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2 articoli di Selvaggia Lucarelli – Il Fatto Quotidiano

Perché in Lombardia si muore?


Gli errori di Fontana e altre sette importanti ragioni
Pubblicato su  23 Mar 2020  da INFOSANNIO
Stamattina mi sono svegliata nell’ormai solito silenzio angosciante di questa città impaurita, Milano, e ho
visto la pioggia. Dopo giorni di un sole che consolava un po’ (ieri avevo perfino pulito il terrazzo), è arrivato
anche questo tetto grigio sulla testa. E quindi oggi mi prendo il tempo di buttare giù le tante cose che ho
visto, ho ascoltato, ho imparato, ho toccato con mano in questo mese di lutti e sgomento. Il tema di cui devo
parlare è “perché in Lombardia stiamo morendo così e così tanto”. Dividerò la questione in due parti. Quella
che definirei “dell’ineluttabile” e quella che invece sarebbe “del reversibile”, se solo si provasse a cambiare le
cose.

L’ineluttabile

1) La Lombardia è stato il primo focolaio silente del paese e d’Europa. Questo primato è stata la nostra
condanna. A gennaio e febbraio la Cina ci sembrava lontana. Quegli 8000 km che ci separano da Wuhan
parevano una sufficiente distanza di sicurezza e l’idea anche il virus fosse già qui, pareva improbabile. Fior
di virologi, in quel periodo, hanno affermato “In Italia il rischio è zero”. Invece il virus se ne stava già andando
in giro, in Lombardia. Era nelle nostre città, nei nostri paesi, sui nostri treni, nelle nostre case, nei nostri
ospedali in Lombardia. Probabilmente già da gennaio.
Il paziente 1 non era il contagiato 1. Era solo il primo paziente a cui è stato diagnosticato il Coronvirus,
ovviamente. Lui è stato ricoverato la sera del 20 febbraio, ma stava male da giorni. In una clinica del
piacentino c’era un vecchietto che stava male dal 10 e, presumibilmente, qualcuno è stato male anche
prima. (oppure era asintomatico). È probabile che il paziente 0 sia stato qualcuno che è partito a Capodanno
per la Cina, dalle zone di Codogno. O che sia finito su un aereo con qualcuno che aveva contratto il virus in
Cina. Non sono un epidemiologo ma se dovessi partire da qualche parte, partirei da qui. Dai viaggi intorno a
Capodanno degli abitanti di quella zona. Fatto sta che la totale inconsapevolezza di quello che stava
accadendo ha reso cittadini e medici lombardi le vittime perfette. Quando abbiamo capito, il virus era già
ovunque. Chi è arrivato dopo, ha avuto un po’ di vantaggio. Noi no. Noi eravamo già fregati.
2) Sul fatto che il contagiato zero fosse transitato nelle zone del basso lodigiano non ci sono dubbi.
Forse Codogno, forse Casalpusterlengo, forse Somaglia, chissà. Geograficamente parlando, non proprio
una gran fortuna. Codogno è nel cuore della Lombardia e a un passo dall’Emilia, posta esattamente nel
centro della cintura Piacenza/Cremona/Brescia/Bergamo Milano/Pavia. Questo vuol dire treni, pendolari,
merci che si spostano tra grandi città tutte molto vicine, tutte molto produttive, piene di scuole, università,
turismo, aziende, aeroporti nazionale e internazionali. La famosa mobilità. Un focolaio situato in altre zone
del paese forse sarebbe stato meno letale, meno veloce, meno spietato, meno incontenibile.
3) Le partite di calcio giocate in Lombardia nel momento della massima espansione silente del
contagio sono senz’altro state un altro fattore disastroso, così come le settimane bianche e le tante
festicciole di Carnevale festeggiate anche dopo l’emergenza. Atalanta- Valencia, ovvero 50 000
bergamaschi a San Siro il 19 febbraio, ha fatto la sua parte. (tra l’altro Valencia è uno dei focolai spagnoli)
Va comunque detto che anche dopo il primo marzo, quando si cominciavano a contare i morti, la vita sociale
di molti lombardi non ha avuto alcun freno. C’è chi è partito per le vacanze, chi per la montagna, chi ha fatto
l’aperitivo in mezzo a centinaia di persone. Le foto della movida bresciana, milanese, cremonese in quei
giorni restano lì, a imperitura memoria della scelleratezza. Così come i video scemi sulle città che non
dovevano fermarsi.
4) La Lombardia è la regione più popolosa e anche quella col maggior numero di anziani di Italia. Ci sono 2
milioni e 270 mila over 65. Il Coronavirus uccide soprattutto gli anziani.
Il reversibile. Quello che si poteva fare o che si potrebbe fare e che non si è fatto o non si fa.

1) Non c’era un vero piano pandemico e se c’era non si è visto. Il cittadino può non essere preparato all’idea
che la Cina arrivi qui in un mese, un governo deve esser informato e non può farsi cogliere impreparato.
Illuminanti le parole dell’anestesista che diagnosticò il Coronavirus al paziente 1 di Codogno, così poco
reattivo ad ogni cura: “Ho pensato all’impossibile”, ha detto. In quella frase c’è tutta l’impreparazione di un
paese. (Non la sua eh, che è stata brava) Proprio di un paese. Gli ospedali, gli operatori sanitari
evidentemente non erano stati preparati neppure all’evenienza.
Non c’era e non c’è mai stato un protocollo unico di intervento, non si è deciso prima che i pronto
soccorso non potevano accogliere persone con sintomi simil influenzali o polmoniti, non si è pensato di
rifornire gli ospedali di dispositivi dpi. Non si è pensato a preparare i medici di base. Nulla. Il disastro
avvenuto negli ospedali ne è il risultato. I luoghi in cui dovevamo essere curati sono diventati troppo spesso i
luoghi del contagio per pazienti e personale sanitario. E dunque per la Lombardia tutta. Gli ospedali lombardi
(da Alzano in poi) sono tra i più importanti focolai della regione. E lì sono stati contagiati e sono morti tanti
anziani che erano ricoverati per un femore rotto o che erano stati lì di passaggio, magari per un prelievo.

2) Non si sono chiuse le zone focolaio di Bergamo e la Val Seriana, così come si era fatto con Codogno. Il
nord che produce ha accettato un cinico compromesso con la salute dei cittadini. E lo sta pagando.
3) E qui arriviamo a un tema spinoso. La regione Lombardia ha una sanità che in buona parte è affidata al
privato, si sa. Non intendo entrare nella generica questione vantaggi/svantaggi, ma è indubbio che in una
situazione di emergenza gli svantaggi siano stati superiori ai vantaggi. L’emergenza Coronavirus non è
redditizia per i centri privati. Convertire una clinica in cui si fanno costose operazioni o si fanno pagare
camere per la lunga degenza o semplice “residenza temporanea” anche seimila euro al mese in clinica
Covid, non conviene. Di qui un problema fondamentale. Quando i focolai sono scoppiati nelle cliniche private
che non erano ancora convertite in Covid, quante cliniche private hanno comunicato tempestivamente la
situazione alla Asl? Quante hanno corso il rischio di venire chiuse all’istante e di perdere fatturato? Se in una
clinica privata il personale si ammala è un problema. Se c’è un focolaio tra i pazienti è un problema. E con
una gestione non pubblica ma interna della crisi, si possono insabbiare molte cose. Soprattutto se a un certo
punto in tutti gli ospedali e le cliniche si chiudono le visite ai parenti.
Puoi nascondere a figli e mogli o mariti che i vecchietti si ammalano e se muoiono lo puoi comunicare per
telefono, parlando con vaghezza di un “aggravamento delle condizioni” o di “sopraggiunte infezioni” o di
“improvvise crisi respiratorie”. I focolai nascosti nelle strutture private sono stati un veicolo del contagio
micidiale. Così come nelle case di riposo, per cui vale lo stesso identico discorso. (nella casa di riposo di
Mediglia sono morti 50 anziani) Molti parenti di questi poveri anziani sono andati in giro per la Lombardia
magari con una positività latente o ammalandosi, facendo ammalare. Poi non hanno saputo più nulla dei loro
cari a cui spesso non è stato fatto il tampone. Ed è per questo, anche, che i morti in Lombardia sono di
sicuro molti di più di quelli dichiarati.

4) Infine, e qui sta la questione più importante e drammatica, in Lombardia regna il caos. La gestione
Fontana è una non gestione. Dovremmo urlarlo tutti i giorni in tutte le lingue. Dovremmo affacciarci al
balcone non per cantare ma per urlare a Gallera e a Fontana di fare qualcosa di serio per arginare la
malattia. Si aprono nuovi ospedali che si riempiranno in 5 minuti, ma non si fa quello che dall’epidemiologo al
barista dell’autogrill avrebbe già deciso di fare in un paese serio: monitorare, mappare, isolare. In Lombardia,
se non lo sapete ve lo dico io, siamo abbandonati a noi stessi. Non sapete e non sappiamo né il numero
dei morti né il numero dei contagiati. Quei numeri lì snocciolati sulla Lombardia in conferenza stampa da
Borrelli sono numeri di un’approssimazione sconcertante.
La gente sta morendo in casa senza mai aver avuto diagnosi, sta morendo negli ospizi e in certe cliniche
private infilata in sacchi ancora in pigiama come da prassi senza che neppure sia stato fatto un tampone. Il
numero dei contagiati in Lombardia non può essere calcolato semplicemente perché non si fanno tamponi
neppure ai sintomatici gravi. Sintomatici gravi che non vengono dunque mappati, isolati, che non hanno
neppure l’obbligo di stare in casa (ci si affida al buonsenso). Se hai tosse, febbre, congiuntivite, problemi
respiratori ma non stai morendo, ti dicono di stare in casa e chiamare il medico di base, che ti dice di
prendere la tachipirina. Nei casi più seri devi procurarti l’ossigeno. Fine. Questo vuol dire che contagerai il
resto della famiglia. E magari un membro della famiglia che sembra stare bene esce, va a lavorare, va al
supermercato. Ho amici, parenti, conoscenti che hanno chiamato il numero preposto per dire ho la febbre.
Sto male. Sto molto male. È un terno al lotto.
A qualcuno viene detto sarà influenza. Ad altri chiami il medico. Ad altri non esca di casa e richiami se
peggiora. Nessuno viene monitorato. Sono persone che con ogni probabilità hanno il Coronavirus e che non
entreranno mai nella lista dei contagiati, se guariscono. Nel frattempo, però, abbandonate a loro stesse,
possono fare danni enormi. Nessuno saprà se erano o sono entrate in contatto con amici infermieri o autisti
del bus o impiegati di banca.

A Wuhan 9000 persone facevano mappature dei contatti. I positivi venivano allontanati dai negativi. Qui ci si
affida al fai da te. E considerato, pure, che a Milano c’è il più alto numero di famiglie mononucleari del paese,
immagino che con 37 di febbre sia uscita un sacco di gente ed esca ancora un sacco di gente per comprarsi
due uova al supermercato. Perché moriamo in migliaia qui in Lombardia? Per questo, anche. Perché non c’è
un metodo. O meglio. C’è il metodo Fontana: “servono più ospedali e respiratori!”. No, caro Fontana. Serve
soprattutto NON far arrivare la gente negli ospedali o sotto il casco per la ventilazione. Serve un piano. Si
decida a partorirne uno decente e in fretta. Stiamo morendo.

“Il virus ci vede bene: la nemesi comica di Fontana e Lega”


Effetto boomerang – Il governatore ha messo in scena la migliore rappresentazione di se stesso e del
suo partito ai tempi di Covid-19.
Pubblicato su 28 Feb 2020 da INFOSANNIO
 
C’è una puntata di Black Mirror che parla di un primo ministro britannico e di un maiale. No, qui il maiale non
si incrocia con un pipistrello e non c’è un virus mortale, state tranquilli. Accade un fatto più straniante, e cioè
che viene rapita la principessa amatissima della famiglia reale e che i rapitori comunicano al mondo che la
rilasceranno solo se il primo ministro si accoppierà in diretta tv con un maiale. La tensione cresce, il pubblico
da casa è in fibrillazione, i media creano dei corto circuiti imprevedibili.
Ecco, io l’altra sera mentre attendevo la famosa diretta Facebook in cui il presidente della Regione
Lombardia Attilio Fontana doveva comunicare al Paese se fosse o non fosse positivo al Coronavirus, mi
sono sentita dentro quella puntata.

È stato il primo momento sinceramente distopico della mia vita. Ero lì, davanti allo schermo e immaginavo
che in quell’attimo tutto potesse succedere: da Fontana che ci diceva “Sono positivo al Coronavirus, ma la
mia faccia non è mai stata quella di uno che sta tanto meglio, quindi vado avanti come se niente fosse” a
“Sto bene e per dimostrarvelo mi accoppierò con un maiale, ora”, a “Il test è positivo, sono incinto, Salvini
ancora non lo sa”.

Giuro che ero pronta a tutto. E in effetti non sono rimasta delusa. Attilio Fontana ha messo in scena la
migliore rappresentazione di se stesso e della Lega, ai tempi del Coronavirus, che si potesse immaginare.
Una Lega a cui sta tornando indietro tutto come un boomerang, con gli effetti comici a cui stiamo assistendo.

Dopo una settimana in cui Fontana ne ha avute per tutti e ha recitato con convinzione la parte di quello che
“Io sono io e il Coronavirus non è un cazzo”, dopo che ha dato lezioni di contenimento del virus mentre il
virus gli entrava dalla finestra e si apriva una lattina di birra, dopo che ha spiegato al governatore della
Toscana come si gestiscono le emergenze mentre una sua collaboratrice contagiata gli starnutiva sul foglio
delle ordinanze, dopo che dava del “cialtrone” a Conte perché “Ho dovuto reagire per difendere i nostri
medici” e intanto il medico che ha visitato la sua stretta collaboratrice ora sarà chiuso nella tuta cerata del
Ris, ecco, dopo una settimana di lezioni a tutti, ha fatto la figura di merda che sappiamo.

E non è che abbia scelto di arginare la situazione imbarazzante con la sobrietà che sarebbe stata opportuna,
magari con un comunicato scarno, con poche righe su Facebook, no, ha messo in piedi quello show surreale
con lui in diretta social mentre delle tizie con le mascherine gli passavano dietro, roba che mi aspettavo da
un momento all’altro che quelle stesse tizie a un certo punto l’avrebbero portato via saltandogli addosso e
poi bloccandolo col bastone da collo dell’accalappiacani come in certi video da Wuhan.

E poi quel meraviglioso “La mia collaboratrice ha il Coronavirus ma io per ora no, per cui cari amici possiamo
continuare a combattere questa battaglia per continuare a impedire la diffusione di questo virus!”. Che è
come dire “Bene, mi sono appena fatto un doppio cheeseburger, possiamo continuare la dieta!”.

Il momento topico, infine, quello in cui Fontana ha voluto regalare al mondo la certezza che il Coronavirus
sia intelligente e selettivo e che ha colpito la sua povera collaboratrice ma solo per arrivare a lui. Parlo del
momento in cui si è infilato quella mascherina in diretta nazionale, quello in cui noi eravamo lì davanti allo
schermo come ipnotizzati assistendo al suo, al nostro suicidio mediatico davanti al mondo.

Tra l’altro, come se non fosse tutto già sufficientemente ridicolo, non riusciva neppure a infilarsi la
mascherina e alla fine, con la mascherina mezza storta e quei fili che gli penzolavano dall’orecchio, cercava
di rassicurare il Paese sembrando l’amico che a Carnevale, alla festa dell’azienda, si maschera da
ginecologo per fare battute sceme alle colleghe. Ed è a quel punto che ci si è domandati cosa abbiano fatto
di male i lombardi per passare dalla camicie di Formigoni agli occhiali con la montatura colorata alla Mughini
di Maroni alla mascherina di Fontana.

Ieri poi, come se non bastasse, è saltato il voto sulla nuova autorizzazione a procedere nei confronti di
Salvini a causa dell’assenza del senatore leghista Luigi Augussori, anche lui in “quarantena volontaria”. A
questo va aggiunto che lo stesso Matteo Salvini aveva incontrato a Milano Attilio Fontana il 24 febbraio, per
cui se il governatore dovesse “positivizzarsi”, toccheranno tampone e isolamento pure al Capitano.

Ed è così che viene da ridere pensando a questa nemesi virologica per cui la Lega, quella che voleva la
Padania, il distacco, l’autonomia dal resto dell’Italia, si sta avviando a ottenere, dopo tante battaglie quello
che voleva.

A breve, saranno il Sud Italia e il resto del mondo a chiedere la secessione. Arriverà pure il video razzista di
Vincenzo De Luca che canta: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i padani”. Manca
poco, me lo sento.

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