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Due volte me

S ono sicuro che ci metteremo d'accordo. D'altronde, punti di


contatto ce ne dovrebbero essere a iosa, dal momento che
condividiamo la stessa struttura genetica. Oddìo, si sa di gemelli
monozigoti che non si possono vedere. Ma noi siamo molto, molto di
più. E alla fine, è grazie a lui se ho ottenuto qualcosa a cui tenevo dalla
notte dei tempi: perdere i miei numerosissimi chili in eccesso.

Devo essere sincero: quando decisi di farmi seguire dal dottor


Trippenmeier non ero così convinto che avrebbe funzionato. Ne avevo
provate di ogni, dalla dissociata alla dieta punti, alle sei ore di palestra
al giorno. Certo, qualche chilo ero anche riuscito a perderlo. La
fregatura era che dopo un po' lo riprendevo con gli interessi.

Tuttavia, ero fortemente motivato. Non foss'altro che per non


sentire più battutine sui mesi che mancavano al parto.

Il dottor Trippenmeier, poi, esibiva una sicurezza davvero


notevole. C'era stato un veloce dialogo tra due vocine nel mio
cervello. Una mi suggeriva che c'era un certo scintillio non molto
rassicurante negli occhi di quell'uomo. Per l'altra invece, quella che
alla fine vinse, la comunicazione di quell'uomo era del tutto coerente,
per cui non c'era motivo di diffidare.
Per cominciare, Trippenmeier mi sottopose a quello che definì
"colloquio introduttivo". Somigliava in tutto e per tutto a una seduta di
psicanalisi. Volle sapere un po' di fatti miei: i rapporti con i genitori, la
mia (scarsa) vita sessuale, questo genere di cose. A un certo punto
sbattè le mani sulla scrivania. Sobbalzai sulla sedia, e questo mi
consentì di rendermi conto che mentre parlavamo ero caduto in una
sorta di torpore.

"Molto bene, - disse - penso che lei sia pronto per vedere come
funziona la procedura".

Mi invitò a seguirlo. Ci avviammo lungo un corridoio lungo e


piuttosto oscuro. Al termine c'era una porticina. A una prima occhiata
si poteva pensare che fosse quella di un ripostiglio. Rimasi stupito
quando invece ci trovammo in uno stanzone enorme, qualcosa che
poteva essere tranquillamente trecento metri quadri. Strano, pensai, da
fuori non sembrava così grande. Anche l'ambiente era strano. Non
faceva freddo, eppure l'aria era pungente quando la inspiravi. Avevo
anche l'impressione di sentirmi notevolmente più leggero.

Quanto alla "macchina" in sè, era costituita di una serie di


computer collegati tra loro, e connessi a quella che aveva tutta
l'apparenza di una cabina del telefono. "Eccola qui, - disse
Trippenmeier - un capolavoro di efficienza e semplicità. E' costata
anni e anni di studi, ma del resto sono proprio le cose semplici quelle
che richiedono più lavoro."

"Posso chiederle come funziona?"

Trippenmeier si accese in volto e battè le mani. "Ma certamente


carissimo, ne sarò entusiasta. Pensi che nessuno me lo chiede mai.
Tutti concentrati sul risultato e basta. Non un cane che si interessi alla
teoria, al ragionamento che c'è dietro. Ebbene, caro amico... Ha mai
sentito parlare di universi paralleli?"

Scrollai le spalle . "Non mi interesso granchè di fantascienza."

"Male, malissimo! La fantascienza stimola la mente, ci apre


mondi nuovi, scenari inesplorati. Spesso anticipa come sarà il mondo
di domani. Per esempio, lo sa che certi modelli di telefonini sono stati
ispirati dai comunicatori di quelli di Star Trek? Per non parlare poi di
Giulio Verne. Il Nautilus, precursore dell'energia atomica. "Dalla terra
alla luna"... Inutile negarlo: la scienza fa le scoperte, ma sono scrittori
e filosofi a darle l'impulso, indicando nuove frontiere. Adoro queste
menti che sognano cose straordinarie senza preoccuparsi se siano
possibili o meno..."

Mano a mano che Trippenmeier parlava, la sua espressione si


faceva sempre più preoccupante. Nonostante questo, devo ammettere
che trovavo il suo ragionamento molto stimolante. Mi costò parecchio
doverlo interrompere, riportarlo a considerazioni più terra terra.

"Con tutto ciò... mi scusi, ma che c'entrano i mondi paralleli con


il fatto che voglio dimagrire?"

Ci stavo arrivando, mio caro amico. Ebbene sappia che questa


mia geniale invenzione è capace di manipolare le premesse della
nostra realtà. Voglio dire, lei attualmente ha questo problema di peso
in eccesso perchè, poniamo, ha subito un trauma. Oppure suo nonno
ha calpestato una farfalla, o semplicemente si è verificato un errore
durante la scissione del suo Dna all'atto del concepimento. Noi non
possiamo calcolare la catena delle cause e degli effetti. O meglio, ci
potremmo provare, ma saremmo lentissimi. E' probabile che la nostra
vita non basterebbe. E invece... - e qui si mise ad accarezzare il
monitor di un computer, manco fosse stato la sua morosa - invece
queste macchine possono farlo. Sono migliaia di volte più veloci di
quelle in commercio. Un chip a base di proteine e circuiti di tipo
neurale che ho progettato personalmente. In pratica: lei entra, e la
macchina comincia ad esplorare tutti gli universi paralleli finchè non
trova quello che io chiamo il bivio, vale a dire il punto preciso dove si
è verificata l'alternativa tra il fatto che lei ha questi problemi di
sovrappeso e la possibilità che invece non li avesse. Da qui, ricalcola
le premesse necessarie ad arrivare fino ad oggi, modificando la sua
realtà."

Spesi una ventina di secondi a lottare con un feroce mal di testa


che mi aveva attanagliato. "Insomma, vediamo se ho capito bene. Lei
intende in qualche modo cambiare il mio passato?"

Trippenmeier mi guardò alzando un sopracciglio. "Ehm...


definizione rozza, ma efficace."

"Ma allora quando esco da lì in qualche modo non sarò più io. Se
mi cambia il passato..."

Trippenmeier allargò le braccia. "Questo è naturale. Mi sembrava


che non ci fosse neanche bisogno di dirlo. D'altra parte, signor mio, lei
è cresciutello, e dovrebbe saperlo che non si può avere la botte piena e
la moglie ubriaca. Tutto dipende dalla sua scala di valori. La domanda
è: quanto è importante per lei dimagrire? Se non sbaglio, prima mi
diceva che che le ha tentate tutte, ottenendo meno di zero. E che d'altra
parte non ne può davvero più di quella pancia. O sbaglio?"

Non si sbagliava per nulla. Così, entrai in quel cubicolo. Dalla


finestrella, che chissà perchè aveva coloritura violetta, osservai con
curiosità Trippenmeier che armeggiava con i computer. Dopo qualche
istante ebbi l'impressione che sia lui sia il cubicolo svanissero, e di
galleggiare a mezz'aria in un mare di luci colorate. Poi quelle luci
presero forma, e si raggrupparono in chiazze. All'interno di ciascuna
chiazza vedevo immagini in movimento, tipo film o videoripresa.
C'era come una telecamera che seguiva una persona in ogni chiazza, e
quella persona ero sempre io. Si potevano apprezzare delle variazioni
più o meno grandi: ero uomo o donna, alto o basso, paralitico o
deambulante. Ma nonostante questo sentivo che condividevo con
quelle persone lo stesso nucleo essenziale, che io ero loro, e loro erano
me. Evidentemente, la macchina stava scandagliando tutti gli universi
esistenti e possibili, alla ricerca di quellio che faceva al caso mio.

Era davvero stupefacente. Pensai che forse ero una delle poche
persone a cui fosse capitato di soddisfare una curiosità così bizzarra.
Sapere come sarei stato se, putacasso, avessi deciso di farmi prete, o se
fossi nato donna anzichè uomo, su un pianeta orbitante attorno a
Proxima Centauri anzichè sulla Terra...

Non lo nego: mi sarebbe piaciuto rimanere lì in eterno, conoscere


sempre di più sulle mie potenzialità inespresse, vivere mille vite al
prezzo di una. Tuttavia, sapevo che quel viaggio doveva terminare. E
terminò infatti, ma forse non come nè io nè Trippenmeier ci
aspettavamo. A un certo punto, infatti, ci fu un boato terrificante, tipo
il finale di una batteria di fuochi artificiali. Mi sembrò poi di trovarmi
a scivolare di testa dentro un tubo dalle pareti multicolori, a grande
velocità. Non so quanto potè durare, anche perchè chiusi gli occhi e mi
scorse davanti tutta la mia vita. Ci siamo, mi dissi, questa è la volta
buona.

Invece, dopo un tempo indefinibile, mi resi conto che avevo


smesso di scivolare. Mi trovavo in un ambiente molto più stretto
rispetto a quello da cui ero partito. Mi ci volle un po' per trovare il
coraggio di sollevare le palpebre e cominciare a rendermi conto. Non
c'era dubbio: mi trovavo di nuovo nella cabina della macchina. Solo,
per un momento mi sembrò che nel frattempo Trippenmeier ci avesse
piazzato uno specchio. Di fronte a me c'era la mia stessa faccia. No,
addirittura una persona intera, con la mia statura, le mie mani, la mia
cicatrice sulla guancia sinistra. Perfino la mia stessa faccia sbalordita.

Trippenmeier non sapeva spiegare cosa fosse successo. Quindi,


era ovvio che non aveva idea neanche di come rimettere le cose a
posto. Di certo, la nostra presenza non lo avrebbe aiutato a cavare un
ragno dal buco. Così, dopo aver spiegato sommariamente al mio
nuovo amico quello che era successo, gli proposi di andare al bar di
sotto a prenderci una birra. Lasciammo Trippenmeier armeggiare con
quattro tastiere alla volta, le mani nei capelli, gli occhi pallati.

Ho la massima fiducia in lui, sicuramente ne verrà a capo. Nel


frattempo, noi due ci organizzeremo. Dopotutto, siamo molto simili.
Probabilmente identici.

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