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ORIGENE, LA FILOSOFIA, L’ESEGESI∗

Francesco Verde
“Sapienza” Università di Roma
francesco.verde@uniroma1.it

Abstract
Origene (Alessandria 183/185 - Tiro 253/254) va considerato come il primo grande sistematizzarore del
Cristianesimo in termini filosofico-teologici ed esegetici, sebbene molte delle sue tante opere siano andate perdute.
L’incontro mirerà a fornire in maniera divulgativa una panoramica introduttiva a questo cruciale pensatore che fonda la
sua interpretazione del fenomeno cristiano sulla filosofia platonica e sull’interpretazione genuinamente allegorica della
Scrittura.

Non vi è alcun dubbio che Origene di Alessandria vada considerato, a ragione, la figura più grande,
dal punto di vista genuinamente teologico, prima di Agostino; fondamentalmente, le due grandi
prospettive teologiche dal primo al quarto secolo sono rappresentate da Origene e da Agostino. Si
tratta di personalità estremamente diverse, che vivono in epoche e in ambienti altrettanto diversi, ma
certamente solo le più grandi. Prima di Agostino, Origene è il teologo più importante per un motivo
specifico: egli è il primo sistematizzatore davvero rilevante della dottrina cristiana, cioè il primo che
fornisce un sistema coerente e unitario del Cristianesimo.
Il Cristianesimo non è semplicemente una fede, ma è anche, secondo Origene, un sistema
filosofico, un sistema teologico che va compreso e interpretato; quando si parla di “sistema” si
indica una serie di dottrine molto precise, specifiche e tale sistematizzazione deve comprendere
tutto. Non può esserci una dottrina o una credenza che non sia sistematica, ossia coerente con il
sistema più generale. Per far questo Origene non può non avere che un rapporto peculiare e stretto
con il pensiero pagano: egli, per un verso, assume alcuni contenuti sostanziali della filosofia
pagana, in particolare del Platonismo e dello Stoicismo, per leggere e comprendere le categorie
cristiane; ma, per altro verso, è perfettamente cosciente del fatto che il pensiero pagano non coglie e
non può afferrare la verità. La verità coincide con la teologia cristiana, con il Cristianesimo che
deve essere letto tramite quelle categorie filosofiche che sono fornite dal Platonismo e dallo
Stoicismo.
Cronologicamente Origene nasce nel 185 e muore nel 253. Nasce ad Alessandria e questo è
il primo punto estremamente importante da considerare, in quanto Alessandria è stata un centro
culturale vivacissimo anche dalla prospettiva cristiana. Sostanzialmente prima della cosiddetta


Relazione tenuta nell’ambito delle attività divulgative legate alla Storia del Cristianesimo organizzate
dall’Associazione Culturale “Romandando” il giorno 8 giugno 2016 presso la sede dell’Associazione (Via Lampedusa
20, 00141-Roma). Ringrazio il Dr. Alberto Pronti per questa gradita opportunità e per avere avuto la pazienza di
sbobinare il mio intervento che qui si presenta dopo accurata revisione. Il testo, come già nel caso degli altri precedenti,
conserva volutamente lo stile parlato, tipico di una relazione orale.

1
Scuola di Alessandria, che vede come esponenti più celebri Clemente e, appunto, Origene, questa
città, tra le altre cose, era uno dei centri più importanti dello Gnosticismo cristiano, di cui abbiamo
già parlato,1 e vedremo che la dottrina gnostica è uno dei bersagli costanti di Origene.
Con Panteno, che secondo Eusebio è il fondatore della Scuola di Alessandria, Clemente
Alessandrino e Origene, noi assistiamo alla nascita di un vero e proprio centro di insegnamento
cristiano. Clemente e Origene, però, hanno prospettive molto diverse. Clemente di Alessandria è il
grande teologo che davvero fa convergere armonicamente pensiero cristiano e dottrine filosofiche
pagane, ma certamente la sua prospettiva è molto meno sistematica, e dunque, per così dire, più
“confusa”, rispetto a quella di Origene. Origene è allievo di un pensatore molto importante,
Ammonio Sacca, che probabilmente è lo stesso maestro del filosofo (neo)platonico Plotino, due
pensatori molto diversi ma che hanno anche molti punti in comune. In realtà, circa la cronologia di
Origene e Ammonio non vi è accordo nella critica: gli studiosi non concordano su un punto
specifico, ossia se l’Origene allievo di Ammonio sia lo stesso Origene cristiano o meno. Molto
concisamente, c’è chi pensa che di Origene ce ne siano stati due, uno cristiano e uno pagano, e,
invece, chi ritiene che le due figure vadano identificate. Come se non bastasse lo stesso vale per
Ammonio: c’è chi pensa che esista un solo Ammonio e chi pensa che ne esistano due. La questione
è molto complicata, oggi, tuttavia, si ritiene fondamentalmente che, molto probabilmente, di
Origene ce ne siano stati due, uno pagano e uno cristiano, mentre di Ammonio ce ne sia stato uno
solo. Insomma l’Origene cristiano sarebbe stato allievo di questo Ammonio Sacca, che a sua volta
sarebbe stato anche maestro di Plotino, il già ricordato filosofo platonico. Probabilmente è proprio
Ammonio che ha “trasferito” su Origene i contenuti dottrinali più importanti del Platonismo.
La vita di Origene è famosa per la nota questione dell’evirazione: Origene si evirò
spontaneamente e ciò è significativo perché è chiaro che dietro tale atto si celano aspetti mistico-
spirituali, ma anche aspetti legati a un fortissimo rigorismo di stampo morale. Egli ebbe una vita
molto difficile. Scrisse moltissimo e soprattutto scrisse moltissimi commenti all’Antico e al Nuovo
Testamento: di queste opere ce ne sono giunte relativamente poche in quanto la maggior parte è
andata perduta. L’opera forse più importante e famosa, di cui questa sera leggeremo qualche
stralcio, è il De principiis (Peri archon), un titolo molto “filosofico” per uno scritto che si vuole
occupare dei “principi” del Cristianesimo, intesi dal punto vista ontologico-metafisico. Quest’opera,
purtroppo, è andata per la maggior parte perduta, ma è possibile ricostruirla sia tramite degli estratti
che altri autori cristiani successivamente hanno trasmesso, sia perché l’opera venne tradotta in
latino, dopo il concilio di Nicea (325 d.C.), da Rufino di Aquileia. Occorre, tuttavia, prestare molta
attenzione perché la traduzione di Rufino non è sempre neutra, ovvero non si tratta in ogni caso di

1
Cfr. http://www.academia.edu/11196866/Introduzione_allo_Gnosticismo (F. Verde, Introduzione allo Gnosticismo).

2
una traduzione letterale e precisa, ma è, per così dire, un lavoro interpretativo e molto edulcorato in
alcuni casi, dato che Rufino traduce questo scritto di Origene (forse uno scritto giovanile), dopo il
325, cioè dopo la pace costantiniana e dopo il concilio che, bene o male, aveva risolto alcune delle
questioni cristologiche più spinose, in particolare la questione della “consustanzialità” del Padre con
il Figlio. In Origene questa consustanzialità è senz’altro presente, ma non è così lucida ed evidente
e, quindi, era necessario cercare di “salvare” Origene e allo stesso tempo edulcorarlo un po’.
Nelle sue opere Origene presenta certamente alcune dottrine filosoficamente ardite, quasi
eversive, assolutamente sconvolgenti per l’epoca, che non andavano a genio al vescovo di
Alessandria, che pensò bene di allontanarlo dal Didaskaleion alessandrino e questo fece sì che
Origene abbandonasse la città e andasse a rifugiarsi a Cesarea di Palestina. Il punto più importante
da tenere a mente, quindi, è che Origene ebbe problemi con l’istituzione ecclesiastica dell’epoca già
durante la sua vita. Come nel caso di Tertulliano, la Chiesa cattolica non riconosce Origene come
“padre della Chiesa”, quando invece si tratta di un pensatore assolutamente cruciale per la stessa
dottrina cattolica (come del resto Tertulliano).
Con Origene noi possiamo parlare anche di “origenismo”, cioè di una ricezione origeniana
lungo i secoli. Per Origene e poi per Agostino è indubbio che vi sia stata una notevolissima
Wirkungsgeschichte, ossia una ricca “fortuna critica”. Non è un caso che già in epoca tardo-antica ci
furono vere e proprie dispute origeniane, cioè dispute sulle dottrine di Origene, che furono talmente
accese e pervasive che nel 553 d.C., quindi in piena età giustinianea, venne organizzato il Concilio
di Costantinopoli che condannò come eretiche le dottrine di Origene. In realtà, la presenza
dottrinaria di Origene, più o meno nascosta e sotterranea, arriva fino ai giorni nostri. Per limitarsi a
un solo esempio, quando Benedetto XVI parlava di un Cristianesimo razionale/ragionevole (si pensi
al celebre Discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006),2 un Cristianesimo del Logos, un
Cristianesimo dalla radice greca, non faceva altro che citare più o meno indirettamente la posizione
di Origene. La grande disputa sul “libero arbitrio” tra Erasmo e Lutero, mutatis mutandis, non è
altro che il confronto tra due modi diversi e completamente incommensurabili di leggere il “fatto
cristiano”: pur rischiando di banalizzare, dietro Erasmo c’è senza dubbio lo spirito origeniano e
dietro Lutero chiaramente c’è Agostino. Potremmo dire, per semplificare, che sostanzialmente il
Cristianesimo ha preso storicamente due strade: l’una si chiama Agostino, l’altra si chiama Origene.
E queste due strade sono, lo ripeto, essenzialmente incommensurabili o, se proprio si vuole,
convergenti solo a costo di temibili semplificazioni o rischiose banalizzazioni: da un lato, la via
origeniana rappresenta il Cristianesimo assolutamente misericordioso, “umanistico”, morale,

2
Disponibilie qui: http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-
xvi_spe_20060912_university-regensburg.html.

3
liberale e libertario, che rispetta la libera scelta di ogni essere umano e attribuisce alla creatura il
libero arbitrio e che vuole che ci si salvi per i propri meriti; dall’altro lato, abbiamo il Cristianesimo
della “catastrofe”, dell’annuncio di grazia (kerygma) che non è per tutti, della predestinazione, un
Cristianesimo dell’annuncio di salvezza per i predestinati e da sempre salvati, un Cristianesimo che
dà la grazia anche a chi non la merita secondo i canoni e le categorie della morale umana. Queste
sono le due grandi strade; qualunque tentativo di conciliare queste due strade è sostanzialmente
destinato al fallimento perché, per un verso, la strada che da Agostino arriva a Lutero e ai grandi
Riformatori ha al centro il Cristo, il Dio della grazia, il Dio del dono indebito, il Dio carismatico, il
Dio della salvezza, mentre sull’altra “sponda” abbiamo l’uomo che in qualche modo è in grado di
accaparrarsi la salvezza seguendo Gesù Cristo (considerato non tanto come annunciatore di salvezza
ma come maestro il cui esempio va messo in pratica: è il Cristianesimo del magistero, per
intenderci) e, quindi, tramite i propri meriti. Al principio di queste due vie, che hanno “spaccato”
l’Europa con la Riforma luterana (che non nasce per motivi politici ma per un problema
genuinamente teologico, che è appunto la salvezza per grazia) abbiamo Origene e Agostino.
Origene è uno dei più importanti commentatori delle opere scritturistiche; uno degli scritti
biblici decisivi per la sua chiave di lettura teologica del fenomeno cristiano è il Quarto Vangelo, il
Vangelo secondo Giovanni. In questo testo per lui si trova la chiave del Cristianesimo. Un punto
considerevole da tenere presente è comprendere chiaramente come Origene legge la Scrittura.
Origene è convinto che la Sacra Scrittura non vada letta come tutti i libri; ossia, non bisogna
fermarsi alla lettera del testo, ma, per semplificare un po’, contro ogni deviazione marcionita, tutta
la Scrittura, Vecchio e Nuovo Testamento, dice esclusivamente ed eminentemente “Cristo”. Tutta la
Scrittura è la storia della redenzione cristiana; e, tuttavia, gli episodi e i fatti che la Scrittura
racconta non devono essere interpretati in senso letterale, ma in senso allegorico. Origene è il
grande interprete della Scrittura, ma in termini allegorici, il che significa che quello che la Scrittura
ci dice, in realtà, va interpretato perché rimanda ad altre verità, o meglio, alle uniche verità che sono
in tutto e per tutto vere. La Bibbia, per Origene, è, per così dire, un testo “cifrato” e per capirlo
abbiamo la necessità di usare strumenti esegetici che ci fanno fare un passo in avanti rispetto alla
mera lettera del testo. Agostino, invece, o più correttamente, con Lettieri, l’“altro” Agostino, sarà il
l’interprete letterale par excellence della Scrittura.
Ora vorrei darvi sinteticamente quelle che mi sembrano essere le chiavi di volta del pensiero
origeniano. Iniziamo col dire che per Origene il Padre è un ente assolutamente semplice: egli lo
chiama Enade o Monade ed è completamente/assolutamente incorporeo. Il Padre genera
eternamente il Figlio: si comprende bene, quindi, per quale ragione per Origene il testo capitale

4
rimane il Vangelo di Giovanni.3 Qui, infatti, è chiarissima la preesistenza di Cristo rispetto al Padre;
si tenga a mente l’incipit del vangelo, In principio erat verbum, cioè Cristo non viene generato
dopo, ma è sempre e comunque preesistente presso il Dio, che è il Padre. Il Padre, che è una
Monade (termine di derivazione platonica) assolutamente semplice e incorporea, genera
eternamente il Figlio che è consustanziale al Padre, cioè è comunque Dio, ma il Figlio in Origene
ricopre la funzione di mediatore: egli è il Logos (termine filosofico, in particolare di tradizione
stoica e ovviamente giovanneo) razionale, è la parola creatrice, è il mediatore perfetto e
insostituibile tra Dio e il cosmo. Per capire a fondo la posizione di Origene, però, dobbiamo
presupporre che secondo lui esiste una prima creazione, che è l’unica vera, degna di questo nome, e
una seconda creazione, quella materiale. Nella prima creazione il Padre, tramite il Logos, crea una
materia sostanzialmente incorporea (una sorta di materia intellegibile ancora di tradizione
platonica), dalla quale il Logos crea a sua volta le creature razionali che non sono esterne al Logos
stesso ma sono dentro il Logos, cioè interne al Figlio (altro tema genuinamente platonico, più
specificamente plotiniano: si pensi al rapporto idee/Nous). Quindi, Dio Padre, che è il Dio
assolutamente trascendente, impronunciabile, invisibile, tramite il mediatore, il Logos, che è il
Figlio, crea da questa materia non corporea le anime razionali (il che non può ricordare i logoi
spermatikoi o rationes seminales degli Stoici) che sono interne al Logos: il Logos è sostanzialmente
un uno/tutto. A un certo punto, per motivi forse anche poco chiari, avviene una distorsione, un
peccato (si tratta, come si vede, di uno schema simile a quello gnostico), una degradazione di questo
ordine perfetto (la prima creazione); tale peccato fa in modo che le creature create dal Logos, che
erano dentro di lui, si allontanino sempre di più dalla perfezione divina originaria: ecco, dunque, la
seconda creazione (materiale). Questo allontanamento implica che queste anime, questi logoi, che
prima erano nel Logos, proprio in virtù di tale peccato, vengano condannate a incorporarsi, cioè a
scendere nei corpi materiali: è la creazione materiale, che, però, non è la vera e autentica creazione.
La “vera” creazione è la prima, la seconda è una creazione derivata da questo peccato. Le anime,
dunque, si incarnano nei corpi materiali. A seconda della tensione che queste anime hanno nei
confronti del Logos, queste si vanno a incorporare in corpi diversi. Per esempio, le creature umane,
essendosi talmente allontanate dal calore razionale del Logos, della sapienza di Dio, vanno a
incorporarsi in corpi spessi e pesanti. Le creature razionali che, invece, in qualche modo hanno
comunque peccato, ma, nonostante questo, conservano un rapporto maggiormente privilegiato con
il Logos, vanno a incorporarsi, per esempio, negli astri. Origene qui è e rimane veramente greco:
uno dei dogmi del pensiero filosofico greco è la cosiddetta teologia astrale, per cui i pianeti
sostanzialmente sono dèi a tutti gli effetti. Origene assume questa teologia astrale, ma la reinterpreta

3
Cfr. http://www.academia.edu/9853201/Il_Quarto_Vangelo (F. Verde, Il Quarto Vangelo).

5
completamente: per Origene gli astri non sono altro che quelle creature, quelle anime razionali
create originariamente dal Logos che hanno peccato, ma hanno meno peccato rispetto a quelle
creature che si sono poi incorporate in corpi materiali (come gli esseri umani). Chiaramente il corpo
degli astri è un corpo più leggero e maggiormente etereo rispetto ai nostri corpi. Proprio perché c’è
stato questo allontanamento dalla prima creazione e quindi dal Logos, è avvenuta l’incarnazione di
Cristo, che, quindi, non è un evento “sconvolgente” ma è semplicemente un evento “derivato”:
beninteso, è un evento decisivo, ma, tra il Logos della prima creazione e l’incarnazione di Cristo,
quello che conta sul serio è il Logos sempre e comunque preesistente. Cristo si è incarnato perché il
Padre, tramite il Logos, ha voluto dare la possibilità alle creature degradate nei corpi, dopo il
peccato, di redimersi e di salvarsi, ossia di tornare al e nel Logos. La creatura, pertanto, è salva
quando sceglie liberamente di seguire Cristo e di attuare gli insegnamenti di Gesù, il che significa
che tutte le creature scelgono Cristo ma potrebbero anche non sceglierlo, cioè a dire: ogni creatura è
dotata di libero arbitrio e la responsabilità, anche del male, risiede in noi. Cristo, dunque, non è il
salvatore che salva anche se sei una persona moralmente infima, ma è il maestro, è un educatore, è
l’attuatore di una “pedagogia divina”. La creatura che sceglie liberamente Cristo continuamente,
tramite un progresso morale continuo, cerca di assimilarsi a Cristo (altro tema platonico e
comunque filosofico antico: l’assimilazione a Dio). In breve, la creatura che sceglie liberamente di
mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo non fa altro che assimilarsi progressivamente al Logos
e, pertanto, tornare a quella purezza originaria proprio della prima creazione.
Qui si innesta la dottrina più sconvolgente, più eversiva di Origene: la dottrina della
“apocatastasi”, un termine già stoico, che indica la “reintegrazione”, la “restituzione”. Di che si
tratta? Dal punto di vista escatologico, tutte le creature create dal Logos, Satana compreso, verranno
reintegrate nella prima creazione e quindi in quella purezza originaria e intellegibile di cui abbiamo
parlato in precedenza. Dietro questa audace dottrina c’è certamente il grande annuncio di una
misericordia assoluta che non si ferma nemmeno di fronte a Satana: anche Satana, alla fine dei
tempi, sarà reitegrato, perché anche lui è una creatura creata da Dio. Questa teoria è estremamente
eversiva perché, pur a costo di semplificare eccessivamente, in fin dei conti il potere della Chiesa si
è costituito nei secoli proprio sul timore della dannazione eterna; Origene non crede alla dannazione
eterna ma crede nella assoluta reintegrazione di tutte le creature che, dopo essere passate attraverso
la condanna dei corpi, ritorneranno a essere parte del Logos e loro stesse logoi. Origene, non a caso,
riprende una etimologia (già antica) molto particolare di “anima” (psyche, da psychros = “freddo”),
perfettamente compatibile con il suo pensiero: la nostra anima è appunto raffreddata perché si è
allontanata dal calore del Logos della prima creazione.

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Passiamo ora a leggere alcuni stralci tratte da alcune opere di Origene. Assai significativo un
luogo tratto dal I libro del De principiis, nella traduzione latina di Rufino (I 2, 2): “Perciò noi
riconosciamo che Dio è sempre Padre del Figlio suo unigenito, che da lui è nato e da lui trae il suo
essere, tuttavia senza alcun inizio, non solo quello che si può distinguere con certi spazi temporali,
ma neppure quello che la mente contempla da sé, e che, per così dire, osserva con l’intelletto e
l’animo nudo. Bisogna dunque credere che la sapienza è stata generata senza alcun inizio che si
possa esprimere e immaginare. In questo essere sussistente della Sapienza erano tutte le virtualità e
forme della futura creazione…”. Nel Logos ci sono, quindi, le forme (omnis virtus ac deformatio) di
tutte le creature che saranno poi create.
Leggiamo dal medesimo luogo la fine del paragrafo 4 (I 2, 4): “Infatti questa generazione è
eterna e perpetua così come lo splendore è generato dalla luce, poiché non per adozione dello
spirito Cristo diviene Figlio dall’esterno, ma è figlio per natura”. Qui Origene traccia una lucida
distinzione tra la luce nelle tenebre del Figlio incarnato (si pensi al Prologo giovanneo) e la luce
assoluta, che non presuppone le tenebre e che lega indissolubilmente il Padre al Figlio. Lo
splendore non è indipendente dalla luce, così come il Verbo non può essere indipendente dal Padre.
L’ultima frase è una critica agli Adozionisti, i quali credevano che Cristo fosse una creatura adottata
dal Padre, ma che in realtà non fosse Dio.
Paragrafo 5: “Ma vediamo come le nostre affermazioni siano suffragate anche dalla Sacra
Scrittura. Secondo Paolo apostolo, il Figlio unigenito è ‘l’immagine del Dio invisibile, il
primogenito di ogni creatura’”. La citazione dell’Epistola ai Colossesi evidentemente fa gioco a
Origene: chi è Figlio? È l’immagine del Dio invisibile, cioè del Padre. Il Figlio è il mediatore
perfetto, senza il Figlio non ci sarebbe né prima né seconda creazione.
Paragrafo 6: “Infatti il Figlio è parola, e perciò in lui non si deve supporre alcunché di
sensibile: è sapienza, e nella sapienza non si deve immaginare alcunché di corporeo; ‘è luce vera
che illumina ogni uomo che viene in questo mondo’ (Ev. Io., 1, 9), ma non ha nulla in comune con
la luce del nostro sole. Quindi il nostro Salvatore è immagine dell’invisibile Dio Padre: in
relazione al Padre è verità; in relazione a noi ai quali rivela il Padre, è immagine, per mezzo della
quale conosciamo il Padre, che nessun altro conosce se non ‘il Figlio e colui a cui il Figlio l’avrà
voluto rivelare’ (Ev. Matth. 11, 27). Lo rivela in quanto egli viene compreso: se qualcuno infatti lo
comprende, comprende anche il Padre, secondo quanto egli ha detto: ‘Chi ha visto me ha visto il
Padre’ (Ev. Io. 14, 9)”. Il Figlio, prima di incarnarsi, non ha carne. Si ricorderà che si tratta di una
tematica già cara a Tertulliano, come abbiamo visto in una precedente occasione quando abbiamo

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esaminato in estrema sintesi il De carne Christi.4 Secondo il pensatore latino, se noi non
ammettiamo come vera e realmente esistente la carne di Cristo, Cristo è del tutto inutile. La
redenzione passa per la carne di Cristo. Origene ha una prospettiva completamente diversa: prima
dell’incarnazione il Logos è incorporeo e preesistente, come del resto il Padre. Il Figlio è un luce
che oltrepassa la luce del sole, che è solo una luce che splende nelle tenebre (che per spendere,
paradossalmente, ha bisogno delle tenebre); il Logos è la luce assoluta che non presuppone
nemmeno le tenebre per brillare.
Procediamo con il II libro del De principiis (II 6, 6): “Per render più chiaro questo punto
non sembra fuori di luogo far uso di qualche esempio, anche se in argomento così difficile non è
agevole trovarne di adatti. Tuttavia, senza voler condizionare il resto dell’argomentazione, diciamo
che il ferro è capace di accogliere caldo e freddo: se una massa di ferro sta sempre sul fuoco
accogliendolo in tutti i suoi pori e le sue vene e così diventa tutta fuoco, se il fuoco non si allontana
mai da lei né essa viene separata dal fuoco, è forse possibile che questa, che per natura è massa di
ferro, mentre è posta sul fuoco e arde senza interruzioni, possa accogliere il freddo?”. Origene qui
descrive mirabilmente la situazione delle creature razionali, nella prima creazione, all’interno del
Logos e fa l’esempio celebre del ferro: se noi mettiamo del ferro nel fuoco e lo facciamo rimanere
nel fuoco non si può più distinguere il fuoco dal ferro, ma tutto è fuoco, tutto è un’unica qualità; ciò
significa che le creature create nel Logos sono loro stessi logoi e, più semplicemente, se Cristo è il
Logos tutte le creature nel Logos sono “cristi” e quindi anche noi, creature razionali preesistenti, se
seguiamo la sequela di Cristo, diventeremo in termini escatologici tutti dei “cristi” perché saremmo
dentro Cristo in Cristo.
Poco più sotto si legge: “Nello stesso modo quell’anima che, a guisa di ferro sul fuoco, sta
sempre nel Verbo, sempre nella Sapienza, sempre in Dio, tutto ciò che fa, sente, comprende, è Dio...
Noi crediamo che a tutti santi giunge il calore del Verbo di Dio; ma in questa anima ha preso
dimora in modo sostanziale proprio il fuoco divino, di cui agli altri giunge un po’ di calore”. A
fronte della vicinanza dell’anima nei confronti del Verbo possiamo stabilire il suo grado di calore.
Ancora dal De principiis (III 5, 6): “Perciò il Figlio unigenito di Dio, Verbo e Sapienza del
Padre,che era presso il Padre nella gloria che aveva prima che esistesse il mondo, si è annientato
e, prendendo la forma del servo, si è fatto ubbidiente fino alla morte, per insegnare l’ubbidienza a
coloro che solo con essa potevano conseguire la salvezza; per ristabilire, mettendo sotto i suoi
piedi tutti i nemici, le norme venute meno del reggere e del regnare”. Cristo non salva l’umanità
automaticamente o per dono indebito, ma la salvezza dipende dalla sequela del suo insegnamento.

4
http://www.academia.edu/25365561/Tertulliano_e_Cipriano_Il_Cristianesimo_africano (F. Verde, Tertulliano e
Cipriano: Il Cristianesimo africano).

8
Cristo è il maestro, il pedagogo, l’educatore. Cristo incarnato ristabilisce, reintegra perché la realtà
vera è quella precedente (la prima creazione), non quella “incarnata” e materiale che è una realtà
degradante. Il ruolo pedagogico di Cristo risulta chiaro da questo passo del IV libro del De
principiis (IV 4, 4): “Infatti Cristo è proposto come esempio (ad exemplum) a tutti i credenti,
perché, come egli ha scelto il bene sempre e prima di avere una pur minima conoscenza del male, e
ha amato la giustizia e ha odiato l’iniquità, e per questo Dio lo ha unto con l’olio di gioia, così
anche ognuno dopo l’errore e il peccato si purifichi seguendo l’esempio proposto, e avendo Cristo
come guida del cammino intraprenda la difficile via della virtù. Così, imitandolo per quanto è
possibile, diventiamo partecipi della natura divina”. Cristo non è semplicemente il Salvatore o il
Messia che redime per grazia, ma è un maestro di morale, un educatore e un paradigma di virtù che
sta a noi, grazie al nostro libero arbitrio, seguire o meno. Esiste una via della virtù additata da Cristo
con il suo esempio e sta a noi sceglierla. Solo per inciso, siamo agli antipodi della teologia della
grazia agostiniana per cui ogni sforzo dell’uomo non è che polvere ai fini della salvezza.
Un’altra opera decisiva di Orogene è il Commento al Vangelo di Giovanni, che
fortunatamente abbiamo in greco; leggiamo un passo dal II libro (II 2, 17): “Dio è Dio-in-sé; e per
questo anche il Salvatore nella sua preghiera al Padre dice: ‘che conoscano te, unico e vero Dio’
(Ev. Io. 17, 3). All’infuori del Dio-in-sé, tutti quelli fatti Dio per partecipazione alla divinità di lui
si devono chiamare più propriamente ‘Dio’ e non ‘il Dio’. Qui Origene fa della vera e propria
filologia biblica, ossia propone un lavoro filologico sul Prologo giovanneo. Solo brevemente va
ricordato a questo proposito che Origene scrive un’opera molto importante, il primo esempio di
filologia biblica ante litteram, che è l’Exapla, un testo in cui il pensatore alessandrino colloca su sei
colonne diverse sei diverse traduzioni della Scrittura (anche una in latino); questo è uno dei motivi
per cui Origene è molto stimato da Erasmo da Rotterdam. Del resto, Origene viene da Alessandria e
questa città è il luogo dove venne tradotta la Bibbia in greco (la versione dei LXX, il cui resoconto
ci è pervenuto grazie alla celebre Lettera di Aristea a Filocrate). Nel testo che abbiamo appena letto
Origene introduce un punto rilevante; se si prende il testo greco del Prologo giovanneo, si osserva
una distinzione tra “il Dio” (ho theos) e “Dio” (theos). Giovanni, cioè, quando vuole parlare del
Padre, secondo Origene, inserisce l’articolo (che naturalmente in latino si perde), mentre quando
vuole parlare del Dio Figlio non mette l’articolo.
Poco più sotto (II 2, 18): “Vero Dio è dunque ‘il Dio’; coloro che invece sono dèi, in quanto
prendono forma secondo lui, sono come immagini di un prototipo. E l’immagine archetipa delle
varie immagini è ‘il Logos che era presso il Dio’, che era ‘nel principio’.
In seguito (II 3, 32): “C’erano infatti, da una parte, ‘il Dio’ e poi ‘Dio’ e quindi ‘dèi’,
suddivisi in due categorie, di cui quella superiore è trascesa dal Logos che è Dio, trasceso a sua

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volta dal Dio dell’universo”. Gli dèi sono le creature razionali redente e reintegrate: tutti noi,
escatologicamente redenti e reintegrati, siamo tutti “cristi”, siamo tutti divinità, perché siamo nel
Verbo.
Molto interessante quanto si legge più sotto (II 3, 33): “Troviamo qualcosa di analogo anche
per quanto concerne coloro che aderiscono al Logos: alcuni infatti si adornano del Logos in sé
stesso; altri invece di un Logos che è prossimo al Logos e sembra egli stesso il primo Logos: sono
quelli che non conoscono ‘altro che Gesù Cristo e lui crocifisso’ (1 Ep. Cor. 2, 2) e vedono soltanto
il Logos fattosi carne; in terzo luogo vengono coloro di cui abbiamo parlato poc’anzi”. Coloro che
credono nel Logos si dividono fondamentalmente in due grandi categorie: chi crede nel Logos
autentico, non incarnato, della prima creazione, e chi invece si ferma alla mera incarnazione del
Logos, che è senz’altro importante perché senza questa incarnazione non è possibile procedere per
la via della virtù che porta alla salvezza, ma chi si ferma a questo, al Gesù Cristo inchiodato sulla
croce e non va oltre, non vede l’autentico Logos e sostanzialmente crede in qualcosa di limitato. Il
Prologo di Giovanni dice che «In principio era il Verbo»: Giovanni è perfettamente cosciente che
dietro il Cristo crocifisso c’è il Logos preesistente che è presso il Padre. Origene chiaramente va
oltre Giovanni. Chi si ferma, si attiene al solo Logos incarnato, per così dire, conosce solo una parte
della “storia”, ma non la vede nella sua interezza che coincide con la prima creazione.
Il Contro Celso (Celso era un filosofo pagano, del periodo di Marco Aurelio, critico del
Cristianesimo; difficile dire a che scuola appartenesse, probabilmente quella platonica) è un’altra
opera assai famosa di Origene; leggiamo dal IV libro (IV 15): “E anche se, prendendo un corpo
mortale e un’anima umana, il Verbo, Dio immortale, può sembrare a Celso che si cambi e si
trasformi, apprenda che il Verbo, che resta Verbo per la sua essenza, non soffre alcuna cosa di
quelle che soffrono il corpo e l’anima. Capita però a volte che egli, per favorire colui che non può
sopportare i raggi fulgenti e lo splendore della sua divinità, divenga, per così dire, carne e acquisti
favella umana, per fare in modo che colui che lo ha ricevuto in questa forma, sollevato in breve
tempo dal Verbo, possa contemplare anche, per così dire, la sua forma suprema”. Celso, da
pagano, non poteva concepire una divinità che si fa uomo e che soffre sulla croce. Origene gli
risponde che il Cristo incarnato è certamente morto sulla croce e ha sofferto, ma dietro di lui c’è il
Logos non incarnato e incorporeo, il quale non soffre quanto un corpo e un’anima umana
solitamente soffrono. Origene dice anche che noi non possiamo conoscere lo splendore assoluto del
Padre, ma possiamo conoscere la luce del Padre tramite la luce del Figlio, il Cristo mediatore.
Infine, mi piace citare un passo dal Commento all’Epistola ai Colossesi III, che ci viene
dall’Apologia di Panfilo, 5, di Eusebio di Cesarea: “Poiché tutte le cose sono state fatte per mezzo
di lui, cioè non soltanto le creature, ma anche la legge e i profeti. È lui il ‘mediatore tra Dio e gli

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uomini’ (1 Ep. Tim. 2, 5). Il quale Verbo, alla fine dei secoli, fu fatto uomo, Gesù Cristo. Prima
però di questa venuta manifesta nella carne era mediatore degli uomini, ma non era ancora uomo.
Nondimeno era già allora mediatore tra Dio e gli uomini. Perciò è scritto che la legge fu data per
mezzo degli angeli, non però senza le mani dello stesso Mediatore, affinché fosse ‘la legge santa, e
il mandato santo e giusto e buono’ (Ep. Rom. 7, 12), e tutte queste cose fossero santificate da
Cristo”. Il vero nome del Logos è “Logos e Sapienza”, non è Gesù Cristo; Gesù Cristo è il Logos
incarnato. Il Logos non diventa mediatore quando si incarna, ma lo è da sempre.
s e Sapienza”, non è Gesù Cristo; Gesù Cristo è il Logos incarnato. Il Logos non diventa
mediatore quando si incarna, ma lo è da sempre.

Per concludere, richiamo molto brevemente i punti salienti che caratterizzano il pensiero di
Origene e, più in generale, l’origenismo:

• Origene è l’esegeta allegorico par excellence della Scrittura, con una attenzione particolare
all’aspetto filologico del testo. La Bibbia è da considerarsi un testo cifrato. L’unico vero e autentico
significato di ogni fatto narrato è dietro quello che la lettera dice;
• Origene, figlio della grande tradizione platonico-stoica, ci presenta un Dio Padre, monade
assolutamente trascendente e semplice, che genera eternamente il Figlio, comunque coeterno e
consustanziale rispetto al Padre, Figlio che è Sapienza e Logos. Il Padre, tramite il Figlio, Sapienza
e Logos, crea una materia incorporea da cui trae, creandole, le creature razionali. Tutto questo
avviene in una dimensione assolutamente incorporea, intellegibile e noetica.
• Per via del peccato, di una degradazione, avviene la seconda creazione, che non è di per se stessa
malvagia, come credevano gli Gnostici; è qualcosa di buono, ma è comunque una “seconda
creazione”, lontana dalla prima creazione, che è una creazione noetica ed è quella autenticamente
divina. Questa seconda creazione è relativa a creature che, per via del loro peccato, si sono
incarnate nei corpi; gli esseri umani in corpi spessi, pesanti e duri, perché molto lontani dal fuoco
del Logos, altri logoi, più vicini al Logos stesso, si sono incarnati negli astri, che hanno un corpo
sempre materiale ma più leggero;
• L’incarnazione va considerata come un cruciale “aiuto” divino che il Padre invia al mondo
materiale perché questo si salvi; esso non si salva per una elezione di grazia, ma semplicemente
tramite la sequela morale e virtuosa di Cristo, che è maestro, educatore, esempio, paradigma: non è
meramente / direttamente salvatore, ma lo è solo se la creatura segue il suo insegnamento e lo mette
in pratica;

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• Ciò implica che le creature, nonostante siano nei corpi, possiedano il libero arbitrio creato da Dio.
Questo significa che la creatura può scegliere la sequela di Cristo come può non sceglierla: è
evidente che nel primo caso l’assimilazione a Dio sarà concretamente realizzabile;
• La dottrina origeniana più eversiva è quella dell’apocatastasi. Alla fine della serie dei mondi che si
succedono (è già una dottrina stoica), Origene ritiene che tutte le creature create, demonio
compreso, proprio perché create da Dio, saranno reintegrate nel Logos e, addirittura, in questo modo
Satana tornerà ad essere un “cristo” ossia un logos. La reintegrazione escatologica di tutte le
creature esclude la dannazione eterna. Dietro questa sconvolgente dottrina possiamo rintracciare più
fonti: il grande influsso della filosofia, il forte intento di coerente sistematizzazione da parte di
Origene, che costruisce il primo grande sistema teologico cristiano, l’insegnamento paolino (la
misericordia universale) e, in qualche modo, anche un sotteso influsso gnostico, sebbene la doppia
creazione origeniana non abbia nulla di dottrinariamente simile a quella gnostica;
• Alle spalle del pensiero di Origene si trova l’idea di un Cristianesimo che possiamo definire
umanistico, morale, un Cristianesimo del libero arbitrio, in cui la salvezza è piuttosto nelle nostre
mani che non nelle mani di Dio. Qui Gesù Cristo è il mediatore perfetto, assoluto paradigma
morale, la cui sequela assicura la salvezza. La rivelazione non è altro che pedagogia divina, aiuto
dato alle creature razionali e preesistenti per la loro salvezza che a sua volta dipende da un atto di
libera scelta. Con (l’altro) Agostino e con tutta la grande tradizione agostiniana (Calvino, Lutero,
Pascal, ecc.) la salvezza sarà qualcosa che non dipenderà da noi ma da questa elezione di Dio che
salva, per ragioni ignote, per ragioni divine e non umane, un piccolo gruppo di eletti e danna tutto il
resto: è chiaro che in questa prospettiva il libero arbitrio è completamente assente, a differenza di
quella lunga scia origeniana che da Scoto Eriugena procede fino a Erasmo, certamente a Lessing, e
per alcuni versi, a Leibniz e a Kant.
Vi ringrazio.
Bibliografia essenziale in lingua italiana per un primo orientamento:

La traduzione italiana delle opere di Origene qui utilizzata è tratta da A. Orbe-M. Simonetti (a cura di), Il
Cristo, Volume I: Testi teologici e spirituali dal I al IV secolo, Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori,
Milano 20056, pp. 288-341. Per una prima panoramica sul pensiero teologico di Origene cfr. C. Moreschini,
Storia della filosofia patristica, Morcelliana, Brescia 2004, pp. 128-173, e Id., Storia del pensiero cristiano
tardoantico, Presentazione di G. Reale, Bompiani, Milano 2013, pp. 363-460. Sul metodo esegetico
origeniano cfr. J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, EDB, Bologna 1975, pp. 323-342.
Fondamentali rimangono H. Crouzel, Origene, Borla, Roma 1986, e J. Daniélou, Origene: Il genio del
Cristianesimo, Edizioni Arkeios, Roma 2010. Sulla tradizione origeniana, cfr. G. Lettieri, s.v. Progresso, in
A. Monaci Castagno (a cura di), Origene. Dizionario: la cultura, il pensiero, le opere, Città Nuova, Roma
2000, pp. 379-392. Su Celso cfr. da ultimo G. Rinaldi, Pagani e cristiani: La storia di un conflitto (secoli I-
IV), Carocci, Roma 2016, pp. 89-104. Su Plotino cfr. R. Chiaradonna, Plotino, Carocci, Roma 20165. Sul
Platonismo cfr. M. Bonazzi, Il platonismo, Einaudi, Torino 2015. Per una “storia” del libero arbitrio
dall’antichità al dibattito contemporaneo cfr. M. De Caro-M. Mori-E. Spinelli (a cura di), Libero arbitrio:
Storia di una controversia filosofica, Carocci, Roma 20152.

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