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Camillo Trapani
Dipartimento di Matematica e Informatica
Università di Palermo
In questa prima sezione ci occuperemo della definizione di spazio normato e di come su uno
spazio normato sia possibile introdurre una topologia, compatibile con la struttura algebrica di
spazio vettoriale.
Definizione 1.1.1 Sia E uno spazio vettoriale (o lineare) sul campo C dei numeri complessi.
Una norma su E è un’applicazione di E in R che associa a v 7→k v k con le seguenti proprietà:
(i) kvk ≥ 0, ∀v ∈ E
(ii) kvk = 0 ⇔ v = 0
Uno spazio E su cui è definita una norma è detto uno spazio normato. In uno spazio normato
si può introdurre una distanza ponendo
ρ(v, w) = kv − wk
(D2) ρ(v, w) = 0 ⇔ v = w
Ogni spazio normato è dunque uno spazio metrico, ma il viceversa è falso. Dalle proprietà
della distanza, infatti, non discende la (iii) della Def. 1.1.1.
Gli spazi vettoriali normati sono esempi particolari dei cosiddetti spazi localmente convessi.
L’importanza di questi spazi sta nel fatto che, grazie alla struttura lineare, la topologia dello
spazio è nota quando sia nota una base d’intorni di un prefissato punto x0 . In particolare, si
può scegliere x0 = 0. Infatti se U = {U } è una base d’intorni di zero è facile verificare che
Ux = {x + U } dove
x + U = {x + y : y ∈ U }
è una base d’intorni di x.
In parole povere, in uno spazio localmente convesso, gli intorni di x si ottengono traslando
di x gli intorni di zero.
E’ utile a questo punto ricordare alcune definizioni e proprietà relative agli spazi metrici.
Definizione 1.1.4 Sia (E, ρ) uno spazio metrico. Una successione {xn } di elementi di E è
detta una successione di Cauchy se ∀ > 0 ∃N () tale che se n, m ≥ N () ⇒ ρ(xn , xm ) < .
Dimostrazione – Sia xn → x e scegliamo > 0 ; allora esiste N () tale che per n > N () ρ(xn , x) < /2.
Se anche m > N () allora ρ(xm , x) < /2 e quindi
ρ(xn , xm ) ≤ ρ(xn , x) + ρ(xm , x) < per n, m > N ()
Definizione 1.1.6 Uno spazio metrico (E, ρ) è detto completo se ogni successione di Cauchy
converge in E
Esempio 1.1.7
Gli spazi C e R sono completi; lo spazio Q dei numeri razionali non è completo.
Definizione 1.1.9 Uno spazio normato (E, k · k) è completo se esso è completo come spazio
metrico con la metrica indotta. Uno spazio normato completo è detto uno spazio di Banach.
In questa sezione discuteremo due esempi di spazi di funzioni che sono spazi di Banach.
Esempio 1.1.10
Indichiamo con C[0, 1] l’insieme delle funzioni continue nell’intervallo chiuso [0, 1] a valori in C. È facile
rendersi conto del fatto che C[0, 1] è uno spazio vettoriale sul campo dei complessi. Se f ∈ C[0, 1] poniamo
Si può dimostrare facilmente (esercizio!) che in questo modo si definisce una norma in C[0, 1]. Per
provare la completezza di questo spazio basta notare che la convergenza di una successione {fn } rispetto
alla norma ( 1.1 ) è equivalente alla convergenza uniforme ed utilizzare il ben noto risultato che afferma
che se una successione {fn } di funzioni continue converge uniformemente a una funzione f , allora f è
continua.
Esempio 1.1.11
(Spazi Lp ) Siano f, g due funzioni misurabili (secondo Lebesgue) in R. Si dice che f e g sono equivalenti
se l’insieme
{x ∈ R : f (x) 6= g(x)}
ha misura nulla ovvero se f (x) = g(x) quasi ovunque (q.o.). Con Lp (R) , 1 ≤ p < ∞ indichiamo l’in-
sieme delle classi di equivalenza (rispetto alla relazione definita sopra) delle funzioni misurabili (secondo
Lebesgue) tali che
Z 1/p
p
kf kp ≡ |f (x)| dx <∞ (1.2)
R
kf + gkp ≤ kf kp + kgkp
Poiché vale ( 1.3 ), la disuaglianza di Minkowski implica che kgk kp < 1 per k = 1, 2, 3. · · · . Per il lemma
di Fatou, applicato a gk (x)p , risulta allora kgkp ≤ 1 . In particolare g(x) < ∞ quasi ovunque (q.o.),
cosicché la serie
∞
X
fn1 + (fni+1 − fni ) (1.5)
i=1
converge assolutamente per quasi ogni x ∈ R. Indichiamo la somma di ( 1.5 ) con f (x) per quegli x in
cui ( 1.5 ) converge; poniamo, inoltre, f (x) = 0 sul rimanente insieme di misura nulla. Poiché
k−1
X
fn1 + (fni+1 − fni ) = fnk , (1.6)
i=1
si vede che
f (x) = lim fni q.o. (1.7)
i→∞
Vogliamo provare che f è anche il limite in Lp di fn . Scegliamo > 0. Allora esiste un N tale che
kfn − fm kp < se n > N ed m > N . Per ogni m > N , sempre dal lemma di Fatou segue che
Z Z
|f − fm |p dx ≤ lim inf |fni − fm |p dx. (1.8)
R i→∞ R
Non entriamo in ulteriori dettagli sugli spazi Lp perché andremmo lontano dai nostri scopi.
Ci limitiamo a ricordare, senza dimostrarla, una rilevante proprietà di approssimazione con
funzioni continue.
Teorema 1.1.13 Per 1 ≤ p < ∞ lo spazio C0 (R) delle funzioni continue a supporto compatto
in R è denso in Lp (R).
Per concludere questa breve discussione sugli spazi Lp sottolineamo che si possono anche consi-
derare gli spazi Lp (E) dove E è un qualsiasi insieme misurabile in R e che, sempre nell’ipotesi
1 ≤ p < ∞, le proprietà stabilite sopra continuano a valere.
Anche se ci stiamo occupando di spazi di Banach alcune proprietà elementari degli operatori
lineari non dipendono dalla completezza dello spazio e verranno perciò date per spazi normati.
Definizione 1.1.14 Un’ applicazione T da uno spazio normato (E1 , k · k1 ) nello spazio normato
(E2 , k · k2 ) è detta operatore lineare limitato se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
Il più piccolo C per cui (ii) è soddisfatta è detto norma di T e si indica con kT k. Si ha
kT k = sup kT vk2 (1.9)
kvk1 =1
Abbiamo detto che gli spazi normati sono spazi metrici e negli spazi metrici si introduce, nel
modo a tutti noto, il concetto di continuità di un’applicazione (sia essa lineare o no). In spazi
normati, la nozione di continuità per operatori lineari è del tutto equivalente alla nozione di
limitatezza introdotta sopra (nel teorema che segue useremo la stessa notazione per norme in
spazi differenti; non vi è, infatti, pericolo di ambiguità).
Teorema 1.1.15 Sia T un operatore lineare dallo spazio normato E nello spazio normato F .
Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
Dimostrazione – (i) ⇒ (ii) Sia T continuo in x0 . Allora ∀ > 0 esiste un intorno U (x0 ) tale che
∀x ∈ U (x0 ) riesce
kT x − T x0 k <
Sia y0 un qualunque punto di E. È facile vedere che V = y0 − x0 + U (x0 ) è un intorno di y0 e che per
y ∈ V si ha kT y − T y0 k < .
(ii) ⇒ (iii) . Evidentemente T è continuo in zero. Allora scelto = 1 esiste un δ > 0 tale che per
x 1 1 1
kxk < δ si ha kT xk < 1. Sia x 6= 0 e y = kxk C con 0 < C < δ allora, evidentemente kyk = C < δ e
1
kT yk = Ckxk kT xk < 1 cosicché
kT xk < Ckxk.
(iii) ⇒ (i). Se kT xk < Ckxk per ogni x ∈ E, per kxk < C risulta kT xk < e quindi T è continuo.
Indichiamo con B(E, F ) l’ insieme degli operatori lineari limitati da E in F . È facile
dimostrare che la somma di operatori limitati è un operatore limitato. E lo stesso vale per il
multiplo scalare di un operatore. B(E, F ) è quindi uno spazio lineare.
Esercizio 1.1.16 Dimostrare l’ultima asserzione. Provare inoltre che se F è uno spazio di Banach,
anche B(E, F ) è uno spazio di Banach rispetto alla norma (1.9).
Fra gli operatori lineari discussi nella sezione precedente rientrano certamente quelli per i quali
in particolare F = C. Gli elementi di B(E, C) prendono il nome di forme o funzionali lineari
continui (o, che è lo stesso, limitati) su E. Una notazione corrente è E 0 = B(E, C). Lo spazio
E 0 è detto spazio duale di E. La norma di un elemento f di E 0 è definita dalla (1.9) che si può
anche scrivere nella forma
|f (x)|
kf k = sup
x∈E kxk
6 1. Spazi di Banach e Spazi di Hilbert
Non è questa la sede per addentrarci in uno studio dettagliato della teoria della dualità. Ci
limitiamo quindi ad alcune osservazioni e a mostrare alcuni esempi.
Esempio 1.1.17
(Spazi Lp ) Sia Lp (R) , 1 ≤ p < ∞ lo spazio discusso nell’ Esempio 2. Valgono le seguenti affermazioni:
kf gk1 ≤ kf kp kgkq
(disuguaglianza di Hölder)
0
(ii) Sia T un elemento di {Lp (R)} . Allora esiste g ∈ Lq (R) , p−1 + q −1 = 1 , con kgkq = kT kLp 0 tale
che Z
T (f ) = f (x)g(x) dx
R
Definizione 1.2.1 Sia V uno spazio lineare. Un’applicazione che associa ad una coppia ordinata
{x, y} di elementi di V × V un numero complesso (x, y) è detta un prodotto scalare se sono
soddisfatte le seguenti condizioni:
(iii) (x, x) ≥ 0 ∀x ∈ V
(iv) (x, x) = 0 ⇔ x = 0
• (0, y) = 0, ∀y ∈ V
La (iii) e la (iv) della def. 1.2.1 permettono di definire una norma in V , ponendo
Per verificare che si tratta effettivamente di una norma nel senso della Sezione 1.1 bisogna
provare le disuguaglianze stabilite nel seguente teorema.
Proposizione 1.2.3 In uno spazio V in cui è definito un prodotto scalare valgono le seguenti
disuguaglianze:
comunque presi x, y ∈ V .
Dimostrazione – (i) Siano x, y ∈ V . Se (x, y) = 0 non c’è nulla da dimostrare. Supponiamo dunque
che (x, y) 6= 0 e sia a è uno scalare. Si ha
Scegliendo
kxk2
a=− ,
(y, x)
si perviene a
kxk4 kyk2
0 ≤ kxk2 − kxk2 − kxk2 +
|(x, y)|2
E quindi l’asserto.
(ii)
Definizione 1.2.4 Due vettori, x e y di uno spazio a prodotto scalare V si dicono ortogonali
se (x, y) = 0. Una famiglia {xi } di vettori di V è detta una famiglia ortonormale se (xi , xi ) = 1
e (xi , xj ) = 0 per i 6= j.
Esercizio 1.2.5 Siano x e y vettori ortogonali di uno spazio a prodotto scalare V e sia z = x + y.
Dimostrare che vale il teorema di Pitagora; cioè che kzk2 = kxk2 + kyk2 .
8 1. Spazi di Banach e Spazi di Hilbert
Definizione 1.2.6 Uno spazio a prodotto scalare H che sia completo rispetto alla norma definita
sopra è detto uno spazio di Hilbert.
Esempio 1.2.7
Per n fissato lo spazio Cn di tutte le n-ple di numeri complessi
z = (z1 , z2 , . . . , zn )
Esempio 1.2.8
Lo spazio L2 (R) definito nel capitolo precedente è uno spazio di Hilbert se il prodotto scalare di due
elementi f, g è definito da Z
(f, g) = f (x)g(x) dx (1.10)
R
Per rendersi conto del fatto che (1.10) è ben definito, basta ricordare la disuguaglianza di Hölder. La
completezza di L2 (R) è già stata stabilita col teorema di Riesz-Fisher. Sottolineamo il fatto che la
disuguaglianza triangolare provata in (1.2.3 ), nel caso di L2 (R) è un caso particolare della disuguaglianza
di Minkowski.
Esempio 1.2.9
Lo spazio C[0, 1] delle funzioni complesse continue in [0, 1] è uno spazio a prodotto scalare se si pone
Z 1
(f, g) = f (x)g(x) dx
0
se 0 ≤ x ≤ 12 − n1
0
n
fn (x) = x − 2 + 2 se 21 − n1 ≤ x ≤ 12 + n1
1 1
2
1 se 21 + n1 ≤ x ≤ 1
per n > 2.
È facile verificare che se f è la funzione discontinua
0 se 0 ≤ x ≤ 12
f (x) =
1 se 21 < x ≤ 1
si ha Z 1
lim |fn (x) − f (x)|2 dx = 0
n→∞ 0
} Osservazione 1.2.10 In uno spazio a prodotto scalare V o, in particolare, in uno spazio di Hilbert,
si possono introdurre due nozioni di convergenza per una successione xn di vettori. La prima è la conver-
genza rispetto alla norma definita dal prodotto scalare, detta talvolta convergenza forte: la successione
1.2. La Geometria dello Spazio di Hilbert 9
Prima di concludere questa sezione diamo, sotto forma di lemma, due identità che ci saranno
utili nel seguito.
È abbastanza chiaro che se M è un sottospazio chiuso di H allora è esso stesso uno spazio di
Hilbert con la norma indotta.
(i) X ⊂ Y ⇒ Y ⊥ ⊂ X ⊥
⊥
(ii) X = X ⊥ dove X indica la chiusura di X in H
(iii) X ⊥⊥⊥ = X ⊥
Di particolare interesse è il caso dei sottospazi. Il seguente teorema mostra che esistono
vettori perpendicolari ad ogni sottospazio chiuso e, inoltre, che essi sono abbastanza numerosi
da far sı̀ che
H = M + M⊥ = {x + y|x ∈ M, y ∈ M⊥ }
Lemma 1.2.16 Sia H uno spazio di Hilbert e M un suo sottospazio chiuso. Per ogni x ∈ H
esiste un elemento z ∈ M che realizza la minima distanza di x da M.
Dimostrazione – Sia d = inf y∈M kx−yk. Allora esiste una successione {yn } ⊂ M tale che kx−yn k → d.
Ma allora, utilizzando il Lemma 1.2.11, si ha
e quest’ultimo termine tende a zero per n, m → ∞. Quindi {yn } è una successione di Cauchy che, dunque,
converge ad un elemento z ∈ M. È facile verificare che kx−zk = d. Per dimostrare l’unicità, supponiamo
che z 0 sia un altro elemento di M soddisfacente le stesse proprietà. Con calcoli simili ai precedenti si
trova:
Teorema 1.2.17 Sia H uno spazio di Hilbert ed M un suo sottospazio chiuso. Ogni x ∈ H
può essere decomposto, in unico modo, nella somma
x = z + w con z ∈ M, w ∈ M⊥ .
Questo implica che −2t<(w, y) + t2 kyk2 ≥ 0 ∀t ∈ R; perché ciò accada è necessario e sufficiente che
il discriminante ∆ di questo polinomio sia non positivo. Ma ∆/4 = <(w, y)2 ; quindi, necessariamente,
<(w, y) = 0. Un calcolo analogo, con it al posto di t, mostra che anche =(w, y) = 0.
Un’interessante conseguenza del teorema di proiezione è la seguente
Il seguente teorema, noto come Lemma di Riesz o anche come Teorema di rappresentazione
di Riesz, è uno dei risultati fondamentali della teoria degli spazi di Hilbert di cui caratterizza i
funzionali lineari continui. Esso è dovuto a Riesz e a Fréchet.
Ly (x) = (x, y) ∀x ∈ H
e questo conclude la prova della prima parte. Per dimostrare il viceversa, consideriamo un funzionale
lineare continuo L su H. Possiamo supporre che L 6= 0 (in caso contrario basta scegliere y = 0). Posto
M = KerL, M è un sottospazio chiuso di H che non coincide con H. Allora M⊥ 6= {0}. Sia u ∈ M⊥
con kuk = 1. Si ha:
L(L(u)x − L(x)u) = L(u)L(x) − L(x)L(u) = 0
cioè
L(x) = (x, u)L(u)
Posto y = uL(u) si ha L ≡ Ly .
Proviamo l’unicità. Sia z ∈ H un altro vettore tale che L = Lz . Allora
ky − zk = kLy−z k = kLy − Lz k = kL − Lk = 0
e quindi y = z.
Un’ interessante applicazione del lemma di Riesz è il seguente
Teorema 1.2.20 Sia B(·, ·) una forma sesquilineare limitata su H, cioè un’applicazione di
H × H in C che soddisfa le seguenti condizioni:
Resta da provare l’unicità. Sia A0 un altro operatore lineare tale che B(x, y) = (x, Ay) ∀x, y ∈ H. Allora
(x, A0 y − Ay) = 0, ∀x ∈ H; ma H⊥ = {0}. Ciò conclude la dimostrazione.
In uno spazio di dimensione finita gioca, come si sa, un ruolo fondamentale il concetto di base.
Lo scopo di quanto faremo in seguito è di estendere il concetto di base a uno spazio di Hilbert:
la cosa non è, evidentemente, banale essendo uno spazio di Hilbert, in genere, di dimensione
infinita. Abbiamo già definito cosa intendiamo per sistema ortonormale di vettori. Un insieme
ortonormale S di vettori di H è detto una base ortonormale di H se S non è contenuto propria-
mente in nessun altro insieme di vettori ortonormali di H. Con un semplice argomento che fa
uso del lemma di Zorn si può dimostrare il seguente:
} Osservazione 1.2.22 Il teorema precedente non dice nulla sulla cardinalità di una base. Noi non ci
addentreremo nello studio di questo particolare aspetto della teoria. Ci limiteremo ad osservare che, oltre
agli spazi di Hilbert di dimensione finita, che posseggono quindi una base costituita da un numero finito
di vettori, esistono spazi di Hilbert che ammettono una base numerabile di vettori ortonormale e spazi di
Hilbert con base ortonormale non numerabile. Quest’ultimo caso è per noi di scarso interesse. Gli spazi
di Hilbert che noi considereremo saranno sempre separabili (cioè ammettono un insieme di vettori denso
e numerabile).
Esercizio 1.2.23 Dimostrare che lo spazio P H delle funzioni f : [0, 1] → C che sono non nulle al
più in un sottoinsieme numerabile di [0, 1] e t∈[0,1] |f (t)|2 < ∞ è uno spazio di Hilbert rispetto al
prodotto interno X
(f, g) := f (t)g(t), f, g ∈ H.
t∈[0,1]
Dimostrare che il sottospazio F delle funzioni f : [0, 1] → R tali che f (t) 6= 0 solo per un numero
finito di punti t ∈ [0, 1] costituisce un sottospazio denso di H. Dimostrare che H non è separabile.
1.2. La Geometria dello Spazio di Hilbert 13
Vale il seguente
Teorema 1.2.24 Uno spazio di Hilbert è separabile se, e soltanto se, ammette una base orto-
normale costituita, al più, da una infinità numerabile di vettori.
Prima di andare avanti è opportuno stabilire alcune proprietà elementari dei sistemi orto-
normali di vettori.
È utile avere a disposizione qualche criterio che ci permetta di stabilire se una data succes-
sione di vettori ortonormali en costituisce una base. Cominciamo con l’osservare che se en è una
successione ortonormale ed x un vettore arbitrario di H la serie
X∞
(x, ei )ei
i=1
P∞
Questa è nota come disuguaglianza di Bessel. Essa implica, in particolare che i=1 (x, ei )ei
converge sempre (anche se non necessariamente ad x).
Teorema 1.2.26 Sia {en } una successione di vettori ortonormali di H. {en } è una base or-
tonormale se, e soltanto se, l’unico vettore di H ortogonale a tutti i vettori di {en } è il vettore
nullo.
Dimostrazione – Se {en }⊥ 6= {0}, esiste in H un vettore z non nullo ortogonale a tutti i vettori en . Il
sistema costituito da z e dai vettori en è, allora, un sistema di vettori ortonormali (se si sceglie kzk = 1)
che contiene propriamente la successione data, che quindi non può essere una base.
Viceversa, se {en }⊥ = {0} allora è chiaro che il sistema degli en non può essere incluso in nessun
altro sistema ortogonale.
La seguente proposizione chiarisce il senso del nome base dato a un sistema di vettori
ortonormali massimale.
Proposizione 1.2.27 Sia {en } una successione di vettori ortonormali di H. Le seguenti affer-
mazioni sono equivalenti:
(ii) x = ∞
P
i=1 (x, ei )ei ∀x ∈ H
(iii) (x, y) = ∞
P
i=1 (x, ei )(ei , y) ∀x, y ∈ H
P∞
P∞ – (i) ⇒ (ii). (x −
Dimostrazione i=1 (x, ei )ei , ej ) = (x, ej ) − (x, ej ) = 0 e quindi, per il teorema
1.2.26, x − i=1 (x, ei )ei = 0.
(ii) ⇒ (iii). Basta moltiplicare scalarmente x e y dove averli rappresentati come in (ii).
(iii) ⇒ (iv). Basta porre nella (iii) x = y
(iv) ⇒ (i). Supponiamo che x sia ortogonale a tutti gli ei . Allora, dalla (iv), kxk = 0 e dunque
x = 0. L’affermazione segue quindi dal teorema 1.2.26.
Esempio 1.2.28
Sviluppo in serie di Fourier.– Nello spazio di Hilbert L2 (0, 2π), le funzioni zn (x) = einx , n ∈ Z costi-
tuiscono un insieme ortogonale . Poiché kzn k22 = 2π, le funzioni en (x) = (2π)−1/2 einx costituiscono un
insieme ortonormale. Per mostrare che è una base, occorre far vedere che l’unico vettore di L2 (0, 2π)
ortogonale a tutte le en è il vettore nullo. Sia f una funzione continua in (0, 2π) tale che
Z 2π
f (x)e−inx dx = 0 ∀n ∈ Z
0
f (x) > η/2 > 0. Consideriamo il polinomio trigonometrico T (x) = 1 − cosδ + cos(x − x0 ). T (x) gode
delle seguenti proprietà:
> 1 |x − x0 | < δ
T (x) = 1 x − x0 = ±δ
< 1 |x − x0 | > δ
e quindi
Z
Z x0 +δ x0 −δ Z 2π Z 2π
n n n
T (x)f (x) dx = T (x)f (x) dx + T (x)f (x) dx ≤ |f (x)| dx
x0 −δ 0 x0 +δ 0
perché T n (x) < 1 per |x − x0 | > δ. Sia µ = min{T (x), x ∈ (x0 − δ/2, x0 + δ/2)}. In quest’intervallo
f (x) > η/2. Quindi
Z x0 +δ Z x0 +δ/2
η
T n (x)f (x) dx ≥ T n (x)f (x) dx ≥ µn δ
x0 −δ x0 −δ/2 2
ma µ > 1 ; siamo perciò pervenuti a una contraddizione.
Sia f non continua ma in L2 (0, 2π) e quindi in L1 (0, 2π). Poniamo
Z x
F (x) = f (t) dt.
0
F è continua e poiché f è ortogonale a qualunque polinomio trigonometrico, essa è ortogonale anche alle
funzioni costanti, cosicchè F (0) = F (2π) = 0. Se T (x) è un polinomio trigonometrico, integrando per
parti, si ha Z 2π Z 2π
0= T (x)f (x) dx = − T 0 (x)F (x) dx
0 0
G(x) = F (x) − C
1
R 2π
con C = 2π 0
F (x) dx, G è ortogonale a tutte le funzioni del sistema; allora, necessariamente, G = 0
cioè F = C. Ma F (0) = 0 e, in definitiva, f = 0 quasi ovunque.
Definizione 1.3.1 Un successione {xn } di vettori di H costituisce una base di Schauder (diremo,
semplicemente, base) se, per ogni x ∈ H esiste un’unica successione {cn } tali che
∞
X
x= cn xn ,
n=1
cioè se
N
X
x − cn xn
→ 0, per n → ∞.
n=1
} Osservazione 1.3.4 Ogni base di Schauder è un sistema completo. Il viceversa non è vero, in
generale.
(xn , ym ) = δn,m .
Sia H uno spazio di Hilbert separabile e {xn } una base di H. Allora ogni x ∈ HH si esprime
come
∞
X
x= cn (x)xn .
n=1
Sia H uno spazio di Hilbert. Indichiamo con B(H) l’insieme degli operatori lineari limitati su
H. Cioè A ∈ B(H) se, e soltanto se, A è lineare ed esiste C > 0 tale che
kAxk ≤ Ckxk, ∀x ∈ H. (2.1)
Essendo H uno spazio di Banach, continuano, ovviamente, a valere tutte le affermazioni a suo
tempo fatte per gli operatori lineari su uno spazio di Banach. In particolare, B(H) è uno spazio
vettoriale su C. Tuttavia, nel caso di uno spazio di Hilbert, vi sono delle peculiarità rilevanti
sulle quali ci soffermeremo.
Ricordiamo che in B(H) è possibile definire una norma nel modo seguente.
kAxk
kAk = sup .
x∈H;x6=0 kxk
Cioè, kAk è il più piccolo dei numeri C > 0 che soddisfano la (2.1). Lasciamo al lettore di
provare che kAk si può esprimere anche nei modi seguenti.
kAk = sup kAxk = sup kAxk.
kxk≤1 kxk=1
Esercizio 2.1.1 Verificare che la k · k definita sopra soddisfa le proprietà di una norma.
LA,y è un funzionale lineare limitato su H; per il lemma di Riesz esiste allora un unico y ∗ ∈ H
tale che
LA,y (x) = (x, y ∗ ) ∀x ∈ H
Poniamo A∗ y = y ∗ . È facile verificare che A∗ è un operatore lineare. Le relazioni seguenti
mostrano che A è limitato
per x = A∗ y si ha
kA∗ yk2 ≤ kAkkA∗ ykkyk
il che prova, ad un tempo, che A∗ è limitato e che kA∗ k ≤ kAk.
Un’immediata conseguenza della definizione di aggiunto è l’uguaglianza A∗∗ = A.
La precedente discussione può essere riassunta nel seguente
Teorema 2.1.2 Per ogni operatore A ∈ B(H) esiste un operatore limitato A∗ tale che
Dimostrazione – Resta da provare soltanto l’uguaglianza delle norme. Abbiamo già visto che kA∗ k ≤
kAk, per ogni A ∈ B(H). Applicando questa stessa relazione ad A∗ si ha: kA∗∗ k ≤ kA∗ k ma A∗∗ = A e
quindi l’asserto.
Esempio 2.1.3
Sia I = [0, 1]. In L2 (I) consideriamo, per g ∈ C(I), lo spazio delle funzioni continue in I, l’operatore
Tg f = gf ∀f ∈ L2 (0, 1) . L’operatore Tg è limitato; infatti,
Z 1 Z 1
kTg f k2 = |gf |2 dx ≤ max |g(x)|2 |f |2 dx.
0 x∈[0,1] 0
La relazione precedente mostra anche che kTg k ≤ kgk∞ := maxx∈[0,1] |g(x)|. In realtà, kTg k = kgk∞ .
Infatti, posto L = kgk∞ , per ogni a ∈]0, L[, l’insieme E = {x ∈ I : |g(x)| > a} è un aperto di misura
positiva. Indicata con χE (x) la funzione caratteristica di E (chiaramente, χE ∈ L2 (I)), si ha
Z Z
2 2
|g(x)χE (x)| dx ≥ a |χE (x)|2 dx.
I I
Esercizio 2.1.4 Nell’esempio precedente si sostituisca l’ipotesi g ∈ C(I) con quella, evidentemente
più debole, g ∈ L∞ (I). Dimostrare che le affermazioni stabilite nell’Esempio 2.1.3 si estendono a
questo caso, con ovvie modifiche delle dimostrazioni.
2.1. Definizioni di base 19
Esercizio 2.1.5 Dimostrare che se A, B ∈ B(H) e (Ax, x) = (Bx, x), per ogni x ∈ H, allora
A = B.
Dimostrazione – (a) È facile dimostrare che (A + B)∗ = A∗ + B ∗ e che (λA)∗ = λ̄A∗ . Dal fatto che
A∗∗ = A ∀A ∈ B(H) segue che l’applicazione è suriettiva. Per l’iniettività, supponiamo che A∗ = 0.
Allora kA∗ k = kAk = 0 e quindi A = 0.
(b)
((AB)x, y) = (A(Bx), y) = (Bx, A∗ y) = (x, B ∗ A∗ y) ∀x, y ∈ H
Dimostrazione – L’applicazione A 7→ A∗ gode, come abbiamo visto, della proprietà A∗∗ = A; essa
è, cioè, un’involuzione in B(H). B(H) è pertanto un’algebra involutiva normata o, brevemente, una *-
algebra normata. Per completare la dimostrazione occorre provare che B(H) è uno spazio completo nella
sua norma. Sia {An } una successione di Cauchy in B(H). Allora, per ogni x ∈ H, la successione {An x}
è una successione di Cauchy in H ed ammette perciò limite y. Posto Ax = y, si definisce un operatore
lineare di H in sé. Proviamo che A è limitato. Dato che {An } è una successione di Cauchy, la successione
delle norme è limitata. Poniamo M = supn∈N kAn k. Si ha allora,
kAxk = lim kAn xk ≤ lim sup kAn k kxk ≤ M kxk, ∀x ∈ H.
n→∞ n→∞
Resta da provare che An converge ad A in norma. Se > 0, esiste n ∈ N tale che, per ogni
n, m > n , kAn − Am k < . Fissato n > n si ha
k(An − A)xk = lim k(An − Am )xk ≤ lim kAn − Am kkxk ≤ kxk.
m→∞ m→∞
20 2. Operatori limitati nello spazio di Hilbert: aspetti generali
} Osservazione 2.1.8 Una *-algebra di Banach A la cui norma soddisfa la condizione ka∗ ak = kak2 ,
per ogni a ∈ A è detta una C*-algebra. La (d) della proposizione 2.1.6 ci consente di concludere che
B(H) è una C*-algebra.
Esempio 2.2.3
L’operatore di moltiplicazione considerato nell’esempio 2.1.3 è simmetrico se, e soltanto se, g è una
funzione a valori reali.
Esempio 2.2.5
Dato un qualunque A ∈ B(H), l’operatore A∗ A è positivo. Infatti,
2.2. Alcuni tipi di operatori limitati 21
L’insieme degli elementi positivi di B(H) sarà indicato con B(H)+ . Esso è un cono; gode,
cioè, delle proprietà seguenti:
Con una dimostrazione simile a quella fatta per la disuaglianza di Schwarz [Proposizione
1.2.3], si prova che, se A ≥ 0,
mI ≤ A ≤ M I, (2.4)
Dunque kAk è un possibile valore di M . Si può anzi provare che kAk è la più piccola costante
positiva per cui la (2.4) è soddisfatta.
Una successione {An } di operatori limitati è detta limitata se esiste L > 0 tale che kAn k ≤ L,
per ogni n ∈ N. Per le successioni monotone e limitate di operatori simmetrici vale un teorema
di regolarità simile a quello che vale per le successioni di numeri reali con le stesse proprietà.
Teorema 2.2.7 Ogni successione monotona e limitata {An } di operatori simmetrici di B(H)
converge fortemente ad un operatore simmetrico limitato A, cioè,
0 ≤ A1 ≤ A2 ≤ . . . ≤ An ≤ . . . ≤ I.
22 2. Operatori limitati nello spazio di Hilbert: aspetti generali
Siano n, m ∈ N con n > m. In questo caso An − Am ≥ 0. Applicando la (2.3), si ha, per ogni
x ∈ H, con kxk = 1,
Adesso osserviamo che, per le ipotesi fatte, ((An − Am )2 x, (An − Am )x) ≤ kxk2 . Dunque
La successione di numeri positivi {(An x, x)} è crescente e limitata e, dunque, convergente. Essa
è perciò di Cauchy. Lo è, quindi, anche la successione {An x}. Poniamo Ax = limn→∞ An x.
Lasciamo al lettore di verificare che A è limitato e simmetrico.
} Osservazione 2.2.8 La stessa affermazione non è in generale vera se si considera la convergenza nella
norma degli operatori. Se, ad esempio, {en } è una base ortonormale in uno spazio di Hilbert separabile
H, la successione {An } di operatori definiti da
n
X
An x = (x, ek )ek
k=1
è crescente e limitata superiormente da I. Si vede facilmente che converge ad I in senso forte. Tuttavia,
non converge ad I in norma, perché kI − An k = 1, per ogni n ∈ N.
Teorema 2.2.9 Ogni operatore positivo A ammette un’unica radice quadrata positiva; esiste,
cioè, un unico operatore X ≥ 0 tale che X 2 = A. L’operatore A1/2 := X commuta con A e con
tutti gli operatori limitati che commutano con A.
Dimostrazione – Si può supporre A ≤ I. Il nostro scopo è di provare l’esistenza di una (e una sola)
soluzione dell’equazione X 2 = A. Posto A = I − B, con 0 ≤ B ≤ I, e Y = I − X, l’equazione da risolvere
prende la forma
1
Y = (B + Y 2 ). (2.5)
2
Costruiamo una successione per ricorrenza ponendo
Y0 = 0
Yn+1 = 12 (B + Yn2 )
La (a) è pressoché immediata. La (b) segue dalla (a) una volta dimostrato che se B ≥ 0 allora B n ≥ 0
(esercizio!), per ogni n. Dalla (a) discende che Yn Ym = Ym Yn per ogni n, m. La (c) è certo vera per
2.2. Alcuni tipi di operatori limitati 23
1
(B + Yn2 ) − (B + Yn−1
2
Yn+1 − Yn = )
2
1
Y 2 − Yn−1
2
=
2 n
1
= (Yn + Yn−1 )(Yn − Yn−1 ) ≥ 0.
2
Anche la (d) è ovviamente vera per n = 0. Supponiamo allora che kYn k ≤ 1. Si ha, allora
1 1 1
kYn+1 k = (kB + Yn2 k) ≤ (kBk + kYn2 k) = (kBk + kYn k2 ) ≤ 1.
2 2 2
Non resta che applicare il Teorema 2.2.7 per concludere che la successione {Yn } ammette limite Y . Un
semplice passaggio al limite nell’uguaglianza Yn+1 = 21 (B +Yn2 ) ci permette di affermare che Y è soluzione
dell’equazione 2.5. Visto che Y è limite forte di una successione di polinomi in B esso commuta con B e
con ogni operatore che commuta con B. Di conseguenza X = I = Y commuta con A e con ogni operatore
che commuta con A.
Resta da provare l’unicità. Supponiamo che esista un altro operatore positivo Z tale che Z 2 = A.
Cominciamo con l’osservare che AZ = ZA = Z 3 e, quindi, Z commuta con X. X e Z sono operatori
positivi. Quindi anch’essi ammettono radici positive. Indichiamole con T ed S rispettivamente. Sia
x ∈ H e poniamo y = (X − Z)x. Si ha
Abbiamo già visto che, se A ∈ B(H), allora A∗ A è un operatore positivo. La sua radice
positiva (A∗ A)1/2 è detta modulo di A e si denota con |A|.
Una classe molto importante di operatori nello spazio di Hilbert è quella delle proiezioni.
Esempio 2.2.13
Sia y un vettore fissato in H, con kyk = 1. L’operatore Py definito da
Py x = (x, y)y, x∈H
è, come si verifica facilmente, un proiettore ortogonale. Il sottospazio di H corrispondente è il sottospazio
unidimensionale generato da y.
Esempio 2.2.14
In L2 (E), dove E è un insieme misurabile, l’operatore PF di moltiplicazione per la funzione caratteristica
χF di un sottoinsieme misurabile F di E è un proiettore. Il sottospazio corrispondente è isomorfo a
L2 (F ).
(i) M ⊆ N ;
(ii) QP = P ;
(iii) P Q = P ;
(iv) kP xk ≤ kQxk, ∀x ∈ H.
(v) P ≤ Q.
La proposizione 2.2.15 mette in evidenza che l’ordinamento parziale dei sottospazi di H, stabilito
dall’inclusione, si riflette completamente sui proiettori di H. Se {Mα } è una qualsiasi famiglia
V sottospazi, il più grande sottospazioTchiuso contenuto in tutti gli Mα , che indicheremo con
di
α Mα è, chiaramente,
V il sottospazio α Mα . Se indichiamo con PV α il proiettore su Mα , al
sottospazio α Mα corrisponderà un proiettore che indicheremo con α Pα . Si ha
^
Pα ≤ Pα , ∀α.
α
W
In modo analogo, se indichiamo conW α Mα il sottospazio di H generato dalla famiglia {Mα }
ad esso corrisponderà un proiettore α Pα con la proprietà
^
Pα ≤ Pα , ∀α.
α
In particolare
P ∨ Q = P + Q − P Q, P ∧ Q = P Q, M ∨ N = M + N.
Esempio 2.2.21
Sia A un operatore limitato ed assumiamo che esista un vettore y ∈ H, con kyk = 1, tale che Ay = λy,
per un certo λ ∈ C. È allora evidente che il sottospazio My generato da y è invariante per A. Tuttavia, il
proiettore Py su My , in generale, non commuta con A. Ricordando, infatti, che, se x ∈ H, Py x = (x, y)y,
si ha
Py Ax = (Ax, y)y e APy x = (x, y)Ay = λ(x, y)y.
D’altra parte, se, in quest’esempio, si suppone che My sia invariante anche per A∗ , allora si ha, com’è
facile vedere, A∗ y = λy e, quindi,
Proposizione 2.2.22 Se M è un sottospazio chiuso invariante sia per A sia per A∗ , allora il
proiettore PM su M commuta con A (e con A∗ ).
Dimostrazione – Infatti, se x, y ∈ H, si ha
perché A∗ PM y ∈ M.
D’altra parte, dato che per ogni x ∈ H, APM x ∈ M,
Dunque APM = PM A.
Teorema 2.2.23 Ogni operatore simmetrico A si decompone nella differenza di due operatori
positivi A+ e A− tali che A+ A− = A− A+ = 0.
Dimostrazione – Sia |A| = (A2 )1/2 . Dato che |A| è limite di una successione di polinomi in A2 , esso
commuta con A e con ogni operatore limitato che commuta con A. Poniamo
|A| + A |A| − A
A+ = e A− = .
2 2
1 1
A+ A− = (|A| + A)(|A| − A) = (|A|2 − A2 ) = 0.
4 4
(i) U è unitario;
(ii) U ∗ = U −1 ;
(iii) U ∗ U = U U ∗ = I;
(U x, y) = (U x, U U −1 y) = (x, U −1 y)
Esempio 2.2.26
In L2 (R) consideriamo l’operatore U definito nel modo seguente. Se t ∈ R, poniamo ft (x) = f (x − t) e
definiamo
(U f )(x) = ft (x), f ∈ L2 (R).
Lasciamo al lettore di verificare che U è un operatore unitario.
Esempio 2.2.27
In L2 ([0, +∞[) consideriamo l’operatore U definito nel modo seguente. Se t > 0, poniamo
f (x − t) se x ≥ t
ft (x) =
0 se x < t
e definiamo
(U f )(x) = ft (x), f ∈ L2 ([0, +∞[).
Quest’operatore è isometrico ma non è unitario. Il suo aggiunto U ∗ associa a g(x) ∈ L2 ([0, +∞[) la
funzione g t (x) = f (x + t) e non è, perciò, isometrico.
28 2. Operatori limitati nello spazio di Hilbert: aspetti generali
Esempio 2.2.28
Sia H = L2 (R). La trasformata di Fourier fb = T f data da
Z
1
f (x) = √
b e−ixy f (y)dy
2π R
Questi fatti costituiscono il contenuto del Teorema di Fourier-Plancharel. È il caso di notare che gli
integrali usati per definre sia la trasformata di Fourier sia la sua inversa devono essere intesi nel senso
della convergenza in L2 (R), essi sono cioè il risultato di approssimazioni con i corrispondenti integrali
calcolati su una successione di funzioni regolari convergenti ad f (nel caso del primo integrale) o ad fb
(nel caso del secondo).
Oltre alla topologia della norma (detta anche topologia uniforme) in B(H) è utile introdurre
altre topologie. Esse non sono definite da una norma, ma da famiglie separanti di seminorme.
(i) p(v) ≥ 0 ∀v ∈ E
Una famiglia {pα }α∈I è detta separante se per ogni v ∈ E, v 6= 0, esiste α ∈ I tale che
pα (v) 6= 0.
Una famiglia separante di seminorme definisce su E una topologia localmente convessa di
Hausdorff su E. Una base di intorni di 0 è costituita dagli insiemi del tipo
px (A) = kAxk, x ∈ H,
2.4. Commutanti e Algebre di von Neumann 29
induce su B(H) una topologia localmente convessa, che indicheremo con ts , detta topologia forte
degli operatori. Essendo
la topologia ts è meno fine della topologia uniforme tu definita dalla norma degli operatori
limitati. Quindi, per esempio, se una successione {An } di operatori limitati converge in norma
ad un operatore limitato A, essa converge ad A anche fortemente. Il viceversa è, in generale
falso.
Esempio 2.3.2
Sia {en } una base ortonormale di uno spazio di Hilbert separabile H. Consideriamo la successione {Pn }
di proiettori definiti da
n
X
Pn x = (x, ek )ek .
k=1
Cioè, k(I − Pn )xk → 0, per ogni x ∈ H o, in altri termini, Pn → I fortemente. La successione {Pn } non
converge a I in norma, perché kI − Pn k = 1, per ogni n ∈ N.
induce su B(H) un’altra topologia localmente convessa, che indicheremo con tw , detta topologia
debole degli operatori. Essendo
Porremo M00 = (M0 )0 ; M00 è detto il bicommutante di M. Risulta M ⊆ M00 ; M000 := (M00 )0 = M0 ,
etc.
Si vede facilmente che M0 è una sottoalgebra di B(H). Se M = M∗ , cioè se M contiene,
insieme con un elemento A anche il suo aggiunto A∗ , allora M0 è una *-sottoalgebra di B(H).
30 2. Operatori limitati nello spazio di Hilbert: aspetti generali
w
Se M è una sottoalgebra di B(H), contenente l’identità I, la sua chiusura debole M è
certamente un sottoinsieme di M00 , perché questo è debolmente chiuso.
s
Teorema 2.4.2 Sia M una *-sottoalgebra di B(H), contenente l’identità I. Allora M00 = M ,
la chiusura forte di M.
Dimostrazione – Dobbiamo dimostrare che, fissato un B ∈ M00 , per ogni > 0 e per ogni x ∈ H esiste
A ∈ M tale che kBx − Axk < .
Sia x ∈ H e definiamo M = Mx = {Cx : C ∈ M}. Il sottospazio M è invariante per ogni operatore
A ∈ M (e quindi anche per A∗ ). Anche la sua chiusura M è dunque invariante per ogni operatore di M.
Per la proposizione 2.2.22 il proiettore P := PM commuta con ogni operatore A ∈ M. Cioè P ∈ M0 . Si
ha quindi, P B = BP e M è invariante anche per B. Questo implica che Bx ∈ M . Quindi esiste A ∈ M
tale che kBx − Axk < .
(ii) M = M00 .
s w s
Dimostrazione – (i)⇒(ii): Utilizzando il teorema precedente si ha, M ⊆ M ⊆ M ⊆ M00 = M .
w s
Quindi M = M = M00 . Se M è debolmente chiusa, risulta allora M = M00 . L’implicazione (i)⇒(ii) è
ovvia, dato che M00 è, in ogni caso, debolmente chiusa.
} Osservazione 2.4.4 Le *-sottoalgebre di B(H), con identità, per cui si verifica l’una o l’altra delle
condizioni equivalenti del precedente corollario, svolgono un ruolo chiave nella teoria degli operatori.
Esse sono dette Algebre di von Neumann, dal nome di John von Neumann che per primo le studiò
(1948 circa). La teoria delle algebre di von Neumann rappresenta uno degli argomenti più fecondi della
ricerca matematica contemporanea e trova applicazioni negli ambiti più disparati: dalla geometria non
commutativa alle teorie quantistiche. La loro trattazione va comunque al di là dell’ambito di un corso
iniziale sulla teoria degli operatori.
Capitolo 3
Mλ = {x ∈ H : (A − λ)x = 0}
è un sottospazio chiuso di H. La sua dimensione (finita o infinita che sia) è chiamata molteplicità
di λ.
(ii) La funzione λ ∈ ρ(A) → Rλ (A) ∈ B(H) è una funzione analitica in ogni componente
connessa di ρ(A).
(iii) Per ogni λ, µ ∈ ρ(A), gli operatori Rλ (A) e Rµ (A) commutano e vale la relazione
Dimostrazione – (i): Fissiamo λ0 ∈ ρ(A) e cominciamo con il considerare la serie di elementi di B(H)
∞
X
(λ − λ0 )n [Rλ0 (A)]n . (3.1)
n=1
Si ha:
n+p
n+p n+p
X
X X
(λ − λ0 )k [Rλ0 (A)]k
≤ |λ − λ0 |k k[Rλ0 (A)]k k ≤ |λ − λ0 |k k[Rλ0 (A)]kk .
k=n+1 k=n+1 k=n+1
Se |λ − λ0 | < k[Rλ0 (A)]k−1 , la serie (3.1) soddisfa, perciò, la condizione del criterio di Cauchy rispetto
alla norma di B(H) ed è quindi convergente. Poniamo, allora,
∞
( )
X
X(λ, A) = Rλ0 (A) I + (λ − λ0 )n [Rλ0 (A)]n .
n=1
Calcoliamo X(λ, A)(A − λI). Tenendo conto della continuità della moltiplicazione rispetto alla norma di
B(H) si ha
∞
( )
X
n n
X(λ, A)(A − λ) = Rλ0 (A) I + (λ − λ0 ) [Rλ0 (A)] (A − λI)
n=1
∞
( )
X
= Rλ0 (A) I + (λ − λ0 )n [Rλ0 (A)]n ((A − λ0 I) − (λ − λ0 )I)
n=1
∞
( )
X
n n+1
= Rλ0 (A) + (λ − λ0 ) [Rλ0 (A)] ((A − λ0 I) − (λ − λ0 )I)
n=1
∞
X ∞
X
= I+ (λ − λ0 )n [Rλ0 (A)]n − (λ − λ0 )Rλ0 (A) − (λ − λ0 )n+1 [Rλ0 (A)]n+1
n=1 n=1
= I.
Quindi (A − λ)−1 esiste e (A − λ)−1 = X(λ, A). In conclusione, se λ0 ∈ ρ(A), tutti i λ tali che
|λ − λ0 | < k[Rλ0 (A)]k−1 appartengono al risolvente. Dunque ρ(A) è aperto.
(ii): Come dimostrato nel punto precedente, la funzione λ 7→ Rλ (A) si può esprimere in un intorno di un
punto λ0 ∈ ρ(A) mediante una serie di potenze in λ − λ0 . Essa è, quindi, analitica.
(iii): Si ha per λ, µ ∈ ρ(A),
Rλ (A) − Rµ (A) = Rλ (A)(A − µI)Rµ (A) − Rλ (A)(A − λI)Rµ (A)
= Rλ (A)(A − µI − A + λI)Rµ (A)
= (λ − µ)Rλ (A)Rµ (A).
Questa stessa uguaglianza mostra che Rλ (A) ed Rµ (A) commutano.
Lemma 3.1.4 Se |λ| > kAk, allora λ ∈ ρ(A) e vale il seguente sviluppo in serie, detto di
Neumann:
∞
1X A n
Rλ (A) = − .
λ λ
n=0
Dimostrazione – Se |λ| > η > kAk, dalla dimostrazione del lemma precedente segue che
∞
1 X kAkn 1 η
kRλ (A)k ≤ = · → 0, per |λ| → +∞.
|λ| n=0 η n |λ| η − kAk
Dimostrazione – Poniamo ν = inf{kAn k1/n : n ∈ N}; proveremo che ν = limn→∞ kAn k1/n . Sia > 0;
allora esiste m ∈ N tale che kAm k1/m < ν + . Per n > m si può scrivere n = pm + q con 0 ≤ q ≤ m − 1.
Poiché q/n → 0, risulta pm/n → 1. Quindi
kAn k1/n = kApm+q k1/n ≤ kAm kp/n kAkq/n < (ν + )pm/n kAkq/n .
lim sup kAn k1/n < lim sup(ν + )pm/n kAkq/n = lim (ν + )pm/n kAkq/n = ν + ;
n→∞ n→∞ n→∞
D’altra parte, per ogni n ∈ N, ν ≤ kAn k1/n ; quindi, ν ≤ lim inf n→∞ kAn k1/n . In conclusione,
Con un semplice adattamento dei noti teoremi sulle serie di potenze al caso di serie a coefficienti in un
spazio di Banach, si vede che la serie
∞ n
1X A
Rλ (A) = −
λ n=0 λ
nel senso che essa converge per |λ| > R e non converge per |λ| < R. Quindi r(A) ≤ limn→∞ kAn k1/n .
D’altra parte se fosse r(A) < limn→∞ kAn k1/n , ogni η ∈ C con r(A) < |η| < limn→∞ kAn k1/n apparter-
rebbe a ρ(A); in tutta le regione |λ| > r(A), la funzione f (λ) = Rλ (A) ammetterebbe sviluppo di Laurent
convergente; in altre parole, la corrispondente serie di Neumann
∞
X An
Rη (A) = −
n=0
η n+1
dovrebbe essere convergente dunque in un punto che ha modulo minore del suo raggio di convergenza. Il
che è impossibile.
k k k k
Se A è simmetrico, allora kA2 k = kAk2 e kA2 k = kAk2 . Quindi, r(A) = limk→∞ kA2 k1/2 = kAk
Esempio 3.1.11
Sia I = [a, b]. Sia K(x, y) una funzione misurabile e limitata nel triangolo a ≤ y ≤ x ≤ b. Nello spazio
L2 (I) consideriamo l’operatore (di Volterra di II tipo) definito da
Z x
(AK f )(x) = K(x, y)f (y)dy, f ∈ L2 (I).
a
La funzione K(x, y) è detta nucleo integrale dell’operatore AK . Una semplice applicazione della disugua-
glianza di Schwarz mostra che AK f ∈ L2 (I) per ogni f ∈ L2 (I) e che AK è limitato (si veda la sezione
3.2.3). Il nostro scopo è di calcolare il raggio spettrale di AK . Prima di procedere notiamo che se K1 (x, y)
3.1. Lo spettro di un operatore limitato 35
e K2 (x, y) sono due nuclei integrali di questo tipo, il prodotto degli operatori AK1 e AK2 si può esprimere
anch’esso mediante un nucleo integrale. Per il teorema di Fubini, si ha, infatti
Z x
(AK1 AK2 f )(x) = K1 (x, y)(AK2 f )(y)dy
Zax Z y Z x Z x
= K1 (x, y) K2 (y, z)f (z)dz dy = f (z) K1 (x, y)K2 (y, z)dy dz.
a a a z
Se si pone Z x
(K1 ⊗ K2 )(x, z) = K1 (x, y)K2 (y, z)dy,
z
si ha Z x
(AK1 AK2 f )(x) = (K1 ⊗ K2 )(x, z)f (z)dz.
a
K1 ⊗ K2 si chiama prodotto di convoluzione di Volterra dei due nuclei. Se K1 = K2 =: K, scriveremo,
per brevità, K (2) invece di K ⊗ K, etc. Sulla base di questa premessa è chiaro che si può scrivere
Z x
n
(AK f )(x) = K (n) (x, z)f (z)dz.
a
x 2
Z x 2
C 2n
Z
|(AnK f )(x)|2 ≤ (n)
|K (x, y)| |f (y)|dy ≤ (x − y)n−1
|f (y)|
a ((n − 1)!)2 a
Z x Z x
C 2n 2n−2
≤ (x − y) dy · |f (y)|2 dy
((n − 1)!)2 a a
C 2n (x − a)2n−1
≤ kf k2 .
((n − 1)!)2 2n − 1
(C(b − a))2n
kAnK f k2 ≤ kf k2
(n!)2
e, dunque,
(C(b − a))n
kAnK k ≤
n!
36 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
dove g(x) è una fissata funzione di L2 (I). La conclusione è che quest’equazione possiede, per ogni λ 6= 0,
una e una sola soluzione in L2 (I). Lasciamo al lettore la verifica di quest’affermazione.
Concludiamo questa sezione elencando alcune proprietà elementari dello spettro di un operatore.
C’è una classe di operatori limitati, detti compatti o anche completamente continui che condivide
diverse proprietà degli operatori lineari negli spazi di dimensione finita.
Definizione 3.2.1 Un operatore A definito nello spazio di Hilbert H si dice compatto se l’im-
magine {Axn } di ogni successione {xn } limitata in H contiene una sottosuccessione convergente.
Proposizione 3.2.2 Ogni operatore compatto è limitato; cioè K(H) ⊆ B(H). Inoltre, K(H) =
B(H) se, e soltanto se, H è di dimensione finita.
Dimostrazione – Supponiamo che A non sia limitato. Allora, esiste una successione {xn } ⊂ H tale
che kxn k = 1 e kAxn k → +∞. Dalla successione {Axn } non si può, quindi estrarre una sottosuccessione
convergente.
Se dimH = +∞, l’operatore I, identità di H, non è un operatore compatto. In questo caso, infatti, esiste
un sistema ortonormale numerabile {en } di vettori di H, cioè ken k = 1, (en , em ) = 0, se n 6= m. Poiché
dalla successione {en } non si può estrarre alcuna sottosuccessione convergente. Se, infine, dimH = n <
+∞, lo spazio H essendo isomorfo a Cn è localmente compatto. Se A ∈ B(H), data una successione
limitata {xn }, anche la successione {Axn } è limitata. Da essa si può quindi estrarre una sottosuccessione
convergente.
(i) A è compatto.
(ii) Se xn → x debolmente e yn → y debolmente, allora (Axn , yn ) → (Ax, y).
(iii) Se xn → x debolmente, allora Axn → Ax nella norma dello spazio di Hilbert.
Dimostrazione – (i)⇒ (ii): Se non fosse cosı̀ esisterebbe 0 tale che per infiniti valori dell’indice n,
|(Axn , yn ) − (Ax, y)| ≥ 0 . (3.3)
Si può quindi trovare una sottosuccessione di {xn } che soddisfa (3.3). Continuiamo ad indicarla con
{xn }. La successione {xn } è limitata in norma (Principio di uniforme limitatezza), quindi da {xn } si può
estrarre una sottosuccessione {xnk } tale che {Axnk } sia convergente. Risulta Axnk → Ax. Infatti visto
che xnk → x, debolmente, e Axnk → z si ha:
(Axnk , y) → (z, y), ∀y ∈ H.
Ma
(Axnk , y) = (xnk , A∗ y) → (x, A∗ y) = (Ax, y), ∀y ∈ H.
Da questo segue facilmente che z = Ax. Utilizzando questo fatto, abbiamo quindi
0 ≤ |(Axnk , ynk )−(Ax, y)| ≤ |(Axnk −Ax, ynk )|+|(Ax, ynk −y)| ≤ kAxnk −Axkkynk k+|(Ax, ynk −y)| → 0,
e questa è una contraddizione.
(ii)⇒ (iii): Sappiamo che se xn → x debolmente, allora anche Axn → Ax debolmente. Dunque, posto
vn = xn − x e zn = Axn − Ax, si ha
kAxn − Axk2 = (Axn − Ax, Axn − Ax) = (Avn , zn ) → 0.
(iii)⇒ (i): Sia {xn } una successione limitata in norma; senza ledere la generalità, possiamo supporre
che kxn k ≤ 1, per ogni n ∈ N. Il teorema di Banach-Alaglou garantisce che la boccia unitaria di H è
debolmente compatta. Quindi da {xn } si può estrarre una sottosuccessione {xnk } debolmente convergente
a un x della stessa boccia unitaria. Allora Axnk → Ax.
Diamo adesso alcuni esempi.
Esempio 3.2.4
Sia P il proiettore su un sottospazio M di H di dimensione finita. Allora P è compatto. Viceversa se un
operatore di proiezione P è compatto allora la sua immagine P H è un sottospazio di dimensione finita.
Esempio 3.2.5
Sia H uno spazio di Hilbert e y, z due vettori fissati di H. L’operatore
Ax = (x, y)z, x∈H
è compatto. Infatti se {xn } è una successione limitata, la successione {Axn } ammette certamente una
sottosuccessione convergente, perché dalla successione limitata di numeri complessi (xn , y) è possibile
estrarre una sottosuccessione convergente, per il Teorema di Bolzano-Weierstrass.
Esempio 3.2.6
Generalizzando l’esempio precedente possiamo affermare che ogni operatore (di rango finito) del tipo
n
X
Ax = (x, yj )zj ,
j=1
Per vederlo, supponendo che dimR(A) = n, fissiamo una base di R(A), che possiamo sup-
porre ortonormale. Sia essa {z1 , . . . , zn }. Allora esistono dei numeri complessi non tutti nulli
λ1 , . . . , λn , tali che
X n
Ax = λj zj .
j=1
Non resta adesso che scegliere i vettori y1 , . . . , yn in modo che (x, yj ) = λj . Lasciamo al lettore
di verificare che questa scelta è sempre possibile.
Dalla discussione precedente e dall’esempio 3.2.6 segue subito che
Dimostrazione – Siano A, B operatori compatti e {xn } una successione limitata di vettori di H. Allora
esiste una sottosuccessione {xnk } tale che la successione {Axnk } è convergente. Dalla successione {xnk }
si può estrarre una sottosuccessione xnkh in modo che Bxnkh sia concergente. La successione {Axnkh +
Bxnkh } è, dunque, convergente. Per dimostrare che K(H) è chiuso, consideriamo una successione {An } di
operatori compatti tali che kAn −Ak → 0, per n → ∞, per qualche A ∈ B(H). Dobbiamo dimostrare che A
è compatto. Sia {xn } una successione limitata di vettori di H. Indichiamo con {x1n } una sottosuccessione
(1) (1) (2)
di {xn } tale che A1 {xn } sia convergente. Adesso estraiamo da {xn } una sottosuccessione {xn } in
(2) (n)
modo che A2 {xn } e cosı̀ via. Poniamo yn = xn . Poiché {yn } è una sottosuccessione di ognuna delle
(k)
successioni {xn }, per ogni k fissato {Ak yn } è convergente. Sia > 0 e k sufficientemente grande perché
sia kA − Ak | < e prendiamo N cosı̀ grande che risulti kAk yn − Ak yn+p k < per ogni n > N, p > 0.
Allora,
kAyn − Ayn+p k ≤ k(A − Ak )(yn − yn+p )k + kAk (yn − yn+p )k ≤ (2M + 1)
dove M = sup kxn k. La successione {Ayk } è quindi di Cauchy e, perciò, convergente. In conclusione, A
è un operatore compatto.
Dimostrazione – Sia {xn } una successione limitata e {xnk } una sottosuccessione tale che {Axnk } è
convergente. Allora anche {BAxnk } è convergente, per la continuità di B. Analogamente, essendo B
limitato, la successione {Bxn } è limitata; quindi, da {A(Bxn )} si può estrarre una sottosuccessione
convergente.
3.2. Operatori compatti 39
Dimostrazione – Sia {xn } una successione limitata (kxn k ≤ C) e {xnk } una sottosuccessione tale che
{A∗ Axnk } è convergente. Si ha
kAxnk −Axnh k2 = (Axnk −Axnh , Axnk −Axnh ) = (A∗ A(xnk −xnh ), xnk −xnh ) ≤ kA∗ A(xnk −xnh )kkxnk −xnh k.
La proposizione 3.2.13 ci permette di dimostrare che sono compatti alcuni tipi di operatori
integrali. Consideriamo lo spazio di Hilbert L2 ([a, b]). Per brevità, poniamo Q = [a, b] × [a, b] e
consideriamo una funzione K(x, y) ∈ L2 (Q). Porremo
Z 1/2
2
kKk2,Q = |K(x, y)| dxdy .
Q
Dato che kKk2,Q < +∞, dal teorema di Fubini segue che l’integrale
Z b
|K(x, y)|2 dy
a
Quindi la funzione
Z b 1/2
2
k(x) = |K(x, y)| dy
a
è un elemento di L2 ([a, b]) e kkk2 = kKk2,Q . Sia adesso f (x) ∈ L2 ([a, b]). L’integrale
Z b
K(x, y)f (y)dy
a
40 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
è definito per tutti gli x dove k(x) è finita. Mostriamo che la funzione
Z b
g(x) = K(x, y)f (y)dy
a
La funzione K(x, y), che determina l’operatore AK , è detto nucleo (integrale) dell’operatore. Un
nucleo K(x, y) è detto di rango finito se esistono delle funzioni ξj , ηj ∈ L2 ([a, b]), j = 1, . . . n tali
che
Xn
K(x, y) = ξj (x)ηj (y).
j=1
Teorema 3.2.15 Per ogni nucleo K(x, y) ∈ L2 (Q) esiste una successione {Kn (x, y)} di nuclei
di rango finito tali che
kK − Kn k2,Q → 0 per n → +∞.
Si ha
lim |K(x, y) − KN (x, y)|2 = 0.
N →+∞
3.2. Operatori compatti 41
Inoltre |K(x, y) − KN (x, y)|2 ≤ |K(x, y)|2 , per ogni (x, y) ∈ Q. Il teorema di convergenza dominata di
Lebesgue implica allora che Z
|K(x, y) − KN (x, y)|2 dxdy → 0.
Q
è limitata (|KN (x, y) − uN,n (x, y)|2 < 4N 2 ) e converge a zero quasi ovunque. Ancora il teorema di
convergenza dominata di Lebesgue ci permette di dire che
Z
2
kKN − uN,n k2,Q = |KN (x, y) − uN,n (x, y)|2 dxdy → 0.
Q
Per concludere, non resta che osservare che ogni funzione a gradini su Q si può esprimere nella forma
n
X
ξj (x)ηj (y).
j=1
è compatto.
Dimostrazione – Intanto osserviamo che AK è limite, nella norma di B(H) di una successione di
operatori di rango finito. Sia, infatti, {Kn } la successione di nuclei di rango finito che approssima K,
nella norma k · k2,Q . Si ha allora, per la (3.4),
L’affermazione segue allora dalla compattezza degli operatori di rango finito e dal fatto che K(H) è chiuso
nella norma di B(H).
Esempio 3.2.17 Pn
Sia K(x, y) = j=1 ξj (x)ηj (y) un nucleo di rango finito. Cerchiamo le condizioni su λ ∈ C per cui
esistono soluzioni dell’equazione integrale
Z b
K(x, y)f (y)dy − λf (x) = g(x), g ∈ L2 ([a, b)]. (3.5)
a
42 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
o, in breve,
n
X
(f, ηi )ξi − λf = g. (3.6)
i=1
Questa stessa equazione ci permette di affermare che, se λ 6= 0, la soluzione f (x) deve avere la forma
n
1 1X
f (x) = − g(x) + αi ξi (x).
λ λ i=1
Cioè,
n n
− 1 (g, ηi ) + 1
X X
αj (ξj , ηi ) − αi ξi = 0.
i=1
λ λ j=1
che ponendo βi = (g, ηi ), cij = (ξj , ηi ) e ricordando che αi = αj δij , dove δij indica il simbolo di Kronecker,
si scrive infine
Xn
(cij − λδij )αj = βi , i = 1, 2, . . . n.
j=1
Siamo quindi pervenuti ad un sistema lineare di n equazioni nelle n incognite α1 , . . . , αn . Esso ammette
una e una sola soluzione se, e soltanto se, λ non si annulla il determinante det(cij −λδij ) è non nullo. Come
vedremo tra poco questi valori di λ costituiscono il risolvente ρ(AK ) dell’operatore AK corrispondente al
nucleo K. Lo spettro di AK è costituito dai λ che annullano il determinante det(cij − λδij ). Essi sono
autovalori di AK . In definitiva, l’equazione integrale (3.5) ammette una e una sola soluzione per ogni λ
tale che det(cij − λδij ) 6= 0
Teorema 3.2.18 Sia H uno spazio di Hilbert separabile. Ogni operatore compatto è limite di
operatori di rango finito.
n
X
Tn x = (x, ek )T ek .
k=1
3.3. La teoria spettrale degli operatori compatti 43
dove Qn indica il proiettore sul complemento ortogonale del sottospazio Mn generato dai primi n vettori,
e1 , . . . , en , della base. Il teorema sarà dimostrato se proviamo che limn→∞ αn = 0. La successione di
numeri non negativi αn è decrescente e, quindi, ammette limite α.
Se fosse α > 0, potremmo costruire, a partire da un certo n0 , una successione {zn } di vettori di H
⊥ α
P∞zn ∈ Mn , kzn k = 1 e kT zn k ≥ 2 . La successione {zn } converge debolmente a zero. Infatti se
tali che
y = j=1 βj ej ∈ H si ha,
∞
X ∞
X
(zn , y) = β j (zn , ej ) = β j (zn , ej )
j=1 j=n+1
P∞
essendo (zn , ej ) = 0 per j ≤ n. La convergenza della serie j=1 β j (zn , ej ) implica che, per ogni > 0
esiste k0 tale che per ogni k ≥ k0 ,
∞
X
β j n j < n.
(z , e )
j=k 2
Se k0 ≤ n,
∞
X ∞
X
β j (zn , ej ) = β j (zn , ej ).
j=k j=n+1
Se k0 > n la somma si può far partire da n + 1 perché, in ogni caso i termini precedenti sono nulli. Quindi
∞
X
|(zn , y)| =
β j (zn , ej ) < n → 0.
j=n+1 2
Lemma 3.3.1 Sia λ un autovalore non nullo dell’ operatore compatto A. Allora il sottospazio
Mλ di H degli autovettori relativi a λ, cioè Mλ = {x ∈ H : (A − λ)x = 0}, ha dimensione
finita.
44 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
Dimostrazione – Se cosı̀ non fosse, sarebbe possibile trovare una successione (infinita) {xk } di autovet-
tori di A a due a due ortogonali e tali che kxn k = 1, per ogni n ∈ N. Dalla compattezza di A segue allora
che dalla successione {Axn } si dovrebbe poter estrarre una sottosuccessione convergente. Ma questo è
impossibile perché
Lemma 3.3.2 Sia A un operatore lineare definito in H. Sia {yn } una famiglia di autovettori
corrispondenti agli autovalori distinti {λn }, cioè, (A − λn )yn = 0, λn 6= λk , per n 6= k. Allora i
vettori dell’insieme {yn } sono linearmente indipendenti.
Dimostrazione – Supponiamo che l’affermazione non sia vera e sia k il minimo naturale tale che
Pk−1
y1 , . . . , yk siano linearmente dipendenti. Si ha certamente yk = i=1 βi yi , perché i vettori y1 , . . . , yk−1
sono linearmente indipendenti. Si ha, allora
k−1
X k−1
X
(A − λk I)yk = (A − λk I) βi yi = βi (λi − λk )yi = 0
i=1 i=1
I coefficienti βi (λi − λk ) non sono tutti nulli, perché non lo sono i βi e gli autovalori sono tutti diversi.
La conclusione è che i vettori y1 , . . . , yk−1 sono linearmente dipendenti; il che contraddice la definizione
di k.
Lemma 3.3.3 Sia A un operatore compatto. L’insieme σp (A) degli autovalori di A è finito o
numerabile ed ammette al più il punto 0 come punto di accumulazione.
Dimostrazione – Per prima cosa dimostriamo che l’insieme degli autovalori di A non può avere un punto
di accumulazione λ con λ 6= 0. Se cosı̀ non fosse, esisterebbe una successione di autovalori {λn } distinti
con autovettori yn tali che 0 6= λn → λ 6= 0. Sia Mn il sottospazio genenerato dai vettori {y1 , · · · , yn }.
Mn è invariante per A. Poiché {y1 , · · · , yn } sono linearmente indipendenti, Mn−1 è un sottospazio
proprio di Mn . Quindi Mn contiene un elemento xn tale che kxn k = 1 ed ortogonale a Mn−1 . In questo
modo si costruisce una successione {xn } di vettori di H, limitata. La successione {λ−1n xn } è limitata.
Faremo vedere che da {λ−1 n Axn } non si può estrarre alcuna sottosuccessione convergente. Infatti, se
m < n,
λ−1 −1 −1 −1
n Axn − λm Axm = xn − (λm Axm − λn (A − λn I)xn ).
Il secondo termine a destra appartiene a Mn−1 , perché xm ∈ Mn−1 , Mn−1 è invariante per A e (A −
λn )xn ∈ Mn−1 . Quest’ultima affermazione nasce dalla considerazione che
xn = α1 y1 + α2 y2 + · · · + αn yn ,
Quindi,
kλ−1 −1 2 2 −1 −1 2
n Axn − λm Axm k = kxn k + k(λm Axm − λn (A − λn I)xn )k ≥ 1.
La disuguaglianza precedente mostra che nessuna sottosuccessione di {λ−1 n Axn } può essere convergente.
L’insieme σp (A) è limitato, perché è limitato σ(A). Se σp (A) non ha punti di accumulazione, allora, per
il teorema di Bolzano - Weierstrass, esso è finito. In caso contrario, 0 è l’unico punto di accumulazione.
Dunque in al di fuori di ogni disco {λ ∈ C : |λ| ≤ n1 } può cadere solo un numero finito di autovalori. In
questo caso, quindi, σp (A) è numerabile.
Dimostrazione – Come abbiamo visto, 0 è l’unico possibile punto di accumulazione della successione
{λn } e al di fuori di ogni disco di centro l’origine e raggio cade solo un numero finito di elementi della
successione. Questo prova l’asserto.
Prima di proseguire, diamo un lemma di carattere generale sul nucleo e sull’imagine di un
operatore limitato.
Dunque y ∈ R(A).
Lemma 3.3.6 Sia A un operatore compatto. Se µ 6= 0, allora i sottospazi R(A−µI), R(A∗ −µI)
sono chiusi.
46 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
Poniamo Nk := N ((A∗ −λI)k ), k = 1, 2, . . .. Dalla precedente costruzione segue che Nj−1 è un sottospazio
proprio di Nj . Quindi in ogni Nj è possibile scegliere un vettore yj ortogonale a Nj−1 , con kyj k = 1.
Sia j > k. Allora,
kA∗ yj − A∗ yk k2 = kλyj + (A∗ yj − λyj − A∗ yk k2 ≥ |λ|2 ,
perché
A∗ yj − λyj − A∗ yk = (A∗ − λI)yj − (A∗ − λI)yk − λyk
è un elemento di Nj−1 . Da {A∗ yj } non è possibile, quindi, estrarre alcuna sottosuccessione convergente,
contraddicendo la compattezza di A∗ .
3.3. La teoria spettrale degli operatori compatti 47
} Osservazione 3.3.8 Per simmetria, il lemma precedente implica che è vero anche il viceversa e
dunque σp (A) = σp (A∗ ). Notiamo, infine, che si può dimostrare anche che, se λ è un autovalore di A di
molteplicità n allora λ, come autovalore di A∗ , ha la stessa molteplicità.
Dimostrazione – Intanto è chiaro che σp (A) ∪ {0} ⊆ σ(A). Sia adesso µ ∈ C \ σp (A), µ 6= 0. Allora µ
non è un autovalore di A∗ (v. lemma 3.3.7 e osservazione 3.3.8). Dal lemma 3.3.5 segue allora che
Dunque R(A − µI) = H. Ma R(A − µI) è chiuso (Lemma 3.3.6) e, quindi, (A − µI)−1 è ovunque definito
in H e, perciò, (A − µI)−1 ∈ B(H) (Osservazione ??). In conclusione σ(A) ⊆ σp (A) ∪ {0}.
In definitiva abbiamo dimostrato il seguente
Esempio 3.3.12
Nelle proposizioni precedenti il punto 0, che è sempre un elemento di σ(A) è stato lasciato da parte nelle
nostre considerazioni. Il motivo è che 0 può non essere un autovalore e, se lo è, non è necessariamente
di molteplicità finita. Per vedere qualche esempio, consideriamo uno spazio di Hilbert H separabile e sia
{en } una base ortonormale in H. Definiamo
∞
X
Ax = an (x, en )en ,
n=1
dove {an } è una successione di numeri complessi tali che limn→∞ an = 0. Allora A è limite in norma
degli operatori di rango finito
Xk
Ak x = an (x, en )en
n=1
ed è, perciò, compatto.
1
• se an = n, n ∈ N+ , allora, come si vede facilmente, 0 non è autovalore di A.
• Se an = n1 per n ≥ 5 e an = 0 per n < 5, allora 0 è un autovalore di molteplicità 4. L’autospazio
relativo a 0 è infatti generato da e1 , e2 , e3 , e4 .
• Se an = n1 per n pari e an = 0 per n dispari, 0 è un autovettore di molteplicità infinita. Il relativo
sottospazio è, infatti, generato dai vettori en con n dispari.
48 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
Dimostrazione – Sia z0 ∈ D. Cominciamo con il provare che l’alternativa espressa sopra vale in un
intorno di z0 . Scegliamo r > 0 in modo che, se z ∈ Dr = {z ∈ C : |z −z0 | < r}, risulti kf (z)−f (z0 )k < 21 .
Per il Teorema 3.2.18 esiste un operatore F di rango finito tale che kf (z0 ) − F k < 21 . Si ha dunque,
Dunque, per ogni z ∈ Dr esiste (I − f (z) + F )−1 ed è una funzione analitica di z. L’operatore F è di
rango finito. Esistono dunque due insiemi {v1 , . . . , vn } e {w1 , . . . , wn } di vettori di H tali che
n
X
Fx = (x, vk )wk , x ∈ H.
k=1
Poniamo
vn (z) := ((I − f (z) + F )−1 )∗ vn
e
G(z) := F (I − f (z) + F )−1 .
Se y ∈ H, si ha
Da essa segue che I − f (z) è invertibile per z ∈ Dr se, e soltanto se, I − G(z) è invertibile e che l’equazione
(I − f (z))y = 0 ha soluzioni non nulle se, e soltanto se, l’equazione (I − G(z))h = 0 ha soluzioni non
nulle.
Pn
Se y ∈ H è soluzione di G(z)y = y, allora y = k=1 βk wk , perché esso appartiene all’immagine di
F e risulta
Xn Xn Xn
βk w k = βj wj , vk (z) wk
k=1 k=1 j=1
3.3. La teoria spettrale degli operatori compatti 49
Pn
Viceversa, se il sistema lineare (3.9) ammette la soluzione {β1 , . . . , βn }, allora il vettore y = k=1 βk wk
è soluzione dell’equazione G(z)y = y. In conclusione, l’equazione G(z)y = y ha soluzioni non nulle se, e
soltanto se, il determinante
d(z) := det {δkj − (wj , vk (z))} = 0.
La funzione d(z) è analitica. Se d(z) = 0 identicamente, allora I − G(z) non è invertibile per ogni z ∈ Dr .
Se, invece, essa non è identicamente nulla, i suoi zeri costituiscono un insieme Sr di punti isolati, privo
di punti di accumulazione.
Supponiamo adesso che d(z) 6= 0 e, scelto un vettore
Pn h ∈ H cerchiamo una soluzione dell’equazione
(I − G(z))y = h. Cerchiamo y della forma y = h + k=1 γk wk . Sostituendo nell’equazione si ottiene il
sistema lineare
Xn
(h, vk (z)) = γk − γj (wj , vk (z)).
j=1
Il determinante di questo sistema è esattamente d(z) che, per ipotesi è non nullo: il sistema ammette,
dunque, una e una sola soluzione. In conclusione, (I − G(z))−1 esiste in B(H) se, e soltanto se, z 6∈ Sr .
In questo modo, si è provato che per ogni punto di z0 ∈ D esiste un intorno Dr di z0 in cui o
(I − f (z))−1 non esiste in ogni punto oppure esso esiste tranne al più in un sottoinsieme Sr di Dr di punti
isolati privo di punti di punti di accumulazione. È chiaro che se facciamo variamo z0 in D non abbiamo
alcuna garanzia che questo succeda globalmente su D. Per completare la domostrazione occorre usare la
proprietà di connessione di D. Lasciamo come esercizio al lettore il completamento della dimostrazione.
Teorema 3.3.14 (Riesz - Schauder) Lo spettro σ(A) di un operatore compatto A consiste uni-
camente di 0 e degli autovalori di A. Lo spettro è finito o numerabile ed, in questo caso, ha al
più 0 come punto di accumulazione. Ogni elemento non nullo dello spettro è un autovalore di
molteplicità finita.
Dimostrazione – Basta applicare il teorema 3.3.13 ad f (z) = zA. Allora f (z) è una funzione a
valori negli operatori compatti ed è analitica sull’intero piano complesso. L’insieme S = {z ∈ C : zAy =
y ha soluzioni non nulle} è un insieme di punti isolati senza punti di accumulazione, dato che non coincide
con C visto che 0 6∈ S. Se 1/λ 6∈ S, si ha
−1
−1 1 1
(A − λI) = − I− A
λ λ
e quindi λ ∈ ρ(A). Se l’insieme degli autovalori non è finito, allora esso ammette punto di accumulazione
che non può che essere 0, visto che lo spettro è chiuso. L’insieme degli autovalori è quindi numerabile
(verificare!). Se λ è un autovalore non nullo, il corrispondente autospazio ha dimensione finita (Lemma
3.3.1.
3.3.3 Conseguenze
ammette una, e una sola, soluzione per ogni y ∈ H oppure l’equazione (A − λI)x = 0 ammette
soluzioni non nulle.
Il corollario precedente è una generalizzazione al caso astratto del famoso teorema dell’alternativa
di Fredholm che stabilisce l’affermazione corrispondente per le equazioni integrali della forma
Z b
K(x, y)f (y)dy − λf (x) = g(x)
a
nello spazio di Hilbert L2 ([a, b)] e K ∈ L2 ([a, b] × [a, b]). Come abbiamo già visto, gli operatori
di questo tipo sono compatti.
Dimostrazione – (i): Se Ax = λx, x 6= 0, allora (Ax, x) = λkxk2 e (x, Ax) = λkx2 k. Dunque λ = λ.
(ii): Siano x, y autovettori corrispondenti agli autovalori λ e µ, rispettivamente. Allora
(Ax, y) = λ(x, y); (x, Ay) = µ(x, y).
Ma (Ax, y) = (x, Ay). Dunque, se λ 6= µ, si ha (x, y) = 0.
Teorema 3.3.17 (Hilbert - Schmidt) Sia A un operatore simmetrico compatto in uno spazio
di Hilbert separabile. Allora, esiste una sistema ortonormale {ek } che è una base di H, tale che
Aek = λk ek .
Dimostrazione – Per ogni autovalore λk scegliamo una base ortonormale che genera il sottospazio degli
autovettori relativi a λk (includendo gli autovettori di 0, se questo è un autovalore). L’insieme di tutti
gli autovettori cosı̀ ottenuto, {ek }, è un sistema ortonormale in H, perché autovettori corrispondenti ad
autovalori distinti sono ortogonali. Sia M il sottospazio chiuso di H generato da {ek }. M è invariante per
A ed anche M⊥ lo è. La restrizione di A ad M⊥ , AM⊥ , è un operatore compatto con raggio spettrale
r(AM⊥ ) nullo, perché tutti gli autovettori di A appartengono ad M. Ma kAM⊥ k = r(AM⊥ ) = 0.
Dunque, M⊥ = {0}. Infatti, se 0 6= y ∈ M⊥ , dovrebbe essere Ay = 0 ed y, essendo un autovettore,
dovrebbe appartenere a M. In conclusione M = H.
} Osservazione 3.3.18 Abbiamo dato il teorema di Hilbert - Schmidt nella sua formulazione classica,
supponendo cioè che lo spazio di Hilbert sia separabile. Nel caso in cui lo spazio non sia separabile, la
dimostrazione precedente resta valida con la sola differenza che non sappiamo, a priori, se l’autospazio
relativo a 0 è separabile o no: una base si trova comunque ma potrebbe non essere numerabile. Se 0 non
è un autovalore di A, allora la base che si ottiene è certamente numerabile e lo spazio è automaticamente
separabile.
Se {ek } è la base di autovettori costruita nel teorema precedente, ogni vettore y ∈ H (che
supponiamo separabile) ammette la rappresentazione
∞
X
y= (y, en )en
n=1
3.3. La teoria spettrale degli operatori compatti 51
Teorema 3.3.19 Sia A un operatore simmetrico compatto in uno spazio di Hilbert separabile.
Sia {λn } la successione (possibilmente finita) dei suoi autovalori. Esiste allora una successione
(possibilmente finita) di proiettori {Qn }, di rango finito, a due a due ortogonali tali che
∞
X
A= λ n Qn (3.11)
n=1
Dimostrazione – Sia {λn } la successione degli autovalori distinti di A. Indichiamo con Qn il proiettore
sull’autospazio relativo a λn . Se λn 6= 0, per ogni n, i Qn sono tutti di rango finito, e a due a due
ortogonali. La (3.10) si riscrive nel modo seguente
∞
X
Ay = λn Qn y, y ∈ H.
n=1
Questo ci dice che la serie in (3.11) converge nella topologia forte di B(H). Poniamo
k
X
Ak = λn Qn .
n=1
Dunque,
kA − Ak k ≤ sup |λn |2 → 0 per k → ∞,
n≥k+1
52 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
perché lim λn = 0.
n→∞
Se, infine, 0 non è un autovalore di A, la somma dei Qn dà l’operatore identico perché gli autovettori
costituiscono una base ortonormale di H.
Possiamo adesso dare la forma canonica di un operatore compatto.
Teorema 3.3.20 Sia A un operatore compatto nello spazio di Hilbert separabile H. Allora,
esistono due sistemi di vettori ortonormali {en }, {vn }, non necessariamente completi, e dei
numeri positivi {λn }, con lim λn = 0, tali che
n→∞
∞
X
A= λn (·, en )vn .
n=1
La somma può essere finita o infinita. In quest’ultimo caso, la serie converge in norma. I
numeri {λn } si chiamano valori singolari di A.
1 1
(vn , vm ) = (Aen , Aem ) = (A∗ Aen , em ) = δnm .
λn λm λn λm
dove gli {e0k } sono gli autovettori eventualmente corrispondenti all’autovalore 0. Applicando l’operatore
A, il termine relativo agli {e0k } si annulla (infatti A∗ Ae0k = 0 implica Ae0k = 0). Dunque,
∞ ∞ ∞
X X Aen X
Ax = (x, en )Aen = λn (x, en ) = λn (x, en )vn .
n=1 n=1
λn n=1
La convergenza in norma della serie si dimostra in modo simile a quanto fatto nel teorema 3.3.19.
Dopo aver verificato che l’espressione data sopra definisce un operatore limitato in L2 (I), provare
che A è compatto e che r(A) = 0. Dimostrare che 0 non è un autovalore di A.
3.4. Operatori di classe traccia e di Hilbert - Schmidt 53
Esercizio 3.3.22 Sia I = [0, 1] ed {Ek }k∈N una famiglia di sottoinsiemi misurabili di [0, 1] a due
a due disgiunti e la cui unione restituisce [0, 1]. Per ogni k ∈ N, si indichi con χk (x) la funzione
caratteristica di Ek . Sia {λk } una successione di numeri complessi tendente a 0. Dimostrare che
ogni λk è un autovalore dell’operatore A definito da
∞
!
X
(Af )(x) = λk χk (x) f (x), f ∈ L2 (I).
k=0
Esistono altri elementi dello spettro di A? L’operatore A è compatto? In quali casi il punto 0 è un
elemento dello spettro di A?
Sia H uno spazio di Hilbert separabile, {en } una base ortonormale di H. Per ogni operatore
positivo A ∈ B(H) definiamo la traccia di A come
∞
X
tr(A) = (Aen , en ).
n=1
Proposizione 3.4.1 Il numero tr(A) non dipende dalla base ortonormale scelta per calcolarlo.
Lo scambio delle sommatorie è permesso dal fatto che tutti i termini sono positivi.
54 3. Proprietà spettrali degli operatori limitati
Definizione 3.4.3 Un operatore A ∈ B(H) è detto di classe traccia se tr(|A|) < ∞. Indichere-
mo con T1 l’insieme degli operatori di classe traccia.
Definizione 3.4.4 Sia A un operatore limitato nello spazio di Hilbert separabile H e {en } una
base ortonormale di H. Poniamo
∞
!1/2
X
kAk2 = kAen k2 .
n=1
Si dice che A è un operatore di Hilbert - Schmidt se kAk2 < ∞. Indicheremo con T2 l’insieme
degli operatori di Hilbert - Schmidt.
Dalle uguaglianze
∞
!1/2 ∞
!1/2 ∞
!1/2
X X X
∗
kAk2 = kAen k 2
= (Aen , Aen ) 2
= (A Aen , en ) 2
= tr(A∗ A)1/2
n=1 n=1 n=1
deduciamo che kAk2 non dipende dalla base scelta per calcolarla e che A ∈ T2 se, e soltanto se,
tr(A∗ A)1/2 < ∞.
Dimostrazione – Siano A, B ∈ T2 . Dalla disuguaglianza, valida per ogni coppia di operatori di B(H),
(A + B)∗ (A + B) ≤ 2(A∗ A + B ∗ B)
si deduce subito che A + B ∈ T2 .
Se {en } e {vn } sono basi di H si ha
∞
X ∞ X
X ∞
kA∗ k22 = kA∗ vn k2 = |(A∗ vn , em )|2
n=1 n=1 m=1
X∞ X∞ ∞ X
X ∞
= |(vn , Aem )|2 = |(vn , Aem )|2
n=1 m=1 m=1 n=1
X∞
= kAem k2 = kAk2 .
m=1
3.4. Operatori di classe traccia e di Hilbert - Schmidt 55
Lasciamo al lettore di verificare che (·, ·) definisce un prodotto interno in T2 e che si ha kAk22 =
(A, A). Da questo fatto segue che k · k2 è una norma in T2 .
Teorema 3.4.7 T2 è completo rispetto alla k · k2 ed è, quindi uno spazio di Hilbert.
Dimostrazione – Sia {An } una successione di Cauchy in T2 . Quindi è di Cauchy anche nella norma di
B(H). Esiste, dunque, A ∈ B(H) tale che kAn − Ak → 0. Se n, m sono abbastanza grandi, si ha
s
X
k(An − Am )ek k2 ≤ kAn − Am k22 < 2
k=1
Esempio 3.4.9
Consideriamo un operatore integrale del tipo studiato nella sezione 3.2.3. Se K ∈ L2 (Q) allora AK è
un operatore di Hilbert-Schmidt e kAK k2 = kKk2,Q . Infatti se φn (x) e ψn (x) sono basi ortonormali in
L2 ([a, b]) si ha
∞ X
X ∞
kAK k22 = |(AK φn , ψm )|2
n=1 m=1
2
∞ X ∞ Z b Z b
!
X
= K(x, y)φn (y)dy ψm (x)dx
a a
n=1 m=1
∞ X ∞
2
X Z
= K(x, y)φn (y)ψm (x)dxdy
n=1 m=1 Q
= kKk22,Q .
l’uguaglianza finale segue dal fatto che il sistema di funzioni {φ( x)ψm (x)} costinuisce una base ortonor-
male di L2 (Q).
Capitolo 4
Se la classe degli operatori limitati in uno spazio di Hilbert H gode di proprietà rilevanti, dovute
essenzialmente alla loro continuità, essa non esaurisce di certo la classe degli operatori che si
rivelano interessanti per le applicazioni. Un esempio che già da solo motiva lo studio degli
operatori non limitati è costituito dagli operatori differenziali. Una teoria degli operatori lineari
che lasciasse fuori questa importantissima classe sarebbe certamente fortemente incompleta.
Esempio 4.0.1
Consideriamo, per ora solo formalmente l’operatore di derivazione che agisce sullo spazio di Hilbert L2 (I)
dove I = [0, 1]. È intanto chiaro che quest’operatore non può essere definito sull’intero spazio L2 (I),
perché esso contiene anche funzioni che non sono deivabili in alcun punto di I. Siamo dunque davanti alla
necessità di selezionare un insieme di funzioni di L2 (I) dove l’operatore può agire e dare come risultato
una funzione di L2 (I). Consideriamo, ad esempio, il sottospazio di L2 (I)
Z x
2 2
D(A) = f ∈ L (I) : ∃g ∈ L (I) tale che f (x) = f (0) + g(t)dt.
0
0
Le funzioni di D(A) sono dunque assolutamente continue e g(x) = f (x) q.o. Definiamo
(Af )(x) = g(x), f ∈ D(A).
Da quanto detto sopra, segue che (Af )(x) = f 0 (x) quasi ovunque. L’operatore A definito in questo modo
non è limitato. Per convincercene, consideriamo la successione di funzioni φn (x) = einx . È facile vedere
che φn ∈ L2 (I) e kφn k = 1, per ogni n ∈ N. Le funzioni φn sono di classe C ∞ e, dunque appartengono
certo a D(A). Si ha
kAφn k = kinφn k = n → ∞.
Allora la coppia (A, D(A)) è un operatore lineare. D(A) è detto il dominio dell’ operatore A e
l’immagine R(A) di D(A) mediante A è detto immagine o range dell’ operatore.
Considereremo, in genere, operatori con dominio denso in H, cioè supporremo (D(A))⊥ = {0}
Definizione 4.1.2 Un operatore (B, D(B)) è detto un’estensione di (A, D(A)) se D(A) ⊆ D(B)
e Ax = Bx, ∀x ∈ D(A). In questo caso, scriveremo A ⊆ B.
Definizione 4.1.3 Un operatore (A, D(A)) si dice chiuso se per ogni successione xn di elementi
di D(A) con xn → x e Axn convergente in H risulta x ∈ D(A) e Ax = lim Axn
È facile dimostrare che H × H è uno spazio di Hilbert con questo prodotto scalare. Lo spazio di
Hilbert cosı̀ ottenuto si chiama somma diretta di H con se stesso e si indica con H ⊕ H.
Definizione 4.1.4 Si chiama grafico di un operatore lineare (A, D(A)) il sottoinsieme G(A) di
H ⊕ H definito da
G(A) = { {x, Ax} : x ∈ D(A)}
Da questo momento, in tutti i casi in cui non vi sia possibilità di confusione, ometteremo
l’indicazione esplicita del dominio dell’operatore.
La seguente proposizione è un’immediata conseguenza delle precedenti definizioni.
Proposizione 4.1.5 L’operatore A è chiuso se, e soltanto se, il suo grafico è chiuso in H ⊕ H.
Proposizione 4.1.7 L’operatore A è chiudibile se, e soltanto se, G(A) non contiene vettori del
tipo {0, y} con y 6= 0.
4.1. Operatori chiusi e chiudibili 59
Dimostrazione – Sia B un operatore chiuso tale che A ⊆ B. Allora G(B) è chiuso e G(A) ⊆ G(B).
Quindi G(A) non può contenere vettori del tipo {0, y} con y 6= 0. Viceversa, supponiamo che G(A) non
contenga vettori del tipo {0, y} con y 6= 0 e definiamo
È chiaro che D(A) ⊆ D(B). Se x ∈ D(B), allora esiste un unico y ∈ H tale che {x, y} ∈ G(A) perché se
ve ne fosse un altro, sia esso y 0 , {0, y − y 0 } apparterrebbe a G(A). Allora è lecito porre Bx = y. Dalla
definizione stessa segue che G(B) = G(A) e quindi B è un’ estensione chiusa di A.
È allora chiaro che se A è chiudibile, esso ammette una minima estensione chiusa, detta chiusura
di A e indicata con A; si ha
G(A) = G(A).
Equivalentemente, si può dire che A è l’operatore definito sul dominio
da
Ax = lim Axn (4.2)
n→∞
} Osservazione 4.1.8 Nel caso particolare in cui (A, D(A)) è limitato, cioè esiste una costante M > 0
tale che
kAxk ≤ M kxk ∀x ∈ D(A)
e D(A) è denso in H, la chiusura A di A è un operatore ovunque definito in H. Infatti, se x ∈ H esiste
una successione {xn } ⊂ D(A) che converge ad x. Si ha
La successione {Axn } è, dunque, di Cauchy in H e quindi converge ad un y ∈ H. Quindi dalle (4.1) e
(4.2) si deduce che D(A) = H. È facile dimostrare che A è un operatore limitato in H. Ne segue che un
operatore A limitato e ovunque definito in H è chiuso.
Proposizione 4.1.9 Sia (A, D(A)) un operatore lineare. La forma sesquilineare positiva
definisce un prodotto interno in D(A). L’operatore A è chiuso se, e soltanto se, D(A) è uno
spazio di Hilbert rispetto alla norma k · kA definita dal prodotto interno (·, ·)A .
Dimostrazione – Proviamo solo la seconda parte. Supponiamo che A sia chiuso e sia {xn } una succes-
sione di Cauchy rispetto alla norma kxkA = (kxk2 + kAxk2 )1/2 , x ∈ D(A). Allora, scelto > 0, per n, m
sufficientemente grandi, si ha
Dunque le successioni {xn } e {Axn } sono entrambe di Cauchy rispetto alla norma di H. Esistono dunque
x, y ∈ H tali che xn → x e Axn → y. Dato che A è chiuso risulta x ∈ D(A) e y = Ax. Si verifica
facilmente che kx − xn kA → 0 e dunque D(A) è completo rispetto a k · kA . Lasciamo al lettore la
dimostrazione del viceversa.
60 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Il seguente teorema mostra che un operatore chiuso ma non limitato non può essere ovunque
definito. Per provare questo fatto è necessario tener conto della seguente proprietà degli spazi
di Banach
Lemma 4.1.10 Sia X uno spazio di Banach, rispetto alla norma k · k1 . Se X è uno spazio di
Banach anche rispetto ad una norma k · k2 soddisfacente la condizione
k · k2 ≤ Ck · k1
allora le due norme sono equivalenti. Esiste, quindi, una costante C 0 > 0 tale che
k · k1 ≤ C 0 k · k2 .
Teorema 4.1.11 (del grafico chiuso) Se A è un operatore chiuso e ovunque definito allora A
è limitato.
Esempio 4.1.12
Diamo un esempio di un operatore ovunque definito nello spazio di Hilbert H ma non limitato. Esso è,
dunque, necessariamente non chiuso.
Sia H uno spazio di Hilbert separabile ed {en } una sua base ortonormale. Com’ è noto ogni spazio
vettoriale ammette una base di Hamel contenente un prefissato insieme di vettori linearmente indipen-
denti. Si tratta di una base in senso algebrico, cioè ogni vettore dello spazio si esprime come combinazione
lineare finita di elementi della base. Supponiamo, dunque, che {vα }α∈I sia una famiglia di vettori linear-
mente indipendenti di H tale che {en } ∪ {vα }α∈I costituisca una base di Hamel di H. Se x ∈ H, x si può
rappresentare in modo unico come
X Xn
x= λ α vα + µi ei
α∈F i=1
A è, chiaramente, ovunque definito in H. Tenuto conto del fatto che {en } è una base ortonormale di H,
si ha, per un fissato β ∈ I
X∞
vβ = γi e i
i=1
4.2. L’aggiunto di un operatore 61
Posto
n
X
sn ≡ γi e i
i=1
risulta
Asn = 0
mentre
A lim sn = Avβ = vβ
n→∞
Cioè A non è continuo; quindi A è, effettivamente, un operatore ovunque definito ma non limitato.
Sia (A, D(A)) un operatore lineare; indichiamo con D(A∗ ) l’insieme dei vettori y ∈ H per i quali
esiste un vettore z ∈ H tale che
(Ax, y) = (x, z) ∀x ∈ D(A) (4.3)
Se D(A) è denso in H, per ogni y ∈ D(A∗ ) esiste un unico vettore z soddisfacente la (4.3). In
questo caso, allora, si può definire un’ applicazione A∗ : D(A∗ ) → H ponendo A∗ y = z ∀x ∈
D(A∗ ). È un facile esercizio dimostrare che l’ applicazione A∗ è lineare e dunque (A∗ , D(A∗ )) è
un operatore lineare.
È immediato dimostrare che se A ⊂ B allora B ∗ ⊂ A∗ .
Esempio 4.2.2
Sia f una funzione misurabile e limitata, ma tale che f 6∈ L2 (R). Indichiamo con D(A) il seguente
dominio Z
D(A) = {ψ ∈ L2 (R) : |ψ(x)f (x)| dx < ∞}
R
D(A) è denso perché contiene tutte le funzioni di L2 (R) a supporto compatto. Fissiamo ora un vettore
ψ0 ∈ L2 (R) e definiamo Aψ = [ψ, f ]ψ0 per ψ ∈ D(A) dove si è posto [ψ, f ] = R ψ(x)f (x) dx. Sia ora
R
φ ∈ D(A∗ ), si ha allora
(ψ, A∗ φ) = (Aψ, φ) = ([ψ, f ]ψ0 , φ)
= [ψ, f ](ψ0 , φ) = (ψ, (ψ0 , φ)f )
per ogni ψ ∈ D(A). Quindi dovrebbe essere A∗ φ = (φ, ψ0 )f . Poiché f 6∈ L2 (R) questo è possibile solo se
(ψ0 , φ) = 0. Questo significa che D(A∗ ) = {φ0 }⊥ e quindi D(A∗ ) non è denso. Per quel che si è visto,
risulta, inoltre, A∗ φ = 0 ∀φ ∈ D(A∗ ).
62 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
La situazione descritta nel precedente esempio non può verificarsi se A oltre ad avere dominio
denso è anche chiuso.
Supponiamo adesso che D(A∗ ) non sia denso; allora esiste un w ∈ H con w 6= 0 e w ∈ D(A∗ )⊥ .
Allora l’elemento {0, w} di H ⊕ H è ortogonale a tutti i vettori della forma {A∗ y, −y} con y ∈ D(A∗ ).
Cioè {0, w} ∈ [V G(A∗ )]⊥ = G(A) e questo è impossibile.
Se A∗ ha dominio denso, essendo esso sempre chiuso, A∗∗ esiste ed ha dominio denso.È facile verificare
che A ⊂ A∗∗ ma
⊥
G(A∗∗ ) = [V[G(A∗ )]] = G(A)
e quindi A = A∗∗
Applicando il teorema precedente ad A∗ , quando questo ha dominio denso, si ha A∗ = A∗∗∗ .
∗
Esercizio 4.2.4 Sia A un operatore chiudibile e con dominio denso. Provare che A = A∗ e che
A = A∗∗ .
Siano dati due operatori (A, D(A)) e (B, D(B)). La somma A + B di A e B è l’operatore
lineare definito su D(A + B) = D(A) ∩ D(B) da (A + B)x = Ax + Bx per ogni f ∈ D(A + B).
Osserviamo che se D(A) e D(B) sono densi, in generale, D(A + B) non lo è. Inoltre la somma
di due operatori chiusi non è necessariamente un operatore chiuso.
Nessun problema sorge invece, ovviamente, per la moltiplicazione di uno scalare per un
operatore: se (A, D(A)) è un operatore lineare e λ ∈ C allora l’operatore (λA) è definito su
D(λA) = D(A) da (λA)x = λ(Ax) ∀x ∈ D(A). È ovvio che se A è chiuso anche λA è chiuso.
4.4. Operatori simmetrici e autoaggiunti 63
Dati due operatori (A, D(A)) e (B, D(B)) il prodotto AB è definito su dominio D(AB) =
{x ∈ D(B) : Bx ∈ D(A). Anche in questo caso niente garantisce che D(AB) sia denso né che
AB sia chiuso, nell’ipotesi che A e B lo siano.
Esercizio 4.3.1 Sia A ∈ B(H) e B un operatore chiuso di dominio D(B). BA è chiuso nel suo
dominio naturale. Dimostrare che D(AB) = D(B). Si può dire che AB è chiuso? Dare qualche
condizione aggiuntiva perché AB risulti chiuso.
Come si vede, dunque, gli operatori non limitati non si possono sommare e moltiplicare
con la stessa noncuranza con cui si sommano e si moltiplicano gli operatori limitati (che, come
abbiamo visto, costituiscono un’ algebra).
Per quanto riguarda il passaggio all’aggiunto valgono le regole seguenti:
(i) A∗ + B ∗ ⊂ (A + B)∗
(ii) A∗ B ∗ ⊂ (BA)∗
Naturalmente la (i) e la (ii) si intende che valgono quando entrambi i membri sono ben definiti;
la (iii) vale invece sotto la ovvia condizione che esista A∗ .
Nella descrizione matematica della Meccanica quantistica ad una certa grandezza fisica (osserva-
bile) è associato un operatore lineare A che agisce nello spazio di Hilbert degli stati del sistema.
Questo spazio di Hilbert è uno spazio L2 (Rn ) e, nel caso di una singola particella, il vettore
ψ ∈ H rappresenta uno stato del sistema, nel senso che |ψ|2 fornisce la densità di probabilità
della funzione di distribuzione della probabilità. Il valor medio di A in questo stato è dato da
Il valor medio rappresenta, per cosı̀ dire, il valore più probabile che si ottiene facendo un ’gran‘
numero di misure di A nello stato ψ. Questo numero è dunque, per sua natura, un numero reale.
Questa è una condizione essenziale che deve essere soddisfatta dagli operatori che rappresentano
osservabili. Sia D(A) il dominio di A. Se (Ax, x) ∈ R, per ogni x ∈ D(A), dall’identità di
polarizzazione, si ha
3
1X k
(Ax, y) = i A(x + ik y), x + ik y)
4
k=1
3
1X
= ik x + ik y, A(x + ik y)) = (x, Ay)
4
k=1
Questa proprietà (un operatore che la soddisfa sarà detto simmetrico o hermitiano non
è tuttavia sufficiente perché l’operatore A possa rappresentare un’osservabile. Quello che si
richiede è che ad A e ad un vettore di stato ψ sia possibile associare un distribuzione di probabilità
cioè una funzione FA,ψ (λ) della variabile reale λ, soddisfacente opportune proprietà di monotonia
e di continuità, in modo che il valor medio di A nello stato ψ si possa esprimere, come previsto
dalla teoria della probabilità, come
Z
< A >ψ = (Aψ, ψ) = λdFA,ψ (λ).
R
Questo è possibile se A è autoaggiunto nel senso che preciseremo nella sezione seguente.
4.4.1 Generalità
Esercizio 4.4.3 Dimostrare che A è autoaggiunto se, e soltanto se, è chiuso ed A∗ è simmetrico.
Provare, inoltre, che un operatore autoaggiunto è massimale, cioè che non ammette estensioni
simmetriche proprie.
È evidente che se D(A) è denso, anche D(A∗ ) è denso; cosicché A∗ è chiuso e densamente
definito. Dal Teorema 4.2.3 segue, allora, che A∗∗ è chiuso e densamente definito e si ha A ⊆
A∗∗ ⊆ A∗ e quindi:
4.4.2 Esempi
Esempio 4.4.6
Sia H uno spazio di Hilbert separabile e {ek } una base ortonormale di H. Sia {ak } una successione non
limitata di numeri reali. Un vettore x si H si rappresenta allora (in modo unico) nella forma
4.4. Operatori simmetrici e autoaggiunti 65
∞
X ∞
X
x= λ k ek con |λk |2 < ∞.
k=1 k=1
Poniamo
∞ ∞
( )
X X
2
D(A) = x= λ k ek : |ak λk | < ∞
k=1 k=1
e
∞
X
Ax = ak λk ek , x ∈ D(A).
k=1
Dimostriamo
P∞ che A è un operatore autoaggiunto. Per fare questo determiniamo
P∞ A∗ . Un vettore y =
∗ ∗
µ e
k=1 k k appartiene a D(A ) se, e soltanto se, esiste un vettore y = ξ e
k=1 k k tale che
Cioè,
∞
X ∞
X
a k λ k µk = λ k ηk .
k=1 k=1
Da questa uguaglianza si deduce facilmente che deve essere ηk = ak µk , per ogni k ∈ N. E poiché
∞
X ∞
X
ky ∗ k2 = |ηk |2 = |ak µk |2 < ∞,
k=1 k=1
Esempio 4.4.7
In L2 ([0, 1]), consideriamo l’operatore P definito sul dominio
Z x
D(P ) = f ∈ L2 ([0, 1]) : f (x) = g(y) dy per g ∈ L2 ([0, 1]), f (1) = f (0) = 0
0
da
(P f )(x) = −if 0 (x) = −ig(x)
L’operatore P è, come si vede facilmente integrando per parti, simmetrico. Ma non è autoaggiunto. Il
suo aggiunto P ∗ è infatti definito sul dominio
Z x
∗ 2 2
D(P ) = f ∈ L ([0, 1]) : f (x) = g(y) dy + f (0) per g ∈ L ([0, 1])
0
da
(P ∗ f )(x) = −if 0 (x) = −ig(x)
Sia adesso S l’operatore definito, per un fissato valore di θ con 0 ≤ θ < 2π, sul dominio
da
(Sf )(x) = −if 0 (x) = −ig(x)
Integrando per parti, si vede facilmente che S è autoaggiunto. È chiaro che P ⊂ S ⊂ P ∗ e quindi
l’operatore P ammette infinite estensioni autoaggiunte (al variare di θ).
66 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Esempio 4.4.8
In L2 (R), consideriamo l’operatore Q definito sul dominio
da
(Qf )(x) = xf (x).
Il dominio D(Q) è denso perchè contiene le funzioni di L2 (R) a supporto compatto. Lasciamo al lettore
la semplice verifica del fatto che Q è simmetrico. Q è autoggiunto? Calcoliamo Q∗ . Se g ∈ D(Q∗ ) esiste
g ∗ ∈ L2 (R) tale che Z Z
xf (x)g(x)dx = f (x)g ∗ (x)dx, ∀f ∈ D(Q)
R R
Ovvero, Z
f (x)(xg(x) − g ∗ (x))dx = 0
R
Questa uguaglianza implica che xg(x) − g ∗ (x) è ortogonale a D(Q) che è denso. Dunque, g ∈ D(Q) e
Q∗ g = Qg.
Definizione 4.4.9 Sia f una funzione di L2 (R). Diciamo che f ammette derivata debole in
L2 (R) se esiste una funzione g ∈ L2 (R) tale che
Z Z
f (x)φ (x) = − g(x)φ(x)dx, ∀φ ∈ C0∞ (R)
0
R R
dove C0∞ (R) indica lo spazio delle funzioni infinitamente derivabili in R a supporto compatto.
In questo caso, porremo g = Df . Si indica con W 1,2 (R) il sottospazio delle funzioni di L2 (R)
che ammettono derivata debole in L2 (R).
Lo spazio W 1,2 (R) fa parte di una famiglia di spazi denominati spazi di Sobolev dal nome del
matematico russo che introdusse in concetto di derivata debole.
Lo spazio W 1,2 (R), che è un sottospazio denso di L2 (R), perché contiene C0∞ (R), è dotato
di un suo proprio prodotto interno definito da
Ovviamente possiamo considerare D come un operatore lineare definito nel dominio denso
W 1,2 (R). Mostriamo che
Dimostrazione – Supponiamo, infatti, che {fn } sia una successione di funzioni di W 1,2 (R) che converge
ad f nella norma di L2 (R) e supponiamo che Dfn converga, sempre nella norma di L2 (R), ad una funzione
g ∈ L2 (R). Si ha, allora,
Z Z
0
fn (x)φ (x)dx = − (Dfn )(x)φ(x)dx, n ∈ N.
R R
Tenuto conto che entrambi i membri di queste uguaglianze sono dei prodotti interni, si ottiene, passando
al limite, Z Z
0
f (x)φ (x)dx = − g(x)φ(x)dx, n ∈ N.
R R
1,2
Questa uguaglianza ci dice che f ∈ W (R) e g = Df .
Dalla proposizione 4.1.9 segue allora che
} Osservazione 4.4.14 È utile notare che, se indichiamo con D0 la restrizione di D a C0∞ (R), dalla
definizione stessa di derivata debole segue che D = −D∗0 .
Dimostrazione – Una funzione g ∈ L2 (R) appartiene al dominio di D∗ se, e soltanto se, esiste una
funzione g ∗ ∈ L2 (R), tale che
(Df, g) = (f, g ∗ ), ∀f ∈ W 1,2 (R).
In particolare, risulta, quindi, per ogni φ ∈ C0∞ (R),
Z Z
0
φ (x)g(x)dx = φ(x)g ∗ (x)dx.
R R
Questo implica che g(x) appartiene a W 1,2 (R) e che Dg(x) = −g ∗ (x). Di conseguenza, g ∈ W 1,2 (R) e
D∗ g = −Dg.
Tenuto conto dell’osservazione 4.4.14 e della proposizione 4.4.15, si deduce pure che
68 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Corollario 4.4.16 C0∞ (R) è denso in W 1,2 (R) rispetto alla norma k · kw .
} Osservazione 4.4.19 Alla stessa conclusione si poteva giungere, più rapidamente, utilizzando alcune
proprietà di W 1,2 (R) in relazione alla trasformata di Fourier. Ricordiamo che la trasformata di Fourier
si definisce, inizialmente, per le funzioni dello spazio di Schwartz S(R) delle funzioni f di classe C ∞ che
soddisfano la condizione
sup |xm (Dn f )(x)k < ∞, ∀m, n ∈ N.
x∈R
Dunque P è il trasformato unitario dell’operatore autoaggiunto Q ed è, dunque, autoaggiunto esso stesso
[vedi esercizio 4.4.18].
4.4. Operatori simmetrici e autoaggiunti 69
4.4.3 L’operatore A∗ A
Lemma 4.4.20 Sia (A, D(A)) un operatore autoaggiunto che ammetta inverso A−1 . Allora
D(A−1 ) è denso in H e A−1 è autoaggiunto.
Teorema 4.4.21 (di von Neumann) Sia A un operatore chiuso di dominio D(A) denso in H.
Allora,
Dimostrazione – (i): Nel corso della dimostrazione del teorema 4.2.3 si è dimostrato che G(A∗ ) =
[VG(A)]⊥ . Dunque, ogni vettore {z, z 0 } di H ⊕ H si può esprimere nella forma
{z, z 0 } = {x, Ax} + {−A∗ y, y}
per certi x ∈ D(A) e y ∈ D(A∗ ). In particolare, se z 0 = 0 si avrà
x − A∗ y = z e Ax + y = 0.
Questo implica che Ax = −y ∈ D(A∗ ) e z = x + A∗ Ax. Visto che z è arbitrario in H, concludiamo che
R(I + A∗ A) = H. Inoltre se x ∈ D(A∗ A) si ha, tenendo presente che D(A∗ A) ⊆ D(A),
k(I + A∗ A)xk2 = ((I + A∗ A)x, (I + A∗ A)x) = (x, x) + 2(Ax, Ax) + (A∗ Ax, A∗ Ax) ≥ (x, x) = kxk2 .
Questa disuguaglianza mostra che 1 + A∗ A è iniettivo e che il suo inverso ha norma non superiore ad 1.
(ii) L’operatore (I + A∗ A)−1 è simmetrico ed appartiene a B(H). Quindi esso è autoaggiunto. Questo
fatto implica, per il lemma 4.4.20 che D(A∗ A) è denso in H In conclusione anche 1 + A∗ A e A∗ A sono
autoaggiunti. .
70 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Definizione 4.4.22 Sia (A, D(A)) un operatore di dominio denso. Si dice che A è positivo, e
si scrive A ≥ 0 se
(Ax, x) ≥ 0 ∀x ∈ D(A)
Facendo uso dell’ identità di polarizzazione, si deduce facilmente che ogni operatore positivo è
simmetrico. La definizione generalizza quella data a suo tempo per gli operatori limitati in H.
Dimostrazione – Osservato che D(A∗ A) ⊆ D(A) si ha, per ogni x ∈ D(A∗ A),
} Osservazione 4.4.25 Come dimostreremo più avanti, per ogni operatore autoaggiunto positivo A,
esiste un operatore B, anch’esso autoaggiunto e positivo tale che B 2 = A. Quest’operatore sarà chiamato
la radice di A e indicata con A1/2 . In particolare, se A è un operatore chiuso, come abbiamo visto, A∗ A
è autoaggiunto e positivo. L’operatore (A∗ A)1/2 , che si indica con |A|, è chiamato modulo di A.
Esempio 4.4.26
Consideriamo ancora l’operatore P studiato nella sezione 4.4.2.1. L’operatore P 2 = −D2 è autoaggiunto.
Il suo dominio è
D(P 2 ) = {f ∈ D(P ) : P f ∈ D(P )}.
Ricordando che D(P ) = W 1,2 (R) si deduce che D(P ) coincide con lo spazio delle funzioni di W 1,2 (R) la
cui derivata debole appartiene pure a W 1,2 (R). Questo spazio è lo spazio di Sobolev W 2,2 (R). Per esso
si può provare che valgono le seguenti affermazioni.
• Lo spazio C0∞ (R) è denso in W 2,2 (R) rispetto alla norma k · k2,2 .
• f ∈ W 2,2 (R) se, e soltanto se, fb ∈ D(Q2 ), dove fb indica la trasformata di Fourier di f .
4.4. Operatori simmetrici e autoaggiunti 71
Come nel capitolo precedente, Se (A, D(A)) è un operatore lineare, indicheremo con N (A) ed
R(A) il nucleo e l’immagine di A. Cioè,
Lasciamo al lettore di verificare che, se (A, D(A)) è un operatore chiuso, allora N (A) è un
sottospazio chiuso di H. Con una dimostrazione simile a quella fatta per gli operatori limitati
nel capitolo precedente [Lemma 3.3.5] si stabilisce l’uguaglianza
Lemma 4.4.27 Sia A un operatore chiuso e simmetrico. Allora i sottospazi R(A − iI) ed
R(A + iI) sono chiusi in H.
Dimostrazione – Proviamo soltanto che R(A − iI) è chiuso; la dimostrazione per R(A + iI) è, infatti,
analoga.
Se x ∈ D(A) si ha
k(A − iI)xk2 = kAxk2 + kxk2 (4.5)
Se {xn } è una successione in D(A) tale che (A − iI)xn → y0 , allora la successione xn converge ad un
certo x0 ∈ H e la successione Axn è convergente. Poiché A è chiuso, si conclude che x0 ∈ D(A) e che
(A − iI)x0 = y0 . Quindi R(A − iI) è chiuso.
Teorema 4.4.28 Sia A un operatore simmetrico con dominio D(A) denso in H. Le seguenti
affermazioni sono equivalenti:
(a) A è autoaggiunto.
(c) =⇒ (a) Sia x ∈ D(A∗ ). Poiché R(A−iI) = H esiste un y ∈ D(A) tale che (A−iI)y = (A∗ −iI)x.
Notando che x − y ∈ D(A∗ ) si perviene alla
(A∗ − iI)(x − y) = 0
Ma, analogamente a quanto si è provato nel primo punto della dimostrazione, N (A∗ −iI) = R(A+iI)⊥ =
{0}. Quindi x = y ∈ D(A). Questo prova che A è autoaggiunto.
Con piccole modifiche ai precedenti argomenti si può dimostrare la seguente
Si è visto che nelle precedenti proposizioni un ruolo particolarmente importante è svolto dai sot-
tospazi N (A∗ ± iI). Essi, in realtà, forniscono informazioni complete sull’esistenza di estensioni
autoaggiunte di un operatore simmetrico A.
sono detti sottospazi di difetto di A; le loro rispettive dimensioni n+ ed n− sono detti indici di
difetto di A.
Un indice di difetto, o entrambi, possono anche essere ∞. Il teorema 4.4.28 ci garantisce che
un operatore chiuso e simmetrico A è autoaggiunto se, e soltanto se, i suoi indici di difetto sono
entrambi nulli.
Se A è un operatore chiuso, simmetrico di dominio denso D(A), allora D(A∗ ) può essere
reso uno spazio di Hilbert rispetto al prodotto interno
I sottospazi D(A), M+ e M− sono sottospazi chiusi di D(A), rispetto alla norma del nuovo
prodotto scalare. Essi sono a due a due ortogonali. Si ha, infatti, se x ∈ M+ e y ∈ M− ,
cioè, se, e soltanto se, A∗ y ∈ D(A∗ ) e (A∗ )2 y = −y. È facile vedere che sia i vettori di M+
sia quelli di M− soddisfano entrambi questa condizione. Quindi M+ e M− sono entrambi
ortogonali a D(A).
4.4. Operatori simmetrici e autoaggiunti 73
Teorema 4.4.31 Sia A un un operatore chiuso, simmetrico di dominio denso D(A). Allora,
D(A∗ ) = D(A) ⊕ M+ ⊕ M−
Dimostrazione – Alla luce della discussione precedente, è sufficiente provare che non esistono vettori
non nulli di D(A∗ ) ortogonali a D(A) ⊕ M+ ⊕ M− . Supponiamo per assurdo che un tale vettore y esista.
Come abbiamo visto sopra, dato che y è ortogonale a D(A), risulta
Dimostrazione – L’operatore UA è unitario, se, e soltanto se, R(A + iI) = R(A − iI) = H. Il teorema
4.4.28 garantisce che questo accade se, e soltanto se, A è autoaggiunto.
La (4.4), il lemma 4.4.27 ed la proposizione precedente ci danno un’indicazione sul fatto che,
affinché un operatore chiuso e simmetrico A ammetta un’estensione autoaggiunta deve esistere
un operatore unitario U che ristretto a R(A + iI) coincida con la trasformata di Cayley UA di A.
Questo implica che la dimensione di R(A + iI) e quella di R(A − iI) sono uguali. Saranno quindi
uguali anche le loro codimensioni, cioè le dimensioni dei due sottospazi di difetto. Viceversa
74 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
se n+ = n− , esiste un operatore isometrico V definito su N (A∗ − iI) tale che V N (A∗ − iI) =
N (A∗ + iI). Se si pone,
UA x se x ∈ R(A + iI)
Ux =
Vx se x ∈ N (A∗ − iI)
e si estende U per linearità a tutto H, si definisce un operatore unitario in H la cui restrizione ad
R(A + iI) coincide, ovviamente, con UA . Posto B = i(I + U )(I − U )−1 , si verifica senza difficoltà
che B è un’estensione autoaggiunta di A. Di conseguenza un operatore ammette estensioni
autoaggiunte se, e soltanto se, i suoi indici di difetto sono uguali. Questo è il contenuto del
seguente teorema, del quale omettiamo i dettagli della dimostrazione.
Teorema 4.4.35 (di von Neumann) Sia A un operatore simmetrico con dominio D(A) denso
in H. Valgono le seguenti affermazioni:
Non daremo la dimostrazione completa del precedente teorema, limitandoci ad osservare che la
(a) è soltanto una formulazione diversa della (a) della Proposizione 4.4.29.
Esempio 4.4.36
L’operatore A definito sul dominio
Z x
D(A) = f ∈ L2 ([0, ∞))|f (x) = g(y) dy per g ∈ L2 ([0, ∞)),
0
da
(Af )(x) = if 0 (x) = ig(x)
è simmetrico. A ha indici di difetto (0, 1) e quindi non ammette estensioni autoaggiunte.
Esercizio 4.4.37 Determinare gli indici di difetto degli operatori P ed S dell’ Esempio 1.
Nel caso di un operatore le nozioni di risolvente e di spettro sono state introdotte nella sezione
3.1. Vediamo come esse si generalizzano al caso di operatori non limitati.
Definizione 4.5.1 Sia (A, D(A)) un operatore chiuso e densamente definito. Il risolvente ρ(A)
di A è il seguente sottoinsieme del piano complesso
ρ(A) = {λ ∈ C : ∃(A − λI)−1 ∈ B(H)}
Il complementare σ(A) di ρ(A) in C si chiama spettro di A
Se λ ∈ ρ(A), l’ operatore Rλ (A) = (A − λI)−1 si chiama operatore risolvente.
4.5. Lo spettro di un operatore 75
} Osservazione 4.5.2 Quando non vi sarà pericolo di ambiguità, ometteremo l’indicazione dell’
operatore A; scriveremo cioè Rλ invece di Rλ (A).
Definizione 4.5.3 Sia (A, D(A)) un operatore chiuso e densamente definito. Un numero
complesso λ è detto un autovalore di A se esistono, in D(A) soluzioni non nulle dell’ equazione
Ax = λx
1. Rλ − Rµ = (λ − µ)Rλ Rµ
2. ρ(A) è aperto.
Dimostrazione – (1): si dimostra esattamente come nel caso degli operatori limitati.
(2): Se λ0 ∈ ρ(A), esiste C > 0 tale che
C C
k(A − λ)xk ≥ k(A − λ0 I)xk − kxk ≥ kxk
2 2
e quindi λ non è un autovalore di A; l’operatore A − λ ha quindi inverso limitato. Resta da provare
che quest’ inverso è ovunque definito in H o, che è lo stesso, che, per ogni y ∈ H esiste una soluzione x
dell’equazione
(A − λI)x = y
Pn
Sia xn = k=1 (λ − λ0 )k−1 Rλk 0 y. Osserviamo che l’operatore ARλ0 è ovunque definito e che ARλ0 =
I + λ0 Rλ0 . Scegliamo tale che 0 < < 1 e sia δ < min{kRλ0 k−1 , C2 }. Se |λ − λ0 | < δ, si ha, per m < n,
n
X
kA(xn − xm )k =
A (λ − λ0 )k−1 Rλk 0 y
k=m+1
n
X
=
(λ − λ0 )k−1 ARλk 0 y
k=m+1
n
X
k−1 k−1
=
(λ − λ0 ) (I + λ0 Rλ0 )Rλ0 y
k=m+1
n
X
≤ (1 + |λ0 | kRλ0 k)kyk |λ − λ0 |k−1 kRλ0 kk−1
k=m+1
Xn
≤ (1 + |λ0 | kRλ0 k)kyk k−1 → 0
k=m+1
Una stima dello stesso tipo di quella di sopra vale se vi si omette l’operatore A. Quindi anche la successione
xn è convergente. Sia x il suo limite. Evidentemente,
∞
X
x= (λ − λ0 )n−1 Rλn0 y
n=1
Dal fatto che l’operatore A è chiuso segue che x ∈ D(A) e che Ax = limn→∞ Axn . Si ha
(A − λI)x = (A − λ0 I)x − (λ − λ0 )x
X∞ ∞
X
n−1 n−1
= (λ − λ0 ) Rλ0 y − (λ − λ0 )n Rλn0 y = y
n=1 n=1
È conveniente suddividere lo spettro di un operatore A in tre sottoinsiemi disgiunti nel
modo seguente:
(a) Diciamo che λ appartiene allo spettro puntuale, σp (A) se A − λI non è iniettivo o, equiva-
lentemente, se λ è un autovalore di A.
(b) Diciamo che λ appartiene allo spettro continuo, σc (A) se (A − λI)−1 esiste, è densamente
definito ma non è limitato.
(b) Diciamo che λ appartiene allo spettro residuo, σr (A) se (A − λI)−1 esiste, ma non è
densamente definito.
Analizziamo adesso lo spettro di un operatore autoaggiunto. Come nel caso degli operatori
limitati, si prova che
Dimostrazione – Infatti se λ ∈ σr (A) allora R(A − λI) non è denso in H; quindi λ è un autovalore.
Dal teorema 4.4.28 si deduce facilmente che
e quindi
1
kxk ≤ kyk
|b|
o, che è lo stesso
1
k(A − λI)−1 yk ≤ kyk.
|b|
Ciò prova che (A − λI)−1 è limitato. Inoltre, dato che λ non è un autovalore, dal teorema 4.5.7, segue
che R(A − λI) è denso. Supponiamo che R(A − λI) 6= H. L’operatore (A − λI)−1 , essendo limitato e
di dominio denso, ha un’estensione continua (che coincide, evidentemente con la sua chiusura) a tutto
lo spazio. L’ operatore (A − λI)−1 è quindi un operatore non chiuso (perché la chiusura lo contiene
propriamente). Il che è impossibile perché, se A è chiuso, anche (A − λI)−1 lo è. Infatti, sia xn → x e
(A − λI)−1 xn convergente. Posto yn = (A − λI)−1 xn , la successione yn converge ad un vettore y ∈ H e
(A − λI)yn = xn converge anch’ essa. Questo conclude la dimostrazione.
Nella dimostrazione precedente è stato implicitamente provato che
La Proposizione 4.5.11 può essere resa più precisa. Vale infatti il seguente
Non daremo qui la dimostrazione di questo teorema, ma useremo talvolta questo risultato.
Proposizione 4.5.13 Sia A un operatore autoaggiunto. Allora A ≥ 0 se, e soltanto se, σ(A) ⊆
[0, +∞[.
Dimostrazione – Supponiamo che (Au, u) ≥ 0, per ogni u ∈ D(A). È sufficiente provare che se b > 0,
l’operatore A + b ha inverso ovunque definito e limitato. Intanto −b non può essere un autovalore, perché
l’equazione (A + b)u = 0 ha solo la soluzione u = 0. Quindi, visto che A è autoggiunto e dunque il suo
spettro residuo è vuoto, (A + b)−1 esiste ed ha dominio denso. Si ha inoltre,
Esempio 4.5.14
Determiniamo lo spettro dell’operatore Q considerato nell’esempio 4.4.8. Ricordiamo che D(Q) = {f ∈
L2 (R) : xf (x) ∈ L2 (R)} e che Q è autoaggiunto.
Intanto, è chiaro che Q non ha autovalori, visto che non esistono, quale che sia λ ∈ C soluzioni non
nulle dell’equazione (Q − λ)f = 0. Quindi l’operatore (Q − λI)−1 esiste in ogni caso ed ha dominio denso
1
in H, visto che lo spettro residuo di un operatore autoaggiunto è vuoto. Se λ ∈ C \ R, la funzione x−λ è
continua e limitata su R dunque,
Z 2 Z
1
dx ≤ 1 |f (x)|2 dx, ∀f ∈ L2 (R).
f (x)
R x−λ
|=λ|2 R
Questo ci dice soltanto che σ(Q) ⊆ R, com’era già previsto dalla teoria. Ma possiamo affermare che
1
σ(Q) = R. Infatti, se λ ∈ R, l’operatore di moltiplicazione per x−λ non è ovunque definito in R. Per
esempio, la funzione
p
|x − λ| se x ∈ [λ − 1, λ + 1]
f (x) =
0 altrove
Esempio 4.5.16
La proposizione precedente ci permette di dimostrare che lo spettro dell’operatore P studiato nella sezione
4.4.2.1 è pure l’intera retta reale. Infatti, basta tener conto dell’osservazione 4.4.19 che P si ottiene da Q
per trasformazione unitaria mediante la trasformata di Fourier.
Esercizio 4.5.17 Determinare lo spettro dell’operatore Q2 di moltiplicazione per x2 nel suo dominio
naturale e, tenendo conto di quanto visto nell’esempio 4.4.26, determinare lo spettro dell’operatore
P 2 definito in W 2,2 (R).
Un’ altra nozione di cui avremo bisogno nel seguito è quella di commutazione di due operatori.
Se A e B sono due operatori ovunque definiti in H il fatto che essi commutano è definito, in
modo naturale, dicendo che ABx = BAx per ogni x ∈ H.
La cosa non è altrettanto semplice se si considerano operatori non ovunque definiti. Se (A, D(A))
e (B, D(B) sono due tali operatori si potrebbe essere tentati di dire che essi commutano se
ABx = BAx per ogni x ∈ D(AB) ∩ D(BA). Questa definizione non è, tuttavia, soddisfacente
per varie ragioni, la prima delle quali sta nel fatto che, molto spesso D(AB) ∩ D(BA) = {0}!
La nozione di commutazione sarebbe pertanto troppo debole per essere utile.
La commutazione è, invece, ben definita, se uno dei due operatori è limitato.
Definizione 4.6.1 Sia (A, D(A)) un operatore lineare e B un operatore limitato. Si dice che
A e B commutano se B : D(A) → D(A) e ABx = BAx ∀x ∈ D(A).
Nel Capitolo 2 abbiamo studiato le proprietà spettrali degli operatori compatti. In particolare,
abbiamo visto che ogni operatore simmetrico e compatto A ammette una rappresentazione del
tipo
X∞
A= λ i Pi
i=1
dove λi sono gli autovalori di A e Pi i proiettori sui sottospazi generati dagli autovettori cor-
rispondenti. Ci chiediamo adesso se questo procedimento ha un corrispondente nel caso più
generale di un operatore autoaggiunto (limitato o non limitato) che non sia compatto. Per
rispondere abbiamo bisogno della nozione di famiglia o misura spettrale.
80 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Definizione 4.7.1 Una famiglia spettrale sulla retta R è una famiglia E(λ) di operatori di
proiezione, dipendenti dal parametro reale λ, soddisfacente le seguenti condizioni:
} Osservazione 4.7.2 Una famiglia spettrale {E(λ)} definisce una misura a valori operatori su R nel
modo seguente: si comincia con il considerare un intervallo del tipo ∆ =]λ, µ] e si pone
E(∆) = E(µ) − E(λ).
La misura dell’intervallo chiuso [λ, µ] è definita da E([λ, µ]) = E({λ}) + E(∆). La misura di un punto
non è necessariamente nulla ed è definita come
E({λ}) = lim+ E(]λ − , λ]).
→0
Teorema 4.7.3 Sia {E(λ)} una famiglia spettrale sulla retta reale. Poniamo,
Z
2
D(B) = x ∈ H : λ d(E(λ)x, x) < ∞ .
R
Dimostrazione – Il primo passo della dimostrazione consiste nel dimostrare che D(B) è denso in H. Se
x ∈ H si pone xn = (E(n) − E(−n))x. Dalla (c) della definizione 4.7.1 segue che kx − xn k → 0. Resta
da vedere che xn ∈ D(B). Si ha
Z Z
λ2 d(E(λ)xn , xn ) = λ2 d(E(λ)(E(n) − E(−n))x, (E(n) − E(−n))x)
R R
Z n Z
= λ2 d(E(λ)x, x) ≤ n2 d(E(λ)x, x) = n2 kxk2 < ∞
−n R
Infatti, se [α, β] è un intervallo limitato, e {∆k ; k = 1, . . . , n} una divisione in intervalli senza punti
interni in comune, scelto, per ogni k un punto λk ∈ ∆k , si ha
X n Xn
λk (E(∆k )x, y) ≤ |λk |(E(∆k )x, E(∆k )y)|
k=1 k=1
n
!1/2 n !1/2
X X
2
≤ λk (E(∆k )x, x) (E(∆k )y, y
k=1 k=1
n
!1/2
X
≤ λ2k (E(∆k )x, x) kyk.
k=1
Rβ
La quantità in parentesi nell’ultimo termine converge, per n → ∞, a α λ2 d(E(λ)x, x). Quindi,
Z
β Z β
λd(E(λ)x, y) ≤ kyk λ2 d(E(λ)x, x).
α α
Tenuto conto che α, β sono arbitrari, si passa facilmente alla convergenza dei corrispondenti integrali
impropri e alla disuguaglianza
Z Z
λd(E(λ)x, y) ≤ kyk λ2 d(E(λ)x, x).
(4.6)
R R
Per dimostrare del fatto che B è autoaggiunto, proviamo che il suo spettro è reale. Infatti, ponendo per
z ∈ C \ R, Z
1
D(S(z)) = x ∈ H : 2
d(E(λ)x, x) < ∞ ,
R |λ − z|
1 1
e osservando che |λ−z|2 ≤ |=z|2 , si vede facilmente che D(S(z)) = H e che l’operatore S(z) definito su
D(S(z)) da Z
1
S(z)y = d(Eλ)y
R λ−z
è limitato. Si ha, poi
Z
(B − zI)S(z)x = (λ − z)dE(λ)S(z)x
ZR Z
1
= (λ − z)dE(λ) dE(µ)x
R R µ−z
Z Z λ
1
= (λ − z)d dE(µ)x
R −∞ µ − z
Z
1
= (λ − z) dE(λ)x = x.
R λ−z
Queste uguaglianze provano che S(z), che è ovunque definito e limitato, coincide con l’operatore risolvente
Rz , per ogni z ∈ C \ R. Dunque σ(B) ⊆ R.
} Osservazione 4.7.4 Nella dimostrazione precedente si è usato il fatto, non dimostrato in queste note,
che una generalizzazione del teorema fondamentale del calcolo integrale è valida anche per gli integrali
definiti dalle misure di Stiltjes.
Il seguente teorema costituisce uno dei risultati più profondi dell’analisi degli operatori e
stabilisce il viceversa del teorema precedente.
Teorema 4.7.5 (I teorema spettrale) Sia (A, D(A)) un operatore autoaggiunto in H. Allora
esiste un’ unica famiglia spettrale {E(λ)} sulla retta reale tale che A = B; cioè, A coincide
con l’operatore definito da {E(λ)}. L’ operatore A commuta con ogni operatore limitato B che
commuta con tutti gli E(λ)
Dimostrazione – Di questo teorema esiste in letteratura una varietà di dimostrazioni, tutte piuttosto
lunghe e tecnicamente complesse. Il punto centrale della dimostrazione consiste nella costruzione della
famiglia spettrale {E(λ)} associata ad A. Allo scopo di mantenere questo corso entro limiti ragionevoli,
ci limitiamo ad indicare, senza entrare nei dettagli, i passi principali della dimostrazione.
4.7. La decomposizione spettrale di un operatore autoaggiunto 83
Passo 1. Per z ∈ C \ R, z = a + ib, b > 0 si considera la funzione φ(z) = (Rz x, x) dove x ∈ H. Si prova
che φ(z) è analitica in =z > 0, che bφ(ib) ≥ 0 e che supb>0 bφ(ib) < ∞.
Passo 2. Si utilizza un teorema sulle funzioni a valori complessi che garantisce, nelle condizioni elencate
sopra, l’esistenza di una funzione ω(λ; x), crescente nella variabile reale λ, tale che
Z
dω(λ; x)
φ(z) = .
R λ−z
Passo 4. Si prova che ω(λ; x, y) è, per ogni λ ∈ R, una forma sesquilineare limitata in H × H.
Passo 5. Si utilizza il teorema 1.2.20 per stabilire, per ogni λ ∈ R, l’esistenza di un operatore E(λ) ∈
B(H) tale che
ω(λ; x, y) = (E(λ)x, y), ∀x, y ∈ H.
Passo 6. Si prova che gli E(λ) sono proiettori e che {E(λ)} è una famiglia spettrale sulla retta.
Passo 7. Si definisce l’operatore B, la cui esistenza è stabilita dal teorema 4.7.3.
Passo 8. Si prova infine, con una tecnica simile a quella adoperata alla fine della dimostrazione del
teorema 4.7.3, che l’operatore B cosı̀ ottenuto coincide con A.
1. Se x ∈ D(A), si ha Z Z
kAxk2 = λ2 d(E(λ)x, x) λ2 dkE(λ)xk2 .
R R
2. Se ∆ è un insieme di Borel di misura finita, risulta E(∆)x ∈ D(A), per ogni x ∈ H, perché
Z Z
2
λ d(E(λ)E(∆)x, E(∆)x) = λ2 d(E(λ)x, x) < ∞.
R ∆
3. Nelle ipotesi del punto precedente, l’operatore AE(∆) è ovunque definito e limitato.
Esempio 4.7.7
Consideriamo in L2 (R) l’operatore Q definito sul dominio
D(Q) = f ∈ L2 (R) : xf ∈ L2 (R)
da
(Qf )(x) = xf (x) f ∈ D(q).
Poniamo
1 per x ≤ λ
eλ (x) =
0 per x > λ
cioè eλ è la funzione caratteristica di (−∞, λ].
84 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Per ogni λ, l’operatore E(λ) : f (x) ∈ L2 (R) → eλ (x)f (x) ∈ L2 (R) è un proiettore e si verifica
facilmente che {E(λ)} è una famiglia spettrale per la quale risulta
Z ∞
Qf = λ dE(λ)f
−∞
} Osservazione 4.7.8 La teoria spettrale degli operatori autoaggiunti può farci apparire più chiaro il
motivo per cui richiediamo che gli operatori che rappresentano osservabili siano non soltanto simmetrici,
il che basterebbe ad assicurare la realtà di eventuali autovalori o, piú in generale dei valori medi (Af, f ),
ma autoaggiunti. Per capire meglio tutto ciò è necessario tornare alla interpretazione probabilistica della
meccanica quantistica. In questo contesto, una coppia costituita da una grandezza fisica, cioè un’ osser-
vabile e da uno stato del sistema può essere considerata come una variabile aleatoria cioè una funzione che
assume valori, in modo casuale, in un certo insieme di valori. Cioé, se da un lato non ha senso chiedersi
“ Che risultato dà una misura dell’ osservabile A in un certo stato ψ del sistema? ”, ha senso invece porsi
la domanda “ Quant’ è la probabilità che una misura di A nello stato ψ del sistema dia un risultato che
appartiene ad un certo intervallo I di valori? ”
In teoria della probabilità, come si sa, ad una variabile aleatoria X si fa corrispondere una funzione di
ripartizione F (λ) definita da
F (λ) = prob{X ≤ λ}
e la derivata di F rispetto a λ, se esiste, fornisce la cosiddetta densità di probabilità di X.
Il valor medio della variabile aleatoria X è allora definito come
Z ∞
λ dF (λ).
−∞
Se A è un’osservabile e ψ uno stato, consideriamo la variabile aleatoria m(A, ψ) che fornisce il valore di
una misura di A nello stato ψ; indichiamo con F (A, ψ, λ) la sua funzione di ripartizione; cioè
F (A, ψ, λ) = prob{m(A, ψ} ≤ λ}
D’altra parte già sappiamo che questo valor medio è anche dato da
È chiaro a questo punto che l’ assunzione che un’ osservabile si debba rappresentare con un operatore
autoaggiunto è ben motivata dalla necessità di determininare la funzione di ripartizione della probabilità.
Un’ altra importante conseguenza del teorema spettrale consiste nella possibilità di definire
le funzioni di un dato operatore autoaggiunto A.
4.8. Famiglia spettrale e spettro 85
1. (αφ)(A) = αφ(A) ∀α ∈ C
3. (φψ)(A) ⊇ φ(A)ψ(A)
4. φ(A)∗ = φ(A)
Ovviamente, nel caso in cui φ e ψ sono limitate nelle relazioni di sopra vale l’ uguaglianza. Un
altro caso in cui nella (3) vale l’ uguaglianza è quello in cui ψ = φn , con n intero positivo, perché
la convergenza dell’integrale di |φn+1 (λ)|2 implica la convergenza dell’ integrale di |φn (λ)|2 .
Procedendo di passo in passo si perviene alla
In particolare, si ha Z ∞
An = λn dE(λ)
−∞
Da questa si deduce che tutte le potenze intere positive dell’ operatore autoaggiunto A sono
anch’esse autoaggiunte. Se A ≥ 0, si può dimostrare che sono autoaggiunte anche tutte le
potenze reali positive e, se A−1 esiste, anche le potenze reali negative di A. In particolare, se
A ≥ 0, esiste la radice quadrata di A. L’operatore A1/2 ha, infatti, la proprietà: (A1/2 )2 = A.
Teorema 4.8.1 (II teorema spettrale) Sia {E(λ)} la famiglia spettrale dell’ operatore autoag-
giunto A e λ0 un numero reale. Allora
Dimostrazione – Dimostriamo la (i). Cominciamo con il supporre che E(λ) sia costante in un intorno
di ]λ0 − , λ0 + [. L’uguaglianza
Z
k(A − λ0 I)xk = (λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x)
2
R
implica che
Z λ0 − Z λ0 + Z +∞
k(A − λ0 I)xk2 = (λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x) + (λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x) + (λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x).
−∞ λ0 − λ0 +
L’operatore A − λ0 I ha, dunque, inverso limitato. Questo basta per affermare che λ0 ∈ ρ(A) perchè
altrimenti dovrebbe appartenere allo spettro residuo che è vuoto.
Adesso supponiamo che λ0 ∈ ρ(A). Allora, esiste > 0 tale che, per ogni x ∈ D(A)
Supponiamo adesso che la famiglia spettrale E(λ) non sia costante in nessun intorno di λ0 . Sia
η < . Allora esiste y ∈ H tale che (E(λ0 + η) − E(λ0 − η))y 6= 0. Applichiamo la disuguaglianza (4.7)
al vettore
x = (E(λ0 + η) − E(λ0 − η))y
che appartiene a D(A). Si ottiene
Z λ0 +η Z λ0 +η
(λ − λ0 )2 d(E(λ)y, y) ≥ 2 d(E(λ)y, y),
λ0 −η λ0 −η
Z
(AP x, x) = lim (A(E(λ0 ) − E(λ0 − δ))x, x) = lim λ(χλ0 (λ)) − χλ0 −δ (λ))d(E(λ)x, x)
δ→0 δ→0 R
Allora vδ (λ) → µλ0 (λ) per δ → 0 e |vδ (λ)| ≤ |λ0 |. Applicando il teorema di convergenza dominata, si ha
Z Z λ0 +δ
µλ0 (λ)dE(λ)x = lim λ0 dE(λ)x
R δ→0 λ0 −δ
= lim (λ0 (E(λ0 + δ) − E(λ0 − δ))x)
δ→0
= lim (λ0 (E(λ0 ) − E(λ0 − δ))x)
δ→0
= λ0 P x.
Z λ0 −
(λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x) = 0.
−∞
Ma Z λ0 − Z λ0 −
(λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x) ≥ 2 d(E(λ)x, x) = 2 kE(λ0 − )xk2 ,
−∞ −∞
Z +∞ Z +∞
0= (λ − λ0 )2 d(E(λ)x, x) ≥ 2 d(E(λ)x, x) = 2 kx − E(λ0 + )xk2 .
λ0 + λ0 +
88 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Dunque
lim E(λ0 + )x = x e lim E(λ0 − )x = 0.
→0 →0
Corollario 4.8.2 Sia A un operatore autoaggiunto. Un numero reale λ0 appartiene allo spettro
σ(A) di A se, e soltanto se, E(λ0 + ) − E(λ0 − ) 6= 0, per ogni > 0.
Sia λ0 ∈ σ(A). Poniamo Pλ0 , := E(λ0 + ) − E(λ0 − ). L’operatore APλ0 , è, ovunque definito
e limitato [Osservazione 4.7.6]. Vogliamo adesso calcolare il limite (in senso forte) lim APλ0 , .
→0
Per ogni x ∈ H,
Z
APλ0 , x = λ(χλ0 + (λ)) − χλ0 − (λ))dE(λ)x.
R
Per → 0, si ha
λ0 se λ = λ0
λχλ0 + (λ)) − χλ0 − (λ) → µλ0 (λ) = .
0 altrove
Inoltre
Se λ0 ∈ σp (A), per → 0, risulta Pλ0 , x → Pλ0 x e APλ0 , x converge. Dunque, Pλ0 x ∈ D(A) e
lim APλ0 x = APλ0 x. In conclusione, ogni vettore del sottospazio Pλ0 H è un autovettore di A.
→0
I proiettori Pλ0 , considerati sopra conducono ad un’altra classificazione dei punti dello
spettro.
(i) Si dice che λ0 ∈ σess (A), lo spettro essenziale di A, se Pλ0 , H ha dimensione infinita per
ogni > 0.
(ii) Si dice che λ0 ∈ σd (A), lo spettro discreto di A, se esiste > 0 tale che Pλ0 , H ha
dimensione finita.
} Osservazione 4.8.4 Chiaramente, σ(A) = σd (A) ∪ σess (A). Ma è anche, σ(A) = σp (A) ∪ σc (A):
in altre parole, la nuova suddivisione dello spettro corrisponde ad aver spostato insieme con lo spettro
continuo di A, gli autovalori di molteplicità infinita. Per esempio se A è un operatore autoaggiunto
compatto il suo spettro essenziale può non essere vuoto, perché 0 può essere un autovalore di molteplicità
infinita.
Teorema 4.8.6 Sia A un operatore autoggiunto e λ0 ∈ R. λ0 ∈ σ(A) se, e soltanto se, esiste
una successione di Weyl per λ0 .
Dimostrazione – Sia λ0 ∈ σ(A). Allora o λ0 ∈ σp (A) oppure λ0 ∈ σc (A). Nel primo caso esiste
x ∈ D(A), kxk = 1, tale che Ax − λx = 0. È sufficiente, in questo caso, scegliere xn = x per dimostrare
l’affermazione. Consideriamo adesso il caso in cui λ0 ∈ σc (A). Per definizione, l’operatore (A − λ0 I)−1 è
definito nell’insieme denso R(A − λ0 I), ma non è limitato. Esiste dunque una successione {yn } di vettori
di R(A − λ0 I) tale che kyn k = 1, per ogni n ∈ N e k(A − λ0 I)−1 yn k → ∞. Definiamo
(A − λ0 I)−1 yn
xn = , n ∈ N.
k(A − λ0 I)−1 yn k
Si ha allora kxn k = 1 e
yn
(A − λ0 I)xn = → 0.
k(A − λ0 I)−1 yn k
Viceversa, supponiamo che esista una successione di Weyl {xn } per λ0 ed ammettiamo, per assurdo, che
λ0 ∈ ρ(A). Dunque esiste (A − λ0 )−1 ∈ B(H). Posto yn = (A − λ0 I)xn , n ∈ N, risulta yn → 0, per
ipotesi. Ma questo implica che (A − λ0 I)−1 yn = xn → 0. Questo è impossibile, perché kxn k = 1, per
ogni n ∈ N.
Corollario 4.8.7 Sia λ0 ∈ σ(A). λ0 ∈ σess (A) se, e soltanto se, esiste una successione di Weyl
{xn } per λ0 costituita da vettori a due a due ortogonali.
Dimostrazione – Supponiamo che esista una successione di Weyl {xn } per λ0 costituita da vettori a
due a due ortogonali. Per definizione, risulta (A − λ0 I)xn → 0. Se fosse λ0 ∈ σd (A), esisterebbe > 0
tale che Pλ0 , H ha dimensione finita. Questo è equivalente a dire che Pλ0 , è compatto. Di conseguenza,
90 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Dimostrazione – Supponiamo che siano verificate (i) e (ii). Allora, se λ0 è punto isolato di σ(A), esiste
> 0 tale che ]λ0 − , λ0 + [∩σ(A) = {λ0 }. Dunque ]λ0 − , λ0 [⊂ ρ(A). Questo implica che E(λ) è
costante in ]λ0 − , λ0 [ e quindi E(λ) = E(λ− 0 ) per ogni λ ∈]λ0 − , λ0 [. In modo simile, E(λ) è costante in
−
]λ0 , λ0 + [. Quindi, E(λ) = E(λ+ 0 ) = E(λ 0 per ogni λ ∈]λ0 , λ0 + [. Quindi Pλ0 , = E(λ0 ) − E(λ0 ) 6= 0,
),
perché λ0 ∈ σ(A). Quindi λ0 è un autovalore di A ed essendo per ipotesi di molteplicità finita, appartiene
a σd (A).
Viceversa, se λ0 ∈ σd (A) esso è, per definizione, un autovalore di molteplicità finita. Resta da provare
che è un punto isolato di σ(A). Se cosı̀ non fosse, λ0 sarebbe un punto di accumulazione di σ(A). Quindi
esisterebbe una successione {λk } di elementi di σ(A) convergente a λ0 . Per ogni k, scegliamo un ak > 0
in modo che gli intervalli ]λk − ak , λk + ak ] siano a due disgiunti. Di conseguenza, i proiettori E(λk +
4.8. Famiglia spettrale e spettro 91
ak ) − E(λk − ak ) sono non nulli e a due a due ortogonali. Per ogni k sia xk = E(λk + ak ) − E(λk − ak )xk ,
con kxk k = 1. Si ha,
Z λk +ak
k(A − λ0 )xk k2 = (λ − λ0 )2 dkE(λ)xk k2 ≤ max{(λk + ak − λ0 )2 , (λk − ak − λ0 )2 }kxk k2 → 0.
λk −ak
Quindi, {xk } è una successione di Weyl di vettori a due a due ortogonali. Ne segue che λ0 ∈ σess (A),
contro l’ipotesi.
} Osservazione 4.8.10 Per un operatore di spettro discreto la rappresentazione spettrale stabilita nel
teorema 4.7.5 assume una forma particolarmente semplice:
∞
X
Ax = λ k Pk
k=1
dove i λk sono gli autovalori e Pk = E(λk ) − E(λ− k ). Questa semplificazione è dovuta al fatto che tutti
i punti della retta reale che non sono autovalori appartengono al risolvente di A e, dunque, la famiglia
spettrale è costante nell’ intervallo compreso tra due autovalori successivi.
per quanto osservato sopra. In ogni sottospazio Pk H selezioniamo una base ortonormale (necessariamente
finita) di autovettori ek,1 , . . . , ek,`k . Visto che A è simmetrico, autovettori corrispondenti ad autovalori
distinti sono ortogonali. Il sistema di vettori cosı̀ ottenuto costituisce una base ortonormale di H.
Dimostrazione – La Proposizione 4.8.11 implica che gli autovalori distinti sono necessariamente infiniti,
altrimenti lo spazio H sarebbe di dimensione finita. D’altra parte, In ogni intervallo [−N, N ], N ∈ N
cade un numero finito di autovalori di A. Infatti se cosı̀ non fosse, in uno di questi intervalli si potrebbe
trovare una successione {λk } di autovalori. A meno di passare ad una sottosuccessione, si può supporre
che λk → λ ∈ [−N, N ]. Per ogni k, scegliamo un autovettore xk , con kxk k = 1. Gli xk sono a due a due
ortogonali e costituiscono una successione di Weyl per λ; infatti,
} Osservazione 4.8.13 Se lo spazio H è di dimensione infinita, dal Teorema 4.8.12 deduciamo che,
sup |λk | non può essere finito. Infatti, in questo caso, A sarebbe ovunque definito e, quindi, limitato.
92 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Il seguente teorema che non dimostriamo mostra che alcuni rilevanti operatori di Schrödinger
con potenziale V (x) limitato inferiormente hanno spettro discreto.
Teorema 4.8.14 Sia V (x) una funzione continua in R, a valori reali e tale che
V (x) ≥ 1, ∀x ∈ R
e
lim V (x) = +∞.
|x|→∞
Allora l’ operatore
d2
Hoo = −
+ V (x)
dx2
definito in C0∞ R è essenzialmente autoaggiunto e positivo. La sua chiusura H è un operatore
di spettro discreto. Gli autovalori sono tutti semplici (hanno cioè molteplicità 1). Ordinando
gli autovalori in ordine crescente λ0 < λ1 < λ2 < · · · , ogni autofunzione ψk , relativa al k-simo
autovalore, ha esattamente k zeri.
Esempio 4.8.15
Sia
d2
1 2
Hoo = − + x ,
2 dx2
l’operatore hamiltoniano dell’ oscillatore armonico (si sono poste uguali a 1 tutte le costanti fisiche)
definito in C0∞ R è essenzialmente autoaggiunto; la sua chiusura H è un operatore positivo di spettro
discreto con le proprietà descritte nel teorema 4.8.14. Basta applicarlo, infatti, con V (x) = x2 + 1.
L’aggiunta dell’ identità non altera le proprietà spettrali di H. Tuttavia in questo caso, è possibile
calcolare esplicitamente autovalori ed autofunzioni di H.
Tuttavia per farlo è più conveniente considerare l’operatore Ho che agisce come Hoo ma su un dominio
diverso. Poniamo
2
D = {p(x)e−x /2 ; p(x) polinomio su C}.
Questo è un sottospazio denso di L2 (R) che ha intersezione nulla con C0∞ R. Si può dimostrare, tuttavia,
che le chiusure di Hoo e di Ho coincidono.
Definiamo i seguenti due operatori, definiti su D a valori in D stesso:
1 d † 1 d
A= √ x+ A =√ x− ,
2 dx 2 dx
• AA† f − A† Af = f, ∀f ∈ D;
• Ho f = A† Af + 21 f = AA† f − 12 f, ∀f ∈ D.
4.8. Famiglia spettrale e spettro 93
d
Per provare queste due uguaglianze occorre tener conto della regola di commutazione canonica dx (xf ) −
df
x dx = f , per ogni f ∈ D.
Consideriamo adesso una funzione ψ0 che soddisfi Aψ0 = 0 e kψ0 k = 1. Si può scegliere ψ0 (x) =
2
π −1/4 e−x /2 . Allora, Ho ψ0 = 21 ψ0 . Cioè ψ0 è un autovettore di Ho con autovalore 21 .
Osserviamo adesso che se φ è un autovettore di Ho con autovalore λ, allora A† φ è autovettore di Ho
con autovalore λ + 1. Infatti,
1
Ho A† φ = A† AA† φ + A† φ
2
1 1
= A (Ho φ + φ) + A† φ
†
2 2
† 1 † 1 †
= λA φ + A φ + A φ
2 2
= (λ + 1)A† φ.
Se si definisce
ψn = (n!)−1/2 (A† )n ψ0
si prova che kψn k = 1, per ogni n ∈ N. Inoltre i vettori ψn , essendo autovettori corrispondenti ad
autovalori distinti, sono ortogononali. Costituiscono quindi una sistema ortonormale. Si dimostra che
le funzioni ψn (x), dette funzioni di Hermite, costituiscono una base ortonormale di L2 (R). I polinomi
2
Hn (x) per i quali vale l’uguaglianza ψn (x) = Hn (x)e−x /2 sono detti polinomi di Hermite.
Esaminiamo adesso lo spettro dell’operatore φ(A) dove φ è una funzione reale continua in
R e A un operatore autoaggiunto.
Supponiamo che λ0 ∈ σ(A). L’operatore φ(A) è autoaggiunto quindi, se indichiamo con
{F (µ)} la sua famiglia spettrale, avremo
Z
φ(A) = µdF (µ). (4.9)
R
D’altra parte, il teorema sul calcolo funzionale ci garantisce che, se {E(λ)} è la famiglia spettrale
di A si può anche scrivere Z
φ(A) = φ(λ)dE(λ). (4.10)
R
Esaminiamo, per semplicità, il caso in cui φ sia continua e strettamente crescente. Se nella (4.9)
si opera il cambiamento di variabile µ = φ(λ) si perviene a
Z Z
φ(λ)dF (φ(λ)) = φ(λ)dE(λ).
R R
F (φ(λ)) = E(λ), ∀λ ∈ R.
94 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Ragionando sulla funzione inversa φ−1 si perviene a stabilire l’uguaglianza dei due insiemi.
Abbiamo provato cosı̀, in un caso particolare, il seguente teorema.
Non daremo la dimostrazione completa di questo teorema. Osserviamo soltanto che non solo
non è richiesta la stretta monotonia di φ, ma neppure che φ sia una funzione reale.
Esempio 4.8.17
Consideriamo il caso in cui l’operatore autoaggiunto A ammetta inverso limitato, A−1 . Allora, certamen-
te, 0 6∈ σ(A) e si ha
σ(A−1 ) = {λ−1 ; λ ∈ σ(A)}.
Esempio 4.8.18
Sia A autoaggiunto e z0 ∈ ρ(A), allora
Una condizione perché l’operatore autoaggiunto A abbia spettro discreto ci viene proprio
dall’operatore risolvente.
Teorema 4.8.19 Sia A un operatore autoaggiunto e supponiamo che esista z0 ∈ ρ(A) tale che
l’operatore risolvente Rz0 (A) sia compatto. Allora
Dato che Rz0 (A) è compatto il suo spettro consiste di punti isolati che hanno, al più, 0 come punto di
accumulazione. Quindi σ(A) è costituito di punti isolati con unico possibile punto di accumulazione +∞.
Esaminiamo gli autospazi.
Ax = λ0 x ⇔ (A − z0 I)x = (λ0 − z0 )x
⇔ (A − z0 I)−1 (A − z0 I)x = (λ0 − z0 )(A − z0 I)−1 x
1
⇔ x = (A − z0 I)−1 x.
λ0 − z0
Da queste equivalenze si deduce che x è autovettore di A relativo all’autovalore λ0 se, e soltanto se, x è
anche autovettore di (A − z0 I)−1 relativo all’autovalore λ0 −z
1
0
. Dunque i sottospazi corrispondenti hanno
dimensione finita. Quindi, A ha spettro discreto.
(ii): Per provare la (ii), se z ∈ ρ(A), la prima formula del risolvente si scrive
Rz (A) = Rz0 (A)(1 + (z − z0 )Rz (A)).
Dunque Rz (A) è prodotto di un operatore compatto, Rz0 , per uno limitato. Esso è, perciò, compatto.
Sia A un operatore autoaggiunto (limitato o no). Per mezzo del calcolo funzionale stabilito nel
teorema 4.7.9, si può definire l’operatore eitA in corrispondenza alla funzione limitata eitλ (t è
un parametro reale).
(a) Per ogni t ∈ R, U (t) è un operatore unitario e U (t + s) = U (t)U (s) per ogni t, s ∈ R.
(b) Se x ∈ H e t → t0 , allora U (t)x → U (t0 )x
U (t)x−x
(c) Se x ∈ D(A), t → iAx per t → 0.
U (t)x−x
(d) Se limt→0 t esiste, allora x ∈ D(A).
Poiché |eitλ − 1|2 è dominata dalla funzione integrabile h(λ) = 4 e poiché, per ogni λ ∈ R,
|eitλ − 1|2 → 0 per t → 0
dal teorema di convergenza dominata di Lebesgue si deduce che kU (t)x − xk2 → 0. Quindi t 7→ U (t) è
fortemente continua in t = 0. Per provare la continuità in un punto arbitrario t0 , basta osservare che
U (t − t0 )x → x per t − t0 → 0 e quindi U (t0 )U (t − t0 )x = U (t)x → U (t0 )x per t → t0
eitλ −1
Proviamo ora la (c). La funzione t converge, ovviamente, a iλ per t tendente a 0. Inoltre
itλ
e − 1
≤ |λ|
t
96 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Definizione 4.9.2 Una funzione t 7→ U (t) soddisfacente le condizioni (a) e (b) del precedente
teorema è detta un gruppo ad un parametro di operatori unitari fortemente continuo.
Il seguente teorema, noto come teorema di Stone, afferma che ogni gruppo ad un parametro
di operatori unitari fortemente continuo si può esprimere come l’esponenziale di un operatore
autoaggiunto.
Teorema 4.9.3 Sia U (t) un gruppo ad un parametro di operatori unitari (fortemente continuo)
nello spazio di Hilbert H. Allora, esiste un operatore autoaggiunto A in H tale che U (t) = eitA .
Per la continuità forte di U (t) l’integrale può essere inteso nel senso di Riemann. Indichiamo con D
l’insieme di tutte le combinazioni lineari finite di tutti i vettori del tipo xφ con x ∈ H e φ ∈ C0∞ (R). Sia
j (t) il nucleo regolarizzante definito a partire dalla funzione
( 1
che appartiene a C0∞ (R) (γ è scelto in modo che l’integrale su R dia 1), ponendo
1 t
j (t) = j .
allora
Z ∞
kxj − xk =
j (t)(U (t)x − x) dt
−∞
Z ∞
≤ j (t) dt sup kU (t)x − xk.
−∞ t∈[−,]
Axφ = −ix−φ0 .
d
(U (t)x, u) = (iAU (t)x, u)
dt
= i(U (t)x, A∗ u)
= i(U (t)x, iu)
= (U (t)x, u)
Cosicchè la funzione h(t) = (U (t)x, u) è soluzione dell’ equazione differenziale h0 = h e quindi h(t) = Cet ;
ma dato che U (t) è limitato, anche |h(t)| deve esserlo e quindi C = 0. In modo analogo si prova che non
esistono soluzioni non nulle di A∗ u = −iu e quindi A è essenzialmente autoaggiunto.
Per brevità, poniamo B = A e sia V (t) = eitB . Resta da provare che V (t) = U (t).
Sia x ∈ D. Dalla (c) del Teorema 4.9.1 sappiamo che V (t)x ∈ D(B) e che V 0 (t)x = iBV (t)x. Posto
w(t) = U (t)x − V (t)x, w(t) è una funzione a valore vettore derivabile in senso forte e
Quindi
d
kw(t)k2 = i(Bw(t), w(t)) − i(w(t), Bw(t)) = 0
dt
E perciò w(t) = 0 per ogni t, dato che w(0) = 0. Allora U (t)x = V (t)x per ogni t ∈ R e per ogni x ∈ D.
Poichè D è denso, si conclude che U (t) = V (t).
Esempio 4.9.4
Sia H = L2 (R). Per ogni t ∈ R, consideriamo l’operatore U definito nel modo seguente. Poniamo
ft (x) = f (x − t)
e definiamo
(U f )(x) = ft (x), f ∈ L2 (R).
L’operatore cosı̀ definito è unitario. La famiglia di operatori unitari {U (t) ; t ∈ R} costituisce un gruppo
ad un parametro, fortemente continuo, di operatori unitari. Determiniamo il suo generatore. Procedendo
in modo un po’ formale si ha
U (t)f − f f (x − t) − f (x)
lim = lim = −(Df )(x).
t→0 t t→0 t
Quindi il generatore di questo gruppo è l’operatore P definito nel paragrafo 4.4.2.1. Per essere rigoro-
si, avremmo dovuto innanzitutto determinare il dominio del generatore infinitesimale: esso è lo spazio
W 1,2 (R). La dimostrazione è lasciata come esercizio al lettore.
98 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
} Osservazione 4.9.5 A questo punto, una domanda legittima è se, dato un operatore autoaggiunto
A, si possa esprimere eitA , come sarebbe naturale attendersi, nella forma
∞
X (iAt)n
eitA = . (4.11)
n=0
n!
Il primo membro è un operatore unitario in H mentre il secondo pone alcuni problemi. Per cominciare,
osserviamo che, se A è autoaggiunto, tutte le sue potenze ad esponente naturale sono definite e sono
operatori densamente definiti. Tuttavia, perché si possa scrivere la serie a secondo membro della (4.11) è
necessario che l’insieme dei vettori di H per cui la serie è ben definita e convergente sia sufficientemente
ricco. Consideriamo il sottospazio di H
∞
\
D∞ (A) ≡ D (An ) .
n=1
Dω è denso in H. Infatti, se non lo fosse, esisterebbe y ∈ H, y 6= 0, tale che (E(∆)x, y) = 0, per ogni
sottoinsieme di Borel limitato ∆ e per ogni x ∈ H. Scegliendo xn = E(∆n )y con ∆n =] − n, n], si ha
Questo prova che Dω ⊂ D∞ (A) e dunque quest’ultimo spazio è denso in H. Su tutti i vettori x del
sottospazio generato da Dω , la serie a secondo menbro della (4.11) è convergente per ogni t ∈ R. Infatti
n+p
n+p n+p
X (iAt)k
X |t|k kAk E(∆)xk X |t|k C k
E(∆)x
≤ ≤ kxk → 0
k! k! k!
k=n+1 k=n+1 k=n+1
} Osservazione 4.9.6 Diversi spazi funzionali (non normati) sono del tipo D∞ (A), per qualche
operatore autoaggiunto A. Ad esempio, se A
1 2
A= |x| + 4n
2
si trova
D∞ (A) = S (Rn )
dove 4n è l’operatore laplaciano in n dimensioni e S (Rn ) è lo spazio di Schwartz delle funzioni a rapida
decrescenza.
4.10. Equazioni differenziali nello spazio di Hilbert 99
Un’ applicazione della teoria dei gruppi ad un parametro di operatori unitari consiste nella
risoluzione di equazioni differenziali nello spazio di Hilbert.
Sia ]a, b[ un intervallo in R; una funzione t ∈]a, b[→ x(t) ∈ H è detta continua in ]a, b[ se
per ogni c ∈]a, b[
lim kx(t) − x(c)k = 0.
t→c
La funzione t ∈]a, b[→ x(t) ∈ H è detta derivabile in ]a, b[ se per ogni c ∈]a, b[ esiste x0 (c) ∈ H
tale che
x(t) − x(c) 0
lim
− x (c)
= 0.
t→c t−c
È a questo punto chiaro cosa intendiamo quando diciamo che la funzione x(t) è di classe C 1 .
Il problema che ci proponiamo di risolvere è il seguente: sia (A, D(A)) un operatore au-
toaggiunto in H ed x ∈ D(A). Cerchiamo una funzione x(t) di classe C 1 in [0, ∞) tale
che
2. x(0) = x
3. x0 (t) = iAx(t)
Proveremo adesso che il suddetto problema ammette una, e una sola soluzione che si può
rappresentare nella forma
x(t) = eitA x, 0 ≤ t < ∞.
Per brevità poniamo, eitA = U (t). Per provare che x(t) ∈ D(A), basta provare che esiste il
U (s) − I
lim x(t).
s→0 s
Infatti
U (s) − I U (s) − I
lim x(t) = lim U (t)x
s→0 s s→0 s
U (s) − I
= U (t) lim x
s→0 s
e l’ultimo limite esiste perché x ∈ D(A).
Proviamo ora che x(t) è continua. Si ha
Ma dal terorema 4.9.1 sappiamo che U (t) è un gruppo fortemente continuo. Quindi se t → s
allora k(U (t) − U (s))xk tende a zero.
100 4. Operatori non limitati nello spazio di Hilbert
Si ha inoltre
x(t + h) − x(t)
U (t + h) − U (t)
lim
− iAx(t)
= lim
x − iAU (t)x
h→0 h h→0 h
U (h) − I
= lim
x − iAx
=0
h→0
h
perché A è il generatore infinitesimale di U (t). Questo prova, ad un tempo, che x(t) è derivabile
e che x0 (t) è soluzione dell’ equazione differenziale in esame.
La dimostrazione dell’ unicità è lasciata come esercizio.
Se gli operatori A e B non sono limitati, come già sappiamo, non ha senso parlare di commuta-
zione in senso puramente algebrico. Per dare un significato ragionevole all’ affermazione ”A e B
commutano”, ricordiamo che per operatori autoaggiunti limitati è equivalente affermare che essi
commutano o che commutano le loro famiglie spettrali. Questo fatto suggerisce la definizione
seguente.
Vale il seguente
(a) A e B commutano.
Non dimostriamo questo risultato, limitandoci ad osservare che il fatto che (a) implica (b) e (c)
è una conseguenza immediata del calcolo funzionale.
{m(A, ψ) ∈ I} ∩ {m(B, ψ) ∈ J}
Nella rappresentazione delle osservabili come operatori, questo si traduce nel fatto che gli operatori
corrispondenti devono commutare. Per capire meglio cosa intendiamo, supponiamo che due osservabili
siano rappresentate dagli operatori autoaggiunti limitati A e B e che lo spettro di entrambi questi operatori
sia costituito solo dagli autovalori {ai } e {bi }, rispettivamente. In questo caso i possibili valori misurati
di A e di B sono solo i loro autovalori. Quindi sarà possibile misurare contemporaneamente A e B se,
e soltanto se, essi ammettono una famiglia di autovettori comuni che costituisce una base dello spazio.
Sia, infatti ψi,j una base di autovettori comuni. Col doppio indice abbiamo inteso che
Aψi,j = ai ψi,j
e che
Bψi,j = bj ψi,j
Un semplice calcolo mostra allora che
(AB − BA)ψi,j = 0
che implica che A e B commutano. Il viceversa è pure vero. Per farlo vedere, ci mettiamo nell’ ipotesi
che gli autovalori di A e gli autovalori di B abbiano tutti molteplicità uguale a uno.È immediato provare
che se ψ è un autovettore di A e B commuta con A, allora Bψ è un autovettore di A corrispondente
allo stesso autovalore. Ma, per le ipotesi fatte, non può quindi che essere Bψ = λψ e quindi ψ è anche
un autovettore di B. Nel caso in cui gli operatori A e B siano limitati ma non abbiano spettro solo
puntuale, si dimostra che una distribuzione di probabilità congiunta delle due osservabili si può definire
se, e soltanto se, AB = BA.
La proiezione ortogonale di H
b sul suo sottospazio H sarà indicata con Pb
Teorema 4.12.2 Ogni operatore simmetrico (T, D(T )) ammette un prolungamento autoag-
giunto (eventualmente in uno spazio più grande).
e
({f1 , g1 }, {f2 , g2 }) = (f1 , f2 ) + (g1 , g2 ).
L’operatore Tb definito da
Tb{f, g} = {T f, −T g}, f, g ∈ D(T )
ha, allora, indici di difetto (n + m, m + n) e pertanto ammette estensione autoaggiunta in H.
b
È opportuno notare che la dimostrazione del teorema precedente fornisce un modo per costruire
il prolungamento di T , ma questo non è il solo modo possible. In generale, il prolungamente
autoaggiunto di un operatore simmetrico non è unico.
Sia T un operatore simmetrico in H e Tb la sua estensione autoaggiunta nello spazio H.
b
Allora Tb ammette la decomposizione spettrale
Z ∞
Tb = λd E(λ)
b
−∞
,e Z ∞ Z ∞
kT f k = kTbf k2 =
2 2
λ d E(λ)f,
b f) = λ2 d Pb(E(λ)f,
b f)
−∞ −∞
. Ponendo,
B(λ) = Pb(E(λ)dH
b
e Z ∞
2
kT f k = λ2 d B(λ)f, f )
−∞