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Meditazioni ascoltando Petrassi e Schumann (suonata per

violino).

La musica classica ha delle cose belle a livello di sensazioni ed emozioni, ma


dovendo sempre stabilire una forma, e di conseguenza uno schema diventa pesante e
perde d’interesse perché entra in un “dover, per forza” dovendo fare sviluppi e
variazioni, perdendo dì interesse melodico. Anche nel jazz avviene la stessa cosa, mi
è capitato anche oggi ascoltando il sassofonista che insegna in conservatorio, ancora
una volta mi sono accorto che sono tutte scale che rincorrono uno stile, ma che
perdono di senso, infatti la perdita di senso è il problema del jazz, in particolare
quello di oggi.
La forma in musica è la metafora del peccato originale, è il dovere, è lo schema fisso,
è l’accettazione passiva della vita. Specialmente quando la forma è vissuta come
accettazione passiva, un aderire a un modello, perché ce lo impone una certa
tradizione, non ascoltandosi. È un po’ il discorso che feci alla Margherita sul trio di
Schubert in Bb che solo un inizio ispirato melodicamente, aderisce a una forma che
gli fa perdere la bella vena melodica.
Devo nella mia musica affermare questo principio di non adesione passiva alla forma,
ma solo seguire quello che sento e voglio trasmettere nella musica.
Mi è piaciuta molto la sonata di Schumann per violino e pianoforte.
Ieri poi quando Romano mi ha detto della possibilità di fare il biennio di sassofono
jazz, sono ricaduto nello stesso conflitto, cioè nel fatto che una persona possa
aiutarmi a risolvere i miei problemi e farmi trovare il mio fraseggio, mentre ho deciso
di interrompere l’accanimento terapeutico e non voglio più seguire nessuno, ma a
seguire la mia strada e cercare da me le metodologia più adatte a me, questo non vuol
dire che se per la strada trovo degli aiuti non ne tenga conto, però voglio seguire il
mio istinto e la mia natura.

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