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Chi in Italia insegna Tecnologia nella scuola media - come il sottoscritto - conosce le alterne
fortune di questa materia, non sempre valorizzata adeguatamente dai decisori ministeriali e più
di una volta anche a rischio di definitiva estinzione. Ho come l'impressione che, in aggiunta a
questa condizione ambientale non certo favorevole, sia purtroppo diffusa tra gli stessi
insegnanti una certa incertezza e indecisione se vi siano e su quali siano le ragioni forti a
sostegno della conservazione - o addirittura del potenziamento - del suo insegnamento nella
scuola di base (sia primaria che secondaria di primo grado).
Chi è convinto - come lo sono io - che si tratti al contrario di una materia fondamentale per la
formazione integrale della persona non può che sentirsi in dovere di fare luce su questa
importante questione e cercare di colmare tale grave lacuna.
Mi propongo invece con questo breve contributo - senza voler del tutto negare la validità delle
impostazioni sopra accennate - di suggerire alcuni argomenti che ritengo fondamentali e
necessari per avvalorare definitivamente una significativa presenza della Tecnologia tra le
materie che costituiscono il curricolo della scuola di base.
Va dunque affermato con decisione quanto segue: la dimensione tecnica dell'agire umano
rappresenta un tratto talmente profondo ed essenziale dell'animale uomo da qualificarne
addirittura la sua stessa apparizione sulla terra. In altre parole - come sostenuto e
efficacemente argomentato, ad esempio, dall’antropologo tedesco Arnold Gehlen - nell'ampio
orizzonte delle facoltà mentali e delle conformazioni culturali riferibili all'uomo, un posto centrale
è occupato dall'azione, intesa come fare costruttivo di un essere aperto al mondo e
incapace, costituzionalmente, di vivere con mezzi puramente organici e naturali.
Questa concezione - che riconosce nell'agire tecnico qualcosa di distintivo della stessa
costituzione umana - rappresenta quindi un superamento di quelle visioni che colgono nella
tecnica prevalentemente o esclusivamente la dimensione funzionale e utilitaristica, che pure è
presente.
Si tratta in primis di riconoscere chiaramente il ruolo svolto dai bisogni come spinta per
l’azione dell’uomo. Bisogni che solo agli albori della civiltà sono legati alla sopravvivenza e alla
sussistenza, e che - con il progredire della specie umana - assumono sempre più spesso la
connotazione di desideri. E’ infatti la cultura caratteristica di una data società in una data epoca
a definire l’idea - largamente diffusa e comunemente accettata - di benessere o di bene
comune; ed è verso il suo raggiungimento o il suo potenziamento che si orientano di volta in
volta i desideri dei singoli o dei gruppi sociali spingendo quindi l’uomo ad una incessante azione
creatrice e trasformatrice.