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Relazione di
Paolo Riggio
Referente per l’Emilia Romagna
Guayasamin Ternura
“Si no tenemos la fuerza de estrechar nuestras manos con las manos de todos, si no tenemos
la ternura de tomar en nuestros brazos a los ninos del mundo, si no tenemos la voluntad de
limpiar la Tierra de todos los ejercitos; este pequeno planeta serà un cuerpo seco y oscuro”
Guayasamin
L’obiettivo principale della Colonia Vacacional era anzitutto quello di portare i bambini del
barrio Santa Marta della città di Manta a frequentare un luogo sicuro durante il periodo di
chiusura delle scuole per la stagione delle piogge. Gli indici di criminalità sono a Manta fra
i più alti dell’Ecuador e il barrio Santa Marta – in cui si è svolto il tirocinio – presenta zone
particolarmente degradate. Una parte del quartiere con centinaia di unità abitative è
letteralmente costruito su un basulero (discarica) (fotografie 1, 2, 3, 4) e tali precarie
condizioni di vita, come facilmente desumibile, rappresentano l’habitat ideale per
l’insorgere di fenomeni di degrado e criminalità (omicidi, droga, prostituzione, alcolismo).
Analizzando le affluenze di bambini, e le loro iscrizioni nel tempo, è possibile senza dubbio
affermare che questa parte dell’obiettivo è stata raggiunta se è vero che per tutto il periodo
del tirocinio – e quasi fino al suo naturale termine – nuove mamme, anche grazie al
passaparola, hanno accompagnato i propri bambini ad iscriversi.
Per quanto riguarda l’aspetto delle attività svolte (teatro, danza, attività ludico-motoria,
manualità, lettura di favole) queste hanno dimostrato la propria funzionalità catturando
l’attenzione dei bambini partecipanti.
I saggi finali (fotografie 5, 6) – a cui è stata invitata ad assistere tutta la popolazione del
quartiere – con i quali si è conclusa questa bellissima esperienza hanno avuto molteplici
finalità: alla gratificazione dei bambini non può non sommarsi il fondamentale aspetto
inerente aggregazione e coesione sociale in un territorio dove il Servizio Pubblico non ha
mezzi da investire e questo delicato, fondamentale aspetto della vita sociale è relegato
all’iniziativa dei Privati (con costi spesso esorbitanti) e/o all’interno di piccoli clan di natura
prettamente familiare.
Il numero di bambini presenti alla Colonia Vacacional è stato nel suo apice – vale a dire
alla chiusura del servizio con la realizzazione dei saggi – di ottantasette unità di età
compresa fra i cinque e i dodici anni.
I bimbi sono stati per età divisi in tre gruppi
Età N° bambini
5/6 anni 23
7/9 anni 30
10/12 anni 34
La settimana lavorativa andava dal lunedì al venerdì – dalle 8.30 alle 12.00 – e nell’arco
d’ogni mattina ciascun gruppo di bambini ruotava con le figure adulte in maniera da
garantire che ciascun bimbo potesse svolgere l’intera gamma delle attività educative
proposte.
Le figure adulte presenti erano:
- una esperta di teatro;
- una esperta di danza;
- io e Laura Della Volpe in qualità di esperti di attività ludico-motoria, manualità e
teatro (intendendo con questo termine esercizi di mimica ed espressione corporea
atti a crescere nella conoscenza di sé, a strutturare lo schema corporeo nello
spazio e nel tempo o semplicemente a migliorare la fiducia in se stessi e nel
prossimo);
- Suor Olga come supervisore generale dell’intero progetto e dell’andamento dei
singoli laboratori; oltre a un gruppo di volontari che, di volta in volta, aiutava laddove
se ne incontrava la necessità.
I pomeriggi venivano spesi in riunioni delle equipe di lavoro per valutare l’andamento dei
percorsi intrapresi e - proprio per la presenza straordinaria mia e di Laura - erano anche
stati organizzati due corsi per adulti (lingua italiana e disegno).
La mattina di lavoro era così strutturata: ogni ora era di effettivi cinquantacinque minuti, tra
la seconda e la terza ora era prevista una pausa per la merenda in cui i bambini potevano
sbizzarrirsi nel gioco libero (e socializzare fra le diverse età).
Ogni gruppo era chiamato a svolgere tutte e tre le attività proposte: danza, teatro, e
l’attività con me e Laura in cui si alternavano differenti “degustaciones”: con questo
termine veniva settimanalmente programmata la nostra attività di cui erano posti a
conoscenza i bambini e, attraverso un’apposita bacheca, le mamme.
Ogni differente “degustacion” (fotografie da 7 a 15) poteva essere:
- una lezione di manualità con costruzione di oggetti da portare poi a casa;
- attività di teatro (espressione mimica e corporea, fiducia in sé e negli altri);
- attività ludico-motoria;
- lettura di racconti (in particolare su sogni e paure) riflessioni e disegno.
Ogni degustacion voleva essere un mezzo – incentrato principalmente sul gioco creativo –
per raggiungere obiettivi di miglioramento nelle più differenti capacità:
Relazionali: con se stessi e il proprio corpo (Mondo interno) - come utilizzarlo nello spazio
(sopra-sotto, destra-sinistra), nel tempo (prima-dopo, azione-pausa-riflessione) - e in
relazione con gli altri e con il Mondo esterno.
Cognitive: attenzione e memoria, funzioni necessarie durante le lezioni di manualidad o la
lettura e la drammatizzazione dei racconti scelti per indagare, conoscere e meglio
affrontare le paure più frequenti, ma anche memoria motoria durante differenti giochi di
abilità incentrati sulla ripetizione di gesti via via più complessi (come ad esempio nel
classico gioco degli specchi).
Motorie: capacità di equilibrio, di contrazione e rilassamento muscolare, di coordinazione
motoria; capacità queste in cui si è lavorato attraverso vere e proprie lezioni di educazione
fisica: riscaldamento con diversi tipi di andature ed esercizi, stretching, una parte centrale
ludica, seguita nuovamente da stretching e defaticamento muscolare.
Un’esperienza di volontariato come questa – lontano dal proprio Paese, e in una realtà
così differente dalla nostra “Occidentale” – è stata, come immaginavo prima di partire - e
ancor più col senno di poi - quanto di più arricchente potessi scegliere. E se è vero che
avendo lavorato tre mesi in un ospizio in quel Paese l’anno passato, un minimo già
conoscevo l’Ecuador, è pur vero che erano quindici anni che non lavoravo con i bambini (e
qui devo anzitutto ringraziare per l’aiuto e per la costante vicinanza Laura, la splendida
compagna che mi ha seguito in questa avventura).
Con i volontari locali, all’interno dell’équipe di lavoro, si è da subito instaurata un’ottima
sintonia: coloro che collaboravano con noi al mattino erano anche presenti al pomeriggio
per le riunioni in cui si discutevano gli ordini del giorno, ed erano fra i più assidui
frequentatori delle nostre lezioni di lingua italiana e disegno.
Suor Olga – considerata la sua esperienza più che ventennale di missionaria in quelle
terre – con la sua costante e autorevole presenza ha rappresentato un valido punto di
riferimento anche per permetterci una rapida interazione nel quartiere, oltre che una
continua fonte di spunti di riflessione (soprattutto durante i pranzi, dopo il lavoro) circa gli
argomenti più disparati.
Sin da subito suor Olga ci ha dato piena fiducia nella gestione del lavoro, degli spazi e dei
materiali. Ricordo perfettamente come, appena arrivati a Manta, di sera tardi, davanti a un
piatto di riso e verdure già si cominciava a riflettere circa le esigenze più imminenti del
servizio dandoci la sua completa disponibilità ad accompagnarci con la sua Jeep
l’indomani in città, per comprare il necessario per iniziare al meglio la Colonia.
Per quanto riguarda i bimbi, la cosa in assoluto che più mi ha colpito è stata la piena
collaborazione fra loro, il rispetto mostrato e la totale assenza di situazioni di
prevaricazione verso i più piccoli e verso Danela (l’unica bambina diversamente abile
presente).
Un altro aspetto importante è stato il desiderio di questi bambini di darsi da fare, tanto che
solo raramente è stato necessario motivarli all’ascolto e all’impegno: si potrebbe dire che il
loro entusiasmo di bimbi e il nostro di educatori si siano rincorsi per quasi due mesi in un
bel circolo virtuoso.
Ed è anche difficile riuscire a parole a spiegare l’atmosfera che si è venuta a creare
all’interno del quartiere Santa Marta nei confronti miei e di Laura, due giovani venuti da un
Paese tanto lontano per lavorare lì – collaborando con la popolazione locale – con i
bambini di tutto il circondario. Dirò solo, utilizzando una metafora, che una discreta parte
del Barrio ci ha letteralmente “aperto le porte di casa”. Il ruolo di educatori con i bimbi nelle
mattine è stato, per così dire, presto completato dall’incontro frequente con moltissime
figure parentali (genitori, nonni, fratelli maggiori) per le vie del barrio. Sovente siamo stati
invitati all’interno delle abitazioni, abbiamo potuto così conoscere: conoscere gli stili di vita,
conoscere la difficoltà di vivere senza acqua in casa, conoscere la povertà – legata così di
frequente alla dignità – di molte famiglie che ci affidavano ogni giorno i loro bambini.
E, parallelamente, siamo stati conosciuti in quello scambio necessario e indispensabile
senza il quale non esiste relazione.
Nella mia vita andare all’estero come volontario (o, come in questo caso, tirocinante), ha
sempre rappresentato un canale privilegiato per conoscere anzitutto persone – con le loro
storie e culture – ed intessere reti di relazione con chi – solo nello spazio fisico – mi è
lontano.
Già, perché quando ci si mette in viaggio (così come quando si migra) prima che essere
portatori della propria cultura (e/o della propria fede) anzitutto si “porta se stessi”, con tutto
il proprio carico d’umanità. E, ne sono sempre più sicuro, noi esseri umani saremmo tutti
(nessuno escluso) perfettamente strutturati per arricchirci – e arricchirci sul serio –
attraverso il reciproco incontro. Chi teme l’altro (lo straniero, il “diverso”, ecc.) al punto a
volte da “non volerlo a casa propria”, oltre ad ignorare le radici più profonde del proprio
albero genealogico, evidentemente non sospetta nemmeno quale patrimonio di
conoscenza e di storia rischi col suo atteggiamento (o la sua paura) d’allontanare da sé.
E questo, a mio parere, è davvero un grande peccato.
Documentazione Fotografica
foto 1
foto 2
foto 3
foto 4
Saggi Finali
foto 5
foto 6
Degustaciones
foto 7
foto 8
foto 9
foto 11
foto 13
La foto 14 rappresenta - realizzato in pasta di sale - il tirocinante visto con gli occhi di un
bambino di 11 anni.
foto 15
Nella foto 15 David Rizzo, di origini italiane, disegna il suo sogno: raggiungere un giorno il
Paese dei suoi nonni: l’Italia. Proprio ciò che io e Laura, alla fine di due splendidi mesi di
lavoro, ci apprestiamo a fare.