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Il "Diálogo de la lengua" di Juan de Valdés e le regole della cortesia

Article · January 1986

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Maria Vittoria Calvi


University of Milan
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LINGUA
E
LETTERATURA

I. U. L. M.
ISTITUTO UNIVERSITARIO DI LINGUE MODERNE
FACOLTÀ DI LINGUE E ~ETTERATURE STRANIERE

MILANO - FELTRE
LINGUA E LETTERATURA

Rivista semestrale fondata da Silvio F. Baridon


Anno IV, Numero 6 Maggio 1986

Direzione
CARLO Bo

Comitato di Redazione
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MARIA VITTORIA CALVI

IL DIALOGO DE LA LENGUA DI ]UAN DE VALDES


E LE REGOLE DELLA CORTESIA

Il dialogo come genere letterario ha origini antiche; ne troviamo abbon-


danti e illustri esempi in Platone, Cicerone e Luciano. L'istanza dialettica e
antidogmatica presente nel dialogo sarà poi una delle cause della sua ampia
diffusione nella letteratura del Rinascimento. Infatti, sono molti gli autori
che oltre a scrivere le loro opere in forma dialogica, hanno dimostrato inte-
resse teorico verso un genere letterario di collocazione incerta tra diverse
funzioni intellettuali ma in ogni caso confacente allo spirito pluralista della
società del tempo (1).
Per quan to riguarda le opere di Alfonso e J uan de V aldés, insigni espo-
nenti dell'erasmismo spagnolo, la scelta quasi esclusiva della forma dialogica
rivela sia l'influenza diretta del maestro di Rotterdam che quella indiretta dei
dialoghi satirici di Luciano (2); ma nella più nota delle opere di Juan, il
Dialogo de la lengua (3), l'adozione di questo genere letterario esprime anche
l'influsso dell'ambiente italiano in cui Valdés viveva e operava, contrasse-
gnato dalla presenza di numerosi testi dialogici. Il tema stesso del Dialogo, la
riflessione sulla lingua, non era nuovo agli intellettuali italiani; la cosiddetta
«questione della lingua» (4) era infatti al centro di discussioni e polemiche,
come attestano numerose opere letterarie, dal Cortegiano alle Prose della
volgar lingua ecc. (5).
Naturalmente, la diversa formazione culturale spiega l'evidente originalità
di Valdés rispetto ai possibili «modelli»; tuttavia, l'esperienza italiana, i
contatti con l'ambiente della corte a Roma prima e a Napoli poi, non sono
certo estranei alla stesura del Di!zlogo: anzi, quello stesso ambiente italiano,
visto dall'ottica castigliana nel momento in cui l'influsso della Spagna si fa
più vistoso (6), diviene lo scenario ove si dipana l'amena conversazione tra
Valdés e i suoi interlocutori.

J uan de Valdés e l'ambiente italiano


Sulla vita di Juan de Valdés si hanno dati molto frammentari (7), anche
72

se il paziente lavoro di molti studiosi, a cominciare da Marcel Bataillon e


José Montesinos, ha permesso in primo luogo di distinguere la figura di Juan
de Valdés da quella del fratello Alfonso, con cui spesso veniva confuso, ripor-
tando alla luce, oltre a preziosi dati biografici, manoscritti di opere che si
credevano perdute (8). Ciononostante, restano molti punti ancora oscuri,
soprattutto sui movimenti di Valdés prima del soggiorno italiano; sappiamo
comunque che dopo la pubblicazione del Dialogo de doctrina christiana avve-
nuta nel gennaio 1529 ad Alcalé, il timore dell'Inquisizione lo spinse a
lasciare la Spagna per l'Italia, dove grazie all'influenza del fratello Alfonso,
entrò al servizio del papa Clemente VII.
In quegli anni, Roma risentiva del duro colpo infertole dal saccheggio
del '27; ma erano ancora vive le tracce dello splendore che sotto il pontifi-
cato di Giulio II e Leone X aveva dato alla corte romana un ruolo primario,
sia organizzativo che culturale, rispetto alle altre corti italiane (9). Qui Val-
dés entrò in contatto con la cultura umanistica italiana e continuò gli studi
iniziati in Spagna; nel '34, alla morte del Papa, si trasferì definitivamente a
Napoli, nella villa fra Chiaia e Posillipo che diventerà il punto d'incontro
della cerchia di amici che si ispiravano ai suoi insegnamenti. Come testimo-
niano le lettere al cardinale Gonzaga (10), Valdés univa al fervore apostolico
un vivace interesse per la politica; ma pare che la delusione provata in seguito
all'incontro fra Carlo V e il nuovo papa Paolo III - per il quale nutriva una
profonda avversione - lo spingesse ad abbandonare l'attività politica per
dedicarsi esclusivamente alla meditazione religiosa. Dal 1536 al 41, anno
della morte, Valdés scrive molto; si rivolge soprattutto agli amici, senza un
chiaro proposito di pubblicare le sue opere, i cui manoscritti comunque cir-
colarono in vari ambienti. Narra un cronista che perfino i conciari del mer-
cato discutevano sull'interpretazione delle epistole paoline data da Valdés;
la notizia (11) è probabilmente falsa, ma è segno indicativo di una diffusione
delle idee valdesiane molto più ampia di quanto sia stato finora accertato (12).
Non è questa la sede per discutere l'influsso del pensiero di Valdés in
Italia; ci interessa piuttosto chiarire il tipo di rapporto che l'umanista ebbe
con l'ambiente italiano, particolarmente importante per spiegare non solo
lo sfondo ma anche le tematiche del Dialogo de la lengua.
Del resto, quando Valdés visse a Napoli, le relazioni italo-spagnole erano
assai intense: il riconoscimento delle affinità reciproche aveva sviluppato un
mutuo desiderio di conoscersi, anche se il contatto non era esente da pole-
miche. Gli italiani, in particolare, sentivano il peso della dominazione stra-
niera ed erano inclini a criticare gli usi e i costumi degli spagnoli, a cui veniva
imputata un'eccessiva cerimoniosità, altezzosità e presunzione. D'altra parte,
l'influsso della cultura ispanica avveniva in un momento poco favorevole:
come riconosce lo stesso Valdés nel Dialogo, la lingua italiana poteva vantare
l'autorità di classici come Petrarca e Boccaccio e aveva raggiunto un alto
grado di consapevolezza della propria unità formale (13), mentre l'egemonia
politica conquistata dalla corona spagnola non coincideva con l'apogeo lette-
73

rario; infatti, l'età d'oro della letteratura spagnola era appena agli inizi. In
ogni caso, disponiamo ormai di numerosi lavori che tracciano un ampio pano-
rama della penetrazione della cultura iberica in I talia, e rendono giustizia di
valutazioni del tutto negative espresse in passato (14).
Da questi studi emerge che il giudizio corrente nei confronti degli spa-
gnoli non fu sempre uguale nel tempo: ne sono prova certe acquisizioni di
spagnolismi che nel mondo cortigiano cinquecentesco implicano un giudizio
positivo, e che in seguito vengono utilizzati in contesti satirici antispagnoli,
assumendo connotazioni decisamente peggiorative (15).
E' il caso del termine «sussiego », che il Castiglione nel Cortegiano (Il,
XXXVII) propone come virtù, la «gravità riposata» tipica degli spagnoli,
e che solo più tardi indicherà uri atteggiamento negativo. 10 stesso Casti-
glione considerava gli spagnoli «maes tri della cortegiania» (Il, XXI): non
a caso nella prima metà del '500, epoca in cui viene delineato il modello
ideale del perfetto cortigiano, prendono piede spagnolismi che denotano
aspetti del comportamento pubblico. Gian Luigi Beccaria sottolinea come
esempio particolarmente significativo il termine «disinvoltura », molto vicino
alla «sprezzatura » vagheggiata dal Castiglione, ma con una maggior concen-
trazione di significato: un misto di gravità e piacevolezza, di aristocratico
decoro, di misura e natura (16). L'adozione del vocabolo è giustificata da un
terreno culturale propizio e da una comunanza di ideali: gli ideali di sponta-
neità ed eleganza depurata da ogni affettazione cari al Castiglione, e rappre-
sentati, sul versante spagnolo, da Juan de Valdés.
Si tratta dei noti princìpi di semplicità e naturalezza che sono alla base
della concezione stilistica espressa nel Dialogo de la lengua:

el estilo que tengo me es natural, y sin afectaci6n ninguna escrivo como hablo;
solamente tengo cuidado de usar de vocablos que signifiquen bien lo que quiero
dezir, y digolo quanto mas lIanamente me es posible (p. 154)

e che allo stesso tempo dovevano ispirare il comportamento dell'umanista


spagnolo: educato nell'ambito della corte (17), e dotato sicuramente di un
notevole fascino personale, Valdés incarnava quegli ideali di sobria eleganza
e naturalezza condivisi dalle persone che conobbe durante il lungo soggiorno
italiano e con cui strinse legami di amicizia.
La famosa lettera del Bonfadio all'amico Carnesecchi, scritta a seguito
della morte di Valdés, è uno dei pochi documenti in grado di certificare il
forte ascendente che il pensato re spagnolo esercitava sui discepoli: una sedu-
zione legata certamente alle sue doti personali, e in particolare alla capacità
di trasmettere il proprio magistero attraverso la parola, ma anche al valore
emblematico di queste abilità. Valdés rappresentava compiutamente gli ideali
di quel mondo: l'esatto opposto della figura topica dello spagnolo fanfarone,
borioso e spaccone, bersaglio di satire mordaci (18).
In definitiva, Valdés univa alla meditazione religiosa una raffinata sensi-
74

bilità di uomo di mondo; l'esperienza italiana era stata per lui sicuramente
stimolante, e se una certa affinità culturale dava al suo comportamento il
valore di modello ideale, l'autorevolezza di cui era investito gli consentiva
di proporsi agli interlocutori come mediatore qualificato di valori intrinseci
della cultura spagnola (19). Anche se gli insegnamenti religiosi avevano una
importanza prioritaria, l'immagine offerta da Valdés agli amici italiani riuniva
diversi aspetti, legati a una comunione ideologica che andava oltre il terreno
puramente spirituale.
Queste considerazioni si rivelano sostanziali per una completa compren-
sione del Dialogo de la lengua; del resto, la critica ha più volte rilevato i
numerosi riferimenti all'esperienza italiana contenuti nel testo, e preso in
esame i passi illustrativi della personalità di Valdés. Tuttavia, come più avanti
cercheremo di dimostrare, non si tratta solo di elementi di sfondo; la stessa
struttura dialogica dell'opera conferisce un significato particolare alle nota-
zioni relative all'ambiente e ai rapporti interpersonali fra gli interlocutori
coinvolti nel dibattito.

Il Dialogo de la lengua: struttura dialogica e autenticità


Come abbiamo già osservato, la scelta della forma dialogica da parte dì
Alfonso e Juan de Valdés rispecchia l'influsso di Erasmo da Rotterdam; nel
Dialogo de la lengua confluiscono poi altri modelli culturali, e in particolare
le opere del Bembo e del Castiglione che J uan doveva certamente cono-
scere (20). Gli scritti di Alfonso de Valdés, dettati dal fervore erasmista e
dall'ammirazione incondizionata per Carlo V, impiegano la tecnica dialogica
accentuandone l'aspetto satirico, e raggiungono spesso toni di aspra pole-
mica (21); diverso è l'uso che ne fa il fratello J uan.
Nel Dialogo de doctrina cbristiana, la prima delle opere di Juan de Val-
dés, scritta e pubblicata in Spagna, l'autore stesso dichiara nel Prologo (22)
che la funzione della tecnica dialogica consiste nel rendere più amena l'espo-
sizione della dottrina, intenzione in parte smentita dall'eccessivo schematismo
del proposito dottrinale.
I tre personaggi, Eusebio, Antronio e l'Arcivescovo, si identificano con
la funzione ideologica di cui sono investiti, legata soprattutto alla necessità
di educazione del volgo cristiano (23), e solo saltuariamente evadono dal-
l'astrazione; lontana dal furore polemico che animava i personaggi di Alfonso,
l'opera rivela una certa freddezza e rigidità concettuale, anche sea volte si
affaccia l'umanità dell'autore nel suo anelo di riforma ..
All'estremo opposto, il Dialogo de la lengua si impone all'attenzione del
lettore sia per la ricchezza di informazioni sullo stato della lingua spagnola
all'inizio del XVI secolo che per la freschezza e la vivacità dello stile. In
primo luogo, la forma dialogica non risponde unicamente all'intento di alleg-
gerire il peso del contenuto dottrinale ma si adatta perfettamente alla materia
trattata, ancora allo stato magmatico (24). Il Dialogo, infatti, non racchiude
una vera e propria teoria grammaticale: si limita ad annotare una serie di
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notizie, rivelate si poi di grande interesse per conoscere il grado di evoluzione


della lingua castigliana. La mancanza di un impianto dottrinale preciso, do-
vutaall'effettiva impossibilità di organizzare una materia fluida in continuo
cambiamento, lascia quindi al dialogo una sostanziale autonomia, da cui deriva
il principale pregio letterario. D'altra parte, Juan de Valdés non si era mai
occupato di questioni filologiche in modo sistematico; come è noto, l'opera
fu scritta con un fine essenzialmente pratico: fornire un manuale di uso del
castigliano agli amici italiani, che non sempre dominavano la lingua spagnola
in modo tale da recepire a fondo gli insegnamenti religiosi di Valdés.
La situazione del dialogo è quindi del tutto verosimile, e presuppone
reali rapporti di amicizia coltivati in un ambiente colto e raffinato, anche se
la vita dell'uomo di corte non è, come nel Cortegiano del Castiglione, il tema
centrale del dibattito.
Ad accentuare l'impressione di verosimiglianza contribuisce il luogo scelto
da Valdés come teatro per la conversazione: la sua stessa abitazione napole-
tana, punto di incontro abituale con i discepoli. Non più la chiesa come nel
Diàlogo de doctrina cbristiana né la corte, scenario del Cortegiano, ma un
luogo più raccolto e «privato », Tuttavia, non mancano richiami espliciti alla
corte, riconducibili sia all'esperienza spagnola che a quella italiana, presup-
posto indispensabile del rapporto fra Valdés e i suoi interlocutori. Uno di
loro, Pacheco, definisce il maestro « hombre criado en el reino de Toledo y
en la corte de Spafia» (p. 62); lo stesso Valdés ricorda in varie occasioni di
aver frequentato corti e palazzi: «Diez afios, los mejores de mi vida, que gasté
en palacios y cortes» (p. 169). Non mancano riferimenti alle persone, «ca-
valleros », letterati e gentiluomini, incontrati presso le corti spagnole e ita-
liane: «os podréis servir del quaderno de refranes castellanos que me dezis
cogistes entre amigos, estando en Roma, por ruego de ciertos gentiles hom-
bres romanos » (p. 48); « màs quisiera satisfazer a Garcilasso de la Vega, con
otros dos cavalleros de la corte del emperador que yo conozco » (p. 94).
L'opera quindi nasce da un contesto ben definito, e i legami con la realtà
sono facilmente riconoscibili. Tuttavia, non si tratta della semplice trascri-
zione di un colloquio realmente avvenuto: il ricorso allo scrivano nascosto
che avrebbe registrato fedelmente le varie fasi del dialogo è un pretesto
dietro cui si rifugia Valdés, abitualmente dedito a questioni religiose e spiri-
tuali, per giustificare la scelta di occuparsi di «cosa tan baxa y plebeya como
es punticos y primorcicos de lengua vulgar» (p. 43) (25) e per mascherare
una curiosità intellettuale sorta proprio nell'ambiente del palazzo, la «honesta
curiosidad» cui fa cenno Marcio all'inizio del libro (p. 39). Anche il tipo
di struttura dia logica adottato da Valdés è coerente con questo atteggiamento
di cautela nei confronti della propria opera.
Nel dialogo rinascimentale, il testo comincia spesso con un'introduzione
narrativa che poi si. interrompe per lasciar posto alla tecnica teatrale «rnime-
tica»; da questa norma si discosta il Castiglione che nel Cortegiano riserva
a se stesso la funzione di «regista », mantenendo per tutto il libro una sia
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pur sobria struttura diegetica, limitata a brevi indicatori di dialogo (« sorri-


dendo disse», «rispose», ecc.). Tale espediente, ha la funzione di accrescere
l'importanza del narratore e la significatività dei personaggi rappresentati,
attenuando al tempo stesso la portata dialettica del dibattito (26).
All'estremo opposto, la scelta di Valdés è quella mimetico pura: manca
infatti anche l'introduzione diegetica; l'autore in quanto creatore o sempli-
cemente sceneggiatore tende a scomparire del tutto, presentandosi nel testo
non come personaggio fittizio ma come persona reale; il libro inizia subito
con il dialogo, preceduto soltanto dalla lista dei quattro personaggi in ordine
di apparizione.
Sia Erasmo che gli erasmisti spagnoli privilegiano il dialogo di tipo mime-
tico o rappresentativo; ma il Dialogo de la lengua si distingue dal modello
abituale sperimentato dallo stesso Valdés nel Dialogo de doctrina christiana
e nell'Alfabeto cristiano per la mancanza assoluta di un sia pur breve prologo
che spieghi il motivo occasionale o i propositi dell'opera, come se l'autore
abdicasse dalla funzione narrativa rinunciando così alla paternità del testo,
. per accettare di entrarvi unicamente in veste di personaggio e non come sog-
getto dell'enunciazione. In questo senso, si spiega anche l'apparente non-
sistematicità del testo; il Valdés-personaggio lascia agli amici la «regia », limi-
tandosi a rispondere alle loro domande senza intervenire direttamente nel-
l'organizzazione degli argomenti trattati: «sera bien que todos tres os con-
certéis en el orden que queréis IIevar en vuestras preguntas, porque no os
confundàis en ellas» (p. 5O).
In realtà il testo rivela, in una organicità che può sfuggire a prima vista
ma non a un'analisi attenta (27), la sua natura di creazione letteraria; si
avverte comunque il bisogno di calare l'opera nella realtà del rapporto quoti-
diano fra gli interlocutori, operando sulla struttura testuale in modo da annul-
lare la figura dell'autore. La strategia dialogica adottata e il pretesto dello
scrivano nascosto rispondono a questi presupposti.

Rapporti fra gli interlocutori


Se il Valdés-autore si trincera dietro una serie di espedienti letterari che
lo scagionano dalla responsabilità diretta dell'opera, lo stesso Valdés-perso-
naggio esita a lungo prima di dare il via al dibattito; anche dopo essersi
lasciato convincere, ostenta una certa reticenza nell'approfondire i temi che
gli vengono sottoposti, e ribadisce più volte l'inutilità della conversazione e
il desiderio di porvi fine al più presto: «sera bien poner fin a estas imitiles
platicas » (p. 113), «Quexaos quanto quisiéredes, que a mi no se me ofrece
otra cosa que deziros» (p. 74).
Questo atteggiamento di prudenza e cautela alleggerisce il peso del con-
tenuto dottrinale e lascia più spazio ai rapporti fra i personaggi, che acqui-
stano consistenza e si vanno delineando con una personalità ben caratteriz-
zata (28); a ciò contribuisce anche la mancanza di prologo: la funzione intro-
duttiva, infatti, è affidata ad alcune battute iniziali, per nulla superflue, in
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cui emerge l'immagine di un gruppo sociale nella realtà delle proprie relazioni
quotidiane (29).
Apre il testo una battuta di Marcio che suscita curiosità e aspettativa
riguardo al tema della conversazione (« tornemos a hablar en lo que comencé
a deziros esta mafiana » p. 39) e contiene un riferimento al clima di tranquil-
lità e silenzio, ideale per lo scambio di idee, in cui si alterneranno le voci dei
vari interlocutori: «Pues los moços son idos a comer y nos han dexado solos,
antes que venga alguno que nos estorve ... » (p. 39). Quello che conta non è
tanto I'ambientazione esterna quanto l'atmosfera raccolta che rende possibile
lo sviluppo del discorso. Qualche pagina più avanti, verrà ribadita la neces-
sità di non essere disturbati:

Pero mirad que mandéis que el casero sté a la puerta para que, si viniere algu-
no, sea quien fuere, diga que no estamos aqui, porque no nos estorven; y, porque
los que vinieren lo crean y se vayan con Dios, mandad que 108 moços se passen a
jugar hazia la parte de la mar, porque de otra manera no hariamos nada (p. 52).

Prima di svelare l'oggetto della sua «honesta curiosidad », Marcio strappa a


Valdés la promessa di rispondere a quanto gli verrà domandato; solo a questo
punto viene sciolto l'enigma, con un lungo intervento di Marcio che spiega
come si era sviluppato in loro il desiderio di avere certi ragguagli sull'uso del
castigliano, e allo stesso tempo giustifica la presenza dei tre interlocutori: « el
sefior Pacheco como natural de la lengua, y el sefior Coriolano como novicio
en ella, y yo como curioso della» (p. 42).
Coriolano, il novizio, rappresenta in un certo senso l'interlocutore esterno
a cui è rivolta l'opera, l'uomo di corte che vuole apprendere lo .spagnolo,
«porque, como veis, ya en Italia assi entre damas como entre cavalleros, se
tiene por gentileza y galania saber hablar castellano» (p. 41); e all'interno
del dialogo avrà spesso la funzione di chiedere spiegazioni che da parte di
un parlante nativo e allo stesso Marcio parrebbero superflue. Spagnolo di
nascita, Pacheco è invece il più esperto della lingua ma, essendo uomo d'armi,
è poco amante delle questioni grammaticali, e riconosce la sua scarsa prepa-
razione letteraria: «Antes yo me remito a qualquiera de vosotros que sois
lefdos » (p. 50). Marcio, da parte sua, unisce una buona conoscenza della
lingua a una maggiore dimestichezza con la cultura e ,le lettere.
Sarà dunque Marcio, che fra i tre interlocutori occupa la posizione privi-
legiata, a condurre il dialogo dando ordine ai temi da affrontare; tuttavia,
non esiste una rigida distribuzione di ruoli fra i partecipanti al colloquio:
mentre i personaggi del Doctrina Christiana erano incarnazioni di un'idea,
i protagonisti del Dialogo rappresentano solo se stessi, interpretano una parte
che risponde perfettamente alla loro natura di uomini di corte avvezzi allo
scambio di idee, come lascia intuire il cenno di Marcio al loro comune accor-
do di commentare insieme le lettere ricevute dall'amico Valdés durante la
sua assenza da Napoli.
78

In un primo tempo Valdés fa mostra di considerarsi burlato dagli amici:


«me resuelvo en no creeros nada de lo que dezis (... ) Aun con todo esso
pienso que me burlàis » (p. 42); gli sembra una perdita di tempo parlare di
« nifierfas de la lengua» (p. 49) e non si considera sufficientemente esperto
della materia: «no soy tan letrado ni tan leido en cosas de ciencia quanto
otros castellanos que muy largamente podrian hazer lo que vos queréis »
(p. 45). Oppone una resistenza tenace ma cortese; risponde alle argomenta-
zioni degli amici cercando di motivare il suo rifiuto, ma incomincerà a cedere
quando gli verrà proposta l'autorità del vocabolario di Nebrija: trascinato
nel vivo della questione da uno spunto polemico, cede alla fine le armi e si
prepara a rispondere. Prende così avvio il dialogo vero e proprio, in cui
Valdés conserva sempre un atteggiamento di reticenza che lo ripara da even-
tuali errori od omissioni.

Le regole della cortesia


Dal punto di vista dello sviluppo della tecnica dialogica, questa cautela
riveste un interesse particolare: al di là delle intenzioni dell'autore, rispecchia
in modo esemplare i meccanismi delle regole della cortesia, quali sono state
studiate in tempi recenti da sociolinguisti e conversazionalisti (30); il criterio
attenuativo che Valdés applica continuamente al proprio discorso lascia spazio
agli interventi degli amici, e permette che la conversazione si sviluppi secondo
un'alternanza di turni nel parlare. In questo modo, nonostante Valdés sia
per cultura e per esperienza di parlante la voce più importante, il dialogo
procede come tale, cioè come un avvicendarsi di voci e opinioni diverse
riguardo al tema della lingua; benché nella maggior parte dei casi gli amici
accettino i punti di vista di Valdés, le sue opinioni possono e vengono effet-
tivamente messe in discussione. Il maestro non è, come l'arcivescovo del
Doctrina Christiana, il depositario della verità: in questo modo Valdés supera
lo schematismo dell'opera precedente, lasciando sostanzialmente aperte le con-
clusioni del dibattito.
Il concetto di cortesia trova una profonda risonanza nell'ambiente cultu-
rale coevo all'opera, in cui l'eleganza del comportamento costituiva un ideale
di vita; la stessa concezione del vivere cortigiano, condivisa da Valdés e dai
suoi amici, prescriveva una serie di regole a cui doveva ispirarsi la condotta
dell'uomo di corte. Non stupisce quindi che i personaggi del Dialogo rical-
chino nel corso del colloquio modelli di interazione verbale comunemente
accettati nella società del tempo, ma non si tratta di aspetti secondari rispetto
al tema centrale: all'interno dell'opera, la cortesia è un nucleo tematico di
rilievo, punto di .riferimento costante e principio ispiratore che giustifica
l'esistenza stessa del dialogo.
In altre parole, sostanza dell'opera non sono solo i contenuti dottrinali
ma anche le situazioni interattive tipiche di un mondo in cui la stessa attività
del conversare intorno a un tema costituisce un ingrediente essenziale del
vivere quotidiano: l'opera tratteggia, anche se indirettamente, un modello
79

di comportamento sociale, come emerge con chiarezza da un esame dei vari


segmenti di dialogo che esulano dal tema principale della discussione.
Fin dalle prime battute di Marcio troviamo un riferimento alla cortesia
come condizione essenziale per lo sviluppo del dialogo: « siendo vos tan
cortés y bien criado con todo el mundo como todos dizen que sois» (p. 39);
la rinomata cortesia di Valdés, infatti, garantisce ai tre amici la risposta ai
loro dubbi in fatto di lingua. Non sarà, come sappiamo, un'impresa facile,
ma alla fine prevarrà la disponibilità di Valdés.
L'importanza attribuita dall'autore all'attività del conversare e al codice
della cotresia è poi avvalorata per tutta la durata del dialogo dall'abbondanza
di riferimenti espliciti ai dispositivi che regolano l'economia conversazionale.
Sono molto frequenti gli inviti a proseguire, soprattutto da parte di Marcio,
così come i richiami al tema centrale del discorso; si tratta a volte di brevi
formule convenzionali come «proseguid adelante» (p. 99 ...), «dezid adelan-
te» (p. 128), « tornando a nuestra materia» (p. 152). In altri casi, l'inter-
vento è più complesso e articolato; si vedano alcuni esempi:

Esso basta. Y pues avéis començado, proseguid por su orden vuestros vocablos
sin esperar que os preguntemos (p. 120)
Muy bien vais; proseguid adelante, que me dais la vida (p. 121)
Esso se hara después; agora prosigamos como Ivamos por los vocablos adelante
(p. 125)
Hora sus, atajemos esta materia y tornemos a la nuestra (p. 147)
No queremos saber nada desso. Proseguid en vuestros vocablos, que haze màs
al proposito (p. 149)
Proseguid en dezirnos lo que pertenece al estilo de vuestra lengua castellana
(p. 158)
Dexaos desso; tornad a vuestros libros y dezid ... (p. 166).

A parte queste procedure tipiche delle discussioni formalizzate, è significativo


riconoscere, nel corso del colloquio, le modalità secondo cui i personaggi si
attengono al codice della cortesia e per contro il sottile gioco delle trasgres-
sioni, che oltre a rendere più animata e briosa l'esposizione della materia
delineano una serie di rapporti comunicativi tra i personaggi.
Nel suo ruolo di maestro, Valdés rispetta il codice della cortesia mediante
il frequente impiego di espressioni attenuative che propongono delle alter-
native al destinatario, mettendolo a proprio agio; ad esempio:

Diréos no lo que sé de ciencia cierta, porque no sé nada desta manera, sino lo


que por congeturas alcanço y lo que saco por discrecién (p. 59)
Yo os digo lo que se me ofrece; ponedlo vosotros en el lugar que quisiéredes
(p. 67)
Yo por tal la osaria vender; bien puede ser que tenga alguna ecepcién de que
yo no me acuerde (p. 73)
En esso vos haréis como quisiéredes; abasta que os parezca bien (p.80).
80

Anche in questo caso, abbondano le formule brevi del tipo «segun mi opi.
nién » (p. 57), « si mal no m'engafio » (p. 58), « segiin yo pienso » (p. 61),
«pienso yo que» (p. 63) ecc.
Naturalmente, il prestigio di Valdés è tale per cui i suoi interventi sono
spesso più lunghi di quelli degli altri; benché la sua parola non sia inequivo-
cabile, fra lui e i suoi interlocutori domina il rapporto gerarchico maestro-
discepoli: dal maestro ci si attende l'esposizione chiara e concisa della mate-
ria. Non mancano formule di approvazione esplicita: «Esso sta bien dicho»
(p. 76), «Sin falta deve ser assi» (p. 76), «En esso tenéis razén » (p. 78),
«Paréceme tan bien que no os lo oso alabar, porque no me tengàis por
lisongero» (p. 97) ecc.
Ma Valdés non vuole monopolizzare la conversazione: spesso interrompe
il discorso lasciando qualche punto in sospeso o non del tutto chiarito; questa
strategia consente a un altro parlante di'prendere il turno, ad esempio chie-
dendo ulteriori spiegazioni e precisazioni. Talvolta, egli stesso spinge gli amici
a esprimere il proprio parere (<< Estad atentos, porque sobrèllo me digais
vuestros pareceres », p. 52) e a non obbedirgli ciecamente:

MARCIO. Assi lo haremos como lo dezfs, por obedeceros.


VALDES. Hazedlo por lo que os cumple, que a mi poco me importa (p. 71).

Sono pure frequenti sequenze piuttosto estese in cui le voci dei personaggi
si alternano continuamente: gli interventi sono brevi, concisi e piuttosto
vivaci; lo schema ricorrente è quello domanda-risposta, ma non mancano
modelli diversi (affermazione-negazione, commenti, precisazioni ecc.). Se I'im-
postazione pedagogica esige spesso lunghi interventi esplicativi da parte di
Valdés, la brevità è per altro molto apprezzata da tutti, in special modo
quando si tratta di omettere dettagli non necessari:

VALDES. Mientras me mandarades acortar la materia y no alargarla, de buena


voluntad os obedeceré (p. 62).
VALDES. Dernas me stava; si me detuviesse en cada cosilIa déstas, nunca aca-
bariamos (p. 127).
MARCIO. No digéis més, pues lo dicho basta, y aun sobra, para entender lo que
queréis dezir (p. 151).

Le trasgressioni al codice della cortesia non sono mai tali da mettere in


discussione seriamente il patto di cooperazione iniziale (31); Valdés mantiene
la promessa fatta agli amici e questi ultimi a loro volta assolvono al compito
di dare organicità al discorso mediante l'ordine delle domande. Ma è interes-
sante vedere come l'andamento del dialogo sia intercalato da un garbato
intreccio di lievi infrazioni, ingredienti essenziali di ogni processo intercomu-
nicativo che, sul piano letterario, rendono più brillante l'esposizione.
Nonostante si consideri importunato (« Ni aun a vosotros no lo dixera
~----------

81

si no me uviérades importunado », p. 93) dalle domande degli amici, Valdés


dimostra una notevole pazienza, come osserva, sorridendo, Marcio:

Riorne de ver quan contra vuestra voluntad os hazemos hablar en estas nifie-
rfas, y huélgome de considerar la paciencia con que las tratàis (p. 75).

ma minaccia di perderla ogniqualvolta gli viene contrapposta l'autorità di


Nebrija:

No me aleguéis otra vez para la lengua castellana la autoridad de Librixa


andaluz, que me haréis perder la paciencia (p. 80).
No aya més Librixa, por vuestra vida (p. 81).
Torndos ai con vuestro Librixa; ~no os digo que lo dexéis estar? (p. 87).
Ya os tengo dicho que no me aleguéis a Librixa (p. 89).

Marcio invece non ha nessuna intenzione di lasciar perdere, e sfrutta lo


spunto polemico appena può:

[Picastes! Pues mas de otras diez vezes os haré picar de la mesma manera
(p 81).

Ya me lo avéis dicho y ya yo lo sé, pero también os tengo yo dicho a vos que


os he de hazer picar en Librixa rnas de diez veces (p. 114).

e a Valdés non resta che rassegnarsi:

Paciencia (p. 114).

Dal piccolo diverbio, emergono alcuni tratti della personalità di Valdés; in


particolare la sua suscettibilità, come ammette egli stesso:

os hago saber que para mi no ay igual tormento que no poderme enojar o


mostrar enojo por lo que oigo o veo que no es segiin mi fantasia (p. 81)

e come osserva, più avanti, Marcio:

Porque os tengo por tan delicado, que de cada mosquito que os passa por
delante la cara, si no va a vuestra voluntad, os ofendéis (p. 182).

In fondo, però, Valdés si accontenta di «mostrar enojo» e chiede agli amici


di sopportare la sua collera visto che lui Si trova costretto a subire le loro
domande: .

Vos queréis que os sufra yo vuestras preguntas malas o buenas y no me queréis


sufrir a mi mi colera sin razén o con ella (p. 81). '

In definitiva, si arrende e accetta lo scambio (la mia collera per le vostre


domande) come propone Pacheco:
82

Sea desta manera: que vos nos sufràis a nosotros nuestras preguntas y que
nosotros os suframos a vos vuestra c6lera. (Sois contento? (p. 81).

ma non rinuncia a prendersi di tanto in tanto qualche rivincita, negando certi


chiarimenti che non rientrano strettamente in quanto si è impegnato a spie-
gare. Ad esempio, lascia in sospeso la chiave di un indovinello; Marcio per
questo motivo lo taccerà di scortesia, rassegnandosi però a restare nel dubbio
in cambio del « tormento» inflitto all'amico:

VALDES. Pues quedaos agora con esse desseo.


MARCIO. Descortésmente lo hazéis. Sufrimoslo porque vos nos sufrais a noso-
tros nuestras importunas preguntas (p. 100).

In un'altra sequenza di dialogo Valdés rifiuta una spiegazione affermando


di essersi impegnato soltanto a rendere ragione di ciò che aveva scritto nelle
lettere; la garbata risposta di Marcio, richiama all'amico le promesse fatte
e ritorna al tema della cortesia e della gentilezza, tanto che a Valdés non
resterà altro che accontentarli:

VALDES. En esso tanto no pienso obedeceros, pues sabéis que no me obligué


sino a daros cuenta de mis cartas.
MARCIO. También os obligastes a satisfazernos en nuestras preguntas; y esto
no os lo pedimos por obligaci6n, sino por gentileza.
VALDES. Vuestra cortesia me obliga més que mi promessa (p. 118).

Fra i tre interlocutori di Valdés, Pacheco è quello che proprio in quanto


parlante nativo, contesta più facilmente le opinioni del maestro, come quando
afferma:

Apenas puedo creer esso que me dezis, porque a hombres muy sefialados en
letras he oido dezir todo el contrario (p. 46).

Confesserà, più avanti, di essersi sbagliato: «yo estava muy engafiado »


(p. 47); altre volte, sarà Marcio a richiamarlo all'ordine:

PACHECO. Assi es verdad, pero ...


MARCIO. Esse pero, si no os lo quisiéredes comer, tragéoslo por agora, que,
pues a nosotros dos nos ha satisfecho, también vos os devéis contentar (p. 107).

Lo stesso Marcio non risparmia le obiezioni al maestro, che da parte sua


replica prontamente invitandolo alla modestia:

MARCIO. Un donaire muy grande he notado en vuestras cartas: que en algunos


vocablos no os contentàis con la e ordinaria que los castellanos afiadis (...).
VALDES. Mayor donaire es querer vos ser juez en la provincia donde no sabéis
las leyes. (No avéis oido dezir que cada gallo cante en su muladar? (p. 90).
----------- - -

83

Valdés ha sempre la battuta pronta, arricchita dall'uso costante di proverbi,


che danno un'impronta peculiare allo stile del Dialogo: ne cita moltissimi
come esempi di lingua, ma vi fa spesso ricorso per dare vivaci risposte agli
amici, come nel frammento citato.
Le contestazioni di Coriolano, l'interlocutore meno competente, sono
le più ingenue, e si attirano inevitabili commenti ironici e divertiti:

CORIOLANO. Segun esso, hurtado nos avéis este vocablo.


MARCIO. Si por cierto, hallado os avéis la gente que se anda a hurtar voca-
blos (p. 95).

Le «violazioni» al codice della cortesia, possono essere anche d'altro tipo;


ad esempio, far troppe cerimonie infrange l'esigenza di evitare nel dialogo
la prolissità non necessaria, errore in cui cadono Valdés e Pacheco subito
ripresi da Marcio:

Dexad estar essas vuestras cerimonias espafiolas para los que se comen las
manos tras ellas, y dezidnos ... (p. 112).

Altrettanto inopportuni sono gli eccessi di pedanteria e di retorica, come


fa presente Valdés in uno dei suoi primi interventi:

Si no adornérades esta vuestra demanda con tanta retorica, liberalmente me


ofreciera a obedeceros (p. 40).

e più avanti, commentando un'uscita di Pacheco:

Paréceme que, si honra se gana en estas pedanterfas, os avéis hecho rnàs honra
con esto solo que avéis dicho, que yo con todo lo que he parlado, y por mi os digo
que nunca avia mirado en essos primores (p. 111).

Un'altra piccola infrazione è costituita dalle interruzioni inopportune; Valdés


coglie al volo l'occasione per intervenire con la consueta arguzia:

Pues yo digo que me dexéis acabar de concluir mi baile, pues me sacastes a


bailar (p. 129).
Vos sois como el ansar de Cantipalo, que salié al lobo al camino. No, que no
es esso (p. 147). -

Altrove, invece, è lo stesso Valdés a deviare dal filo del discorso; si giustifica
affermando che di tanto in tanto qualche parentesi non stona, e lo dice ricor-
rendo, come sempre, al linguaggio popolare e figurato:

Ya sabéis que estos paréntesis no son malos a ratos, como entre col y col,
lechuga (p. 149).
84

Ma gli amici, desiderosi di sapere quante più cose possibile, lo riconducono


subito al nocciolo della questione:

MARCIO. Sirva esto por manera de paréntesis, y pasemos a lo que haze al caso
(p. 109).
MARCIO. Dexéos agora, por vuestra vida, de hazer anatomia de la pobre Celes-
tina; basta que la hizieron los moços de Calisto. Dezidnos qué os parece del estilo
(p. 175).

Gli spunti polemici, non si limitano al campo linguistico, e sono più frequenti
di quanto l'insistente ripetizione di formule di cortesia induca a pensare;
tema scottante, sono ad esempo i rapporti italo-spagnoli, spesso al centro di
pungenti battibecchi:

MARCIO. Essa filosofia no la aprendistes vos en Castilla.


VALDES. Engafiado estàis, antes, después que vine en Italia, he olvidado mucha
parte della.
MARCIO.Sera por culpa vuestra.
VALDES.Si ha sido por culpa mia o no, no digo nada; basta que es assi, que
mucha parte de la que vos Ilamais filosofia, que aprendi en Espafia, he olvidado
en Italia.
MARCIO. Essa es cosa nueva para mi.
VALDES. Pues para mi es tan vieja, que me pesa (pp. 93-94).

ma ogniqualvolta la controversia corre il rischio di degenerare o comunque


si protrae troppo a lungo, interviene da parte di qualcuno una mozione d'or-
dine (32) che riporta sul seminato; ad esempio, la sequenza citata continua
con una battuta di Marcio che spegne il piccolo diverbio:

MARCIO. No quiero disputar con vos esto, pues tan bien me avéis satisfecho
en lo que os he preguntado (p. 94).

Infine, la continuità col passato comune espressa dalla menzione del carteggio
fra Valdés e i discepoli, viene proiettata sul futuro, nella promessa di ritro-
varsi ancora una volta per affrontare gli stessi argomenti:

VALDES. Pues yo os dexo pensar hasta de oy en ocho dias que, plaziendo a


Dios, nos tornaremos a juntar aqui y concluiremos esta contienda. Agora ya es
hora de ir a Napoles (p. 181).

Le conclusioni della «contienda» sono lasciate volutamente in sospeso; il


dibattito rimane aperto, coerentemente con l'impostazione antidogmatica di
tutta l'opera. Sul piano estetico, invece, il testo si conchiude in armonia col
principio: le azioni e i rapporti interpersonali sono dominanti rispetto alle
idee (33); una volta che si sono spente le discussioni erudite, la chiusura,
85

come prima il prologo, è affidata al gruppo dialogante. Gli stessi uomini di


cultura si ritroveranno ancora a formare circolo; il libro termina con lo stesso
sobrio realismo ambientale con cui era cominciato.

Conclusioni
Da quanto detto, emerge che la vivacità del Dialogo de la lengua non
dipende solo da fattori stilistici (frequente uso di proverbi, giochi di parole,
doppi sensi, indovinelli ecc.), ma anche dal modo in cui vengono costruiti i
rapporti interpersonali: le regole della cortesia impongono a Valdés di accon-
tentare gli amici senza far pesare la propria autorità, lasciando spazio per i
loro interventi; da parte loro, Marcio, Coriolano e Pacheco accettano le con-
dizioni imposte dal maestro e si limitano a lievi infrazioni, come nel caso
di Nebrija.
Anche le battute più triviali hanno una precisa funzione all'interno della
struttura testuale: danno organicità al discorso proponendo un esempio coe-
rente di dialogo a più voci. L'esigenza di naturalezza spinge verso la divaga-
zione libera e la battuta imprevedibile, ma è controbilanciata da un desiderio
di brevità e chiarezza concettuale, che determina interventi di controllo da
parte degi interlocutori più qualificati (Valdés e Marcio), onde evitare inutili
prolissità e attenuare i frequenti guizzi polemici.
Mozioni d'ordine, inviti a procedere, interruzioni, divagazioni, bisticci,
precisazioni, correzioni, conferme ecc. creano nel complesso un senso di equi-
librio e misura, in cui risiede lo spirito della vera cortesia, che per Valdés
non è certo la rigida applicazione di norme comportamentali.
In conformità con un ideale di vita che si vuole libero da ogni eccesso,
l'attività del conversare risponde a un codice stabilito che è opportuno seguire
ma in taluni casi infrangere. Così, in questo gioco di botte e risposte, prende
forma, accanto al contenuto dottrinale, un modello di interazioni verbali inse-
rite in un contesto culturale, fissato dal raffinato ambiente della corte rina-
scimentale, in cui l'opera trova la sua specifica funzione e ragione di esistere.

Note

(1) Nonostante la critica sia unanime nel constatare la natura essenzialmente dialogica della
cultura del '400 e del '500, la bibliografia specifica sull'argomento è ancora piuttosto scarsa. Si
veda, comunque, oltre a due opere considerate ormai «classiche», R. Hirzel, Der Dialog. Ein
literarhistoriscbe Versuch, Leipzig, 1895, e G. Wyss-Morigi, Contributo allo studio del dialogo
all'epoca dell'Umanesimo e del Rinascimento, Artigianelli, Monza, 1950 (?), il recente contributo
di P. Floriani, I gentiluomini letterati. (Il dialogo culturale nel primo Cinquecento), Liguori,
Napoli, 1981.
(2) Come è noto, gli erasmisti spagnoli coltivarono di preferenza il dialogo satirico, allo
stesso modo dell'umanista olandese che a sua volta aveva assunto come modello la satira lucia-
nea; per una visione d'insieme sul dialogo nel '500 spagnolo, cfr. L. A. Murillo, Dialogo y
dialéctica en el siglo XVI espaiiol, «Revista de la universidad de Buenos Aires », IV, n. 1
(enero-marzo 1959), pp. 56-66.
(3) Il Dialogo de la lengua, scritto in Italia intorno al 1535, fu pubblicato per la prima
volta, anonimo, in Origenes de la lengua espahola, a cura di Gregorio Mayéns i Siscér, Madrid,
86

1737; l'edizione consultata è quella di J. M. LopeBlanch, Castalia, Madrid, 1982, a cui si rife-
riscono tutte le citazioni del testo.
(4) Sulla «questione della lingua» in Italia, rimando a P. Floriani, op. cit., pp. 68-91,
anche per la bibliografìa.
(5) I possibili influssi del Castiglione e del Bembo su Valdés sono analizzati da L. Terra-
cini in Lingua come problema nella letteratura spagnola del Rinascimento, Stampatori, Torino,
1979, pp. 17-23.
(6) Per l'influsso della Spagna in Italia all'epoca di Valdés, si veda più avanti, n. ll.
(7) Per la bibliografìa di Valdés cfr. E. Cione, [uan de Valdés. La sua vita e il suo pensiero
religioso, Bari, Laterza, 1938, che contiene un'ampia sezione bibliografìca; Fr. Domingo de
S. Teresa, [uan de Valdés. Su pensamiento religioso y las corrientes espirituales de su tiempo,
«Analecta gregoriana », XLVIII-423, Roma, 1957; D. Ricart, Juan de Valdés y el pensamiento
religioso europeo en los siglos XVI y XVII, EI Colegio de México, México, 1958; J. C. Nieto,
[uan de Valdés y los origenes de la Re/orma en Espaha y en Italia, PCE, Madrid, 1979, con
una bibliografìa aggiornata.
(8) Mi riferisco in particolare. al felice ritrovamento delle lettere al Cardinale Gonzaga,
pubblicate da Montesinos nel 1931 (S. Aguirre, Madrid).
(9) Cfr. P. Floriani, op. cit., pp. 18-24.
(10) J. de Valdés, Cartas inéditas al Cardenal Gonzaga, op. cito
(11) La notizia è riportata da E. Cione, op. cit., p. 112, che ne mette in dubbio la veridicità
ma la interpreta come segno della diffusione del magistero valdesiano.
(12) Sulla diffusione delle idee valdesiane in Italia, si veda]. N. Bakhuizen van der Brink,
[uan de Valdés, réjormateur en Espagne et en Italie, 1529-1541. Deux études, Librairie Droz,
Ginevra, 1969 e il recente contributo di P. L6pez, Il movimento oaldesiano a Napoli. Mario
Galeota e le sue vicende col Sant'Uffizio, Fiorentino Editrice, Napoli, 1976.
(13) Cfr. Dialogo de la lengua, op. cit., p. 44.
(14) Sono ormai classici i lavori di B. Croce, La Spagna nella vita italiana durante la Rina-
scenza, Laterza, Bari, 19494 e di A. Farinelli, Italia e Spagna. Saggi sui rapporti storici, filosofici
ed artistici tra le due civiltà, Bocca, Torino, 1929, 2 volI.; più recenti, i saggi di G. L. Beccaria,
Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento,
Giappichelli, Torino, 1968, di F. Meregalli, Presenza della letteratura spagnola in Italia, Sansoni,
Firenze, 1974, e di J. Arce, Literaturas Italiana y Espahola [rente a [rente, Espasa-Calpe,
Madrid, 1982.
(15) Cfr. G. L. Beccaria, op. cito
(16) G. L. Beccaria, op. cit., pp. 221-223.
(17) Anche se le notizie sul periodo spagnolo della vita di Juan de Valdés sono abbastanza
incomplete, sappiamo con certezza che prestò servizio alla corte del marchese di Villena; poi
forse segui il fratello, entrato giovanissimo nella segreteria imperiale, presso la corte di Carlo V.
(19) Cfr. Dialogo de la lengua, op. cit., pp. 159-168.
(20) Cfr. n. 5.
(21) Su Alfonso de Valdés si veda ad es. M. Bataillon, Alonso de Valdés, auteur du
«Dialogo de Mercurio y Caron», in Homenaje a Menéndez Pidal, Hernando, Madrid, 1925, I,
pp. 403-415; il prologo di J. F. Montesinos all'ed. del Dialogo de las cosas ocurridas en Roma,
La Lectura, Madrid, 1928, e del Dialogo de Mercurio y Caron, La Lectura, Madrid, 1929;
M. Morreale, El «Dialogo de las cosas ocurridas en Roma» de Aljonso de Valdés. Apostillas
[ormales, «Boletin de la Real Academia Espafiola », XXXVII, 1957, pp. 359-417 e Sentencias y
rejranes en los «Diàlogos » de Alfonso de Valdés, « Revista de literatura », XII, 1957, pp. 3-14.
(22) «Porque fuera cosa prolixa y enojosa repetir muchas vezes: "dixo el Arçobispo ", y
"dixo el cura", y "dixe yo", determiné de ponerlo de manera que cada uno hable por SI, de
suerte que sea dialogo màs que tratado ». La citazione è tratta dall'ed. del Dialogo de doctrina
cbristiana a cura di D. Ricart, Messico, 1964.
(23) Per un esame delle funzioni ricoperte dai protagonisti del Doctrina Cbristiana si
veda C. Barbolani, Los diàlogos de [uan de Valdés: ireflexion o improoisacion, in Doce
consideraciones sobre el mundo bispano-italiano en tiempos de Aljonso y [uan de Valdés, Publi-
caciones del Instituto Espafiol de Lengua y Literatura de Roma, Roma, 1979, pp. 139-143. Per
quanto riguarda la terza opera dialogata di Valdés, l'Alfabeto cristiano, conservata in una tradu-
zione italiana del 1546, mi limito a ricordare che in essa l'attenzione si concentra sui due inter-
locutori, Valdés e Giulia Gonzaga e alla loro esperienza mistica; tuttavia, questo atteggiamento
di fuga dal mondo e ripiegamento su se stessi, lascia qualche perplessità e sembra nascondere
amarezze e delusioni. Cfr. C. Barbolani, op. cit., pp. 148-152.
(24) C. Barbolani, op. cit., pp. 139-143.
87
(25) Cfr. l'introduzione di J. M. Lope Blanch alla sua edizione del Dialogo de la lengua,
op. cit., pp. 12-13.
(26) Adotto la distinzione tradizionale fra dialogo mimetico o rappresentativo e dialogo
storico o narrativo ripresa da P. Floriani, a cui rimando per un'analisi delle implicazioni deri-
vanti dall'adozione delle diverse soluzioni tecniche (cfr. op. cit., pp. 41-49).
(27) Oltre al già citato lavoro della Barbolani, si veda a tale proposito L. Terracini, La
sostanza del «Dialogo de la lengua», in Lingua come prolbema nella letteratura spagnola del
Rinascimento, op. cit., pp. 24-42.
(28) Per un'analisi dei personaggi del Dialogo si veda L. Terracini, op. cit., pp. 7-11.
(29) E' un po' il caso del Dialogo della lingua volgare del Valeriano, commentato da
P. Floriani in op. cit., pp. 39-41 e 88-91.
(30) Si veda, in particolare, H. P. Grice, Logica e conversazione, in AA. VV., Gli atti
linguistici, a cura di M. Sbisà, Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 199-219; R. LakofI, La logica della
cortesia; ovvero, bada a come parli, in AA. VV., Gli atti linguistici, op. cit., pp. 220-239. Tali
criteri sono stati applicati con profitto all'analisi del testo teatrale, come si può vedere in
AA. VV,. Tnterazione, dialogo, convenzioni. Il caso del testo drammatico, CLUEB, Bologna,
1983. In questa sede, non si intende discutere dal punto di vista teorico l'applicabilità di tale
analisi a un testo dialogico rinascimentale né attenersi rigidamente a un modello di ricerca,
quanto semplicemente avvalersi di strumenti di indagine in grado di evidenziare il dato conver-
sazionale ai fini di un più completo inquadramento dei locutori nell'ambito della cultura che
rappresentano.
(31) Per il concetto di «principio di cooperazione» cfr. H. P. Grice, op. cit., p. 204.
(32) Per il concetto di «mozione d'ordine» cfr. G. Mosconi, Il pensiero discorsivo, Il
Mulino, Bologna, 1978, p. 81.
(33) Cfr. J. B. Avalle-Arce, La estructura del «Dialogo de la lengua», Dintorno de una
época dorada, Pornia, Madrid, 1978, pp. 57-72

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