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Home > Economia >Pandemic bond, cosa sono: come funzionano e chi ci guadagna
ECONOMIA A- A+
Venerdì, 6 marzo 2020 - 19:00:00
I bond emessi dalla Banca Mondiale sono due. Il primo, da 225 milioni di dollari (Isin XS1641101172), è
legato solo alle pandemie di in uenza o coronavirus, e per far scattare il taglio al rimborso serve, tra le
altre cose, che ci siano almeno 2.500 vittime in un Paese (più almeno 20 in un altro). Il
secondo bond (Isin XS1641101503), per 95 milioni di euro, è legato a una gamma più ampia di
casistiche (Ebola, ecc.) e il taglio ai rimborsi (almeno in parte) scatta già quando le vittime sono 250. Il
primo bond, meno “rischioso” per chi ci investe, paga un tasso pari all’US Libor + 6,5%. Il secondo paga
interessi pari all’US Libor + 11,1%. Ai tassi attuali del Libor, signi ca rispettivamente il 7,5% e il 12,1%.
La World Bank prenderà, infatti, i soldi avuti in prestito dai bondisti e li metterà direttamente nel fondo
destinato a nanziare la lotta alle pandemie (PEF), evitando così di dover ricorrere a lunghi e complicati
negoziati con i Paesi “ricchi”.
Il PEF (Pandemic Emergency Financing Facility) è il fondo della Banca Mondiale che fornisce aiuti ai Paesi
colpiti da pandemie. Il fondo ha due modi per raccogliere soldi: uno “assicurativo”, quello legato ai bond
di cui ti stiamo parlando, e l’altro “per cassa”, alimentato dai contributi di Paesi ricchi o di organismi
come l’OMS.
In altre parole, doveva essere una specie di “assicurazione” stipulata dalla World Bank. Ogni anno la
Banca Mondiale paga il costo della polizza (gli interessi sui bond); in cambio, se scoppia un’emergenza, a
pagarne il costo non sarà più lei, ma il “ricco” settore nanziario che ha in mano i titoli.
Peccato che, come spesso accade, il diavolo stia nei dettagli. Nel caso di questi bond, i dettagli sono le
clausole che fanno scattare il “diritto” della Banca Mondiale a non restituire il capitale ai detentori delle
obbligazioni. Il primo passo, certo, è l’attestazione della pandemia: per questo, come ti abbiamo detto,
non è una mera questione di parole. Ma non basta: se, e quanto, il capitale sarà tagliato, dipende poi da
una lunga serie di fattori tra cui, per esempio, il tipo di virus (per il coronavirus ci sono percentuali di
rimborso diverse dai casi di lovirus come l’Ebola, o dai casi di febbre di Lassa, e così via). E ancora: il
tasso di crescita dei contagi, il numero di Paesi coinvolti, la distribuzione delle vittime nei diversi Paesi...
insomma clausole a dir poco bizantine, tanto che ci vuole un apposito ente a certi carle (Air Worldwide
Corporation). Morale, no ad oggi banche e gestori hanno tranquillamente incassato i loro cedoloni
senza rinunciare a nemmeno un cent del capitale.
Un esempio su tutti: nel 2018 una nuova emergenza Ebola ha causato più di 2.000 vittime nella
Repubblica Democratica del Congo, ma siccome non ci sono state almeno 20 vittime in un secondo
Paese… i pandemic bond non hanno scucito un quattrino. Certo al Paese africano sono comunque
arrivati degli aiuti dal PEF, ma fa impressione pensare che quanto ha ricevuto è meno degli interessi
incassati dalle banche sui bond.
Non fa piacere alle banche, ovvio, perché rischiano di perdere decine, o centinaia, di milioni di
dollari. Ma non fa piacere neanche alla Banca Mondiale, che vede fallire il primo tentativo di “assicurarsi”
contro le pandemie: se il primo bond di questo tipo nisce con un op, dif cilmente troverà, in futuro,
banche disposte ad acquistarne altri…
Morale: anche se suona cinico dirlo, questo potrebbe essere uno dei motivi per cui, nonostante tutto, il
“caso” coronavirus non è ancora diventato, uf cialmente, una pandemia. Ma la strada da qui a luglio,
quando i due bond arriverebbero placidamente a scadenza, è lunga, ed è dif cile pensare che si possa
ignorare la gravità dei fatti no ad allora.
Nel 2018, in piena emergenza Ebola, al Congo non è arrivato neanche un centesimo dalla parte
“assicurativa” del PEF (quella legata ai bond). Sono arrivati, sì, 50 milioni di dollari, ma dalla parte “per
cassa”. E intanto ad oggi, secondo i nostri calcoli, le banche hanno incassato oltre 60 milioni di dollari di
interessi sui bond.
Il 23 marzo scattano gli 84 giorni (cioè 12 settimane) dalla scoperta dei primi casi, che è un’altra delle
tante, incomprensibili condizioni per il taglio del rimborso del bond (perché aspettare così tanto, se lo
scopo è prevenire la diffusione delle pandemie e non combatterle quando ormai sono così diffuse da
rendere dif cile correre ai ripari?).
Ci auguriamo, poi, che le banche che hanno in mano questi bond, sentendo puzza di bruciato, non li
inseriscano nei fondi comuni o nelle gestioni patrimoniali dei comuni risparmiatori. Lo hanno già fatto in
passato con i bond argentini, Parmalat, Cirio… Consob stai allerta!
Le condizioni che fanno scattare il taglio al rimborso del bond sono talmente complicate da calcolare
che serve un’apposita società per certi carle: è la bostoniana Air Worldwide Corporation, specializzata in
modelli quantitativi ed econometrici. Società, tra l’altro, privata, e anche questo non ha mancato di
suscitare polemiche.
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Uf cialmente i due pandemic bond sono quotati sulla Borsa del Lussemburgo,
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di fatto non sono
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negoziati, se non tra operatori specializzati. Chi li ha in mano? Non ci sono notizie certe, ma secondo
alcune voci tra i detentori ci sono Baillie Gifford, Stone Ridge Asset Management, Amundi, Invesco…
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