia nel quale la
velocita` delle onde elastiche | e` uniforme)       a  , mentre sono
   a     (Figura 3.4).
D 1a) Fronte d¶onda e raggi in un   a .
b) Fronte d¶onda e raggi in un  .

Se introduciamo nell¶equazione d¶onda un     a     nello spazio e nel
tempo e ipotizziamo un mezzo di propagazione elastico, omogeneo e isotropo, la soluzione che si
ottiene e` quella di  2  :

in cui r = |x í xo| esprime la distanza tra la sorgente (posta nella posizione xo) ed il punto di
osservazione (posto in x).

L¶onda sferica è una perturbazione in spostamento che si propaga seguendo ofronti d¶onda di forma
sferica, concentrici con la sorgente di emissione. In un mezzo in cui la velocita` di propagazione
delle onde è uniforme, a grosse distanze dalla sorgente, il fronte d¶onda sferico puo` essere
approssimato mediante un fronte d¶onda piano (Figura 3.5).

Osserviamo tuttavia che, a differenza  %  , che mantiene sempre la stessa ampiezza a
qualunque distanza dalla sorgente, l¶ampiezza di % a  si attenua con la distanza
seguendo una legge di potenza negativa.
In definitiva, ampiezza e distanza risultano essere inversamente proporzionali e quindi il
decadimento dell¶ampiezza in funzione della distanza r è del tipo

In un mezzo generalmente eterogeneo, l¶effetto di decadimento dell¶ampiezza in funzione della


distanza associato all¶espansione dei fronti d¶onda (denominato 

 . 
o
# .
) continua a sussistere sebbene esso sia espresso da una funzione più
complicata dell¶inverso della distanza, valida solo nel caso di mezzi omogenei.

#           



Ritorniamo alle equazioni d¶onda (2.33) e (2.34)

le cui soluzioni rappresentano, rispettivamente, le componenti di onda P e onda S dello spostamento


soluzione dell¶equazione elastodinamica (2.32)



in un mezzo omogeneo e isotropo.

G| %/ ' --a   un¶onda che si propaga con velocità

Essa è nota come  $    , in quanto rappresenta l¶onda che si propaga più
velocemente ed è quindi il primo arrivo osservabile su di un sismogramma. Le altre
definizioni usuali di onda longitudinale o di compressione si riferiscono alla direzione di
oscillazione delle particelle associate all¶onda P (polarizzazione) che è parallela a quella di
propagazione (Figura 3.7b).

G|  a    %/  ' -7 rappresenta invece % c. Essa si propaga con
velocità

|
ed è anche detta onda secondaria, trasversale o di taglio.

Essendo Ȝ una quantità positiva,    $!a  /  
c. Il moto delle particelle associato ad un¶onda S è un¶oscillazione che avviene, senza variazione di
volume, in direzione ortogonale a quella di propagazione (Figura 3.7c).

D @1Deformazioni successive subite da un blocco di materiale (in figura a) per effetto della propagazione delle
onde P e S. La sequenza avanza nel tempo dall¶alto verso il basso e l¶onda sismica attraversa il blocco da sx a destra. Le
frecce indicano la cresta dell¶onda ad ogni istante di tempo considerato. b) Al passaggio dell¶onda |sia il volume
destra. Le frecce indicano la cresta dell¶onda ad ogni istante di tempo considerato. b) Al passaggio dell¶onda |sia il che
la forma della zona ombreggiata cambiano. c) Al passaggio dell¶onda | il volume della zona ombreggiata resta
invariato e la regione è soggetta ad una rotazione.

Considerando tuttavia mezzi di propagazione, elastici e trascurando l¶effetto di sorgente, ci si


attende che, a parità di distanza, l¶ampiezza dell¶onda S sia maggiore di quella dell¶onda P a causa
della dipendenza inversa dell¶ampiezza d¶onda dal quadrato della velocità di propagazione
(equazione3.3)

#      a a  a    



Le velocità delle onde di volume P ed S sono funzione delle costanti elastiche Ȝ e ȝ e della densità
ȡ. Le costanti elastiche caratterizzano la resistenza dei materiali alla deformazione prodotta da
sforzi esterni e dipendono dalle forze intermolecolari.
Nell¶ambito del regime elastico le costanti per solidi reali non dipendono dallo sforzo applicato
(legge di Hooke). Sembra dunque ragionevole supporre che Ȝ e ȝ non varino molto con l¶aumento
della pressione litostatica e quindi con la profondità. Viceversa la densità ȡ deve crescere
sensibilmente con la profondità, essenzialmente a causa della diminuzione di volume indotta dal
maggior carico litostatico. Ciò presupporrebbe una diminuzione della velocità delle onde sismiche
al crescere della profondità;

ÖGHVHPSLRODYHORFLW¢GHOOHRQGH6LQXQYROXPHRPRJHQRGLURFFLDªGDWDGD 


H SRLFK« DOOીDXPHQWDUH GHOOD SURIRQGLW¢ ͕ FUHVFH Y V GRYUHEEH GLPLQXLUH VH ͐ VL PDQWLHQH
FRVWDQWH

in realtà viene osservato l¶esatto contrario.

Questo apparente paradosso è dovuto al fatto che le rocce non sono solidi omogenei, ma (in
particolare le rocce sedimentarie) presentano una struttura granulare con vuoti e fratture tra i grani.
Questi vuoti, che costituiscono la porositàdi una roccia, influenzano in maniera determinante la
velocità, essendo la rigidità di un materiale fortemente dipendente dalla sua porosità (Figure 2.9).

Figura 2.9: Velocità delle onde P per diversi tipi di roccia.

Esiste un intervallo di variabilità delle velocità delle onde sismiche P ed S abbastanza ampio in
dipendenza dal tipo di roccia in cui esse si propagano.
Inoltre vari fattori concorrono ad influenzare, in maniera diretta o indiretta, la variazione di velocità
in una determinata roccia alterandone le caratteristiche elastiche. Questi vengono suddivisi in
G|    a    a:
² mineralogia;
² porosità, ovvero densità;
² cementazione;
² 



   ;

Il modulo di incompressibilità K è il rapporto tra il valore di pressione e quello di dilatazione per un volume
sottoposto a pressione isotropa (o idrostatica) (ıxx= ıyy= ızz= í p e ıij= 0, con i  j); risulta

essendo ǻ = 3İxxin un mezzo isotropo.


La velocità delle onde P in un solido omogeneo può essere espressa in funzione di K mediante la relazione

Poiché i gas sono più comprimibili dell¶acqua, il modulo di bulk K per i gas è minore di quello per l¶acqua.
Ciò implica che vp (GAS) < vp (ACQUA)
Diminuzioni sensibili di vp in aree di giacimento sono indicatori di presenza di idrocarburi allo stato
gassoso.

G|    a      a   


² pressione litostatica;
² pressione di fluido di poro;
² temperatura.

        a    a     

Una roccia viene di solito modellizzata come un mezzo poroso, composito e multifase. Composito
in quanto la frazione solida (la matrice o scheletro solido) è generalmente costituita da differenti
associazioni mineralogiche (ad esempio, olivina, pirosseni, quarzo, calcite e minerali argillosi) e
multifase in quanto la frazione solida è spesso associata a fasi fluide (gas o liquidi) che occupano lo
spazio poroso tra i granuli in rocce sedimentarie, o tra una continua impalcatura solida in rocce
ignee e metamorfiche.
È facilmente intuibile che i parametri elastici di una roccia dipenderanno dalle proprietà elastiche
delle eterogeneità (o fasi) che compongono la roccia a scala microscopica. Ne consegue che
qualsiasi parametro fisico influenzi queste fasi influenzerà il comportamento elastico dell¶intero
sistema a scala macroscopica, ovvero, a scala macroscopica, la velocità delle onde elastiche in una
roccia sarà influenzata dalle caratteristiche elastiche sia dei minerali costituenti la struttura solida
sia delle fasi fluide contenute in essa. Una roccia può quindi essere parametrizzata attraverso i
moduli elastici delle fasi solide (KS e ȝS), il modulo di incompressibilità della fasi fluida Kf l(per i
fluidi ȝf l= 0) e la densità delle fasi costituenti (ȡSe ȡf l).
In tabella 2.1 sono riportati i moduli elastici delle fasi minerali presenti comunemente in un
ammasso roccioso e quelli relativi alle fasi liquide. Come si nota, le fasi minerali presenti in una
roccia possono presentare caratteristiche elastiche molto diverse.

             aa  



Le rocce all¶interno della Terra sono sottoposte a notevoli pressioni e questa pressione può
cambiare le proprietà petrofisiche e quindi le velocità di propagazione delle onde P ed S.
In figura 2.11 sono riportati valori sia di vPche di vSin funzione di una pressione di confinamento di
tipo idrostatico. Generalmente la velocità aumenta al crescere della pressione in quanto la porosità
diminuisce per effetto della pressione applicata.
In una curva sperimentale velocità-pressione, il modo in cui la velocità varia all¶aumentare della
pressione fornisce utili indicazioni sul tipo di porosità presente in una roccia. Come mostrato in
figura 2.11, inizialmente si osserva una marcata variazione di velocità con l¶aumento della
pressione dovuto alla diminuzione della porosità. Dopo aver determinato la chiusura della maggior
parte dei pori, l¶ulteriore aumento di pressione determina solo un debole aumento di velocità
facendola tendere ad un valore asintotico.

Figura 2.11: Velocità delle onde P ed S in funzione della pressione di confinamento. La quantità , ovvero la minima
pressione alla quale la velocità diventa indistinguibile dall¶asintoto, dipende dalla geometria dei pori. Le microfratture
(A) presenti in una roccia tendono a chiudersi, a parità di pressione applicata, più facilmente rispetto a pori di tipo
sferico. La quantità b, ovvero la massima variazione di velocità osservata in un campione di roccia sottoposto a
pressione, chiaramente dipende dal numero di microfratture o pori presenti in essa.

La forma dei pori è quindi un parametro determinante nella curva velocità-pressione in quanto
influenza la deformazione che lo spazio poroso può subire. Questo parametro, definito rigidità dei
pori (o pore stiffness, Kij), esprime la variazione del volume VP dei pori quando uno sforzo di tipo
idrostatico ı è applicato su un campione di roccia ed è definito da

In un mezzo elastico, omogeneo ed isotropo, la compressibilitá allo stato secco si può esprimere
attraverso la relazione

dove K è il modulo di incompressibilità dello scheletro poroso allo stato secco, KS è il modulo
elastico della fase solida e quindi dei minerali che compongono la roccia, c è la porosità, VP il
volume dei pori e ˜VP/˜ı è la  
 . Tale relazione indica che la compressibilità di un
mezzo poroso è data dalla somma della compressibilità della fase mineralogica e di una quantità
aggiuntiva che tiene conto della compressibilità dei pori. Mediante la misura sperimentale di
K e KS è dunque possibile calcolare Kc.


#      a a    

La velocità delle onde sismiche ha un andamento generalmente crescente conla profondità per la
maggior parte delle aree del mondo. Le variazioni laterali della litologia hanno minore influenza
sulla velocità rispetto a quelle verticali, in funzione della profondità associate alla sedimentazione
controllata dalla gravità, alla diminuzione della porosità a causa della pressione litostatica, alla
minore presenza di fluidi, etc.

#      a a  a 



La densità di una roccia influisce non poco sul valore di velocità. Il grosso intervallo di variazione
di velocità per uno stesso tipo di roccia (ad esempio, nelle rocce scistie la velocità delle onde P può
variare da 1.6 km/s a 4 km/s per densità comprese tra 2 e 2.5 g/cm3) indica che la sola misura di
velocità delle onde sismiche non può essere sufficiente per determinare la litologia di un campione
con la profondità da dati di pozzo.
   $<c

Il rapporto vP/vS nei solidi omogenei può essere espresso in funzione del rapporto di ¦ (1.19)

come

Le costanti di Lamé Ȝ e ȝ possono essere espresse in funzione del modulo di Young E e del rapporto di
Poisson Ȟ:

Di conseguenza risulta

Un solido omogeneo viene definito   (o  ) se è un solido per il quale Ȝ = ȝ; in questo caso
il rapporto di Poisson Ȟ è pari a 0.25. Per un solido ideale il rapporto v P/vSvale ¥3.

Teoricamente il rapporto di Poisson Ȟ nei solidi può variare nell¶intervallo (0 ÷ 0.5).

G| $01, il rapporto vP/vS= ¥2, valore minimo consentito.


G| $01 6, il rapporto vP/vS= ’ , il che implica v S= 0, valore possibile nei materiali
aventi rigidità nulla e cioè nei fluidi.

Sebbene i        a      c=1 > $(a fronte del valore teorico atteso per il
solido ideale di 0.58), nelle rocce il rapporto vP/vSpuò essere molto variabile e diverso dal valore
per il solido ideale, soprattutto in prossimità della superficie terrestre, in quanto dipende fortemente
dalla litologia, dalla porosità e dalle caratteristiche elastiche del fluido e/o del gas che permea
la matrice rocciosa.

G|    $<cin un mezzo fratturato può indicare il grado di saturazione
in acqua della roccia: all¶aumento di percentuale del fluido che permea la roccia, ci si
aspetta una decrescita del valore della velocità delle onde di taglio e quindi un incremento
del rapporto vP/vS.
G|    aa     $<cè attesa laddove, a parità di saturazione delle
rocce, si è in presenza di una maggiore concentrazione di gas
 a  

In un mezzo omogeneo, illimitato ed isotropo l¶applicazione istantanea di sforzo in un punto
qualunque genera essenzialmente due tipi di onde, le onde di volume P ed S che hanno specifiche
caratteristiche di propagazione in termini di velocità, ampiezza di spostamento e polarizzazione.
In un mezzo in cui la velocità varia solo con la profondità, e in presenza di uno o più strati
(ciascuno strato viene ritenuto omogeneo, isotropo e lateralmente illimitato), si ha la generazione di
diversi tipi di onde (riflesse, trasmesse, convertite) ogni qualvolta l¶onda di volume incide una delle
superfici di discontinuità.
   ?a  
 che si possa immaginare è il semispazio omogeneo, illimitato ed
isotropo con la sola superficie terra-aria (oceano-aria) che separa l¶atmosfera (terra fluida) dalla
terra solida. Questa superficie è detta superficie libera in quanto le componenti del tensore degli
sforzi sono praticamente nulle (ızx= ızy= ızz= 0) su di essa dal momento che le costanti elastiche
dell¶atmosfera sono di alcuni ordini di grandezza inferiori ai valori per le rocce crostali o al modulo
di incompressibilità per l¶acqua di mare. Questo significa che alla superficie libera onde di volume
possono essere riflesse e convertite, ma non trasmesse.
In presenza di discontinuità del campo di sforzo e quindi di velocità si possono presentare altri tipi
di onde oltre a quelle di volume. Queste sono dette onde di superficie e il loro nome è dovuto al
fatto che la loro ampiezza si attenua rapidamente in funzione della distanza dalla superficie di
discontinuità da cui sono generate e quindi restano sostanzialmente confinate in prossimità di essa.
La superficie libera della Terra è la discontinuità in prossimità della quale sono possibili onde di
superficie.    a    /a  — a  a       a     a — !
%  —   a   a a .


' 7 &@ @ 

Quando un¶onda P o S arriva su una superficie di discontinuità vengono generatiquattro tipi di
onde: due riflesse e due trasmesse. Ad esempio, per un¶onda P incidente dal mezzo superiore sono
generate le onde:

Le onde riflesse, trasmesse e convertite ad un¶interfaccia sono generalmente denotate mediante la lettera che
ne individua il tipo (P o S) con accento acuto o grave a seconda della direzione di incidenza dell¶onda
rispetto all¶interfaccia. Ad esempio, ` P ` S indica un¶onda P che incide dal mezzo superiore e si trasmette
come S nel mezzo inferiore, P ` S indica un¶onda P che incide dal mezzo inferiore e si riflette come S nello
stesso mezzo.
Figura 2.15: Un¶onda P incidente dal mezzo superiore genera, in corrispondenzadell¶interfaccia, le quattro onde
mostrate. Nell¶esempio in figura è supposto che le velocità dello strato superiore siano minori di quelle nello strato
inferiore.

Per ciascuna delle onde incidente, riflessa, trasmessa e convertita, detto i l¶angolo formato dal
raggio sismico con la normale all¶interfaccia, vale la relazione O0a  < 0a   (la quantità 
è detta parametro del raggio), il che equivale a dire che l¶intero sistema di onde primarie e
secondarie risulta caratterizzato da uno stesso parametro del raggio . Dal momento che le velocità
P ed S di uno strato dipendono delle proprietà elastiche del mezzo, può accadere che, ad una
determinata interfaccia, per una o più delle onde secondarie il parametro  sia maggiore della
quantità B#(essendo v la velocità dell¶onda P o S). Se ciò accade, l¶onda prodotta subirà
un¶attenuazione dell¶ampiezza con la distanza dalla superficie di discontinuità che l¶ha generata che
si aggiunge a quella geometrica associata alla propagazione di un¶onda sferica. Le onde che
presentano questa peculiarietà vengono definite inomogenee e si differenziano da quelle omogenee
(le onde di volume) che presentano il caratteristico decadimento inverso dell¶ampiezza con la
distanza di propagazione.

    

Nel caso di onde inomogenee, l¶energia sismica resta confinata in prossimità della discontinuità a
causa della drastica riduzione di ampiezza in funzione della distanza dell¶interfaccia.
L¶accoppiamento del moto P e della componente S nel piano verticale (SV) genera un¶onda che si
propaga lungo la superficie di discontinuità. Tale onda è conosciuta come onda di Rayleigh.
La teoria di Rayleighspiega in termini di onde di superficie, propagantesi alla superficie libera della
Terra, gli arrivi a bassa frequenza (< 0.1Hz) di ampiezza dominante, osservati sulle registrazioni di
terremoti a distanza chiamata telesismica (> 1000 km ).
La velocità di propagazione dell¶onda di Rayleigh è di pochi percento inferiore a quella delle onde
S (per un solido di Poisson Ȟ = 0.25 e  01 A'c).
La polarizzazione dell¶onda di Rayleigh è di tipo 

ed il vettore spostamento è localizzato nel


piano verticale.

La polarizzazione di un¶onda di volume P o S è lineare. Ciò significa che, considerando l¶impulso d¶onda in
funzione del tempo, a ciascun istante di tempo il vettore spostamento mantiene la stessa direzione. Questo è
il risultato di un identico sfasamento nel tempo dell¶impulso sulle tre componenti del moto. Una
polarizzazione di tipo ellittico indica che, a ciascun istante di tempo, il vettore spostamento varia di
direzione descrivendo una figura ellittica. Ciò è dovuto ad uno sfasamento temporale tra le componenti del
moto del suolo. In particolare per le onde di Rayleigh, le componenti sfasate sono quella longitudinale (nella
direzione epicentro stazione) e quella verticale

Il senso del movimento delle particelle associate alla propagazione di un¶onda di Rayleigh può
essere compreso assumendo come moto progrado quello di una palla che rotola dalla sorgente verso
il ricevitore (Figure 2.16 e 2.17).

Figura 2.16: Senso del movimento per


le particelle associate alla
propagazione di un¶onda di Rayleigh
in funzione della profondità. La
convenzione per distingure tra un
moto progrado e un moto retrogrado
può essere ricordata in termini
di una palla che rotola, lungo la parte
superiore del semispazio, dalla
sorgente al ricevitore. Il senso di
rotazione della palla è progrado
mentre quello delle
particelle per un¶onda di Rayleigh è
retrogrado.
Figura 2.17: Direzione di oscillazione delle particelle nel caso di propagazione di un¶onda di Rayleigh

Il moto per un¶onda di Rayleigh risulta quindi essere retrogrado in prossimità della superficie e
progrado in profondità.


 

Si consideri il caso di uno strato omogeneo con caratteristiche elastiche differenti dal semispazio
infinito su cui poggia. Nel 1911 A.E.H. Love12 dimostrò che un¶onda S incidente dal semispazio
può eccitare un¶onda di superficie nello strato superiore la quale si propaga con una velocità
compresa tra le velocità delle onde S dello strato e del semispazio. L¶onda di Love è polarizzata
linearmente nel piano orizzontale e produce un moto delle particelle analogo a quello associato alla
componente orizzontale dell¶onda di taglio SH(Figura2.17).

La sua ampiezza decade esponenzialmente allontanandosi dalla superficie di discontinuità interna


che l¶ha generata. Notiamo esplicitamente che, alla superfice libera della Terra, in un semispazio
omogeneo illimitato, si origineranno le sole onde di Rayleigh.
    aa 

Associato all¶arrivo di un¶onda di superficie come la sovrapposizione di moti oscillatori (funzioni
seno o coseno) monocromatici, ciascuno caratterizzato da specifici valori di frequenza, ampiezza e
fase.    a   sono caratterizzate da un¶ampiezza che decade in modo esponenziale
allontanandosi dalla discontinuità alla quale esse sono state generate. Adesempio, l¶ampiezza di
un¶onda di Rayleigh in funzione della pulsazione Ȧ dell¶onda e della profondità z può essere
espressa da una relazione deltipo (Inserto3.2)

|s (Ȧ,z)|x Ao eíȦĮz = A0 eí2ʌfĮz

Dove la quantità ȦĮ ha le dimensioni dell¶inverso di una distanza (equindi Į ha le dimensioni


dell¶inverso di una velocità) e f=Ȧ/2ʌ è la frequenza. Ad ogni frequenza è associata la lunghezza
d¶onda Ȝ che esprime la distanza spaziale tra due creste (odue ventri) successivi dell¶onda. Indicata
con cf la velocità di propagazione dell¶onda, risulta

EQ 3.18

La profondità dipenetrazione dell¶onda è definita dal valore zodi z per il quale la sua ampiezza si
riduce di iunfattore1/e (  40% del valore massimo). La relazione tra lunghezza d¶onda e profondità
di penetrazione è per conseguenza data da

EQ.(3.19)

Invirtù della (3.19), le componenti a bassa frequenza (grande lunghezza d¶onda) hanno ampiezza
maggiore nella direzione rispetto a quelle a frequenza più elevata (lunghezzad¶onda minore). Ne
consegue che l¶energia associata, e quindi la capacità di propagazione, è maggiore per lecomponenti
a grande lunghezza d¶onda (bassafrequenza) (Figura3.19).

(Figura3.19).

In un modello realistico di Terra, la velocità di propagazione delle onde sismiche è generalmente


crescente con la profondità. Come appare evidente dalla relazione (3.19), le diverse componenti di
Fourier checostituisconol¶ondadi superficie campioneranno spessori differenti di Terra, ciascuno
dei quali sarà caratterizzato da un valore medio diverso della velocità delle onde sismiche P e S.
Ciò significa che le varie componenti in frequenza dell¶onda di superficie non si propagano tutte
con la stessa velocità e quindi raggiungono un ricevitore (posto a grande distanza dalla sorgente) in
tempi differenti. In particolare, poiché le componenti a bassa frequenza penetrano a profondità
maggiore rispetto a quelle ad altafrequenza, le prime si propagano convelocità più elevata rispetto
alle seconde e saranno pertanto visibili per prime sui sismogrammi.

Il fenomeno per cui la velocità delle onde dipende dalla frequenza è noto come O  ed è
caratteristico delle onde di superficie e, in particolare,delleonde di Rayleigh.


#    a   a  

Si definisce #
 lo spazio percorso da un piano di uguale fase dell¶onda di pulsazione Ȧ
fissata, nell¶unità di tempo:
EQ.3.2O

Dove k=2ʌ /Ȝ è il numero d¶onda.

Consideriamoun¶ondarappresentatadaunimpulsodiformatriangolare(Figura3.20). Secondo
lateoriadi Fourier questafunzione`edecomponibileinunaseriedi funzioni armonicheciascuna
««..


c d
"
 



 

Finora abbiamo descritto la propagazione delle onde sismiche all¶interno della Terra senza
considerare in modo specifico la loro sorgente di emissione. Ci proponiamo adesso di
riconsiderare, di fatto, le equazioni del moto introducendo in esse il termine di sorgente allo scopo
di ottenere una descrizione del moto d¶onda il più generale possibile.
Ricordiamo che le equazioni che governano la propagazione delle onde sismiche all¶interno della
Terra, lontano dalla zona di sorgente, sono equazioni differenziali lineari ed a coefficienti costanti
come conseguenza del fatto che si può ragionevolmente ipotizzare la presenza di un regime elastico.
Va comunque notato che l¶energia accumulata in prossimit`a della sorgente in seguito a fenomeni di
natura tettonica, viene solo in parte utilizzata per la radiazione sismica.    a a  
       aa   aa         a    aa aa
a       a . In ogni caso, se si considera tutto quello che accade al di fuori della
zona sorgente, è ragionevole assimilare la Terra ad un filtro lineare e stazionario essendo la
stazionarietà chiaramente ristretta alla durata di propagazione delle onde sismiche. In altre parole,
considerando anche l¶effetto dell¶apparato di misura, il sismogramma registrato alla superficie
terrestre può essere considerato come l¶uscita di una catena di filtri (supporti lineari e invarianti nel
tempo) che hanno modificato la forma e l¶ampiezza del segnale (d¶ingresso) emesso dalla sorgente
di onde sismiche (Figura 7.1).

Ffig. 7.1

La relazione tra ingresso e uscita di una catena di filtri, se i filtri sono tutti lineari e invarianti nel
tempo, si esprime mediante l¶operazione di convoluzione. Descivendo quindi la catena di filtri
costituita dalla Terra e dallo strumento di misura mediante due funzioni del tempo ¦(t) e $(t) e
indicando con S(t) la funzione sorgente, il sismogramma (t) sarà dato da:

*
=(*
C¦*
C$*
(7.1)

mentre nel dominio della frequenza sarà:

* =(* ¦* $* (7.2)

Notiamo esplicitamente che la funzione sorgente S(t) rappresenta, nell¶ambito dell¶analogia che
stiamo utilizzando, la funzione di ingresso al sistema di filtri Terra e strumento di misura.
Le relazioni (7.1) e (7.2) rappresentano in modo generale la relazione esistente tra il sismogramma
ed i vari effetti che concorrono alla sua composizione. In linea di principio se la funzione P è nota
nel dominio del tempo o nel dominio della frequenza ed è nota la risposta strumentale I, è possibile
utilizzare le equazioni (7.1) e (7.2) per determinare direttamente dai sismogrammi la funzione S
ossia la variazione nel tempo della sorgente di emissione di onde sismiche.
     a  a a  a a a   a    a a  a / a  
 a    a  a    
   a     B &  aa
       a  

(, t) = ((¨, t) x(, ¨, t) x$(, t) (7.3)

dove x rappresenta la posizione del ricevitore e ¨ rappresenta la posizione della porzione di sorgente
che si considera. Nella (7.3) il temine G (x, ¨, t) tiene conto in maniera del tutto generale degli
aspetti legati alla propagazione comprendendo, ad esempio, anche i fenomeni di attenuazione
anelastica e gli effetti di sito (Capitolo 5). Il termine G (x, ¨, t) rappresenta la funzione
elastodinamica di Green (Capitolo 3) e può essere, in principio, calcolato risolvendo l¶equazione
d¶onda una volta nota la distribuzione delle proprietà elastiche/anelastiche del mezzo di
propagazione. Poichè la funzione $(x, t)rappresenta la risposta strumentale, essa è nota ed ottenuta
mediante procedure di calibrazione dell¶apparato strumentale di misura (Appendice F).
La (7.3) si riscrive come:

U (, t) = S (¨, t) x G ( , ¨, t) (7.4)

dove con U (x, t)abbiamo indicato il sismogramma corretto per lo strumento mediante
deconvoluzione della funzione I(x, t). L¶equazione precedente, in virtù del teorema di
convoluzione, si scriverà      / 

U (, Ȧ) = S (¨, Ȧ) G(, ¨, Ȧ) (7.5)

dove con Ȧ abbiamo indicato la pulsazione corrispondente alla frequenza  Dalla (7.5) si ricava

EQ. (7.6)

che rappresenta lo a      a 


c  a a 

Dal punto di vista sismologico la faglia è una superficie, generalmente considerata piana, che,
all¶interno di un volume finito, separa idealmente due comparti di materiale in procinto di fratturarsi
a causa di sollecitazioni esterne. La frattura lungo la superficie di faglia produce una discontinuità
nello spostamento relativo tra i blocchi rispetto alla superficie stessa. Indicati con Ȉ+ e Ȉí i due lati
della superficie di faglia, durante il processo di dislocazione i punti che appartengono alla superficie
Ȉ+ sono soggetti ad uno spostamento relativo rispetto ai punti diametralmente opposti che
appartengono alla superficie Ȉí (Figura 7.2).

FIG 7.2

È possibile quindi descrivere il processo di dislocazione associato a una frattura sismica mediante
una funzione (detta 2  ) che rappresenta lo spostamento (o la velocità) relativo dei
punti su Ȉ+ rispetto a quelli corrispondenti su Ȉí e che dipende dalla posizione sul piano di faglia.
Poiché in maniera del tutto generale possiamo considerare i processi di dislocazione come processi
aventi durata finita, la funzione sorgente dovr`a dipendere anche dalla variabile tempo. Dal punto di
vista matematico   a !  
:
EQ. (7.7)

ossia come lo spostamento relativo dei punti sui due lati della superficie di faglia in funzione dello
spazio e del tempo. La determinazione della funzione sorgente ǻu(ȟ, t) è realizzatA attraverso
l¶analisi e la modellazione dei sismogrammi osservati.

Le faglie hanno estensioni variabili dalle centinaia di metri alle centinaia di chilometri e tempi di
frattura che variano dai decimi alle centinaia di secondi.
Durante il processo di frattura %   a           a a 
 a   ! /     %      . Rappresentando il punto della
faglia da cui si è originata la rottura esso è quindi anche detto punto di enucleazione della frattura.
Dalla misura dei tempi di primo arrivo delle onde P ed S sui sismogrammi registrati alla superficie
terrestre è possibile con buona accuratezza determinare la posizione dell¶ipocentro e il tempo
origine del terremoto.
La proiezione sulla superficie terrestre dell¶ipocentro è detta    del terremoto. A partire
dall¶area che contiene l¶ipocentro sulla superficie di faglia, la dislocazione si propaga sulla faglia
generando un fronte, detto 2    , la cui forma e velocit`a dipende dalle propriet`a di
resistenza dei materiali alla frattura e dalla grandezza dello sforzo agente. Durante la propagazione
della frattura una frazione dell¶energia spesa nei processi dislocativi viene irradiata nel mezzo
circostante sotto forma di onde.
Le ampiezze delle onde sismiche emesse durante il processo di frattura dipendono principalmente
dalla funzione sorgente ǻu(ȟ, t) e quindi dall¶ampiezza della dislocazione che in generale varia nel
tempo e da punto a punto sulla superficie di faglia. In linea di principio allora le dimensioni
complessive del processo di frattura non possono essere dedotte dalle primissime onde sismiche
registrate ma è necessario utilizzare completamente l¶informazione contenuta nell¶intera forma
d¶onda la quale è peraltro anche contaminata da effetti di propagazione.

          d

   a    d rappresenta la risposta del filtro Terra ad una sollecitazione
originata durante il processo di rottura. Dal punto di vista matematico essa corrisponde allo
spostamento indotto nella posizione x occupata dal ricevitore da una forza impulsiva unidirezionale
localizzata nella posizione ȟ alla sorgente (Capitolo 3). ’  2     O  
O á            á          á      
O O   ñ á     2                  
  O   O á O  áO     á . Nel caso di modelli semplici di
Terra (ad esempio, velocità uniforme delle onde sismiche nel sottosuolo) la funzione di Green può
essere ricavata analiticamente una volta note le proprietà elastiche (equazione 3.3). In casi più
complicati e realistici (ad esempio, in mezzi stratificati, eterogenei, 2-D, 3-D) la funzione di Green
viene in genere calcolata utilizzando sofisticate tecniche di calcolo numerico assumendo inogni
caso note le variazioni dei parametri elastici nel sottosuolo.

Generalmente nello studio della sorgente sismica si assume che la funzione di Green sia nota 
e calcolabile dalla conoscenza dei parametri elastici del mezzo di propagazione Naturalmente
le incertezze associate alla determinazione della funzione di Green influenzano la stima dei
parametri di sorgente.

a   a a a 


La rappresentazione della sorgente sismica consiste nel costruire una completa equivalenza tra una
descrizione puramente cinematica del processo di dislocazione (ad esempio, mediante la funzione
sorgente) e quella dinamica, che prevede invece l¶applicazione sulla superficie di faglia di un
opportuno sistema equivalente di forze che produce la dislocazione.

Richiamiamo qui l¶equazione del moto per un mezzo elastico:

EQ. (7.8)

dove con abbiamo indicato le forze di volume. La domanda alla quale ci proponiamo di rispondere
è se esistono forze di volume equivalenti al processo di dislocazione sulla faglia.
Prima di tutto la faglia ha un¶estensione finita. Poi, come detto in precedenza, la frattura inizia
dall¶ipocentro e da qui si propaga secondo fronti di rottura (Figura 7.3).

FIG. 7.3

Man mano che il fronte di rottura si espande, le regioni della faglia interessate dislocano e irradiano
energia sotto forma di onde P ed S. Le singole particelle costituenti la faglia possono essere
caratterizzate da un¶evoluzione nel tempo della dislocazione che può essere anche fortemente
irregolare ed il vettore spostamento può differire da punto a punto. In generale ci si aspetta che i
vettori spostamento siano tutti approssimativamente paralleli fra loro ma la quantità di dislocazione
(modulo del vettore) può essere spazialmente variabile all¶interno della zona di frattura e deve
essere sicuramente variabile in prossimit`a dei bordi della superficie finale di rottura dove lo
spostamento si annulla.

Cominciamo con il notare che le caratteristiche medie del processo di frattura sono l¶area
complessiva fratturata A, la dislocazione media sulla faglia < ǻu > e la velocità media di rottura
che è un vettore (vR) che tiene conto anche della direzione media nella quale la frattura si propaga.
Per le onde sismiche di periodo maggiore o al più confrontabile con la durata della rottura e per
quelle lunghezze d¶onda che sono grandi in confronto alla dimensione della sorgente è possibile
sostituire il complesso processo di dislocazione con la semplice rappresentazione media di figura
7.4.

FIG. 7.4

In tale modello la sorgente viene considerata puntiforme, nel senso che l¶intero processo di
dislocazione viene descritto da un¶unica funzione dislocazione ǻu(t) media associata ad un singolo
punto, baricentrale rispetto all¶intera superficie di faglia. Sebbene questa approssimazione possa
risultare estremamente irrealistica, si tenga conto che essa è applicabile solo in quei casi in cui la
lunghezza d¶onda dominante dei segnali registrati è molto più grande delle dimensioni della
sorgente stessa per cui, dal punto di vista dell¶osservazione, i contributi alla radiazione sismica dei
singoli elementi della faglia risultano indistinguibili. Questo è ad esempio, il caso delle registrazioni
telesismiche per le quali le massime frequenze rilevate corrispondono a lunghezze d¶onda di gran
lunga superiori rispetto alla dimensione lineare della sorgente che le ha emesse. La complessità del
modello aumenta al diminuire del rapporto tra la lunghezza d¶onda considerata e le dimansioni
lineari della sorgente

Il modello di dislocazione media di figura 7.4 è sufficientemente semplice da poter essere


rappresentato da un sistema di forze dinamicamente equivalente (coppia di forze orientata
parallelamente alla superficie di faglia) ossia in grado di produrre un¶analoga radiazione sismica.
Per simulare questo processo di dislocazione è necessaria una coppia di forze variabili nel tempo
applicata all¶interno del mezzo elastico (Figura 7.5). $ 

  
 <
   

 
 #
+ .+
 

.
Un chiaro problema associato con il      risiede nel fatto che alla coppia di
forze risulta associato un momento M0= | | b (essendo b il braccio della coppia di forze) non nullo
che risulta non bilanciato all¶interno del mezzo nel quale avviene la dislocazione. È quindi
ragionevole attendersi la presenza di una seconda coppia di forze, ortogonale alla prima, in grado di
bilanciare il momento all¶interno del mezzo. `E questo il   (Figura 7.5).
Sebbene il modello a singola coppia ha meno senso dell¶altro dal punto di vista fisico, la ragione
per la quale non viene rigettato è che la radiazione sismica per le onde P (Figura 7.6) associata ai
due modelli risultava essere indistinguibile.

Fig. 7.6

Quando, in seguito all¶istallazione di sismometri a tre componenti, si si sono resi disponibili dati
accurati circa la vaziazione azimutale dell¶ampiezza delle onde S in occasione di terremoti associati
a faglie trascorrenti. Le osservazioni hanno confermato che il modello a doppia coppia era quello
più appropriato in quanto, contrariamente a quanto atteso dal punto di vista teorico, l¶ampiezza
delle onde S era significativamente diversa da zero nelle direzioni corrispondenti all¶orientazione
della faglia, laddove il modello a singola coppia prevedeva un¶ampiezza nulla della radiazione
sismica S (Figura 7.7).

Fig. 7.7

D @@1Diagramma di radiazione per le onde P in approssimazione  . Il diagramma `e valutato sul piano ij
= 0 al quale appartiene il piano di faglia.

La figura 7.8 mostra come il sistema a doppia coppia di forze possa essere equivalentemente
rappresentato da una coppia di dipoli ortogonali (  ) che giacciono nel piano
perpendicolare a quello di faglia e formano un angolo di 45ƕ rispetto ad esso.

Fig. 7.8

Il dipolo diretto verso la sorgente `e l¶    o  P e giace nei quadranti di
dilatazione del diagramma di radiazione delle onde P . Il dipolo che si allontana dalla sorgente `e
invece l¶ 
   o  T e giace nei quadranti di compressione del diagramma di
radiazione delle onde P

  a a a  

Nella formulazione della teoria della rapprssentazione della sorgente sismica un ruolo importante è
giocato dal
 
Mije dal tensore momento sismico per unit`a di superficie mSij
o di volume mVij. La relazione tra queste grandezze è data da:

EQ. (7.9)

Se rappresentiamo la sorgente sismica mediante forze di volume equivalenti, si pu`o dimostrare che

EQ. 7.10
   C       a   a a         Le forze di
volume equivalenti possono quindi essere calcolate a partire dal tensore momento ed entrambe le
notazioni possono essere utilizzate per rappresentare la sorgente sismica.
Il tensore momento rappresenta esattamente gli sforzi che sono direttamente collegati agli
spostamenti non elastici che avvengono alla sorgente di un terremoto. Proprio come per le forze
equivalenti, il tensore momento sismico risulta definito solo all¶interno della regione focale ed `e
nullo al di fuori di essa.
   aa     a             d
Supponiamo che le forze di volume siano limitate alla regione focale V0 e che sulla sua superficie
di frontiera Ȉ gli sforzi e gli spostamenti siano nulli. Può essere mostratoche la componente i-ma
dello spostamento in un qualunque punto di un volume V la cui superficie di frontiera è S è dato
da:

EQ 7.11

essendo IJ il tempo e dove abbiamo fatto uso della convenzione di Einstein la quale sottintende una
sommatoria sugli indici ripetuti. Nella (7.11)
G| Ti = ıijȣj è il vettore corrispondente al tensore degli sforzi ıij
G| Ȟi è la normale all¶elemento di superficie dS e
G| Gip è la funzione di Green del mezzo
G| n è lo spostamento della superficie S
G| Cnjpq è il tensore delle costanti elastiche

Se il mezzo è infinito le condizioni sulla superficie S sono omogenee, cioè gli sforzi e le
deformazioni sono nulli su di essa. In tal caso l¶equazione (7.11) diventa

EQ. (7.12)

L¶equazione (7.12) è nota come  á   OO      á    
  .
Se sostituiamo la (7.10) nella (7.12) possiamo esprimere gli spostamenti elastici u all¶esterno della
regione focale in termini del tensore momento sismico per unità di volume come:

EQ. (7.13)

Integrando per parti questa equazione rispetto alle coordinate spaziali si trova:

EQ. (7.14)

In assenza di momenti e forze esterni al volume focale V0, la somma di tutte le forze interne e di
tutti i momenti interni al volume V , diverso dal volume sorgente V0, deve essere nulla.
È possibile allora scegliere in maniera opportuna l¶origine del sistema di riferimento in modo tale
che DCd DC01. Segue allora che

EQ. (7.15)

Se il tensore momento sismico è definito solo sulla superficie Ȉ, interpretando mkj come la densità
superficiale del tensore momento, è possibile riscrivere la (7.15) in termini di un¶integrale di
superficie come
EQ. (7.16)

Le relazioni (7.15) e (7.16) mostrano che lo spostamento elastico all¶esterno della regione focale
può essere derivato dall¶integrale esteso alla regione sorgente (V0 o Ȉ) del prodotto del tensore
momento sismico per la derivata della funzione di Green. Poichè non abbiamo ancora specificato la
sua forma esatta—  /   DCa   a           
 a   / / a a      a     B &1    
       a       a    . Il tensore momento sismico è dunque
una maniera estremamente comoda di rappresentare in modo generale la sorgente di un terremoto.
Per una sorgente puntiforme le equazioni (7.15) e (7.16) possono essere scritte in forma compatta
usando la nozione di convoluzione come

EQ. (7.17)

L¶insieme completo degli elementi del tensore momento sismico Mkj è mostrato in figura 7.9.

FIG. 7.9

Si può dimostrareche la forma generale dello spostamento P in approssimazione    per una
coppia di forze che giace nel piano AÈ è data da

EQ. (7.18)

mentre per lo spostamento S si trova

EQ. (7.19)

dove vP e vSrappresentano, rispettivamente, le velocit`a di propagazione per le onde P e S , A è la


densità e IJ rappresenta la distanza del ricevitore dalla sorgente.

Nelle (7.18) e (7.19) `e utilizzata la convenzione di Einstein, M kjè una delle nove possibili coppie di
forze del tensore momento sismico e

EQ. (7.20)

è il coseno direttore.

Se si considera un sistema di riferimento in coordinate sferiche, lo spostamento in approssimazione


 `e dato da

EQ. 7.21

Dove M0 (t) è la funzione 


 dipendente dal tempo.
Il primo termine della (7.21) è la componente   P mentre i termini rimanenti rappresentano la
componente   S

{
{"c d
cc{

Indicando con Ȝ la lunghezza d¶onda del segnale osservato, con r la distanza tra la sorgente e il
ricevitore e con  la dimensione lineare della sorgente, è possibile considerare i seguenti tre casi
(fig. 8.1)

Fig. 8.1

G| Condizione di SORGENTE ESTESA ed approssimazione ad ALTA FREQUENZA:

L ç r >>¦ (8.1)

G| Approssimazione ad ALTA FREQUENZA con l¶approssimazione di FRAUNHOFER:

L << r >>¦ (8.2)

G| Condizione di SORGENTE PUNTIFORME in ALTA FREQUENZA

L >> r >>¦ (8.3)

aa    /  possiamo semplificare la Finzione di Green tenendo conto


solo dei termini di campo lontano (o di 0 ). È da considerare comunque che nel primo caso
(relazione 8.1) il fatto che la sorgente sia estesa ed abbia dimensioni dello stesso ordine di
grandezza della distanza sorgente-ricevitore può introdurre dei problemi quando si vanno a
considerare contributi alla radiazione sismica provenienti da punti differenti della faglia.
    a    E - la sorgente può essere considerata puntiforme e in questa
approssimazione vengono analizzati i dati registrati a grande distanza dalla sorgente (registrazioni
telesismiche) per forti terremoti (M > 6) o a piccola distanza dalla sorgente per terremoti di
magnitudo medio-bassa.


a  

Molto spesso in sismologia le dimensioni della sorgente (della faglia) risultano essere di gran lunga
inferiori a quelle delle lunghezze d¶onda osservate. In tal caso non è possibile apprezzare i diversi
contributi ai segnali osservati che provengono dai vari punti della faglia dal momento che questi
sono visti arrivare in fase alla stazione. Nell¶ipotesi semplificativa di un mezzo di propagazione
mogeneo e isotropo (considerato tale per semplicità, ma tali ragionamente possono esse fatti a
mezzi più complicati a patto che sia possibile calcolare esattamente la funzione di Green), lo
spostamento ad un ricevitore posto a distanza r dalla sorgente è dato da

EQ. (8.4)

Dove:
G| ȡ è la densità
G| c è la velocità delle onde sismiche (per la fase P o S) nel mezzo di propagazione
considerato,
G| x cè il coefficiente di radiazione,
G| ȝ è il modulo di rigidità,
G| Ȉ è la superficie di faglia
G| e la quantità <ǻü > rappresenta il valore medio sulla faglia della dislocazione.

Nella relazione (8.4), il fattore x<7FG-  è l¶espressione esplicita della funzione di Green per un
mezzo omogeneo ed isotropo.

La quantit`a 1/r tiene conto dell¶attenuazione geometrica e il coefficiente di radiazione x dipende


dal meccanismo di dislocazione alla sorgente e dall¶orientazione del piano di frattura, quantità
queste che definiscono il meccanismo focale del terremoto (paragrafo 8.2.7), oltre che dagli angoli
che descrivono la posizione del ricevitore e la direzione del raggio sismico alla sorgente. La
quantità 4 HI JK è proporzionale alla dislocazione e alla sua variazione nel tempo (termine di
sorgente). "      /  4      K a         
  E 7aa a a    —    a La a 


, E 6

avendo definito

EQ. 8.6

M0 prende il nome di momento sismico scalare e rappresenta il momento di una delle due coppie di
forze che generano la dislocazione sulla superficie della faglia.

In sostanza, nell¶approssimazione di sorgente puntiforme il sistema di forze che causa la islocazione


viene approssimato con una singola doppia-coppia di forze applicata al baricentro della faglia che
dunque viene assimilata ad un punto.
Non essendoci dipendenza dalle coordinate spaziali alla sorgente, solo il valore medio della
dislocazione prodotta sulla superficie di faglia è preso in conto e misurato attraverso il momento
sismico.
Dalla forma della (8.4) è possibile comprendere che solo variazioni rapide nel tempo del momento
sismico possono generare radiazione sismica ad alta frequenza di ampiezza significativa essendo
questa legata alla derivata rispetto al tempo della dislocazione media. La figura 8.2 mostra
l¶andamento nel tempo della funzione M0(t) e della sua derivata nell¶ipotesi che M0(t) evolva
secondo una funzione a rampa.

FIG. 8.2

Lente variazioni di M0(t) genererebbero in approssimazione di campo lontano spostamenti aventi


piccola ampiezza mentre variazioni rapide di dislocazione possono dare luogo a spostamenti di
ampiezza significativa. La misura dai sismogrammi della rapidità con cui la dislocazione passa dal
valore nullo iniziale al suo valore finale (tempo di salita o 
) è estremamente complessa in
quanto questo parametro è correlato nei dati con altri parametri quali l¶ampiezza della deislocazione
e/o la velocità di rottura. Da studi effettuati sulle registrazioni accelerometriche di terremoti con
magnitudo medio-alta si `e accertato che il tempo di salita deve essere dell¶ordine di 1 í 2s e può
essere indipendente dalla velocità di propagazione della frattura lungo la superficie di faglia.


 a  a a 

Allo scopo di stimare il momento sismico, calcoliamo l¶integrale rispetto al tempo dello
spostamento onda P o S associato ad una sorgente puntiforme (equazione 8.4).

EQ. 8.4

Risulta

EQ. 8.7

G| Evidentemente la dislocazione iniziale (t = 0) è nulla ( < ǻu ( t = 0 ) > = 0 )


G| mentre, per t x’ la quantità < ǻu (t x’) >rappresenta il valore medio sulla faglia della
dislocazione finale ossia quando il processo di dislocazione alla sorgente è terminato.

Ne consegue che

EQ.(8.8)

dove abbiamo fatto uso della (8.6). In definitiva si ha

EQ. (8.10)

quantità  a  % a a    %   aa    a  . In
pratica, per il calcolo del momento sismico, va selezionato sul sismogramma la porzione di segnale
di interesse (ad esempio la fase P diretta), si calcola quindi l¶integrale dello spostamento del suolo
ricavato dal sismogramma e si utilizza la relazione (8.9).

E¶ possibile determinare il momento sismico analizzando i dati nel dominio della frequenza
piuttosto che in quello del tempo. Calcoliamo quindi la trasformata di Fourier dello spostamento
dato dall¶equazione 8.4

EQ. 8.4

Trasformando si ha:

eq. 8.11

Nel calcolo della trasformata di Fourier abbiamo ristretto l¶intervallo di integrazione a [0, ’[
supponendo che lo spostamento sia nullo per t DE. Al limite per basse frequenze (Å Z dalla
8.11 si ottiene :

EQ. (8.12)

Che ponendo:

EQ. 8.13

restituisce di nuovo la relazione (8.9).   a  a a        
   aa /    a        aa     a     
a  a —  $          ;     E A       
  a a  ; a      D   a &AE16        ;
 a        :

EQ.(8.14)

A differenza della (8.9) nella (8.14), compaiono il coefficiente che esprime l¶effetto di
amplificazione della superficie libera (F S= 2) e le velocità a di propagazione delle onde sismiche al
ricevitore (cR) e alla sorgente (cS).
Le incertezze nel calcolo del momento sismico sono di norma dell¶ordine del 20 í 30% rispetto al
valore medio.
Il momento sismico si misura in Nm (in unit`a MKS) o in dyne cm (in unit`a cgs) e fornisce una
stima oggettiva della dimensione di un terremoto. I valori misurati di M0 variano da 10í2Nm per
microfratture in esperimenti di laboratorio su campioni di roccia, a 105Nm per microterremoti fino a
1023 Nm per i più grandi terremoti mai registrati.

a  aa     
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente lo spettro di ampiezza dello spostamento del suolo
associato ad un¶onda P o S tende asintoticamente ad un valore costante man mano che ci spostiamo
verso le basse frequenze.
E verso le alte frequenze? Per comprendere quale possa essere l¶andamento spettrale ad alta
frequenza possiamo usare l¶analogia con segnali transienti di forma semplice. In    
a     /a  a  a     a    aa /      
a     /    / — %      si veda
ad esempio la figura 8.22.
Tale frequenza, nel caso dello spettro di un segnale di terremoto, ha significato fisico ben preciso,
fornendo una misura della durata del processo di frattura e indirettamente della dimensione lineare
della frattura sismica (paragrafo 8.3.2). E¶ possibile dimostrare che:

G| grandi durate sono associate a piccoli valori di frequenza d¶angolo


G| segnali di breve durata forniscono valori elevati della frequenza d¶angolo.

Il caso limite è quello di durata prossima o uguale a zero (come nel caso della funzione impulso o
della funzione delta di Dirac) nel qual caso lo spettro di ampiezza è praticamente costante a tutte le
frequenze.

Il decadimento spettrale ad alta frequenza è dunque una caratteristica dei segnali transienti a media
non nulla, come lo possono essere gli impulsi associati ai primi arrivi delle onde P o S.
Nel caso dei terremoti la forma del segnale, e quindi il decadimento spettrale ad alta frequenza, è
controllata dal modo con cui la frattura procede sulla superficie di faglia ed in particolare si arresta
(paragrafo 8.3.4), oltre che dall¶effetto di attenuazione anelastica del mezzo di propagazione.
Utilizzando modelli semplificati di

c   


Il momento sismico rappresenta il parametro che descrive in modo oggettivo la grandezza di un
terremoto, essendo questo parametro legato all¶ampiezza della dislocazione media sulla superficie
di faglia. Storicamente a tutt¶oggi nella 
  degli osservatori sismologici, la grandezza di un
terremoto viene definita a partire da una misura dell¶ampiezza massima del moto del suolo, quantità
pi`u semplice ed immediata da ottenere rispetto al momento sismico.
Questa è una misura più rozza rispetto al momento sismico e, affinchè fornisca valori realistici della
grandezza del terremoto, è necessario che siano applicate correzioni per gli effetti della sorgente e
della propagazione delle onde che diversamente potrebbero introdurre errori nella misura.

La stima della grandezza del terremoto basata sulle ampiezze del moto del suolo sono molto
utilizzate soprattutto per la semplicità della misura.
      á   di un terremoto fu introdotto da K. Wadati (1935)e C.F. Richter 1935),
circa 30 anni prima dell¶introduzione del parametro momento sismico e della sua prima misura
effettuata come detto da K. Aki nel 1966 su registrazioni del terremoto di Niigata nel 1964.
Le scale di magnitudo sono basate su due semplici assunzioni.

G|    è che, data la stessa geometria sorgente-ricevitore e dati due terremoti di


grandezza differente, l¶evento più grande produce, in media, fasi di ampiezza maggiore.

G| a è che gli effetti dell¶attenuazione geometrica sono statisticamente noti e quindi
le ampiezze delle fasi sismiche possono, in prima approssimazione, essere legate solo alla
distanza sorgente-ricevitore.

’ 2 á     á     O

EQ. 8.15

G| ¬<+..  9 <


)
G| &<    9 

  ..)


G| < .  
 .*F  
G
* )
G| '  
 .  

 
 


La funzione 
 viene utilizzata in quanto l¶ampiezza delle onde sismiche pu`o essere
estremamente variabilea causa di effetti di propagazione non considerati dalla semplice relazione
(8.15).
In generale il valore di magnitudo è ottenuto a partire dai singoli valori determinati a diverse
stazioni in maniera da mediare gli effetti associabili al diagramma di radiazione, alla direttività e
all¶eterogeneità del mezzo di propagazione.


   

La prima scala di magnitudo fu introdotta da C.F. Richter (1935) allo scopo di costruire il primo
catalogo di terremoti californiani che contenesse una descrizione più o meno oggettiva della
dimensione degli eventi sismici.
Richter osservò che il logaritmo dell¶ampiezza massima del moto del suolo decresceva con la
distanza lungo curve approssimativamente parallele per terremoti di dimensione differente. Tutte le
osservazioni di Richter erano eseguite con il medesimo strumento, un sismografo a torsione Wood-
Anderson    O  O O    , amplificazione pari a 2800 e fattore
di smorzamento uguale a 0.8. La grandezza relativa dei vari eventi era calcolata rispetto ad un
evento di riferimento attraverso la relazione:

EQ. 8.16

dove
G|  rappresenta lo spostamento massimo per l¶evento considerato
G| 1 è lo spostamento massimo per l¶evento di riferimento,

misurati ad una distanza prescritta.

Richter scelse come evento di riferimento, caratterizzato da una magnitudo ML= 0, quello che
produceva un ampiezza A0= 10 í3 mm ad una distanza epicentrale di 100 km. Utilizzando tale evento
di riferimento, la (8.16) pu`o essere riscritta come:

eq. 8.17

dove
G| A è l¶ampiezza massima del moto del suolo, corretto per la risposta strumentale, misurata in
ȝm
G| ǻ è la distanza in km (ǻ < 600 km).

A prima vista l¶equazione (8.17) non sembrerebbe essere della forma prevista dalla (8.15). In realtà
ciò non è vero in quanto Richter fece una serie di ipotesi che semplificavano la forma generale
(8.15).
G| Prima di tutto, i sismometri utilizzati erano tutti identici fra loro e caratterizzati da una
banda in frequenza molto stretta e quindi la fase con la massima ampiezza era sempre
associata allo stesso periodo dominante T 0.8 s.
G| In secondo luogo, tutta la sismicità esaminata era superficiale con ipocentri a profondità non
inferiori ai 15 km e con i percorsi dei raggi sismici tutti confinati nella crosta superiore.

In conseguenza di queste ipotesi, le correzioni per la dipendenza dalla profondità, dal sito e dalla
sorgente risultano essere approssimativamente costanti e dunque l¶equazione (8.17) costituisce un
sottoinsieme della (8.15).

  a          !   a  %   aa   
%c— a    — a aa      a   
  a .
La magnitudo locale MLè raramente utilizzata oggi nella sua formulazione originaria dal momento
che i sismografi a torsione Wood-Anderson non sono più disponibili e perchè, naturalmente, la
maggior parte dei terremoti non avviene in California. In ogni caso la magnitudo locale resta una
delle scale più utili dal punto di vista ingegneristico dal momento che molte strutture hanno periodo
naturale prossimo a quello del sismografo Wood-Anderson (0.8 s) e quindi l¶estensione dei danni
legata ad un terremoto può essere messa in relazione con ML.


     

Il    a   utilizzato per la misura  %       a   praticabili costituiscono


delle limitazioni tali da rendere la magnitudo locale inadeguata per una caratterizzazione globale
della grandezza di un terremoto.
$  a        /    , si introduce una scala di magnitudo basata
sull¶ampiezza dei primi cicli dell¶arrivo P che viene indicata con mb ed è definita come:

eq. 8.18

G| A è l¶ampiezza del moto del suolo corretta per la risposta strumentale e misurata in ȝm
G| T è il periodo, in secondi, che in generale vale 1 s.
G| Q(h, ǻ) è la correzione per la distanza e per la profondità che viene ricavata
sperimentalmente

Va osservato che le ³correzioni´ sono abbastanza uniformi per distanze superiori ai 30ƕ ma sono, di
contro, piuttosto complicate per distanze inferiori che corrispondono alla propagazione nel mantello
superiore.

   a  MS

I sismogrammi a lungo periodo associati a terremoti registrati a distanze superiori ai 600 km sono
dominati dalle onde di superficie aventi, in genere, un periodo di circa 20 s. L¶ampiezza di tali onde
dipende dalla distanza in maniera diversa dalle onde di volume; infatti, %      
a  !           a    .

Dato            a      , nel costruire una
scala di magnitudo basata sulle onde di superficie è possibile trascurare la correzione per la
profondità della sorgente. L¶equazione per il calcolo della magnitudo associata alle onde di
superficie è data da

MS= log A20+ 1.66 log ǻ + 2.0 (8.19)

A20 è l¶ampiezza corretta per la risposta strumentale e misurata in ȝm, dell¶onda di superficie
avente periodo 20 s.

In generale per il calcolo della MS mediante la relazione (8.19) si utilizza la componente verticale
delle onde di Rayleigh.

c   a   

Le scale di magnitudo mb ed MSsono state costruite per essere quanto più possibile compatibili con
MLe quindi   a  a  , per un dato terremoto,      a  a aa
 a  .  /a aa    .
Nella determinazione delle tre magnitudo si effettua una misura di ampiezza che dipende dalla
frequenza:
G| 1.25 Hz per ML
G| 1 Hz per mb
G| 0.05 Hz per MS.

Solo terremoti associati a faglie di piccola dimensione, sono tali che l¶ampiezza del moto sia la
stessa per le tre frequenze di 
.

Come detto nel paragrafo 8.2.2, lo spettro dello spostamento del suolo associato ad un terremoto può essere
rozzamente descritto mediante un andamento costante a bassa frequenza e un decadimento proporzionale ad
Ȧí2ad alta frequenza la cui intersezione definisce la frequenza d¶angolo. Tale frequenza risulta essere
inversamente proporzionale alla dimensione lineare della faglia. Ne consegue che piccoli terremoti sono
caratterizzati da una frequenza d¶angolo ben al di sopra di 1Hz e quindi l¶ampiezza spettrale alle frequenze
di interesse per il calcolo delle magnitudo risulta praticamente costante.
Per terremoti a partire da una certa grandezza, la frequenza alla quale



si misura l¶ampiezza per la misura di mb viene a trovarsi sulla parte di spettro che decade come Ȧí2 e
quindi tutti i terremoti al di sopra di tale taglia forniscono approssimativamente lo stesso valore di
magnitudo mb. Un ragionamento del tutto analogo vale, ovviamente, anche per le altre due scale di
magnitudo.
  ! a    .

D61(

 



  .. 
. 9  .
9  
( 


In figura 8.4 sono mostrati gli spettri associati a terremoti di grandezza differente. Appare chiaro
che
G| la scala di magnitudo mbcomincia a saturare a partire da mb5.5 per essere completamente
satura già per mb 6.0;
G| la scala di magnitudo MSnon satura fino a circa MS7.25 è risulta completamente saturata per
MS8.0.
G| Per quanto riguarda la scala di magnitudo MLsi trova che essa comincia a saturare a partire
da ML6.5.

 a a   MW


Oltre alle scale di magnitudo descritte, come più volte ribadito,       
 a    !  a a .

Un modo alternativo potrebbe essere collegato all¶energia rilasciata durante il processo di


dislocazione.
Al passaggio dell¶onda sismica una generica particella particella, che possiede una certa energia
potenziale, comincerà a muoversi acquisendo energia cinetica. La somma delle energie potenziale e
cinetica, integrata rispetto al tempo, fornirà il valore dell¶energia spesa nel processo di oscillazione.
Facendo un pò di conti si ricava per a    un¶equazione del tipo

dove F ()H)) è una funzione che tiene conto di fattori geometrici, essendo r la distanza percorsa e
c la velocit`a di propagazione del tipo di onda considerata. L¶equazione (8.24) può essere riscritta in
una forma simile a quella di una generica scala di magnitudo (equazione 8.15) come

È allora possibile mettere in relazione l¶energia con la magnitudo a patto che la funzione F (r, ȡ, c)
sia nota. Gutenberg e Richter (1936)trovarono le seguenti relazioni empiriche che legano E ad mb e
MS :

G| log E = 5.8 + 2.4mb (8.26)

G| log E = 11.8 + 1.5MS (8.27)

La determinazione dell¶energia mediante le relazioni (8.26) e (8.27) soffre di tutte le problematiche


legate al calcolo della magnitudo. In particolare,
G| poichè mbsatura piuttosto rapidamente,  a         E '>   
a a     a > 6.
G| La relazione (8.27) è sicuramente più robusta dal momento che la scala MSsatura per valori
di magnitudo più elevati.

Notiamo che, in accordo con l¶equazione (8.27),         a    
   c> 1cB 1!   &1& 6 -'.

In altre parole, l¶energia rilasciata da un terremoto di magnitudo MS 7.0 è circa 30 volte più grande
di quella rilasciata da un terremoto di magnitudo MS 6.0 ed è di tre ordini di grandezza più grande
di quella rilasciata da un terremoto di magnitudo MS 5.0.

È infine possibile    a a  % a a . Kostrov (1974)ha dimostrato
che l¶energia sismica irradiata è proporzionale allo 
 ǻı, parametro che sarà introdotto nel
seguito (Paragrafo 9.3), mediante la relazione:

ed utilizzando la definizione (8.6) per il momento sismico, si trova:

Possiamo quindi usare questa espressione      a a 1  
  mediante la relazione (8.27). Assumendo che lo 
 sia costante e dell¶ordine di
3 MP a (30 bar), si ricava la seguente equazione

log M0= 1.5 MS+ 16.1 (8.30)


che fornisce un modo semplice per mettere in relazione la magnitudo al momento sismico e, di
fatto, può essere usata per definire una nuova scala di magnitudo,      ,
come

nella quale il momento sismico va espresso in 3 . ,a a    , pur essendo
calibrata su MS,           a  dal momento che il momento
sismico M0 non satura

     


La localizzazione dei terremoti è un tipico problema inverso (Appendice E) che consiste nella
determinazione delle coordinate spaziali (
) e dell¶istante di tempo (
  ) di
accadimento del terremoto utilizzando i tempi dei primi arrivi delle onde sismiche primarie (P ed S)
a varie

stazioni che hanno registrato il terremoto stesso. La conoscenza del modello di propagazione, che
determina il percorso dei raggi sismici e quindi i tempi di arrivo è di cruciale importanza.

    
Supponiamo che un terremoto avvenga ad un istante di tempo incognito T 0 in una posizione
ipocentrale anch¶essa incognita += (2:) 3:) .:). Se la coordinata zHrappresenta la profondità
dell¶ipocentro, il punto di coordinate (2:)3:).: = 0) sulla superficie terrestre è detto O  del
terremoto.
Supponiamo che  stazioni sismiche, poste alle coordinate   = (xi , yi, zi), abbiano registrato il
terremoto e indichiamo con M il tempo di primo arrivo P alla stazione i í ma. Il tempo di arrivo
M dipende dal tempo origine del terremoto T0 e dal tempo di percorso T (xH, xi) delle onde sismiche
dalla sorgente al ricevitore:

c     !  O  , il problema può essere scritto, in analogia con le notazioni
dell¶Appendice E, nella forma generale

M= g() (8.33)

dal momento che il vettore dei dati M(i cui elementi sono i tempi di arrivo delle onde sismiche alle
diverse stazioni) può essere calcolato, mediante una funzione ( ), in generale non lineare, a
partire da un dato vettore  = (xH, yH, zH, T0)Ti cui elementi (
   ) sono le
coordinate spazio-temporali dell¶ipocentro.
a     aaa a a  a      
       aa %       a       
a a  O            

Si cominci quindi con il considerare un modello iniziale 1 ( .   #) attraverso cui `e
possibile calcolare i dati teorici d0= g (1 ) alle stazioni. A meno di non essere particolarmente
fortunati nella scelta della soluzione di prova,  
       9 

#

#
 Si procede quindi alla        ǻm0j ai parametri che definiscono il
modello iniziale
mj= m0j + ǻm0j (8.34)

in modo da ottenere dati predetti che siano ³più prossimi´ ai dati osservati.

Notiamo che, in generale, i dati non dipendono in maniera lineare dai parametri del modello. Ad
esempio, anche nel caso semplice di un modello di propagazione omogeneo caratterizzato da una
velocità , la forma esplicita della (8.33) per il generico elemento I di Msi scrive

YO á O    O         O á    
  á   á :

Questa equazione può essere scritta in termini della differenza tra i dati osservati e quelli predetti
come

Ponendo

e tralasciando l¶apice 0 per generalizzare i risultati, la (8.37) si scrive

o, in forma compatta,

La (8.40) è un¶equazione matriciale che rappresenta un sistema di equazioni lineari che, se n è il


numero di dati osservati, in forma esplicita si scrive

In generale il numero di dati osservati è maggiore del numero di parametri da stimare (pari a 4) il
che rende sovradeterminato il problema inverso. Essendo la matrice G non quadrata, si dimostra
che la soluzione ai minimi quadrati del problema inverso lineare è data da (Appendice E)

La (8.42) fornisce la soluzione ´migliore´ al problema inverso lineare nel senso che essa minimizza
l¶errore di predizione ossia lo scarto quadratico tra i dati osservati e quelli predetti sulla base di un
dato modello.
Utilizzando allora una soluzione di prova 1 è possibile, risolvendo la (8.42), determinare la
perturbazione I1al modello iniziale che fornisce un adattamento (
) dei dati migliore, nel senso
dei minimi quadrati, alla soluzione iniziale. Il nuovo modello, per la (8.34), è dato da

m1= m0+ ǻm0 (8.43)

e predirrà i dati
d1= g( &) (8.44)

che, per quanto detto, dovrebbero approssimare meglio di d0i dati osservati.

La procedura può a questo punto essere iterata utilizzando & come nuovo modello iniziale. Dopo
aver calcolato i nuovi elementi della matrice G mediante un¶equazione del tutto analoga alla (8.38),
risolvendo la (8.42) si determinano le perturbazioni I& al modello iniziale e quindi il nuovo
modello ', e così via.
La procedura iterativa si arresta quando l¶errore di predizione diventa dello stesso ordine di
grandezza dell¶    
e/o quando le perturbazioni ottenute a un modello precedente
non sono più significative, rispetto ad una soglia prestabilita.

L¶errore sui dati corrisponde all¶errore di lettura delle fasi P ed S sui sismogrammi.

La tecnica descritta è nota in letteratura come   d    

Nell¶approccio globale il problema della localizzazione di un terremoto si risolve calcolando la
distribuzione di probabilità per le coordinate spazio-temporali dell¶ipocentro in un volume
predefinito opportunamente discretizzato. Nel seguito viene descritta la tecnica introdotta da Lomax

che `e implementata nel codice numerico !  .
Il codice di localizzazione !   segue la formulazione probabilistica dell¶inversione
originariamente introdotta da Tarantola e Valette (1982).
In base a tale formulazione,  a              ! a 
        O    (¦
3 
3D 
 , ¦D):

(continua)« ma lascia così!


 a        

Un altro parametro importante che viene stimato dai dati sismici nell¶ipotesi di sorgente puntiforme
è il á  á2 . Questo consiste nel ricavare l¶orientazione del piano di faglia e la direzione
del vettore di dislocazione su di esso.
Per descrivere %    di tale piano in un sistema di coordinate geografiche sono necessari
due angoli:
G| l¶orientazione (o 
A)
G| la pendenza (o ).

      a    è invece specificata mediante una di due quantità alternative che
descrivono la direzione media di dislocazione (Ao  ).

I due lati della superficie di faglia (Figura 8.7) sono noti come   0Je 
0J.

FIG. 8.7

In particolare, la superficie mostrata in figura 8.8 è il 


0J.

FIG. 8.8.

    (Figura 8.8) è definita mediante l¶angolo cc, misurato in verso orario,
formato dalla
 con il Nord geografico.

La traccia della faglia è l¶intersezione della faglia con la superficie terrestre

Un osservatore che guarda in tale direzione vede il blocco di   0J (opposto al blocco di

0J) della faglia sulla propria destra. Evidentemente, 0 ” cS” 2ʌ.

  ON    è invece l¶angolo formato dal piano di faglia con la superficie terrestre
nel piano verticale ortogonale allo 
A(Figura 8.8). Risulta 0 ” į ” ʌ/2.
Il      a    O I rappresenta, infine, la direzione di movimento
dell¶  Jrelativamente al 
0J.

  3 definisce l¶angolo tra la direzione di 


Ae il vettore di (Figura 8.8) ed è tale
che í ʌ ” Ȝ ” ʌ.

Per definire la direzione del vettore di , alcuni autori, invece del A(che si misura sul piano di
faglia) preferiscono utilizzare  O 3$(Figura 8.8) che, misurato in un piano verticale,
rappresenta l¶angolo formato tra l¶orizzontale e la direzione di u. Risulta

sin ȜP= í sin Ȝ sin į (8.52)

G| Se il  į (la pendenza) è diverso da 0 e da ʌ/2¶


G| Ȝ varia nell¶intervallo (0, ʌ), la faglia corrispondente è detta  # o

 
(Figura 8.9);
G| Ȝ `e compreso tra (íʌ, 0), la faglia è detta o 

(Figura 8.9).

G| Se il vettore di uu è orizzontale


G| Ȝ = 0
G| Ȝ = ʌ
la faglia è detta

o 
A0(Figura 8.9)
G| Se il  į (la pendenza) è • = /2 e
G| ¦ = 0
G| ¦ /2
ci sono due modi per definire la direzione dello 
A (che si fa mediante l¶angolo cc si
determina quale delle due superfici della faglia definisce il blocco di   0J (ossia
quale sia il blocco di destra quando si guarda nella direzione dello 
A) e quale quello di

0J.

Di conseguenza una faglia



 
può essere distinta immediatamente da una


 
 utilizzando solo il valore del A¦ :

G| ¦ laZ fagliaZè



 

G| ¦  laZ fagliaZè

 


G| Se il vettore di uu è ortogonale al vettore di 


A cioè per cui:

G| Ȝ = + ʌ/2
G| Ȝ = - ʌ/2

la faglia si dice 0

G| Una faglia 0 #


 *   •  presenta nuovamente un¶ambiguità nella
definizione dello 
A *+
.  . Se assumiamo che il 
 J giaccia nel blocco
ribassato e che la direzione dello 
Asia sempre quella per la quale l¶  Jsi trova
alla sua destra, concludiamo che per una faglia 0Ȝ = ʌ/2.

Una faglia sinistra è quella per la quale un osservatore posto su un blocco vede spostarsi l¶altro blocco verso
sinistra. In modo analogo si definisce una faglia destra.

"      a   



 a    (Figura 8.10) per una sorgente puntiforme è, per definizione, una sfera centrata
sullasorgente stessa e avente raggio arbitrariamente piccolo che solitamente viene scelto unitario.
Essa è la superficie sulla quale viene rappresentato il     , cioè la variazione
azimutale, a parità di distanza, dell¶ampiezza del moto del suolo prodotto da un¶onda P o S diretta.

&    


     
  
0.  +.. + 
   



   #


  
  # 

 9 

Appare chiaro che, per poter effettuare la retro-propagazione, è necessario conoscere   la
distribuzione delle velocità delle onde sismiche nel sottosuolo ela posizione della sorgente.
L¶indeterminazione su queste quantità, oltre che il numero e la distribuzioneazimutale delle
osservazioni, condiziona fortemente l¶accuratezza sul meccanismo focaleottenuto.

È possibile specificare un punto sulla sfera focale mediante le coordinate angolari *K)o individuate
in un sistema di coordinate polari centrato sulla sorgente (Figura 8.10).
FIG. 8.10

Figura 8.10 ± La sfera focale.

In particolare, o0 1 individua la direzione verticale diretta verso il basso e %  cè l¶azimut
rispetto al Nord.

Dal momento che la sfera focale giace all¶interno del       a  non `e
immediate comprendere come il diagramma di radiazione in campo lontano possa rappresentare
correttamentelo spostamento che avviene nella regione sorgente.
Ricordando l¶equazione (7.17)

si può dimostrareche i termini di:


G| campo vicino (CV ),
G| campo intermedio (CI),
G| campo lontano (CL)
G|
dello spostamento  in un punto , in termini del momento sismico dipendente dal tempo
M0(t),sono dati da

dove ȡ è la densità,vPe vSsono le velocità delle onde P e delle onde S ed è la distanza tra la
sorgente e il ricevitore.








D  6 1 (
  


     +  
   .  
  
 .  
##  
  




I diagrammi di radiazione, nel sistema diriferimento di figura 8.11, sono dati da:

Dall¶equazione (8.53) si può inoltre ricavare il     aa  a  aa  
 a        a a 1 calcolando il limite per t ĺ ’ delle quantità:

nell¶ipotesi che il momento sismico abbia un valore finale costante pari a M0 (Ô).
Si trova:

Il digramma di radiazione in approssimazione di campo lontano (I termini CLP e CLS nelle 8.53
ed 8.54) è del tutto equivalente al diagramma di radiazione per lo spostamento statico (8.55) a tutte
le distanze dalla sorgente e, in particolare, sulla sfera focale.

Consideriamo adesso il diagramma di radiazione per lo spostamento P associato ad una


dislocazione di taglio orientata in modo arbitrario. Riferendoci alla figura 8.11, ci aspettiamo che, in
corrispondenza di una dislocazione, le particelle del mezzo che appartengono ai quadranti disposti
intorno alla faglia siano soggette ad un moto iniziale che sia:

o compressivo (ossia diretto verso il ricevitore)


o dilatativo (ossia diretto verso la sorgente).

Nel sistema di riferimento sferico di figura 8.11 abbiamo visto che lo spostamento per le onde P è
proporzionale a
sin 2ș cos ij.

Quando c = 0, vale a dire nel piano2 2, risulta x sin 2ș che corrisponde(Figura 7.6) ad un
diagramma a quattro lobi che riflette i quadranti a segni alternidi figura 8.12.


D @" D 61(  
 .¦


    .    

Il fatto che tale funzione vari 


rende intuitivo che l¶inversione polarità si verifica nel
momento in cuil¶ampiezza del moto è diventata nulla. Al di fuori della zona di dislocazione si ha,
quindi, unatransizione continua dal moto diretto verso la sorgente a quello diretto in verso opposto.
L¶ampiezza massima per lo spostamento P è dunque attesa in corrispondenza della metà dei quattro
quadranti, vale a dire a 45ƕ dal piano di faglia che appartiene al piano x1x2 (Figure 7.6 e 8.13).

61#. 
    +.. 
 + ¦ 

  
 + 
 

   .  


Come detto, la polarità dello spostamento per l¶onda P diretta viene conservata lungo il percorsodel
raggio verso qualsiasi ricevitore. Di conseguenza, se è disponibile un numero sufficiente di
osservazioni del primo moto P , retro-propagando le ampiezze delle onde dai ricevitori verso la
sorgente, è possibile determinare l¶orientazione del piano di faglia.  — a    a 
     / a    aa  aa    
        a  aa     $.

Esiste, infatti, un piano ortogonaleal piano di faglia (detto    ) sul quale potrebbe
essersi prodotto il processo di frattura,ma con verso opposto del vettore di 

ad esempio moti di tipo laterale destro sul piano di faglia sono del tutto indistinguibili da moti di tipo laterale
sinistro su piano ausiliario

che risulta indistinguibile dal piano di faglia sulla base dei soli dati di polarità P .

c   !aa    a   a  a (a a  a  aa


   a        —       !             
         a aaa    a            
     —      L aa  a       a  . Ciò è
naturalmente più semplice nel caso di meccanismi di faglia trascorrente laddove i piani principale
ed ausiliariohanno un¶orientazione ortogonale direttamente visibile sulla superficie terrestre. Pi`u
ardua è la distinzionetra piano principale e piano ausiliario nel caso di faglie normali o inverse, a
meno che gliipocentri delle repliche siano determinati con estrema precisione.

Le proiezioni 
 e      sono utilizzate per proiettare su un piano le
informazioni relative alle polarità rappresentate sulla sfera focale. Generalmente si usa proiettare
solo lasemisfera inferiore notando che, in virtù della simmetria insita nei diagrammi di radiazione, i
raggisismici che lasciano la sorgente verso l¶alto e che quindi intersecano la parte superiore della
sferafocale possono essere riportati alla semisfera inferiore semplicemente sommando 180ƕ
all¶azimutdelle stazioni.

Il piano di faglia e il piano ausiliario intersecano la sfera focale e tali intersezioni sono proiettate
come curve che separano i moti P compressivi da quelli dilatazionali (Figura 8.15).

D  6  1 Intersezione del piano di faglia e del piano ausiliario con la sfera focale e loro proiezione
stereografica

Esempi di meccansimi focali per i diversi tipi di faglia sono riportati in figura 8.16.

Spesso risulta conveniente esprimere i diagrammi di radiazione in un a a      


 piuttosto che in sistemi di riferimento cartesiani o sferici. In figura 8.17 sono riportati
ilsistema di riferimento geografico e quello individuato dai versori

G| xnella direzione P
G| xnelle direzione SV
G| x nelle direzioni, SH

D6@1definizione di un sistema di riferimento geografico con l¶asse x3 positivo verso il basso. L¶angolo
di(
Adel piano di fagliaoS è misurato rispetto al Nord geografico così come l¶Azimuth o' del ricevitore$
 •della faglia è misurato rispetto al piano orizzontale mentre l¶angolo di L, misurato rispetto alla
direzione di 
A) individua la direzione del vettore dislocazione sulla faglia. Il raggio sismico che
raggiunge la stazione ha un angolo di
A0rispetto all¶asse2
I #áindividuano un sistema di riferimento nelle direzioni, rispettivamente)¦)(5)(:


Le equazioni, in approssimazione  , per le onde P e S associate aduna sorgente di tipo doppia
coppia avente orientazione cS, į e Ȝ e per un angolo di
A0 per ilraggio che raggiunge il
ricevitore avente azimut cRsono date da:

P SV SH
essendo i diagrammi di radiazione , , per le onde P, SH, SV dati da:
dove o0ocOo 

    E 6> E >&a      a a      
      a   a a  aa    a  a  a 
     



D  6" 1 Rappresentazione dei meccanismi focali per i diversi tipi di faglia. Le regioni in nero
corrispondono a moti P di tipo compressivo.
a a a

Come visto,  a       a    a       aa    
a    !    a              %  
a   a   In particolare, nelle situazioni per cui la lunghezza d¶onda dominante dei
segnalisismici osservati è inferiore alle dimensioni lineari dell¶area di frattura prodotta durante un
terremoto,ci si aspetta che le onde sismiche emesse dalle diverse porzioni della zona in
fratturazionepervengano distinte al sito di registrazione e si combinino in modo complesso nel
sismogrammaosservato.

Come osservato nel capitolo 5—a %    a   


—   
a   a aa  a   a    / 
espressadall¶equazione (5.5) che qui richiamiamo per comodità:



G| Ôè il fattore di qualità
G| Å è la frequenza angolare
G| è il tempo di percorso (essendo r la distanza sorgente-ricevitore e c la velocità
di propagazione delle onde sismiche.

Esiste quindi
un        , di forma esponenziale,
 %    a   che dipende dallafrequenza
e che si aggiunge
 %      che segue, invece, una legge
di Potenza inversa con la distanza.

In particolare, ad una distanza fissata , essendo:

le componenti di frequenza più elevata si attenuano più rapidamente delle componenti di più bassa
frequenza. D¶altra parte, in prossimità della faglia, essendo la distanza piccola, le alte frequenze
sonodebolmente attenuate e quindi contribuiscono a generare le massime ampiezze nei
sismogrammiosservati ( Inserto 8.1 ).

     a   a   — ! aa   a   a  a a
  %aa      2 2  —3HH    d
In tale ipotesilo spostamento in funzione del tempo per la fase sismica che si propaga con velocità
in un puntoindividuato dalla posizione  risulta dato dall¶integrale
G| Ȉ è la superficie di faglia,
G| GCFF è la funzione di Green in approssimazione  ,
G| ǻ è lafunzione sorgente,
G| tRè il tempo a cui avviene la rottura +
  K
G| tcè il tempodi propagazione dell¶onda sismica dall¶elemento di sorgente posto in ȟ al
ricevitore.

Notiamo perinciso che l¶equazione (8.64), nel caso di un mezzo di propagazione elastico,
omogeneo, isotropo eillimitato, si riduce alla forma

dove xcșijrappresenta il diagramnma di radiazione.

  aa     a  e indipendentemente dalla sua estensione, ! aa  


  %aa        a patto di selezionare nel segnale osservato
l¶intervallo di frequenze che corrisponde alla condizione LDD

Test numerici e sperimentali hanno dimostrato che l¶approssimazione  risulta validapurchè
risulti

r • (3 ÷ 4)Ȝ (8.65)



 %aa  2 2  —   ?   E >7—   a a aa
a  a a L aa a  —     —  aa   
  a  aa    a              aa      Ciascun
elemento dellafaglia disloca, e quindi irradia onde, in tempi successivi ma è solo quando viene
raggiunto dal fronte dirottura che si propaga a partire dall¶ipocentro (punto di enucleazione della
rottura) verso l¶esternodella superficie di frattura (Figura 8.19).
D 671A partire dall¶ipocentro, la frattura si propaga sulla faglia secondodei 
 

. Solo
quando un punto della faglia viene raggiunto dal frontedi rottura emette energia che si propaga verso il
ricevitore. In approssimazionedi alta frequenza, la radiazione sismica è quindi costituita dalla
sovrapposizionetemporale di segnali generati da una distribuzione di sorgenti elementari.

Notiamo esplicitamente che, poichè la distanza tra le sorgentielementari e il ricevitore variada punto
a punto sulla faglia,anche il termine di attenuazionegeometrica, contenuto implicitamente
nella funzione di Greennell¶equazione (8.64), sarà variabile.

La quantitàIP nella (8.64)rappresenta invece la    e risulta anch¶essavariabile
sulla faglia, oltre chedipendere dal tempo.
     a a  a         a a  
 perchè diversa è ladistanza tra le sorgenti elementari e il ricevitore ( /    a 
         ). Essi dipendonoanche dal fatto che    a   
   a a a /a a      .

In definitiva, i contributi delle singole sorgenti elementari raggiungono il ricevitore a istanti che
risultano traslati nel tempo. La somma di tutti i singoli contributi emessi dalle sorgenti elementari
rappresenta, inconclusione, il sismogramma associato alla faglia estesa.

c a    

 a a      a a a       a    a     
      a —  a     ?    —       a a . In altri
terminiaa a    a  
G|      a (che quindi è ipotizzato noto )
G|     aa.
In un approccio di tipo ³cinematico´ si prendono in considerazione soltanto le caratteristichedel
moto alla sorgente a prescindere dalle cause fisiche che determinano la dislocazione (campo
disforzi).
Ipotizzato quindi un modello di frattura e calcolati i sismogrammi sintetici è possibile, adesempio,
confrontarli con quelli reali registrati in occasione di un terremoto (utilizzando, ad esempio,una
funzione di ) allo scopo di determinare i valori dei parametri che definiscono il modellodi
sorgente.


D6E1¦
...  
 


In generale,   a       a (Figura 8.20):

G|      ; in generale si considera una superficie rettangolare di dimensioni


L e W che rappresenta il piano sul quale si sviluppa il processo di frattura; oltre alle sue
 a  , è necessario conoscere anche %    a  di tale piano;

G|         ; consente di determinare il tempo di rottura (tR) dei singoli punti
della faglia che corrisponde al tempo al quale essi cominciano a dislocare; tipicamente la
frattura inizia da una regione molto piccola della faglia (zona di enucleazione) e da qui
evolve seguendo 
  

che a      essendo eterogenea la


distribuzione i velocità di rottura sulla faglia;   a            
      a          centrate sul punto di
enucleazione (ipocentro);

G|   a '! la forma di tale funzione viene assunta nota e a 
      a       a       nel momento in cui sono
investiti dal fronte di rottura;

G|     a     á Q ; esso indica la durata del processo di dislocazione del
singolo punto ossia a    aa     a    aa  
         a     a partire dall¶istante in cui il punto in esame
viene investito dal fronte di rottura;
G|   a    :a         aa       
Q a    a      quando il processo di dislocazione
è terminato; al punto di vista pratico, la superficie di frattura corrisponde a quella zona della
superficie di faglia per la quale la dislocazione finale è diversa da zero;

La durata dei sismogrammi osservati alla superficie terrestre è legata:

G| all¶estensione della rotturasismica e quindi principalmente alla dimensione della faglia,


G| all¶eterogeneità del mezzotra la sorgente e il ricevitore e quindi al tempo di propagazione.
G| geometria ed estensione finale del fronte di rottura,
G| dalla velocità di rottura
G| dalla posizione relativa del ricevitore rispetto alla sorgente.

       +aD 



Il modello cinematico di sorgente noto come     +aD (1964)è costituito da una
superficiedi frattura rettangolare di lunghezza L e larghezza W per la quale L >> W (sorgente
linea).

Larottura inizia ad un¶estremità della lunghezza e si propaga con velocità costante #'secondo
frontid¶onda:
G| rettilinei
G| ortogonali alla lunghezza L (Figura 8.21).


D61  (
 :A

La funzione sorgente è una rampa linearedel tipo


G| tRl¶istante di tempo al quale il punto in questione comincia a dislocare (tempo di rottura),
G| D0 il valore di dislocazione finale,


 
G| IJ il tempo di salita, 


 

Nel modello di Haskell


G| la velocità di rottura,
G| il tempo di salita
G| la dislocazione finale
sono considerati costanti per tutti i punti della faglia. Evidentemente tale modello non è realistico dal punto
di vista fisico poichè per una superficie reale di frattura ci si aspetta che la rugosità e gli attriti, essendo
variabili da punto a punto, rendano eterogenei sulla faglia la velocità di rottura e il tempo di salita.
Inoltre l¶ipotesi di dislocazione uniforme richiede la presenza di sforzi infiniti, o quanto meno molto elevati,
in corrispondenza dei bordi della faglia.
Nonostante ciò   +aD !a       %     a  
  — dal momento che le singolarità dello sforzo risultano confinate in una regione di piccole
dimensioni (in prossimità dei bordi della faglia) indistinguibile alle basse frequenze

  a        a  a                — a  


  2 2    a   a        d. In tale ipotesi si
può dimostrare che, in un mezzo omogeneo, isotropo e illimitato, lo spettro di spostamento per la
fasesismica che si propaga con velocità c ad un ricevitore posto nella posizione  è dato da:

dove
G| ȝ è il modulo di rigidità
G| ȡ èla densit`a del mezzo di propagazione,
G| xC è il diagramma di radiazione
G| il diagramma di radiazione
G|

essendo $ l¶angolo tra la direzionedi propagazione della rottura e il vettore (Figura 8.21).

Lo spostamentoin funzione del tempo viene determinatocalcolando la trasformata inversa di Fourier


della (8.67).
a           E >B         
/ —     a   ! a     aa / mentre,a partire da
una frequenza Ȧc, detta9  . + , il suo inviluppo è una linea retta di pendenza í2 (ossia
proporzionale a Ȧí2; figura 8.22).
Fig. 8.22 ± Spettro di ampiezza delle onde sismiche per il modello di Haskell

Questa forma particolare dello spettro è il risultato combinato degli effetti delladimensione finita
della sorgente e deltempo di salita.

Se consideriamo il casoparticolare per il quale


G| L = ʌ/2
G| e supponiamo che Ȧcsia tale che si abbia X = ʌ/2,
dalla (8.68)si ricava
z0F <
ossia, la frequenza d¶angolo risulta inversamente proporzionale alla duratadella rottura L/vR.


$aa aa   aa  aa     a  +aD .
Come detto in precedenza, la faglia comincia a rompersi ad un estremo della lunghezza e la rottura
si propaga lungo essa con velocità costante vR. Immaginiamo la faglia come una serie di
piccolisegmenti di lunghezza ǻx che possono essere considerati alla stregua di sorgenti elementari
puntiformi.
Per il principio di sovrapposizione lo spostamento complessivo al ricevitore è dato dallasomma
degli spostamenti associati alle singole sorgenti elementari:

essendo I 0R < il 


 di attivazione delle sorgenti elementari successive. Tenendo presente
che nella rappresentazione del campo di spostamento è coinvolto sempre il tempo di propagazione
(ri/ c) che per semplicità trascuriamo di riportare ed esprimendo in accordo alla (8.4) si ricava:

G| Se il ricevitore è sufficientemente lontano dalla faglia, x { ed  possono essere considerati


in primaapprossimazione costanti, pertanto
G| Utilizzando la proprietà della funzione delta di Dirac per la quale

G| al limite per ǻx ĺ 0, la (8.71) si scriverà

G| Dove, l¶integrale vale:

dove *
!& indica la funzione 2di durata TL = L/vR.

In definitiva a  

D¶altra parte, aa   a    +aD  — a
   a   a   †  Q .

 a a  

ossia lo spostamento    per una sorgente di Haskell è proporzionale alla convoluzione di
duefunzioni 2,
G| la prima delle quali è la derivata temporale della funzione sorgente
G| la seconda è legata all¶estensione finita della faglia.

Come mostrato nell¶ inserto 8.2 ,   a             †(e quindi la
forma dello spostamento associato ad una sorgente di Haskell) !       
      a               a    aa    
    † ? (Figura 8.23).









 D 6 1 

..
    
D61 # .    . 2 
       
 
. 
 

   :A


{   aa     a   a a        che, per
semplicità, supporremo appartenere al piano verticale che contiene la faglia (Figura 8.24).
Indicandocon

&l¶istante di arrivo della fase di enucleazione della rottura al ricevitore

' quello dellafase di arresto,
la durata cercata sarà semplicemente data da I
 0
'S
&. Riferendosi alla figura8.24, detta  la
velocità di propagazione delle onde sismiche, si avrà:




{a  a a 

1.| cT01, ossia se la rottura procede verso il ricevitore, si ricava:

ossia   a aa a     aa  . In


questo caso adesso corrisponde un elevato contenuto in alta frequenza.
2.| aT0F, ossia se la rottura siallontana dal ricevitore, si trova:


e quindi, in tal caso,      a a   aa    aa   il che
corrispondea un basso contenuto in alta frequenza del segnale emesso.

L¶effetto di variazione della durata delsegnale in funzione di ș è detto      ed è
un fenomeno del tutto analogo all¶effettoDoppler acustico.

Dal momento che ai segnali di alta frequenza competono le ampiezze maggiori, ci si aspetta che
sismogrammi registrati in condizioni di direttività (ș § 0) siano caratterizzati da ampiezze più
elevate rispetto a sismogrammi acquisiti in condizioni di anti-direttività (ș §ʌ).

A partire dalla misura della durata dell¶impulso di spostamento P o S in condizioni    è
possibile ricavare una stima delle dimensioni lineari della zona fratturata una volta che si è assunto
un valore per vR. Da studi teorici ed esperimenti di laboratorio,      
 !          c   
  a 




      *
Un altro modello di sorgente estesa, che assume per la sismologia un¶importanza
prevalentementestorica, è quello proposto da Brune (1970). Tale modello consiste in un¶area di
frattura di formacircolare, di raggio finito R, sulla quale viene applicata istantaneamente una
variazione impulsivadel campo di sforzo di taglio. Sebbene il modello di Brune non ricada nella
categoria dei modelli disorgente cinematici, le forma d¶onda associata ad esso sia nel dominio del
tempo che, soprattutto,nel dominio delle frequenze, sono largamente utilizzate per interpretare le
osservazioni. Nel modellodi Brune non è prevista la propagazione in un tempo finito della rottura
poichè l¶impulso di sforzoviene applicato istantaneamente sull¶intera superficie di faglia.
L¶applicazione dello sforzo di taglio genera un¶onda di taglio (S) che si propaga
perpendicolarmenteal piano di faglia. Indichiamo con ǻı lo 
di taglio effettivo, definito come
la differenzatra lo sforzo tettonico ı0agente sul piano di faglia e lo sforzo corrispondente all¶attrito
ıf:
ǻıef f= ı0í ıf= İı0 (8.81)

e sia F lo spostamento ad esso associato sul piano di faglia, che individuiamo con il piano x = 0,
essendo x la distanza ortogonale alla faglia. L¶impulso di 
ha una dipendenza dal tempo del
tipo funzione gradino di Heaviside e ad una una distanza x è dato da

essendo ȕ la velocità di propagazione delle onde S. Lo spostamento di taglio F per x = 0 si ricava


integrando la (8.82) dal momento che nel caso in esame risulta ottenendo:
Per una caduta totale di sforzo, vale a dire considerando trascurabile l¶attrito e scegliendo quindi
İ = 1 nella (8.81), lo spostamento per le onde S in condizioni  per un punto posto a distanza
 dalla faglia è dato da (Figura 8.27):

dove



D 6@1
Sismogramma (in alto)
e spettro di ampiezza (in basso)
per una sorgente di Brune.

La sorgente considerataha raggio


R = 1km, il ricevitore è posto ad una
distanza r = 10km da essa e le onde di
taglio si propagano con velocità
ȕ Ž 2.7km/s.

Il modulo dello spettro di Fourier associato alla (8.84) è dato da (Figura 8.27)

Lo spettro corrispondente all¶equazione (8.86) è costante per frequenze che tendono a zero
edecresce come Ȧí2ad alta frequenza, a partire dalla frequenza d¶angolo Ȧc= b.

Se la caduta disforzo non ètotale, per piccoli valori di İ (İ § 0.01) il decadimento ad alta frequenza
dello spettrorisulta proporzionale a Ȧí1.

In    ! aa                   a  


/ %  a     c; dalla (8.85) si ricava:

Il modello di sorgente di Brune viene comunemente utilizzato per determinare le dimensioni della
faglia a partire, come detto, dallo spettro di ampiezza delle onde S per terremoti di taglia piccola o
al più moderata (M < 6) per i quali l¶ipotesi di frattura circolare è una buona approssimazione.

 
  

 ##   #

  
   
) 
EA)O  á         á   á
 ! )   


 +
  


  
     
     
   á   á    á     #       . 



)<..    


MEA) ..   
 
    .. N *ON $ 
 )    :A


 +. 

  —  a   



La propagazione unilaterale della rottura nel modello di sorgente di Haskell sembra essere
un¶eccessivasemplificazione del processo di frattura quando si pensa alla sua fase di enucleazione.

$      ?  a  ! aa             
(piuttosto chesimultaneamente su tutti i punti di un segmento)   /  a       
(piuttosto che in unasola direzione)             a  
  a  —   —a      

      c consiste in una faglia di forma ellitticasulla quale la rottura si enuclea a
partire da uno dei due fuochi e si arresta quando raggiunge il bordodell¶ellisse.

Il modello può essere semplificato considerando una faglia circolare di raggio R per laquale la
rottura inizia dal centro e si propaga radialmente con velocità di rottura vRcostante secondofronti di
rottura circolari arrestandosi sul bordo della circonferenza.

Il valore della dislocazionefinaleF E è lo stesso per tutti i punti della faglia.


D  66 1  

  . +   


  
       22  
#
G



Consideriamo un sistema di coordinate polari(ȡ, c) sul piano di faglia con ȡ misurato a partire dal
centro (Figura 8.28). %       a  è descritta da una funzione del
tipo:

essendo H la funzione gradino di Heaviside.

     G01 la dislocazione,  % a   01aa a    


   a   I1

$      a   G     1 H G H  la  a   !   


 % a   0G< quando diventa ǻu0.

$G0     la rottura si arresta e per ȡ • R  a  ! 


       

Si può dimostrare che per un punto di osservazione posto lungo la direzione normale alla faglia
passante per il suo centro ed a distanza r0 da esso (con r0>> R) la forma d¶onda per la fase che si
ossia  aa   !     % a        /      a

     % a   /    .

Avendo supposto r 0Ù R, iltempo corrisponde all¶arrivo al ricevitore del segnale

proveniente dal bordo della faglia(ȡ = R), segnale che è noto come 2       .

Dal momento che lo spostamento siannulla in modo discontinuo, in corrispondenza della fase di
arresto la velocità e l¶accelerazione diventanoinfinite e quindi la fase di arresto risulta produrre un
segnale dominante in ampiezza rispettoalla fase di enucleazione.


    di Savage è stato successivamente migliorato da c   + aU (1973)i qualihanno
sviluppato un modello di rottura a fronti circolari. Nel modello di Sato e Hirasawa si assume che la
funzione sorgente sia data da:

dove

essendo ǻı lo sforzo di taglio, supposto costante, applicato.

Lo aa           1per il modello di Sato e Hirasawa
! 

dove
con ș definito nella figura 8.28, e

In accordo con l¶equazione (8.92),  a       aa    a  aa


$   S1<'piuttosto che a (t í r0/c) come nel modello di Savage.

In figura 8.29 sono riportatele forme d¶onda calcolate in accordo all¶equazione (8.92) per le onde P
ed S al variare dell¶angoloș. Come si può notare  aa   %     aa  
       a  T 0 1  %        a          a 
T0F<'aa           .

Anche in questo caso è quindi possibile parlaredi direttività della sorgente sismica!


D671 +  . D0  +967

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