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Cpaitolo 10:Diritti reali e il possesso

Il regime fondiario
Nei primi secoli di Roma, una rilevante quantità delle terre
apparteneva alla gentes, organizzazione molto diversa da quelle
delle familiae:
familiae: vi era il paterfamilias titolare unico di diritti soggettivi e
quindi della proprietà dei beni familiari.
Gentes: non avevano un capo.
Nelle XII tavole si dice che qualora un paterfamilias moriva senza
lasciare eredi e né adgnati, del patrimonio potevano
impadronirsene i gentiles, quindi la proprietà fosse di tipo collettivo
ovvero esercitata da un qualsiasi membro della gens volesse
esercitarla, nei limiti necessari a soddisfare le sue esigenze. Quindi
possiamo affermare che mentre la gentes continuò a esercitare il
diritto di proprietà collettiva su alcuni beni, mentre il paterfamilas
che coltivavano singoli appezzamenti divennero titolari di un diritto
di proprietà individuale. Secondo la tradizione la dat di nascita della
proprietà individuale coinciderebbe con quello delle civica: al
momento della fondazione di Roma, Romolo assegnò a ciascun
paterfamilias una certa quantità di terreno. Con il passare del tempo
e l’aumento del potere delle familae, essa si accrebbe a scapito
della residua proprietà collettiva fino a determinarne la definitiva
scomparsa. Anche quando la terra collettiva della gentes cessò di
esistere la proprietà privata non divenne l’unico tipo di regime delle
terre. A meno che non fosse divisa e assegmata la terra
conquistata dai nemici apparteneva in un primo periodo al rex, ma
in età repubblicana si afferma l’ager publicus: denominazione usata
dai romani per indicare quel territorio considerato della comunità
ma concesso ai privati in godimento temporaneo o perpetuo. Esso
è costituto da enormi appezzamenti di terreno divenuti di proprietà
del popolo romano attraverso l’occupazione bellica. Si ebbero varie
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forme di assegnazione di porzioni di terra pubblica in proprietà
privata:
ager occupatorius: la terra non utilizzata veniva data in godimento
ai privati o senza corrispettivo o dietro pagamento di un canone
periodico. L’occupazione era sempre autorizzata dal Senato.
Ager quaestorius: si tratta di concessioni fatte dai questori ai
privati, dapprima per cinque anni (che il periodo di durata in carica
del questore ) dietro il pagamento di un vectigal, cioè un canone . in
seguito queste concessioni divennero perpetue,ovvero senza limiti
di tempo.
Ager privatus vectigalisque: è territorio del popolo romano
venduto all’asta dal questore o dal pretore in appezzamenti
assegnati in godimento a privati per sfruttare la terra dietro il
pagamento di un un canone periodico. L’acquirente può trasferirre il
proprio diritto sia ai propri eredi con atto mortis causa si per atto tra
vivi. Tale concessioni divvenero perpetue cioè senza limiti di tempo.
È questo diede luogo a un dibattito: ovvero alcuni ritenevano che
fosse una locazione ponendo l’accento sulla necessità per il
concessionario di pagare il vectigal; altri ritenevano che si trattasse
di compravendita in considerazione del fatto che la concessione
fosse perpetua e trasferibile. Gaio termina dicendo che sembra
preferibile parlare di locazione perché il vectigal è l’elemento
determinante ma finché l’occupante paga il vectigal, non gli può
essere tolta la dtenzione e il godimento dell’immbile. Ma i problemi
posti dalla concessioni di terre pubbliche non furono solo giuridici. Il
continuo succedersi di guerre determinò la scomparsa del ceto dei
piccoli proprietari. Nelle guerre venivano arruolati circa il 15% degli
uomini della popolazione che lasciavano le proprie terre. Quando
ritornavano non avevano più mezzi per coltivare le proprie terre in
modo da rendere i propri prodotti competitivi con quelli che
affluivano dai territori d’oltre mare e quindi erano costretti a cedere
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le proprie terre ai grandi proprietari facendosi assumere come
lavoratori salariati. Quindi pian piano i grandi proprietari si
ritrovarono con appezzamenti di terreno che appartenevano al’uso
comune fino a diventare delle usurpazioni di terra pubblica. I grandi
proprietari né facevano anche usi diversi per creare la loro grande
azienda agricola per questo Tiberio nel 133 a. C stabilì che ogni
capofamiglia non poteva avere più di 125 ettari di appezzamento di
terreno , ma le poche famiglie che avevano queste enorme
estensioni di terre non intendeva rinunziare e per questo seguirono
gravi tumulti, il cui stesso Tiberio insieme a suo fratello Caio
persero la vita. Tuttavia ci furono delle leggi agrarie tra cui
ricordiamo quella epigrafica(111 a.C) perché il suo testo è
conservato in un’iscrizione. Alla fine vennero sottratti ampi terriotri
pubblici a chi li aveva usurpati.

La proprietà provinciale
Le terre situate in territorio provinciale venivano date in affitto dietro
il pagemento di un canone detto vectigal , tutte queste concessioni
anche se non davano luogo all’acquisto della proprietà grazie a una
serie di interventi del pretore vennero comunque tutelate come se
fosserò delle proprietà. Le terre delle province era di proprietà del
popolo romano e del principe. Ciò che differenziava questo rapporto
dal diritto di proprietà privata era il fatto che il concessionario
pagava un canone detto stipendium o tributum che indicava il
riconoscimento di un dominio eminente del popolous romanus e per
questo incompatibile con il dominium ex iure quiritium ovvero
proprietà privata(ps: possono averla solo i cittadini romani) con una
costituzione di Diocleziano viene imposto ai fondi italici un’imposta
e quindi scomparve la distinzione tra fondi italici e provinciali, l’unica
differenza era la durata del tempo necessaria ad acquistarli con il
godimento di fatto. L’usucapione dei fondi italici avveniva nel
termine di due anni mentre per i fondi provinciali poiché non vi
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erano usucapione; chi vantava la possessio dopo un lungo periodo
di inattività il possessore poteva opporre una Praescriptio longi
temporis grazie al quale divine il nuovo proprietario se il proprietario
non coltiva il fondo per il tempo di 10 anni se si trova nella stessa
città, 20 anni se si trovava in un’altra città.
La proprietà privata
Nel periodo antico non esisteva una parola specifica per esprimere
il concetto di proprietà, esso veniva espresso con l’affermazione di
appartenenza desumibile dalle parole della vindicatio (o
controvindicatio) presente nelle formule processuali.
Nel periodo classico si incomincia a usare la parola dominium per
indicare il rapporto esclusivo e privilegiato con la cosa. Il dominus
aveva la piena facoltà di utilizzare la cosa ed era tutelato dallo ius
civile. Inizialmente vi era solo una forma di appartenenza giuridica
delle cose( il dominium ex iure quiritium=il diritto dei quiriti) che poi
venne contrapposto alla proprietà pretoria, ovvero in bonis habere.
In un suo famoso passo celebre Gaio parla di questa
contrapposizione e afferma che: se ti avrò soltanto consegnato una
res mancipi senza la mancipatio o la iure in cessio, questa cosa
diventerà tua in bonis ma finchè tu non l’avrai usucapita rimarrà mia
secondo il diritto dei quiriti. Quindi l’acquirente rimaneva sprovvisto
di tutela per tutto il tempo necessario per usucapire il bene(1
anno=cose mobili, 2 anni=cose immboli). Il pretore decise di
intervenire tutelando l’acquirente con l’actio publicana concessa al
possessore di buona fede che abbia ricevuto una res mancipi
mediante una traditio. Si tratta di un’azione fittizia poiché il giudice
emetteva la sentenza fingendo che fosse decorso a suo favore il
tempo necessario per poter usucapire e facendolo quindi diventare
il proprietario.(presupposto inesistente)
In età post-classica e con Giustiniano scompare la distinzione tra
dominium ex iure quiritium e in bonis habere affermando che tutti i
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trasferimenti di proprietà si attuano con la traditio e quindi viene
meno la distinzione tra res mancipi e res nec mancipi. Tuttavi colui
che poteve sostenere che la cosa era sua e quindi poteva usarla,
godere i propri frutti, trasferirla e distruggerla, essendo a tutti gli altri
vietato di compiere atti turbativi. Tuttavia per colui che possedeva la
cosa vi erano delle limitazioni a questi poteri tra cui: tagliare i rami
di un albero del vicino se questi sporgevano sul proprio fondo a
un’altezza inferiore a 15 piedi oppure quella che stabiliva tra una
causa e l’altra dovrebbe essere lasciato libero uno spazio di due
piedi e mezzo destinato al passaggio.
Istituto del colonato
Come ben sappiamo, i proprietari terrieri utilizzavano
prevalentemente il lavoro salariato dei liberi che risultava
econimicamente molto più conveniente di quello servile, ma bene
presto molti contadini abbandonarono queste terre per
l’insostenibilità delle condizioni in cui lavoravano e quindi i
proprietari terrieri non disponevano di braccia sufficiente a coltivare
i fondi. Tutto ciò non era solo un danno per il proprietario terriero
ma anche per l’economia e di conseguenza per il fisco che vedeva
così diminuite le sue entrate. Per porre rimedio a questa situazione,
l’autorità pubblica introdusse delle limitazioni alla libertà dei
lavoratori agricoli e così nacque l’istituto dei coloni( forse IV secolo),
ovvero colui che coltivava la terra e che non poteva lasciare la
terra che coltiva, diciamo una situazione simile alla servitù. Tuttavia
il colono è un soggetto giuridicamente libero, può contrarre
matrimonio e può avere un proprio patrimonio. Con Costantino vietò
a chi alienava il fondo di separare costui dalla sua terra,
spostandolo altrove e con Giustiniano si stabilì che coloro che sono
nati da genitori coloni sono anche loro a sua volta considerati coloni
e quindi sottoposti al divieto di non lasciare la terra. A differenza
dello schiavo il colono non può essere più liberato perché è una

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pertinenza del fondo. Nel medioevo il colonato darà luogo al
sorgere della servitù della gleba.
Modi di acquisto della proprietà
Vengono definiti modi acquisto della proprietà gli atti e i fatti che
determinano il sorgere di questo diritto in capo a un soggetto. La
dottrina moderna distingue in modi di acquisto a titolo originario
ovvero si ha l’acquisto diretto con la cosa e i modi di acquisto
derivato ovvero la cosa si acquista dal soggetto che prima ne era il
proprietario e quindi presuppongono un passaggio di proprietà.
Ricordiamo che per il diritto romano classico, la proprietà non si
acquista per contratto. I diritti di credito o di obbligazione potevano
nascere per contratto, mentre i diritti reali non potevano essere
costituiti e trasferiti con questo strumento considerato inidoneo.
Modi di acquisto a titolo originario
L’occupatio: consiste nell’apprensione di una cosa che non
appartenga a nessuno (res nullius) con l’intenzione di farla propria.
Essa si realizza con 3 elementi: 1) deve trattarsi di una cosa che
non appartenga a nessuno; 2) la cosa deve essere materialmente
appresa; 3) vi deve essere l’intenzione di impadronirsi di quella
cosa e farla propria (animus occupandi). Nell’occupazione rientra
anche il bottino di guerra uno dei modi più antichi di acquisto della
proprietà, ovvero le cose sottratte al nemico (ricordiamo ad
esempio colui che diventa proprietario del prigione rio di guerra, che
cadendo in mano al nemico diventa schiavo e riacquista la sua
libertà solo qualora riesca a sottrarsi dalla cattura e ritornare al suo
Paese). Nell’occupazione rientrano anche gli animali che erano
appartenuti a qualcuno e da cui si erano allontanati senza
dimostrare intenzione di tornare e possono essere anche occupate
le cose abbandonate dal proprietario ma vi deve sussistere
l’effettiva intenzione del proprietario di abbandonarle( animus
derlinquendi). Rientra nell’occupatio anche il ritrovamento del
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tesoro, ovvero qualche antico deposito di pecuniae da non
intendersi solo denaro ma anche come oggetti preziosi. Secondo
l’imperatore Adriano colui che lo trova nel proprio terreno ha la
proprietà esclusiva invece colui che lo trova in un fondo altrui lo
dividerà a metà con il proprietario del fondo.
Accessione: si ha quando due cose che appartengono a
proprietari diversi si uniscono e vengono a formare una cosa sola.
Quando questo accade si ritiene che la cosa nuova spetti al
proprietario della cosa principale. Esempi di accessione di cosa
mobile a mobile:
Scriptura: si ritiene che il proprietario del materiale scrittorio
acquisti la proprietà dello scritto di altri;
textura: si ritiene che il proprietario del filo acquisti la proprietà dle
tessuto ;
ferruminatio è l’unione irreversibile di una cosa metallica ad
un’altra, in questo caso il proprietario della cosa principale acquista
la proprietà della cosa accessoria;
pictura: si ritiene che dal punto di vista materialistico il proprietario
della tavola acquisti la proprietà della pittura, ma secondo Gaio è
giusto che sia il proprietario della pittura ad acquistare la proprietà
della tavola.
Esempi di accessione di cosa mobile a cosa immobile:
satio:quando su un terreno si immettono semi di proprietà di
persona diversa dal proprietario del terreno e quest’ultimo ne
acquista la proprietà per accessione;
Plantatio: la pianta diventa del proprietario del suolo allorchè la
pianta abbia messo le sue radici nel terreno;
inaedificatio: secondo il principio di superficie, ciò che viene
realizzato sopra il nostro fondo, diviene di nostra proprietà.
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Esempi di accessione di immobile a immobile:
alluvione: si considera il materiale trasportato dalle acque (sabbia
e detriti) che fa accrescere il nostro fondo e ciò che si accumula
diventa nostro di diritto.
Avulsione: quella parte di terreno appartenente ad altro fondo che
si distacca e accresce il nostro fondo. Tuttavia la parte distaccata
rimane al proprietario del fondo di provenienza.
Per gli effetti dell’acquisto della proprietà distinguiamo:
i fondi limitati ovvero i fondi che hanno un confine anche dalla parte
del fiume ma in questo caso il fondo non si accresce della nuova
porzione di terreno venutasi a creare. Il terreno di nuova formazione
è res nullius e può essere acquistato da chiunque compreso il
proprietario del fondo limitato che in questo caso non l’acquista
come incremento fluviale ma come occupazione.
Arcifini: i fondi che dal lato del fiume trovino il loro confine in
questo caso la proprietà si estende automaticamente sul nuovo
terreno.
Insula in fumine nata: l’isola nata in mezzo a due fiumi appartiene
in comune ai due fondi che sono situati su entrambi le rive, qualora
essa non si troverà in mezzo al fiume apparterà a coloro che hanno
i fondi sulla riva più vicina.
Alveus derelictus: dove il fiume abbandoni il suo letto scavandone
un altro , i proprietari del fondi situati sulle rive acquisteranno la
proprietà del terreno emerso ciascuno fino alla mediana del letto
abbandonato e per la lunghezza del fronte del loro terreno.
Specificazione: consiste nel trarre da una materia una cosa nuova
e diversa. Della specificazione discussero molto i sabiniani che
ritenevano che la cosa appartenesse al proprietario della materia,
mentre i proculiani ritenevano che la proprietà appartenesse a colui
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che l’ha creata ovvero lo specificatore. In epoca giustinianea
questa controversia viene scomposta nel senso che se la cosa può
ritornare allo stato origianario allora questa spettava al proprietario
della materia, qualora non poteva essere ripristinata allora
aspettava allo specificatore ovvero colui che l’ha creata.
Confusione commistione:si verificano quando si uniscono
quantità di materie che possono essere mescolate, appartenenti a
diversi proprietari. Esse non danno luogo ad autonomi modi di
acquisto della proprietà infatti se la mescolanza avviene senza dar
vita ad una nuova specie o le materie solidi sono separabili,
ciascuno potrà chiedere la separazione della materia a lui
appartenente qualora invece si tratti di materie diverse e non
separabili allora verranno divise in quote proporzionali in base al
valore delle singole materie.
Nei modi di acquisto rientrano anche l’aggiudicazione presente nei
giudizi divisori, quando il giudice divideva un bene comune facendo
le parti tra coloro che ne avevano chiesto la divisione; la litis
estimatio si ha quando il giudice riconoscendo il diritto dell’attore
sulla cosa rivendicata e non potendo ordinare al convenuto di
restituirla, li chiedeva di pagare una somma di denaro
corrispondente al valore della cosa, pagando la somma il
convenuto acquistava la proprietà della cosa che prima
apparteneva all’attore. Rientrano anche i frutti che quando si disti
canno dalla cosa madre diventano oggetto di proprietà. Titolare di
questo diritto era il proprietario della cosa madre e coloro che
avevano un diritto su cosa fruttifera potevano diventare proprietario
solo mediante l’apprensione dei medesimi(come l’usufruttario,
affittuario, il creditore pignoratizio.)
Modi acquisto a titolo derivato
Essi si distinguono in base alle cose di maggior o minor imprtanza
economico-sociale del tipo di bene ovvero res mancipi e res nec
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mancipi.Originariamente il solo modo per trasferire la proprietà delle
res mancipi era la mancipatio(o mancipium). Essa era un atto
solenne che richiedeva la presenza di cinque cittadini romani puberi
e il libripens ovvero la persona che tiene in mano una bilancia di
bronzo, e vi erano anche i soggetti interessati al negozio ovvero il
mancipio dans(cedente) e il mancipio accipiens(acquirente).
Quest’ultimo prendeva in mano e toccava il bene dichiarando
solennemente: io dichiaro che questa cosa è mia secondo il diritto
dei quiriti ed essa mi venga acquistata con questo bronzo e con
questa bilancia. Dichiarando queste parole l’acquirente percuote la
bilancia con il pezzo di bronzo che simboleggia il prezzo(era un
lingotto di bronzo che veniva pesato sulla bilancia e poi consegnato
al venditore, mentre la cosa comprata veniva data al compratore).
Tuttavia il venditore dove grantire il compratore qualora la proprietà
venisse rivendicata da un terzo e quindi era tenuto a versargli una
somma di denaro pari al doppio del prezzo da questi pagati a titolo
di pena(garanzia di evizione). Con il tempo la mancipatio fu
applicata anche le cose immobli, ovvero veniva portata una parte
simbolica di essa. Per quando riguarda il prezzo venne sostituito
successivamente con la moneta coniata, e quindi la pesatura del
bronzo divenne superflua e quindi la mancipatio venne applicata
anche per cause diverse dalla compravendita poiché non era
necessario scambiare una cosa contro il prezzo.
Altro modo per trasferire la res mancipi era la iure in cessio che
può essere anche usata per il trasferimento delle res nec mancipi.
Essa consiste in un processo simulato dove l’acquirente di fronte al
pretore, rivendica la cosa senza che il cedente si opponga. Il
pretore non può fare altro che aggiudicarla all’acquirente e cosi si
realizza lo scopo pratico della cessione del bene.
La traditio consiste nella semplice consegna della cosa e viene
usata per trasferire solo sole le res nec mancipi. Originariamente la
consegna era considerata idonea di per sé a trasferire la proprietà,
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indipendentemente dalla causa del trasferimento ma
successivamente si richiese che essa fosse accompagnata da una
giusta causa considerata idonea al trasferimento della proprietà. Il
concetto iniziale di traditio si evolve con il passare del tempo e si
allarga a comprendere modalità diverse dalla materiale consegna
della cosa:
traditio longa manus: la cosa veniva trasferita non materialmente
ma bensì una manifestazione di volontà;
traditio brevi manu: nell’ipotesi che l’acquirente abbia già la
detenzione materiale della res, avendola ad esempio in locazione;
traditio simbolica: non viene trasmessa la res, ma una cosa
simbolica ovvero le chiavi della casa invece di immettere
l’acquirente materialmente nel possesso.
Traditio per documentum: forma che si afferma durante il
principato dolve le parti invece di consegnare la cosa redigono un
documento con la quale manifestano la volontà di accettare e
consegnare la cosa.
Constitum possessorium: si verifica quando il venditore conclude
con l’acquirente un contratto di locazione in forza del quale continua
a detenere materialmente la cosa, non più come proprietario ma
come come conduttore.
Tuttavia alla fine rimase come modo di acquisto a titolo derivato la
traditio simbolica e alla compravendita di immobili si imposero
nuove formalità, come la redazione di un documento.
L’usucapione venne regolata dalle XII tavole e usus-capere
significa acquistare attraverso l’uso , vale a dire tenendo la cosa
come proprietario per un certo periodo di tempo. Secondo le XII
tavole questo periodo di tempo è diverso a seconda che si trattasse
di cose immobili e mobili. Secondo le XII tavole l’usucapione si
identificò con la garanzia per evizione prestata dal venditore al
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compratore e ciò dimostra che l’usucapione nacque per risolvere il
problema della difficoltà di dimostrare l’esistenza del diritto di
proprietà con il conseguente stato di incertezza che grava su chi
acquistava il bene. Tuttavia il venditore era liberato dall’obbligo nel
momento in cui scadeva il termine per l’usucapione e in un primo
momento il trascorrere del tempo era sufficiente di per sé a far
acquistare la proprietà senza bisogno di un titolo o la necessita
della convinzione di esserne proprietari, nel diritto romano
l’usucapione richiedeva i 5 pilastri:
1) Possessio: potere di fatto sulla cosa corrispondente
all’esercizio di diritto di proprietà o di altro diritto reale che va
distinta dalla detenzione che consiste nella meteriale
disponibilità della cosa per conto di altri (e non dà luogo
all’usucapione);
2) Titulus o iusta causae usucapionis: esempio la traditio di
una res mancipi;
3) Res habilis: la res deve essere usucapibile e non hanno
questo requisito le res extra commercium, le res furtivae e le
res vi possessae ovvero le cose sottratte al legittimo
possessore con violenza;
4) Fides: è necessaria la buona fede cioè l’ignoranza di ledere
un diritto altrui ed è sufficiente che essa sussista nel momento
in cui si inizia a usucapire;
5) Tempus: il tempo necessario per l’usucapione è in diritto
romano di 1 anno per le cose mobili e 2 anni per le cose
immbili.
Agli effetti dell’usucapione erano comprese anche le persone come
la manus sulla moglie si acquistava dopo che il marito o il
paterfamilias di questi avevano esercitato di fatto questo potere per
un anno. Molto spesso si discute se l’usucapione sia un modo di
acquisto a titolo originario poiché l’acquisto della proprietà dipende
dal rapporto diretto con la cosa oppure sia un modo di acquisto a
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titolo derivativo in quando la proprietà di acquista in chi usucapisce
nel momento stesso in cui la perde il precedente proprietario.
L’usucapione era applicabile ai cittadini e non ai fondi provinciali.
Per questo per tutelare quest’ultimi venne introdotta la longi
temporis praescriptio, istituto simile all’usucapione. Se un fondo
provinciale viene coltivato da un soggetto diverso dal proprietario
che dimora nella provincia per il tempo di 10 anni, il proprietario
inattivo perde il fondo che diventa di chi coltiva la terra. Se invce il
proprietario dimora fuori dalla provincia il perido di tempo
necessario perché si abbia la longi temporis praescriptio è di venti
anni. Trascorso tale periodo necessario, il possessore può opporsi
all’azione di rivendica esercitata dal proprietario. Inepoca
giustinianea i due istituti si fondono e il periodo dell’usucapione
diventa tre anni per le cose mobili e di dieci o venti per le cose
immobili a seconda si trovino vicino o lontano dal proprietario.
L’uscapione è l’istituto che si è più evoluto nelle diverse epoche
storiche e nasce dall’esigenza di dare certezza giuridica alle
situazioni prolungate nel tempo e di evitare l’insorgere di liti. Nei
giudizi per rivendicazione della proprietà agevola il rivendicante che
non è costretto a provare tutti i precedenti acquisti a titolo derivativo
fino a giungere a quello originario. Con il tempo sono stati aboliti i
requisiti del titulus e anche della bona fides. I requisiti del titolo e
della buona fede sono oggi previsti per l’ipotesi di usucapione
abbreviata ma dal codice napoleonico in poi può usucapire anche il,
possessore di mala fede dopo 20 anni.

Azioni a tutela della proprietà


L’azione più antica a tutela del diritto di proprietà è la legis actio in
sacramento in rem, ma questa poi venne sotituita dll’agere in rem
per sponsionem e quindi nel processo formulare dalla rei
vendicatio.

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Rei vendicatio: azione esperibile dal proprietario contro chi
possedesse illegittimamente la cosa al fine di ottenerne la
restituzione, nel regime processuale delle legis actio sacramenti in
rem, entrambi i soggetti affermavano la proprietà della cosa,
pronunciando la formula solenne e promettendo di versare alla
cassa pubblica una somma di denaro(sacramentum) in caso di
soccombenza. Il giudice poi decideva quale fosse il sacramentum
iustum risolvendo il giudizio sulla proprietà. Nell’età classica il
processo aveva luogo per agere in rem dove chi affermava di
essere il proprietario faceva promettere a chi possedeva la cosa il
pagamento di una somma di denaro (sponsio) qualora fosse
risultato soccombente nel successivo giudizio. Con il processo
formula si ha la formula petitoria in cui l’attore agiva in giudizio
affermando di essere proprietario della cosa chiedendone la
restituzione. Il processo si semplificava: convenuto era il
possessore, attore chi non possedeva ed affermava di essere
proprietario. Instaurata la lite se il convenuto non restituiva
spontaneamente la res, il giudice proceva con la litis aestimatio,
consistente in una somma di denaro pari al valore della cosa e
quindi il convenuto tuttavia acquistava il diritto di proprietà sulla
cosa. Il convenuto se era soccombente dopo la litos aestimatio ed è
in buona fede deve restituire i frutti percepiti, mentre se di male
fede deve restituire anche quelli percepiti sin dalla immissione nel
possesso.
La rei vindicatio si poteva esercitare, anche contro il finto
possessore cioè contro chi si fingeva possessore per permettere ad
altri di usucapire la cosa e anche contro chi dolosamente si fosse
disfatto della cosa per evitare il processo.

Actio ad exhibendum: quando per esperire era necessario in via


preliminare accertarsi che la cosa che altri possedeva era quella
che si voleva rivendicare o quando era necessario individuare la

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cosa che aveva perso la sua individualità o quando era sta
congiunta con un corpo estraneo.
Iudicium finium regundorum: in età classica questa azione è nata
per ottenere il rispetto dell’obbligo di lasciare cinque piedi tra i fondi
e venne usata per stabilire quale fosse il limite tra i fondi confinanti,
essa terminava con adiudicatio che riconosceva un diritto di
proprietà esistente. Qualora il confine è incerto tra i due fondi, uno
dei due proprietari può chiedere che sia stabilito dal giudice che
può intervenire con qualsiasi mezzo, qualora non vi siano il giudice
si attiene alle mappe catastali.
Actio negatoria:può essere esercitata dal proprietario che ha la
piena disponibilità sulla cosa, contro un altro soggetto che affermi
l’esistenza di diritti reali limitativi del godimento o della disponibilità
della cosa stessa(turbative di diritto) o che compia atti
corrispondenti all’esercizio di tali diritti (turbative di fatto). il
proprietario che esercita tale azione deve dimostrare di esseren
l’attuale proprietario della cosa e la lesione. Invece il convenuto
deve dimostrare l’onere di provare il diritto che pretende di avere.
Nel diritto classico il convenuto può essere obbligato dal pretore a
prestare una cautio de amplius non turbando, che consiste in una
stipulatio con la quale il convenuto si impegna a non rinnovare le
turbative. Il mancato rispetto di tale impegno comporta un
pagamento pecuniario a favore dell’attore.
Cautio damni infecti: se il proprietario teme che da un’opera
costruita sul fondo altrui o dalla rovina di un edificio altrui possa
derivargli danno, può ricorrere al pretore richiedendo la cauzione di
danno temuto. Il pretore impone al convenuto lo costringe ad
obbligarsi mediante una stipulatio, a risarcire il proprietario se dalla
rovina dell’edificio o dall’opera derivi un danno. Qualora il
convenuto si rifiutasse, il pretore può immettere l’attore nella
detenzione del fondo e se rifiuta una seconda volta allora l’attore

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viene immesso nel possesso ad usucapionem idoneo a fargli
acquistare la proprietà con il trascorrere di due anni.
Operis novi nuntiatio(denuncia di nuova opera): è il rimedio a cui
il proprietario può ricorrere nel caso che il vicino stia costruendo
un’opera da cui possa derivare danno alla sua proprietà. Una
intimazione rivolta dal proprietario del fondo al vicino a non
continuare l’opera o a non compierla. Questa sembrava che
venisse fatta da parte dell’attore (il nuncians) che lanciasse
simbolicamente una sasso nel campo del vicino che stava iniziando
l’opera . (la nunciantio doveva essere fatta da un cittadino romano).
Il costruttore (il nunciatus) di fronte alla nunciatio doveva
interrompere l’opera già iniziata o astenersi a costruirla, a meno che
non avesse prestato una cautio, obbligandosi nella forma della
stipulatio a rimettere in pristino i luoghi dove risultasse che non
avesse il diritto di compiere l’opera. Tuttavia era l’attore che doveva
fornire al pretore la prova del suo diritto violato dalla costruzione
della nuova opera. In mancanza il pretore poteva concedere al
costruttore una remissio ovvero annullava la nunciatio e
permetteva l costruttore di proseguire l’opera. Se l’attore dimostrava
che ci poteva essere un danno e il convenuto non offriva la
cauzione, il pretore ordinava l’abbattimento dell’opera.
Interdictum quod vi aut clam: questo interdetto serve a bloccare o
rimuovere un’opera illecitamente costruita qualora sia iniziata di
nascosta ovvero con la forza. La differenza di questo interdetto che
esso è esperibile solo per la tutela degli interessi mentre la
denuncia di danno temuto era esperibile anche a tutela di un
interesse pubblico.
Actio acquae oluviae arcendae(azione per trattenere l’acqua
piovana): Esperibile contro chi facendo lavori nel proprio fondo
avesse provocato un ingresso eccessivo di acqua piovana nel
fondo altrui o esperibile anche se sul fondo del vicino non erano
stati fatti lavori e anche se non era aumentato ma era diminuito il
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corso delle acque defluenti dal fondo del vicino. Azione arbitraria
che condanna il convenuto a meno che non rimetta in pristino i
luoghi e non risarcisca l’attore dei danni arrecati dal moemnto della
ltis contestatio.
Interdectum de glande legenda(interdetto per la raccolta di frutti):
interdetto con cui ordina al proprietario dell’albero i cui rami
sporgano all’altezza di quindici piedi sul fondo del vicino di recarsi
sul fondo stesso a giorni alterni a raccogliere i frutti che vi sono
caduti.
Interdictum de arbobirus caedendis(interdetto per il taglio degli
alberi): era concessa a favore del proprietario di un fondo qualora
gli alberi del fondo vicino sporgessero sul suo ad un’altezza
inferiore a 15 piedi. Se il proprietario dell’albero non tagliava i rami.
Il proprietario del fondo sul quale sporgevano aveva la possibilità di
farsi giustizia da sé tagliando lui stesso i rami di altezza inferiore a
quella consentita. Qualora il proprietario dell’albero si opponesse, il
pretore emanava tale interdetto.

La comunione
Nell’età antica, alla morte del paterfamilias tra i suoi eredi nasceva
una società chiamata proprietà indivisa, potevano costituire tale
società anche coloro che non erano eredi del paterfamilias:
consortium ercto non cito ed era una proprietà collettiva. Ciascuno
degli eredi aveva la titolarità dell’intero patrimonio. Qualora anche
un solo di essi manomettendo uno schiavo lo rendeva libero ,
faceva acquistare a tutti il liberti(il diritto di patronato); allo stesso
modo uno solo dei consorti poteva cedere a terzi con la mancipatio
un bene comune. La prorietà indivisa è esistita solo nell’età arcaica
in epoca classica cade il suo regime. La comunione è caratterizzata
dal principio della parziarietà ovvero il patrimonio comune viene
diviso in quote chiamate pars, e quindi ogni erede può disporre del
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bene in proporzione alla quota ricevuta . ogni erede fa i propri frutti
in proporzione alla rispettiva quota; ognuno può far uso della cosa
senza chiedere l’assenso degli altri, purchè si limiti all’uso normale
della cosa. Qualora vi siano atti eccedenti all’uso nomale possono
essere impediti da altri eredi attraverso lo ius prohibendi. Qualora
viene meno la partecipazione di uno degli eredi, ovvero ci rinuncia,
la quota si accresce agli altri in proporzione delle restanti quote. Lo
scioglimento della comunione avveniva con l’actio comuni
dividendo.
L’espressione diritti reali o diritti sulle cose viene usata dalla dottrina
moderna per distinguere i diritti reali dai diritti di credito(o
obbligazione). Nel diritto romano non vi era l’espressione diritto
reale, ma essi avevano piena consapevolezza delle caratteristiche
di questi diritti che li differenziavano dai diritto di credito in base agli
strumenti di tutela: actiones in rem per i diritti reali e actio in
personam per i diritti di credito.
Actio in personam: l’azione con la quale agiamo con qualcuno che
è obbligato nei nostri confronti in un dare, facere, o praestare.
L’intentio dell’actio in personam esprime un dovere del convenuto,
quindi l’attore vanta una pretesa nei confronti del convenuto.
Action in rem: l’azione con cui affermiamo che una cosa è nostra
o che ci aspetta di diritto come usare una cosa. L’intentio della rem
afferma l’appartenenza di una cosa all’attore o il suo diritto di agire
inn un determinato modo riguardo ad essa(il nome del convenuto
compare nella condemnatio dove si vede prevede la sua condanna
qualora abbia impedito l’esercizio del diritto). Quindi in rem l’attore
vanta un diritto sulla cosa e il convenuto compare qualora vi sia la
condanna. Come ben sappiamo il diritto reale è la proprietà che
conferisce al suo titolare tutti i poteri sulla cosa , tuttavia esistono
altri diritti reali denominati limitati (o su cosa altrui) che la dottrina
moderna distingue in diritti reali di garanzia e di godimento. I diritto
reali di godimento conosciuti dai romani erano le servitù,
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l’usufrutto(i diritti analoghi all’usufrutto: il quasi usufrutto, l’uso, il
frutto senza uso,l’abitazione e le operae servorum), enfiteusi e la
superficie, i diritti reali di garanzia che i romani usavano erano il
pegno e l’ipoteca.

Diritti reali di godimento: consistevano nella possibilità di godere


di una cosa di proprietà altrui.
La servitù(iura praedorium): come abbiamo visto in un primo
periodo le strade, i sentieri, le condotte di acqua sul fondo altrui sul
quale il proprietario del fondo adiacente poteva passare, erano
considerate di proprietà di chi se ne serviva e con il passare del
tempo i giuristi cominciarono a sviluppare una nuova costruzione
secondo la quale l’iter, l’actus, la via, l’acquaeductus non erano più
res ma bensì diritti e quindi la giurisprudenza incominciò a parlare
di diritto di passagio, diritto di condurre acqua ed elaborò la nozione
di iura praedorium che comprendeva questi e altri diritti costituiti su
un fondo(detto servente) a vantaggio di un altro fondo(detto
dominante). L’edilizia urbana aveva portato alla nascita di rapporti
di servizio non solo tra i fondi rustici ma anche tra i fondi urbani e i
giuristi distinsero due categorie:
1) Iura praedorium rustico rum ovvero quelli destinati
all’esercizio dell’agricoltura e della pastorizia, ricordiamo:
servitus acquae haustus che consiste nella possibilità di
attingere l’acqua nel fondo del vicino; servitus pascendi ovvero
il diritto di pascolare il proprio bestame sul fondo altrui e varie
altre servitù consistenti nel diritto di attingere materiali nel
fondo altrui come estrarre la creta, cuocere la calce,ecc.)
2) Iura praedorium urbano rum: le servitù destinate alla
costruzione dette urbane, rientrano: iura stilicidorium che
consistono o nel diritto di scaricare acque piovane nel fondo
del vicino o all’inverso, quello di ricevere le acque piovane o di
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immettere acqua in una condotta del fondo del vicino; servitus
proiciendi e proferendi ovvero il diritto di far sporgere grondaie
e balconi.

Il contenuto della servitù era la facoltà del proprietario di un fondo


detto dominante di svolgere un’attività su un fondo altrui detto
servente o di pretendere che il proprietario di questo si astenesse
dallo svolgere sul suo fondo una qualche attività, il peso grava sul
fondo e non sul proprietario trattandosi di diritto reale per cui se il
fondo servente viene venduto il peso si trasferisce insieme ad esso
e alo stesso modo la servitù arreca un’utilità non al proprietario ma
al fondo dominante, quindi qualora il fondo venga alienato insieme
ad esso si trasferisce anche la servitù al nuovo proprietario.
Recquisito essenziale della servitù, secondo le fonti romane, è la
vicinitas dei due fondi senza la quale non sarebbe possibile che
uno di essi rechi utilità all’altro, e non necessariamente essi
debbano essere contigui. La servitù non può consistere nell’obbligo
di un fare, ma bensì al proprietario del fondo servente che ha una
condotta negativa è consentito: o nel non fare qualcosa che
altrimenti potrebbe fare (non facere) oppure tollerare
comportamenti che altrimenti proibirebbe(pati). Eccezione di servitù
che consistere in un fare è quella di sostenere il peso della
costruzione altrui sulla costruzione propria, quindi il proprietario del
fondo servente aveva il dovere di mantenere la parete del proprio
edificio in condizioni idonee a sostenere il peso della costruzioni
altrui.
Le più antiche servitù rustiche, essendo res mancipi, si costituivano
mediante mancipatio mentre le servitù urbane invece essendo res
nec mancipi, potevano essere costituite mediante la iure in cessio
ovvero una finta rivendica della servitù da parte di chi voleva
acquistarla , cui seguiva il silenzio o l’allontanarsi del tribunale di
colui nei cui confronti era rivendicata ovvero il proprietario del fondo
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servente e infine la pronunzia da parte del magistrato che
riconosceva la titolarità del diritto di servitù al rivendicante. Tutte le
servitù potevano essere costituite con deductio dalla mancipatio o
la iure in cessio: questo sistema consentiva al proprietario dei due
fondi di alienarne uno, trattenendo per sé uno con sopra un diritto di
servitù (esempio: il proprietario dei fondi A e B aliena il fondo B e
trattiene a vantaggio del fondo A il diritto di passaggio.) Le servitù
potevano esser costituite anche per testamento con un legatum per
vindicationem a favore del proprietario del fondo destinato a essere
dominante. In età classica si cominciò ad ammettere che le servitù
si possono costituire per destinazione del padre di famiglia, vale a
dire quando il proprietario dei due fondi, tra i quali esisteva un
rapporto di servizio di fatto, alienava uno solo di essi(o li alienava
entrambi, ma a due persone diverse). Sino a che i due fondi erano
appartenuti allo stesso proprietario, la servitù non poteva esistere,
nel momento in cui si separavano, allora il servizio di fatto
diventava automaticamente una servitù. Nel diritto classico il
pretore concedeva un’actio utilis al proprietario di un fondo, il quale
avesse esercitato di fatto la servitù prediale per un lungo periodo di
tempo, si parla a questo riguardo di acquisto della servitù per
vetustas ma non è indicato quanto tempo occorresse, in realtà lo
stabiliva il pretore volta per volta. Le servitù sui fondi provinciali
veniva costituita mediante “pactiones e stipulationes”, erano dei
contratti simili a quelli cui si faceva ricorso a Roma quando si
voleva obbligare il proprietario del fondo vicino ad accettare una
gravame sul fondo a proprio vantaggio(ad esempio consentire che
vi si passasse a piedi o in carro). In questo caso si obbligava il
promittente e coloro che acquistavano da lui a titolo universale(nei
fondi italici), invece nei fondi provinciali vincolava anche gli
acquirenti a titolo particolare. Agli inizi del periodo classico era
ammessa anche la servitù mediante usucapione, che venne venne
vietata da una lex Scribonia probabilmente del I secolo a.C. Nel
diritto giustinianeo si afferma il principio per cui la servitù può
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essere costituita con qualunque tipo di convenzione basta che ci sia
il consenso. Quella che in antico si chiamava vetustas diventa
patientia, termine che evoca il consenso tacito del proprietario del
fondo servente.
Per estinguere una servitù è necessario compire un atto uguale o
contrario a quello con cui è stata costruita, vale a dire a seconda
dei casi una mancipatio, una iure in cessio e devono essere
compiuti questi atti nei confronti del proprietario del fondo servente
per produrre effetto. Si estinguono per confusione se i due fondi
diventano per qualsiasi ragione di proprietà della stessa persona;
per il non uso e per la rinunzia del titolare.
Le servitù erano tutelate da un’azione formulare chiamata vindicatio
servitutis, detta anche actio confessoria , volta a far affermare
l’esistenza della servitù e ad impedire le turbative al suo esercizio,
essa era esperibile soltanto nei confronti del proprietario del fondo
servente ma in progresso di tempo può essere avanzata contro tutti
coloro che turbano l’esercizio della servitù. Con questa azione il
proprietario del fondo dominante ottiene il ristabilimento del suo
diritto o la cessazione delle turbative e il risarcimento del danno,
infatti al soccombente viene fatto pagare una determinata somma di
danaro. Chi invece negava che sul suo fondo gravasse una servitù
veniva concessa un’azione detta negativa servitutis o negatoria e in
questo caso vietava a qualunque il passaggio sul fondo. A tutela
dell’esercizio di talune servitù vennero anche concessi determinati
interdetti concessi nei confronti chi impediva l’esecuzione sul
proprio fondo di opere necessarie per l’esercizio della servitù.

L’usufrutto: si intende il diritto di godere una coa altrui e


percepirne i frutti spettanti a persona diversa dal proprietario: il
titolare del diritto di usufrutto è chiamato usufruttario, quello del
bene su cui grava un usufrutto, si dice nudo proprietario. L’usufrutto
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nacque per consetire alla donna vedova, che in vita non fosse stata
nella manus del marito, di godere dei beni ereditari. Alla morte della
vedova, in questo caso intesa come usufruttario, i beni rientravano
automaticamente nella proprietà e quindi in mano ai futuri
proprietari. L’usufrutto a differenza delle servitù poteva essere
costituito anche sui beni mobili, come gli schiavi. L’usufruttario ha il
diritto di percepire sia i frutti naturali che si acquistano al momento
della loro separazione, sia quelli civili che si acquistano con la loro
maturazione. Se oggetto dell’usufrutto è lo schiavo, aspettano
all’usufruttario le cose prodotte dallo schiavo con la sua attività
lavorativa mentre al proprietario appartengono le cose acquistate
dallo schiavo con i mezzi forniti dal padrone, così come anche
l’eredità o un legato pervenuti allo schiavo. Le attività
dell’usufruttario devono essere esercitate senza che venga
modificata la cosa nella sua consistenza materiale e nella sua
destinazione economica. All’inizio del I secolo d.C. un senato
consulto stabilì che esso potesse essere costituto su qualunque
tipo di beni: quasi usufrutto stabilì che in questo caso l’usufruttario
acquistasse la proprietà dei beni ma obbligasse a restituire la
stessa quantità di beni della stessa specie, ovvero stesso valore.
L’usus sine fructa conferiva il diritto di usare una cosa altrui senza
percepirne i frutti e nacque con riferimento a beni che non
producevano frutti naturali. Successivamente si ammise che
fossero frutti anche quelli civili come il canone d’affitto in una casa e
sulle cose improduttive di frutti naturali fu possibile anche costituire
usufrutto. Il fructus sine usu invece era il diritto di godere i frutti,
senza quello di usare la cosa, lasciato a un altro soggetto. Tra i
modi di costituzione dell’usufrutto, vi è il legato per vindicationem,
come anche la iure in cessio o la deductio in iure in cessio della
cosa. Sui fondi provinciali l’usufrutto si acquista con patti e con
stipulazioni e tra i modi di acquisto a titolo orogianrio vi erano la
adiudicatio e la litis estimatio. L’usufrutto si estingue oltre che per
morte dell’usufruttario,anche per il non uso per un certo periodo di
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tempo: due anni per le cose immobili e un anno per le cose mobili,
per capitus deminutio, consolidatio ovvero consisteva nella riunione
in capo allo stesso soggetto delle situazione di proprietario e
usufruttario. A tutela della dell’usufrutto vi era la vindicatio
usufructus in cui si affermava l’esistenza del diritto di usufrutto,
invece a chi negava che su un suo bene fosse stato costituito
usufrutto allora tale azione veniva detta negatoria usufructus.
L’uso è altro diritto simile che però non comporta a differenza
dell’usufrutto, il diritto di percepire i frutti della cosa, ma soltanto il
diritto di usarla. Quindi l’usurario non può locarla, ma nel diritto
giustinianeo, l’usurario può percepire una modica quantità di frutti
nei limiti dei bisogni suoi e della sua famiglia.
L’habitatio: il diritto di abitazione sorge in epoca giustinianea come
diritto autonomo e distinto dall’uso poiché in epoca precedente era
compreso nell’uso. Tale diritto consiste nell’usare un’abitazione,
darla in comodato o in locazione.
Opere servo rum ovvero le opere degli schiavi. Con Giustiniano
viene inclusa questa categoria nei diritti reali su cosa altrui, ovvero il
diritto di servirsi del lavoro degli schiavi o di animali altrui. Pur
essendo simile all’usufrutto, questo diritto non si estingueva con la
morte del titolare ma solo alla morte dello schiavo o dell’animale.
Il diritto dell’ager vectigalis: come ben sappiamo, chi riceveva in
concessione della terra pubblica non acquistava la proprietà. I
concessionari degli agri vectigales si trovavano in una situazione
particolare, con questo termine, in fatti in età classica venivano
indicati i concessionari di apprezzamenti di terre pubbliche ricevute
a seguito di una locazione, sia dai censori, sia dai magistrati e
sottoposte a un regime molto particolare: la locatio infatti prevedeva
una clausola secondo la quale sino al momento in cui il
concessionario avesse pagato il vectigal la terra non avrebbe
potuto essere sottratta né a lui, né ai suoi eredi, né gli acquirenti a
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titolo particolare. Quindi il concessionario aveva solo una
possessio, che perdeva nel momento in cui cessava di pagare il
canone. a tutela del concessionario vi erano gli interdetti possessori
cui poteva ricorrere per evitare di essere spossessato o per
recuperare il possesso da chi lo avesse spossessato. Il pretore
concesse a tutela del concessionario, anche l’actio in rem che
consentiva al titolare del ius in agro vectigali di rivendicare il fondo
nei confronti di chiunque lo possedesse.
La superficie: è un diritto reale di godimento su cosa altrui, in virtù
del quale un soggetto diverso dal proprietario del fondo, poteva
costruire e mantenere una costruzione sul suolo altrui. In età
classica vi era solo il principio superficie solo credit. Gaio afferma
che: ciò che nel nostro suolo viene costruito da latri, sebbene
l’abbia edificato per sé, diventa nostro per diritto naturale, perché la
superficie accede al suolo. In età repubblicana tale principio viene
superato, si diffuse in fatti, l’uso dei magistrati di concedere
mediante corrispettivo chiamato solarium, la possibilitàdi costruire
sul suolo pubblico, nei fori e sulle starde. Era questo, il caso delle
tabernae o botteghe degli argentarii, i banchieri. Pur in presenza
della concessione, il suolo restava pubblico ma il costruttore aveva
la piena disponibilità della bottega che poteva anche alienare o
distruggere. L’uso di concedere il diritto di edificare sull’altrui suolo
si affermò anche nei rapporti privati: in tal caso si creava un
rapporto derivante da un contratto di locatio-conductio dal quale
nasceva solo un diritto di obbligazione, vincolante tra le parti ed i
loro eredi. Il concessionario per tutelare il suo diritto nei confronti
dei terzi poteva farsi cedere le azioni spettanti verso i terzi stessi al
proprietario del suolo. Per garantirsi il suo diritto nei confronti dei
successivi acquirenti del suolo, il concessionario poteva ottenere
dal proprietario l’impegno per il terzo, cioè l’impegno a far rispettare
il suo diritto anche da parte dei terzi acquirenti. Quindi la tutela del
superficiario operava soltanto sul piano obbligatorio nei confronti
del concedente e la superficie non si configurava come vero e
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proprio diritto reale. Al superficiario il pretore accordava tutela
mediante l’interdectum de superficiebus, accordato sul modello
degli interdetti possessori, fece sì che il che conduttore a differenza
di ogni altro locatario, potesse essere considerato e protetto come
possessore della superficie, al riguardo si parlò di quasi possessio.
In età giustinianea,le cose cambiarono, sembra che il principio
superficies solo credit non avesse valore generale e quantomeno in
alcune regioni dell’impero era ammessa la proprietà per piani
orizzontali. Il diritto del superficiario fu considerato come
appartenente alla categoria degli iura in re aliena (conferisce al suo
titolare la quasi totalità dei poter del proprietario)e non come una
autonoma forma di proprietà, dal momento che Giustiniano volle
mantenere, la validità del principio superficies solo credit.
L’enfiteusi: è il diritto reale , alienabile, trasmissibile nei negozi
mortis causa e tra vivi, di avere il pieno ed esclusivo uso o
godimento altrui con l’obbligo di non deteriorarlo e di pagare un
canone annuo. Come ben sappiamo gran parte del terreno, val a
dire quella coltivabile a grano, veniva affidata ai contadini per un
periodo di tempo inferiore a cinque anni, dietro l’obbligo di versare
allo Stato, anziché un canone una quota del prodotto del fondo però
accadde che lo Stato trovandosi in grande difficoltà prese a
calcolare la quinta non sul reddito reale ma su un reddito ipotetico e
ben presto i contadini impoveriti e non costretti dall’autorità
imperiale a lasciare i loro villaggi, incominciarono a rivolgersi ai
ricchi proprietari terrieri che prendevano questi estensioni di terra e
a loro volta li subaffittavano ai contadini. Nel V secolo si vennero a
formare due concessioni: 1) ius perpetum che aveva ad oggetto
fondi del fisco ed era irrevocabile; 2) ius emphyteuticarium che
aveva ad oggetto i fondi imperiale, era rinnovabile. Pichè
quest’ultimo comportava un aumento del canone, queste due
concessioni furono unificate sotto la denominazione di us
emphyteuticarium, sottoposti al controllo del concedente che non
era più lo Stato e presentavano il carattere delle perpetuità dello
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ius perpetum. I grandi proprietari terrieri, erano riusciti a farsi
riconoscere la titolarità dei poteri sovrani dapprima ricevuti come
enfiteuti, che dopo aver frazionato concedevano essi stessi, ora, a
dei contadini in posizione di enfiteuti. Quindi l’enfiteusi da
concessioni pubblica divenne privata che alcune configuravano
come locazione, altre come compravendita fino a quando Zenone
nel 480 d. C diede all’enfiteusi una regolamentazione che la
distingueva sia dalla locazione e dalla compravendita. Sulla base
dell’individuazione della persona sulla quale doveva ricadere il
danno prodotto da forza maggiore, egli stabilì che: il danno ricadeva
sul concedente se la forza maggiore distruggeva il fondo, in questo
caso l’enfiteusi era regolata come locazione, se invece i danni
erano temporanei e riparabili, essi ricadevano sull’enfiteuta e quindi
equiparabili al compratore, quindi in questo caso l’enfiteusi era
regolata come compravendita. Giustiniano, dettò nuove regole in
materia: dopo aver abolito il divieto di dare questi terreni in
enfiteusi(sino ad allora in vigore), si preoccupò di evitare che gli
enfiteuti approfittassero della mancanza di efficaci controlli da parte
delle autorità ecclesiastiche, ricordano che la funzione dell’enfiteusi
era quella di rendere coltivabili terreni incolti o semiincolti e stabilì
che se l’enfiteuta non migliorava la condizione del fondo questo
doveva tornare al proprietario. L’enfiteuta può esercitare sul fondo
le facoltà che spettano al proprietario: può costituirvi servitù urbane
e rustiche, darlo in usufrutto, sottoporlo a ipoteca. Fa i suoi frutti al
momento della separazione. È tenuto però al pagamento al
proprietario del canone, qualora noj paga per tre anni allora decade
dal suo diritto e il proprietario può riacquistare la piena disponibilità
del fondo. L’enfiteuta può cedere ad altri il proprio diritto ma in
questo caso il proprietario ha il diritto di prelazione e quindi può
anche far cessare l’enfiteusi. Al fine di consentire l’esercizio di
questa prelazione l’enfiteuta deve notificare al proprietario la
volontà di cedere l’enfiteusi. Se non lo fa decade dal suo diritto. Se
il proprietario non si vale del diritto di prelazione l’enfiteuta deve al
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proprietario stesso la cinquantesima parte del prezzo di cessione.
Per quanto riguarda la tutela dell’enfiteuta, vengono concesse
alcune azioni utili che sono previste dallo ius civile a favore del
proprietario che in via pretoria si estendono all’enfiteuta, tra cui
l’actio in rem analoga alla rei vindicatio.
Diritti reali di garanzia avevano la funzione di garantire un credito.
Le prime forme di garanzia usate dai romani, non erano in quanto
non conferivano a colui che veniva garantito un diritto reale su un
bene. Le prime forme furono le garanzie personali cioè prestate da
un persona che garantiva il comportamento del convenuto e in
mancanza ne subiva personalmente le conseguenze(cioè doveva
garantire la presenza del convenuto al processo seguente). Il
credito può essere garantito attraverso il Pactum fiduciae ovvero il
patto con il quale si trasferiva la cosa mediante mancipatio o iure in
cessio dal fiduciante al fiduciario e si stabilisce che la cosa debba
essere usata dal fiduciario per un determinato scopo e restituita al
fiduciante. Questo trasferimento era accompagnato da un accordo
tra le parti basato sulla fiducia e l’atto in complesso veniva chiamato
fiducia cum creditore, che non dà luogo però a un diritto reale di
garanzia poiché lo scopo di garanzia del credito viene raggiunto
non mediante la costituzione di un diritto reale su cosa altrui ma con
il trasferimento della cosa stessa al creditore. A partire dl III secolo
a. C. il debitore viene tutelato con l’actio fiduciae qualora il creditore
non rispettava il factum fiduciae e non restituiva il bene al debitore.
In età postclassica, il termine fiducia venne sostituito da pignus, I
diritti reali di garanzia vennero dunque a porsi accanto alle garanzie
personali in un momento successivo e svilupparono nel corso del
periodo preclassico e classici e furono:
pegno datum: questo pegno poteva avere ad oggetto qualunque
cosa mobile, sia mancipi sia nec mancipi, venne riconosciuto
quando il pretore nel suo editto concesse al creditore la tutela
interdittale della cosa pignorata, quindi è una convenzione
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accompagnata dalla consegna della cosa dal debitore al creditore.
I patti erano simili a quelli del negozio fiduciario a scopo di garanzia
e potevano consistere nella lex commissoria in base alla quale la
cosa diventava del creditore che in caso di inadempimento
dell’obbligazione garantita, oppure nella lex venditionis che in caso
di inadempimento autorizzava il creditore a vendere la cosa,
soddisfacendosi sul ricavato e restituendo l’eccedenza al debitore.
Nel 326 Costantino vieta la lex commissoria cioè il patto per il
quale il creditore può diventare proprietario della cosa data in
pegno. In caso di inadempimento del debitore pignoratizio, può può
vendere il pegno qualora il debitore adempie all’obbligazione
garantita cessa il diritto di pegno e il debitore ha diritto alal
restituzione della cosa che può essere fatta valere mediante l’actio
pignoratizia directa.
Pignus Giordano: è un istituto che prende il nome dall’imperatore
Giordano che concesse al creditore pignoratizio, titolare di ulteriori
crediti rispetto a quelli garantiti dal pegno, di trattenere la cosa
finchè il debitore non avesse estinto tutti i debiti. Il creditore
convenuto in giudizio per restituire la cosa poteva opporre l’exceptio
doli, se tutti i debiti erano stati estinti.
All’inizio dell’età classica si decise che le cose che devono andare
in pegno le continuava ad avere il debitore. Questo tipo di pegno,
costituito mediante un accordo informale detto conventio, veniva
chiamato pignus conventum e venne anche denominato hypotecha
poiché si cominciò a stipulare patti con i quali si conveniva che
determinati beni del debitore ovvero strumenti di lavoro e altre
scorte, portati dal colono sul fondo potessero essere presi con la
forza dal creditore in caso di inadempimento. La prima tutela
concessa nel periodo classico fu l’interdictum Salvianum, se il
colono non pagava il canone il proprietario del fondo si poteva
impossessare degli strumenti di lavoro. Tuttavia questo mezzo era
esercitabile verso il colono, non verso i terzi ai quali il colono stesso
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avesse ceduto i beni e soltanto in seguito fu introdotta un’azione
pretoria actio Serviana che permetteva al locatore di perseguire
anche i terzi possessori. In età post-classica pignus e hypoteca
fanno parte della categoria unitaria del pegno, comprensivo del
pignus datum e di quello conventum. Nella compilazione
Giustinianea il pignus datum era applicabile ai beni mobili e quello
conventum era applicabile a quelli immobili. Vi era ancora il
principio prior tempore potior iure secondo il quale la soddisfazione
dei creditori ulteriori era subordinata alla estinzione del credito
anteriore. In età postclassica si ammise tuttavia che il creditore di
grado ulteriore potesse esercitare il ius offerendi, offrendosi di
soddisfare il credito di uno o più dei creditori anteriori, subentrando
al posto di questi nella scala di priorità,a che contro la loro volontà e
la regola rimase in vigore nel diritto giustinianeo.
Il possesso: a proposito dell’ager publicus, la parola possessio
indicava una signoria di fatto su questo terreno, alla fine dell’età
antica, il concetto di possessio venne a includere la situazione
originariamente denominata usus, sempre che avesse per ogetto
un bene corporale pirvato o un complesso di beni come l’eredità,
ma non il potere sulle persone come l’esercizio di fatto del potere
sulla moglie, che continuò a essere chiamato usus. La possessio
era dunque un rapporto di fatto con la cosa che tuttavia godeva di
una protezione giuridica, grazie alla concessione da parte del
pretore di appositi interdetti. I romani chiamavano possessio sia
quel che noi chiamiamo possesso, sia quel che noi chiamiamo
detenzione. Per possesso, noi oggi intendiamo il godimento di fatto
di una cosa(indicato con l’espressione corpore possidere)
accompagnata dall’intenzione di tenere per sé la cosa, con
esclusione di altri(animus possidendi). L’animus possidendi nasce
dall’elaborazione dei giuristi romani volta a distinguere la possessio
dalla semplice detenzione(possessio alieno nomine o naturalis
possessio) che si quando manca appunto l’animus possidendi
perché il detentore ha la cosa in base a un rapporto che implica il
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riconoscimento della proprietà di altri. Per possedere era
necessario la detenzione materiale della cosa ma anche l’animus
possidendi e qualora mancava uno di questi due elementi il
possesso veniva perduto. Ricordiamo che chi aveva insufficiente
capacità di agire come il pazzo non poteva acquistare il possesso.
Si ammise però che in alcuni casi si potesse mantenere il possesso
con il solo animus come nel caso dei pascoli che venivano
abbandonati d’inverno per tornarvi d’estate o quello del servo
fuggito. La tutela del possesso era interdittale e gli interdetti
possono essere di tre tipi:
1) Adipiscendae possessionis: consentono l’acquisto del
possesso nei confronti dei possessori non ritenuti meritevoli.
L’interdetto concesso al bonorum emptor al fine di prendere
possesso dei beni del debitore, e quello concesso al bonorum
possessor(erede pretorio) per prendere possesso dei beni
ereditari contro il volere di colui che attualmente li possedeva.
2) Interdicta retinendae possessionis: diretti a vietare atti che
turbavano il possessore della cosa e si suddividono:
interdicta uti possidetis per i beni immobili, serve a tutelare il
possessore degli immobili. Il pretore ordinava al molestatore di
far cessare la molestia purchè l’attuale possessore non gli
avesse tolto il possesso con violenza o con clandestinità
nell’ultimo anno. Se questo se era verificato, l’interdetto non
veniva concesso e quindi il molestatore poteva andare avanti
fino a riprendersi il possesso in maniera violenta.
Interdictum utrubi per i beni mobili, il possessore può
ottenere tale interdetto se il suo possesso ha avuto nel corso
dell’ultimo anno una durata maggiore rispetto all’avversario
della turbativa. Questo interdetto non proteggeva
necessariamente il possesso attuale del bene.
3) Interdicta reciperandae possessionis: interdetti diretti a
reintegrare nella disponibilità del bene il possessore che ne è
stato spogliato: interdectum de vi(con la violenza ma senza
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armi) presupponeva lo spoglio al possessore senza armi e
poteva essere chiesto dal possessore, dopo lo spoglio
avvenuto entro 1 anno di essere reintegrato nel suo possesso.
Qualora il possesso era viziato non poteva chiedere
l’interdetto. Interdictum de vi armata( con violenza armata) il
possessore chiedeva di essere reintegrato nel possesso del
bene, senza limiti di tempo, anche se il possesso risultasse
viziato(in modo clandestino).
In fine Giustiniano fuse quest’ultimi interdetti accordando che il
possessore poteva chiederlo entro 1 anno anche se si fosse
comportato in modo clandestino.

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