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Traduzione e cura: Simone Bedetti

Immagine di copertina: © Thinkstock


Cover: Valerio Monego

Titolo originale: Mind: What is it?


© 2013 Area51 Publishing
Per l’edizione digitale © 2013 Area 51 s.r.l., San Lazzaro di Savena (Bologna)
Prima edizione ebook Area51 Publishing: febbraio 2013

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ISBN: 978-88-6574-176-4

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Wallace D. Wattles
Usa la tua mente
per cambiare la tua vita
Come il potere del pensiero trasforma la realtà
Nota introduttiva

“Non si può più parlare di selezione naturale


per gli essere umani, ora che la mente umana
ha conquistato la sua libertà.”
(Ian H. Robertson)

Uno dei libri che più hanno influenzato la mia visione positiva della vita e la mia
fiducia incondizionata nelle capacità evolutive degli esseri umani è Il cervello plastico
del neuropsicologo Ian H. Robertson. Pubblicato nel 1999, il saggio di Robertson ha
divulgato al grande pubblico il risultato di oltre mezzo secolo di ricerche nel campo
delle neuroscienze sulle capacità plastiche del cervello, ovvero sulla capacità
dell’esperienza e della coscienza di modellare e rimodellare la fisionomia neuronale
del cervello e plasmare e riplasmare abilità individuali, memoria, apprendimento e
comportamento.
Cento anni prima Wallace D. Wattles, scrittore, esponente del Nuovo Pensiero e
fervente ricercatore e sperimentatore nell’ambito della Scienza della Mente, pubblica
Mind: What is It?, e le tesi innovative esposte in questo saggio, che presentiamo per la
prima volta in edizione italiana, non possono che abbagliare il lettore moderno.
Le neuroscienze erano agli albori all’epoca di Wattles, così come gli studi sulle aree
cerebrali e sulle funzioni delle connessioni neuronali e sinaptiche.
Capisaldi della letteratura e dell’evoluzione della neuropsicologia e delle
neuroscienze come Un mondo perduto e ritrovato e Una memoria prodigiosa di
Aleksandr Lurija erano lontani, così come le ricerche di Julian Jaynes sulla funzione
antropologica degli emisferi cerebrali e la teoria evolutiva ed emergenziale della
coscienza divulgata nel suo magnifico Il crollo della mente bicamerale e l’origine
della coscienza del 1976 (teorie tutte, andrebbe sottolineato, che prendono avvio da
presupposti materialistici sulla coscienza e il cervello).
Lontani erano anche gli studi sulle reti neurali e la cosiddetta “regola di Hebb”, o
regola dell’apprendimento hebbiano, introdotta dallo psicologo canadese Donald Hebb
nel 1949 e che recita: “Se un neurone A è abbastanza vicino a un neurone B da
contribuire ripetutamente e in maniera duratura alla sua eccitazione, allora ha
luogo in entrambi i neuroni un processo di crescita o di cambiamento metabolico
tale per cui l’efficacia di A nell’eccitare B viene accresciuta.”
La regola di Hebb è uno dei cardini della teoria della neuroplasticità cerebrale:
indica che un comportamento (o per meglio dire una eccitazione neuronale, attivata da
diversi eventi che includono apprendimento, esperienze, emozioni, stress, traumi,
sentimenti, etc.), e in particolare un comportamento ripetuto, creano interconnessioni
specifiche tra neuroni, come i tasti di un pianoforte premuti per comporre accordi, e che
queste interconnessioni tendono a riattivarsi, ripetendo e rafforzando lo stesso schema,
alla riproposizione del comportamento o al verificarsi del medesimo evento e della
medesima eccitazione.
Ciò significa, direttamente, che è l’esperienza a plasmare la struttura neuronale del
cervello, e, indirettamente, che possiamo “riprogrammare” il nostro cervello
“riprogrammando” le interconnessioni neuronali, ovvero creando nuove
interconnessioni attraverso nuovi comportamenti volontari.
Mi sono soffermato su questo punto perché è l’unico aggiornamento essenziale da
apportare alla teoria sperimentale della “incisione” dell’esperienza e del
comportamento nelle aree cerebrali illustrata da Wattles in questo saggio. Oggi
sappiamo, infatti, che specifiche aree cerebrali sono deputate a specifiche funzionalità
cognitive e comportamentali (linguaggio parlato, comprensione dei volti, movimento,
pensiero razionale, etc.) ma che sono le interconnessioni neuronali la sede della
scrittura e riscrittura della “vita individuale”, il luogo dove vengono registrate e
riprodotte le nostre capacità e la nostra esperienza.
I risultati dimostrati da settant’anni di ricerca scientifica sottoscrivono e ratificano
perciò, con preziosi aggiornamenti, le tesi avanzate da Wattles.
In particolare ratificano la tesi più importante: che la mente viene prima del
cervello, che la mente è una forza, una energia che plasma il cervello e lo utilizza per
esprimere se stessa. Come lo plasma? Attraverso l’esperienza. Qual è l’essenza
dell’esperienza? La libertà. La libertà di attivare nuove interconnessioni neuronali e di
riscrivere il programma delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti. La libertà di
essere, come dice Wattles, “ciò che scegliamo di essere”.
Questo piccolo, essenziale e illuminante libro si spinge però oltre ogni teoria
scientifica attuale, perché trae dalla scienza le conseguenze speculative che aprono le
porte a una dimensione spiritualmente scientifica della mente.
È una suggestione non solo filosofica che nei segreti dei meccanismi cerebrali si
possa celare il segreto della mente e, forse, il mistero stesso dell’universo.
Personalmente sono convinto che l’espressione di Ilya Prigogine, “l’universo come un
immenso cervello”, non sia metaforica ma fisiologica. L’universo è un immenso
cervello e il cervello è in costante connessione con l’universo. E siamo noi, con la
nostra libertà di creare noi stessi, i creatori del nostro cervello e del nostro universo.
Il messaggio del cervello plastico, il messaggio di Wattles, è un messaggio di
incondizionata fede planetaria nelle nostre capacità evolutive. È qualcosa, se così
posso dire, di più grande dell’amore. È qualcosa che riguarda i nostri genitori, i nostri
fratelli, i nostri figli e la nostra Madre Terra. È qualcosa che ci lega indissolubilmente
gli uni agli altri perché riguarda la nostra comune origine e il nostro comune destino
umano.
Il cervello plastico, nella come sempre rigorosa analisi di Wattles, coniuga scienza e
fede, metodo scientifico e ricerca spirituale.
La scienza, oggi, è come se non avesse ancora fiducia nell’uomo. Sembra
considerarlo ancora un bambino da rassicurare e tutelare con ricerche e dati, un
bambino a cui far dono di nuovi princìpi di fede da ricevere in modo passivo. Si pone
come una specie di nuovo messia che ai bambini impauriti promette una nuova salvezza.
Per Wattles dobbiamo invece diventare noi i veri scienziati di noi stessi, i
coraggiosi, avventurosi sperimentatori della nostra libertà. Se noi possiamo essere ciò
che scegliamo di essere, tocca a noi il compito di voler diventare ciò che vogliamo
diventare. La nostra mente, cioè la nostra energia mentale, la nostra vita, richiede la
nostra continua attività per plasmare il nostro cervello, la nostra realtà. Nessun altro
può farlo al posto nostro. Non c’è espiazione vicaria, nel cervello plastico, né salvezza
per procura.
La scienza di Wattles non ci fa più attendere qualcuno che ci salvi ma, come nella
bellissima poesia di Robert Frost, ci insegna e ci invita a salvare noi stessi, senza
soccorso.
È questa, secondo Wattles, l’essenza della libertà. Allora la domanda diventa: siamo
pronti per tutta questa libertà?
L’Editore
1
Vita e organismi

Due argomenti importanti sono discussi in questo libro.


Primo. La mente è il risultato di funzioni fisiche?
Secondo. Può la mente esistere senza funzioni fisiche?
Questi due argomenti sono fondamentali, e devono essere risolti se vogliamo avere
una base scientifica per comprendere i meccanismi di guarigione operati dalla mente, o
per sostenere una psicologia o un pensiero positivo di qualsiasi tipo.
Se la mente è il risultato di funzioni fisiche, appare logico che per controllare la
mente noi dobbiamo controllare le funzioni fisiche, per creare la mente noi dobbiamo
creare le funzioni fisiche e per cambiare la mente noi dobbiamo cambiare le funzioni
fisiche.
E se la mente o l’intelligenza non possono esistere senza le funzioni fisiche, è inutile
sperare in un’esistenza dopo la morte, quando tutte le funzioni del corpo materiale
cessano.
La prima cosa che notiamo nell’intelligenza è che sembra essere necessariamente e
intrinsecamente associata alla vita. Non troviamo nessun tipo di intelligenza nel regno
della materia o di quelle forze che non fanno parte della vita.
Un’osservazione più attenta ci porta alla conclusione che mentre può esistere vita
senza intelligenza, non può esistere intelligenza senza vita.
Ci sono alcune condizioni sotto le quali la vita è non-intelligente; ci sono determinate
altre condizioni sotto le quali la vita diventa senziente e intelligente. Perciò la domanda
che segue è: l’intelligenza è il risultato di alcune condizioni oppure è una proprietà
intrinseca a tutta la vita e che si manifesta solo sotto determinate condizioni?
La vita è una forza, una forma di energia. È una distinta e definita forma di energia
come l’elettricità o il calore. Essa svolge un lavoro, e tutto ciò che svolge un lavoro è
una forza.
È bene che questo punto sia assolutamente chiaro: l’energia dell’organismo non è
elettricità, non è calore. Non è nessuna delle forme conosciute di energia materiale. È
energia vitale, o vita.
La vita differisce da tutte le altre forme di energia in ciò che si mostra essere una
eccezione alla legge della correlazione delle forze – se possiamo chiamarla legge.
Calore, luce ed elettricità sono convertibili l’una nell’altra. Mentre però tutte e tre
possono essere necessarie per creare le condizioni per la vita, nessuna di esse è
convertibile in vita. Non possiamo prender fuori la vita dal calore, dalla luce,
dall’elettricità o dalla combinazione di queste tre forze tra di loro o con altre forze.
Ogni forza vivente proviene da un seme, il quale contiene vita. La vita di oggi è solo
una continuazione della vita di ieri.
La vita non sembra essere mai generata come effetto di altre forze, né sembra
originare da una combinazione accidentale o intenzionale di altre forze.
Non è dimostrabile che la vita sia mai iniziata dove non vi fosse già vita, né è
dimostrabile che nuova vita sia prodotta dalla non-vita.
Noi troviamo la vita solo negli organismi viventi. Ma la vita non è prodotta dagli
organismi.
Se la vita fosse prodotta dagli organismi, allora gli organismi dovrebbero esistere
prima della vita. Una macchina non può generare energia prima che sia costruita, in
modo ragionevolmente completo, in ogni sua parte. Se l’albero producesse se stesso
come vita, allora l’albero dovrebbe esistere anche prima, senza vita. Dovrebbe prima
esistere senza vita, poi iniziare a entrare in azione e produrre vita, come una dinamo
produce elettricità.
Non c’è alcun organismo in un seme, ma c’è la vita, e la vita produce l’albero. Non
c’è alcun organismo in un uovo, ma c’è la vita, e la vita produce la gallina.
L’albero non genera la vita: la vita genera l’albero. Gli organismi non generano la
vita, la vita crea gli organismi.
Gli organismi non sono creati perfetti, affinché possano iniziare a funzionare e
generare vita; la vita viene prima delle azioni fisiche, delle funzioni organiche; è la
causa, non il risultato di tali funzioni.
Gli organismi non vivono perché alcune funzioni e processi viventi si attivano in
essi, ma queste funzioni e questi processi sono attivi perché sono vivi. Gli esseri
viventi non creano la vita, la ricevono.
E per quanto riguarda l’intelligenza? Gli organismi che manifestano intelligenza la
generano? O l’intelligenza e la mente sono il risultato di funzioni organiche?
Per credere a questa teoria è necessaria l’accettazione di un principio inaccettabile.
Se questa teoria fosse vera, dovrebbe esistere una sorta di linea definita oltrepassata
la quale la forza priva di intelligenza diventa forza intelligente, un punto in cui ciò che è
morto diventa vivo. Il che è inconcepibile: non possiamo certo pensare che l’elettricità
o il calore d’improvviso diventino intelligenti e capaci di pensiero.
Prova a immaginare che la corrente elettrica sia dotata di intelligenza e che pianifichi
il suo flusso: comprenderai la difficoltà di accettare l’idea materialistica dell’origine
del pensiero.
Se il pensiero richiede uno sforzo – l’utilizzo di una forza – e noi sappiamo che lo
richiede, allora ciò che pensa è una forza. Ma qual è questa forza? E quando questa
forza ha iniziato a pensare? E cosa cambiò questa forza da una forza senza pensiero a
una forza pensante?
Che il processo di pensiero implichi consumo di energia è un fatto assodato. Siamo
ben consapevoli, per la nostra esperienza, del continuo e sostenuto sforzo che avviene
nel processo di pensiero, esattamente come lo sforzo che avviene durante il lavoro
fisico, e spesso anche di più. Molte persone che non sono pigre fisicamente tendono
infatti a sottrarsi all’enorme sforzo richiesto per pensare in modo continuativo su
qualsiasi argomento.
Siamo perciò ben consapevoli del dispendio di energia che avviene nel processo di
pensiero, a causa dello sforzo che richiede il pensare, e della conseguente stanchezza.
Inoltre, si verificano determinati fenomeni che sembrano darci la prova finale che il
pensiero abbia in sé una forza propellente.
Il pensiero non può muoversi o attivarsi senza forza. Guglielmo Marconi non
potrebbe inviare un impulso senza fili e trasmettere l’informazione senza l’uso di questa
forza.
Ogni cosa che pensa, perciò, è una forza.
La domanda però resta. È una forza che prima era una forza non-pensante e poi è
diventata una forza-pensante o stiamo parlando sempre di una forza, di una intelligenza,
pensante?
Ora, se il pensiero fosse il risultato di funzioni organiche, allora la forza che causa
queste funzioni sarebbe la forza che pensa. Ma, in realtà, quella forza non pensa. Essa
attiva ciecamente le funzioni organiche, il cui risultato è il pensiero.
Non ci può essere intelligenza prima delle funzioni organiche; la causa deve sempre
precedere l’effetto. Da ciò deve necessariamente conseguire che se il pensiero e
l’intelligenza fossero il risultato di funzioni organiche non potrebbero cambiare,
organizzare, controllare o governare le funzioni organiche, perché è manifestamente
impossibile che l’effetto possa controllare la causa.
Inoltre, se il pensiero fosse il risultato di un processo diretto da una forza non-
pensante, sarebbe molto difficile comprendere e dimostrare come il pensiero stesso
possa essere guidato e diretto in modo intelligente.
Se la forza che pensa è una forza non-pensante, da dove proviene l’abilità di pensare
in modo coerente e con sforzo sostenuto su ogni argomento? Perché i nostri pensieri non
cambiano così come avviene ogni cambiamento organico durante e dopo la digestione?
Robert Green Ingersoll dice: “Una meravigliosa chimica rende possibile che un
pezzo di pane diventi pensiero.” Se questo fosse vero, un cambiamento nelle reazioni
chimiche durante la digestione dovrebbe produrre un corrispondente cambiamento nel
pensiero. Un mangiatore di carne dovrebbe pensare in modo “geneticamente” differente
da un vegetariano, e tutti i mangiatori di carne dovrebbero pensare essenzialmente
sempre gli stessi pensieri.
Sono a conoscenza dei tentativi che sono stati fatti per dimostrare questa tesi di
determinismo materialista e fisiologico, ma le prove avanzate non sono mai state
definitive. Non sono più conclusive di chi cerca di dimostrare in modo scientifico il
proverbio “Rosso di sera bel tempo si spera”.
Se il pensiero fosse il risultato di funzioni organiche, non sarebbe necessariamente
vero che tutti gli esseri umani con funzioni simili, che hanno le medesime strutture
fisiologiche e che vivono sotto le stesse condizioni fisiche e organiche dovrebbero
pensare gli stessi pensieri?
Sono certo che alcuni materialisti scientifici si sono impegnati a dimostrare anche
questo, ma nonostante le profonde e legittime argomentazioni utilizzate per sostenere
questa teoria, resta il fatto che tutti gli uomini e le donne pensano in modo diverso, che
ci sono operai che pensano come imprenditori e imprenditori che pensano come operai,
così come (anche se raramente) ci sono avvocati che pensano come santi e (più di
frequente) ecclesiastici che pensano come diavoli.
L’immensa diversità nel tipo di pensieri delle donne e degli uomini, sotto le
medesime condizioni fisiche generali, cozza con l’idea che il pensiero sia il risultato di
funzioni organiche e che sia causato da una forza non-pensante.
Nel prossimo capitolo valuteremo se il cervello può produrre pensiero dalle funzioni
organiche e se la mente stessa può essere considerata il risultato dell’attività del
cervello, o l’azione combinata di tutti gli organi fisici.
2
Iniziare a pensare

Nel modo in cui si delinea la sua convinzione circa l’origine della mente, un uomo
si definisce o materialista o spiritualista. Se è convinto che la mente umana sia il
risultato dei processi della materia inerte sotto certi stati e condizioni, si definisce
materialista; se invece è convinto che la mente umana sia un’entità indipendente,
esistente come organismo pensante, autonoma rispetto alle forme grossolane della
materia che sono percepibili dai sensi materiali, si definisce spiritualista.
Se vogliamo compiere uno studio razionale della psicologia dobbiamo accettare
l’uno o l’altro di due fondamentali princìpi di partenza: 1. La mente è il prodotto delle
funzioni organiche del corpo; 2. La mente è un’entità indipendente, non prodotta dal
corpo.
In questo capitolo mi propongo di rispondere alla domanda: la mente è il risultato
delle funzioni organiche?
Se così fosse, come accennavo nel primo capitolo, ci dev’essere una linea definita
oltrepassata la quale la forza inconsapevole diventa forza consapevole; un punto dove
ciò che non può pensare comincia a pensare. Ci dev’essere un punto dove una forza
materiale non intelligente e cieca diventa una forza intelligente e autoindirizzata.
Ciò però è inconcepibile.
Vorrei riprendere, per illustrare questo punto, l’esempio che ho utilizzato nel
precedente capitolo. Prova a immaginare un flusso di corrente elettrica che
improvvisamente cominci a pensare e pianificare la propria direzione: inizierai di certo
a comprendere la difficoltà di accettare la teoria materialistica dell’origine del
pensiero.
Abbiamo il diritto di domandare ai materialisti di mostrarci il punto esatto in cui la
forza non-pensante inizia a pensare.
Perché, senza dubbio, la mente è una forza che pensa.
Sappiamo infatti, anche da quanto abbiamo argomentato nel precedente capitolo, che
il pensiero richiede un dispendio di energia; siamo consapevoli del continuo e
sostenuto sforzo del pensiero: proprio come avviene nel lavoro fisico, e spesso anche
di più.
Come abbiamo detto, è come è utile ribadire per comprendere appieno il concetto,
persone che sono fisicamente attive spesso cedono e rifuggono dallo sforzo, continuo e
a volte estremamente impegnativo, di pensare in maniera intensa su un argomento, per
analizzarlo o cercare una soluzione (come stiamo facendo io nello scrivere sulla mente
e tu nel leggere).
Sappiamo perciò senza ombra di dubbio, dallo sforzo e dalla fatica che richiede il
pensare, che molta energia viene spesa dal pensiero.
Altri fenomeni dimostrano inoltre come il pensiero abbia una forza
propellente dentro di sé.
Come ho detto, Guglielmo Marconi non avrebbe potuto trasmettere un messaggio via
telegrafo senza fili senza sfruttare questa forza; allo stesso modo un pensiero non
potrebbe essere attivato senza l’utilizzo di questa forza.
Ciò che pensa il pensiero, perciò, è una forza.
La domanda a questo punto diventa: è una forza non-pensante che improvvisamente
diventa pensante? E se è così, quando, perché e come inizia a pensare?
Ora, se il pensiero è una funzione organica del cervello, allora la forza che causa
questa azione fisiologica dev’essere la forza che pensa.
Ma il fatto è che questa forza non pensa. Essa attiva le azioni organiche in modo
cieco, e da queste forze organiche “cieche” dovrebbe originare il pensiero.
Se il pensiero è un effetto delle funzioni organiche, non può esserci intelligenza
prima dell’azione organica, e perciò risulta impossibile per l’intelligenza, poiché
deriva da queste, cambiare, attivare, controllare o governare le funzioni organiche.
Se così fosse, l’effetto (l’intelligenza, risultato delle funzioni organiche) dovrebbe
essere posto prima della causa (le funzioni organiche).
Se il cervello è azionato dalla stessa forza che aziona il cuore, lo stomaco, il fegato e
i reni, allora le funzioni di tutti questi organi devono essere assolutamente oltre la
portata e il controllo dell’intelligenza, perché non ci può essere intelligenza finché non
sono attivati.
C’è però un fatto da non sottovalutare: la mente controlla le funzioni organiche .
Probabilmente controlla, a livello conscio o subconscio, tutte le funzioni organiche.
Nel suo saggio La Forza della Mente, il medico e ricercatore Alfred T. Schofield
cita diversi casi in cui la mente ha inequivocabilmente causato paralisi, tumori,
formazione di pus, idropisia, idrofobia fatale, stenosi della trachea con conseguente
morte. Di fatto, quasi l’intera categoria delle malattie organiche. Cita anche non pochi
casi in cui la mente ha provocato cambiamenti reali nella struttura organica del corpo.
Schofield si spinge anche oltre, arrivando a sostenere che la mente può essere la causa
e anche la cura di queste patologie.
Se ciò è vero, e ogni giorno che passa la scienza sta dimostrando quanto sia vero,
allora non è possibile che la mente sia il risultato di quelle funzioni sulle quali essa ha
un tale assoluto potere.
C’è un’altra difficoltà meccanica sulla strada della teoria materialistica del
pensiero. Ogni fisico e ingegnere sa che non potremo mai ottenere la stessa energia in
uscita da una macchina di quella che immettiamo in entrata. Ci sono sempre delle
perdite, delle dispersioni (frizione, resistenze interne, etc.). Così, per esempio, il
motore a vapore ci restituisce soltanto una percentuale dell’energia potenziale del
carbone che viene consumata; parte dell’energia del carbone viene persa in vari modi
prima che arrivi nel motore come effettiva energia di lavoro. Le migliori dinamo
restituiscono il 95 per cento di energia spesa nella loro attivazione: il restante 5 per
cento si perde nella trasformazione dell’energia a vapore in energia elettrica.
Tutto ciò che ogni macchina può fare è trasformare l’energia potenziale nella natura
in energia cinetica di lavoro, e nessuna macchina può sprigionare la stessa energia
cinetica dell’energia potenziale che riceve.
Il corpo umano non fa eccezione. Se esprime e sprigiona energia cinetica (per
esempio con il metabolismo), allora riceve energia potenziale che trasforma in energia
di lavoro. E se il pensiero è prodotto dal corpo umano, allora significa che riceviamo
una qualche forma di energia potenziale che trasformiamo in pensiero. Non c’è
possibilità di fuga da questa logica.
Questo ci porta all’onnipresente stomaco. L’energia che si trasforma in pensiero
proviene dal cibo? Ci troviamo veramente di fronte, come dice Robert Green, a una
meravigliosa chimica che rende possibile che un pezzo di pane diventi pensiero?
Se è così, allora la forza del pensiero è fornita al cervello dallo stomaco. La
supposizione più plausibile è che essa sia fornita al cervello in forma di energia
potenziale, e che si trasformi in pensiero nel cervello. Sebbene si possa sostenere che
“siamo ciò che mangiamo”, difficilmente qualcuno potrebbe affermare che “pensiamo
ciò che mangiamo”, ovvero, fuor di metafora, che sia lo stomaco che pensa e che
rifornisce il cervello di pensieri già pronti.
Se la psicologia materialista ha ragione, significa che l’energia potenziale del cibo è
fornita al cervello dallo stomaco proprio come l’energia potenziale del carbone è
fornita alla dinamo dal motore a vapore, e che l’energia è trasformata in pensiero dal
cervello, così come l’energia del vapore è trasformata in elettricità dalla dinamo.
Se questo è vero, ricorda che in accordo con l’immutabile legge della meccanica
menzionata sopra, il cervello può solo restituire una parte – diciamo il 95 per cento –
dell’energia che riceve dallo stomaco. L’energia del cervello deve perciò sempre
essere almeno un po’ inferiore rispetto all’energia dello stomaco.
Qui iniziano le difficoltà meccaniche. Siamo infatti tutti consapevoli che i processi
digestivi richiedono molta energia. Perché ci sentiamo spenti, pesanti e sonnolenti dopo
un pasto troppo abbondante? Anche il materialista sa che questo accade perché occorre
moltissima energia per il lavoro digestivo che praticamente non ne rimane per il
pensiero.
Allora non dobbiamo dedurre che è il cervello che fornisce energia allo stomaco?
Altrimenti, come può ricevere energia quando lo stomaco è sovraccarico tanto da non
poter trasformare l’energia potenziale in pensiero?
Se lo stomaco trasforma il pane in energia di pensiero, con un po’ di pane di troppo
nello stomaco cosa succede, si smette di pensare? Si sarebbe piuttosto portati a pensare
al contrario, cioè che più ci nutriamo meglio possiamo pensare.
La psicologia materialista ignora del tutto il fatto che per digerire il cibo si spende
moltissima energia, e che pur seguendo tutto il percorso dell’energia assorbita nello
stomaco, non si è in grado di individuare o spiegare l’energia che controlla e gestisce
lo stesso stomaco.
Questo, oltretutto, non è il problema più rilevante. Se lo stomaco è la fonte
dell’energia del cervello, deve essere completamente impossibile per il cervello
controllare e gestire lo stomaco e i processi digestivi. La legge meccanica che governa
la trasmissione dell’energia lo impedirebbe.
Per analogia, è come se la dinamo dicesse al motore: “Ehi, aspetta! Da questo
momento facciamo come dico io. Ti avvierai solo quando pare e piace a me, ti fermerai
quando mi pare e piace, andrai avanti e indietro solo al mio comando e sarai
completamente sotto il mio controllo.”
Sappiamo che è impossibile, perché la dinamo riceve energia dal motore, e può solo
restituire al massimo il 95 per cento di ciò che riceve. Perciò la macchina che riceve
non può controllare la macchina che aziona. L’effetto non può agire sulla causa o
controllarla.
Questo sta a significare che, come principio generale, la macchina che può attivare,
fermare e controllare l’altra macchina è quella che fornisce l’energia.
E nessuno che abbia familiarità con i processi digestivi e l’argomento nutrizione può
contestare la verità che è nel potere del pensiero di attivare, fermare e controllare i
processi digestivi e lo stomaco. Il pensiero attiva la saliva e i succhi gastrici; il
pensiero può causare vomito o addirittura interrompere la digestione, il pensiero può
causare le peggiori forme di dispepsia.
Questi e molti altri esempi che derivano anche dall’esperienza di ognuno di noi
dimostrano che lo stomaco è la dinamo e il cervello è il motore, che non vi è alcuna
“meravigliosa chimica” grazie alla quale il pane diventa pensiero, e che l’azione
mentale è la causa e non l’effetto della digestione.
Senza dare ulteriore spazio alla teoria materialista della mente, nel prossimo
capitolo analizzeremo la seconda ipotesi: che la mente sia un entità indipendente, non
prodotta dal corpo.
3
La funzione degli emisferi cerebrali

In questo capitolo attingerò abbondantemente dalle tesi avanzate nel libro Cervello e
personalità, scritto dal medico e ricercatore William Hanna Thomson.
È un libro strettamente scientifico, non speculativo, e la sostanza delle tesi di
Thomson è che la mente non è il prodotto del cervello, ma che la mente dà forma al
cervello per i propri scopi.
Thomson sostiene che il pensiero realmente fa la mente, invece di essere il risultato
dell’azione del cervello. Chiama il cervello “l’organo fisico della mente”.
È un fatto piuttosto noto ai più che l’esercizio di determinate facoltà dipende
dall’azione di alcune zone del cervello. Che tali facoltà mentali corrispondano allo
sviluppo di alcune parti del cervello è stata a lungo una credenza diffusa. La cosiddetta
scienza della frenologia si fondava su questa idea, che nei fatti non è un’idea priva di
fondamento.
Non è sicuramente vero, come vedremo più avanti, che la forma del cranio o lo
sviluppo di certe aree cerebrali fissino irrevocabilmente il carattere, le capacità e il
destino dell’individuo. È invece un fatto che tutte le funzioni mentali siano dipendenti
dalla integrità fisica di alcune definite e specifiche aree del cervello.
C’è, per esempio, una zona cerebrale deputata al linguaggio parlato, e un danno a
quest’area renderà una persona incapace di parlare, anche se potrà continuare a leggere
e comprendere le parole come sempre. Separata e distinta da questa zona deputata al
linguaggio parlato, c’è una zona del cervello deputata alla lettura, e un danno a questa
zona renderà una persona incapace di leggere o di ricordare ciò che legge, mentre
manterrà perfettamente intatta la sua abilità a parlare.
Il nostro cervello è come un registratore su cui registriamo tutto ciò che ci serve
utilizzare in seguito. Impariamo a parlare molto prima di imparare a leggere, perciò
abbiamo una “zona di registrazione” distinta, un’area cerebrale appositamente creata
per immagazzinare il suono delle parole. Quando impariamo a leggere, in un’altra area
del cervello viene incisa e immagazzinata la nostra capacità di comprendere le parole
stampate e scritte.
La mente “prende” tutte queste cose e le “scrive” nel cervello, e un danno a una zona
del cervello distrugge la registrazione impressa in quella zona, e paralizza l’abilità o la
facoltà relativa che dipende per la sua esistenza dalla registrazione impressa in quella
zona.
Thomson cita numerosi casi, tra cui quello di una donna che aveva perso la capacità
di leggere mentre aveva continuato a mantenere intatta la sua capacità di parlare e
ascoltare perfettamente, e di un uomo “che aveva perso la capacità di parlare e anche
quella di leggere. Era però capace di ascoltare e comprendere perfettamente le parole
e, strano a dirsi, dimostrò che l’area delle cifre aritmetiche è localizzata in una zona del
cervello diversa da quella delle parole, perché riusciva a leggere, a scrivere cifre e a
fare ogni tipo di calcolo. Lavoro che svolse per i sette anni successivi in grandi
aziende, senza mai essere in grado di pronunciare una parola o anche solo di leggere la
propria firma.”
Anche le note musicali sembra siano registrate in una zona differente del cervello. Si
sono verificati diversi casi di musicisti che hanno perso la capacità di leggere la
musica ma hanno conservato la capacità di leggere tutto il resto, e casi di persone che
hanno perso la capacità di leggere ma hanno conservato la capacità di leggere la
musica.
Quando una persona diventa musicista, “semplicemente” incide un certo tipo di
conoscenza in una certa area cerebrale. Su questo punto tornerò più avanti.
Ogni differente “linguaggio” che impariamo è dunque registrato in una specifica area
cerebrale. Thomson cita il caso di un inglese che conosceva il francese, il latino e il
greco. Perse la capacità di leggere l’inglese, poteva leggere il francese in modo
imperfetto, il latino un po’ meglio, e il greco bene come sempre. Il caso, dice Thomson,
“dimostra che la sua registrazione dell’inglese era rovinata, quella del francese
danneggiata, quella del latino parzialmente intatta e quella del greco completamente
intatta.”
Tutto questo non prova che il cervello altro non è che uno strumento di registrazione
e trasmissione della Personalità dell’individuo?
Sto cercando di portarti prove convincenti del fatto che il cervello non è la fonte del
pensiero, ma semplicemente lo strumento di chi pensa, così come il pianoforte è lo
strumento di chi suona.
Da queste prove dobbiamo trarre le conclusioni appropriate.
La teoria dei due emisferi cerebrali è ormai un fatto scientificamente accertato.
L’emisfero cerebrale destro e l’emisfero cerebrale sinistro presiedono a diversi gruppi
di specifiche funzioni.
Usiamo per esempio solo metà cervello per pensare in modo razionale, mentre l’altra
metà non è affatto coinvolta nel processo di pensiero o nella conoscenza. Il pensiero
razionale, è stato rilevato, coinvolge l’emisfero sinistro del cervello, e tutta la
conoscenza razionale è inscritta in quell’emisfero.
Un danno all’emisfero destro del cervello potrebbe causare paralisi in alcuni
muscoli della parte sinistra del corpo, ma non causerebbe perdita di memoria,
incapacità di lettura, o nessun altro degli effetti che abbiamo citato poc’anzi.
Utilizziamo l’emisfero cerebrale sinistro per il pensiero razionale, per
l’immagazzinamento della conoscenza, e anche per controllare i movimenti della parte
destra del corpo; utilizziamo invece l’emisfero cerebrale destro per controllare i
movimenti della parte sinistra del corpo e per altre funzioni, ma non per il pensiero e la
conoscenza.
Per quanto riguarda i mancini, per molte funzioni le attività degli emisferi cerebrali
sono invertite.
La conseguenza che deduciamo da queste prove scientifiche è che siamo nati con due
registratori (i due emisferi cerebrali) vuoti. Nessun bambino appena nato sa come
parlare, o leggere, o pensare. Non è capace di parlare finché non incide una zona
deputata al linguaggio nel suo cervello; non è capace di scrivere finché non incide una
zona deputata alla scrittura nel suo cervello.
Fin dai primi giorni di vita si mette a plasmare un cervello attraverso il quale può
esprimere se stesso. E, nella misura in cui le due metà del cervello sono ugualmente
disponibili per lo scopo, egli utilizza spontaneamente, seguendo le connessioni
fisiologiche, la metà con la quale inizia a muoversi nello spazio, a compiere gesti, etc.,
cioè tutto quello che gli serve per manifestare ed esprimere i propri desideri.
L’inizio del linguaggio è gestuale, ed è perciò naturale che il centro del linguaggio si
sviluppi in quell’emisfero cerebrale che il cervello utilizza per primo affinché
l’intelligenza esprima se stessa con il movimento. Ecco spiegato perché i centri del
pensiero sono situati nell’emisfero sinistro per i destrimani e in quello destro per i
mancini.
Fino a una certa età il cervello rimane plastico in modo tale che se viene danneggiata
una zona il cervello stesso attiva altre aree cerebrali e altre connessioni per superare e
“riparare” il danno. È accaduto in molti casi in cui bambini, adolescenti e giovani
hanno perso alcune capacità o facoltà a causa di lesioni cerebrali, e successivamente le
hanno recuperate sviluppando nuove aree cerebrali.
Questa capacità plastica pare ridursi fortemente dopo i 45 anni, ma non per ragioni
biologiche: accade nella maggior parte dei casi perché le persone, a causa del loro stile
di vita sedentario e dedito all’eccesso di cibo, “intasano” il loro organismo e rendono
sempre più difficoltoso il lavoro di plasticità del cervello, che impiega grandi quantità
di energia, perché tutta la loro energia viene spesa o bloccata dai “rifiuti alimentari”.
Se tutte le persone che superano l’età di 45 anni continuassero a vivere assumendo
non più di 3,5 o 4 etti di cibo solido al giorno, scopriremmo presto che la capacità di
elaborazione del pensiero e l’attività cerebrale di un uomo di 75 anni equivale a quella
di un ragazzo di 15. Non potrai avere però questa capacità finché il tuo cervello sarà
intasato da masse di rifiuti alimentari di scarto. Il miglior consiglio è di tenere il tuo
registratore sempre pulito e oliato, perfettamente funzionante e attivo.
Tutto questo getta nuova luce sul tema dell’ereditarietà e dell’apprendimento. Un
bambino appena nato dorme placido nella sua culla, senza che alcuna registrazione sia
ancora stata fatta nei suoi emisferi cerebrali. Sarà un musicista, un oratore, un poeta, un
filantropo, un meccanico o un assassino? La risposta adesso è: dipenderà dalla
misteriosa personalità che verrà scritta nelle aree del suo cervello.
In quale direzione andrà? Ci sono alcune tendenze innate, ereditate dai suoi genitori e
progenitori, che lo spingeranno in alcune direzioni, ma ora ci rallegriamo di sapere che
non esiste una sola tendenza ereditaria che non possa essere superata dalla scrittura di
nuovi “programmi”, dalla registrazione di nuove abitudini nel suo cervello. Il problema
non è “formare” il bambino, o “sviluppare la sua mente”; il vero problema è se siamo o
no in grado di renderlo capace di fargli eseguire il lavoro di costruire ogni giorno il
“giusto” tipo di cervello. Se siamo in grado cioè di renderlo capace di utilizzare e
scrivere i programmi giusti, di fargli fare le registrazioni corrette.
Se costruisce in quella specifica area una zona per la musica, sarà un musicista, se
costruisce un’area di capacità espressiva, sarà un oratore. Ciò che inciderà in quella
data area quella data area registrerà e ciò che registrerà sarà ciò che sarà abile di
esprimere, e nient’altro.
E mentre non vi è dubbio, e il senso comune ce lo indica, che per quel bambino sarà
più facile scrivere certe cose rispetto ad altre, è altrettanto vero – e questo invece è
assai meno accettato dal senso comune, ancora legato a un’idea materialista e
determinista della mente – che nessun bambino nato con un cervello dalle normali
capacità plastiche sia incapace di imparare alcunché in arte, musica, oratoria o
meccanica.
Tutte le cose sono possibili per coloro che credono nella capacità plastica del
cervello.
I fogli bianchi del cervello sono lì, a disposizione, pronti per essere scritti. Il
bambino può scrivere tutto ciò che vuole.
È tutta una questione di volontà: per lui, così come per te e per me.
4
Curare le cattive abitudini

Il problema riguardo al bambino non è se siamo in grado di salvarlo, o se Dio è in


grado di salvarlo, ma se siamo in grado di istruirlo e guidarlo a salvare se stesso. Nella
cultura della plasticità cerebrale non c’è espiazione vicaria, né salvezza per procura.
Proprio come una sola persona non può imparare a nuotare per un’altra, così nessuna
persona può imparare alcuna lezione al posto di un’altra. Ogni iscrizione che si trova
impressa nelle tavole del cervello deve essere incisa dal nostro sforzo attivo, e spesso
questo sforzo deve essere paziente, persistente e continuativo.
Pensa al persistente e continuativo sforzo grazie al quale il bambino impara a
parlare. Solo grazie alle continue ripetizioni, che durano anche anni, specialmente nel
primo periodo di vita, le parole sono registrate correttamente nel registratore della
mente.
Molte, molte ripetizioni, a volte innumerevoli, sono necessarie per l’incisione di
alcune registrazioni; altre sono più semplici da realizzare.
Se non fosse per il suo desiderio, per la sua volontà di imparare a parlare, il
bambino non imparerebbe mai a parlare. Lui vuole delle cose, e cerca di chiederle;
vuole conoscere le cose, e cerca di fare domande. In questi ripetuti sforzi, parola dopo
parola, tutto viene scritto nelle sue aree cerebrali.
Quando una persona più adulta impara una nuova lingua il processo è il medesimo:
dal suo persistente e continuato sforzo, parola dopo parola, la nuova lingua viene scritta
in un’altra area del cervello.
Ci sono alcune persone che sostengono che non riescono a imparare le lingue; in
realtà intendono dire che il compito è così poco attraente per loro che non attivano lo
sforzo necessario per concentrare la mente, e compiere il lavoro richiesto.
Allo stesso modo, chi dice: “Non riesco a imparare la musica”, intende in realtà dire
che il suo desiderio di imparare non è sufficientemente forte da attivare la necessaria
concentrazione della mente, e continuare a mantenerla, fino a quando la conoscenza
desiderata non viene scritta nell’area cerebrale relativa.
Qualsiasi persona dotata di una struttura cerebrale dalla plasticità normale può
apprendere qualsiasi cosa possa essere appresa, o diventare tutto ciò che può diventare
qualsiasi altra persona. È solo una questione di volontà.
I tratti ereditari che più gravano sulle nostre spalle sono quelli del desiderio.
Se non si vuole essere qualcosa, si deve tentare risolutamente e a lungo di cambiare
per essere altro.
Ma, così come è certo che si può scrivere quello che si vuole su una lavagna, è certo
che possiamo scrivere quello che vogliamo nel nostro cervello, e che ciò che scriviamo
è ciò che saremo.
Spesso, tuttavia, nessun lavoro manuale richiede sforzo più concentrato e più severa
autodisciplina che costruire il proprio cervello.
Per questo motivo, la maggior parte delle persone, in molte cose, si comporta come
chi inizia a imparare un po’ di lingua straniera, e dopo aver acquisito una minima
infarinatura che lo rende in grado di esprimersi male, rinuncia alla lotta, abbandona lo
studio e per tutta la vita non sarà mai in grado di farsi capire.
Troppe “registrazioni cerebrali” sono frammentarie e incomplete per la mancanza del
lavoro necessario per renderle perfette.
Ricorda che il cervello è lo strumento attraverso il quale la reale personalità esprime
se stessa; e il cervello può solo esprimere ciò che in esso è stato inciso.
Di conseguenza, l’uomo “esterno” sarà il risultato di ciò che è inciso nelle sue aree
cerebrali, ovvero di tutte le sue azioni che sono state dettate o dirette grazie alle
registrazioni del cervello.
Non è possibile segare il legno con un martello, né l’anima può suonare un pianoforte
con le dita fino a quando la conoscenza del pianoforte non è incisa nelle aree cerebrali
deputate alla musica.
Allo stesso modo, non puoi manifestare una personalità alta e nobile fino a quando
non hai inciso nel tuo cervello la registrazione di desideri nobili e alti. A seconda degli
strumenti che le fornisci, così sarà l’espressione della tua anima.
Possiamo accendere il registratore, possiamo farlo andare veloce o lento, ma non
possiamo far sì che riproduca altro oltre a quello che ha registrato.
Se qualcuno ha inciso in una registrazione la sua opinione su di te, anche se sai che
quella opinione è falsa, non puoi far dire alla registrazione la verità. L’unica cosa che
puoi fare è incidere un’altra registrazione.
Abbiamo inciso l’opinione che abbiamo di noi stessi nel nostro cervello. Non
possiamo far altro che incidere un’altra registrazione.
Non è necessario però distruggere la vecchia registrazione o cancellarla.
Supponiamo che un uomo impari l’inglese e il tedesco. Li ha entrambi registrati nel
suo cervello, ognuno nella sua zona specifica. Benché sia nato inglese e abbia imparato
la lingua inglese quando era bambino, se continua in modo persistente a usare il tedesco
al posto della sua madrelingua arriverà a parlare in modo molto più fluente in tedesco
che in inglese, e arriverà a usare la lingua tedesca come sua lingua abituale, perché gli
risulterà più facile da parlare e da comprendere.
Allo stesso modo, se abbiamo un’abitudine o un tratto ereditario inciso nel nostro
cervello, e non vogliamo più usare quella registrazione, è sufficiente che ne creiamo
un’altra, e ci abituiamo a usare quella migliore registrazione.
Non c’è altra strada.
Ora, questo è un punto fondamentale, perché se questo è vero allora significa che per
noi tutto è possibile.
Possiamo sviluppare qualsiasi capacità o abilità che desideriamo sviluppare,
possiamo essere tutto ciò che scegliamo di essere, possiamo formare ogni abitudine che
desideriamo formare.
Vorrei ribadire ciò che intendo per formare un’abitudine: intendo dire che non si
tratta di abbandonare un’abitudine, la cosa da fare è formare una contro-abitudine.
Scrivere e incidere una nuova abitudine.
Secondo quanto ho detto, se hai una cattiva abitudine nella mente o nel corpo, non
devi cercare di distruggere o cancellare la zona del cervello su cui il pensiero che
causa tale abitudine è incisa; devi molto più semplicemente scrivere e incidere il
pensiero opposto, la buona abitudine, in un’altra area cerebrale, ed esprimere per
sempre te stesso attraverso la ripetizione di quel pensiero e di quella abitudine.
Supponiamo che tu abbia scritto questa opinione di te stesso: che sei un uomo
piccolo e debole, che vivi in preda alla paura e che sei destinato a morire presto. Bene,
se non vuoi che questo sia vero, devi scrivere su un’altra zona che tu sei un grande,
forte e coraggioso, e puoi vivere a lungo quanto lo desideri. E quando hai scritto
questo, esprimi te stesso attraverso la continua attivazione, nel tuo comportamento e nel
tuo pensiero, di quella zona, anziché di quella vecchia. Presto, la vecchia zona si
arrugginirà fino a deperire del tutto e diventerà inutilizzabile, e non potrai più
riprenderla, neppure se lo volessi.
Questo ci permette di affermare la filosofia dell’essere e della realizzazione di se
stessi con precisione scientifica, e di descrivere il processo minuziosamente.
Voglio dare alcune specifiche istruzioni a questo proposito, e voglio chiudere questo
capitolo dimostrando a quei lettori che hanno superato la mezza età che possono
realizzare le stesse cose di quando erano giovani.
Non importa che età tu abbia, non sei troppo vecchio.
Come ho già accennato, ritengo che la ragione principale per cui le persone di età
avanzata non imparano facilmente, tendono a perdere la memoria, etc. è perché
mangiano più cibo di quello che è richiesto per il mantenimento del loro corpo, e i
residui alimentari inquinano e intasano il cervello.
Il biologo russo Il’ja Il’ič Mečnikov ha rilevato come l’invecchiamento sia
provocato soprattutto dall’avvelenamento delle cellule provocato dalle tossine prodotte
dai microbi nell’intestino, e ha annunciato al mondo con grande squillar di trombe che
l’assunzione del latte acido è in grado di neutralizzare il veleno e che quindi bere con
regolarità latte acido ci donerebbe la virtuale immortalità del corpo.
Se Mečnikov fosse un po’ meno ortodosso e si spingesse un po’ oltre nelle sue
affermazioni, direbbe che le tossine negli intestini sono il risultato diretto del mangiare
più cibo di quanto il nostro sistema possa assimilarne. Perciò potrebbe semplicemente
dire: “Mangiate meno, e rimarrete giovani”.
Alvise Cornaro, il saggio letterato e mecenate italiano del XVI secolo, sperimentò in
prima persona un metodo veramente scientifico. Diventato malato all’età di 45 anni,
ridusse la sua razione di cibo solido a 12 once al giorno (3 etti e mezzo) e morì all’età
di novant’anni, mantenendo intatto fino all’ultimo il suo vigore mentale. Notò che
quando, su sollecitazione dei medici, provava ad aumentare la razione di cibo, iniziava
a diventare irritabile e a perdere la sua energia e le sue abilità mentali.
Dopo un pasto abbondante inizi a perdere le tue abilità mentali, per la stessa ragione
per cui è difficile per un vecchio cane imparare nuovi compiti. Al vecchio cane che sta
seduto o sdraiato tutto il giorno e mangia fino a quando le sue cellule cerebrali sono
intasate di rifiuti alimentari fagli fare un lungo digiuno e te lo ritroverai scattante e
pronto a imparare nuovi compiti.
Prova tu stesso: digiuna fino a quando la tua mente non è ripulita e chiara, poi mangia
poco e con cura, e quando senti che in te cresce l’irritabilità e hai la sensazione di
perdere il tuo equilibrio mentale, riduci il consumo di cibo.
Non sei troppo vecchio per imparare. Sei solo troppo ben nutrito per imparare, e
questo è quanto.
5
Desiderio, volontà e autorealizzazione

Che tu sia giovane o vecchio, ora sai che il tuo cervello è sufficientemente plastico
per ricevere nuove impressioni, e che l’autoeducazione è un modo efficace per
riprogrammare il tuo cervello e creare nuove abitudini in modo efficace.
In primo luogo perciò fissa chiaramente nella tua mente che avere successo o no è
interamente ed esclusivamente una questione di volontà. In secondo luogo assicurati di
comprendere appieno la differenza tra essere disposto a fare e voler fare.
Una persona dà un’occhiata al titolo di questo capitolo e dice: “Lo voglio leggere”,
poi passa oltre senza leggerlo; un’altra persona invece vedendo lo stesso articolo dice:
“Lo leggo”, e lo legge.
“Voglio” non plasma il cervello, “Lo faccio” sì. Se vuoi essere ciò che vuoi essere,
dovrai voler fare ciò che vuoi diventare.
Supponiamo che tu abbia il desiderio di ottenere dei cambiamenti e dei benefici in
merito alla tua salute. Tu, la tua anima, la tua mente, la tua reale personalità desiderate
costruire un corpo in perfetta salute, e potete farlo solo attraverso il cervello, poiché il
cervello è l’unico vero strumento di comunicazione con il corpo.
Ci sono delle registrazioni nel tuo cervello che ti costringono a esprimere e
manifestare cattiva salute, esattamente come un righello storto costringe a tracciare una
riga storta.
Per cambiare, dovrai smettere di riprodurre le stesse registrazioni, e crearne altre
che esprimano la salute. Attento però: non che esprimano il desiderio di salute, ma che
esprimano l’affermazione della salute.
Voglio spiegarmi nel modo più chiaro possibile. La cosa da fare non è scrivere nel
tuo cervello che tu vuoi stare bene. In questo momento non c’è scritto che tu vuoi essere
malato, ma che tu sei malato e questo pensiero sta trovando espressione nel tuo corpo.
Devi perciò scrivere che sei sano e il tuo pensiero troverà espressione fisica nella
salute.
Non devi immaginare qualcosa che vuoi che sia vera ma che non è vera, o fare
qualsiasi tipo di false affermazioni. Tu, l’intelligenza, la mente, stai veramente bene. In
questo momento stai semplicemente tracciando una riga storta perché stai usando un
righello storto. Il registratore riprodurrà sempre e soltanto le parole che sono incise in
esso. Devi perciò realizzare una registrazione che ha solo le parole che tu vuoi che
ripeta.
Ora, è assolutamente certo che tu puoi fare questo, così come è altrettanto certo che
questo ti richiede tempo e un considerevole sforzo di volontà.
Non è un caso unico né raro che una nuova registrazione nel cervello sia creata in un
istante e abbia come effetto una cura istantanea; nella stragrande maggioranza dei casi,
però, è come imparare una nuova lingua, o come per un bambino imparare la sua prima
lingua: è un lavoro che richiede pazienza, sforzo e ripetizione.
Che il compito si riveli facile o difficile dipende soprattutto dal desiderio. È più
facile usare la volontà di concentrazione e di affermazione quando il desiderio è forte.
Ed ecco che qui entra in gioco l’ereditarietà. Il desiderio spesso è ereditario, la
capacità no. Un uomo o una donna possono avere ereditato dai loro genitori e
progenitori la predilezione per un qualche tipo di cibo; ma tutti gli uomini e tutte le
donne, per natura, hanno la capacità di masticare e ingoiare il cibo.
Analogamente, potresti dire di te stesso: “Io non sono in grado di imparare a suonare
il pianoforte, non ho talento musicale.” In realtà, tu hai talento musicale come chiunque
altro, ma il tuo desiderio non è sufficientemente forte per attivare in te lo sforzo
necessario per esercitare i muscoli e, attraverso la ripetizione e l’esercizio, per creare
un’area cerebrale per ogni movimento muscolare necessario a suonare il pianoforte.
Il fatto è che devi aver chiaro che cosa voler fare esattamente. Forse vuoi produrre
con quel pianoforte suoni dolci e armoniosi, ma per farlo devi esercitare ogni muscolo
corrispondente e quello che non stai volendo volere è ottenere l’abilità meccanica delle
dita e concentrare la tua mente sull’esercizio per apprenderla. Così facendo, creeresti
un’area cerebrale per ogni movimento delle dita e arriveresti a controllare tutti i
muscoli e le azioni che ti servono per suonare in maniera automatica. Questa è la
spiegazione scientifica di ciò che chiamiamo esercizio.
Tu siedi al pianoforte desiderando la musica, ma non l’abilità delle dita. E non
impari la musica in quanto c’è un ostacolo, un “nodo” nel tuo desiderio perché non lo
indirizzi all’obiettivo concreto, cioè apprendere l’abilità muscolare di muovere in
maniera automatica le dita. Così la tua attenzione non è indirizzata nel modo giusto,
mentre ci vuole attenzione per plasmare il cervello.
Concedimi un altro esempio. Alcuni mi dicono: “Non ho memoria per i nomi.
Quando mi presentano una persona, riesco a ricordarmi benissimo la sua faccia, ma se
il giorno dopo la incontro per strada invariabilmente mi ritrovo ad aver dimenticato il
suo nome.”
Forse non hai mai sentito pronunciare il suo nome. Forse non hai parlato con quella
persona per più di un minuto dopo che ti è stata presentata. Forse hai guardato la tua
faccia, e pensato alla sua faccia, e posto la tua attenzione alla sua faccia, ma non al suo
nome.
Ricorda che tu ricordi le cose a cui presti attenzione e che impari le cose a cui presti
attenzione, a condizione che l’attenzione sia costante e sufficientemente concentrata per
realizzare la necessaria impressione cerebrale.
Incidi bene questo in mente: dato un cervello in normali condizioni di plasticità, se
c’è qualcosa che qualcuno ha imparato, o può imparare, è assolutamente certo che
anche tu puoi impararla, se solo vuoi impararla e presti attenzione per impararla. E se
c’è qualcosa che qualcuno è stato, o può essere, è assolutamente certo che anche tu puoi
esserlo, se vuoi esserlo e presti sufficiente attenzione a esserlo per un periodo
sufficiente di tempo.
L’umanità sarà presto capace di rendere la capacità di autoformazione e di
autorealizzazione un processo matematico.
Se desideri imparare qualcosa, ora sai esattamente cosa devi fare. Devi porre le tua
attenzione su quella cosa fino a quando non l’avrai incisa nella tua area cerebrale. Se
desideri imparare a fare qualcosa, devi porre la tua attenzione nell’imparare a fare fino
a quando il metodo necessario per imparare a fare quella determinata cosa non sarà
inciso nella sua specifica area cerebrale e fino a quando i muscoli e i movimenti
muscolari relativi non saranno perfettamente, automaticamente, nel pieno del tuo
controllo.
Se desideri essere qualcosa, devi scrivere e incidere nella specifica area cerebrale
l’affermazione che tu sei quella cosa, e quindi esprimere te stesso attraverso quell’area
cerebrale.

Puoi renderti conto, da quanto letto e appreso fin qui, di come siano logiche e
scientifiche le analisi, le argomentazioni e le affermazioni del Nuovo Pensiero e della
Scienza della Mente.
Esse ci danno le basi scientifiche per i ragionamenti e le speculazioni metafisiche. Ci
danno la prova che è la mente che dà forma al cervello, e che il cervello non può
produrre la mente. Ci danno la prova che la Personalità è più grande del cervello e che
attraverso il cervello può dare espressione e forma a tutto ciò che vuole. Ci danno la
prova che la Personalità è sufficientemente indipendente dal cervello da essere capace
di modellare e plasmare il cervello come un vasaio modella e plasma l’argilla. E ci
danno le basi scientifiche per sostenere che la Personalità può esistere
indipendentemente dal cervello, anche dopo che il cervello cessa di esistere.
Ci danno le basi per la fede nel potere di realizzazione dell’anima.
Questa è una grande cosa. Perché senza fede non ci può essere vero sforzo, né vera
concentrazione, né vero controllo dell’attenzione. La volontà non è mai veramente
esercitata senza la fede.
Ora che abbiamo spiegato nel dettaglio il meccanismo fisiologico con cui la mente
esprime se stessa; ora che abbiamo descritto il processo di realizzazione in termini così
semplici che anche chi va di fretta può leggerli e comprenderli; ora che abbiamo dato
dimostrazione matematica del fatto che è possibile per ognuno di noi fare ed essere tutto
ciò che vogliamo fare ed essere; ora che abbiamo dimostrato che anche la fede ha basi
scientifiche, non abbiamo contribuito a dare qualcosa di valore alla vita del mondo?
Penso proprio di sì.
Nota biografica

Wallace Delois Wattles (1860-1911) è uno dei più noti e importanti esponenti del
New Thought (Nuovo Pensiero), movimento filosofico e spirituale nato nella seconda
metà dell’Ottocento negli Stati Uniti e attivo ancora oggi.
I suoi libri di maggiore successo (La Scienza del diventare ricchi, La Scienza del
Benessere, La Scienza della Grandezza, Il tuo potere interiore, Il vero Gesù ) – che
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Table of Contents
Nota introduttiva
1 Vita e organismi
2 Iniziare a pensare
3 La funzione degli emisferi cerebrali
4 Curare le cattive abitudini
5 Desiderio, volontà e autorealizzazione
Nota biografica

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