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CIOCCOLATO

Il cacao ha origine in sud America, Rio delle amazzoni. Coltivato da tutte le popolazioni che si sono
succedute in quelle zone. Utilizzato da classi nobiliari, anche come moneta di scambio. Un tempo usato
come bevanda formata da acqua calda e cacao. Secondo le tradizioni culturali quel prodotto sarebbe stato
fornito dalle divinità. Il cacao contiene composti eccitanti. Alcuni testi parlano di una leggenda: una
principessa viene messa a guardia dal suo sposo, quando il castello viene attaccato dai nemici si fa uccidere
piuttosto di dare info si fa uccidere. Per questo il dio fa nascere la pianta di cacao dal suo sangue. È un
frutto amaro. Usata come moneta dagli atzechi. Il primo nome del cacao è stata mandorla di denaro. Linneo
con la revisione della nomenclatura la definisce Theobroma (Theo=dio, broma=bevanda). Cristoforo
colombo: gli sfuggono i benefici. Cortez nel 1500 porta i semi in Europa. Il primo carico di cacao arriva nel
1585. Si prova a fare una bevanda con cacao e spezie, ma non piace. Solo dopo un po’ di anni si pensa di
aggiungere lo zucchero. Gli spagnoli portano il cacao in Sicilia e al cacao viene addizionato zucchero non
raffinato, cristalli ancora interi. Rimane granulare nel cacao perché non si scioglie (Modica). Il cacao oggi
viene nuovamente addizionato a spezie riducendo grado zuccherino. 1606 il cacao arriva a Venezia e
Firenze. Arriva a Torino grazie ad un matrimonio: la figlia di Filippo ii di spagna sposa Carlo Emanuele di
Savoia, gli spagnoli portano la propria corte e ci sono dei cioccolatieri. Nasce così la tradizione del
cioccolato. 1678: primo documento che attesta la vendita di cioccolato. A Torino nascono i grandi
cioccolatieri, uno si sposta in svizzera e da li si estende anche in Svizzera la produzione. 1826 Caffarel inizia
la produzione su larga scala; 1828 l’olandese van Houten separa il burro di cacao. 1865: scarso arrivo di
cacao, Caffarel mischia cacao e nocciola e nasce il gianduia. 1875 si mischia il latte. 1879 Lindt inventa il
concaggio e produce cioccolato fondente. Nel 1923 a Chicago Frank Mars inventa la barretta al cioccolato.

Classificazione del Theobroma cacao. Il primo tentativo viene fatto da Morris, non ha basi scientifiche, ma
continua a perdurare. Il botanico Morris divide il cacao in due gruppi:

1. Criollo, nobile o cacao locale viene coltivato in Venezuela


2. Forastero, di consumo o straniero viene coltivato in zone straniere

Problema: in altre zone il locale potrebbe diventare Forastero. Si individuano dei sottogruppi. Esiste poi un
altro tipo di cacao, trinitario, ottenuto dall’incrocio del criollo e dal Forastero, originario dell’isola di
Trinidad. Negli anni si cerca di riclassificare il cacao considerando dei parametri genetici. 1944: Criollo: Nord
delle Ande e Forastero: in Amazzonia  da queste piante capostipite sono nate tutte le altre che si spostano nel
territorio. Dopo questa si fanno molte altre classificazioni basate su geni, DNA. In realtà la classificazione non si può
fare, non si riesce attualmente a dare indicazioni. Secondo le ultime pubblicazioni: 12 genotipi indipendenti, ma
questa visione non è riconosciuta, è la più moderna, basata su tecnologie avanzate non riconosciute sul mercato.

Negli anni di coltivazione i capostipiti sono stati incrociati milioni di volte, oggi abbiamo una mescolanza, è impossibile
risalire alle origini. Nelle foreste Equatoriali si individuano 2800 genotipi spontanei, diversi da quelli delle piante
coltivate, hanno una produzione bassa, ma hanno un patrimonio genetico che può essere usato per raggiungere degli
obiettivi nuovi. il criollo sarebbe una modificazione genetica del Forastero e le popolazioni lo hanno portato al nord.
Nell’isola di Trinidad prima si coltiva Criollo, problema fitopatologico quasi tutte le piante vengono colpite, viene
importato il Forastero, più robusto, e fatto incrociare con il criollo.
Classificazione del mercato:
 Il cacao Criollo: molto aromatico e poco amaro. Estremamente profumato. Produce poco, sensibile alle
malattie (delicatissimo). È di alta qualità. Diffuso in centro America e nel nord del sud America. La cabossa è
rossa. Esistono diversi tipi di Criollo, costituisce il 10% della produzione totale. Destinato ad un mercato di
alta qualità.
 Il cacao Forastero: cabossa verde e giallo, 80% della produzione. Si trova fondamentalmente in Brasile, in
Africa e in Asia. È molto più resistente al clima e a malattie. Buona resa. Il cacao è amaro e aspro, meno
gradevole del criollo. Non si lavora mai in purezza, si mescola sempre o se è puro Forastero non viene
valorizzato per quello.
 Il cacao Trinitario: origina da Trinidad, incrocio tra Criollo e Forastero. Rappresenta il 10% della
produzione. Molto produttivo e vigoroso. Mantiene la resistenza e la scarsa aromaticità del
Forastero. C’è poco del Criollo.
 Esiste una quarta varietà: il cacao Nacional: varietà tradizionale dell’Equador. Per molto tempo
questo stato è stato il maggior produttore. Forastero modificato, è diventato un super criollo, con
caratteristiche eccezionali. È il top della produzione. È noto come cacao Arriba. L’unico problema è
che è sensibilissimo a fisiopatie. In Ecuador si sviluppa una patologia che attacca tutte le piante e la
produzione in poco tempo scompare. Vengono successivamente piantate altre varietà, ma il
Nacional scompare.

Si coltiva nella stessa fascia del caffè, 20° a sud e 20° a nord dell’equatore. 2,5 metri di pioggia all’anno. La
pianta teme l’insolazione diretta, in genere si fa crescere in consociazione con piante più alte che gli fanno
ombra. Si fa crescere fino a 3-4 metri. La pianta originaria arrivava fino a 10 metri. C’è un unico fusto da cui
si dipartono diversi rami. Fiori sono bianchi, mazzolini che sono attaccati direttamente ai rami principali.
Criollo e Forastero del basso bacino amazzonico sono auto-compatibili; il Forastero dell’alto bacino
amazzonico è in genere auto-incompatibileincroci. Dai fiori nasce la cabossa. La pianta fiorisce in
continuazione frutti, frutticini e frutti maturi contemporaneamente sulla pianta. La raccolta meccanica è
impossibile. Non tutti i fiori vengono fecondati. Un albero produce tra 30 a 50 cabosse. I semi della cabossa
sono il cacao. Peso della cabossa: mezzo kg. Nella cabossa ci sono 5 file di semi che vanno da un estremo
all’altro della cabossa. Le cabosse sono raccolte a mano con il macete. Le cabosse vengono portate in
azienda dove si fa la prima operazione: l’apertura per estrarre i semi, in genere viene fatta a mano, in rari
casi meccanicamente. Colpo violento con macete in modo da tagliare la cabossa senza toccare le fave che
altrimenti vengono perse. Manualmente si estraggono i semi che si trovano in una massa mucillaginosa
ricca di zuccheri. Le cabosse vengono buttate vie. Problema: inquinamento ambientale, possibilità di
inquinamento da funghi e patogeni. La massa mucillaginosa usata per distillati, succhi, alcol. La massa
mucillaginosa viene fatta fermentare. Due tecniche: fermentazione in cumulo/in massa (non molto diffusa,
dove si può si sostituisce) la massa viene appoggiata sul suolo e poi rivestita con foglie di banana. È il
sistema che da più problemi. La fermentazione in cassoni: magazzini con cassoni di legno, stratificati su tre
livelli, si riempie il primo cassone in alto e si lasciano le fave di cacao li per un certo numero di giorni, dopo
qualche giorno la massa viene trasferita nel cassone sotto, successivamente lo sposto nel cassone sotto.
Durante lo spostamento c’è un rivoltamento della massa con aereazione per favorire le varie fermentazioni.
Questa fermentazione è uno dei cuori della produzione del cioccolato perché la fermentazione elimina la
polpa residua che riveste i semi grazie ad enzimi pectolitici. Durante questo processo viene inibita la
germinazione grazie all’innalzamento delle temperature. In questa fase si formano poi tutti i precursori
aromatici. Se questa fase viene gestita male, il cacao non è nelle sue migliori condizioni. È un processo
complesso, difficile da standardizzare. Reazioni biochimiche nel seme che danno il profilo aromatico.
Controllando la fermentazione controllo il profilo aromatico.

La cabossa chiusa è sterile, quando la apro si inquina. La fermentazione è legata agli inquinamenti
ambientali. La polpa contiene 80% di acqua, 15% di zuccheri, 7% pectine e acido citrico pH=3.

Le fave vengono messe a fermentare,

primi ad attivarsi sono gli lieviti: fermentazione alcolica; zuccheri alcol etilico, CO2 e calore. La reazione è
esotermica. In questa fase viene anche consumato acido citrico, il pH arriva a 4. I lieviti producono enzimi
pectolitici che distruggono le pectine: da massa mucillaginosa a sostanza liquida che fuoriesce dai cassoni di
legno permeabili. La massa perde di mucillagine e diventa permeabile all’aria, l’ambiente da anaerobio ad
aerobio. La fermentazione dura 24-48 ore. L’ambiente diventa aerobio. Ricreare artificialmente le
condizioni per cui ci sia questa successione di MO è difficile.
Iniziano a lavorare batteri lattici e batteri acetici. I lattici continuano a consumare zuccheri completando la
trasformazione. Gli acetici producono da alcol etilico acido acetico, durante questa fase si innalzano la
temperatura e il germe viene disattivato. Le fave sanno molto di aceto appena arrivati. La fava di trova in un
liquido zuccherino caldo (per reazioni chimiche). Dentro la fava avvengono delle reazioni biochimiche in
contemporanea alla fermentazione/ossidazione acetica. Le pareti diventano permeabili i componenti
escono dalla fava e finiscono nella mucillagine: caffeina e teobromina (amari, eccitanti); in questo modo
perdo amaro dalla cabossa. I componenti complessi vengono semplificati: proteine vengono idrolizzate in
peptidi e aminoacidi. Gli amminoacidi saranno i precursori degli aromi, massima idrolisi in 5-6 giorni. Gli
zuccheri vengono scissi in zuccheri semplici, durante la tostatura interagiranno con aa  Maillard. Composti
fenolici: aglicone (fenoli)+ zucchero: scissione dei due composti, il polifenolo reagisce con le proteine
presenti nel seme e le fa coagulare: complesso stabile e viene meno l’astringenza; gli zuccheri saranno utili
per Maillard. Si sono formati tutti i precursori, il prodotto è pronto per le prossime fasi. I prodotti microbici
sono: acidi grassi propionico, butirrico e valerico tutti e tre con aromi sgradevoli, queste sostanze esterne
penetrano nella fava. Si formano delle pirazine che possono avere diversi aromi (terrosi, cioccolatosi);
pirazine e composti aromatici. L’azione del calore: blocco della germinazione e blocco degli enzimi. L’acido
acetico ha una concentrazione elevata (0,6%). L’acido acetico intacca la frazione grassa e rende attaccabili i
composti avvolti nel grasso; essendo volatile questa viene eliminata durante la tostatura. Ci può essere una
fase di lavaggio con acqua (dipende dalle zone). Indispensabile è l’essiccamento, bisogna togliere l’acqua
che può provocare muffe. Metodo tradizionale: si mettono su delle superfici piane e il sole le fa essiccare,
devo arrivare al massimo a 20% di umidità. Problema: serve molto spazio 1m2 per 20 kg di cacao; inoltre in
queste zone piove molto, c’è il rischio di ammuffimento secondario con liberazione di micotossine.
Essiccamento artificiale: si usano degli essiccatori solari, è molto più rapido, economia di spazio e di
manodopera, prodotto più omogeneo e più secco (5% U.R). In questa fase evapora una parte di acido
acetico. Fase di stoccaggio: in sacchi. Problema: non deve umidificarsi e non devono esserci infestazioni e
odori estranei nell’ambiente esterno.

Il seme viene classificato, a differenza del mondo del caffè, l’azienda produttrice di cioccolato possiede dei
territori. C’è infatti una stabilità di produzione e si punta a produrre un prodotto il cui cacao ha un’origine
specifica. La classificazione si basa su eventuali danneggiamenti del prodotto. Più è danneggiato e meno
viene pagato.

Sono circa 10 milioni di ettari con 4 milioni di tonnellate. 6 milioni di Ha in africa con una produzione 2,7
milioni di tonnellate, America 1,5 milioni di Ha con 584 mila tonnellate. Il baricentro di produzione si è
spostata, in Africa solo Forastero. La produzione di cacao è concentrata nelle mani di pochi, in sud America
ci si concentra di più sul caffè. Nel 1900 America 79% produzione, Africa 23%; nel 2008 America 14% e
Africa 65%. La produzione è concentrata in costa d’avorio (più di un milione di tonnellate dei 3 africani).
Sino agli anni 20 il maggiore produttore era l’Ecuador con il Nacional, una varietà di ottima qualità. A causa
dell’alta concentrazione produttiva l’infestazione colpisce tutte le piante. Nelle classificazioni si fa
riferimento al termine “arriba” (in alto perché viene coltivato nella parte iniziale del rio Guayas) indica un
prodotto di qualità, questo termine deriva da un’indicazione che davano i locali per indicare ad un
cioccolatiere da dove arrivava quella varietà.

Brasile: zona di origine del Forastero, produzione concentrata nella zona di Baia, il brasile non ha mai
puntato sul cacao; si fanno due raccolte: ottobre/marzo e giugno/settembre.
Ghana: il problema è la grande frammentazione produttiva= non si riesce a mantenere un buon prezzo sul
mercato.
Costa d’Avorio: le aziende di cioccolato dal 1960 fanno investimenti per creare piantagioni in quelle zone. Si
è creata una cassa di stabilizzazione che stabilisce dei prezzi minimi per salvaguardare il lavoratore.
Nigeria: buone produzioni, significative; problemi: la scoperta del petrolio ha spinto i lavoratori ad
abbandonare le piantagioni per lavorare nelle aziende petroliere e l’instabilità politica.
Camerun: importante la coltivazione, ma coltivazione è antica e prezzi bassi.
Indonesia: sta crescendo enormemente perché la coltivazione è nuova e non ci sono patologie attualmente,
grandi superfici e manodopera a basso costo.

La lavorazione raramente viene trasformato in loco. Europa grande importatore di cacao che viene
esportato sotto forma di cioccolato. Germania maggiore importatore in UE. USA primi importatori, ma il
loro consumo è superiore, deve importare anche prodotti già trasformati. L’Italia ha un delta positivo,
importiamo fave ed esportiamo prodotto finito. In Italia circa 1,5 Kg pro capite.

Il mercato è difficile da gestire perché posso usare la fava o i suoi derivati. L’ICO definisce il consumo come:

LAVORAZIONE DEL CACAO:

In genere arrivano dei sacchi di 63 Kg. L’arrivo dei sacchi complica dal punto di vista operativo perché devo
fare delle analisi, arrivano da zone vulcaniche per cui c’è un accumulo di metalli pesanti. L’azienda di
lavorazione della fava deve garantire la sicurezza igienico sanitaria. ICAM a Como è il più grande
trasformatore di cacao. Importante è la modalità di conservazione: appena arriva pulisco perché nel sacco
ci possono essere diverse cose (è un modo per far peso/ far sparire anche armi). Per la pulizia si utilizzano
magneti, setacci, aria compressa. È possibile fare un trattamento con vapore per debatterizzare, il problema
maggiore è la salmonella. Dopo la pulizia posso fare una pre- torrefazione: prendo le fave di cacao e faccio
una specie di torrefazione a 140-150°C per 45 minuti per facilitare il distacco del rivestimento (buccia di
rivestimento: CBS (cocoa bean shell). Si fa in forni a spirale, la struttura vibra e fa scendere la fava nella
spirale, man mano che cade nella zona centrale viene inserita aria calda e c’è una fase di pre-torrefazione.
Attorno alla fava non ci deve essere materiale organico altrimenti da aroma di cotto. Le fave potrebbero
andare direttamente in torrefazione, prendo la fava e la mando nel forno. La torrefazione diretta della fava
sta scomparendo perché la granulometria è diversa. Se scaldo le fave intere, quelle grandi sono sotto
torrefatte, quelle piccole sovra torrefatte. Dovrei fare una un raggruppamento per dimensioni, ma questo
complica. Durante la tostatura la fase grassa migra verso l’esterno e va a finire nel CBS, quando faccio la
separazione della buccia vado a eliminare grasso (burro di cacao che ha valore economico elevato). Per
questi problemi si cerca di non tostare e sostituire questo con torrefazione grani e pre-torrefazione. La
tostatura può essere continua o discontinua. Discontinua: invio aria calda in un tostino che ruota. Non si
può usare il letto fluido. Sistemi continui: sistema in cui le fave vengono movimentate e tostate
contemporaneamente. Decorticatura: tolgo la buccia se il prodotto è torrefatto o pre- torrefatto. Se è
torrefatto all’interno ho una fava tostata. Se ho fatto la pre- torrefazione tolgo la buccia e mando in
torrefazione. Tolgo la buccia perché: esiste un limite legale del 10% (perché la buccia non è cacao). La
buccia: fino a qualche anni fa esisteva un’azienda che trattava le bucce per estrarre la frazione grassa (no
burro di cacao, ma solo grasso vegetale). Oggi si stanno cercando degli usi alternativi, è un sottoprodotto
eccezionale. Quando viene macinato finemente è aromaticissimo e contiene fibre e polifenoli. Se lo metto
in un preparato per gelato, non ho bisogno di aggiungere panna perché la polvere è in grado di assorbire
acqua gelato light. Brevettata per budino, cioccolato, farina. Non è un novel food perché già presente al
10% nel cioccolato; stesso controllo del cioccolato. Il problema della buccia di cacao: deve essere tolta
perché è abrasiva e danneggerebbe i molini. L’eliminazione avviene per urto, la fava si spacca, uso dei
ventilatori che portano via la buccia. Contemporaneamente ho delle fave di cacao sbriciolato: devo
bilanciare la ventilazione per scartare la minor quantità possibile di cacao. Non necessita di macinazione
fine, voglio dei pezzi grossi di buccia. Le fave verranno tostate.

Pressatura delle fave: se mi interessa la frazione grassa salto le fasi precedenti che in genere i grani
subiscono. Si può usare quando la fava è rotta o ha delle problematiche. Contiene ancora la buccia. Posso
tostarle o non tostarle prima. Ho un panello con più del 10% di buccia, ma poi lo diluisco con altro cacao 
prodotto di bassa qualità. Se tolgo la buccia la pressa lavora male. La pressa a vite lavora su materiale ricco
di fibre, la loro presenza funge da filtrante: burro di cacao pulito.

Ricevo fave,  ho le fave e la buccia. Le fave:


1. pre- torrefazione, sbucciatura,
tostatura e lavorazione
2. tostatura e decorticatura
3. pressatura burro di cacao

Ho tolto la buccia del cacao, se non ho fatto ancora la torrefazione, faccio la torrefazione dei grani (pezzi di
fava di cacao). Posso fare prima o dopo la torrefazione il trattamento di vapore per debatterizzare (se non
l’ho ancora fatta). La torrefazione a 150-160°C per 25 min. nel caso dei grani è conveniente trattarli con
vapore prima della tostatura. Nel caso delle fave con buccia meglio farlo dopo la torrefazione.

Alcalinizzazione: trattamento sia su prodotto torrefatto che solo macinato. Tratto con soluzione basica, si fa
sempre. È un processo importante, nasce agli inizi dell’800. Van Houten brevetta questo processo, si usa in
genere il carbonato di potassio. In questa fase il cacao: perde le tonalità marroni e assume colore rossastro
migliorando il prodotto; toglie acidità (molto acide a causa della fermentazione acido acetico, formico).
La riduzione di acidità è fondamentale quando voglio miscelare il cacao con il latte altrimenti in una
bevanda il cacao coagulerebbe. Ultimo vantaggio: il cacao diventa più solubile (importante per le
preparazioni). La legge europea indica quali basificanti si possono usare: cosa posso utilizzare e quanto ne
posso utilizzare.

Il colore è un parametro fondamentale per la valutazione del cacao; questo dipende da:

 origine delle fave: criollo marrone, criollo brasiliano è rosso


 stato del cacao: se opero sui grani (quando ho i mix di cacao) tendo ad avere una tonalità rossa, se
opero successivamente (cacao lavorato massa) si formano delle tonalità gialle, se lavoro sul panello
ottengo una tonalità nera. Colori diversi su materie prime diverse, posso combinare gli interventi.
 l’acqua: il trattamento viene fatto bagnando il mix (soluzione basica). Il colore dipende dalla quantità di
acqua: maggiore è la quantità di acqua e maggiore è la tonalità di rosso
 la quantità di alcali: più ne aggiungo più le tonalità sono scure
 il tipo di alcali; in genere carbonato di potassio. Se lavoro con carbonato di sodio ho dei colori scuri
 temperatura: operando a caldo (85°C per i grani) ho dei colori rossi.
 aria: senza aria non ho il colore rosso devo arieggiare
 torrefazione: colori più scuri se la effettuo, soprattutto se la torrefazione viene fatta dopo. Se la faccio
dopo secco i grani dopo averli bagnati vantaggio. In qualunque caso dovrei asciugarli

MACINAZIONE: i grani possono essere macinati o con molino a martelli o conico. Devo ottenere la massa.
Non parlo di polvere perché nei nibs è presente un 40% di sostanza grassa. I molini macinano anche la
buccia, ma queste sono abrasive. Legge: massimo 10% di buccia nel prodotto (maggiore resa, ma minore
qualità). Separare la fava dalla buccia è complesso, se elimino troppo perdo cacao. Durante questa
macinazione aumenta l’attrito, il prodotto si surriscalda e rischio di perdere le sostanze volatili. Altro
problema: il riscaldamento crea nuovi aromi. A differenza della torrefazione dove controllo la rampa
termica, qui il riscaldamento non è controllato questo è il problema. A questo punto ho una massa
semiliquida.

Posso:

1. prendo la massa e la trasformo in cioccolato. Alcune aziende comprano già il semilavorato e lo


trasformano in cioccolato. Perdo un po’ della tradizionalità e la territorialità del prodotto. Per fare
cioccolato mi serve: massa, zucchero e burro di cacao.
2. posso separare il burro di cacao dalla massa. Il cacao e il burro potrò rimetterli insieme per fare la
cioccolata oppure usarci separatamente
3. posso procedere con un AFFINAMENTO: in genere si fa, viene macinata molto finemente. Molini a rulli,
a sfere, a ruota. I316 acciaio inox è molto resistente, ma non è il materiale delle sfere perché contiene
del cromo perché si scioglierebbe e inquinerebbe il prodotto (è il cromo che da durezza). Si utilizza
acciaio 304, leggermente deformabile (senza cromo). Sfere ordine dei micron. Leggenda
metropolitana: mulini a sfera non si possono lavare se l’azienda deve produrre diverse paste non
può usare lo stesso mulino (per gestire allergeni). Si pensa che le sfere arrugginiscano. In realtà si può
lavare, leggenda nasce per vendere più molini. Se uso detergenti neutri no problem. La massa ottenuta
può essere sottoposta a torrefazione: 130-140°C questo mi da aromi, in genere non si fa. Posso
ulteriormente alcalinizzare--> si ottiene una massa più colorata. Ora procedo con la PRESSATURA:
presse speciali: camere cilindriche dove un pistone schiaccia il materiale. Vado a separare il burro di
cacao. Lavoro a pressione altissima. Dai lati e dal fondo zampilla burro. Scaldo la massa perché il burro
deve essere liquido. Dalla pressa ottengo: burro e panello. Quando è finita la pressatura estraggo il
panello= disco spesso alcuni cm formato da polvere di cacao schiacciata.

Il burro di cacao che esce dalle presse è sporco, devo filtrarlo. Può contenere saponi e mucillagini che
devono essere separati. Faccio un lavaggio in acqua calda e poi centrifugo. Posso deodorarlo, in parte le
sostanze odorose sono già state eliminate dall’acqua. Posso fare uno stripping con vapore sottovuoto.
Posso neutralizzare il burro con soda se il cacao non è stato acidificato saponi. Posso mantenere il burro
liquido o solido. Lo confeziono e lo vendo. Se uso la massa non aggiungo burro di cacao perché già
presente. Dal panello devo ottenere cacao: MACINAZIONE: molini che spaccano il disco di materiale solido
e lo fanno diventare polveroso perché non ho più grasso. Posso fare una alcalinizzazione della polvere. Se la
faccio ora il colore è scuro. La polvere può essere usata per tutte le produzioni.

I gusci in genere vengono scartati. Possono essere bruciati, usati per concimare o fare compost. Posso
recuperare dei grassi da questi. Non posso chiamarlo burro di cacao perché estraggo con solvente. Posso
estrarre teobromina e caffeina con solvente CO2 supercritica. Meglio non usarla come feed perché
contiene eccitanti. I grani sono dei semiprodotti: posso essere introdotti nei cioccolatini, posso estrarre
aromi, posso macinarli e formare una farina per consumo umano. La massa la posso usare per aromatizzare
o produrre cioccolato; il vantaggio di usare massa è che è più aromatica perché parte degli aromi poi
finiscono nel burro di cacao. Il burro di cacao usato anche in settore sanitario e cosmetico.

POLVERI DI CACAO:

-Prodotti lattieri che quindi hanno una matrice lattea, il cacao deve essere disacidificato se no coagula.
Aggiunti di zuccheri e stabilizzanti. Il ph del cacao deve essere alti.
-Prodotti grassi: sciroppi per guarnizioni, topping a base di acqua con 10% polvere di cacao.
-Prodotti da pasticceria, prodotti istantanei o in confetteria come rivestimento

PRODUZIONE DEL CIOCCOLATO


Miscelazione diversa in funzione della natura dei materiali che misceliamo tra loro. Abbiamo polvere di
cacao, del burro di cacao e dello zucchero. A seconda della quantità dei componenti abbiamo diversi tipi di
cioccolato. Fondente: pasca di cacao, burro di cacao, zucchero e vaniglia (solo in alcuni casi); al latte: pasta
di cacao, burro, zucchero, latte in polvere e vaniglia; gianduia: pasta di cacao, burro di cacao, zucchero e
pasta di nocciola; bianco: burro di cacao, zucchero, latte in polvere, vaniglia. Prendo questi componenti e li
miscelo. Gli ingredienti hanno diversa granulometria riduco la granulometria. Posso fare una
miscelazione e arrivo a 200 micron, troppo, procedo con la raffinazione raffinatrici a cilindri a 5 cilindri
(continui) o a sfere (discontinuo). Il compito è portare la dimensione sotto i 20 micron (limite di
percezione), in genere si arriva a 14 micron. Il raffinatore a cilindri lavora in salita: la pasta viene presa dal
basso e portata verso l’alto. I cilindri dei raffinatori generano sia uno stracciamento per la velocità
differenziata e uno schiacciamento. L a granulometria dipende dalla velocità di rotazione. Un sistema usato
per gestire la granulometria finale è il micrometro: un pistone e una piastra (fermo), depongo la materia
sulla piastra e schiaccio con il pistone finché non sento resistenza dei cristalli di zucchero (ci vuole
manualità): materia prelevata sull’ultimo rullo in altezza, operazione di linea. Oppure posso montare un NIR
sull’ultimo rullo e da un’informazione sulla granulometria, automaticamente si regola la distanza sui rulli
per raggiungere l’obiettivo. Se uso un sistema discontinuo (sfere) posso usare un granulometro (master
size): disperdo massa in una soluzione e la macchina in modo molto preciso la granulometria di tutte le
particelle. A questo punto ho una pasta di 15 micron e la massa può andare incontro a CONCAGGIO: serve
per amalgamare il prodotto. Questa operazione disacidifica e toglie l’umidità residua perché lavoro a caldo
in agitazione, posso aggiungere la lecitina di soia. Si effettua in delle conche: inizialmente vasche, dentro un
cilindro di pietra o acciaio, metto il prodotto. Il cilindro viene fatto oscillare grazie ad un braccio esterno che
lo fa salire e poi scendere lungo la conca. Scorrendo mescola e agita il prodotto e fa volatilizzare i
componenti. La funzione non è quella di schiacciare. Sostituiti da sistemi con agitatori per arieggiare e
movimentare il prodotto. Due fasi: concaggio a secco iniziale: agitazione con riscaldamento: perdo acidi
volatili, devo regolare bene l’agitazione (inizialmente massa solida: serve molta energia, poi devo ridurre se
no rischio surriscaldamento); fase di mescolamento dove posso aggiungere burro di cacao e lecitina. Il
concaggio serve per ridurre l’acidità. I contenitori sono termo-condizionati.

Nel burro di cacao ci sono trigliceridi differenti che solidificano a temperature differenti. Noi vogliamo che il
cioccolato si sciolga a temperatura boccale. Questo è ciò che rende difficile la sostituzione del burro di
cacao con altri grassi. Un ulteriore problema si ha quando aggiungo altre sostanze grasse, per esempio nel
cioccolato al latte o alla nocciola. I loro grassi si comportano in un modo completamente differente. Il
problema del fair bloom (affioramento della sostanza grassa) è tipico dei cioccolati composti. Nel cioccolato
al latte si aggiunge del latte scremato. Gli acidi grassi fondamentali sono 3: oleico, stearico e palmitico. I
trigliceridi: 2% SSS, 5-20% SOO, 80% SOS. In toto c’è poca variabilità interna, gliceridi in strutture semplici.
Più il cacao cresce vicino all’equatore, più il grasso è duro. Le percentuali dei diversi trigliceridi cambiano in
% in relazione all’origine. Solidificano in una struttura a forma di sedia con una struttura a doppia o tripla
catena. Esistono 6 forme di cristallizzazione: alfa (prodotto più morbido), gamma e quattro forme beta
(prodotti più densi). Nel tempo il prodotto tende ad acquisire una forma più stabile (6 stadio). Io vorrei un
prodotto stabile. La cristallizzazione avviene in seguito ad un raffreddamento. Un passaggio da 30°C a 13°C
genera una cristallizzazione di tipo quatto, morbido, non da rumore in rottura, non posso usarlo per
barrette, va bene per gianduia e creme. Bisogna arrivare alla forma 5 che da durezza e suono caratteristico,
resiste all’affioramento dei grassi se ci sono condizioni consone di conservazione, il rivestimento è lucido. La
struttura 5 tende a trasformarsi naturalmente in forma 6, più compatta: e fa affiorare le parti liquide in
superficie. Questo fenomeno è tanto più accentuato quanto più ci sono grassi liquidi, se ho solo burro di
cacao non c’è problema perché tutta la massa passa da struttura 5 a 6. Struttura 1 gelati, 5 della cioccolato,
la 6 cioccolata molto stabilizzata. Come arrivare alla forma 6? Si raffredda il prodotto da 80°C a 34°C e si
agita lentamente si arriva alla forma 5, con il tempo (mesi) arriva alla 6. Non posso permettermelo. In
genere si utilizza un temperaggio o pre-cristallizzazione con raffreddamento da 40°C (già precedentemente
raffreddato) a 22-26°C, questo raffreddamento genera la formazione di cristalli forma 2 o 3, forme
intermedie che non mi interessano, lo riscaldo nuovamente a 29-32°C le forme si riassestano e quando
vado a raffreddare di nuovo ottengo la forma desiderata. Utilizzo una temperatrice che regola queste
variazioni di temperatura. Il prodotto che esce è fluido, quando raffreddo ottengo la forma desiderata, più è
corretta l’oscillazione di temperatura in relazione al cacao migliore è cristallizzazione. Se utilizzo prodotto
derivante da un solo paese è più difficile raggiungere il risultato finale perché devo centrare le temperature.

I prodotti:

Tavolette: grasso 26-28% sino a <18%, peso 100-200 g; prodotto in genere economico con cacao Costa
d’Avorio, Nigeria, Camerun; può avere anche molto zucchero
Tavolette di qualità e cioccolatini dove aumenta la % di cacao e diminuisce la quantità di zucchero. Spesso si
punta sulla mono-origine, spesso più costosi.
Forme cave
Cioccolato per rivestimento: le forme di cristallizzazione e affioramento sono gestite in modo diverso
Cioccolati estrusi come i gianduiotti; paste raffreddate e formate
Pastiglie di cioccolato o rivestite
Gelati rivestiti

MIGRAZIONE MATERIA GRASSA

Ci sono due tipi di migrazione:

Migrazione materia grassa del burro di cacao una parte di materia grassa affiora. È dovuto a:
ricristallizzazione: evoluzione dei cristalli instabili verso strutture più stabili; conservazione errata; errori
durante il temperaggio; il cioccolato è stato lavorato troppo (parto da materia prima che ha già subito
processi di riscaldamento e ricristallizzazione: se esagero con processi danneggio il prodotto). Fenomeno
dovuto ad errore, incapacità dell’operatore.

Migrazione di grasso diverso dal burro di cacao affiora e genera imbianchimento. Migrano verso l’esterno
i trigliceridi mono-insaturi. Il fenomeno viene accentuato da cattiva conservazione.

Il burro di cacao è un grasso molto caro perciò c’è la tentazione di sostituirlo. In Italia si è sempre
valorizzato il cioccolato fatto con burro di cacao. La legge del 1931 fa una differenziazione tra cioccolato e
surrogati di cioccolato. Crea una categoria di seria A e una di serie B. quando si passa ad una legislazione
Europea questa distinzione è inaccettabile perché ostacola il libero scambio. Perciò la direttiva 241/73
disciplina la produzione e definisce le denominazioni sul mercato (fondente, latte..). Ma questa favorisce la
produzione di cioccolato con burro di cacao. Alcuni anni dopo ristrutturazione legge con nuove
denominazione e tecniche di produzione. Alle denominazioni “cioccolato” e “cioccolato al latte” potranno
inoltre essere aggiunte diciture o aggettivi relativi a criteri di qualità (ad es.: extra, finissimo, ecc.) purchè i
prodotti rispettino le seguenti condizioni:

Cioccolato: sostanza secca totale di cacao min. 43%, di cui non meno del 26% di burro di cacao

Cioccolato al latte: sostanza secca totale di cacao min. 30%, sostanza secca totale del latte min. 18%, di cui
almeno il 4,5% di grassi del latte

La direttiva del 2003 introduce il concetto di grassi equivalenti. Utilizzo opzionale in quantità massima di 5%
della quantità totale di grasso. 6 CBE: burro di Illipè, stearina di Shorea robusta, burro di Karitè, burro di
Cocum, nocciolo di Mango, olio di Palma.

Obbligo di inserimento in etichetta di ingredienti e termine minimo di conservazione. Se sono presenti altri
grassi deve esserci scritto esplicitamente: “contiene altri grassi di origine vegetali oltre al burro di cacao”. Se
non li uso posso sottolinearlo per valorizzare il prodotto. In Italia siamo restii a questo ragionamento. Il
parlamento ha permesso l’addizionamento dell’aggettivo puro se prodotto solo con burro di cacao. Siamo
sotto sanzione da parte dall’unione europea.

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