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INDICE

INTRODUZIONE...........................................................................................3

CAP. 1
LE RADICI DELLA “LIBERTA'”: UN'INTRODUZIONE STORICA...8

CAP. 2
VITA E OPERE.............................................................................................15
2.1 - Benjamin R. Tucker e la sua “Libertà” da 50 centesimi l'anno.......15
2.2 - La sovranità dell'individuo e la teoria del valore-lavoro.................29
2.3 – L'egoismo stirneriano…..................................................................34

CAP. 3
TUCKER SOCIALISTA …..........................................................................40
3.1 - Socialismo di Stato e Anarchia …....................................................40
3.2 - Governo, Stato e società …..............................................................53

CAP. 4
FONTI............................................................................................................64
4.1 - Le fonti dell'anarchismo filosofico …..............................................64
4.2 - Herbert Spencer e la legge dell'uguale libertà ….............................66
4.3 – Auberon Herbert e la voluntary taxation.........................................77
4.4 – Pierre-Joseph Proudhon e la teoria del valore-lavoro.....................85
4.5 – Il diritto in Johann Caspar Schimdt aka Max Stirner......................94
4.6 – Josiah Warren e William B. Greene..............................................100

CAP. 5
EREDITARIETA' LIBERTARIE..............................................................107
5.1 – L'anarco-capitalismo e Benjamin R. Tucker................................107
5.2 - Benjamin R. Tucker e l'anarco-capitalismo..................................121

CONCLUSIONI..........................................................................................126

BIBLIOGRAFIA.........................................................................................130

1
2
INTRODUZIONE

Il presente lavoro nasce dalla presa di coscienza di un vuoto nella storia


della flosofa politica in Italia. Sebbene da una trentina di anni a questa parte
il lavoro intrapreso da alcuni pensatori nostrani 1 abbia portato a fare una
notevole chiarezza tra le diverse etichette politiche, le tematiche da
approfondire rimangono molte. Le pubblicazioni promosse da diverse case
editrici2 sono riuscite a fornire una buona fnestra sul panorama teorico-
politico internazionale, ma rimane tuttavia in larga misura inesplorato un
ambito signifcativo del pensiero politico che ricade sotto il nome di
individualismo radicale o anarco-individualismo.
Nonostante questa poliedrica istanza abbia avuto un ciclo vitale assai
breve - una sessantina d'anni circa - gli echi che da essa scaturirono restano
vivi tuttora animando il dibattito teorico e fornendo un retroterra concettuale
dal quale si continua ad attingere, spesso senza riconoscerne il merito. A
dover collocare l'anarco-individualismo in uno spazio e in un periodo
determinato, esso può essere inserito interamente in quell'arco di tempo,
identifcato da Nico Berti come “periodo dell'anarchismo classico”, che va
dall'ultimo terzo dell'Ottocento al primo terzo del Novecento e il suo cuore
pulsante può essere situato negli Stati Uniti d'America, in particolar modo a
Boston.
La fgura che personifca questo pensiero é Benjamin Rickeston Tucker.
Il presente elaborato ha l'obiettivo di voler riconoscere alla sua opera
quel valore e quella rilevanza, date per scontate durante il corso della sua
vita ma taciute al giorno d'oggi. Come si cercherà di evidenziare, il suo
lascito è più vivo che mai, soprattutto all'interno di quel flone critico che,
solo, è in grado di mettere in discussione lo stato moderno. Si sta parlando
dell'anarco-capitalismo e, in particolare, di Murray N. Rothbard che svolgerà
1 Si veda ad esempio: Raimondo Cubeddu, Antonio Donno, Nicola Iannello e Carlo Lottieri,
Lorenzo Infantino per citarne alcuni.
2 Come Liberilibri, Rubettino, Leonardo Facco, Antistato, Lacaita, ecc.

3
il ruolo di principale interlocutore nel capitolo fnale di questo scritto.
A chi si sia scoperto interessato all'argomento qui esposto e si sia spinto
ad approfondirne gli aspetti principali, non sarà sfuggita l'incomprensibile
assenza di questo autore certamente non marginale. Le biblioteche italiane si
trovano completamente sguarnite di testi inerenti alla sua vita e alla sua
opera, e anche a voler cercare alcune pubblicazioni in lingua originale la
strada non risulta affatto in discesa. La corrente stessa di cui Tucker si fece
portavoce viene raramente presa in considerazione e, quando questo accade,
il ruolo che le viene assegnato è marginale e di semplice menzione. E'
l'atteggiamento tipico di chi si trova costretto, per onestà storico-intellettuale,
a citarne l'esistenza ma non vuole entrare troppo nel dettaglio così da poter
evitare un confronto aperto con essa.
La causa del vuoto di fonti che avvolge l'anarchismo individualista la si
può rintracciare in tre fattori di differente entità. I primi due rappresentano
contingenze limitative pragmatiche delle quali si può solamente prendere
atto. Sono fattori circostanziali che non hanno nulla a che vedere con le
posizioni teoriche sostenute da Tucker ma che costituiscono dei semplici
scogli pratici cui si scontra la divulgazione. Il terzo, invece, ritrae la
superfcialità immeritata con cui fu accolto, o per meglio dire accantonato, il
pensiero dell'anarchico di Boston.
Il primo di questi fattori è rappresentato da una caratteristica interna al
pensiero stesso dell'autore. La mancanza di sistematicità di uno scrittore che
si trovava attivo su molti fronti e non ha mai dato un proflo organico alle sue
opere, solleva non poche diffcoltà. A riprova di questa disorganicità, basti
pensare che l'unico libro da lui pubblicato si intitola - in maniera scherzosa
ma non troppo - Instead of a Book: by a Man Too Busy to Write One che in
italiano può essere riportato come: “Al posto di un libro, di un uomo troppo
occupato per scriverne uno”. Questo testo consiste in una corposa raccolta di
articoli da lui scritti e raggruppati secondo nuclei tematici che, pur dando
una buona visione d'insieme del suo pensiero, può disorientare un lettore
amatoriale privo di quel retroterra conoscitivo che gli potrebbe garantire una
solida presa contenutistica. Nonostante il sottotitolo A Fragmentary Exposition

4
of Philosophical Anarchism non ne nasconda la natura e, anzi mette in guardia
il potenziale lettore della sua esplicita frammentarietà, gli scritti raccolti
risultano ugualmente problematici anche per chi si assume e accetta la
complessità della loro asistematicità. La maggior parte dei suoi articoli
presenta un carattere polemico che, muovendo da necessità pratiche, sfocia
spesso in discussioni critiche di natura molto spesso personale. Questa
scrittura dispersiva richiede al lettore uno sforzo interpretativo costante e
profondo, e prima di cogliere il nocciolo di una questione bisogna avere
molto spesso la pazienza di passare al setaccio, al pari di cercatori d'oro
californiani, un numero considerevole di articoli infarciti di riferimenti a
personalità politiche dimenticate e a dibattiti interni al panorama storico
statunitense, per ricavarne, al pari di pagliuzze d'oro, poche frasi esplicative
dei principi sottostanti le lunghe pagine polemiche.
Il secondo fattore rintracciato è l'assenza pressoché totale 3 di una
traduzione italiana degli scritti dell'anarchico che, pur non essendo al giorno
d'oggi un limite invalicabile, rimane, nonostante tutto, un evidente limite alla
diffusione di massa della sua opera. Si aggiunga poi che l'inglese utilizzato
da Tucker è quello di un americano di fne Ottocento e si capirà perché una
sua circolazione capillare sia al momento lungi dall'avvenire.
Questo secondo fattore conduce indirettamente al terzo scoglio: il
disinteresse. Infatti, perché non fu mai tradotto se non per disinteresse? Il
silenzio che continua a vegliare su di lui può essere ricondotto a molti
elementi, in primis la disistima che lo accompagna. L'atteggiamento volto a
sminuirne l'importanza è comune tanto a coloro che sorvolano sulla sua
esistenza quanto a chi, pur menzionandolo, non ne riconosce alcun merito se
non una spiccata dote giornalistica. Si badi bene, questo atteggiamento non è
proprio soltanto degli studiosi italiani ma presente anche all'estero, dove le
idee radicali non vengono certo accolte a braccia aperte e dove il commento
più lusinghiero potrebbe essere quello sintetizzato dalle parole di Johan

3 Uniche eccezioni sono: Il rapporto tra stato e individuo in La società senza stato. I fondatori del
pensiero libertario, Antologia a cura di N. Iannello, Rubettino, Soveria Mannelli 2004, Il diritto di
copiare e Libertà e proibizione, in Copia pure! Il diritto di copiare nei saggi dell'anarchico
Benjamin R. Tucker, a cura di A. Mingardi e G. Piombini, Millelire Stampa Alternativa, Viterbo
2000; Socialismo di stato e anarchia, in “élithes” VII (2003), n. 1.

5
Rudolf Rocker4, che fa di lui “un semplice allievo di Warren che nulla
aggiunge al panorama politico”5.
L'autore che per primo ha richiamato l'attenzione su Tucker,
rispolverandone i meriti, fu l'ormai celebre Murray N. Rothbard il quale si
sentì così vicino all'anarchico di Boston da ritenere il proprio pensiero “una
modernizzazione”6 di quello dell'individualista ottocentesco. Inutile a dirsi,
l'interesse dimostrato dal libertario allievo di Ludwig von Mises incuriosì i
critici che, pur ai margini del dibattito, iniziarono a manifestare un maggiore
interesse per il pensiero tuckeriano.
All'interno dello stivale, interessante è la posizione in cui lo colloca N.
Iannello il quale nella sua antologia La società senza stato. I fondatori del
pensiero libertario, pur non ritagliandogli molto spazio, fa di lui l'anello di
congiunzione tra un liberalismo europeo “sul flo dell'anarchia”
(rappresentato da Gustave de Molinari, Herbert Spencer e Auberon Herbert)
e il libertarismo americano contemporaneo, defnendolo “utilissimo per
comprendere certe anse del lungo fume liberale” 7.
Il presente lavoro si propone, dunque, di mostrare l'importanza che
l'anarchismo di stampo individualista ha ricoperto nella storia e di
sottolinearne l'attualità. Come si tenterà di mettere in evidenza, l'anarchismo
individualista è oggi uno dei pochi pensieri sociali e politici in grado di
ridare vita ad una flosofa politica che è andata piano piano assopendosi,
ovvero ad un pensiero flosofco in grado di rifettere sul miglior governo e
sul miglior ordine sociale. Per fare ciò, l'elaborato qui presente si offre di dare
al lettore un proflo della personalità dell'anarchico di Boston descrivendo: in
un primo capitolo il contesto storico nel quale si trovò immerso e nel quale
operò; in un secondo la vita di Tucker, le esperienze più signifcative della
4 J.R. Rocker, nato a Magonza il 25 marzo 1873 e morto a New York il 19 settembre 1958, è stato
una anarchico, scrittore e sindacalista tedesco naturalizzato statunitense, tra i principali teorici
dell'anarco-sindacalismo. Autodichiaratosi “anarchico senza aggettivi”, Rocker arrivò alla
conclusione che le diverse correnti anarchiche rappresentano solo “diversi modi dell'economia” e
che il primo obbiettivo degli anarchici era “garantire la libertà personale e sociale degli uomini. Di
lui si veda I pionieri della libertà, Antistato, Milano 1982; La gioventù di un ribelle e Nella
tormenta, trad. it. a cura del Centro studi libertari/Archivio Giuseppe Pinelli, Milano 1990.
5 R. Rocker, Las corrientes liberales en los estados unidos, Americalee, Buenos Aires 1944, p. 195 .
6 M.N. Rothbard, The Spooner-Tucker doctrine: An Economist's view, in “Journal of Libertarian
Studies”, vol. 20, n.1, winter 2006.
7 Cfr. N. Iannello, La società senza stato, cit. p. 43.

6
sua storia personale e il suo contributo maggiore, ossia la redazione del
periodico "Liberty"; in un terzo la possibilità di etichettare un pensiero così
atipico; in un quarto le fonti da cui trasse ispirazione e dalle quali attinse; ed
infne un ultimo capitolo all'interno del quale si proporrà un confronto ed un
dialogo tra Tucker e la corrente libertaria contemporanea maggiormente
infuente, cioè l'anarchismo capitalista.

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CAP. 1
LE RADICI DELLA “LIBERTA'”: UN'INTRODUZIONE
STORICA

Nell'ultimo ventennio dell'Ottocento l'America si stava ormai avviando


verso la fase matura dell'industrializzazione con tutte le conseguenze
confittuali che questa poteva comportare tanto sul piano sociopolitico
quanto su quello psicologico. Queste ultime si manifestavano principalmente
in una sempre più lacerante insicurezza, sia a livello individuale che a livello
dei diversi gruppi sociali che si trovarono improvvisamente alle prese con la
più grande trasformazione economica che il Paese avesse mai visto.
L'insicurezza di fondo portò con sé sconvolgimenti radicali e conseguenti
scosse di assestamento in tutte le diverse sfere della società. Penetrando in
profondità in tutti gli spazi economici e sociali, l'industrializzazione, con i
cambiamenti che ne seguivano, iniziava a disfare l'identità americana che si
era spontaneamente coagulata nel corso del tempo, ponendo in evidenza
problematiche che fno ad allora si erano taciute o si erano neutralizzate sulla
base di una concezione, dalle sfumature un po' mitiche, che sosteneva
l'esistenza di una naturale armonia tra le diverse classi produttive e
lavorative. Questo periodo, che potrebbe essere defnito come la golden age
americana, cominciava ad assumere le sfumature di un passato nostalgico
che non sarebbe più tornato e la necessità di una riorganizzazione assiologica
si faceva via via più pressante. Mentre “lo sviluppo industriale andava
spostando sempre più il baricentro dalla campagna alla città, dalla farm alla
fabbrica, portandosi dietro le lacerazioni derivanti dal confronto tra
un'America come frontiera e un'America come mercato” 8, il cittadino
americano si trovò costretto a scendere a patti con la sua nuova ed accelerata

8 G. Iurlano, Radicalismo e tradizioni americane nella seconda metà del XIX secolo: l'anarco-
individualismo di B.R.Tucker, in La sovranità dell'individuo. Tre saggi sull'anarchismo negli Stati
Uniti, a cura di A. Donno, Lacaita, Bari 1982, p. 12.

8
contemporaneità, generando così una rottura drammatica che nonostante
tutto porterà ad una incredibile sintesi tra i valori tradizionali e quelli
moderni. La forente realtà capitalistica era ormai penetrata a fondo anche in
quel mondo rurale che, tanto nella visione esterna quanto in quella interna, si
era consolidato come l'american mind con la sua celebrazione del primato
morale del piccolo agricoltore proprietario, dell'homo faber, del pioniere e
dell'esploratore duro ed autosuffciente.
Da allora in avanti, con l'avanzamento della tecnica e lo sfruttamento
industriale del territorio, con lo sviluppo delle fabbriche e la nascita dei
grandi conglomerati urbani, la caratteristica peculiare dell'identità americana
si sposterà sempre più sulla cruda realtà del proftto. “L'etica protestante e lo
spirito del capitalismo” stavano radicandosi tenacemente al fertile terreno
statunitense. Il metodismo protestante e la concezione morale calvinista che
faceva coincidere la povertà e l'insuccesso economico con il peccato, si
stavano piano piano fondendo e armonizzando a visioni del mondo
maggiormente laiche che trovavano il loro punto di riferimento fsso nel
darwinismo sociale. La visione laica delle nuove idee europee di sviluppo e
progresso, che a poco a poco stavano penetrando nel territorio statunitense, e
la visione morale delle diverse correnti protestanti, che fn dalle origini aveva
accompagnato i coloni americani, si tendevano sempre più la mano in una
concezione di “premio e castigo” che fungeva da ottimo strumento facilitante
il corretto funzionamento di quello che era un mercato in piena espansione.
L'America, insomma, stava cambiando e l'unica maniera che restava ai
suoi abitanti per comprendere il corso degli eventi, ed avere così l'illusione di
poterli controllare, era quella di assimilare questo cambiamento e integrarlo
in una nuova identità di sé, che non si fossilizzasse in una immutabile e
reazionaria staticità.
Le proteste dei nuovi gruppi sociali e le lotte dell'emergente classe
operaia nacquero e presero vita in questo determinato periodo storico e,
sebbene si confgurassero apparentemente come delle forze contrarie alla
sfrenata modernizzazione e alla piega progressista che la società stava
prendendo, ne furono in realtà le fglie legittime. Le loro manifestazioni e le

9
loro rivolte presupponevano una generale accettazione di fondo del nuovo
sistema economico, depurato però da tutti quegli elementi che potessero
contrastare con la tradizione americana. L'emergere di una neonata coscienza
di classe si fece portavoce della necessità di una svolta nella nuova economia
capitalistica. Questa coscienza operaia, unita alle nuove teorie introdotte nel
suolo americano dai migranti europei, fece nascere un forente dibattito e
un'altrettanta viva proliferazione di idee che esplosero e si concretizzarono
nel grande sciopero organizzato dei ferrovieri del 1877 9 e nei celebri eventi
accaduti i primi giorni di maggio del 1886 a Chicago conosciuti come la
rivolta di Haymarket10.
Fu in questo contesto di scontri e di disordine, scandito anche dal
costante richiamo degli anarchici tanto europei quanto americani a una
“propaganda attraverso i fatti”, che si consoliderà il passaggio da
un'anarchia, vista come un'istanza prettamente culturale derivante più o
meno direttamente della secolarizzazione illuministica e dalla critica
dell'esistente, a un'anarchia sempre più spesso associata al terrorismo e allo
stereotipo dell'anarchico bombarolo, che nuocerà infnitamente al movimento
nel suo complesso il quale fnirà per ritrovarsi più frammentato che mai e
molto spesso accusato ingiustamente di delitti non commessi.

9 Evento di grande rilevanza storica. Il settore ferroviario era ,infatti, da sempre il simbolo della
modernizzazione e della rispettabilità americana, il fiore all'occhiello di una società fresca che si
avviava allo sviluppo industriale. Il grande sciopero del '77, indetto contro le pesanti riduzioni
salariali, mise in evidenza una nuova combattività operaia e un forte senso di solidarietà tra la
manodopera dei diversi settori industriali e non solo del ferroviario.
10 Altro fatto destinato a restare nei rotocalchi di storia, la rivolta di Haymarket fu uno degli eventi
che maggiormente indignò l'opinione pubblica mondiale, tanto che sarà in memoria delle sue
vittime che verrà indetta la giornata nazionale dei lavoratori fissata il primo di maggio. Il primo
maggio 1886 i sindacati organizzarono a Chicago uno sciopero per rivendicare la giornata
lavorativa di otto ore. Le condizioni di lavoro in città erano miserabili, con molti operai impegnati
nelle loro mansioni dalle dieci alle dodici ore giornaliere, spesso in condizioni pericolose. Il 3
maggio gli scioperanti si incontrarono di fronte alla fabbrica di mietitrici McCormick e vennero
attaccati senza preavviso dalla polizia di Chicago; l'attacco provocò due morti e molti feriti. La
notizia si diffuse rapidamente tra gli operai della città, seminando non poca indignazione. A questa
indignazione generale risposero alcuni anarchici locali distribuirono dei volantini che invitavano
gli operai ad un presidio ad Haymarket Square per protestare contro il comportamento della
polizia. Il 4 maggio, durante la manifestazione, a detta di tutti pacifica, la polizia ordinò alla folla
di disperdersi e iniziò a marciare verso il carro dove gli oratori tenevano comizio. In quel momento
fu lanciato un ordigno tra le fila della polizia che uccise un poliziotto, Mathias J. Degan. A quel
punto la polizia aprì il fuoco sulla folla, ferendo dozzine di persone e uccidendone undici, fra cui
sette agenti colpiti da fuoco amico. Il processo-farsa, che seguì la strage, portò alla condanna a
morte di otto anarchici collegati direttamente o indirettamente con la protesta.

10
Se queste poche righe tratteggiano brevemente e defniscono in linea di
massima il retroterra storico che ospiterà l'azione del nostro autore, non si
deve dimenticare di un ulteriore retroterra altrettanto signifcativo, che
giocherà un ruolo determinante nella costituzione del pensiero di Tucker:
quello culturale che, a partire dai movimenti religiosi radicali del XVII secolo,
porterà alla costruzione della base stessa del pensiero libertario americano.
Collegandosi consapevolmente alla tradizione americana, infatti,
Tucker, si propone di dare, o meglio ridare, rispettabilità alla concezione
anarchica della vita in un'epoca sempre più caratterizzata dalla violenza di
classe e in un momento storico in cui il movimento anarchico internazionale
sembrava perdere credibilità giorno dopo giorno. Questo collegamento,
necessario per la rinascita dell'anarchismo, non lo trovò molto distante dal
suolo su cui nacque. Si può affermare, infatti, che un particolare spirito
libertario abbia da sempre aleggiato sui vergini territori del nuovo mondo
tanto che non sarebbe azzardato sostenere, come ha scritto Ronald Creagh in
Da Rocker a Bookchin. Note sul pensiero libertario americano, che “l'unica
tradizione radicale autenticamente americana è l'anarchismo, che si radica in
una sensibilità diffusa che rifuta qualsiasi disciplina imposta da qualsiasi
Sinai”11. Come si è già accennato, questa sensibilità critica e maldisposta ad
accettare una qualsiasi istanza coercitiva affonda le sue radici nei movimenti
religiosi del 1600 che costituiscono nel loro insieme una sorta di cordone
ombelicale in grado di nutrire effcacemente il libero pensiero americano
degli esordi. Il riferimento di Craegh al Sinai non è dunque posto a caso.
Sono i movimenti prettamente religiosi come gli anabattisti, gli
hutchinsoniani12, i ranters13 ed i primi quaccheri a trovare nelle colonie

11 R. Creagh, Da Rocker a Bookchin. Note sul pensiero libertario americano, introduzione a R.


Rocker, Pionieri della libertà, Antistato, Milano 1982, p. 202.
12 La primissima esperienza anarchica d'oltre oceano, può essere fatta risalire al 1638, quando Anne
Hutchinson fondò la comunità di Portsmouth nel Rhode Island. La Hutchinson riteneva che il retto
comportamento provenisse dall'interno di ogni cristiano per grazia divina e che dunque nessun
ostacolo dovesse frapporsi al libero manifestarsi di quella guida interiore che ciascun individuo
possiede.
13 Fu una setta inglese, considerata eretica dalla Chiesa, in quanto univa la dottrina cristiana ad
elementi panteistici. Secondo il loro credo Dio è in ogni creatura e questo portò loro a negare
l'autorità della Chiesa, della Scrittura e del Mistero, invitando gli uomini a dare ascolto a Gesù
solamente nella propria coscienza. Per dare un esempio di come in quest'istanza si possano
rintracciare connotazioni libertarie, basti pensare che il loro membro più famoso, Laurence

11
americane la possibilità di esprimere liberamente la loro concezione religiosa
e morale, che nel principio della “luce interiore” poneva pionieristicamente
in evidenza l'importanza e la centralità dell'individuo inteso come unico
punto di riferimento reale nella e della società. Come forse si è già potuto
intuire, la posizione critica che queste sette assumevano nei confronti della
Chiesa e della tradizione non si limitava al solo spazio religioso ma
sconfnava anche nella sfera politica e sociale.
Non c'è dubbio allora che il loro individualismo fosse “radicale”.
L'aperto rifuto di qualsiasi tipo di mediazione tra l'uomo e Dio li portò
gradualmente ad assumere un atteggiamento di distacco nei confronti di
qualsiasi tipologia di istituzione che ai loro occhi poteva favorire soltanto la
perdita dell'autonomia morale del singolo. Inoltre, il rovesciamento del
concetto di rigenerazione salvifca - per la quale la concessione della grazia al
singolo non era più un atto esclusivamente divino ma si basava sulla costante
partecipazione volontaria e sull'impegno umano individuale a migliorarsi -
porteranno questi movimenti ad un rapporto sempre più orizzontale tra
uomo e divinità prima, e tra uomo e uomo poi. Questa particolare
“democratizzazione di Dio” comporterà col tempo “l'evolversi graduale di
quella che, nella storia americana, costituirà la concezione anarchica
indigena, basata sull'alternarsi continuo dell'elemento individualistico e di
quello comunitario”14.
L'anarchismo individualista come dottrina sociale nacque, nonostante
la sua connotazione spiccatamente religiosa, esattamente in questo momento,
cioè nell'età dell'oro delle comunità utopiche quando riformatori di vario
stampo, provenienti da tutto il mondo, cercavano di creare nelle distese dei
giovani Stati Uniti d'America prototipi dei loro mondi ideali.
Questo ideale sarà quello che a posteriori potremmo defnire “l'eredità
della frontiera americana” che consentì a molti di sperimentare stili di vita
alternativi, per un verso comunitari e per un altro sempre rispettosi della
diversità e della libertà dei singoli individui. L'eredità della frontiera sarà

Clarkson, arrivò a sostenere che un credente è libero da tutti i vincoli tradizionali, che il peccato è
un prodotto dell'immaginazione e che la proprietà privata è sbagliata.
14 G. Iurliano, op. cit., p. 21.

12
costantemente il nocciolo duro di quella mentalità americana tradizionale,
che col passare degli anni ha saputo sopravvivere riassestandosi e
rimodellandosi sui nuovi valori che via via si andavano a defnire e
ridefnire.
Esempio eclatante di questa sintesi, prodotta dall'unione della novità e
dalla tradizione, fu la celebre e, molto spesso infazionatamente citata,
Dichiarazione d'Indipendenza del 1776 che riuscì a secolarizzare e
incorporare lo spirito anarchico statunitense (eredità della frontiera) nelle
nuove istituzioni democratiche americane. In modo originale si riuscì così a
non perdere l'esperienza americana delle origini e allo stesso tempo a rendere
intellettualmente coerente l'anti-statalismo dei coloni e dei pionieri. La
dichiarazione del '76 divenne da allora l'incarnazione perfetta dello spirito e
della tradizione americana che attraversò in maniera trasversale tutti i credo
politici e religiosi, anarchici compresi, facendosi portavoce della costante
presenza critica dell'individuo nella società e della sua vigilanza continua
rispetto all'operato del governo, che trovò nell'individualismo radicale il suo
signifcato più profondo.
L'intreccio e la sintesi di tutte queste istanze, nuove e tipiche ad un
tempo, si caratterizzerà di volta in volta attraverso una lunga serie di
esperienze diverse e peculiari: dal trascendentalismo di Ralph Waldo
Emerson, che ribadisce e insiste sulla ricerca teorica della propria coscienza
individuale, al naturalismo di Henry David Thoureau che, focalizzandosi
sull'autenticità del rapporto con la natura, con la sua Civil Disobedience si
imporrà come un grande classico dell'individualismo; dalle esperienze
comunitarie più complesse e critiche di un Josiah Warren, che con il Village of
Equality e Utopia cerca di proclamare la sovranità dell'individuo rispetto a
quella del popolo, fno ad arrivare all'anarchismo flosofco di Tucker, che
contribuì alla riscoperta della vera essenza della tradizione americana.
L'anarchismo, dunque, trovò negli USA, a causa della sua propria
conformazione intrinseca, il suo alveo naturale. La costante richiesta
anarchica di utopia, come progetto continuo di evoluzione e di sviluppo
interiore, e il rifuto di ogni categoria politica, comunemente intesa, sono

13
contemporaneamente i punti di forza e di debolezza del movimento
anarchico che poteva esprimersi nella sua completezza e nella sua
impossibilità di essere categorizzato una volta per tutte, soltanto nella terra
delle opportunità.
Nutritosi e cresciuto nella tradizione radicale, per tutto il suo iter
l'anarchismo corse il rischio di essere confuso ed assorbito da quest'ultima,
nonché di essere accostato, verso la fne dell'Ottocento, a quella violenza
terroristica che certo non giocava a suo favore.
In questo contesto si colloca la fgura di Benjamin R. Tucker che si
sforzò di dare coerenza teorica all'anarchismo attraverso un'ardita
operazione di sintesi culturale tra esperienza americana ed europea,
sottolineando gli aspetti comuni - come l'associazionismo volontario, il
rifuto dell'accentramento politico del potere, la libertà dell'individuo di
fronte a qualsiasi tipo di costrizione, la resistenza passiva ecc. - e
stigmatizzando le posizioni “eretiche” che male si conciliavano con una
teoria anti autoritaria.

14
CAP. 2
VITA E OPERE

2.1 - Benjamin R. Tucker e la sua “Libertà” da 50 centesimi l'anno

Benjamin Ricketson Tucker nacque il 17 Aprile del 1854 in South


Dartmouth nel Massachussetts, in un ambiente intellettuale caratterizzato
dall'anticonformismo e dal dissenso. Il piccolo villaggio d'origine si
distingueva già alla metà dell'Ottocento per essere conosciuto come la mecca
dell'eterodossia religiosa, insieme alla vicina New Bedford, dove da bambino
frequentò la Friends Academy. In questo angolo di mondo, così come del
resto in tutto il New England, la mentalità puritana si sviluppò in maniera
anomala, depurandosi col tempo dal dogma calvinista e abbracciando
gradualmente la dottrina unitaria. A riprova di quanto fosse comune e
naturale per gli abitanti del territorio la libera indagine, la famiglia del
piccolo Benjamin presentava un background sia quacchero, il padre, che
unitario, la madre.
Come si è tentato di sottolineare nel capitolo precedente, i movimenti
religiosi nordamericani recitarono una parte da protagonisti nella formazione
dello spirito libertario e si fecero i primi promotori delle idee europee di
riformazione sociale. Se sul piano prettamente teologico l'unitarismo negava
la distanza tra il divino e l'umano, promuovendo un rapporto orizzontale tra
gli uomini, sul piano etico e sociale esso riprendeva il concetto spenceriano di
perfettibilità umana, quindi di progresso nello sviluppo dello spirito umano,
di libero arbitrio e di possibilità per il singolo di scegliere se procedere o
meno verso la salvezza. In questo senso risulta maggiormente chiaro come
quello religioso fosse più un atteggiamento mentale che un credo, un
richiamo ad una esplicita apertura mentale e non una cieca ed acritica
professione di fede. Pur esprimendosi in un linguaggio tutto religioso - come

15
ad esempio il consiglio di imparare la naturale uguaglianza degli uomini dal
Padre comune o l'idea che ogni individuo possieda una legge nel proprio
cuore che lo porta all'autogoverno e alla rettitudine - i soggetti, che come
Tucker crebbero e si formarono in un ambiente siffatto, diventarono
spontaneamente partigiani della libertà di pensiero e parola e contrari a
qualsiasi forma di potere coercitivo in grado di strumentalizzare l'individuo
e di limitarne la libertà d'azione.
Questo era pressapoco l'aria che si respirava nel New England di allora,
in particolar modo a New Bedford dove Tucker andò a scuola. Fu infatti in
questa cittadina portuale, microcosmo di razze, lingue e professioni, che il
radicale statunitense ebbe modo di entrare in contatto con i testi e le idee di
Emerson, Garrison, Darwin e Spencer e di legare così la propria esperienza
personale di apertura al dibattito ad autori di ampio respiro e a personaggi la
cui opera era mirata a produrre un cambiamento sostanziale nel mondo
sociale e politico anche americano.
Ripensando all'ambiente in cui crebbe, scrisse:

Vivendo in una comunità mi resi conto dell'importante ruolo da essa


avuto nella lunga battaglia per l'abolizione della schiavitù; ed essendo io
dotato di una mente rifessiva e di un vorace appetito per quanto
riguarda il nutrimento intellettuale che veniva fornito così in
abbondanza, in maniera del tutto naturale presi decisamente posizione
su tutti i problemi religiosi, scientifci, politici e sociali, assorbendo tutta
una serie di convinzioni caotiche e contraddittorie, che non divennero
chiare fno a quando non raggiunsi l'età di diciotto anni, allorché una
fortunata combinazione di infuenze non mi trasformò nel coerente
anarchico che sono oggi. Nel frattempo, ero stato un ateo, un
materialista, un evoluzionista, un proibizionista, un libero
commerciante, un sostenitore delle otto ore e del suffragio femminile, un
nemico del matrimonio e un credente nella libertà sessuale. Il mio
anarchismo ha dissipato alcune delle mie vecchie credenze e ne ha
confermate altre.15

15 E.N. Sachs, The terrible Sirene, Herper & Brothers, New York 1928, pp. 241-42, su cui G.
Iurliano, Op. cit., p. 30.

16
Sotto suggerimento dei genitori frequentò in seguito il MIT, Massachusetts
Institute of Technology, iscrivendosi alla facoltà di ingegneria, che però
abbandonò presto, quando non ancora ventenne scoprì la sua passione per il
giornalismo. Quello di Boston fu, ad ogni modo, un altro ambiente
fortemente signifcativo per la formazione dello spirito di Tucker e contribuì
grandemente al suo naturale entusiasmo per l'attivismo. Fu qui, infatti, che
nacque la sua passione per la politica, passione che lo coinvolse da subito in
prima persona e che lo vedrà partecipare attivamente alla campagna
presidenziale di Horace Greeley. Frequentò, inoltre, diverse convention dalle
eclettiche connotazione politiche. Fu in particolare in una di queste, la
conferenza del New England Labor Reform League del 1872, che si ebbe quella
“fortunata combinazione di infuenze” menzionata, venne cioè a contatto con
alcuni tra i veterani dell'anarchismo individualista: Josiah Warren e William
B. Greene, i primi a cercare di dare una certa sistematicità a un pensiero che
da sempre aleggiava nella società americana. Questi fecero subito una
profonda impressione favorevole al giovane studente del MIT tanto che,
volgendo lo sguardo alla propria giovinezza, defnirà questo primo incontro
un punto centrale nella sua carriera come radicale. A questa convention
Tucker comprò due testi fondamentali per il suo successivo sviluppo
intellettuale, nei quali possiamo rintracciare alcune delle tematiche in lui
ricorrenti. Il primo di questi è un libro di Greene, intitolato Mutual Banking,
del 1850, nel quale si propone, sulla scia di Pierre-Joseph Proudhon, un
sistema bancario libero da interessi; il secondo è l'opera di Warren, True
Civilization, del1869, dove l'autore, tirando le fla della propria vita da
attivista e riformatore sociale, sintetizzò alcuni dei princìpi ispiratori che
caratterizzano la sua dottrina. Tra quest'ultimi risultava determinante il
principio della freedom to differ, della libertà di essere diverso, che sta alla base
di quella che è a sua volta una delle caratteristiche salienti di tutto
l'individualismo: la sovranità dell'individuo. La libertà di differire e
differenziarsi poggiava, inoltre, su un'interessante premessa economica che,
in linea con le idee espresse da Proudhon nel 1840, esprimeva la convinzione
che il prezzo di un bene non fosse determinato dalla sua utilità ma dal tempo

17
e dalla diffcoltà richiesti per produrlo e che, di conseguenza, ciascun
individuo avesse diritto all'intero prodotto del proprio lavoro. Accanto a
queste posizioni warreniane, Tucker ebbe modo di conoscere, attraverso le
succitate basi mutualistiche di Greene, per la prima volta le idee di Proudhon
che più tardi tenterà di sviluppare e integrare nella pagine di "Liberty”.
Dal suo coinvolgimento politico e dal contatto con questi due autori,
considerati delle vere e proprie autorità specie all'interno del Labour-reform
Moviment, Tucker si convinse gradualmente che le riforme economiche
dovessero stare necessariamente alla base di tutti i successivi passi verso il
conseguimento della libertà e che solo attraverso di esse l'individuo potesse
avere la possibilità di dispiegare le proprie potenzialità in maniera libera ed
autonoma.
A formare ulteriormente la sua singolare personalità contribuirà
successivamente la conoscenza e la collaborazione professionale con
l'abolizionista radicale Lysander Spooner, che darà voce e alimenterà tutte le
mal sopite tendenze antipolitiche di Tucker. Assieme a Spooner si cimenterà
nella sua prima esperienza editoriale pubblicando nel 1877 la rivista “Radical
Review”, che vedrà pubblicati soltanto quattro numeri, per lo più occupati
dalla traduzione inglese di alcune parti del Système des contradictions
économiques ou Philosophie de la misère di Proudhon. Nonostante il fallimento
dell'impresa i rapporti con il flosofo non si deteriorarono affatto e, sebbene
avessero a volte delle opinioni discordanti, la collaborazione tra di loro
continuò nella successiva e più fortunata redazione di “Liberty”. Ma la
formazione intellettuale di Tucker non si limita a pensatori suoi connazionali,
nel quadro formativo vanno aggiunte le infuenze suscitate da alcuni europei
di spicco come Herbert Spencer, il già menzionato Proudhon e Max Stirner,
dei quali curò le prime traduzioni inglesi favorendo attivamente la
divulgazione delle loro idee in territorio statunitense.
Nel 1876, Ezra Heywood, una protofemminista favorevole al free-love,
pubblicò la traduzione inglese a opera di Tucker del classico proudhoniano
Que-est que c'est la propriété? in quello che potrebbe essere considerato come il
debutto di Tucker nel circolo radicale. Nel 1881 l'individualista radicale

18
inizierà il lavoro che lo rese famoso e che farà di lui il centro gravitazionale
del dibattito politico, economico, sociale e flosofco statunitense: la
pubblicazione del periodico “Liberty”. Al suo interno l'autore riuscì ad
integrare le teorie economiche dei pensatori europei con le istanze
tipicamente americane del libero pensiero e del libero amore, producendo un
rigoroso sistema di individualismo anarchico che venne successivamente
identifcato con lui e conosciuto come “anarchismo flosofco” o, in maniera
leggermente dispregiativa, “anarchismo di Boston”. Quest'attività, durata
ventisette anni (agosto 1881 – aprile 1908), fu l'opera più rilevante di Tucker e
del movimento a cui diede voce, tanto da essere comunemente considerato
“the fnest individualist-anarchist periodical ever published in the English
language”16. Esso rappresentò un terreno di incontro privilegiato per il
dibattito politico tanto da costituirsi come una vera e propria fnestra
affacciata su due mondi altrimenti poco comunicanti, quello americano e
quello europeo. La rivista raccontò le personalità e le mutevoli controversie
dell'individualismo radicale diventando il circuito divulgativo preferenziale
dell'egoismo stirneriano e del pensiero di Spencer negli Stati Uniti.
La rilevanza ricoperta dal periodico nella vita di Tucker e nell'entourage
delle personalità che gli orbitavano intorno, rende necessario soffermarsi su
di esso tentando di analizzarne più da vicino la storia, il contenuto e
l'impostazione.
“Liberty enters the feld of journalism to speak for herself because she
fnds no one willing to speak for her”. Così si apre la prima pagina di
“Liberty” il 6 agosto 1881. Luogo di pubblicazione: Boston, che rimarrà la
sede del periodico per i primi quindici anni e successivamente si sposterà a
New York fno al suo sfortunato decesso che avverrà nel 1908. La
pubblicazione del giornale, che ebbe una vita gloriosa, si protrasse per
ventisette anni e fu “una delle pubblicazioni più caratteristiche che siano mai
state date alle stampe”17. Le parole con cui Tucker esordì nel suo debutto
furono a dir poco originali. “Questo giornale sarà pubblicato per soddisfare il

16 W. McElroy, Benjamin Tucker, Liberty, and Individualist Anarchism, “The Indipendent Review”,
vol II, n. 3, winter 1998, p. 1.
17 R. Rocker, op cit., p. 198.

19
suo redattore e non i suoi lettori”, annuncia, “egli si augura che che quanto
gli va bene vada bene anche a loro, ma se così non fosse, non farà alcuna
differenza. A nessun abbonato o gruppo di abbonati sarà permesso di
controllarne la direzione, di imporne la linea politica, o di prescriverne il
metodo”. La sua sferzante ironia si manifesta del resto già nell'uso ambiguo
che fa della parola libertà che gli serve indistintamente per indicare sia il
concetto teorico che sta alla base del suo anarchismo, sia la sua rivista: “In un
primo momento il prezzo della libertà [Liberty] consisteva in un'eterna
vigilanza, ma ora la si può avere per 50 centesimi l'anno”; e che la libertà
costituisca il punto di partenza della sua concezione politica e sociale lo
dimostra anche il sottotitolo che da alla rivista, e cioè il motto proudhoniano
“Libertà, non la fglia ma la madre dell'ordine” su cui torneremo in seguito.
Una breve dichiarazione programmatica fa subito chiarezza
sull'obiettivo del periodico e sulla direzione che il suo fondatore gli avrebbe
impresso:

“Liberty” sostiene la sovranità dell'individuo e l'equo compenso del


lavoro; l'abolizione dello Stato e l'abolizione dell'usura; l'abolizione del
governo dell'uomo sull'uomo e la soppressione dello sfruttamento
dell'uomo sull'uomo; l'anarchia e l'uguaglianza. Il grido di “Liberty” è:
'abbasso l'autorità!', e la sua battaglia principale è contro lo Stato; lo
Stato che corrompe i bambini, lo Stato che ingabbia la legge; lo Stato che
soffoca il pensiero, lo Stato che monopolizza la terra, lo Stato che limita
il credito e lo scambio, lo Stato che dà al capitale ozioso il potere di
espandersi, e che attraverso l'interesse, la rendita, il proftto e le tasse
deruba il lavoro industrioso dei suoi prodotti. 18

In questa maniera Tucker prende di petto le problematiche a lui care,


aprendosi un varco, per non dire una voragine, all'interno del dibattito
politico occidentale. Da queste poche righe si può facilmente cogliere la vera
spinta dietro cui stava la pubblicazione di “Liberty”. I suoi fogli sono
principalmente destinati alla propaganda e al dibattito ma l'incisività e la
chiarezza che emerge dalle sue pagine, merito della virtù giornalistica di

18 B.R. Tucker, “Liberty”, n. 1, 6 agosto 1881.

20
Tucker, ne fece ben presto un caso intercontinentale. Attorno al periodico e al
suo fondatore, si trovò ad orbitare un nucleo di eccellenti collaboratori, come
Lysander Spooner, Henry Appleton, William Holme, Gertrude B. Kelley,
William Lloyd, Victor Yarros, E. C. Walker e molti altri.
Diffuso in tutti gli Stati Uniti e in grado di far arrivare degli echi delle
proprie posizioni anche oltre oceano, “Liberty” benefciò moltissimo della
forza personale, del carattere e delle capacità del proprio redattore. Un
ritratto suggestivo della personalità di Tucker lo offre J. William Lloyd in un
articolo intitolato Memories of Benjamin Tucker19. Qui Lloyd descrive un Tucker
nella pienezza dei suoi anni e fornisce un ritratto dell'anarchico dai colori
vivaci ed affascinanti. Il lavoro di Lloyd ha il vantaggio di essere lo scritto di
uno dei collaboratori a lui più vicini, per lo meno fno a quando la contesa su
che cosa tra i diritti naturali e l'egoismo stirneriano dovesse stare alla base di
tutta la teoria anarchica, gli fece imboccare una strada differente. Il seguente
passaggio tratto dalle carte di Lloyd ci da un'idea della personalità di Tucker:

Tucker had tremendous infuence on us young Anarchists in those days


and was our hero. Handsome, a brilliant translator, an editor of
meticulous care and fnish, a trenchant reasoner, with a faith and
enthusiasm for his "ism" that had no bounds, he was like a strong
current that swept us along. Josiah Warren, Pierre J. Proudhon, Wm. B.
Greene, Lysander Spooner were given us for our gods, with Auberon
Herbert, Herbert Spencer, Stephen Pearl Andrews and a few others
almost admitted to the pantheon. Tucker's manner of writing was what
chiefy attracted attention to him. No more fery and furious apostle ever
put pen to paper. A veritable baresark of dialectics. He was dogmatic to
the extreme, arrogantly positive, browbeating and dominating, true to
his "plumb-line" no matter who was slain, and brooked no difference,
contradiction or denial. Biting sarcasm, caustic contempt, invective that
was sometimes almost actual insult, were poured out on any who dared
criticize or oppose. In this he reminded me of my old-time medical
teacher, R. T. Trall, M.D. He regarded all who did not accept Anarchism

19 J.W. Lloyd, Memories of Benjamn Tucker, 17 June 1935, lo si può ritrovare integrale e in lingua
originale all'interno del sito inglese del Mises-Institute: Austrian Economics, Freedom and Peace,
www.mises.org.

21
as fools, or near-fools, and was not slow to let them know it. There was
nothing he hated more than communism, and the Communist-
Anarchists used to call him "the Pope." One could not
read Liberty without getting the impression that he was a fre-eater,
most of the time angry. This tended to scare off opponents, no doubt, but
as positive assertion and burning faith convince many people more than
any argument, it also brought him many converts, and a reputation of
being a sort of dragon, breathing fre and smoke. And no doubt he
affected all of us. For I recall some commentator, at that time, writing of
"the three slashing critics of Liberty — Tucker, Yarros and Lloyd," so I
must have been implicated. But life is full of contradictions and Tucker
soon became a conundrum to me. Was he a Jekyll and Hyde? For this
swashbuckler, on paper, when you met him in person, was the most
genial, affable, and charming gentlemen that you could possibly
imagine, kind, gentle and always smiling. I discounted this as toward
myself but I could not learn that anyone had ever had a
hard spoken word from him, and I have never to this day heard of one
who had. Face to face this tiger was a dove. I remember my friend,
Albert Chavannes, telling me of her interview with Tucker when he
visited New York. "Why," he said, laughing delightedly, "I found him the
mildest mannered pirate that ever cut a throat or sunk a ship.20

20 Ibid., trad. propria: “Tucker esercitava un'enorme influenza su di noi, giovani anarchici in quei
giorni, tanto da essere il nostro eroe. Di bell'aspetto, brillante traduttore e redattore
meticolosamente attento ed accurato, un pensatore incisivo, con una fede ed un entusiasmo per il
suo “ismo” che non aveva limiti, era come una corrente impetuosa che ci trascinava con sé. Josiah
Warren, Pierre J. Proudhon, William B. Greene, Lysander Spooner ci erano dati come nostri dei,
con Auberon Herbert, Herbert Spencer, Stephen Pearl Andrew e pochi altri ancora ammessi nel
pantheon. Ciò che attraeva maggiormente l'attenzione era la maniera di scrivere di Tucker. Nessun
apostolo più fiero e furioso pose mai la sua penna sulla carta. Un vero berserk della dialettica. Era
dogmatico fino all'estremo, arrogantemente positivo, dal tono imperioso e dominatore, fedele alla
sua linea senza badare a chi sarebbe caduto, e senza tollerare la differenza, la contraddizione o la
negazione. Sarcasmo pungente, disprezzo caustico, invettive che alcune volte erano quasi insulti,
che erano temerarie di fronte a chiunque osasse criticare o resistere. In questo mi ricordava il mio
antico maestro R. T. Trall. Lui considerava chiunque non accettasse l'anarchismo un pazzo, o quasi
pazzo, e non esitava a farglielo sapere. Non odiava niente come il comunismo, e gli anarco-
comunisti erano soliti chiamarlo “il papa”. Non si poteva leggere Liberty senza avere
l'impressione che lui fosse un divoratore di fuoco, furioso la maggior parte del tempo. Così era
solito sopprimere gli oppositori, senza dubbi, e dato che le affermazioni positive e la fede ardente
persuadono molto più che gli argomenti, riuscì ad attrarre molti fedeli, e a costruirsi la reputazione
di essere una specie di drago che respirava fuoco e fumo. E senza dubbio ci impressionò tutti.
Ricordo che un critico di quel tempo scrisse di noi come dei “Tre travolgenti critici di Liberty -
Tucker, Yarros, Lloyd”. Ma la vita si sa è piena di contraddizioni e Tucker si converti presto per
me in un enigma. Era un Jekyll o un Hyde? Questo mostro sulla carta, quando lo si incontrava di

22
Nello stesso articolo Lloyd descrive Tucker con toni molto affettuosi e,
nonostante la rottura ideologica, afferma che “in qualche modo Tucker ed io
continuiamo ad essere buoni amici. Ho sempre ammirato, onorato e
rispettato la sua persona per la sua assoluta sincerità, le sue eccellenti
capacità e il suo reale valore; era veramente gentile, e sempre retto nelle sue
intenzioni, e la penso ancora così. Mi sembrava fosse molto meglio delle sue
idee che erano per lui come un armatura di ferro, dalla quale non poteva mai
uscire.”21
Accantonate le distanze ideologiche, dunque, chiunque abbia scritto di
lui concorda su un punto: il suo valore personale. Nessuno, infatti, ha mai
messo in dubbio le sue grandi doti intellettuali e la sua integrità morale, che
non mancò mai di manifestarsi nel momento in cui ci fosse qualche causa del
cui diritto fosse pienamente convinto. Un chiaro esempio del suo
temperamento e della sua ferezza fu la strenua opposizione che fece alle
leggi Comstock22. Quando, a causa di queste leggi di censura, la celebre
raccolta di poesie Leaves of Grass di Walt Whitman fu posta all'indice, Tucker
resistette con ferma decisione alla proibizione, diffondendo il libro ovunque
fosse possibile. A rimarcare ulteriormente la sua indomabile ferezza, pesò il
fatto che questa violazione della legge la fece alla luce del sole, non in
silenzio e di nascosto, bensì pubblicizzandola apertamente. Tant'è che in una
lettera indirizzata personalmente a Comstock che “superava in mordace

persona, era il gentiluomo più geniale, affabile e affascinante che si potesse immaginare, gentile e
sempre sorridente. Pensai che potesse essere così solo con me, però non seppi di nessuno che
avesse mai ricevuto da lui una parola scortese, e fino ad oggi non so se l'abbia mai pronunciata.
Faccia a faccia questa tigre era una colomba. Ricordo che il mio amico Albert Chavannes,
raccontandomi la sua intervista con Tucker quando visitò New York mi disse ridendo
candidamente “lo trovai come il pirata dai modi più gentili che abbia mai tagliato una gola o
affondato una nave””
21 Ibidem.
22 Le leggi Comstock sono leggi che prendono il nome da Anthony Comstock, uno dei nomi più
famosi della censura puritana. Come leader della commissione di vigilanza dell'Associazione
Giovanile Maschile Cristiana (YMCA) fece la prima legge sull'oscenità approvata nello stato di
New York (1868), di cui la YMCA forzò l'approvazione. Nell'anno 1873, la commissione fu
trasformata nella “Società di New York per la Soppressione del Vizio”. In quell'anno, questa
organizzazione fece forti pressioni al congresso per approvare una legge anti-vizio, scritta da
Comstock. Questa legge riuscì a mettere al bando ogni “libro, plico, immagine, foglio, lettera,
scritto, stampa o altre pubblicazioni oscene, lascive, libidinose e di carattere indecente” nonché di
ogni pubblicità di tale materiale, fissando una pena di cinque mila dollari e/o cinque anni di
reclusione.

23
acutezza e in mortale disprezzo tutto ciò che si possa immaginare” 23 dichiarò,
senza tanti giri di parole, i suoi intenti di stampare, pubblicare e
pubblicizzare Leaves of Grass. Incredibilmente e come riprova del rispetto
nonché del timore reverenziale che la sua personalità era in grado di
emanare, non fu disturbato nella sua violazione, mentre altri, che lavoravano
nell'ombra e con maggiore circospezione caddero nelle maglie della legge. Il
suo coraggio spinse molti ad imitarlo assicurando così al libro una diffusione
incredibile nonostante l'uffciale censura legale. Anni dopo lo stesso
Whitman, che non dimenticò mai questo episodio scrisse di lui che “fece cose
molto coraggiose quando le cose coraggiose erano rare. Non lo potrò mai
dimenticare ... Lo ammiro molto: è valoroso fno al midollo”24.
Altra circostanza signifcativa dove l'anarchico di Boston dette sfoggio
del suo temperamento fu in concomitanza con la pubblicazione di un opera
di Max Nordau25 dal titolo Entartung, ossia Degenerazione. Qui Tucker agisce
sullo sfondo, ma la scintilla dalla quale nascerà la polemica porta la sua
frma. Nordau scrisse questo libro presentando tutti i maggiori artisti
moderni, ad esempio Henrik Ibsen, Émile Zola, Richard Wagner, Dante
Gabriel Rossetti, Friedrich Nietzsche e molti altri, come esponenti della
degenerazione sociale. Sebbene non si sentisse particolarmente ferrato nel
campo artistico, l'istintivo rifuto per la tesi dell'autore spinse l'anarchico a
pregare il suo amico e collaboratore Bernard Shaw di scrivere un articolo in
opposizione a Nordau. Shaw ne demolì completamente il lavoro riempendo
un intero numero di “Liberty” più un vasto supplemento, senza voler alcun
compenso. Quando Tucker venne a conoscenza del rifuto di Shaw di
ricevere una qualsiasi forma di remunerazione, impresse un numero
suffciente di copie da poterne inviare una gratuitamente ad ogni testata
giornalistica statunitense, nonché a qualcuna europea, esaurendo in tal modo
quasi completamente le sue fnanze. Il risultato che ottenne fu però talmente
vasto che Nordau e la sua Degenerazione furono letteralmente spazzati via dal
mondo culturale e non vennero mai più menzionati dalla stampa.
23 R. Rocker, op. cit., p. 204.
24 Ibidem, p. 205.
25 Max Simon Nordau (1849 – 1923) è stato un sociologo, medico, giornalista e leader sionista
ungherese.

24
Come si è potuto constatare da questi brevi cenni biografci la
personalità di Tucker si fonde perfettamente alla personalità del periodico da
lui redatto, quasi fossero l'uno lo specchio dell'altro. Un'analisi
maggiormente approfondita della natura di “Liberty” potrà allora far
emergere in maniera più defnita i contorni della sua fgura sfocata, nonché
fornire un luogo privilegiato dal quale osservare ed estrarre i nuclei tematici
del suo pensiero.
Volendo riprendere il discorso iniziato poc'anzi sulla prima pagina del
debutto della rivista, si può notare che, nonostante l'ouverture “this journal
will be edited to swit its editor, not its reader”, il giornale giocò un ruolo di
forum aperto al dibattito cui presero parte specialmente gli individualisti
radicali. Il suo avvertimento, più che un monito, può allora essere
interpretato come una captatio benevolentia al contrario, un far leva sullo
spirito critico e ribelle dei lettori allo scopo di accattivarne le simpatie e
promuoverne il dissenso e la discussione.
Molto più che l'incipit è importante il sottotitolo: una citazione di
Proudhon che recita “Not the Daugther But the Mother of Order”; Libertà
quindi, non la fglia ma la madre dell'ordine. Frase dalla forte incisività che
palesa, oltre i contenuti tematici del giornale, il grande debito intellettuale
che Tucker aveva nei confronti del pensatore francese, che non si limita alla
condivisione di alcuni contenuti concettuali ma sconfna nella diretta presa di
posizione personale di fronte al grande pubblico. Se, infatti, fu Proudhon il
primo a riabilitare il termine “anarchia”, assunto storicamente sempre con
connotazioni negative, sarà però Tucker l'unico ad appropriarsene
completamente e senza rimostranze, non avendo, date le proprie radici
americane, alcun timore di macchiarsi di infamia all'interno dell'annosa (e
mai terminata) disputa tra liberalismo e socialismo 26.
Reso famoso per l'alta qualità dei suoi contenuti magistralmente unita
alla chiarezza di stile, “Liberty” fu in grado di abbracciare una vasta e
cangiante area tematica di discussioni che andavano dalle teorie economiche
ai diritti dei bambini, dalle libertà civili alle basi della rendita e dell'interesse.

26 Cfr., N. Iannello, La società senza stato, cit., pp. 42-43.

25
Nonostante l'impegno primario e dichiarato del giornale fosse il
dibattito sulle riforme economiche, a scorrerne le pagine si nota come i suoi
interessi furono suffcientemente ampi da includere testi di natura flosofca,
sociologica e politica così come un ritratto a mezza pagina di Sophie
Perovskaya, una giovane nichilista rivoluzionaria russa, prima donna ad
essere giustiziata per motivi politici che divenne, con la caduta dello zarismo,
una martire della contestazione.
La multiforme area d'interesse del periodico si rende evidente anche
dall'importanza che la letteratura giocò al suo interno. Da non considerare
una nota marginale, l'attivismo in ambito letterario fu fondamentale per la
sua diffusione e servì da palcoscenico per farlo conoscere al di fuori dei
confni radicali conferendogli una connotazione spiccatamente
internazionale. Tucker, nonostante la forte militanza nel politico e nel sociale,
seppe apprezzare come pochi l'importanza dell'arte e della cultura per il
singolo e per la società e si mantenne sempre molto aggiornato sui temi
artistici europei ed americani27. Al centro delle tematiche artistiche e dei
dibattiti più disparati della propria contemporaneità, “Liberty” servì allora
da clearinghouse, da lanterna o da faro, per gli altri periodici, con un Tucker
sempre attento agli eventi e alle nuove pubblicazioni, tanto negli Stati Uniti
quanto all'estero, e sempre pronto a tessere le lodi o condannare le deviazioni
di coloro che facevano capolino sulla scena.
In questo modo “Liberty” fnì per diventare un fenomeno culturale più
che un semplice periodico, una creatura dalla natura ibrida che coincideva e
si rifetteva con quella del proprio autore. Radicati entrambi in modo univoco
nella tradizione americana dell'individualismo anarchico, seppero essere un
esempio di cosmopolitismo aperto ad ogni ventata di novità. Tucker fu
universalmente riconosciuto, forse ieri più che oggi, privo di qualsivoglia
lente intellettuale deformante, aperto a qualsiasi tipo di dialogo e tanto
tollerante quanto convinto delle proprie posizioni. Si potrebbe dire, senza

27 La volontà di tradurre, stampare e diffondere grandi testi della letteratura europea è costante
durante tutto l'arco della sua carriera editoriale. Si vedano le pubblicazioni della “Radical
Review”, le traduzioni di Nietzsche, Stirner, il già citato Whitman e molti altri in “Liberty”,
nonché la pubblicazione di una rivista bisettimanale dal titolo: “The Transatlantic” (1889 - 1890)
dove riportava interi racconti tradotti in lingua inglese.

26
cadere in errore, che per lui i confni nazionali erano semplicemente delle
manifestazioni fsiche e geografche del governo e dello Stato, ovverosia di
quella istituzione costrittiva e autoritaria che rifutava adamantinamente.
Proprio per questo motivo situazioni o fatti di cronaca europea o russa
sostituivano spesso le notizie e i dibattiti americani interni, occupando un
numero sorprendentemente alto di pagine.
Alla luce di questa sua natura ibrida e frastagliata, è possibile affermare
che “Liberty” fu tanto innovatore quanto perno della tradizione. Come si è
accennato, infatti, era già presente in America, anche se in maniera vaga e
inconsapevole, un sostrato anarchico ben radicato e caratteristico dal quale
l'anarchico di Boston e il suo giornale poterono forire. Come parte di questa
tradizione ideologica, che affonda le sue radici in personaggi romanzeschi
come la già citata Hutchinson, come il flosofo e poeta trascendentalista
Emerson, come l'industriale e sperimentatore sociale Owen e molti altri fno
ad arrivare a Jefferson e alla dichiarazione di indipendenza, “Liberty” non
emerse né operò in un vuoto intellettuale.
L'avventura giornalistica di Tucker terminò il 1908: un anno prima
aveva affttato l'intero pian terreno di un edifcio al 502 della Sesta Strada a
New York che ribattezzò Benj. R. Tucker's Unique Book Shop, mentre a pochi
isolati da lì, in una struttura nota come Parker Building catalogò e raccolse in
un magazzino tutti i testi e tutto il materiale pubblicato fno ad allora, nonché
la strumentazione tecnica come le macchine da stampa. Nel gennaio del 1908
un incendio avvolse il Parker building consumandolo completamente e
distruggendo il magazzino di Tucker con tutto il materiale al suo interno.
Non assicurato - in quanto contrario ai grossi premi assicurativi a suo dire
gonfati da politiche di privilegio - l'anarchico perse tutto quanto vi aveva
investito. Il numero di aprile di quell'anno di “Liberty” fu l'ultimo ad uscire,
mentre il suo editore si trasferiva in Europa convinto di poter riprendere da lì
le pubblicazioni. Questo però rimase solamente un sogno, reso impossibile
dalla mancanza di mezzi, e forse anche di volontà, dell'anarchico americano.
Dopo un soggiorno in Francia durato sino agli albori della prima guerra
mondiale, Tucker si trasferì a Monaco, dove si spense, a ottantacinque anni, il

27
22 giugno del 1939.
Negli ultimi anni della sua vita divenne assai pessimista circa
l'applicazione delle sue idee. Nel 1926, infatti, la casa editrice Vanguard Press
pubblica una selezione di suoi scritti intitolati Individual Liberty, in cui è
possibile leggere un post-scriptum di State Socialism and Anarchism nel quale
egli manifesta tutto il suo pessimismo per il futuro, soprattutto vista
l'incredibile concentrazione di ricchezza che quarant'anni prima non era
minimamente preventivabile. In quest'ultimo periodo europeo si può dire
che la vita ne stemperò gli entusiasmi e ne distrusse i sogni: nato sette anni
prima dello scoppio della guerra di secessione, morì quando era già nell'aria
la seconda guerra mondiale. L'uomo che aveva affermato che “ogni autorità
esterna all'individuo è tirannia” 28 vedeva realizzarsi nel mondo
contemporaneo le proprie peggiori paure: l'America libertaria jeffersoniana
era gradualmente diventata il “leviatano” di Franklin Delano Roosevelt, e
l'Europa, che aveva fnora garantito, bene o male, il rispetto delle
fondamentali libertà si lasciava abbracciare dal mostro bifronte del
totalitarismo di Hitler e Stalin.

28 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism: How Far They Agree and Wherein They Differs, in
Individual Liberty: Selections from the Writing of B.R. Tucker, 1926, Kraus Reprint Co., Millwood,
N.Y. 1973, p. 14.

28
2.2 - La sovranità dell'individuo e la teoria del valore-lavoro

Due tematiche fondamentali, la prima patrocinata da J. Warren e la


seconda generata dal dibattito economico, stanno alla base di “Liberty” e ne
accompagnano i dibattiti durante tutto l'arco della sua pubblicazione.
Il punto di partenza del sistema teorico, frammentariamente esplicitato
ma costantemente sostenuto da Tucker, è il principio dell'assoluta sovranità
dell'individuo tratteggiato da Warren nel suo Manifesto. Questo principio,
preesistente alla nascita di “Liberty” e comune un po' a tutto il sostrato
anarchico statunitense, può essere riassunto nel fatto che ogni essere umano
possiede, per il solo fatto di essere un essere umano, una inalienabile
giurisdizione morale sul proprio corpo e su ciò che produce.
Anche se al giorno d'oggi la sovranità dell'individuo può sembrare a
torto una banalità, è bene sottolineare che risulta uno degli aspetti più
signifcativi di tutto il pensiero americano dalle sue origini ai giorni nostri.
L'infuenza che ebbe sulle successive generazioni del movimento fu enorme,
tanto da essere un'impostazione fatta propria pure dall'anarchismo
europeo29. Si potrebbe dire che questo assunto sia il nucleo incrollabile
dell'individualismo tout court, non tanto, dunque, di questa o quella corrente
politica, ma dell'impostazione morale, flosofca e sociale che fa
dell'individuo il punto di partenza delle proprie rifessioni.
Warren, primo grande maestro di Tucker che a lui dedicherà la
pubblicazione del suo Instead of a Book30, scrive il proprio Manifesto a partire
dal fallimento dell'esperienza comunitaria New Armony, fondata dal
riformatore britannico Robert Owen nello stato dell'Indiana. Per togliersi di
dosso l'etichetta di demiurgo di società che gli era stata affbbiata e per
giustifcare ed argomentare la propria teoria sulla sovranità individuale,
decide di buttare giù, nelle poche pagine che costituiscono questo scritto, i
principali fondamenti teorici che l'hanno accompagnato durante tutto il corso

29 Nella sua accezione minore di stampo individualista.


30 B.R. Tucker, “To the Memory of My Old Friend and Master Josiah Warren, Whose Teachings were
My First Source of Light, I Greatfully Dedicate this Volume” in Instead Of A Book, By A Man Too
Busy To Write One, versione integrale on-line in lingua originale nel sito Fair Use Repository,
basato sull'edizione edita da Elibron Classics' 2005.

29
della vita, facendo in tal modo del Manifesto un'opera cardine di tutto
l'anarchismo americano. Qui lo si vede prendere nettamente le distanze da
un certo tipo di “sperimentalismo sociale”, negando esplicitamente di essere
uno dei tanti riformatori che imperversano nell'America di quel tempo e
aggiungendo di non essere mai stato interessato alla fondazione di nessuna
comunità, vedendo in esse delle artificial combinations31 di individui
spossessati della propria personalità. Per lui, che a tale progetto aveva
aderito con un iniziale entusiasmo, non era il comunismo, sia pure in assenza
di Stato32, a risolvere i problemi sociali, quanto il principio opposto riassunto
nella disconnection33 dalle relazioni formali e da qualsiasi forma di contratto
sociale.

Tutti quelli che hanno ascoltato o letto qualcosa di mio in questo ambito,
sanno che uno dei punti principali, sui quali ho sempre insistito, afferma
che la formazione di società o di qualsiasi altra classe di combinazioni
artifciali è il primo, più grande e fatale errore commesso dai riformatori
e legislatori. Ogni comunità richiede l'abdicazione della naturale
sovranità dell'individuo sulla propria persona, tempo, proprietà e
responsabilità, a favore del “governo della combinazione”. Questo tende
a prostrare l'individuo trasformandolo in un semplice strumento;
coinvolgendo altri nella responsabilità dei suoi atti e
responsabilizzandolo a sua volta, delle azioni e dei sentimenti dei suoi
associati; in questo modo agisce irresponsabilmente sui propri interessi,
senza possedere alcuna certezza sull'esito delle proprie azioni e quasi
senza una testa che osi usare per conto proprio e che, di conseguenza,
non arriva mai a conoscere i grandi propositi per i quali la comunità è
stata fondata.34

La critica mossa in questo frammento ai fondatori di comunità richiama alla


memoria, per contenuto ed incisività, la critica che il liberale francese “sul flo
dell'anarchia” - per utilizzare le parole di Iannello - Frédéric Bastiat, scaglia
31 J. Warren, Manifesto, riportato in versione integrale e in lingua originale in
www.anarchism.net/warren-manifesto.htm
32 Il termine “Stato” viene scritto con la maiuscola per rimanere fedeli al modo in cui viene scritto
nelle opere di Tucker.
33 Ibidem.
34 Ibidem.

30
conto “il legislatore”:

Non bisogna stupirsi che i pubblicisti del diciannovesimo secolo


considerino la società come una creazione artificiale uscita dal genio del
Legislatore. Tutti hanno visto tra l'umanità e la società gli stessi rapporti
che tra l'argilla e il fabbricante di vasi.35

E ancora:

Gli uomini non sono nient'altro che materiali vili [semplici strumenti
come dirà Warren]. Non sta a loro volere il bene, - ne sono incapaci – sta
al Legislatore […]. Gli uomini non sono che ciò che egli vuole che
siano.36

Il principio della sovranità dell'individuo si rivela qui alla base


dell'impossibilità della felice riuscita di una società costruita a tavolino, di
una comunità che è una “creazione artifciale”, una “combinazione
artifciale” che non tiene conto della libertà e diversità degli attori sociali.
Questo assunto, che sarà più avanti centrale anche nei pensatori della Scuola
Austriaca di economia, nonché nel Libertarismo anarco-capitalista di matrice
rothbardiana sotto il concetto di self-ownership o proprietà di se stesso, resterà
dall'inizio alla fne il pilastro centrale e la colonna portante di tutto il pensiero
tuckeriano, nonostante le leggere scosse ideologiche che ne
accompagneranno l'evoluzione.
La seconda tematica che sta alla base di “Liberty” è di carattere
economico e muove dalla teoria del valore lavoro, spesso espressa dalla frase
“costo limite del prezzo”. Nodo nevralgico di tutto il pensiero anarco-
individualista, questo principio si esplicita nella concezione secondo la quale
il lavoro è la reale misura del valore di un bene.
Fatto proprio tanto da Warren quanto da Proudhon e da Marx, da esso
deriva l'impegno mostrato dal movimento anarchico, e non solo, affnché il
lavoratore possa farsi proprietario del prodotto del proprio lavoro e, sempre
dallo stesso principio, discenderanno i contenuti più autentici ed incisivi
dell'anarchismo statunitense magistralmente enunciati in quello che è
35 F. Bastiat, Ciò che si vede ciò che non si vede, Leonardo Facco Ed., Bergamo 2005, p. 125.
36 Ibidem, pp., 138-39.

31
senz'altro l'articolo più importante scritto dal redattore di “Liberty”: State
Socialism and Anarchism: How far they agree, and wherein they differ37.
In questo brillante saggio, che nasconde una storia un po' particolare 38,
si possono ritrovare esposte nitidamente tutte le conseguenze derivanti
dall'assunzione del su citato principio economico:

From Smith's principle that labor is the true measure of price – or, as
Warren phrased it, that cost is the proper limit of price – these three man
[Warren, Proudhon e Marx] made the following deductions: that the
natural wage of labor is its product; that this eage, or product, is the
only just source of income (leaving out, of course, gift, inheritance, etc.);
that all who derive income from any other source abstract it directly or
indirectly from the natural and just wage of labor; that this abstacting
process generally takes one of three form, - interest, rent, and proft; that
these three constitucte the trinity of usury, and are simply different
methods of levying tribute for the use of capital; that capital being
simply stored-up labor which has already received its pay in full, its ue
ought to be gratuitous, on the principle that labor is the only basis of
price; that the lender of capital is entitled to its retur intact, and nothing
more; that the only reason why the anker, the stockholder, the landlord,
the manufacturer, and the merchant are able to exact usury from labor
lies in the fact that they are blecked by legal privilege, or monopoly; and
that the only way to secure labor the enjoyment of its entire pproduct, or
natural wage, is to strike down monopoly.39

Vero pilastro portante della “critica al capitale” - con tutte le virgolette


che accompagnano una frase del genere quando si parla di anarco-
individualismo di origine anglosassone - la condivisione della teoria del
“valore oggettivo”, per la quale il valore di un bene risiede nella somma del
37 Cfr. B.R. Tucker, primo degli articoli presenti in entrambe le raccolte: Instead of a Book: by a Man
too Busy to Write One, del 1893, e Individual Liberty, del 1926.
38 Il saggio fu infatti scritto da Tucker nel 1886 in risposta alla richiesta dell'editore della “North
American Review” di fornirgli un articolo sull'anarchismo. Il testo venne accettato, annunciato al
pubblico e retribuito ma non fu mai pubblicato su quella rivista. Dopo aver inviato numerose
lettere con richieste di spiegazioni, il manoscritto fu rispedito al mittente, malgrado l'editore della
rivista dichiarasse essere il più valido articolo che avesse mai ricevuto durante la sua direzione.
Comparì poi come il principale e più importante articolo della raccolta data alle stampe da Tucker
Istead of a Book: by a Man Too Busy to Write One, la cui prima edizione risale al 1893.
39 B. R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 10.

32
costo delle materie prime e del “lavoro contenuto” nel prodotto, diventa la
lente attraverso la quale i radicali americani guarderanno alla politica, alla
struttura della società e all'economia.
Non stupisce allora come essi siano arrivati a sostenere che il salario
naturale del lavoro coincida con il prodotto di tale lavoro; che questo salario,
ossia questo prodotto, sia la unica forma legittima di entrata; che tutti coloro
che hanno entrate di natura differente le sottraggono in maniera diretta o
indiretta a questo salario naturale; che tale processo di sottrazione prende
generalmente tre forme che si concretizzano nella rendita, nell'interesse e nel
proftto, ovverosia nella trinità dell'usura da combattere e debellare dalla
società come la peggiore forma di morbo possibile, cioè l'unico modo che
rende praticabile ed istituzionalizza il celebre sfruttamento dell'uomo
sull'uomo.
La ragione per la quale il capitale riesce ad estrarre usura dal lavoro
viene rintracciata dagli anarchici nei privilegi legali e nei monopoli che lo
stato gli concede. Risulta allora una conseguenza quasi matematica la
soluzione auspicata dall'entourage del periodico tuckeriano: l'unico modo di
assicurare che il lavoro riceva il suo compenso naturale è rovesciare i
monopoli. Come? Destituendone la causa che li origina, lo Stato.
Qui si inserisce dirompentemente la critica tuckeriana al comunismo
chiamato State socialism. Se, infatti, la teoria economica sulla quale si basa è la
stessa e la necessità che ne deriva, di rovesciare i monopoli, è la medesima,
diametralmente opposta risulta invece la modalità attraverso la quale il
socialismo di matrice statalista spinge per l'attuazione di questa
eliminazione. Si tornerà successivamente su questo punto che appare come la
critica più tagliente mossa da Tucker ad un'istanza politica, basti sottolineare
qui la viva preoccupazione del radicale per i movimenti marxisti che
iniziavano ad emergere e che si dimostravano, ai suoi occhi, apertamente
liberticidi.

33
2.3 – L'egoismo stirneriano

Se queste due - la sovranità dell'individuo e la teoria del valore-lavoro -


rimangono le tematiche fondamentali che costituiscono la trama delle pagine
di “Liberty”, altri consistenti dibattiti appaiono in maniera tutt'altro che
marginale. Primo per importanza quello che verte sull'emergente ideologia
dell'egoismo stirneriano, che si tenne tra i collaboratori interni al giornale
stesso. Questa discussione fu la prima di ampio respiro flosofco tanto da
essere defnita dall'anarchica canadese Wendy McElroy “a window into the
tone and level of intellectual discussion Liberty promoted” 40.
Il dibattito si concentrava su quale fosse la strada teorica da prendere
per intendere il concetto di diritto. A fondare la teoria dell'individualismo
radicale doveva essere l'egoismo di matrice stirneriana o l'impostazione
giusnaturalistica del diritto naturale? Solo apparentemente di secondaria
importanza, questa contesa teorico-concettuale aprì una voragine tra le
frange dell'individualismo statunitense.
Nel tentativo di delineare una genesi storica del contenzioso, è
necessario ricordare che l'interesse per le idee di Stirner nacque, negli States,
alla fne dell'Ottocento, quando le traduzioni e le divulgazioni fornite da
James L. Walker, Steven T. Byington e John Beverly Robinson, agitarono
l'ambiente intellettuale americano. Dal maggio del 1890 al settembre del 1891
Walker, protagonista principale della questione, pubblicò infatti i primi
dodici capitoli di una sua opera pionieristica intitolata Philosophy of Egoism41
nella rivista anarchica Egoism, periodico californiano che infuenzò
considerevolmente il pensiero di Tucker in questo ambito. Prima di questa
serie di saggi però “Liberty” aveva già introdotto l'egoismo attraverso gli
articoli di Walker e di George Schumm 42.
La miccia polemica la ritroviamo infatti nel numero di "Liberty" del 6

40 W. McElroy, op cit., p. 426.


41 J.L. Walker, Philosophy of Egoism. 1905, interamente disponibile in tutti i suoi dodici capitoli in
lingua originale nella pagina web: Anarchy Archives, An Online Research Center on the History
and Theory of Anarchism.
42 Uno stretto collaboratore di Tucker che trascorse gran parte della sua vita facendo da correttore di
bozze per il settimanale liberale “The Nation”.

34
marzo 1886, dove al suo interno viene pubblicato un articolo di Walker
intitolato What is Justice?. L'autore, sotto lo pseudonimo di Tak Kak, dichiara
senza tanti fronzoli che concetti quali “giusto”, “sbagliato” e “giustizia” non
hanno affatto una base ontologica, né una fssità oggettiva ma sono “merely
words with vague, chimerical meanings”.
La risonanza e l'effetto che provocarono queste poche parole fu
impressionante. Se prima di allora la legge di natura era acriticamente
assunta come il fondamento di tutte le varie correnti individualiste, fossero
esse radicali o no, da ora la questione non si poteva più eludere o passare in
sordina poiché l'irrompere dell'istanza stirneriana ne scompaginò
rumorosamente il quadro teorico.
La nuova visione infatti, rifuta dichiaratamente il concetto di dovere
(ought) come punto prospettico privilegiato dal quale guardare e spiegare le
relazioni intersoggettive. Il dovere non è più, secondo gli egoisti, l'adeguato
fattore che governa le emozioni e il comportamento umano. Essi sostengono
invece che, per comprendere il movente dell'azione umana è più che
suffciente il puro self-interest e che esso fornisce la sola base “realistica” per
la comprensione della condotta umana.
La risposta non si fece attendere e i sostenitori del diritto naturale -
William Lloyd, Sidney Morse e soprattutto John Kelly - contestarono
apertamente la forte presa di posizione del collega. Quest'ultimi, a differenza
di Walker e dell'anarchico tedesco, ritenevano infatti esistessero dei concetti
naturali ed oggettivi del right and wrong tali che da soli potessero guidare il
comportamento umano. L'importanza di tale concezione non si esaurisce
però in questa mera presa di posizione, l'esistenza di una griglia assiologica
oggettiva giocava per loro un ruolo fondamentale proprio all'interno della
sfera politica e della critica alle ingiustizie sociali. I diritti naturali fornivano,
infatti, uno standard oggettivo di riferimento grazie al quale la gente poteva
avere un punto fermo da opporre al governo e mediante il quale sarebbe
stata in grado di giudicare la giustezza della legge promulgata ed imposta da
quest'ultimo.
E' necessaria a questo punto una precisazione, bisogna specifcare che

35
tanto l'egoismo quanto la teoria dei diritti naturali dal punto di vista
prasseologico erano identici, così come identici erano i loro obbiettivi,
entrambi erano, infatti, apertamente antistatalisti ed entrambi condividevano
il comune scopo del rovesciamento dello Stato. La sola differenza risiedeva
allora nella diversa base teorica assunta per l'edifcazione della costruzione
anarchica.
L'opposizione e il rifuto dello Stato da parte degli egoisti non era certo
di minor forza polemica di coloro che si richiamavano a un discorso
moralistico sulla difesa di presunti diritti naturali. Rifutando in toto
qualsiasi forma di autorità o principio trascendente l'unicità individuale, gli
stirneriani non potevano che guardare con orrore ad una organizzazione in
grado di incatenare senza troppi problemi l'individuo alla volontà generale.
Bisogna però stare attenti ad una cosa, se lo Stato viene visto come un'istanza
inaccettabile e costrittiva, non dobbiamo con questo estendere la rifessione
alla società tutta. Gli argomenti contro lo Stato non devono essere confusi con
il rifuto della società in generale, poiché essa al contrario gode di una
spontanea luce positiva che, generata forse per contrasto con lo Stato, la fa
risaltare ancor più come un bene da salvaguardare. Non disdegnando affatto
un'impostazione di carattere utilitarista, la società, chiamata da quest'ultimi
union by advantage, viene vista come un'inestimabile fonte di civiltà e
progresso. Soltanto essa è in grado di fornire all'individuo dei veri e propri
vantaggi che al contrario lo Stato disgrega.
A questo punto, se gli obbiettivi da conseguire si rivelano gli stessi e il
giudizio riguardo Stato e società è il medesimo, per quale ragione lo scontro
di fazioni così agguerrite? Come si è già avuto modo di accennare,
l'agitazione che gli egoisti furono in grado di creare ha natura prettamente
concettuale e di principio. Il problema di fondo è, come venne fatto loro
notare dai partigiani della frangia opposta, che essi rigettano più dei semplici
diritti naturali perché insieme ad essi abbandonarono il concetto di principio
stesso.
Tak Kak dichiara infatti nel suo articolo - parafrasando e riportando
quasi intatte le parole di Stirner - che “the devote of a fxed idea is a mad. He

36
either runs amuck, or cowers as mesmerized by the idea”, ossia che la
persona impossessata e devota ad un'idea fssa è un pazzo e si comporta
come tale correndo freneticamente o rannicchiandosi come ipnotizzato
dall'idea.
J. Kelly, convinto spenceriano, a tale presa di posizione non poté fare a
meno che replicare agguerritamente; tant'è che nello stesso anno risponderà
a Walker sostenendo, con un gioco di parole, che “the idea that there are no
rights but mine, is to say that there are not rights, only mights” ovverosia che
il sostenere che non ci sono diritti ma solo “il mio”, è come dire che non
esistono giusti ma solo forti.
In parole povere i sostenitori dei natural rights accusano la stirneriana
presa di posizione di fronte a qualsiasi tipo di autorità, sia essa fsica o
concettuale, come un estremismo che porta alla distruzione non solo dei
diritti naturali ma dell'anarchismo individualista stesso. A questa critica gli
egoisti ribattono sostenendo che loro non fanno nulla di tutto questo ma
riconducono semplicemente il concetto di diritto al suo posto corretto: come
un utile costrutto artifciale con cui strutturare ed organizzare la società.
E' in questo acceso dibattito che si manifesta la svolta più signifcativa
nel pensiero di Tucker. Convinto dalle idee di Walker si convertì infatti in un
partigiano dell'egoismo senza per questo rinnegare le proprie posizioni circa
gli altri assunti individualistici, riuscendo così a creare una originalissima
sintesi priva di uguali nel panorama dell'anarchismo mondiale.
Egli continuò a credere in ciò che ha sempre chiamato society by contract
ma arriva ad identifcare i diritti come co-prodotti dei contratti inter-
individuali, quindi non come sussistenti di per se stessi, bensì come delle
conseguenze, più o meno involontarie, della volontà dell'individuo di
stringere contratti con gli altri soggetti, tutti ugualmente mossi dal puro self-
interest. I diritti vengono allora a confgurarsi come un:

Tacit agreement or understanding between human beings ... as


individuals living in daily contact and dependent upon some sort of
cooperation with each other for the satisfaction of their daily wants, not
to trespass upon each other’s individualism, the motive of this

37
agreement being the purely egoist desire of each for the peaceful
preservation of his own individuality.43

cioè un tacito accordo tra esseri umani intesi come individui che vivono
quotidianamente a contatto tra loro attraverso reciproche forme di
cooperazione atte a soddisfare i loro voleri senza sconfnare nella sfera
d'azione degli altri. Il motivo di questo accordo è il desiderio puramente
egoistico di una pacifca convivenza e di conservazione della propria
individualità.
A questo nuovo atteggiamento promosso da Tucker, risponde
criticamente il suo collega J. Kelly che, saltando all'attacco del redattore di
"Liberty" e della sua versione del diritto interpretato come springing full
grown, come “nato pienamente cresciuto” nell'atto del contratto, afferma
l'insostenibilità logica di una posizione siffatta. Quello che si contesta in
questo caso è l'impossibilità di basare una cosiddetta “società per contratto”
su una visione che non consideri il contratto come possessore di un qualche
effetto obbligante. Tutt'altro che sprovveduto, Kelly nega la possibilità che
l'effetto obbligante di un particolare contratto possa derivare dal contratto
stesso, e sostiene al contrario che, se un qualsiasi contratto risulta effcace la
sua effcacia deriva dal fatto che l'effetto obbligante (che sta alla base della
capacità del contratto di produrre pienamente lo scopo desiderato) risiede al
di fuori di esso e preesiste ad esso.
Dichiarando ciò, Kelly sottolinea quello che credeva essere il difetto
principale dell'egoismo. Un contratto presuppone per lui un sistema morale
cui fare riferimento, infatti, che cosa si intende per contratto se non uno
scambio volontario di ciò che è mio con qualcosa che è tuo? Incastrati
all'interno dell'idea stessa di contratto sono presenti allora per lo meno due
concetti: quello di proprietà, cioè del mio contro il tuo, e quello di un azione
volontaria in contrapposizione ad uno scambio forzato. I diritti naturali,
quali la proprietà (mio, tuo) e la libertà (azione volontaria) costituiscono
allora l'effetto obbligante che garantisce il corretto funzionamento di ogni
azione contrattuale e questi, lungi dal sorgere posteriormente o

43 W. McElroy, op. cit., p. 427.

38
contemporaneamente all'atto del contratto, appartengono a quel quadro
morale di riferimento che necessariamente precede e preesiste ad esso.
Sostenere a questo punto, come fa Tucker, che i diritti nascono
artifciosamente “già cresciuti” vuol dire, per Kelly, manifestare una
lampante inversione dell'ordine logico. I contratti possono sussistere
solamente in relazione a dei diritti già presenti e operanti, e una società civile
senza Stato che si vuole basata e costruita su legittimi contratti volontari tra
individui consenzienti deve essere consapevole di ciò.
Questo è il nucleo di una delle più celebri controversie apparse tra le
righe di “Liberty” che vide contrapposti da un lato i sostenitori della nuova
istanza egoistica di matrice stirneriana e dall'altro i sostenitori del diritto
natutale, e che porterà quest'ultimi a ritirarsi permanentemente dalla
collaborazione col giornale. Da allora in poi “Liberty” si spostò in modo
sempre più deciso verso il pensiero stirneriano, anche se il risultato dal punto
di vista contenutistico cambierà di poco. Un dato signifcativo, da questo
punto di vista, sarà l'impegno speso nella traduzione inglese ”The Ego and
Its Own” de Der Einzige und sein Eigentum. Tucker sarà, infatti, talmente
assorbito da questo lavoro che nel mese di febbraio del 1907 la pubblicazione
di “Liberty” verrà sospesa per riprendere il mese successivo. In quell'anno
vedrà la luce la prima traduzione integrale dell'opera di Stirner ad opera di
Byington e curata da Tucker, che nei ringraziamenti dichiarerà essere
“superior to any translation that has appeared in any other language and
even to the German original”. L'impegno di Tucker nei confronti della
dottrina egoistica - che sposerà interamente - può essere giudicato in ultima
analisi dalle stesse parole che pronuncerà nel 1907 e che manifestano tutta la
soddisfazione ricevuta dalle fatiche spese nella divulgazione dell'ormai
classico tedesco:

I have been engaged for more than 30 years in the propaganda of


Anarchism, and have achieved somethings of which I am proud; but I
feel that I have done nothing for the cause that compares in value with
my publication of this illuminating document.44
44 Ibid., p. 428, trad. propria: “Sono stato impegnato per più di trent'anni nella propaganda anarchica,
producendo qualcosa di cui sono fiero; ma penso di non aver compiuto niente per la causa che

39
CAP. 3
TUCKER SOCIALISTA

3.1 - Socialismo di Stato e Anarchia

Tucker si è considerato per tutta la vita un socialista, o per lo meno un


esponente di una delle correnti di questa grande famiglia ideologica dai
contorni sfumati. Ma è davvero etichettabile come tale? Cercare di fare un po'
di chiarezza tra la selva delle sfumature politiche si impone
obbligatoriamente e, pur sembrando un compito pedante e superfciale che
nulla toglie o aggiunge al suo pensiero, rimane ferma l'idea che un lavoro
come questo, che si pone come obbiettivo quello di rispolverare e dare nuova
vita all'immagine di questo autore, non può esimersi dal compiere.
Il compito del presente capitolo è di verifcare se al giorno d'oggi, a
distanza di quasi cent'anni dalla sua dipartita, la categoria politica
“socialista”, della quale si autodefniva un esponente, possa essere in grado
di incasellarne il pensiero. I problemi che sorgono da questo incarico e la loro
complessità non sono da sottovalutare. Si potrebbero schematicamente
riassumere in due classi differenti, una per così dire endogena ed una
esogena. La prima viene fatta risalire alla natura interna del suo pensiero che,
come del resto per tutti gli anarchici, risulta molto spesso frastagliata,
frammentaria e in ultima analisi diffcilmente ascrivibile ad una ben precisa
collocazione politica. La seconda rispecchia, invece, le diffcoltà emergenti
dalla continua mutevolezza della concettualità politica stessa, che pur
mantenendo da secoli lo stesso vocabolario, muta drasticamente nel tempo
l'orizzonte di senso che le varie parole fniscono per assumere. Questo non
solo dal punto di vista prettamente contenutistico, per cui la democrazia
degli antichi non ha nulla a che vedere con la democrazia contemporanea

possa essere comparato per valore con la mia pubblicazione di questo illuminante documento”.

40
che, come ci insegna Constant, si esprime in una forma di governo
impossibile da paragonare alla prima, ma anche e soprattutto dal punto di
vista assiologico. Connaturato forse maggiormente ai concetti dell'arena
politica che ad altri, le parole che i movimenti e le personalità politiche
utilizzano come bandiere per identifcarsi, sono fondamentalmente miranti a
suscitare una reazione molto più emotiva che razionale. Non sorprende
allora che il retroterra su cui poggiano le fondamenta sia più valoriale che
razionale e che, in base al momento storico in cui sono state utilizzate, le
parole si siano identifcate con sfere emotive differenti subendo in questa
maniera un corrispondente slittamento di signifcato. La stessa parola
democrazia può essere un buon esempio a testimonianza di questa
deviazione. Come ricorda Giovanni Sartori in Democrazia, Cosa è, del 1993, il
termine democrazia ha assunto un signifcato positivo solo in età moderna,
mentre prima di allora fu sempre letta con connotazioni prettamente
negative sulla base dalla classifcazione aristotelica delle diverse forme di
governo45. Destino simile lo ebbe il termine anarchia che fu risollevato dalla
sua connotazione negativa prima da Proudhon e poi da Tucker, per fnire
successivamente a rivestire un'altra volta gli abiti scuri e mal visti del
terrorista bombarolo, che ancora accompagnano l'immagine dell'attivista
anarchico.
Con la parola socialismo allora che si intende? Se, come si è detto, i
concetti politici e i termini che li veicolano subiscono durante il corso degli
anni un non sottovalutabile slittamento semantico, a questa diffcoltà si deve
aggiungere che l'etichetta da prendere in esame si dimostra già di per sé
estremamente ampia e labile. In maniera analoga a ciò che successe al
liberalismo, il termine socialismo ebbe una storia lunga e complessa che lo
vide ricoprire via via differenti ruoli. Non avendo un solo padre fondatore e
non essendo una dottrina univoca, molti pensatori, dalle opinioni spesso

45 Aristotele, lo si ricorda brevemente, collocava la democrazia tra le forme degenerative di governo,


per lui democrazia era il cattivo governo dei molti, tale perché nella democrazia i molti
governavano nel loro proprio interesse invece che in quello generale. Il suo argomento logico e la
sua classificazione delle forme di governo si costruisce su due criteri: il numero dei governanti e
l'interesse che essi perseguono. Così il governo dell'uno si sdoppia in monarchia (buona) e
tirannide (cattiva), quello dei pochi in aristocrazia (buona) ed oligarchia (cattiva), e quello dei
molti in politeia (buona) e democrazia (cattiva).

41
divergenti, si sono fregiati nell'arco della storia di questo stendardo lessicale,
contribuendo così a generare la confusione di oggi. Il socialismo lo si
potrebbe defnire come un complesso di ideologie, orientamenti politici,
movimenti e dottrine che tendono ad un intervento trasformatore nella e
della società, avente come fne l'uguaglianza di tutti i cittadini tanto sul piano
giuridico quanto su quello economico. Se risulta diffcile districarsi
all'interno di tutte le fazioni e correnti presenti nel suo insieme, si può
comunque tentare di isolare dei punti nevralgici fssi che, per lo meno alle
origini, ne delineavano il proflo. Essi sono: la visione della società come ente
suddiviso in classi e il conseguente obbiettivo di superare questa divisione
che si confgura come antitetica rispetto all'ideale egualitario; la critica alla
proprietà privata, in quanto base materiale della disuguaglianza, e il
tentativo della sua soppressione attraverso la statalizzazione o
socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
Ai giorni d'oggi le cose sono chiaramente cambiate e ipostatizzare l'idea
dei movimenti socialisti a questa visione storica ed anacronistica sarebbe
sbagliato. I modelli economici di riferimento che ne costituivano la base, e
che in fondo erano i medesimi in possesso di Tucker, vengono ormai visti
come obsoleti e incapaci di leggere la realtà contemporanea. Il socialismo
come ideologia nuda e cruda non esiste più e i vari partiti politici che si
defniscono socialisti o socialdemocratici, sono più che altro caratterizzati,
rispetto a quelli liberali, da una spinta all'accentramento del potere statale e
dall'idea che quest'ultimo debba intervenire nel mercato per dirigere
un'economia che, lasciata a se stessa, porterebbe ad accentuare la
disuguaglianza e di conseguenza l'ingiustizia sociale.
Rispetto a questo quadro l'anarchico di Boston assume una posizione
anomala. Se di punti di contatto se ne possono trovare diversi, altrettanti
sono gli assunti teorici e le prese di posizione che divergono apertamente.
Sebbene le concezioni assimilabili al socialismo possano essere
numericamente maggiori di quelle da esso dissociabili, quest'ultime risultano
molto spesso decisive nei dibattiti, o sicuramente di maggior incisività,
fnendo per caratterizzare come particolarissimo il pensiero di Tucker.

42
Anche se l'importanza rivestita dall'apparato teorico del radicalismo
tuckeriano è dettata dalla risultante della somma delle due visioni
tradizionalmente opposte, si procederà ora a sezionare col bisturi dell'analisi
ciò che può essere ascritto alla corrente socialista e ciò che da essa si discosta.
Gli aspetti che emergono dalla scarnifcazione delle pagine di "Liberty"
pongono l'attenzione sui seguenti punti: 1) i maestri di pensiero che Tucker
cita con maggiore ammirazione, come Proudhon, sono quasi tutti di
tendenze socialiste; 2) la parola capitalismo non è mai priva di connotazioni
negative; 3) lo Stato è sempre avversato per il motivo che esso viene visto
come lo strumento con cui le classi abbienti si arrogano il diritto di attribuirsi
ingiusti privilegi; 4) il proftto e l'interesse vengono molto spesso, se non
sempre, paragonati all'usura poiché sulla scia della concezione economica
proudhoniana impediscono ai lavoratori di godere appieno del prodotto del
loro lavoro; 5) negli scontri sociali del tempo si è sempre schierato con
decisione al fanco degli operai in sciopero, dei manifestanti, dei dissidenti o
in una parola degli oppositori alle autorità.
Le caratteristiche qui isolate porterebbero a considerare il nostro autore
come un socialista nudo e puro. A compiere un brevissimo passo si potrebbe
addirittura scivolare nella credenza che Tucker fosse un sostenitore del
socialismo scientifco, della lotta di classe, della socializzazione dei mezzi di
produzione o addirittura della dittatura del proletariato. Niente di tutto
questo. Le idee diffuse dall'anarchico su "Liberty" rappresentarono, nel secolo
scorso, una critica al marxismo e a tutte le varianti del socialismo statalista
ben più diretta ed effcace di tante altre provenienti dal campo opposto. I
suoi argomenti a difesa della libertà individuale, della proprietà e del libero
scambio superarono, per mordace acutezza ed intransigenza quelli avanzati
dai timidi liberali del tempo, troppo spesso favorevoli a regimi conservatori e
cooperanti con apparati statali militaristi e protezionisti. Si può affermare con
certezza che non condivise mai l'idea della divisione classista della società.
Sebbene sostenesse apertamente le rivolte popolari e operaie, le ragioni di
questo supporto sono da rintracciare nell'ideale della libertà individuale e
non in quello della lotta di classe. La sua condivisione della teoria economica

43
del valore-lavoro, secondo la quale il singolo ha il pieno diritto di rivendicare
per se stesso il prodotto del proprio lavoro, lo portò a spendere parole
lusinghiere nei confronti dei ribelli, non tanto, dunque, in vista di quel
rovesciamento societario che attraverso la dittatura del proletariato avrebbe
messo fne allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, quanto piuttosto in vista
del rispetto della legge della sovranità individuale.
Tematica parallela, apertamente osteggiata e che riveste un ruolo di
spicco nella polemica dell'individualismo anarchico portato avanti da Tucker,
è il rifuto di qualsivoglia statalizzazione o socializzazione dei mezzi di
produzione. Come si è accennato, la critica rivolta al marxismo ebbe molta
risonanza e fu centrale nel pensiero dell'anarchico di Boston. Egli si spese
molto per avversare questa posizione liberticida, attaccandola ferocemente
ogni qualvolta l'occasione glielo consentiva. Così, in molti articoli apparsi su
“Liberty” come: Our Purpuse46, Relation of the State to the individual 47, The State
Socialist and Henry George 48, Liberty and Property49, Monopoly, Communism, and
Liberty50, State Socialism and Liberty 51, e soprattutto State Socialism and
Anarchism, How Far They Agree, and Wherein They Differ 52, Tucker non mancò
di scagliare i suoi anatemi contro la statalizzazione dei mezzi di produzione e
contro il comunismo da lui denominato “socialismo di Stato”.
Sopratutto nell'ultimo articolo citato, che non vedrà mai la luce in una
rivista ma sarà invece pubblicato nel 1893 all'interno della prima edizione
della raccolta dei suoi scritti dal titolo Instead On A Book: By A Man Too Busy
To Write One, il comunismo di stampo marxista riceve il colpo più duro.
Articolo di fondamentale importanza per la comprensione di alcuni capisaldi

46 B.R. Tucker, Our Purpuse, “Liberty”, 6 Agoust 1881, poi in Instead Of A Book, n.2/I., e in
Individual Liberty, cit.,p. 25.
47 B.R. Tucker, Relation of the State to the individual, “Liberty”, 5 November 1890, poi in Instead Of
A Book, n.1/I, e in Individual Liberty, cit., p. 20.
48 B.R. Tucker, The State Socialist and Henry George, “Liberty”, 24 September 1887, poi in Instead
Of A Book, n.7/III.
49 B. R. Tucker, Liberty and Property, “Liberty”, 31 December 1892, poi in Instead Of A Book,
n.17/III, e in Individual Liberty, cit., p. 49.
50 B. Tucker, Monopoly, Communism, and Liberty, “Liberty”, 26 March 1887, poi in Instead Of A
Book, n.25/II.
51 B.R. Tucker, State Socialism and Liberty, “Liberty”, 21 February 1891, poi in Instead Of A Book,
n.7/IV.
52 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, How Far They Agree, and Wherein They Differ, in
Instead Of A Book, n.2/I, e in Individual Liberty, cit., p. 8.

44
del pensiero dell'autore, State Socialism and Anarchism inizia propriamente
con la descrizione di che cosa sia per lui il socialismo e del perché esso stesse
assumendo all'epoca una così grande rilevanza: “probabilmente nessun
movimento di agitazione ha mai raggiunto un così alto numero di aderenti e
ha mai goduto di una così ampia area di infuenza come il socialismo
moderno [...]”53 informano le prime righe dell'articolo. Le cause di tanto
successo sono da rintracciare, secondo lo scrittore, in tre fattori principali che
giocarono e vinsero la sua fortuna. In primo luogo dalla confusione che
serpeggia attorno a questo movimento “se qualcosa di così caotico si può
defnire tale”54 e che abbraccia non soltanto i suoi detrattori ma anche i suoi
sostenitori in quanto è “[...] tanto poco e allo stesso tempo tanto male inteso
non solo dagli ostili e dagli indifferenti, ma anche dai simpatizzanti,
compresa la maggior parte dei sui aderenti” 55. In secondo luogo, nel carattere
universalizzante promosso da esso che tenta di rivoluzionare non soltanto un
uomo o una classe di uomini ma l'intero genere umano. E per ultimo nella
battaglia cruciale affnché il lavoratore si faccia proprietario del proprio
lavoro, che al momento rappresentava il centro del fuoco nella contesa
politica, lo spauracchio dei borghesi e la bandiera delle classi subalterne.
Concentrando poi lo sguardo e andando a guardare più da vicino,
Tucker ci fa notare che all'interno di questa grande etichetta dai contorni
poco defniti e mal interpretata dalla maggioranza, coesistono, per lui, due
principi diametralmente opposti e non riconciliabili: l'autorità e la libertà.
Questi fanno capo a due scuole di pensiero corrispondenti che, sebbene
interne allo stesso “ismo”, non possono integrarsi e sono destinate a
scontarsi: il socialismo di Stato e l'anarchismo. Un cammino intermedio tra i
due principi, così come tra le due scuole di pensiero, non è possibile poiché
l'esistenza di una preclude l'esistenza dell'altra.
Portavoce ed eroe della corrente anarchica, Tucker si pose come
obbiettivo quello di smentire e demolire il comunismo, da lui ribattezzato
socialismo di Stato, tentando di stabilire ed illustrare, mediante

53 Ibidem.
54 Ibidem.
55 Ibidem.

45
argomentazioni di una ferrea consequenzialità logica, cosa comporterebbe
una sua vittoria totale. Per raggiungere il suo obbiettivo e per esplicitare in
maniera chiara il suo pensiero, decise di prendere la mosse dalla descrizione
dei tratti in comune che fanno chiamare entrambi socialisti. Primo per
importanza la condivisione del principio economico - assunto in via
preliminare da Adam Smith, ma non sviluppato fno alle sue estreme
conseguenze - secondo il quale il lavoro è la vera misura del prezzo, o come
sosterrà successivamente J. Warren: il costo è il limite adeguato del prezzo. A
mezzo secolo dalla scoperta di questo embrionale principio economico, tre
autori differenti tra loro per nazionalità e lingua (Warren, Proudhon e Marx)
si cimentarono nell'impresa che Smith accantonò, ossia tentarono di
svilupparlo e, senza indugio né timore, di portarlo alle sue coerenti e ultime
conseguenze. Le conclusioni alle quali arrivarono, cioè che il prodotto è il
salario naturale del lavoro, che questo è l'unica forma di reddito e di entrata
possibile, che tutte le altre forme di reddito (rendita, proftto, interesse) sono
forme di usura e che l'usura del capitale sul lavoro è resa possibile soltanto
dai monopoli legali che ne tutelano gli ingiusti privilegi, concordano su tutto
meno che su un punto. Questo punto risulta essere più tecnico e procedurale
che contenutistico. Se tutti e tre erano concordi nell'affermare che l'unico
modo esistente per assicurare al lavoro il suo salario naturale fosse quello di
procedere attraverso l'abolizione e il rovesciamento dei monopoli, non si
trovarono però d'accordo sulle modalità e sulle vie da percorrere per il
conseguimento di tale scopo. Si resero presto conto che la strada da prendere
per rispondere a quella necessità si biforcava e che avrebbero dovuto svoltare
per la rotta dell'autorità o per la rotta della libertà.
Ad imboccare la via dell'autorità fu Karl Marx, la cui teoria viene vista
da Tucker come “la dottrina secondo la quale tutti gli affari degli uomini
devono essere gestiti dal governo, indipendentemente dalle preferenze
individuali”56. Secondo il suo fondatore la maniera migliore per abolire i
monopoli era centralizzare e consolidare tutti gli interessi industriali e
commerciali, tutte le agenzie e gli organismi di produzione e di distribuzione

56 Ibidem.

46
in un vasto monopolio controllato dallo Stato. Il governo, che in questo
articolo non si differenzia dallo Stato 57, si dovrà convertire in banchiere,
fabbricante, agricoltore, mercante ecc., si dovrà appropriare di tutta la terra,
di tutte le macchine, di tutti i mezzi di produzione, trasformandoli da
proprietà private a proprietà collettive. L'individuo potrà possedere
solamente i prodotti di consumo ma non i mezzi per la produzione di tali
prodotti. La società in sostanza dovrà farsi proprietaria di tutto il capitale
che, a detta degli statalisti, già le appartiene. Una volta in possesso di questo
capitale, lo dovrà esercitare - sulla base del principio del benessere della
maggioranza - attraverso lo Stato che si farà carico di tutta la produzione dei
beni, della loro distribuzione e della fssazione dei prezzi e dei salari. La
nazione, ci dice Tucker anticipando quelle che saranno tutte le note dolenti
del comunismo sovietico, si trasformerà in una vasta burocrazia e ogni
individuo in un suo funzionario e subordinato, tutta la libertà di commercio
sarà messa al bando e la concorrenza eliminata. Riassumendo tutto in una
frase sembrerebbe che per Marx “il rimedio contro i monopoli sia IL
MONOPOLIO”58.
La preoccupazione del radicale di Boston emerge in tutta la sua
crudezza quando il discorso di sposta in una direzione che potremmo
defnire maggiormente storica e flosofca. Secondo l'opinione di Tucker “la
costituzione di un paese con socialismo di Stato consisterà in un solo articolo:
il diritto della maggioranza è assoluto” 59. Lungi dall'essere una mera ipotesi,
questa pericolosa deriva assolutistica gli appare come la naturale
conseguenza cui approda il pensiero marxista e nonostante i comunisti
continuino a sostenere che, qualora ciò si avverasse, la maggioranza in
questione non eserciterebbe mai la propria volontà all'interno della sfera
privata dei singoli, l'anarchico, armato della consueta verve polemica, non
trattiene un colpo. A suo avviso i socialisti ottimisti non tengono

57 Non sarà sempre così. Nell'articolo The Relation of the State to the Individual Tucker distinguerà
tra government inteso come la “sottomissione di un individuo non invasore, pacifico a una volontà
esterna” e State visto come “l'incarnazione del principio di invasione in un individuo o in un
gruppo di individui che assumono il ruolo di rappresentanti o di padroni su tutte le persone di un
area determinata”.
58 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 8.
59 Ibidem.

47
minimamente conto della storia dell'umanità, dei governi e dei popoli.
Quest'ultima non avalla minimamente il loro credo e al contrario dimostra
quanto uno scenario siffatto minaccerebbe costantemente quelle che sono le
“intime relazioni della vita dell'individuo” 60. Distante da una posizione
ottimista e armato di realismo Tucker sostiene che il potere abbia “sempre
tentato di crescere, di aumentare la sua sfera d'azione, di avanzare al di la dei
limiti fssati”61 ed esattamente per questo motivo lo Stato fnirà
necessariamente per penetrare in ogni aspetto della vita del singolo e fnirà
per soffocare la libertà individuale. Non solo. Oltre al controllo capillare di
ogni sfera sociale, lo Stato fnirà per essere responsabile di tutto, annullando
gradualmente ma inesorabilmente il senso di responsabilità dell'individuo.
Ed eccoci arrivati alla conseguenza conclusiva e maggiormente
preoccupante cui approda il socialismo di Stato. “Presto o tardi”, afferma
Tucker con fare quasi profetico, “questa dottrina si trasformerà in una
religione di Stato cui tutti dovranno aderire e contribuire, e davanti al cui
altare tutti dovranno prostrarsi”62. Con questi toni l'autore tratteggerà il
socialismo di Stato, arrivando, in un climax ascendente, a descrivere come il
principio di autorità fnirà per vincere e permeare ogni sfera della società
civile, portando a una sempre maggiore coercizione e ad un sempre
maggiore controllo nelle vite degli individui.
Sul versante opposto vengono collocati Warren e Proudhon che
imboccarono la via della libertà che conduce all'anarchismo. Nella stessa
maniera in cui era stato defnito in via preliminare il socialismo di Stato, ora
Tucker ci offre una defnizione di cosa signifca per lui l'anarchismo, che
viene visto come “la dottrina secondo la quale tutti gli affari degli uomini
devono essere gestiti dagli individui o da associazione volontarie, e che lo
Stato deve essere abolito”63.
Nonostante il pensatore americano e quello francese arrivarono - per vie
differenti - alle stesse conclusioni di Marx, la strada che imboccarono per
rispondere alla necessità di abolire i monopoli, fu molto distante da quella
60 Ibidem.
61 Ibidem.
62 Ibidem.
63 Ibidem.

48
presa dal pensatore tedesco. Nella loro ricerca di giustizia per il lavoro i due
si resero conto che le cause scatenanti la formazione dei monopoli erano da
rintracciare proprio in quel principio opposto alla libertà che abbracciò Marx,
ossia nel principio dell'autorità. Consapevoli di questo fatto arrivarono alla
conclusione che, lungi dal rafforzare l'autorità, ciò che avrebbero dovuto fare
per risolvere il problema era sradicare quest'ultima e lasciare il campo libero
al dispiegamento del principio opposto, quello della libertà. Concordi con i
princìpi dell'economia classica, videro nella libera concorrenza il grande
livellatore dei prezzi in grado di far raggiungere a quest'ultimi il semplice
costo di produzione. Si chiesero allora perché i prezzi non coincidessero già
con il prezzo del lavoro, e da dove venissero gli spazi per l'acquisizione di
entrate al di fuori di esso. La risposta a queste domande la trovarono nella
disuguaglianza e nel disequilibrio della concorrenza nel sistema del tempo.
Analizzando la conformazione della società economica a loro
contemporanea, ritennero che la causa di tutto era da rintracciare nel
capitale. Non perché il capitale fosse un male in sé e per sé, o perché la
proprietà fosse sbagliata e la sua esistenza da mettere in discussione. La
causa di tutto risiedeva nel fatto che il capitale era stato a loro avviso in
grado di manipolare la legislazione. Mantenendo basso il costo del lavoro e
lucrando sul prezzo dei beni la legislazione aveva permesso una concorrenza
illimitata nella fornitura della forza lavoro e allo stesso tempo aveva proibito
qualsiasi forma di concorrenza per quanto riguarda la fornitura di capitale.
Scoperto ciò Warren e Proudhon accusarono apertamente gli economisti di
incoerenza, per aver paura e non riuscire a guardare in faccia le conseguenze
delle scoperte della loro stessa dottrina. In parole povere il laissez-faire era
buono per il lavoro ma non per il capitale. Come correggere questa tendenza?
Se Marx risolse il problema dei monopoli separando il capitale dal
prodotto e statalizzando il primo facendone una proprietà collettiva, Warren
e Proudhon, rifutando questa distinzione iniziale, si trovarono di fronte a
considerevoli diffcoltà da arginare. I due socialisti anarchici – secondo la
defnizione che ne da Tucker – erano contrari alla separazione del capitale dal
prodotto perché vedevano in essi non tanto due differenti classi di ricchezza

49
quanto semplicemente due funzioni alternative della medesima ricchezza.
Secondo loro tutta la ricchezza si esprime in un ciclo incessante che procede
dal capitale e fnisce nel prodotto per poi ricominciare nuovamente dal
prodotto e fnire nel capitale. In altre parole, quello che per un uomo è un
prodotto, si converte subito in capitale per un altro uomo. Per queste ed altre
ragioni Warren e Proudhon si trovarono incapaci di stabilire un piano
concreto di cattura del capitale da parte della società, ma ciò non deve
portare fuori strada. Anche se contrari alla socializzazione del capitale i due
erano a favore della “socializzazione dei suoi effetti”. Il capitale doveva, in
sostanza, non essere un appannaggio di pochi ma un benefcio di tutti. Il
capitale doveva circolare liberamente ed essere accessibile a tutti i singoli che,
nel pieno possesso della propria libertà, ne avrebbero usufruito
individualmente o attraverso forme di associazionismo volontario, allo scopo
di diventare padroni e proprietari del proprio lavoro e dei frutti che da esso
derivano.
Per il raggiungimento di questo scopo era necessario sottrarre il capitale
dagli ingiusti privilegi attribuitigli dalla legislazione e sottoporlo alla
naturale legge della libera concorrenza. Come conseguenza di questo
pensiero alzarono - e Tucker con essi – la bandiera dell'assoluta libertà di
commercio, convertendo il laissez-faire da regola circoscritta a principio
universale, iniziando così la loro guerra a tutti i monopoli. Tra quest'ultimi
ne individuarono quattro principali, la distruzione dei quali coincideva con il
loro programma economico. Questi monopoli erano nell'ordine: il monopolio
della moneta, il monopolio della terra, il monopolio dei prezzi e quello dei
brevetti o diritti d'autore (copyrigth).
L'obbiettivo della distruzione di tutti i monopoli e di una loro
sostituzione con la più libera concorrenza possibile - livellatrice di prezzi e
portatrice di giustizia - ha condotto i due maestri di Tucker alla
comprensione del principio fondamentale sopra cui riposava tutto il loro
pensiero: la completa libertà dell'individuo. Quest'ultimo può essere tradotto
come il diritto di sovranità di se stessi su se stessi, sui propri prodotti e sui
propri affari, con il conseguente principio negativo di assoluto rifuto di ogni

50
autorità esterna

Se l'individuo ha il diritto di governarsi da solo, ogni autorità esterna è


tirannia.64

Se l'idea di togliere il capitale agli individui e porlo tutto nelle mani del
governo portò Marx a fare del governo un assoluto, un tutto e dell'individuo
una nullità, l'idea di togliere al governo ogni monopolio da lui patrocinato e
di mettere il capitale alla portata di tutti gli individui portò Warren e
Proudhon a fare del singolo un tutto e dello Stato una nullità. Da qui la
naturale conclusione e la logica necessità di abolire lo Stato generatore di
monopoli e delle ingiustizie che ne conseguono.
E' per questo motivo che Tucker sostiene - compiendo uno di quei
collegamenti che costruiscono un ponte tra la tradizione americana delle
origini e la modernità - che “gli anarchici sono semplicemente democratici
jeffersoniani fno alle conseguenze ultime e senza paura di esse” 65, il che può
essere collegato a quel celebre motto dalla paternità sconosciuta per il quale
se il miglior governo è quello che governa di meno, quello migliore in
assoluto è quello che non governa affatto.
A questo punto è possibile notare come questa lunga digressione sulle
differenze tra il socialismo di Stato e l'anarchismo sia utile per conoscere lo
schema concettuale posseduto dall'autore. Alla luce della sua convinzione
secondo la quale entrambe queste correnti di pensiero possono essere fatte
ricadere all'interno della grande categoria del “socialismo”, si può
comprendere meglio ciò che intendeva dire quando si auto confnava in
questa confusa posizione politica. Se preliminarmente si sono tracciati i punti
in comune con il socialismo, ora si può discriminare con maggiore precisione
il suo pensiero e cercare una collocazione più adeguata all'interno
dell'universo politico.
Dalle pagine spese a descrivere e demolire il comunismo marxista si
nota come di socialista – per lo meno nell'accezione moderna – abbia in realtà
ben poco. Strenuo difensore del libero scambio utilizza tutte le sue doti

64 Ibidem.
65 Ibidem.

51
argomentative per far crollare la proposta marxiana dell'appropriazione da
parte dell'apparato statale dei mezzi di produzione.
Se è vero che gli aggettivi utilizzati per descrivere i capitalisti sono nella
maggior parte dei casi di carattere negativo è altrettanto vero che per
capitalisti non considera ciò che comunemente si intende come tali. Con
questo termine non identifca i semplici imprenditori o gli individui che
sfruttano l'accumulazione dei beni derivanti dal proprio lavoro allo scopo di
farli fruttare e di reinvestirli, bensì tutta quella classe dirigenziale,
strettamente legata all'esercizio della politica, che si attribuisce ingiusti
privilegi d'élite e fnisce con l'essere parassitaria e reazionaria, impedendo la
libera concorrenza e la libera circolazione di merci che da sola porterebbe a
elevare gli status dei lavoratori appartenenti agli strati più bassi della società.
Lo sfruttamento politico e lo sfruttamento economico vanno, per
l'anarchico di Boston, mano nella mano. I capitalisti vengono identifcati
interamente con i politici, con i detentori di ingiusti monopoli da abbattere in
quanto minaccianti la giustizia e la libertà.
Sulla base di una tale identità considerare Tucker un socialista
nell'accezione moderna del termine sarebbe un'incongruenza. Se la
caratteristica principale dei socialisti contemporanei può essere rintracciata
in una costante domanda di intervento statale all'interno della sfera
economica e sociale, l'identifcare un autore spiccatamente antistatalista come
Tucker con una corrente simile rappresenterebbe un palese abuso di parole.

52
3.2 - Governo, Stato e società

Nel tentativo di delineare ancor più nitidamente la posizione di Tucker


all'interno del multiforme universo della politica si procederà ora col
tratteggiare la linea teorica da lui sostenuta quando parla di società, di
governo, di Stato e dei rapporti tra questo e l'individuo.
L'immagine dello Stato e della società che emerge dalle righe di
"Liberty" risulta fondamentale per comprendere il suo pensiero. Le
argomentazioni utilizzate da Tucker nella già menzionata polemica anti
comunista ci forniscono un faro per illuminare alcuni nodi concettuali
centrali nel sistema del radicale ottocentesco. Lungi dall'essere un discorso di
stampo egualitarista, il suo appoggiare una visione per così dire liberalista
della politica e della società, si basa su una concezione della giustizia fondata
su alcuni principi-cardine incrollabili che possono essere riassunti dalla legge
de “l'uguale libertà” - di derivazione spenceriana - e dalla “sovranità
dell'individuo”. Ciò sta a signifcare che il suo ideale di libertà non ha nulla a
che vedere con il cosiddetto “socialismo scientifco”. Per Tucker nessuno ha
in mano la chiave della conoscenza certa e nessuno può avere la pretesa di
correggere i torti della società violando i principi fondamentali che sorgono
dalla libera associazione degli individui, ossia dalle semplici e libere relazioni
interpersonali. La società non deve né può essere pensata a tavolino e attuata
attraverso manovre e politiche egualitarie. Essa risulta in grado di
organizzarsi in maniera spontanea ed autonoma nel momento in cui si
rispetta la sovranità individuale e la si conforma alla legge dell'uguale
libertà, ossia a quella legge per la quale a ognuno deve essere garantito il
massimo della libertà possibile purché compatibile con tutte le rispettive
sfere d'azione degli altri attori sociali.
Il tema delle relazioni intersoggettive, che nella visione individualista
non solo tuckeriana costituiscono l'intero corpo della società civile, e quello
delle relazioni tra lo Stato e l'individuo risultano strettamente legati al tema
dell'anarchia e di fondamentale importanza nello scioglimento di alcuni
dubbi. L'immagine delle due che sorge da numerosi articoli - tra i quai

53
ricordiamo: The Relatione of the State to the Individual66 e Anarchism and the
State67 - è estremamente interessante. Si può dire che all'interno del
movimento anarchico, preso nella sua interezza storica e globale, Tucker
riuscì per primo a far emergere con chiarezza la differenza tra società e Stato,
riconoscendo nella prima una forma associativa spontanea e volontaria –
liberamente scelta da ciascun individuo come mezzo per estrinsecare se
stesso in relazione agli altri – e, nel secondo, la concettualizzazione del tanto
contestato principio di autorità esterna all'individuo, un'autorità basata
essenzialmente su una falsa idea che agisce sul singolo condizionandolo fno
al punto di portarlo a riconoscerne la legittimità e di fornire quindi allo Stato
validità e potere in cambio di cieca obbedienza.
In Anarchism and the State, Tucker ci tiene a precisare che la sua critica
allo Stato non è indirizzata tanto ad uno Stato particolare ma allo Stato in
quanto tale:

Coloro che protestano contro lo Stato politico esistente, e sottolineo


esistente, non sono anarchici, ma archici. Opponendosi ad una forma o
ad un metodo particolare di invasione, essi tacitamente riconoscono la
legittimità di qualche altra forma o metodo di invasione.68

In questi termini si può affermare che l'anarchia non possiede un lato


“affermativo” nel senso di costruttivo ma la sua è una critica totale al
principio di autorità, è una pars destruens priva di qualsivoglia pars
construens, dato che la società civile ha per natura la capacita di organizzarsi
autonomamente. L'anarchia tuckeriana non signifca, dunque, una semplice
opposizione a un arcòs determinato, a un leader politico specifco o a un
regime particolare ma una opposizione totale all'arché. Con la consueta
sensibilità semantica che lo contraddistingue, Tucker decide di mettere a
fuoco l'evoluzione della parola arché. Il signifcato di questo termine greco
subì infatti nel corso della storia un sensibile mutamento. Se inizialmente con
esso si intendeva “l'essere” o “l'origine”, da lì passò gradualmente a indicare
un “principio fondamentale”, un “elemento”, fno ad assumere, via via, il
66 B.R. Tucker, The Relation, cit., p. 20.
67 B.R. Tucker, Anarchism and the State, cit., p. 26.
68 Ibidem, p. 32.

54
signifcato di “potere supremo”, “sovranità”, “dominio”, “comando”,
“autorità”. Etimologicamente l'espressione possiede dunque una moltitudine
di signifcati differenti e per questo motivo, accogliendo le critiche mosse dal
signor Appleton69, si può convenire nel considerarla priva di un principio
direttivo univoco. Ciò nonostante, se la si considera esclusivamente come
una parola flosofca appartenente a una ben determinata scuola flosofca,
“anarchia” - come assenza di arché - fu utilizzata prima di tutto nel senso di
opposizione al dominio e all'autorità. Cosi la interpreta il fondatore di
“Liberty”, che spese tutta la sua carriera nel tentativo di riabilitare questa
espressione e per tanto non si fece scrupoli ad affermare che “qualsiasi altro
uso del termine è improprio e confuso”. Compiendo un piccolo passo in
avanti e sottolineando come la sfera della politica sia coestensiva con il
dominio e l'autorità, non impiega molto ad attribuire all'anarchia un ruolo
ben maggiore di quello che normalmente le si assegnerebbe, liberandola dai
confni delle lessicografa politica e facendole abbracciare la protesta
individualista in tutta la sua interezza.
Sulla base di questa scrematura semantica e della differenziazione tra
società civile e apparato statale Tucker può allora affermare che l'unica vera
personifcazione del principio di autorità e l'unica vera causa effciente della
tirannia sull'individuo è lo Stato. In un'esposizione tenutasi il 14 ottobre 1890
all'Unitarian Ministers Institute di Salem, Massachusetts, Tucker poté mettere
in chiaro una volta di più le sue posizioni riguardo il tema della relazione tra
lo Stato e l'individuo evidenziando come, secondo lui, l'anarchismo moderno
sia da considerarsi come “una delle poche teorie sulla base della quale si può
fondare la vita politica e sociale”70. Per il radicale di Boston:

Il futuro delle tariffe, dei contributi, delle fnanze, della proprietà, della
donna, del matrimonio, della famiglia, del suffragio, dell'educazione,
delle invenzioni, della letteratura, della scienza, delle arti, dei costumi
personali, dell'etica, della religione, sarà determinato dalla conclusione
cui l'umanità giungerà riguardo il quesito se l'individuo debba
obbedienza allo Stato e, in caso affermativo, fno a dove deve arrivare

69 Anarchico inizialmente collaboratore di “Liberty” poi convertitosi in liberale.


70 B.R. Tucker, The Relatione, cit., p. 20.

55
questa obbedienza71.

Come fece in altre occasioni, nel trattare il tema da lui discusso


considerò indispensabile partire da una chiarifcazione terminologica.
Utilizzare il vocabolario popolare per investigare scientifcamente dei
parametri politici porta, per lui, il rischio di una comprensione erronea della
realtà sociopolitica che confonde, molto spesso, inesattezze di espressione
con inesattezze di pensiero. Per comprovare questo assunto metodologico
inizia il discorso considerando la parola Stato. Infatti, pur essendo un
termine sulla bocca di tutti, quante persone sanno in realtà di che cosa si
tratta? E quanti hanno un'idea di tutte le variazioni esistenti in esso? D'altro
canto con la parola Stato siamo soliti designare tanto l'istituzione che incarna
l'assolutismo nella sua forma più estrema quanto quelle istituzioni che
tentano di stemperarne l'invasività attraverso forme, maggiori o minori, di
liberalismo e democrazia. A guardar bene questa parola si applica tanto alle
istituzioni la cui fnalità è l'aggressione quanto a quelle il cui compito è la
difesa e la protezione. Ciò che a nessuno sembra chiaro è, però, quale delle
due, aggressione e difesa, sia la funzione essenziale dello Stato. I pensatori
appartenenti alle svariate correnti stataliste si dividono: c'è chi,
nascondendosi dietro la parola “amministrazione”, considera l'aggressione
come la funzione fondamentale dello Stato e tenta di estenderla in tutte le
direzioni possibili; chi, al contrario, considera la difesa la funzione
fondamentale dello Stato e desidera limitare tutte le competenze di
quest'ultimo alla sola polizia; e chi considera che l'esistenza dello Stato si
debba simultaneamente alla difesa e all'aggressione, che si esercitano
costantemente in una proporzione che varia a seconda delle contingenze o
del volere di chi detiene il potere.
Di fronte a questi punti di vista si pongono gli anarchici capeggiati da
Tucker, la cui missione è l'abolizione di ogni forma di aggressione possibile e
di tutte le conseguenze che da essa derivano. Essi si resero conto che per
essere compresi dovevano dare delle defnizioni chiare e precise dei termini
che erano obbligati ad utilizzare e in particolar modo dei termini “Stato” e

71 Ibidem.

56
“governo” (da qui l'impostazione metodologica di Tucker che tende a iniziare
i propri discorsi con precisazioni di carattere semantico). Partendo da queste
premesse, sviluppò la fondamentale differenza tra State e government, una
differenza che a onor del vero mutò considerevolmente con l'evolversi del
suo pensiero, precisamente nell'arco di tempo che divide l'articolo What We
Mean, pubblicato nel numero di "Liberty" del 15 aprile 1882, e il già citato
articolo The Relatione of the State to the Individual, pubblicato il 5 novembre
1890 nella medesima rivista. Nel 1882 l'autore considerava lo Stato come:

un errore flosofco nell'esistenza sociale. Lo Stato è caos, tumulto


nascosto sotto la legge, l'ordine e la moralità. Lo Stato è un'aggressione
basata su premesse non scientifche. Noi ci proponiamo di soppiantarla
con l'ordine sociale basato sulle sovranità individuali associate per il
mutuo benessere, sotto la legge della selezione e dell'attrazione naturale,
cioè della Libertà. Sotto questa formula noi non scardiniamo il governo,
inteso nel senso migliore del termine. Al contrario, è proprio il governo
che noi perseguiamo. Lo Stato non è il governo dal momento che nega la
libertà. Lo Stato diviene impossibile nel momento in cui si rimuove da
esso l'elemento dell'obbligo. Ma è esattamente a questo punto che
comincia il governo. Dove lo Stato cessa comincia il governo, e dove lo
Stato inizia, cessa il governo.72

In questo articolo la posizione sostenuta da Tucker corrisponde a quella


di un altro radicale divenuto col tempo la fgura libertaria più autorevole e
più controversa degli Stati Uniti d'America: Albert Jay Nock. Di poco
successivo a Tucker, Nock basa il suo pensiero sulla distinzione fondamentale
tra governo e Stato mutuata dalla differenza, sostenuta da Franz
Oppenheimer, tra potere sociale e potere statale. Nella sua opera più famosa
Our Enemy, the State del 1935, Nock descrive, applicando questa distinzione
concettuale, il processo per il quale il potere sociale viene tramutato in potere
statale e da esso fagocitato. Il potere sociale è l'interazione volontaria degli
individui che creano e scambiano, in modo pacifco, ricchezza e conoscenza
come liberi individui. Il potere statale è, invece, la confsca coercitiva e

72 B.R. Tucker, What We Mean, “Liberty”, 15 aprile 1882, 19, pp. 2-3.

57
parassitaria dei frutti del lavoro umano. Vi sono, infatti, solo due mezzi per
procurarsi la ricchezza: i mezzi economici e i mezzi politici. Lo Stato si rivela
allora l'organizzazione dei mezzi politici e nasce per garantire, alla classe di
individui che si sappia impadronire del suo armamentario, un'illimitata
possibilità di sfruttamento della ricchezza prodotta tramite i mezzi
economici. L'edifcio statale si rivela, dunque, la chiave di ogni relazione
parassitaria. L'idea di Stato del radicale di fne Ottocento e del libertario di
inizio Novecento risultano evidentemente sovrapponibili. Il pensiero
nockiano si basa, inoltre, su un'altra opposizione affne a quella tuckeriana di
questo primo articolo del 1882, quella tra Stato e ordinamento politico che
ricalca quella tra Stato e governo. “Mentre non è affatto vera l'affermazione
'lo Stato è sempre esistito ed esisterà sempre', ogni società umana si è invece
sempre dotata di un ordinamento politico per far fronte alle esigenze della
vita in comune”73. Questa base teorica serve a Nock per procedere a
dichiarare la totale estraneità dello Stato dal governo. Per lui questi ultimi
non sono differenti per grado, ma propriamente per genere e natura. Egli
ritiene che lo Stato non possa essere visto come una degenerazione del
governo e tanto meno, come si pensava fn da Aristotele, come originato dal
raggruppamento naturale della famiglia. Il governo (sulla scia di Paine,
Jefferson e della Dichiarazione d'Indipendenza) può essere riassunto, per il
libertario, da due semplici ed intuitive leggi di convivenza civile riassunte
dalla frase: “non fare male a nessuno e per il resto fai come ti pare” e il suo
compito risulta essere quello puramente negativo di badare affnché questo
codice venga rispettato. Al contrario lo Stato ha sempre avuto origine dalla
confsca e dalla conquista e la sua caratteristica invariabile è lo sfruttamento
economico di una classe da parte di un'altra.
Se in questo primo articolo del 1882 Tucker sembra abbracciare una
visione del mondo sociopolitico nockiana, o meglio pre-nockiana, dove il
governo – visto come una iniziale forma associativa spontanea e volontaria,
che in qualche maniera eccede lo Stato e retrocede all'avanzare di
quest'ultimo - viene differenziato e posto in netto contrasto con lo Stato

73 L.M. Bassani, Albert Jay Nock e i libertari americani: i “fedeli attardati della grande tradizione”,
in A. J. Nock, Il nostro Nemico, lo Stato, Liberilibri, Macerata 2005, p. xxi.

58
aggressore e invasore, nel 1890 si nota un cambiamento nelle parole utilizzate
per descriverne la natura che diventano decisamente meno lusinghiere. I
colori con i quali viene defnito il governo assumono via via tonalità più
cupe, fno a sostenere che “invasione, aggressione o governo sono termini
intercambiabili”74. Infatti, nell'articolo del 1890 Tucker dichiara
lapidariamente che

l'essenza del governo è il controllo o lo sforzo di controllare. Chi cerca di


controllare un altro è un governatore, un aggressore, un invasore; e la
natura di tale aggressione non cambia se si realizza da un uomo contro
un altro uomo, alla maniera di un delinquente ordinario; da un uomo
contro tutti gli altri uomini, alla maniera di un monarca assoluto; o da
tutti gli uomini contro un uomo, alla maniera delle democrazie
moderne.75

In questo secondo scritto sembra che la vena polemica


dell'individualista di fne Ottocento si sia rinvigorita e che il suo
antistatalismo si sia accentuato, tanto da rendere estremamente labile il
confne che divide il governo dallo Stato. Entrambi risultano essere
istituzioni che tiranneggiano l'individuo e mentre il governo viene descritto
come la “sottomissione di un individuo non aggressore, pacifco a una
volontà esterna”76, lo Stato risulta essere il consolidamento del governo
all'interno di un territorio particolare o, più precisamente, “l'incarnazione del
principio di invasione in un individuo o in un gruppo di individui che
assumono il ruolo di rappresentanti o di padroni su tutte le persone
all'interno di un'area determinata” 77.
Se il ruolo giocato dal governo nel sistema del teorico anarchico ha
variato nel tempo e si è evoluto con l'evolversi del suo pensiero, lo stesso non
si può dire dello Stato, che dal principio alla fne ha vestito i panni del
nemico numero uno, incarnazione del principio di autorità. Infatti, Tucker
sosterrà, senza mai retrocedere di un millimetro, che è l'aggressione a

74 B.R. Tucker, The Relation, cit. p. 20.


75 Ibidem.
76 Ibidem.
77 Ibidem.

59
rappresentare la funzione essenziale dell'apparato statale. Questo non vuole
dire che lo Stato non assuma mai il ruolo di difensore dell'individuo ma,
qualora questa caratteristica difensiva sia presente, essa si viene a generare in
un momento cronologicamente posteriore e viene accettata solamente per
necessità. La sua introduzione, come una delle funzioni dello Stato, fu
effettuata soltanto per rafforzarne la forza e per farne accettare pacifcamente
l'esistenza ai singoli individui che, altrimenti, avrebbero costituito una
costante minaccia per l'apparato statale. La distinzione anarchica tra
aggressione e difesa diviene di vitale importanza per un'altra opposizione
tutta anarchica, quella tra governo e difesa o tra Stato e difesa. La difesa,
insomma, lungi dall'essere considerata un requisito esclusivamente statale,
viene fatta ricadere dai radicali anche nell'individuo, in particolar modo in
quell'individuo che resiste ad ogni tentativo di controllo. Se governare
signifca invadere ed aggredire, allora chi resiste ai tentativi di aggressione è
“simply a defender, a protector” e la natura di questa difesa “non cambia se è
offerta da un uomo contro un altro uomo, come quando si resiste all'assalto
di un criminale; da un uomo a tutti gli altri uomini, come quando uno si
rifuta di obbedire ad una legge oppressiva; o da tutti gli uomini contro un
uomo, come quando i sudditi si ribellano a un despota o quando i membri di
una comunità si uniscono volontariamente per trattenere un criminale” 78.
Tucker per esprimere al meglio il concetto che sorregge la visione
anarchica dello Stato utilizza il termine “invasione”, invasione nella sfera
della libertà individuale che, nel momento stesso in cui si attua si tramuta
automaticamente in “aggressione” e in principio di autorità. Che lo Stato si
sia originato da un atto di violenza e di dominazione o sia nato da una resa
volontaria dell'individuo non ha importanza e data la nostra impossibilità di
risalire alle cause prime costituisce soltanto una diatriba oziosa agli occhi
dell'anarchico di Boston. Gli elementi di invasione, aggressione e autorità
sono comuni a tutte quelle istituzioni note col nome di Stato, a prescindere
dalla forma che assumono e indipendentemente dalla causa che li ha
generati.

78 Ibidem.

60
Queste peculiarità sono talmente radicate nella concezione anarchica
dello Stato da estendersi anche a strumenti democratici come il voto e
contaminarne l'idea. Per Tucker il voto, lungi dall'essere l'espressione della
libertà politica dell'individuo in società, assume un valore coercitivo ed
aggressivo. Alla stregua della difesa il suffragio è solamente una forma ben
congegnata di controllo introdotta per rafforzare la presenza dello Stato nella
vita personale degli individui e per giustifcarne l'esistenza e l'invasività
introiettandone gli scopi. Esso agisce sul singolo illudendolo di tenere in
mano le redini della macchina statale e condizionandolo fno al punto di
portarlo a credere che il voto costituisca una conquista, un allargamento della
sfera della sua libertà e non un restringimento di essa. In realtà, sostiene
Tucker, non esiste nessuna differenza tra il voto e la baionetta in quanto
entrambi riposano sulla forza:

Ora, che cos'è la scheda elettorale? Né più né meno che un pezzo di


carta che simboleggia la baionetta, il manganello, la pallottola. E' un
congegno che permette di risparmiare lavoro nell'evidenziare da quale
parte sta la forza e nel sottomettersi all'inevitabile. La voce della
maggioranza previene lo spargimento di sangue, ma non è per questo
meno arbitraria del decreto del tiranno più potente spalleggiato
dall'esercito più potente.79

Il voto rappresenta per Tucker soltanto un surrogato temporaneo della


forza fsica. Anche qualora alla base dell'elezione e della volontà di
cambiamento ci fossero dei processi mentali intellettualmente coerenti e
moralmente onesti, essi durerebbero soltanto il tempo necessario, per questa
o quella fazione, a raggiungere le leve di comando:

La ragione applicata alla forza politica lotta per la sua stessa


abdicazione. Nel momento in cui la minoranza diventa maggioranza,
cessa di ragionare e comincia a comandare, ad obbligare e a punire. Se
questo è vero, ne segue che usare il voto per modifcare il governo vuol
dire usare la forza per modifcare il governo.80

79 B.R. Tucker, The Futility of Ballot, in Individual Liberty, cit. p. 55.


80 Ibidem.

61
Chiarita quella che per Tucker è la natura del governo e dello Stato, è
possibile ora procedere con l'analisi della relazione esistente tra quest'ultimo
e l'individuo. Sulla base della propria visione utilitaristica ed egoistica – nel
senso stirneriano del termine – del vivere comunitario, Tucker rifuta a priori
l'adozione di una qualsiasi teoria etica che spieghi gli obblighi cui sono legati
gli individui in società. Gli anarchici tuckeriani rifutano l'idea delle
obbligazioni morali, nonché l'idea dei diritti e dei doveri inerente ad essi.
Come spiegato nel capitolo precedente, in riferimento al dibattito tra
difensori dei diritti naturali e sostenitori delle idee di Stirner, i seguaci di
Tucker non riconoscono ai diritti e ai doveri – così come ai contratti – un
valore morale. Per loro tutte le obbligazioni sono di carattere sociale,
sottoscritte sulla base di considerazioni prettamente utilitaristiche e valide
solo se volontariamente assunte.

Nessun uomo, per quanto ne sappiano gli anarchici, ha mai fatto un


accordo con Dio o con qualche altro potere di natura simile.81

Il diritto, tanto nello Stato quanto nella società, si fonda sul potere e il
“might is its only measure”82. Qualsiasi uomo o qualsiasi gruppo di uomini
possiede diritti se possiede potere. Il diritto della società a schiavizzare
l'individuo e il diritto dell'individuo di schiavizzare la società sono differenti
solo perché i loro poteri sono differenti. Una posizione simile è senz'altro
sovversiva per qualsiasi sistema religioso o morale e il nostro autore ne è
pienamente consapevole, tanto da dichiarare esplicitamente che “I cannot
expect to win immediate assent thereto from the audience” 83, e di rimandare
il lettore che voglia approfondire la tematica alla lettura del classico
stirneriano L'unico e la sua proprietà.
Insomma, la flosofa politica e la scienza sociale del vivere comunitario
non sono solo una questione di diritto – che per Tucker si esaurirebbe nella
forza – ma anche di convenienza e di conoscenza. Qui emerge con maggiore
chiarezza la sua visione della società e della natura umana. Per l'anarchico la

81 B.R. Tucker, The Relatione, cit. p. 20.


82 Ibidem.
83 Ibidem.

62
storia dell'umanità non ha avuto luogo se non a partire dalla scoperta, lenta e
graduale, del fatto che l'individuo trae benefcio dalla società nella misura in
cui quest'ultima è libera e che l'unità di misura per constatare il grado di
stabilità e armonia di una società è la maggiore libertà individuale
compatibile con l'uguaglianza della libertà.

The average man of each new generation has said to himself more
clearly and consciously than his predecessor: “My neighbor is not my
enemy, but my friend, and I am his, if we would but mutually recognize
the fact. We help each other to a better, fuller, happier living; and this
service might be greatly increased if we would cease to restrict, hamper
and oppress each other. ' Why can we not agree to let each live his own
life, neither of us trasgressing the limit that separates our
individualites?84

Grazie a questo ragionamento l'umanità si incammina verso un vero


contratto sociale che non ha nulla a che vedere con quello immaginato da
Rousseau, fondativo l'associazione umana. Per Tucker il contratto non si
trova all'origine della società ma è il risultato di una lunga esperienza sociale,
il frutto di tentativi, sciocchezze ed errori. Ovviamente questa legge sociale
esclude qualsiasi aggressione, qualsiasi invasione, qualsiasi violazione
dell'uguaglianza della libertà. Se si confronta ora, sulla base di queste
caratteristiche peculiari, l'idea tuckeriana di Stato - visto come l'incarnazione
del principio di invasione – con questo contratto emerso dalle spontanee e
volontarie relazioni interindividuali, si vede chiaramente che Stato e società
sono profondamente antagonisti. Visto che la società, secondo la visione
anarchica, risulta essenziale per la vita e lo sviluppo dell'individuo, si può
concludere affermando che la relazione tra lo Stato e l'individuo sarà sempre
di reciproca ostilità fno al giorno in cui lo Stato scomparirà.

84 Ibid., trad. propria: “L'uomo comune di ogni nuova generazione dice a se stesso in forma molto
più chiara e cosciente del suo predecessore: 'Il mio vicino non è mio nemico, è mio amico, e
anch'io sarò il suo se entrambi riconoscessimo reciprocamente questo fatto. Noi ci aiutiamo per
ottenere una migliore, più piena e più felice vita e questo servizio aumenterebbe molto se
cessassimo di costringerci, disturbarci ed opprimerci. Perché non possiamo essere d'accordo sul
lasciare che ognuno viva la sua vita senza trasgredire nessun limite che separa le nostra
individualità?”.

63
CAP. 4
FONTI

4.1 - Le fonti dell'anarchismo filosofico

Dopo aver descritto sommariamente la posizione politica nella quale


può essere compresa la fgura di Tucker ed aver chiarifcato la sua concezione
di Stato, governo e società, si rende obbligatorio approfondire alcuni aspetti
salienti del suo pensiero facendo emergere le radici dalle quali sorgono.
Come si è detto nel primo capitolo, l'attivismo di Tucker non è nato dal nulla
e il suo pensiero si inserisce all'interno di un solco ben preciso della
tradizione americana. Ciò nonostante, grazie alle sue doti intellettuali e
sincretistiche, riuscì a creare una originale sintesi in grado di scompaginare
l'intera galassia della flosofa politica. Conoscere le fonti cui attinse diventa
allora necessario per rintracciare la genesi del suo pensiero e per
comprendere l'origine e il perché della sua incollocabilità all'interno di una
normale categoria concettuale politica. E' interessante notare come i maestri
che lo ispirarono e lo guidarono fn dalla primissima formazione intellettuale
fossero tanto europei quanto americani. Questo fatto è di fondamentale
importanza dato che, grazie a questa natura “gianica” delle fonti, Tucker
riuscì ad acquisire visibilità a livello internazionale, a dialogare con entrambi
i continenti e a costituirsi come un ponte tra l'uno e l'altro. Scendendo nel
dettaglio si noterà come gli autori di maggiore peso siano stati in Europa: H.
Spencer, A. Herbert, P.J. Proudhon e Johann Caspar Schmidt alias M. Stirner,
e negli Stati Uniti: J. Warren, W.B. Green, H.D. Thoreau. Tutti ugualmente
importanti per la costituzione del pensiero di Tucker, le loro idee
fondamentali hanno fnito per plasmare quasi interamente lo spirito
dell'anarchico di Boston. Senza voler sminuire il contributo dato da Tucker
all'orizzonte flosofco e politico mondiale, si potrebbe affermare che

64
l'originalità della sua dottrina deriva non tanto dalla creazione ex novo di un
paradigma, quanto piuttosto dal geniale assembramento di teorie ed idee
derivanti da autori diversissimi tra loro per cultura, storia, lingua e
nazionalità. Queste idee, che sono in un primo momento meticolosamente
studiate e soppesate, diventano in un secondo momento delle pietre
saggiamente incastrate in grado di formare un edifcio concettuale coerente
ed affascinante.

65
4.2 - Herbert Spencer e la legge dell'uguale libertà

Si procederà ora ad analizzare autore per autore i concetti fatti suoi da


Tucker partendo dai pensatori europei e seguendo con quelli statunitensi. Tra
gli europei si inizierà da quelli insulari: Spencer e Herbert. Il contributo dato
da Spencer nella formazione del pensiero di Tucker è fondamentale. Già da
una lettura approssimativa emerge come la spenceriana “legge dell'uguale
libertà” costituisca uno degli assunti cardine del redattore di "Liberty". Essa
viene descritta in uno dei primi testi di Spencer: Social Statics del 1851, la cui
rilevanza per i pensatori successivi, soprattutto americani, è enorme. In
particolare, ai fni del lavoro qui proposto, è importante, all'interno di questo
testo, il capitolo intitolato The Right to Ignore the State. In quest'opera, nella
quale si palesano diverse sfumature anarchiche del pensiero spenceriano,
l'autore propone una visione dello Stato estremamente simile a quella
tuckeriana. Le somiglianze tra i due autori sono strabilianti. L'intero sistema
teorico di Spencer, come del resto quello di Tucker, si basa su un
fondamentale principio dal quale derivano, per consequenzialità logica, tutte
le posizioni assunte nelle varie questioni. Questo assunto cardine è descritto
dal principio dell'uguale libertà e fssa quella che è la regola centrale della
giustizia, ossia che “ogni uomo è libero di fare ciò che vuole, purché non violi
l'uguale libertà degli altri”. Come si può leggere nel già menzionato articolo
The Relation of the State to the Individual Tucker afferma distintamente che:

The history of humanity has been largely one long and gradual
discovery of the fact that the individual is the gainer by society exactly in
proportion as society is free, and of the law that the condition of a
permanent and harmonious society is the greatest amount of individual liberty
compatible with equality of liberty. 85

Nella citazione qui riportata si ritrovano almeno due tematiche


85 B.R.Tucker, The Relation of the State to the Individual, in Individual Liberty, cit., p. 22, trad.
propria: “La storia dell'umanità è stata in gran parte una lunga e graduale scoperta del fatto che
l'individuo beneficia della società nella stessa proporzione in cui una società è libera e che la legge
che segnala se una società è stabile e armoniosa è la maggiore quantità di libertà individuale
compatibile con l'uguaglianza della libertà”.

66
tipicamente spenceriane: 1) l'idea che la storia dell'umanità sia una storia
caratterizzata dalla sempre maggiore e continua perfettibilità dell'individuo;
2) l'idea che questa progressione porti la società a conformarsi alla legge
dell'uguale libertà. Questa legge, che si propone come una cosa apertamente
intuitiva, se presa alla lettera e sviluppata coerentemente porta i due
pensatori a compiere tutta una serie di considerazioni sulla natura dello
Stato, della legislazione, della società e dell'individuo. Grazie ad essa le
funzioni dello dello Stato si riducono per Spencer alla semplice tutela della
libertà individuale. Non ancora dichiaratamente anarchico, ma catalogabile
sotto quella denominazione politica che dopo Nozick diventerà famosa con il
nome di miniarchismo, lo Stato emergente dalle opere spenceriane è
indiscutibilmente minimo. E' un apparato costruito in maniera tale da non
poter limitare quel libero dispiegarsi delle facoltà individuali che rappresenta
la condizione primaria per il conseguimento della felicità e del progresso
della civiltà. Ad esso è vietato intromettersi nella vita religiosa del singolo o
regolamentare la produzione e la circolazione delle merci, così come gli viene
contestata la pretesa di garantire l'istruzione pubblica e l'assistenza sanitaria.
Anche se l'evoluzionista inglese non arriva a bollare l'istituzione statale
come totalmente immorale, ma conviene con Paine nel defnirlo un male reso
necessario per correggere la natura dell'uomo ancora imperfetta, l'affnità con
la rappresentazione che ne da l'anarchico americano è incredibile. In alcune
parti Spencer arriva addirittura a manifestare delle riserve sulla prerogativa
statale di battere moneta, riserve che sono riscontrabili in tutta una serie di
articoli di Tucker riguardanti l'argomento 86 (“First in the importance of its
evil infuence [...] the money monopoly.87”).
La legge dell'uguale libertà si dimostrerà decisiva per comprendere
tutta una serie di argomenti che Tucker farà suoi nel corso della propria
carriera. Questo principio sarà in grado di stabilire i limiti delle sfere d'azione
dei diversi individui e dunque, attraverso di esso, sarà possibile negare o
affermare la legittimità di ogni azione che si andrà ad analizzare, siano esse

86 Cfr., B.R. Tucker, Free Money First, ora in Individual Liberty, cit., p. 63, Free Banking, ora in
Individual Liberty, cit., p. 64, Governament and Value, ora in Individual Liberty, cit., p. 92.
87 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 13.

67
di privati o di istituzioni statali. In particolar modo per Tucker la legge
dell'uguale libertà, unita al principio della sovranità individuale, fungerà da
vera e propria cartina tornasole per testare l'invasività delle eventuali
iniziative private e no, un criterio di valutazione oggettivo ed intransigente
che non si piega ad alcun tipo di compromesso, tanto che arriverà ad
identifcare apertamente il principio dell'uguale libertà con il principio di
giustizia:

I am not wedded to the term “justice,” nor have I any objection to it. If
Mr. Robinson doesn’t like it, let us say “equal liberty” instead.88

Data l'opinione che entrambi gli autori hanno riguardo la legislazione, a


detta loro troppo invasiva nei confronti delle sfere d'azione dei singoli
individui, si può ora capire sulla base di che cosa essa sia sempre stata vista
con malcelato sospetto o aperto dissenso tanto dall'anarchico di Boston
quanto dal flosofo britannico. Se quest'ultimo non arriverà mai a sostenere
che il governo sia in sé e per sé l'incarnazione del principio di aggressione, le
critiche che muoverà al legislatore e alla cosiddetta onnipotenza della
maggioranza non sono per questo di minore incisività. L'infuenza giocata da
Spencer su Tucker si rende evidente in tutte queste tematiche che, si ricorda,
sono corollari di quel principio primo che fssa l'uguaglianza della libertà di
ogni individuo. La legislazione delle moderne organizzazioni statali, oltre a
favorire di volta in volta una parte della società rispetto all'altra – tanto
attraverso leggi proibizionistiche a tutela dell'industria quanto tramite leggi
umanitarie contro la povertà - tende a produrre un'infazione normativa
generatrice più di danni che di benefci. Le argomentazioni economiche di
Tucker, in questo frangente, ricalcano quelle di Spencer. Entrambi sono
dell'opinione che le leggi, creatrici di privilegi e favoritismi, danneggino la
classe operaia stessa, favorendo un abbassamento dei salari e mantenendo
alto l'interesse sui capitali. Inoltre, sebbene molto spesso cerchino di arginare
la povertà, esse, interferendo nei complessi processi sociali, sono in grado
tutt'al più di mitigare soltanto alcuni effetti dei mali sociali risultando così un
rimedio palliativo che agisce sui sintomi visibili ma non riesce ad intaccarne
88 B.R. Tucker, Resistance to Governament, in Individual Liberty, cit., p. 31.

68
le cause. A detta dei due pensatori tutte le leggi sono miopi, tengono conto
del breve periodo ma non del lungo, lasciando così ai posteri l'arduo compito
di fronteggiare una serie di calamità sempre crescenti. Come se non bastasse
il processo legislativo, per come lo intendiamo oggi, non responsabilizza chi
lo fa, nel senso che ai legislatori non è mai chiesto di rispondere dei propri
atti per quanto questi possano essere dannosi e gravosi per gli individui. In
un altro testo fondamentale di Spencer del 1884 considerato da tutti il suo
manifesto politico, The Man Versus the State, la tematica torna alla ribalta.
Considerando il lavoro del parlamento alla stregua di una qualsiasi altra
professione il flosofo paragona la somministrazione di leggi alla
somministrazione di farmaci, ponendo in evidenza come:

L'alunno farmacista che, dopo aver ascoltato la descrizione di


determinati dolori, scambia un'infammazione all'intestino cieco per una
colica e prescrive un forte purgante uccidendo il malato, viene
normalmente accusato e condannato per omicidio. Non serve certo a
scusarlo il fatto che non era sua intenzione fare del male. L'idea che
abbia soltanto commesso un errore di diagnosi non è certo suffciente a
salvarlo. Non aveva il diritto di produrre conseguenze disastrose
occupandosi di questioni delle quali non aveva suffciente cognizione. Il
fatto di aver “ignorato di essere ignorante” non può aver peso nel
giudizio89.

Non si può dire che lo stesso trattamento sia rivolto ai legislatori, nei
confronti dei quali la gente sembra avere una maggiore comprensione:

Le responsabilità dei legislatori ed i loro misfatti sono giudicati invece


con maggior indulgenza. Nella maggior parte dei casi, non pensiamo che
meritino di essere puniti per aver causato – attraverso le leggi emanate –
con la loro ignoranza dei danni90.

Non solo. Per Spencer l'assurdità dell'atteggiamento tenuto nei


confronti dei legislatori si spinge ben oltre. Infatti, nonostante molti fatti
storici dimostrino che una cattiva legge può causare guai immensi e che “i

89 H. Spencer, L'individuo contro lo Stato, Bariletti Editori, Roma 1989, p. 70.


90 Ivi.

69
danni prodotti da legislatori ignoranti sono senza dubbio maggiori di quelli
causati da medici ignoranti”91, per l'opinione pubblica, che sembra non
cogliere questa certezza storica, “gli errori del governo diventano una buona
ragione per chiedergli un sempre maggior intervento nelle cose pubbliche” 92.
Alla base di un tale comportamento non sta tanto una semplice dose di
irresponsabilità, quanto piuttosto un atteggiamento propriamente fdeistico e
irrazionale. Quello per il legislatore viene defnito dal flosofo un vero e
proprio “culto” da cui l'umanità non è ancora in grado di emanciparsi e quel
che è peggio è che questo culto fa da specchio ad una altra superstizione
anche maggiore, quella dell'illimitato potere della maggioranza. Nel capitolo
quarto di The Man Versus the State Spencer afferma che:

la grande superstizione politica del passato era costituita dal diritto


divino dei re. La grande superstizione politica odierna è il diritto divino
dei parlamenti.93

Questa superstizione - che è tale nel senso etimologico del termine in


quanto consiste in una credenza ingenua che sopravvive a se stessa in una
forma vuota priva di contenuto – è totalmente ingiustifcata e molto dannosa.
E' contro di essa che la ragione (e l'anarchismo) si deve scagliare. Infatti,
nonostante con l'illuminismo sia defnitivamente caduta la giustifcazione
divina del potere, l'atteggiamento che “i governati” - siano essi sudditi o
cittadini – hanno nei confronti di chi detiene il potere non è mutato di una
virgola. La sacralizzazione del potere è semplicemente passata dal monarca
alla maggioranza parlamentare. Ma mentre nell'assolutismo, o negli stadi
precedenti della storia, la cosa poteva avere un senso - dato che il monarca
era per tradizione un Dio, un discendente di un Dio o un delegato di Dio - la
situazione attuale non si può motivare nella stessa maniera in quanto
l'attuale organismo legislativo non pretende di avere origini divine. Inoltre,
mentre in passato l'essere il “delegato del cielo” rendeva legittima
l'onnipotenza dei poteri governativi, ora, caduta questa giustifcazione,
nessuno, parlamento compreso, può più reclamare una autorità assoluta e un
91 Ibidem, p. 71.
92 Ibidem, p. 82.
93 Ibidem, p. 105.

70
potere illimitato.

Se si prescinde da origini o deleghe divini, nessun governo, sia esso


rappresentato da un uomo solo o da molti, possiede titoli tali da
giustifcare le pretese di sovranità assoluta. Già mi sembra, però, di
sentire un coro di obbiezioni: “Non è certo possibile negare
l'imprescindibile diritto della maggioranza, diritto che essa trasmette ai
parlamenti che elegge?”. Eccoci giunti alla questione fondamentale.
Diritto divino del parlamento signifca diritto divino della maggioranza.
L'opinione comune tanto tra la gente, quanto tra i legislatori, è che ai
poteri della maggioranza non è possibile porre alcun limite.94

Sono parole che sembrano uscite dalla penna del Bruno Leoni di Freedom
and the Law del 1961 o del Friedrich A. von Hayek di Law, Legislation and
Liberty del 1973. Che l'onnipotenza della maggioranza sia una superstizione
risulta chiaro anche in Tucker quando, parlando della futilità del voto per
riformare la società, sostiene che:

Traces of faith in its effcacy still linger in the minds of those who
suppose themselves emancipated; the old majority superstition yet taints
the reformer’s blood, and, in face of evils that threaten society’s life, he
appeals to its saving grace with the same curious mixture of doubt and
confdence that sometimes leads a wavering and timorous Infdel, when
brought face to face with the fancied terrors of death, to reembrace the
theological superstition from which his good sense has one revolted and
to declare his belief on the Lord Jesus, lest, as one of them is said to have
profanely put it, “there may be, after all, a God, or a Christ, or a Hell, or
some damned thing or other.”95

O ancora quando, allarmato per le derive che potrebbe prendere il


94 Ibidem, p. 109.
95 B.R.Tucker, The Futility of Ballot, in Individual Liberty, cit., p. 55, trad. propria: “tracce di fede
nella sua efficacia ancora rimangono nelle menti di coloro che si suppongono emancipati; la
vecchia superstizione della maggioranza contamina ancora il sangue del riformista e, di fronte ai
mali che minacciano la vita della società, si appella alla sua grazia salvifica con la stessa curiosa
miscela di dubbio e di fiducia che a volte conduce, un miscredente vacillante e timoroso che si
trova faccia a faccia con i terrori immaginari della morte, a riabbracciare la superstizione teologica
da cui il suo buon senso si era ribellato e a dichiarare la sua fede nel signore Gesù, poiché, come
aveva profanamente affermato uno di loro 'ci può essere, in fin dei conti, un Dio, o un Cristo, o un
inferno, o qualche altra dannata cosa'”.

71
socialismo di Stato di impostazione marxista, scrive che:

What other applications this principle of Authority, once adopted in the


economic sphere, will develop is very evident. It means the absolute
control by the majority of all individual conduct […] There would be but one
article in the constitution of a State Socialistic country: “The right of the
majority is absolute.” 96

Come si è potuto notare, la preoccupazione che coglie i due autori nel


parlare della legislazione e dello Stato è di pari intensità. Entrambi
concordano pienamente nell'affermare che, sulle questioni riguardanti la
sfera privata di condotta, la maggioranza non dovrebbe avere il diritto di
deliberare ed entrambi vedono lo Stato come una istituzione pericolosa,
invasiva e sempre pronta ad espandersi. Sebbene questa posizione possa
sembrare, con buone ragioni, comune a tutti i liberali in generale, tanto
Tucker quanto Spencer non si fermano qui. A queste considerazioni fanno
seguire almeno un paio di conseguenze coerenti che li caratterizzano come
aderenti ad una corrente maggiormente anarchica. Queste due conseguenze
sono “il diritto di ignorare lo Stato”, e la “cittadinanza volontaria”.
Alla prima tematica Spencer dedica un intero capitolo di Social Statics,
intitolato giust'appunto: The Right to Ignore the State. Da questo testo Tucker
attingerà a piene mani, tant'è che nell'articolo The Relation of the State to the
Individual, parlando dell'atteggiamento che gli anarchici dovrebbero tenere
nei confronti dei monopoli statali, menzionerà esplicitamente il testo di
Spencer e attribuirà a lui la paternità del “right to ignore the State”

[…] time is lacking to explain the Anarchistic view of the dependence of


usury, and therefore of poverty, upon monopolistic privilege, especially
the banking privilege, and to show how an intelligent minority, educated
in the principle of Anarchism and determined to exercise that right to
ignore the State upon which Spencer, in his “Social Statics,” so ably and

96 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 11, trad. propria: “Quali altre applicazioni
questo principio di Autorità svilupperà, una volta adottato nella sfera economica, sono davvero
evidenti. Significa il controllo assoluto da parte della maggioranza di tutti i comportamenti
individuali […] Non esisterebbe altro che un articolo nella costituzione di un paese con socialismo
di Stato: 'il diritto della maggioranza è assoluto'”

72
admirably insists [...]97

La base da cui Spencer svilupperà la questione rimane la legge


dell'uguale libertà, enunciata nei capitoli precedenti. Sia chiaro: la libertà di
cui godono le persone non è “uguale” nel senso che ciascuno può fare le
medesime cose di qualcun altro. La libertà della quale si gode è “uguale” nel
senso che è “ugualmente limitata”. E’ a partire da questo principio che
Spencer illustra, come suoi corollari, i diritti dell’individuo. “Il diritto di
ignorare lo Stato” è uno di essi. In queste pagine, il flosofo lega la legittimità
dello Stato all’adesione volontaria dei cittadini allo stesso.

Se è vero che un uomo ha la libertà di fare tutto quello che vuole, a patto
che non violi l'eguale libertà di ogni altro uomo, allora è libero di
interrompere il rapporto con lo stato, di rinunciare alla sua protezione e
di rifutare di pagare per il suo mantenimento.98

Rinunciare alla protezione statale, qualora non richiesta, e negare il


conseguente pagamento delle imposte sono dunque due dei punti che
vengono geometricamente dedotti dallo sviluppo coerente della legge di
giustizia. Il “non conformista” ha tutto il diritto di secedere dallo Stato e nel
fare ciò non viola nessuna legge. “E' di per sé evidente”, scrive Spencer, “che
comportandosi così egli non interferisce indebitamente in alcun modo nella
libertà degli altri, in quanto la sua posizione è passiva, e fnché resta passiva
non può diventare un aggressore”99. La dinamica invasione-resistenza
passiva, aggressione-difesa è la medesima che si incontra nelle pagine
dell'anarchico di Boston. La difesa della propria libertà e dei propri diritti
attraverso la non interferenza e l'astensione è la strada maestra indicata dagli
anarchici per essere indipendente, in quanto è il solo metodo che ti consente,
coerentemente, di non essere un complice dello stato e insieme di non
infrangere la legge dell'uguale libertà. Se si assume la teoria degli scienziati

97 B.R.Tucker, The Relation, cit., p. 23, trad. propria: “[...] manca il tempo per spiegare la visione
anarchica della dipendenza dell'usura, e conseguentemente della povertà, dai privilegi
monopolistici, specialmente dal privilegio bancario, e di mostrare come un'intelligente minoranza
educata ai principi dell'anarchismo e determinata ad esercitare quel diritto di ignorare lo Stato sul
quale Spencer, nella sua Social Statics, insiste così abilmente ed ammirevolmente [...]”.
98 H. Spencer, Il diritto di ignorare lo stato, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 121.
99 Ivi.

73
politici per la quale il popolo è l'unica fonte del potere, che lo esercita
direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, ne consegue che il diritto di
ignorare lo Stato è assolutamente legittimo. Infatti, come sottolinea Spencer:

Se l'autorità legislativa è delegata, ne consegue che coloro da cui procede


sono i padroni di coloro a cui è conferita: ne consegue ulteriormente che
come padroni conferiscono la detta autorità volontariamente: e ciò
implica che possono darla o trattenerla come loro aggrada. Defnire “una
delega” ciò che in realtà viene sottratto agli uomini, siano essi d'accordo
o meno, non ha alcun senso.100

Insomma, a sostenere la tesi della delega del potere da parte del popolo,
non si può negare il diritto di ignorare lo Stato senza cadere in un'assurdità.
Considerando il governo un semplice agente assunto da una comunità di
individui per ottenere un certo vantaggio, la natura del rapporto implica
necessariamente che stia ad ognuno dire se vuole impiegare tale agente o no.
E' evidente come qua l'impostazione metodologica di Spencer sia quella
tipica dell'individualismo radicale, vale a dire che date le premesse e
considerando la società come un insieme di singoli individui spinti
dall'interesse a cooperare, ciò che è vero per tutti collettivamente è
ugualmente vero di ciascuno separatamente, “come un governo può agire a
buon diritto per il popolo solo quando autorizzato dal popolo, così esso può
anche agire a buon diritto per l'individuo solo quando da lui autorizzato” 101.
Stato e società si formano in maniera del tutto naturale attraverso la
spontanea associazione dei soggetti individuali e non sono niente di più della
somma numerica di tutti questi singoli attori sociali. Il diritto di ignorare lo
Stato e la cittadinanza volontaria sono allora due prese di posizione
inscindibili tra loro, che discendono automaticamente dell'unione di una tale
visione della società con la legge di giustizia coincidente con la legge
dell'uguale libertà individuale. Un governo che non tenga in considerazione
queste possibilità e si formi come una istituzione costrittiva e autoritaria, che
si impone su una determinata area geografca, diviene allora un governo

100 Ibidem, p. 124.


101 Ivi.

74
ingiustifcabile e immorale, e purtroppo questa è la natura di ogni Stato
fnora esistito. Un'altro punto di contatto che avvicina Tucker a questo primo
Spencer è per l'appunto il modo di vedere ed intendere lo Stato. Lo Stato è
essenzialmente immorale, si genera dal male e si alimenta di esso.

Non è esso [lo Stato] la progenie del male, recante tutti i segni della sua
origine? Non esiste perché esiste il crimine? Non è forte, o come diciamo,
dispotico, quando il crimine è grande? Non vi è più libertà, ovvero,
meno governo, non appena il crimine diminuisce?102

Questo è ciò che si domanda Spencer nel diciottesimo capitolo della sua
Social Statics, sono domande retoriche che riescono però a centrare il punto.
Non deve stupire e va da sé che, se l'autorità statale è nata per fronteggiare il
crimine e l'illecito, con l'aumentare dell'uno aumenta necessariamente anche
il potere dell'altro, ma le considerazioni svolte dal flosofo britannico non si
fermano qui. Infatti, non solo l'esistenza dello Stato è fortemente collegata e
dipendente all'esistenza del crimine, ma i mezzi utilizzati dal primo
combaciano perfettamente con i mezzi utilizzati dal secondo. “Non solo il
potere dell'autorità esiste a causa del male, ma esso esiste per mezzo del
male”103. La violenza esercitata dal criminale ha la stessa medesima natura
della violenza esercitata dal potere statale e tende ad alimentarsi in un circolo
vizioso. Ogni atto criminale è violenza ed ogni violenza esercitata dallo Stato
è crimine. L'esercito, la polizia e le carceri sono strumenti per infiggere delle
pene, ed ogni pena è, in astratto, un male. Nessun sistema teorico o teleologia
sociale può negare, per Spencer, questo fatto, ossia che “lo Stato impiega le
armi del male per soggiogare il male, ed è nello stesso modo contaminato
dagli oggetti con cui ha a che fare e dai mezzi con cui opera” 104. Per questo
motivo la moralità – intesa sempre come l'enunciazione della legge perfetta
dell'uguale libertà - non potrà mai riconoscere come legittima ed etica
l'autorità statale, ma sarà ai suoi occhi meramente convenzionale.
La posizione spenceriana farà parte allora di quella scuola di pensiero
opposta alla linea teorica propria di un Georg Wilhelm Friedrich Hegel o di
102 Ibidem, p. 122.
103 Ivi.
104 Ivi.

75
un un Thomas Hobbes. Qui infatti Spencer – come prima di lui William
Godwin, e dopo di lui Tucker – sembra essere convinto che la società senza
Stato rappresenti il punto d'arrivo dell'emancipazione dell'umanità. A
differenza di Hobbes ed Hegel, per gli autori appartenenti alla corrente
anarchica e libertaria lo Stato non è il vertice razionale della storia ma un
residuo negativo destinato ad estinguersi con il graduale perfezionamento
antropologico; per dirla con Tucker “Lo Stato è destinato a morire. Lo Stato
non è un organismo e se anche fosse un organismo sarebbe una tigre da
scacciare con la pistola”105.

105 B.R. Tucker, Contract and Organism, “Liberty”, 30 luglio 1887.

76
4.3 - Auberon Herbert e la voluntary taxation

Le tematiche qui trattate portano direttamente all'analisi del pensiero di


un'altra fonte molto profcua per Tucker: Herbert. Enfaticamente defnito da
un biografo un “crociato della libertà” 106, Herbert fu uno tra i più famosi e
fecondi seguaci della flosofa politica di Spencer, in grado di unire ardore e
indipendenza di pensiero. Riuscì infatti, a partire dalle posizioni espresse dal
maestro, a sviluppare una variante dell'individualismo spenceriano che
chiamò “volontarismo” e che fece di lui uno dei grandi individualisti radicali
del diciannovesimo secolo. Tra le opere da lui partorite, quella che
maggiormente si inserisce nel discorso qui intessuto, è la pubblicazione, dal
1890 al 1901, della rivista “Free Life”, recante come indicazione “The Organ of
Voluntary Taxation and the Voluntary State”. La sua flosofa politica univa,
come si evince da quest'ultimo sottotitolo (tassazione volontaria e Stato
volontario), un liberalismo coerente, molto estremo nelle sue prese di
posizione ma mai apertamente anarchico, con un individualismo radicale
assolutamente in linea con quello di Tucker. Nell'occasione della sua morte,
avvenuta del 1906, Tucker scrisse: “Auberon Herbert è morto. Fu un vero
anarchico in tutto tranne che di nome. Che cosa migliore (e anche più rara)
essere anarchici in tutto tranne che di nome piuttosto che essere anarchici
solo nel nome!”107. La defnizione di “anarchico anche se non di nome” è
sicuramente la più adatta a defnire chi, come Herbert, parla di governi liberi
non monopolistici su base volontaria. I riferimenti a Herbert nelle pagine di
"Liberty" non sono poi così rari, oltre che in occasione della morte, l'anarchico
di Boston loderà esplicitamente il lavoro del pubblicista britannico che
considererà un “magnifcent assault on the majority idea, a searching
exposure of the inherent evil State system, and a glorious assertion of the
inistimable benefts of voluntary action and free competition” 108. Dal canto
106 Cfr. S. Hutchinson Harris, Auberon Herbert: Crusader for Liberty, William & Norgate, London
1943.
107 B.R. Tucker, “Liberty”, vol 15 (1906), n. 6, pag. 16.
108 B.R. Tucker, Liberty and Labor, in Individual Liberty, cit., pp. 164-165, trad. propria: “un
magnifico assalto all'idea della maggioranza, un'esposizione ricercata del male intrinseco al
sistema Stato, e una gloriosa affermazione degli inestimabili benefici dell'azione volontaria e
della libera concorrenza”.

77
suo Herbert considerava quelli come Tucker anarchici “assennati, pacifci e
ragionevoli”109 dimostrando così che - nonostante si considerasse al di fuori
del raggio del pensiero politico anarchico tanto da sostenere che “ogni
anarchia o non governo è fondata su un errore fatale” 110 - le posizioni dei due
autori sorgevano su una base analoga e un confronto costruttivo tra di esse
non era poi così impossibile.
Anche Herbert, come Tucker e forse di più, si pone nel solco
spenceriano, sebbene - a differenza del maestro e dell'anarchico statunitense -
non rinuncerà mai alla dottrina dei natural rights per affermare le
caratteristiche salienti del suo “volontarismo”, ovverosia di un
individualismo mirante a sostituire la cooperazione volontaria a quella
coercitiva in ambito sociale. Il punto di partenza teorico della rifessione
herbertiana è, come per Tucker, la spenceriana legge dell'uguale libertà, alla
quale Herbert somma una considerazione di stampo morale, ossia che il
desiderio di esercitare la forza è il principio del male. Il pensiero politico
dello scrittore inglese assume in questa maniera una forte connotazione
“pacifsta”, nel senso che non esiterà mai a condannare sempre e comunque
qualsiasi manifestazione di violenza. Egli sa, come Spencer prima di lui, che
guerra e politica sono basate sulla forza, e per tanto esse resteranno sempre
ingiustifcabili. Il potere e la forza con la quale si esercita, sono integramente
immorali, sono l'estrinsecazione del male a prescindere dalla contingenza in
cui si esplicano e in quanto tali non sono tollerabili in una società che
pretende di essere al vertice della scala evolutiva. Da questa visione morale
della società e dall'individuazione degli spazi di relazione che non hanno a
che fare con la cooperazione volontaria, deriva la condanna della forza. Per
questo motivo il “pacifsmo” dell'autore è stato messo tra virgolette, perché,
nonostante la forza della rifessione morale delle sue pagine, il suo è un
pensiero disincantato che è ben cosciente del fatto che la vita dell'uomo si
regga sulla conservazione di se stessi.
Come allora per Tucker, e per tutto il libertarianismo contemporaneo
sulla scia di Ayn Rand e Rothbard, esisterà per Herbert una differenza

109 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 140.
110 Ibidem, p. 141.

78
qualitativa tra la forza impiegata nell'atto di aggressione e la forza impiegata
nel momento in cui ci si difende, ma è una differenza che non riesce a
scrollarsi di dosso quel pessimismo morale e quella coerenza intellettuale
propria di Herbert. Infatti, se si è costretti ad esercitare la forza per
difenderci, nonostante la comprensibilità dell'atto, il giudizio di fondo non
muta e il difensore si vede costretto a scendere al livello dell'aggressore. A far
avanzare l'uomo nel progresso e a riscattarlo dalla sua esistenza ferina sarà,
dunque, per Herbert l'opzione giusnaturalistica unita alla self-ownership di
ascendenza lockiana, che rende inseparabili libertà e proprietà conferendo
loro un primato sulla società 111. A prescindere dalla teoria giusnaturalistica,
che fonderà e giustifcherà l'esistenza dei diritti individuali, le conclusioni a
cui giungerà il teorico britannico risultano analoghe a quelle tipicamente
anarco-individualiste:

Riteniamo che fno a quando viva entro la sfera dei propri diritti, fno a
quando rispetti questi diritti negli altri, senza aggredire con la forza o la
frode la persona o la proprietà dei suoi vicini, egli [l'individuo] non
possa essere sottomesso, tranne per suo consenso, al controllo e alla
direzione degli altri, e non possa legittimamente essere costretto sotto
qualunque pubblico pretesto, con la forza degli altri, a compiere alcun
servizio, a pagare alcun contributo o ad agire o non agire in alcuna
maniera contraria ai suoi desideri o al suo senso del giusto.112

La libertà individuale, emergente da questa breve citazione, ricalca


integralmente la concezione della libertà sostenuta da Tucker e da Spencer.
Lo spazio di libertà che si crea nelle relazioni intersoggettive e che si esplicita
nella legge dell'uguale libertà, è uno spazio infrangibile, che nessun
individuo privato o ente pubblico può violare. Da questa sfera d'azione,
appartenente ad ogni attore sociale e da lui inalienabile, discenderà, per
logica conseguenza, la libertà per ognuno di ignorare lo Stato e di secedere

111 Cfr. A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 133, trad.
propria: “Riteniamo che l'individuo sia non solo l'unico vero proprietario delle sue facoltà, ma
anche della sua proprietà, perché la proprietà è direttamente o indirettamente il prodotto delle
facoltà, è inseparabile dalle facoltà, e quindi deve riposare sulle stesse basi morali e ricadere sotto
la stessa legge morale delle facoltà.”
112 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 134.

79
da esso qualora lo volesse, nonché la necessità di creare un governo su base
volontaria che non ledi i diritti della persona.

Riteniamo che ciò che un uomo non può moralmente fare non lo possa
moralmente fare un milione di uomini, né possa farlo un governo, che
rappresenta molti milioni di uomini. I governi sono solo macchine create
dagli individui di una nazione a proprio vantaggio; sono solo corpi
delegati, delegati dagli individui, e quindi non possono assolutamente
avere diritti morali più ampi nell'uso della forza o, per meglio dire,
diritti morali di qualunque specie più ampi degli individui che li
delegano.113

Le argomentazioni usate per sostenere una posizione simile, sono in


gran parte le stesse usate dal contemporaneo Tucker che, come si è
sottolineato prima e nei capitoli precedenti, non ritiene che la forza e
l'aggressione possano essere in alcun modo giustifcate, siano esse esercitate
da una persona nei confronti della maggioranza, o dalla maggioranza delle
persone nei confronti di una minoranza:

The essence of government is control, or the attempt to control. He who


attempts to control another is a governor, an aggressor, an invader; and
the nature of such invasion is not changed, whether it is made by one
man upon another man, after the manner of the ordinary criminal, or by
one man upon all other men, after the manner of an absolute monarch,
or by all other men upon one man, after the manner of a modern
democracy. 114

Per ritornare a quella distinzione accennata sopra, tra sostenitori dello


Stato inteso come apice razionale dello sviluppo dell'umanità (Hegel,
Hobbes) e detrattori dello Stato inteso come strumento necessario che col
progresso delle facoltà umane è destinato a scomparire (Tucker, Spencer),
Herbert può, a buon diritto, rivendicare un posto d'onore nell'alveo dei
113 Ivi.
114 B.R. Tucker, The Relatone, cit., p. 21, trad. propria: “L'essenza del governo è il controllo, o il
tentativo di controllare. Colui che cerca di controllare un altro è un governatore, un aggressore,
un invasore; e la natura di tale invasione non cambia se è fatta da un uomo su un altro uomo, alla
maniera del criminale comune, o da un uomo du tutti gli altri uomini, alla maniera di un monarca
assoluto, o da tutti gli uomini su un uomo, alla maniera di una democrazia moderna”.

80
secondi. In una parte molto incisiva di Volontarismo e Libertà115 lo scrittore
britannico delinea pienamente quella che è la visione dello Stato propria
dell'anarchismo flosofco tuckeriano, criticando, al contempo, quell'errore -
precedentemente defnito come “superstizione della maggioranza” - che
vede la maggioranza parlamentare come detentrice di un potere illimitato:

[…] ripudiamo totalmente la dottrina pagana di quegli adoratori del


potere che vedono nello stato una sorta di dio, qualcosa di più grande e
più sacro degli individui che pur tuttavia creano e plasmano e cambiano
questo dio di loro fattura secondo le loro idee mutevoli, qualcosa che
possiede un'autorità assoluta, derivata nessuno sa da dove, che detiene
una delega in bianco e illimitata a sottomettere e schiacciare qualunque
gruppo di uomini, se inferiore di numero, ai comandi di un altro gruppo
di uomini, se maggiore di numero.116

Attento scrematore di autori, libri e riviste, a Tucker non passerà


inosservata la posizione di Herbert in merito, tanto che ne richiamerà
esplicitamente l'attenzione in un articolo di "Liberty" dal titolo Liberty or
Authority:

In a recent essay entitled “A Politician in Sight of Heaven,” written, as


the London Spectator says, with an unsurpassable charm of style, Mr.
Herbert explodes the majority lie, ridicules physical force as a solution of
social problems, strips government of every function except the police,
and recognizes even that only as an evil of brief necessity, and in
conclusion proposes the adoption of voluntary taxation with a calmness
and confdence which must have taken Mr. Spencer’s breath away.117

Questo punto è di fondamentale importanza tanto per Tucker quanto

115 Cfr. originariamente in The Principle of Voluntaryism and Free Life, il quale consiste in una serie
di estratti dagli scritti di Herbert, pubblicati come pamphlet nel 1897.
116 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit. p. 137.
117 B.R. Tucker, Liberty or Authority, ora in Individual Liberty, cit., p. 164, trad. propria: “In un
recente saggio dal titolo 'Un politico al cospetto del cielo' scritto, come dice il London Spectator,
con un insuperabile fascino di stile, Herbert distrugge la menzogna della maggioranza,
ridicolizza la forza fisica come soluzione dei problemi sociali, spoglia il governo di ogni
funzione ad eccezione della polizia e lo riconosce soltanto come un male di breve necessità, e
infine propone l'adozione della tassazione volontaria con una calma e una fiducia che devono
aver tolto il fiato a Spencer”.

81
per Herbert. La dittatura della maggioranza numerica, unita alla concezione
dello Stato visto come semplice (e scomodo) espediente da abbandonare con
il tempo e lo sviluppo dello spirito umano, resteranno i temi principali delle
pagine herbertiane. Lo Stato, lo si ricorda un'ultima volta, deriva dai singoli e
non possiede nessun potere, nessuna forza, nessuna ricchezza e nessun
valore morale se non quello concesso lui dai singoli attori sociali. Attraverso
questa smitizzazione del potere politico appare evidente che il governo, nella
logica di Herbert, non può possedere più diritti degli individui che lo
compongono e occupa la loro stessa posizione nei confronti della legge
universale del giusto e dell'ingiusto, cioè non può compiere azioni che non
verrebbero ammesse se compiute da singoli individui o da gruppi di
individui.
Strettamente collegato alla tematica qui affrontata è la rifessione legata
al voto. Il voto, dato dal singolo cittadino a questa o quella fazione politica,
non rende infatti in alcun modo legittimo il potere di coercidere e limitare le
libertà individuali. Pur non essendo esplicito come l'anarchico di Boston -
che più di qualche volta affermerà “neither bullets nor ballots” - Herbert non
si stancherà mai di sostenere che:

[…] I diritti degli uomini sono troppo sacri per essere spazzati via col
voto nelle contese dei nostri partiti politici. Ripetiamo ancora una volta il
nostro principio volontaristico: i diritti di libertà sempre al primo posto,
l'autorità del governo sempre al secondo.118

Se questo è il principio primo dell'etica volontarista, qual'è allora il


lavoro che deve compiere, per Herbert, il sostenitore del volontarismo? Il
compito di chi come lui abbraccia una visione della politica e della società
siffatta, è quello di “distruggere l'amore del potere tanto in se stesso quanto
nei suoi simili”119. E' una mansione non certo semplice da svolgere ma
essenziale per creare una comunità di individui pacifci, industriosi ed
evoluti. Come per tutti gli anarchici individualisti – la specifcazione qui è
d'obbligo dato che per la lotta dei collettivisti le priorità sono tutt'altre –

118 A. Herbert, Volontarismo e libertà, in N. Iannello, La società senza stato, cit., p. 140.
119 Ibidem, 142.

82
l'educazione alla libertà, alla legge dell'uguale libertà e alla non aggressione
risulta fondamentale. E' una educazione critica che va ben oltre
l'indottrinamento, dato che non propone una dottrina rigida e schematica da
imporre con la forza, quanto piuttosto un percorso di formazione interiore.
Essa consiste in un lavoro fatto su se stessi, che porta ad estinguere “il
desiderio di imporre agli altri con la forza opinioni e interessi, qualunque
siano; e ad accontentarsi di essere qualcuno che si governa da sé e che non
governa gli altri”120. Il metodo utilizzato per conseguire quest'obbiettivo sarà
allora il predicare e “rafforzare la convinzione nelle armi morali della
ragione, della discussione e dell'esempio” 121.
C'è da dire che anche Herbert come già Spencer non si defnirà mai un
anarchico. Nonostante i punti in comune – riassumibili schematicamente in
volontarismo e pacifsmo disincantato – il rapporto tra Auberon Herbert e
Benjamin Tucker non fu scevro di contestazioni. Proprio per evitare malintesi
il pensatore britannico precisa di non sostenere l'anarchia in quanto lo
considera un credo politico basato sulla forza. Per lui l'anarchia non
appartiene alle dottrine di libertà perché produrrebbe tanti governi quanti
sono gli uomini, ciascuno agendo come un giudice in causa propria. Infatti
“quando [l'anarchia] distrugge il governo centrale e regolarmente costituito e
propone di lasciare a ogni gruppo di adottare i propri accorgimenti per la
repressione del crimine comune, essa semplicemente decentralizza il governo
fno al punto più estremo, spezzettandolo in frammenti minuti di ogni
dimensione e forma” così che, terminerà l'autore, “fno a quando ci sarà il
crimine comune, fno a quando ci saranno le aggressioni di un uomo contro
la vita e la proprietà di un altro uomo, e fno a quando la maggior parte degli
uomini sarà risoluta a difendere la vita e la proprietà non ci potrà essere
anarchia o non governo”.
La forza, afferma Herbert sulla scorta di Spencer, dovrebbe risiedere
nelle mani del governo e non degli individui, intendendo il governo come
agente e servitore della libertà, con compiti ben defniti e limitati. L’orizzonte
ultimo vagheggiato dal pensatore inglese, proprio come già visto per l’autore

120 Ivi.
121 Ivi.

83
di Social Statics, è quello di un mondo liberato dalla violenza; ma questa
aspirazione, che sa di anarchismo classico, è temperata dal realismo del
liberale, consapevole del fatto che fnché forza e frode saranno mezzi
impiegati dagli uomini, non potrà mancare il ricorso alla forza per limitare la
forza. Herbert precisa però come anche la forza difensiva rimanga un male,
anche se tollerabile per evitarne uno maggiore. Per descrivere il rapporto con
la forza il pensatore inglese ricorre alla metafora del fuoco, necessario e utile
nei caminetti, nemico sommamente pericoloso se prende libero corso.
Da questo punto di vista la vicinanza con Tucker va un po sfumando.
Dal canto suo il redattore di "Liberty", nella sua intransigenza e coerenza
anarchica, non potrà mai accettare delle conclusioni simili e in qualche
occasione – come nell'articolo Property Under Anarchism – puntualizzerà,
seppur con tono benevolo e rispettoso, alcune affermazioni sostenute nella
rivista Free Life dal suo editore. Se egli crede davvero, come gli anarchici,
nella “voluntary association, voluntarily supported, for the defence of person and
property” allora non può considerare la legge anarchica troppo rigida dato
che:

[…] under Anarchism all rules and laws will be little more than
suggestions for the guidance of juries, and that all disputes, whether
about land or anything else, will be submitted to juries which will judge
not only the facts, but the law, the justice of the law, its applicability to
the given circumstances, and the penalty or damage to be inficted
because of its infraction. What better safeguard against rigidity could
there be than this?122

122 B.R. Tucker, Property Under Anarchism, ora in Individual Liberty, cit., p. 130, trad. propria: “[...]
sotto l'anarchismo tutte le regole e le leggi saranno poco più di suggerimenti per guidare le giurie,
e tutte le controversie, sia sulla terra che su qualsiasi altra cosa, saranno sottoposte alle giurie che
giudicheranno non solo i fatti ma anche la legge, la giustizia della legge, la sua applicabilità alle
circostanze date, e la pena o i danni da infliggere per l'inflazione. Quale migliore salvaguardia
contro la rigidità poteva esserci?”.

84
4.4 - Pierre-Joseph Proudhon e la teoria del valore-lavoro

Sosteniamo che, una volta identifcati il capitale e il lavoro, la società


sussiste da sola e non ha più bisogno del governo. Noi siamo, di
conseguenza, e l'abbiamo proclamato più di qualche volta, anarchici.
L'anarchia è la condizione d'esistenza delle società adulte, così come la
gerarchia è la condizione di esistenza delle società primitive: nelle
società umane esiste un incessante progresso dalla gerarchia
all'anarchia.123

Questa breve citazione di un saggio critico di Proudhon mette


istantaneamente in luce la vicinanza del socialista libertario francese
all'individualista radicale americano. Durante tutto l'arco della sua vita
Tucker non mancherà mai di considerare Proudhon il suo maestro e non si
troverà, in tutta la sua carriera editoriale, una sola riga di critica o polemica
rivolta al pensatore francese.
Il motivo di tanta venerazione è presto detto. Chiunque abbia un
minimo di dimestichezza con le opere di Proudhon e si accingesse a prendere
in mano le pagine di “Liberty”, noterebbe ipso facto che i principi basilari
assunti da Tucker, nel fondare il suo “ismo”, riposano, in buona perte, sui
fondamenti del pensiero partoriti dalla mente del socialista francese. La
critica dello Stato considerato come una istituzione inessenziale che tende
costantemente al proprio rafforzamento, la teoria economica secondo la quale
il lavoro è sempre la misura reale del valore di un bene e, infne, l'assunzione
del termine anarchia per defnire la propria posizione all'interno della
galassia politica, sono tutti assunti che Tucker mutua da Proudhon. Sono
posizioni di non poco conto che condizioneranno notevolmente l'intera
produzione tuckeriana.
Partendo dalla questione dell'assunzione del termine anarchia, è
necessario sottolineare come con Proudhon, per la prima volta nella storia, si
dia un mutamento radicale nella percezione del signifcato della parola.
Grazie a lui l'anarchia, da essere sempre stata caratterizzata per la sua
123 P. J. Proudhon, Critica dello Stato, in Critica della proprietà e dello Stato, a cura di G. P. Berti,
Elèuthera, Milano 2009, p. 67, consultabile in www.eleuthera.it.

85
negatività, si trasforma in un'espressione dalle forti connotazioni positive.
Come si evince dall'incipit, Proudhon identifca l'anarchia con la libertà e con
il principio di libertà, in opposizione a tutte le altre forme di organizzazione
sociale – più o meno stataliste – che rispondono al principio di autorità e
vengono identifcate con il termine “ger-archia”. Lungi dall'essere sinonimo
di caos e disordine generalizzato l'anarchia risulta quindi “l'espressione del
più alto grado di civiltà e di ordine cui possa giungere l'umanità” 124. Non
solo, dunque, l'espressione si tinge di una colorazione benevola ma diventa
l'aspirazione massima e il punto più alto cui può pervenire l'intero genere
umano (quanto meno per quanto riguarda le forme di organizzazione,
associazione e aggregazione sociale).
Proudhon sostiene apertamente l'inutilità dello Stato di fronte alla
libera associazione che, attraverso il completo dispiegamento della libertà e
le varie forme del contratto, è in grado di sopravvivere autonomamente. Per
questo motivo è da ascrivere anch'egli tra quella cerchia di pensatori che
dipingono il dissolvimento dello Stato all'interno della società civile come
l'approdo ultimo, e necessario, della civiltà umana. Sulla base di questa
concezione costruirà in seguito la distinzione tra “regime di autorità” e
“regime di libertà” che si dimostrerà fondamentale per l'intera costruzione
teorica di Tucker. All'interno di un altro saggio critico il cui titolo presenta
delle sfumature prettamente tuckeriane (Autorità e Libertà), Proudhon
afferma:

Abbiamo individuato i due principi fondamentali e antitetici di ogni


governo: autorità e libertà. […] due differenti tipi di governo si
deducono solitamente a priori da quelle due nozioni basilari, secondo la
preminenza o preferenza che si vuol accordare all’una o all’altra, e sono:
il regime di autorità e il regime di libertà. Essendo inoltre la società
composta da individui, e potendosi classifcare, i rapporti fra individuo e
società, in quattro diversi modi, ne risultano quattro tipi di governo, due
per ciascun regime:
1. regime di autorità: a) governo di tutti da parte di uno: monarchia o
patriarcato; b) governo di tutti da parte di tutti: panarchia o comunismo;

124 Ibidem, p. 72.

86
il carattere essenziale di questo regime di autorità, in ambedue le specie,
è l’indivisione del potere;
2. regime di libertà: a) governo di tutti da parte di ciascuno: democrazia; b)
governo di ciascuno per sé: anarchia o autogoverno; il carattere
essenziale di questo regime di libertà, in ambedue le specie, è la
divisione del potere. 125

La distinzione qui riportata richiama esplicitamente la divisione


compiuta da Tucker nel già citato articolo State Socialism and Anarchism: How
far they agree, and wherein they differ, scritto nel 1886 e pubblicato per la prima
volta nel 1893, dove l'anarchico statunitense applica il fltro
“autorità/libertà” per distinguere le diverse forme di socialismo e per
condannare, come fece Proudhon prima di lui, il comunismo marxista. Come
si è già accennato nel capitolo precedente, anche Tucker vede nel comunismo
un regime che risponde al principle of Authority che conduce ad un
progressivo accentramento del potere nelle mani dell'apparato statale che si
traduce con un “absolute control by the majority of all individual conduct” 126;
parallelamente rintraccia nell'anarchia la miglior forma di organizzazione
sociale in grado di armonizzare tra loro le diverse libertà individuali,
obbedendo al principio di libertà e dividendo il potere in maniera tale che
“all the affairs of men should be managed by individuals or voluntary
associations, and that the State should be abolished” 127. Questa distinzione
rimarrà fondamentale per tutta la vita di Tucker e starà alla base di ogni
giudizio di valore espresso nei confronti delle istituzioni o delle manovre
governative. Al pari di Proudhon, che vedrà l'anarchia nell'ottica del
“governo del singolo da parte del singolo, cioè autogoverno” 128 l'anarchico
individualista riconoscerà l'anarchia come la libertà del singolo di decidere
per se stesso, di essere giudice di se stesso, di autogovernarsi, in poche parole
identifcherà l'anarchia con la warreniana individual sovereignty. A scorrere le
successive righe di Autorità e Libertà diverrà ulteriormente chiaro quanto la
concezione dell'anarchia di Proudhon e quella di Tucker risultino molto
125 P. J. Proudhon, Autorità e Libertà, in G.P. Berti, Critica della proprietà e dello Stato, cit., p. 139.
126 B.R. Tucker, State Socialism and Anarchism, cit., p. 11.
127 Ivi.
128 P. J. Proudhon, Autorità e Libertà, cit., p. 141.

87
spesso sovrapponibili:

Poiché l'espressione “governo anarchico” implica una serie di


contraddizioni, la cosa sembra impossibile e l'idea assurda. Tuttavia il
difetto è qui soltanto nell'espressione: la nozione di anarchia, in politica,
è altrettanto razionale e positiva quanto le altre. Essa consiste nel fatto
che, qualora si riducessero le funzioni politiche alle funzioni dell'umana
industria, l'ordine sociale risulterebbe dal solo fatto della transazione e
degli scambi; e ciascuno allora potrebbe chiamarsi autocrate di se stesso,
che è l'estremo opposto dell'assolutismo monarchico129

Come si può notare, emerge qui tutta la visione della società ideale
tuckeriana, la cosiddetta society by contract, nella quale l'ordine sociale tra gli
individui sorge spontaneo grazie alla sola operosità umana, alle transizioni
volontarie, agli scambi e ai contratti. L'intera immagine della società perfetta
di Tucker può essere riassunta dalla citazione appena riportata, e con essa
anche la completa visione di ciò che intende con anarchia e società anarchica.
L'unica differenza che, a voler essere pignoli si potrebbe mettere in evidenza,
è la mancanza, nel radicale americano, di quello scetticismo e pessimismo di
fondo tipici della penna di Proudhon. Tucker, infatti, crederà fno in fondo
alla realizzabilità del suo ideale di società, spenderà per esso tutte le proprie
fnanze e tutte le proprie energie, e - apparte forse durante l'ultimo periodo
della sua vita, quando, trasferitosi a Monaco all'alba della seconda guerra
mondiale, ebbe qualche sconsolato ripensamento - non vacillerà mai nella
sua fede razionale. A differenza sua il pensatore francese avrà sempre la
premura di stendere un velo di dubbio alla fne delle sue dissertazioni. Così,
alla fne del suo essay si potrà leggere che, tanto l'anarchia quanto la
democrazia, pur essendo “fondate sul principio della libertà e sui suoi diritti,
e perseguendo il loro ideale logicamente dedotto da tal principio” 130, non
saranno mai in grado di realizzarsi interamente nella loro purezza e
“malgrado la loro origine giuridica e razionalista” 131 non potranno,
“crescendo e sviluppandosi in popolazione e territorio, mantenersi

129 Ivi.
130 Ivi.
131 Ivi.

88
rigorosamente e limpidamente coerenti con la loro primitiva idea” 132 e, per
tanto, saranno condannati a “uno stato di desiderata perpetuo”133.
In defnitiva:

malgrado il potente fascino della libertà, né la democrazia né l'anarchia


si sono mai in alcun luogo costituite nella pienezza e integrità della loro
idea.134

La vicinanza tra i due pensatori non si esaurisce però nella concordanza


che ebbero in merito alla concezione dell'anarchia intesa come autogoverno
guidato dal principio di libertà. Volendo proseguire nella comparazione dei
due scrittori, si scopre che Tucker attinse da Proudhon molto altro, tra cui
prima per importanza la visione economica del lavoro come misura del
valore di un bene. Nella sua opera più celebre, Qu'est-ce que la propriété?,
Proudhon, dopo aver distinto tra la proprietà intesa come possesso e la
proprietà intesa come fattore economico generatrice di sfruttamento (quello
che successivamente Tucker chiamerà “usura” che si traduce in: rendita,
interesse e proftto) compie una digressione su una delle tematiche che
maggiormente sono state discusse nell'economia classica: la teoria del valore.
Dopo aver affermato che “gli economisti appoggiati sulle loro induzioni
utilitarie vengono a loro volta a dirci: l'origine della proprietà è il lavoro” 135, il
pensatore francese si chiede:

Se il lavoro, l'occupazione effettiva e feconda, è il principio della


proprietà, come spiegare la proprietà presso colui che non lavora? Come
giustifcarne l'afftto? Come dedurre dalla formazione della proprietà
mediante il lavoro il diritto di possedere senza lavoro? Come sostenere
che da un lavoro sostenuto durante trent'anni risulta una proprietà
eterna? [...] Ora, qual è il valore del lavoro? Qual è la misura comune dei
prodotti, il cui scambio conduce a così mostruose disuguaglianze nella
proprietà?136

132 Ibidem, p. 142.


133 Ivi.
134 Ivi.
135 P. J. Proudhon, Che cos'è la propretà?, in Critica della proprietà e dello Stato, cit. p.. 50.
136 Ivi.

89
La rigidità dello scrittore francese nell'identifcare la reale misura del
valore di un bene nel lavoro è uno dei tratti che più lo contraddistinguono, e
costituisce una delle caratteristiche di cui si impadronirà Benjamin Tucker,
sostenendo, in numerose occasioni, che “labor is the true measure of price”,
che “the natural wage of labor is its product” o che “all Anarchists consider
labor to be the only basis of the right of ownership”.
Senza voler scendere troppo nel dettaglio, cosa che il presente lavoro
non permette, risulta necessaria una breve digressione sulla natura del
plusvalore e su come esso si generi nella teoria economica di Proudhon.
Prendendo per buone le basi dell'economia classica e assumendo che
l'origine della proprietà è il lavoro, come si spiega il proftto del capitale? Per
rispondere con una formula, assolutamente non proudhoniana, ma derivante
dalla metafsica di Aristotele, si potrebbe dire che il plusvalore del capitale
derivi dal misconoscere il fatto che il tutto è maggiore della somma delle sue
parti. Infatti, lo sfruttamento economico si attua, per Proudhon, attraverso
l'appropriazione indebita della forza collettiva generata dalla simultaneità e
dalla convergenza degli sforzi individuali. Come affermò in Che cos'è la
proprietà? “Duecento granatieri hanno alzato sulla sua base in qualche ora
l'obelisco del Luxor; si suppone che un uomo solo, in duecento giorni, ne
sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il conto del capitalista, la somma dei
salari sarebbe stata la stessa”.137 E' qui che si genera il proftto del capitale:
nella sproporzione fra le somme consegnate ai lavoratori e il prodotto
collettivo che essi hanno creato. E' in questo furto, in questo errore di calcolo,
che sta l'origine dell'ineguaglianza sociale, la quale crea la ricchezza del
capitalista e lo sfruttamento del lavoratore. Le classi dominanti riescono ad
appropriarsi e ad utilizzare a proprio vantaggio l'insieme dell'energia sociale,
trasformando la forza collettiva in forza coercitiva, e la ragione collettiva in
ragione coercitiva. Il monopolio economico e il monopolio politico, il
capitalismo e lo Stato, nascono appunto da questa appropriazione delle forze
della società attraverso la costrizione e l'autorità.
E' qui che Tucker si inserisce. Alterando leggermente la teoria

137 P.J. Proudhon, Che cos'è la proprietà, o ricerche sul principio del diritto e del governo, Laterza,
Bari 1967, p. 215.

90
proudhoniana sulla base della propria visione radicalmente individualista
della società, l'anarchico di Boston sosterrà che questo plusvalore (da lui
chiamato genericamente usury) che il capitale è in grado di estrarre dal
salario naturale (il quale si identifca col lavoro) è possibile solo grazie agli
ingiusti privilegi legali e ai monopoli assicurati dallo Stato. In defnitiva,
entrambi credono che il lavoro e il lavoro soltanto possa essere di diritto
l'origine della proprietà e la misura del suo valore.
In questo si differenziano leggermente da Marx che, per quanto
riguarda il progetto comunista, criticano apertamente e osteggiano
duramente. Come chiarisce in un suo libro G. P. Berti “Per Marx il lavoro
diventa fonte di valore perché nella società borghese esso può determinasi
come pura forza-lavoro, come lavoro umano astratto, generale: può, cioè,
essere scambiato come qualsiasi altra merce” 138. A caratterizzare, dunque, la
particolare forma astratta del lavoro come pura forza-lavoro è, per Marx, la
particolare forma che la società assume con l'avvento della borghesia. Tutto
ciò invece non esiste per gli autori qui considerati. Proudhon e Tucker
ritengono, infatti, che il lavoro è sempre e comunque la reale misura del
valore, e questo a prescindere dalla forma che assume la società, a
prescindere dall'avvento della società mercantile capitalista. Che esso nella
modernità si astragga con l'avvento delle macchine e la maggiore divisione
del lavoro non ha alcuna importanza al fne della lotta anarchica, da
sconfggere è invece lo Stato e i monopoli da lui istituiti, che privano il
lavoratore di godere del frutto del proprio lavoro. Lo scopo che i due
pensatori si prefggono è quello di distruggere questi privilegi, e la via che
porta al raggiungimento di questo fne è “l'universalizzazione della proprietà
intesa come possesso generalizzato fondato sul lavoro” 139. A fornire la
bussola per la lotta politica non è, dunque, la soluzione marxista di rendere
la proprietà “comune”. Come afferma Proudhon: “non è affatto diventando
comune che la proprietà può diventare sociale: non si rimedia alla rabbia
facendo mordere tutti”140. La soluzione sta nel tenere ben presente la
138 G.P. Berti, Un'idea esagerata di libertà, Elèuthera, Milano 1994, p. 71.
139 Ibidem, p. 72.
140 P.J. Proudhon, Sistema delle contraddizioni economiche. Filosofia della miseria, Anarchismo,
Catania 1975, p. 49.

91
differenza tra la proprietà, per così dire naturale e socialmente responsabile –
il possesso – e la proprietà che è sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Altro nodo centrale della dottrina di Proudhon, ripreso in buona misura
da Tucker, è la critica che il flosofo francese muove allo Stato. Se le
conclusioni sono le stesse, tanto che l'individualista statunitense potrà
affermare, citando dichiaratamente Proudhon, che essere governato

[…] is to be watched, inspected, spied, directed, law-ridden, regulated,


penned up, indoctrinated, preached at, checked, ap- praised, sized,
censured, commanded; by beings who have neither title nor knowledge
nor virtue. To be governed is to have every operation, every transaction
every movement noted, registered, counted, rated, stamped, measured,
numbered, assessed, licensed, refused, authorized, indorsed,
admonished, prevented, reformed, redressed, corrected. To be governed
is, under pretext of public utility and in the name of the general interest,
to be laid under contribution, drilled, feeced, exploited, monopo- lized,
extorted from, exhausted, hoaxed, robbed; then, upon the slightest
resistance, at the frst word of complaint, to be repressed, fned, vilifed,
annoyed, hunted down, pulled about, beaten, disarmed, bound,
imprisoned, shot, mitrailleused, judged, condemned, banished,
sacrifced, sold, betrayed, and, to crown all, ridiculed, derided, outraged,
dishonored. 141

Risultano, invece, leggermente diverse le vie attraverso le quali lo Stato


viene condannato e le unità di misura mediante le quali esso viene giudicato.
Considerato da entrambi un monopolio, la visione che i due pensatori hanno
dello Stato sta alla politica nella stessa misura in cui i monopoli capitalistici

141 B.R. Tucker, The Relation, cit., p. 23, trad. propria: “[...] è essere osservato, ispezionato, spiato,
diretto, sottomesso alla legge, disciplinato, schedato, indottrinato, predicato, verificato, stimato,
classificato per grandezza, censurato e ordinato da esseri che non possiedono le qualifiche, la
conoscenza né le virtù appropriate. Essere governato significa, durante ogni operazione,
transazione o movimento, essere annotato, registrato, contato, tassato, timbrato, misurato,
numerato, valutato, autorizzato, negato, approvato, ammonito, impedito, riformato, riadattato e
corretto. E sotto il pretesto dell'utilità pubblica e nel nome dell'interesse generale, essere posto
sotto tassazione, forzato, tosato, truffato, monopolizzato, esaurito, contraffatto, derubato alla
minima resistenza, represso alla prima parola di denuncia, multato, vilipeso, infastidito, dal
prezzo basso, avvilito, sconfitto, disarmato, limitato, imprigionato, colpito, battuto, processato,
condannato, esiliato, sacrificato, venduto, tradito, e, come se non bastasse, ridicolizzato, deriso,
insultato e disonorato”.

92
stanno all'economia. Per Proudhon “la politica è, in rapporto alla vita sociale,
ciò che il capitale è in relazione al lavoro: un'alienazione della forza
collettiva”142 tanto che persino la democrazia rappresentativa e il suffragio
universale vengono visti come una illusione mistifcatoria, in quanto,
qualsiasi rappresentante e qualsiasi parlamento potrà alla fne dichiarare la
sola opinione della maggioranza, perdendo così quella pluralità costitutiva
che caratterizza la società. Tucker, pur arrivando alle stesse conclusioni - cioè
che Stato e democrazia rappresentativa sono da abolire – fonda le proprie
basi argomentative su principi differenti, cioè la forza, l'aggressione e
l'autorità. Lo Stato, in tal modo, a prescindere da come esso si affermi e si
manifesti, risulta, come si è detto, sempre e solo un'istituzione autoritaria che
si impone all'individuo e ne limita la naturale libertà. Discordanti sulle
motivazioni, i due autori si rincontrano però nella delineazione delle
possibili soluzioni al problema. Entrambi più riformisti che rivoluzionari,
ritengono che, qualora debba esserci una rivoluzione mirante alla
realizzazione della libertà e dell'uguaglianza, essa non debba essere vista
come una lotta armata ma come una “rivoluzione economica”. La loro
maggiore vicinanza si risolve, infatti, nell'appoggiare il mutualismo come
una delle alternative economiche tanto allo sfruttamento capitalistico quanto
alla socializzazione dei mezzi di produzione. Passando in rassegna gli articoli
dell'anarchico di Boston si può notare come, in effetti, le pagine in cui il nome
di Proudhon viene maggiormente citato sono le pagine il cui topic è la mutual
bankinig e il credito gratuito, e dove, associato alle idee di Warren, Spooner e
Green, il dibattito si incentra sullo standard of values, sulla bank of exchange o
sulla bank of people. Senza dilungarsi in esse per via del poco spazio, si potrà
però concludere con una citazione di Proudhon tratta dalla sua opera del
1851, Idée générale de la révolution au XIXe siècle, che meglio delinea il punto in
cui i due pensatori si trovano maggiormente d'accordo:

Ciò che mettiamo al posto del governo è l'organizzazione industriale


[…] ciò che mettiamo al posto delle leggi sono i contratti […] ciò che
mettiamo al posto dei poteri politici sono le forze economiche.143
142 G.P. Berti, Un'idea esagerata di libertà, cit., p. 75.
143 P.J. Proudhon, Idée générale de la révolution au XIXe siècle, Rivière, Parigi 1924, p. 302, citato

93
4.5 – Il diritto in Johann Caspar Schimdt aka Max Stirner

Autore complesso e discusso Stirner infuenzò molto, con le sue idee,


l'opera di Tucker. Come si è già potuto vedere nel secondo capitolo del
presente lavoro, il dibattito sull'egoismo di matrice stirneriana fu
particolarmente acceso e condizionò in maniera decisiva il pensiero di
Tucker. Senza ripetere l'intero percorso della diatriba, si tenterà ora di dare
qualche informazione in più sugli aspetti salienti che l'anarchismo flosofco
assunse dall'egoista tedesco.
Il pensiero di Stirner, è bene dirlo, si presta ben poco ad una
classifcazione defnitiva; egli fu un flosofo, un individualista, un radicale
sostenitore dell'anti-statalismo e il portavoce di un primordiale concetto di
anarchismo. Si potrebbe addirittura dire che fu il maggior anarchico della
storia, un anarchico a tutto tondo, integrale, che mosse guerra ad ogni sorta
di dominio, dispotismo, autoritarismo e trascendentalismo, tanto esterno e
societario quanto interno e ideologico. Proprio a causa del precario equilibrio
delle sue posizioni e della mancanza di un centro e di un punto fsso
all'interno di tutto il suo sistema di pensiero – se di sistema si può parlare – ci
si limiterà qui ad esporre la tematica che interessò direttamente il redattore di
"Liberty": quella del diritto. A partire da questo breve quadro introduttivo si
capirà che, tanto quanto gli autori succitati se non di più, il pensiero
“egoista” rinnega ogni tipo di Stato e ogni tipo di autorità che si pone come
esterna e superiore all'individuo. L'individuo, scopertosi unico attraverso un
processo di desacralizzazione, è per se stesso il nulla creatore, non nulla nel
senso di vuotezza ma un nulla inteso come condizione di possibilità per la
creazione di forme esistenziali potenzialmente infnite. L'unico, non fondato
se non sul nulla e privo di alcuna cosa al di sopra di sé, diventa così il centro
di se stesso, non il centro assoluto, ma un centro: il suo. In questo centro egli è
assoluto, ma assoluto nella sua esistenza, cioè nella sua unicità-fattualità, per
cui egli è l'unico di se stesso e il nulla di tutti gli altri. Da queste
considerazioni, si genera “l'ateismo stirneriano” che consiste nel

da G.P. Berti, Un'idea esagerata di libertà, cit., p. 83.

94
dissolvimento di ogni genere di gerarchia: “non si uccide Dio spodestandolo
dal cielo per farlo rivivere sotto le spoglie dell'uomo, ma abolendo lo stesso
rapporto di dipendenza tra il singolo individuo e ogni entità che gli è
estranea e lo sovrasta. […] Dio è negato non perché Dio, ma perché viene
annullato il rapporto di dipendenza tra soggetto e oggetto. […] In questa
prospettiva Dio non è più un essere pensato e identifcato per via metafsica,
ma è concepito come una dimensione di estraneità che può abbracciare ogni
aspetto della vita umana”144, compresi il diritto, lo Stato e il concetto stesso di
umanità.
In questo senso si può dire che l'anarchismo di Stirner taglia i ponti con
qualsiasi concezione possibile della politica, compresa quella venuta dal
basso, compreso il caso in cui si dia nella concretezza storica una qualche
volontà generale perfettamente realizzata. Qui sta tutta la diffcoltà di
inserire un autore simile all'interno del teatro politico, il suo individualismo è
talmente forte che sarà libero di affermare che:

Ogni Stato è dispotico, sia il despota uno solo oppure siano molti o
addirittura tutti, come si presume avvenga in una repubblica, dove
ciascuno tiranneggia l'altro. Questo è infatti ciò che avviene nel caso in
cui una legge, stabilita una volta a seguito dell'opinione, della volontà
espressa, mettiamo, in un'assemblea popolare, debba poi essere legge
per il singolo, alla quale egli deve ubbidienza, ossia nei confronti della
quale egli ha l'obbligo di ubbidire. Anche se ci s'immaginasse che
ciascuno, nel popolo, avesse espresso la medesima volontà e si fosse
realizzata, quindi, una perfetta volontà generale, la cosa tuttavia non
cambierebbe. Non sarei forse legato oggi e domani alla mia volontà di
ieri? La mia volontà verrebbe in tal caso irrigidita. Maledetta stabilità! La
mia creatura, cioè una determinata espressione della mia volontà,
sarebbe diventata il mio dominatore. Ma io, con la mia volontà, io, il
creatore, verrei bloccato nel mio fuire e nel mio dissolvermi. Siccome
ieri sono stato pazzo, dovrei restarlo per tutta la vita. Così, nella vita
statale, io sono nel migliore dei casi – e potrei dire altrettanto bene: nel
peggiore dei casi – schiavo di me stesso. Siccome ieri ho voluto, oggi

144 G.P. Berti, Un'idea esagerata di libertà, cit., p. 47.

95
sono privo di volontà: ieri libero, oggi costretto.145

L'apertura di questo passo ricorda - come lo ricordavano anche Spencer


in The Man versus the State ed Herbert in Volontarismo e libertà – quel famoso
articolo di Tucker (The Relation of the State to the Individual) nel quale fa notare
che il numero dei governanti non legittima in alcun modo il rapporto di
autorità e dominio che si genera nei confronti del singolo. Non sono le
modalità con le quali il governo si esplicita a renderne l'operato legittimo e
valido, il governo è sinonimo di invasione, governare è invadere la sfera
decisionale individuale e come tale è sempre inammissibile; per cui Tucker
può a ragione dirci che “la natura di tale invasione non cambia se è fatta da
un uomo su un altro uomo, alla maniera del criminale comune, o da un
uomo su tutti gli altri uomini, alla maniera di un monarca assoluto, o da tutti
gli uomini su un uomo, alla maniera di una democrazia moderna”. 146 Allo
stesso modo Stirner, dopo aver affermato che “ogni Stato è dispotico”,
specifca che non sono le forme con cui il potere si esplicita ad assicurarne la
legittimità, o le procedure con le quali esso viene diviso; nessuna norma o
prassi può purifcare il potere dello Stato che si manifesterà sempre e
comunque come una gerarchia e quindi come una concretizzazione del
principio di autorità, come un potere esercitato contro l'individuo, tant'è che
scriverà:

Si suole classifcare gli Stati a seconda del modo in cui il “potere


supremo” vi è distribuito. Se l'ha uno solo, si tratta di una monarchia, se
l'hanno tutti, si tratta di una democrazia, ecc. Il potere supremo,
dunque! Verso chi? Contro chi? Contro il singolo e la sua “volontà
personale”. Lo Stato esercita il suo potere, il singolo non può farlo. Il
comportamento dello Stato è espressione del suo potere, della sua
violenza, ma egli la chiama “diritto”, quella del singolo “delitto”.147

La dimensione anarchica del pensiero di Stirner si rende evidente


soprattutto nell'analisi del diritto e della legge. Consapevole dei rapporti di

145 M. Stirner, op. cit., p. 206.


146 B.R. Tucker, The Relation, cit., p. 21.
147 M. Stirner, op cit., p. 207.

96
forza che innervono e tessono ogni società umana, il flosofo tedesco sostiene
che “la forza precede il diritto e invero – a pieno diritto!” 148, per cui
quest'ultimo, lungi dall'essere naturale, sacro e disceso dal cielo per imporsi
ai singoli, si manifesta come privilegio e il privilegio come potenza e
prepotenza. A Stirner non interessa la genesi del diritto o le sue
determinazioni particolari - diritto borghese, feudale ecc. - il suo interesse si
focalizza sull'analisi del concetto stesso di diritto, al fne di enucleare la
valenza universale del rapporto tra forza e diritto. Per Stirner non esiste una
società senza diritto, tant'è che per lui “il diritto è lo spirito della società. Se la
società ha una volontà, questa è appunto il diritto: la società esiste solo grazie
al diritto. Ma siccome essa esiste solo per il fatto che esercita un dominio sui
singoli, il diritto non è che la volontà del dominatore”. 149 E' in quest'ottica che
l'egoista si può giustamente schierare contro il giusnaturalismo, ed è sempre
in quest'ottica, come si è mostrato nel secondo capitolo, che si inserisce il
pensiero di Tucker. Convinto partigiano dell'egoismo stirneriano, l'anarchico
di Boston non si trattiene dal condannare ogni forma di giusnaturalismo
come privo di realismo. Per lui, la credenza nei diritti naturali mistifca
l'essenziale rapporto di forza sotteso ad ogni formulazione giuridica, e per
questo è d'accordo con Stirner quando afferma che “ogni diritto esistente è
un - diritto estraneo, un diritto che mi viene concesso, di cui mi si lascia
godere”150

La tigre che mi assale ha i suoi diritti e io che la uccido ho i miei. Ma


contro di lei non difendo i miei diritti, bensì me stesso. Siccome ogni
diritto umano è sempre una concessione, esso si riduce in realtà sempre
al diritto che gli uomini si attribuiscono, si “concedono” a vicenda. Se si
concede ai neonati il diritto alla vita, essi hanno quel diritto; se non viene
loro concesso, come succedeva presso gli spartani e gli antichi romani,
essi non lo hanno. Infatti solo la società può attribuire o “concedere” loro
quel diritto, perché essi non possono prenderselo né darselo.151

148 Ibidem, p. 200.


149 Ibidem, p. 196.
150 Ivi.
151 Ibidem, pp. 201–202.

97
Detta in altri termini, utilizzando le parole di Berti: “la natura [per
Stirner] non è più vera e reale dell'umanità, o della libertà, o
dell'uguaglianza: è anch'essa soltanto un nome, un attributo universale
inesistente. Alla fne ciò che decide l'effettività di un diritto è la reale capacità
di metterlo in opera: tu hai il diritto di essere ciò che hai il potere di essere,
chi ha il potere ha il diritto: se non avete il primo, non avete nemmeno il
secondo”.152 E' in questi termini che Tucker potrà affermare che “la forza è
l'unica misura del diritto”153, o che “man’s only right over the land is his
might over it”154, o anche che “the results of skill are not inseparably attached
to the individual, and that the right of might recognizes nothing sacred about
the individual”155.
Radicalmente proiettati a scardinare ogni tipologia di relazione di
dominio e di potere gerarchico, per i due anarchici la radice dell'autorità non
risiede in un determinato comandamento, ma nel comandamento stesso, nel
fatto di comandare. Si vede ancora una volta come, tanto per Tucker quanto
per Stirner, non è la fonte del diritto ad essere messa in discussione ma
l'esistenza del diritto in quanto tale. Sulla base di un tale pensiero, l'anarchico
di Boston sarà in grado di sviluppare tutta la sua teoria della society by
contract nella quale il diritto non sarà un astratto diritto di natura calato dal
cielo sul capo degli uomini ma neppure una costruzione universalizzante
prodotta dalla maggioranza nell'assemblea parlamentare. Se nel primo caso,
infatti, il diritto si identifcherebbe con un idea fssa, con una trascendenza
rispetto al singolo, ossia con un'alterità che in quanto tale genera un rapporto
gerarchico e di sudditanza, nel secondo si identifcherebbe con l'invasione
arbitraria di un determinato numero di individui (che sia l'1% o il 99% della
popolazione non ha importanza) nello spazio d'azione dei singoli, ovverosia
con un'aggressione e una limitazione della libertà individuale. Le norme

152 G.P. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Piero Lacaita Editore, Manduria-
Bari-Roma 1998, p. 124.
153 B.R. Tucker, The Relation, cit., p. 22.
154 B.R. Tucker, Economic Rent, ora in Individual Liberty, cit., p. 116, trad. propria: “l'unico diritto
dell'uomo sulla terra è il suo potere su di essa”.
155 B.R. Tucker, Liberty, Land and Labour, ora in Individual Liberty, cit., p. 127, trad. propria: “il
risultato delle abilità non è inseparabilmente attaccato all'individuo, e che il diritto della forza
non riconosce niente di sacro nell'individuo”.

98
societarie, così come il diritto in generale, emergeranno per Tucker dal
semplice e libero accordo degli individui tra loro, ossia dal contratto tra
adulti consenzienti che portano avanti ed esprimono le proprie preferenze in
maniera non coercitiva.

99
4.6 - Josiah Warren e William B. Greene

Passando all'analisi degli autori statunitensi che hanno segnato il


pensiero di Tucker, il primo che si prenderà in esame è J. Warren. Come si è
detto nel secondo capitolo, la teorizzazione da lui fatta dell'assoluta sovranità
dell'individuo infuenzerà in maniera decisiva tutta la produzione tuckeriana
e fornirà, insieme alla spenceriana legge dell'uguale libertà, uno dei pilastri
fondamentali su cui si baserà l'intero pensiero anarco-individualista.

I do not admit anything except the existence of the individual, as a


condition of his sovereignty. To say that the sovereignty of the individual
is conditioned by Liberty is simply another way of saying that it is
conditioned by itself. […] It is true that the affrmation of individual
sovereignty is logically precedent to protest against authority as such.
But in practice they are inseparable. To protest against the invasion of
individual sovereignty is necessarily to affrm individual sovereignty. 156

Per quanto il nome di Warren non sia del tutto sconosciuto alla
storiografa italiana, la sua opera è tutt'oggi inedita, fatta eccezione per il suo
Manifesto la cui traduzione è rintracciabile nel web. Tale disinteresse si spiega
per la settorialità della materia, visto che l'anarchismo statunitense non è mai
stato particolarmente discusso in Italia, e per la natura tutto sommato
pragmatica dell'autore che rifugge da eccessive rielaborazioni teoriche. Il suo
pensiero presenta molte analogie con la rifessione avviata da H. D. Thoreau
sulla disobbedienza civile e con il pensiero economico di stampo mutualista
di W. B. Greene, tutti aspetti che condizioneranno considerevolmente il
lavoro di Tucker e che inseriscono Warren a pieno titolo nella tradizione
radicale americana.
La svolta anarchica di Warren avviene a Cincinnati quando incontra e
segue l'imprenditore e riformatore sociale Robert Orwen nella sua

156 B.R. Tucker, Anarchism and State, cit., pp. 26-27, trad. propria: “Io non ammetto nulla se non
l'esistenza del singolo come condizione della sovranità. Dire che la sovranità dell'individuo è
condizionata dalla libertà è semplicemente un altro modo per dire che è condizionata da se stessa.
[…] E' vero che l'affermazione della sovranità individuale è logicamente precedente alla protesta
contro l'autorità in quanto tale. Ma in pratica essi sono inseparabili. Per protestare contro
l'invasione della sovranità individuale è necessario affermare la sovranità individuale”.

100
costruzione di una società utopistica chiamata New Armony. Il fallimento di
questo esperimento sociale, basato su assunti prettamente comunistici e
collettivistici, farà rifettere l'allora quasi trentenne Warren sulla distanza tra
volontà comune e volontà individuale, palesandogli quanto la salvaguardia
della differenza e della libertà individuale sia necessaria come base per una
qualsiasi comunità di uomini. A partire dalla fondazione del periodico
anarchico The “Pacefull Revolutionist” del 1833 – riconosciuto dalla critica
come il primo giornale anarchico al mondo – l'anarchismo di Warren
consisterà nella rielaborazione delle esperienze vissute e nella stesura di un
sistema economico basato sulla individual sovereignty. Il laissez-faire avrebbe,
per Warren, ridotto i prezzi delle merci a una quota appena superiore al costo
di produzione, costituito principalmente dalla fatica e dal tempo impiegato
per la realizzazione di un determinato prodotto. In questo senso si spiega il
riferimento mutualistico, dato che i primi benefciari di questo sistema
produttivo sarebbero stati i rappresentanti della “classe lavoratrice”
(virgolette d'obbligo dal momento che non si parlerà mai esplicitamente di
classi).
Nel caso di Warren il riferimento ai Founding Fathers americani diede al
suo anarchismo un'evidente autonomia rispetto a quello europeo;
un'autonomia di pensiero e azione che si distinse fortemente da ogni tipo di
utopismo e movimento politico-sociale e che, una volta fatta sua da Tucker,
caratterizzerà tutto l'anarchismo americano e la tradizione cui l'anarchico di
Boston diede origine. In questo senso i radicali americani puntarono a fare
del pensiero anarchico degli Stati Uniti – sebbene di anarchismo esplicito, con
Warren, ancora non si parli – non tanto una corrente di opposizione, quanto
la più genuina espressione della cultura americana.
In campo politico Warren era risolutamente contrario all'esistenza di un
governo, sia pure limitato da un sistema di garanzie costituzionali,
spingendosi, nella sua ottica individualistica, a respingere la nozione stessa
di società. Questa rifessione lo portò a scrivere nel 1841 il suo celebre
Manifesto, basato sulla sovranità dell'individuo. Per Warren, l'individuo non
doveva essere autonomo solo sul piano morale, ma anche e soprattutto su

101
quello economico e politico. Se la strada percorsa da Thoreau era ancora
legata a una sovranità individuale negativa, ossia rispondente al concetto di
“resistenza civile” e “disobbedienza”, Warren tenterà, attraverso il suo
discorso economico a renderla positiva. Centrale per Warren, e in seguito
fondamentale anche per Tucker, è la considerazione del fatto che la sovranità
dell'individuo, per essere effettiva, deve essere basata su un criterio di
giustizia fondata sull'inalienabile diritto del singolo di disporre del proprio
tempo e dei frutti del proprio lavoro. Accettando come un fatto la divisione
del lavoro, sorta con l'era industriale, si trattava di creare un modello capace
di tutelare gli scambi comunitari di prodotti e manodopera tutelando in
qualche modo le libertà e le aspirazioni personali. Warren intravide in una
particolare determinazione del valore economico di un bene – quella che sarà
anche di Proudhon, di Marx e del socialismo in generale – la chiave
attraverso la quale costruire dei rapporti interpersonali più equi e giusti,
basati sul lavoro e sul libero scambio. In questo sistema il valore di una merce
è determinato dal costo di produzione e dal tempo impiegato per assolvere
un qualsiasi servizio.
Anche l'anarco-individualismo di stampo americano, sulla scia di
Tucker e dei suoi maestri come Warren, proponeva una soluzione al
problema dello sfruttamento mosso dalle nuove classi di lavoratori; ma
questa era di segno opposto a quella successivamente proposta dai
movimenti socialisti e comunisti. Non si trattava di creare un sistema
collettivista basato sulla comunanza dei beni e dei mezzi di produzione e
sull'abolizione del libero mercato. Al contrario, si auspicava un sistema
fondato sulla libera espressione della sovranità individuale, attraverso
l'estensione massima del libero mercato e della competizione.
Questa visione delle cose si evince a chiare lettere nel sistema e nelle
posizioni esposte da Tucker nel suo periodico "Liberty"; molto più che dalle
poche pagine scritte dall'attivista inventore del Time Store157. Infatti, più che
un teorico, Josiah Warren fu uno sperimentatore sociale, anche se con ogni

157 A Cincinnati Warren diresse per tre anni dal 1827 al 1830, un esperimento sociale, chiamato
Time Store, basato sullo scambio di lavoro. Le merci venivano vendute sulla base del costo, con
l'aggiunta di una commissione derivabile dal tempo speso nella gestione del negozio.

102
probabilità avrebbe rifutato questa etichetta. Egli non sentì mai l'esigenza di
formulare una teoria generale e defnitiva. Le idee, per lui, erano
condizionate dal loro tempo e dalla loro praticabilità e per questo motivo
impegnò gran parte della sua vita a promuovere e sperimentare esperienze
comunitarie basate sul “costo limite del prezzo”. In questo senso il suo ideale
anarchico si fece interprete dello spirito pragmatico che ha sempre
caratterizzato gli Stati Uniti d'America e in qualche maniera caratterizza un
certo spirito, tipico dell'anarchismo contemporaneo, che critica l'esistente e
che, pur non avendo le idee chiare su quali possano essere le forme
organizzative che la società “dovrebbe” assumere, è aperto ad ogni sorta di
sperimentalismo.
Come si è potuto evincere da questa breve presentazione, l'impostazione
di Warren si presentava, per certi versi, simile a quella promossa dal francese
Pierre-Joseph Proudhon in quegli stessi anni Quaranta dell'Ottocento. Per il
pensatore francese gli individui produttori: piccoli artigiani, contadini, ma
anche operai, avrebbero potuto costruire una società federale di cooperative
di lavoratori basata sullo scambio dei prodotti. Come nell'impostazione
americana, anche Proudhon pensava che l'individuo dovesse essere
autonomo in una società pluralista e che la libertà di ognuno si dovesse
basare sull'indipendenza economica. Inoltre, anche il suo mutualismo
presupponeva un criterio economico di giustizia che fondava il valore delle
merci unicamente sul costo di produzione. E' proprio per questo motivo, per
la comunanza con un pensiero che già serpeggiava negli States, che il
pensiero del flosofo francese trovò fortuna in America.
E' qui che si allaccia un altro protagonista del mutualismo americano
che, come accennato nel secondo capitolo, contribuisce grandemente alla
formazione di Tucker: William Batchelder Greene. Quest'ultimo fu un grande
conoscitore dell'opera di Proudhon la cui infuenza si rende evidente nella
suo opera più importante, Mutual Banking (1849). Nel trasporre i fondamenti
teorici e la rifessione proudhoniana nella realtà americana, Greene diresse la
sua attenzione in maniera maggiore verso la produzione industriale.
Come si è accennato nell'introduzione storica del presente lavoro, la

103
società americana degli anni Trenta del XIX secolo subì un profondo
cambiamento dovuto allo sviluppo dell'industria: da un mondo agricolo
composto per lo più da farmers e artigiani e quindi privo, di forti
disuguaglianze economiche, si stava andando a delineare un'economia
basata su grandi industrie monopoliste. Greene tentò di adeguare, dunque, la
rifessione proudhoniana alla mutata realtà americana. Nel fare ciò rimane
comunque visibile l'individualismo tipico della cultura radicale americana:

Il comunismo sacrifca l'individuo per assicurare l'unitarietà del tutto. Il


mutualismo si basa invece su un illimitato individualismo come
condizione primaria essenziale e necessaria alla propria esistenza […]
tenete ben presente quest'ultimo fatto. La sovranità individuale è il
Giovanni Battista del mutualismo, senza la sua venuta l'idea mutualista
sarebbe rimasta vuota.158

L'interpretazione che diede Greene riguardo alla soluzione del


problema sociale coincide essenzialmente con il punto di vista sviluppato da
Proudhon nelle sue considerazioni sullo stesso tema, con la differenza che il
pensatore americano applicò le sue rifessioni alle condizioni in cui
versavano gli Stati Uniti. Esattamente come Proudhon, Greene credeva che
l'epoca feudale, con le sue strutture di dominio, non fosse stata ancora
superata ma fosse solamente cambiata nella sua forma.

Anche oggi si paga la decima allo Stato, al latifondista, al proprietario


dei mezzi di produzione […] il lavoro crea capitale solo per utilizzarlo. Il
capitale in sé non crea nulla, ma serve solamente al lavoro come mezzo
per riprodursi.159

Per Greene, come per Tucker e come per Proudhon, quando il capitale si
converte in monopolio, giunge ad una produttività artifciale che non
corrisponde al lavoro personale, ma che si genera dal fatto che il capitalista,
grazie alla sua superiorità economica, obbliga il produttore a consegnarli una
parte del prodotto del suo lavoro in cambio dell'utilizzo della sua terra, dei
158 W.B. Green, Socialistic, Mutualistic and Financial Fragments, Boston, Lee & Shepard 1875, pp.
24, in Bollettino n. 40, Archivio G. Pinelli, Milano, dicembre 2012.
159 R. Rocker, William B. Greene y el mutualismo norteamericano, in Las corrientes liberales en los
Estados Unidos, cit. p. 175.

104
suoi mezzi di produzione o del denaro elargito. Sulla scorta della legge del
valore-lavoro Greene sostiene che lo status quo può essere superato soltanto
se si assicura al lavoratore e al produttore l'intero frutto del proprio lavoro.
Non solo; al lavoratore gli si deve offrire la possibilità di accedere
liberamente alle materie prime necessarie per la produzione e agli strumenti
del lavoro mediante il credito gratuito, nonché la facoltà di cambiare il suo
prodotto con un prodotto equivalente di uguale valore. L'organo
intermediario di tale scambio è la Bank of People, rispondente al principio del
Mutual Banking; questa banca funziona grazie ad una nuova unità monetaria,
che non è la misura del valore come il denaro, bensì il semplice costo del
lavoro e per tanto un semplice mezzo di scambio. In questa maniera, per
Poudhon e per gli individualisti americani maestri di Tucker, il capitale
perde la sua capacità di produrre interesse (leggasi usura) e tutto il prodotto
risultante dal lavoro individuale o cooperativo va a benefcio di ogni
membro della comunità. La capacità del capitale di produrre interesse si
converte in uno strumento di usura e di sfruttamento del popolo.
L'abolizione del monopolio fnanziario e l'introduzione di un mezzo di
scambio che rappresenti solo il prezzo del costo del lavoro è, secondo
l'opinione di Greene e di Proudhon, il vero fondamento di una riforma
sociale.
La visione dei processi economici di Greene corre parallelamente alla
sua visione dei processi sociali. Derivante anch'essa dal mutualismo di
matrice proudhoniana, contribuì anch'essa alla costruzione del pensiero di
Tucker. Greene riconobbe nella mutua cooperazione degli uomini il fondo
costitutivo di tutta la vita sociale, non tanto quindi una limitazione della
libertà individuale quanto piuttosto una sua garanzia cosicché
“l'individualismo senza il sentimento di coesione sociale e il socialismo
senza il sentimento di libertà individuale sono ugualmente ripudiabili e
conducono indubbiamente a catastrof politiche e sociali” 160. Per Greene,
dunque, il mutualismo rappresentava una sintesi della libertà e dell'ordine,
una base di nuove condizioni di vita che “si allargano nello stesso grado

160 Ibidem, p.184.

105
nelle quali si restringono le funzioni del governo” 161. In questa maniera
appare evidente come sia la concezione nutrita da Greene dello Stato.
Esattamente come per Tucker, la diminuzione del potere dello Stato si
converte in una unità di misura per il calcolo della libertà individuale, dove
l'ultimo punto di arrivo consisterà in una condizione nella quale tutto il
governo si dissolve in una amministrazione partecipata in uguale maniera
da tutti. Per questo stesso motivo Greene si rifuterà, come farà
successivamente Tucker, di vedere nel comunismo la soluzione del problema
sociale.

Il comunismo sacrifca l'individuo per assicurare l'unità dell'insieme. Il


mutualismo ha, nell'individualismo illimitato, la sua prima condizione
essenziale di esistenza, e coordina gli individui nella solidarietà senza il
sacrifcio dell'individualità.162

161 Ibidem, p. 185.


162 W. B. Greene, Socialistic, Communustic, Mutualistic and Financial Fragments, cit., p. 186.

106
CAP. 5
EREDITARIETA' LIBERTARIE

5.1 - L'anarco-capitalismo e Tucker

Dopo aver esplicitato sommariamente le fonti da cui Tucker attinse per


la costruzione del suo pensiero, si andrà, in questo capitolo, a delinearne le
eredità.
Gli echi del pensiero tuckeriano non sono pochi, molte delle critiche e
delle proteste all'attuale sistema politico ed economico mondiale sono, più o
meno consapevolmente, debitrici del lavoro del libertario americano pur non
portando il suo vessillo. Le tracce lasciate da Tucker nella storia sono presenti
e numerose, ma purtroppo confuse e coperte dal chiasso che
contraddistingue la fumosa galassia dei movimenti politici e la loro lotta.
Per non creare ulteriore confusione e tentare invece di fare chiarezza,
tratteremo qui gli autori che si defniscono debitori del radicale di fne
Ottocento, cercando di tracciare una sorta di ponte tra il libertarismo del XIX
secolo, se così lo si può defnire, e quello contemporaneo. L'arena rimane
quella americana dove, per motivi storici e culturali, l'individualismo
libertario ha trovato un terreno maggiormente fertile. In questo frangente
Tucker può essere visto come un triplice ponte: a) un ponte tra l'identità di
un'America giovane vista come frontiera e la identità di un mega Stato
federale, industrializzato e pronto a divenire una potenza politica ed
economica mondiale; b) un ponte tra un anarchismo e un pensiero politico
europeo, caratterizzato dal collettivismo e dalle ideologie utopistiche, e un
anarchismo e un pensiero politico tipicamente americano, contraddistinto dai
suoi tratti individualistici e pragmatici; ed infne c) un ponte tra un
libertarismo delle origini, utopico e selvaggio che ben si sposava con
l'identità dell'America come frontiera, e un libertarismo contemporaneo che

107
cerca di farsi spazio tra i partiti politici e si propone come un'alternativa reale
al governo comunemente inteso. Se nei capitoli precedenti si è trattato dei
primi due punti, ora si cercherà di sviluppare il terzo, chiamando in causa
come interlocutori principali gli aderenti al libertarianism, anarco-capitalisti in
primis, con Rothbard come punta di diamante.
Nonostante ci siano alcuni punti di disaccordo e alcune forzature
nell'interpretazione del pensiero tuckeriano da parte di Rothbard, i tratti
comuni sono moltissimi e lapalissiani. Come si evince dalle prime righe di un
articolo apparso nel volume 20 del “Journal of Libertarian Studies”163 del
2006, intitolato The Spooner-Tucker Doctrine: An Economist's View, Rothbard è
un grande ammiratore del lavoro dei due radicali statunitensi:

FIRST, I MUST BEGIN by affrming my conviction that Lysander


Spooner and Benjamin R. Tucker were unsurpassed as political
philosophers and that nothing is more needed today than a revival and
development of the largely forgotten legacy that they left to political
philosophy.164

In più occasioni si è lasciato scappare qualche parola di encomio nei


confronti dell'anarchico di Boston, arrivando addirittura a sostenere che il
suo pensiero è una “modernizzazione di quello di Tucker”. 165 La
riformulazione della massima di Paine operata da Tucker per il quale se lo
Stato è un male necessario, “it must be made unnecessary” 166, è una di quei
motti che ispirò e fece suo l'anarco-capitalista contemporaneo. Nel succitato
articolo Rothbard rintraccia, infatti, le radici del suo pensiero proprio

163 Cfr. rivista fondata da Rothbard stesso nel 1977 e che sopravvisse fino al 2010. A proposito di
essa il sito del Mises-Institute informa che “The Journal of Libertarian Studies (1977 – 2010)
was founded by Murray N. Rothbard in 1977 and was the premiere venue for the advancement of
libertarianism, anarco-capitalism, the individuaist society, and non-interventionism as the first
principle of political theory and practice”. Per maggior informazioni si veda l'archivio online del
Mises-Institute contenente un vastissimo numero di articoli appartenenti al giornale
rothbardiano.
164 M.N. Rothbard, The Spooner-Tucker Doctrine: An Economist's View, in “Journal of Libertarian
Studies”, vol. 20, n. 1, winter 2006, trad. propria: “Per prima cosa, devo iniziare affermando la
mia convinzione che L. Spooner e Benjamin R. Tucker sono insuperabili come filosofi politici e
che niente è più necessario oggi che la riattivazione e lo sviluppo della grande eredità dimenticata
che hanno lasciato alla filosofia politica”.
165 Ibidem.
166 B.R. Tucker, Liberty's Declaration of Purpose, “Liberty”, vol. 1, n. 1, 6 agosto 1881.

108
nell'attività degli individualisti radicali del XIX secolo, di cui Tucker fu
massimo esponente.

A metà Ottocento la dottrina anarchica individualista arrivò a tal punto


che i suoi pensatori più avanzati si resero conto che lo Stato era
incompatibile con libertà e moralità.167

In una forma che per il libertario di For a New Liberty era ancora
incompleta, Tucker e il suo entourage riuscirono a scorgere nel libero mercato
una istituzione esistente, non coercitiva e non impossibile da realizzare nella
sua interezza; uno spazio libero e aperto in grado di opporsi allo Stato.
Grazie a questa intuizione, ripresa in toto dal libertarismo contemporaneo sia
esso left o right, Tucker fu in grado di allontanarsi dagli utopisti suoi colleghi
soprattutto europei. In Tucker c'è già, infatti, la chiara percezione che
l'anarchismo – si traduca rothbardianamente in libertarismo – sia più una
flosofa politica che non una flosofa di vita: “Anarchism is philosophical,
but it is not a system of philosophy, it is simply the fundamental principle in
the science of political and social life” 168. Questa professione di fede e di
modestia mette l'anarchico di Boston al riparo da qualsivoglia accusa di
utopismo; Tucker è lontanissimo dal prospettare, credere o evangelizzare
qualunque “uomo nuovo” e afferma in tutta tranquillità che “[…] there are
some troubles from which mankind can never escape. Well, the Anarchists
[…] are pessimistic enough to accept this moral fully. They never have
claimed that liberty will bring perfection; they simply say that its results are
vastly preferable to those that follow authority” 169 concludendo, dopo
qualche riga che “as a choice of blessings, liberty is the greater; as a choice of
evils, liberty is the smaller. Then liberty always, say the Anarchists. No use of

167 M.N. Rothbard, The Spooner-Tucker Doctrine, cit.


168 B.R. Tucker, Resistance to Government, in Individul Liberty, cit., p. 32, trad. propria:
“L'anarchismo è filosofico ma non nel senso di un sitema di filosofia. E' semplicemente il
principio fondamentale nella scienza della vita politica e sociale”.
169 B.R. Tucker, The Moral of Mr. Donisthorpe's Woes, “Liberty”, 25 gennaio 1890, in Instead of a
Book, cit., trad. propria: “[..] ci sono alcuni problemi dai quali gli uomini non possono mai
sfuggire. Gli anarchici […] sono abbastanza pessimisti da accettare pienamente questa morale.
Non hanno mai preteso che la libertà porterà a perfezione; dicono semplicemente che i suoi
risultati sono largamente preferibili a quelli che derivano dall'autorità”.

109
force, except against the invader” 170. Anche in Per una nuova libertà. Il
manifesto libertario, Rothbard ci tiene a specifcare, nel primo capitolo
intitolato Il retaggio libertario, che il suo credo nasce da quelli che
nell'Ottocento erano chiamati “radicali” ossia dalle forze sostenitrici del
laissez-faire.
Oltre alle esplicite affermazioni di Rothbard miranti a sottolineare la
discendenza del proprio pensiero da quello di Tucker, tra i due autori si
possono rintracciare diverse comunanze, questa volta non esplicitate ma
ugualmente evidenti. In primo luogo il manifesto antistatalismo che
costituisce la componente di maggiore impatto in entrambi gli autori, “i
libertari ritengono che lo Stato sia il supremo, eterno e meglio organizzato
aggressore delle persone e delle proprietà dei cittadini. Tutti gli Stati,
ovunque, siano essi democratici, dittatoriali, monarchici, rossi, bianchi, blu o
marroni”171 sostiene Rothbard nel suo manifesto libertario. Alla stregua di
Tucker, l'anarco-capitalista considera lo Stato un'istituzione apertamente
invasiva, basata sulla violenza e sulla conquista, la cui caratteristica
principale è quella di essere un aggressore in grado di imporre, al pari di
un'organizzazione criminale, monopoli coercitivi e protezionistici.
In secondo luogo, ad accomunare il pensiero degli individualisti
radicali e dei libertari novecenteschi c'è l'idea del mercato. La concezione del
mercato che emerge dagli scritti tanto tuckeriani quanto rothbardiani va,
infatti, ben oltre la mera analisi economica e si inserisce nella tradizione che
concepisce la flosofa politica come risposta al problema del miglior ordine.
Il mercato è lo spazio adibito all'incontro cooperativo e pacifco degli uomini
che, seppur mossi dal semplice self-interest, mirano alla reciproca
soddisfazione dei bisogni nel pieno rispetto delle loro libertà. Esso non è una
struttura o un'organizzazione ma una rete di relazioni volontarie tra soggetti
consenzienti; quando, invece, si è in presenza di relazioni volontarie tra
soggetti il cui consenso è stato estorto quello non è il mercato ma il campo
politico. Il mercato si riduce a tutta una serie di scambi volontari e pacifci tra
170 Ibidem, trad. propria: “Come scelta tra le benedizioni, la libertà è la maggiore; come scelta tra i
mali, la libertà è il minore. Quindi libertà sempre, dicono gli anarchici. Nessun uso della forza,
tranne che contro l'invasore”.
171 M.N. Rothbard, Per una nuova libertà. Il manifesto libertario, Liberilibri, Macerata 2004, p. 70.

110
coppie di individui in cui tutte le parti coinvolte vedono aumentata la
propria utilità. Ordine, compatibilità delle azioni individuali,
soddisfacimento dei bisogni, incontro e riconoscimento reciproco degli altri,
collaborazione pacifca e produttiva; sono queste le caratteristiche del
mercato sia per Rothbard che per Tucker .
Dall'unione di questa visione, se si vuole un po' idealizzata, del mercato
con l'immagine dello Stato visto come un corpo invasivo elargitore di ingiusti
monopoli, si può notare come, nell'anarchismo tuckeriano, sono delle forme
di associazione volontaria a sostituire lo Stato nel compito di produrre la
sicurezza. In un articolo dal titolo Contract Or Organism, What's That To Us?
apparso su "Liberty" il 30 luglio 1887, Tucker, discutendo con un critico sulla
tassazione volontaria, non vede diffcoltà nell'immaginare la coesistenza di
una pluralità di Stati – da intendersi qui, per l'appunto, come associazioni
volontarie – all'interno di un medesimo territorio, come ad esempio
l'Inghilterra. Se attraverso la tassazione volontaria lo Stato si sciogliesse e si
formassero “fve or six States in England” 172 la situazione non sarebbe diversa
da quella esistente, essi potrebbero benissimo coesistere li uni accanto agli
altri così come coesistono già cinque o sei religioni o cinque o sei compagne
assicurative. L'assunto teorico che Tucker invoca manifestamente è il già
citato diritto di secessione o right to ignore the State ripreso da Spencer, e lo
strumento pratico per giungere a questa “abolizione dello Stato” è
l'introduzione della voluntary taxation di provenienza herbertiana in grado di
scardinare i meccanismi della sovranità. Come si evince da questo discorso,
per Tucker, la difesa non è diversa da un altro servizio, è un bene utile e
desiderato che deve essere soggetto alla legge della domanda e dell'offerta in
un libero mercato, dove i compratori possono scegliere tra diversi fornitori in
concorrenza tra loro.

Gli anarchici […] negano perfno che i governi sostenuti dalla tassazione
coercitiva possano svolgere la semplice operazione poliziesca di
protezione della persona e della proprietà. La protezione è vista come
una cosa che deve essere garantita, fno a quando sia necessaria,
172 B.R. Tucker, Contract Or Organism, What's That To Us?, “Liberty”, 30 luglio 1887, in Instead
of a Book, cit.

111
attraverso l'associazione e la cooperazione volontaria di autodifesa,
oppure come una merce che deve essere acquistata, come ogni altra,
presso coloro che offrono l'articolo migliore al prezzo più basso. Dal loro
punto di vista costituisce di per sé un'invasione dell'individuo
costringerlo a pagare per una protezione non richiesta né desiderata”.173

La cooperazione mutualistica di ascendenza proudhoniana, unita alla


divisione e parcellizzazione del lavoro nel mercato, nonché al volontarismo
delle decisioni individuali prese in quest'ambito, sono suffcienti, per Tucker,
ad assicurare il soddisfacimento del bisogno di protezione e sicurezza,
spezzando in questo modo uno dei grossi monopoli statali e rendendo
ingiustifcata l'invasività della compulsary taxation: “quando la tassazione
coercitiva sarà abolita, non ci sarà lo Stato, e l'istituzione difensiva che lo
succederà avrà un solido deterrente che le impedirà di diventare
un'istituzione invasiva nel timore che i contributi volontari diminuiscano” 174.
Il parallelismo emergente tra il pensiero tuckeriano e quello
rothbardiano è, in questo frangente, più lampante che mai. La sfda numero
uno per tutto l'anarco-capitalismo coincide, infatti, con il dimostrare come il
servizio di sicurezza, normalmente considerato necessario appannaggio dello
Stato, possa essere fornito da operatori privati.

Per proteggerci dai criminali privati, possiamo rivolgerci allo Stato e alla
sua polizia; ma chi può difenderci dallo Stato stesso? Nessuno. Difatti,
una caratteristica distintiva cruciale dello Stato è che esso impone un
monopolio dei servizi di protezione; lo Stato si arroga il diritto di avere,
nella pratica, il monopolio della violenza e di poter prendere da solo
decisioni importanti per la società. Se non siamo soddisfatti delle
decisione delle corti dello Stato, ad esempio, non ci sono altre agenzie di
protezione a cui rivolgerci.175

Come suggerito da Tucker, per Rothbard la difesa, intesa alla stregua di


un qualsiasi altro servizio, potrebbe essere tranquillamente offerta sul libero
mercato da parte di associazioni, competitive e non coercitive, che

173 B.R. Tucker, State Socialism, cit., p. 14.


174 B.R. Tucker, Liberty and Organization, in Individul Liberty, cit., p. 35.
175 M.N. Rothbard, Per una nuova libertà, cit., p. 72.

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guadagnerebbero in base a scambi volontari senza arrogarsi o potersi
arrogare il diritto a detenere il monopolio di essa. La contrapposizione tra
libera concorrenza e monopolio è la stessa tanto nel radicale di fne Ottocento
quanto nel libertario del XX secolo, e costituisce la molla argomentativa per
negare allo Stato il monopolio della difesa. Questa contrapposizione viene
applicata a tutto tondo in qualsiasi campo, sia nell'ambito del commercio, sia
nell'amministrazione della difesa e perfno della giustizia. Infatti, come
sottolinea giustamente Carlo Lottieri: “Secondo la teoria libertaria […] lo
Stato deve abbandonare ogni sua sfera d'azione, ponendo fne a quelle
aggressioni di cui si rende responsabile in continuazione” 176 e poco più
avanti: “nel suo sforzo di delineare un'alternativa radicale, il libertarismo è
quindi portato a valorizzare ogni costruzione normativa su base consensuale
(i contratti), ogni sistema privatistico di produzione delle sentenze (gli
arbitrati), ogni forma di autorganizzazione mirante alla difesa e alla
protezione (polizie private e sistemi di assicurazione)”. 177
Insomma, la contrapposizione tra concorrenza e monopolio deve
applicarsi, per i due pensatori, in tutti gli ambiti: la competizione tra agenzie
private che forniscono protezione permette di soddisfare meglio i bisogni dei
consumatori e a un prezzo più basso che nel caso del monopolio governativo.
Il sistema delle polizie private, ugualmente privato e concorrenziale, è
chiamato a gestire e sciogliere le controversie tra privati e a stabilire i
risarcimenti per gli individui i cui diritti sono stati lesi o violati, nonché le
punizioni per gli aggressori. Sorge qui un problema. Se, per quanto riguarda
le associazioni di difesa e protezione le argomentazioni e le conclusioni dei
due autori confuiscono e si identifcano, nel tema della giustizia le cose si
fanno più complesse. Che il sistema giuridico debba lasciarsi alle spalle la
logica coercitiva che è propria degli odierni sistemi giudiziari è certo per
entrambi, e altrettanto certo è il fatto che il “servizio giudiziario” debba far
parte del mercato e, dunque, entrare in una logica concorrenziale; non è
altrettanto chiaro invece come la legge possa e si debba applicare in questa

176 C. Lottieri, Il pensiero libertario contemporaneo. Tesi e controversie sulla filosofia, sul diritto e
sul mercato, Liberilibri, Macerata 2001, p. 205.
177 Ibidem, p. 206.

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disgregazione del monopolio statale. Il ruolo della legge (rule of law) e il
sistema giuridico in una società anarchica sono, infatti, dei punti caldi
all'interno del panorama libertario, e il pensiero di Rothbard si discosta, in
questo frangente, da quello dell'anarchico di Boston. Quest'ultimo, oltre a
credere in un sistema di tribunali individuali in un libero mercato, sostiene
che ogni giudice e giurato debba essere totalmente libero nelle sue decisioni
giudiziarie. Per Tucker, non esiste un corpo razionale e oggettivo di leggi che
i giurati hanno l'obbligo di consultare e nemmeno un insieme di precedenti
giudiziari che leghino i giurati nelle loro decisioni. Come afferma in Property
Under Anarchism, la legge stessa deve essere messa sotto giudizio perdendo la
rigidità che la contraddistingue:

[…] all disputes, whether about land or anything else, will be submitted
to juries which will judge not only the facts, but the law, the justice of
the law, its applicability to the given circumstances, and the penalty or
damage to be inficted because of its infraction.178

Per l'anarchico di Boston bisogna combattere la rigidità della legge che


si manifesta nella rigidità dalla sua applicazione: “sotto l'anarchismo la legge
sarà talmente fessibile che formerà se stessa in ogni emergenza e non avrà
bisogno di alterazioni. E sarà considerata giusta in relazione alla sua
fessibilità e non, come avviene ora, in proporzione alla sua rigidità”. 179 In
questo modo ogni giurato avrà la facoltà di decidere tanto gli atti quanto la
legge ad hoc per ogni caso, adattandola alle contingenze particolari di ogni
accusa e difesa.
Una visione siffatta della legge viene ripudiata apertamente da
Rothbard che afferma:

Secondo la mia opinione, la legge è un bene prezioso […] lo Stato può


essere separato dall'incarico legislativo come può esserlo dalla sfera
religiosa ed economica della vita. In particolare, non ci sarebbero grosse

178 B.R. Tucker, Property Under Anarchism, in Individul Liberty, cit., p. 130, trad. propria: “[...] tutte
le dispute, che riguardano la terra o qualsiasi altra cosa, saranno sottomesse a giurie che
giudicheranno non solo i fatti, ma anche la legge, la giustizia della legge, la sua applicabilità alle
circostanze date, e la pena o il danno da infliggere a chi causa l'inflazione.”
179 Ivi.

114
diffcoltà per i legislatori e giuristi libertari di arrivare a un codice
razionale ed obbiettivo di principi legali libertari basati nell'assioma
della difesa della persona e della proprietà e, conseguentemente, della
non coercizione che si utilizzerà nei confronti di chi non è un provato e
condannato invasore della persona e della proprietà.180

Un tale codice deve essere assunto, e rispettato, dalle corti private e dai
tribunali in competizione tra loro che applicheranno il suo contenuto ad ogni
caso specifco. La costituzione o Rule of Law ci sarebbe ancora pe