Carlo Alberto Emanuele Vittorio Maria Clemente Saverio di Savoia-
Carignano nacque il 2 ottobre 1798 a Torino da Carlo Emanuele VI, principe di Carigano, il quale decise di lasciare la nobiltà per passare dalla parte dei rivoluzionari, e da Maria Cristina Albertina di Sassonia, sostenitrice della Rivoluzione Francese sotto ogni suo aspetto. Trascorse la sua prima giovinezza a Parigi in compagnia dei genitori che, sospettati, erano costretti a vivere quasi in miseria in periferia e, pochi mesi dopo, il padre morì prematuramente. La madre, sola, decise di non affidare il figlio ai Savoia che lo avrebbero istruito secondo i canoni conservatori e, nel 1808, si sposò in seconde nozze con il conte di Montléart, con il quale Carlo Alberto rimase in pessimi rapporti. Ricevuti dallo stesso Napoleone Bonaparte, Carlo ebbe la possibilità di andare a studiare in un collegio lì in Parigi ma ci rimase soltanto due anni, infatti dal 1813, il quattordicenne si trasferì a Ginevra dove venne seguito e affidato a un pastore protestante, ammiratore di Rousseau. Quando Napoleone fu sconfitto a Lipsia nel 1813, Maria Cristina ritenne che fosse pericoloso rimanere a Ginevra per paura dell’arrivo delle truppe austriache, dunque ritornarono in Francia dove, quasi sedicenne, Carlo Alberto decise di entrare in un liceo militare aspirando a diventare un ufficiale. Nonostante la definitiva uscita di scena di Napoleone e l’arrivo del nuovo re Luigi XVIII e il ritorno dei Borboni, la famiglia fu riammessa e accolta dovendo però rinunciare ad alcuni titoli conferiti al ragazzo durante il regno dell’Imperatore. Anche se Maria Cristina non era d’accordo, cedette ai diversi consigli di tornare a Torino, dove fu piacevolmente riaccolto dal re Vittorio Emanuele I e, dato che né lui né il fratello avevano figli maschi, Carlo Alberto si ritrovò ad essere il possibile erede al trono. Quando la Corte Sabauda trovò la prescelta per il matrimonio, la sedicenne Maria Teresa d’Asburgo-Lorena, il giovane Carlo accettò e a fine settembre del 1817, si sposarono a Firenze e il 14 marzo 1820 nacque Vittorio Emanuele, futuro primo re d’Italia. Fu uomo di personalità molto forte, al contrario della moglie; i due abitavano a palazzo Carignano ed erano frequenti le visite di diversi intellettuali come Santone di Santa Teresa, famoso patriota e rivoluzionario; Roberto d’Azeglio, Cesare Balbo e molti altri. Nel 1820 ci furono i famosi moti di Cadice che portarono i Borboni a concedere di nuovo la costituzione del 1812, così in molti altri paesi si accese la speranza di una costituzione liberale e moti accesi scoppiarono a Napoli e Palermo e nel marzo del 21, giovani liberali, come Santorre di Santarosa o Roberto d’Azeglio, incontrarono Carlo Alberto poiché, pronti a combattere, vedevano in lui una figura fresca e nuova per poter fare da mediatore fra il popolo e il sovrano che dimorava nel castello di Moncalieri che avrebbe compreso e portato a una rivoluzione liberale, allontanandosi dal vecchio assolutismo e che avrebbe convinto il re a far guerra contro gli austriaci. Inizialmente accettò ma poi dichiarò al ministro della Guerra di esser venuto a conoscenza di un complotto da parte dei rivoluzionari, questo per non far più parte della congiura ma costoro cominciarono ad insospettirsi e decisero lo stesso di agire; Carlo Alberto, profondamente pentito, corse subito da Vittorio Emanuele I chiedendo perdono e svelando tutti i piani dei cospiratori. Il re, assieme al Consiglio della corona, decise di concedere la costituzione ma giunse notizia di un imminente attacco da parte delle truppe austro-russe e quindi Vittorio Emanuele decise di aspettare ma i carbonari non accettarono e non vollero scendere a compromessi e quindi, per evitare delle sollevazioni militari che avrebbero portato forte scompiglio e disagio, per non concedere la costituzione, abdicò in favore del fratello Carlo Felice, nominando Carlo Alberto reggente, ossia colui il quale esercita temporaneamente il potere sovrano in assenza del titolare. Così a 23 anni si ritrovò a governare un regno in profonda crisi che aveva lui stesso contribuito a provocare e, dato che tutti i vecchi ministri lo abbandonarono fu costretto a riformare per intero un nuovo governo e, anche in preda al panico, poiché i rivoluzionari non volevano affatto rinunciare, il 13 marzo Carlo Alberto concedette la costituzione spagnola ma in attesa dell’approvazione del re che accolse malissimo la notizia dell’abdicazione del fratello dichiarando nullo qualsiasi atto politico-militare. A questo punto, tradendo i rivoluzionari, si rifugiò in Toscana con la famiglia chiedendo agli austriaci aiuti per ristabilire l’ordine nello Stato anche perché Carlo Felice stava valutando l’ipotesi di togliergli l’eredità al trono. Nel 1823 il duca Louis Antonie d’Anglouleme assunse il comando della truppa francese alla quale le potenze europee fecero riferimento per riportare sul trono re Ferdinando VIII di Spagna, catturato dai rivoluzionari dopo i moti di Cadice e Carlo Alberto, per riconquistarsi la fiducia dei nobili e dei conservatori, chiese di far parte di questa missione. A inizio maggio attraccò a Marsiglia e a fine mese, dopo un lungo viaggio, arrivò a Madrid per poi ripartire verso il sud, verso Cadice e, a fine agosto, le truppe assalirono il Trocadero, fortezza di Cadice, con la flotta francese che proteggeva dal mare. Rimase in prima linea a combattere fino al calare della notte e il giorno dopo fu tra i primi ad entrare nel Trocadero. Una volta liberati Carlo Alberto, fu molto ringraziato dal re e dalla moglie tanto che, dopo una parata militare, il duca a capo della spedizione gli diede la Croce dell’ordine di San luigi, un importante ordine militare. Sciolto il corpo di spedizione, Carlo Alberto tornò a Parigi dove venne accolto da grandi feste, ricevimenti e balli. Carlo Felice riprese fiducia e lo richiamò a Torino e prima di partire, il futuro re, pronto a diventarlo, fece un colloquio con il re di Francia Luigi XVIII che gli diede alcuni consigli sull’attività di sovrano e lo fregiò di un’altra medaglia, la più prestigiosa dell’ordine cavalleresco della monarchia francese, la medaglia dell’Ordine dello Spirito Santo. Si mise in viaggio e fece ritorno a palazzo Carignano dove cominciarono i preparativi per diventare sovrano: visse nel Castello Reale di Racconigi, cominciò a studiare economia e visitò la Sardegna. Nel 1830 venne cacciato il nuovo re che da 6 anni regnava, Carlo X, e il principe di Carignano ne rimase sconvolto ma era malato e doveva badare a sé; poco dopo infatti chiamò Carlo da lui con tutto il governo, era il 24 aprile 1831, e il sovrano fece avvicinare Carlo Alberto al proprio letto dicendo “ecco il mio erede e successore, sono sicuro che farà il bene dei suoi sudditi” e poi morì. Così Carlo Alberto assunse la Corona di re di Sardegna e cominciò a regnare a 33 anni. Le truppe fecero il giuramento di fedeltà al nuovo Re in piazza d’Armi. La sua salute intanto era peggiorata, soffriva di dolori al fegato, portava il cilicio per continue crisi religiose, ascoltava due messe al mattino, dormiva da solo su di una brandina di ferro e lavorava tantissimo ma continuò ad avere relazioni extraconiugali. La prima azione politico-militare che fece fu quella di allearsi con l’Austria poiché, a causa degli eventi della Rivoluzione di Luglio in Francia che avevano deposto dal trono Carlo X, si voleva portare al potere Luigi Filippo, un ex rivoluzionario. Questo conservatorismo lo mantenne anche in politica interna, infatti vennero dati diversi incarichi con l’idea di rinnovare l’oligarchia ministeriale e, nonostante alcune esortazioni e in particolare una lettera chiamata “un italiano” di Mazzini, lui rimase molto legato alle idee dei suoi predecessori. Dopo la morte di re Ferdinando VII di Spagna, la nazione si divise in due: i reazionari antiliberali, con i quali Carlo Alberto si alleò, e i costituzionalisti che vinceranno dopo una guerra durata sette anni. Appena salito al trono ci furono diverse rivolte e tumulti come a Roma, a Modena, a Bologna, a Parma e a Genova ma l’Austria era riuscita sempre a riportare l’ordine, infatti il nuovo Re considerò provvidenziale l’alleanza con gli austriaci; dopo i processi ci furono 12 fucilazioni, 2 suicidi in carcere e 21 condanne a morte che non eseguirono poiché, come Mazzini, erano già all’estero e lui stesso venne accusato di esser stato troppo severo. Mazzini pensò a un vero e proprio attacco ai Savoia partendo dalla Svizzera per poi sollevare il popolo contro il re ma la notizia trapelò e Carlo Alberto diede l’ordine di un’imboscata ma non ce ne fu bisogno perché l’invasione fallì da sola: per disorganizzazione e per gli Svizzeri stessi che li bloccarono. A causa di queste rivolte, Garibaldi venne condannato a morte. Carlo Alberto fin da subito si rese conto della necessità di dover cambiare e concedere riforme per rendere il regno più moderno e per soddisfare i bisogni del popolo e questo percorso di riforma, al quale lui stesso prese parte, fu molto lungo; il nuovo codice civile si ispirava in parte al Codice Napoleonico. Cominciarono i problemi con l’Austria quando lui decise di voler annettere la pianura padana e si mostrò amichevole con Massimo d’Azeglio e infatti nel 46, l’ambasciatore austriaco a Torino chiamò il re e lo invitò a chiarire la sua politica: o con l’Austria o con i rivoluzionari. Intanto venne eletto il nuovo papa Pio IX e il Re vide in lui la possibilità di conciliare la fede, causa di grandi tormenti, alle sue antiche idee liberali, offrendogli il suo appoggio. Carlo Alberto era vincolato, da una parte il suo volere di fare il bene dei cittadini quindi di attuare una politica di tipo liberale, dall’altro era vincolato dal giuramento prestato a Carlo Felice di rispettare religiosamente tutte le leggi fondamentali della monarchia, tra le quali l’assolutismo. A inizio 1848, tutta Torino, compreso Cavour, direttore del suo giornale, il Risorgimento, aveva proposto di chiedere al Re una costituzione, erano favorevoli anche la maggior parte dei ministri. A questo punto era combattuto e pensò di abdicare come aveva fatto Vittorio Emanuele I, ma il figlio lo convinse a rimanere. Era necessario prendere una decisione e il ministro dell’interno, Giacinto Borelli, fu incaricato di preparare un disegno di costituzione e al documento fu dato il nome di “statuto”, composto di 14 articoli. Carlo Alberto aveva premesso che non avrebbe firmato se non fosse stato chiaro il rispetto della religione cattolica e l’onore della monarchia. Ottenutele, firmò. Il popolo era in festa e tutti urlavano il nome di Carlo Alberto. Lo statuto prevedeva la religione cattolica come unica dello stato, il potere esecutivo al re che comandava l’esercito, il legislativo alle camere, una delle quali eletta dal popolo e la libera stampa. Il nuovo papa accese gli animi di tutti i liberali, nel 48 insorse Palermo e Ferdinando II fu costretto a concedere la costituzione, insorse anche Parigi cacciando Luigi Filippo per instaurare una repubblica. I moti arrivarono a Milano, Venezia e Vienna. Nonostante le risorse del regno fossero esigue, l’esercito piemontese iniziò a mobilitarsi, l’unica possibilità era quelle di annettersi alla Lombardia che aveva appena scacciato gli austriaci. Qui nacque la nuova bandiera: il tricolore della Repubblica Cisalpina e lo stemma dei Savoia. La prima guerra d’indipendenza stava per scoppiare contro un grandissimo generale: Radetzky. Carlo Alberto riunì l’esercito e si diresse verso il quadrilatero al fronte. I piemontesi e i lombardi vinsero le prime due battaglie: a Goito, grazie ai bersaglieri, e a Pastrengo, con il Re stesso sul campo. I primi problemi giunsero quando il papa ritirò il suo appoggio politico e militare e anche se alcuni volontari pontefici rimasero, cominciava a mancare la motivazione morale e stava svanendo il sogno di un’alleanza papale come sperava Vincenzo Gioberti. Ferdinando II ordinò ai 14000 soldati di tornare in patria lasciando Carlo Alberto da solo contro la potenza austriaca che vinse a Vicenza, disperdendo i volontari pontefici, e a Custoza, battaglia finale. A questo punto i soldati erano stremati anche se i lombardi avevano votato per l’annessione al regno di Sardegna e quindi il Re pensò di chiedere una tregua che gli austriaci accettarono a patto che essi si ritirassero lasciando Peschiera, Parma e Modena e allora Carlo Alberto continuò la guerra con linee difensive e truppe troppo deboli e quindi presto trattò la resa lasciando però Milano agli austriaci con grande indignazione del popolo. A questo punto chiese l’armistizio, con il parere negativo di Gioberti che era convinto che la Francia li avrebbe aiutati ma quest’ultima avrebbe aiutato soltanto i repubblicani. L’orgoglio di Carlo Alberto non si placò e volle riprendere la guerra, ma questa volta lasciando il comando effettivo dell’esercito a un polacco che però subì una pesante sconfitta a Bicocca e quindi si arresero chiedendo definitivamente l’armistizio ma le condizione austriache furono durissime quindi il Re chiese se fosse possibile un ultimo sforzo per almeno riconquistare qualche città ma la risposta fu no: l’esercito era a pezzi, la disciplina crollata, molti militari si diedero al brigantaggio. Il 23 marzo 1849 chiamò figli, generali e ministri e disse di non avere altra scelta se non abdicare, tentarono di dissuaderlo ma lui si limitò a dire “la mia decisione è frutto di matura riflessione; da questo momento io non sono più il re; il re è Vittorio, mio figlio”. Pochi giorni dopo cominciò il viaggio verso il Portogallo passando da Nizza Monferrato, Acqui, Savona, Ventimiglia e il Principato di Monaco. A Nizza gli fornirono un passaporto per poter attraversare Francia e Spagna e da Antibes inviò istruzioni per sistemare alcuni affari di famiglia e poco dopo da Torino arrivò il documento ufficiale di abdicazione. Il viaggio continuò fin quando giunse il 19 aprile a Oporto dove avrebbe voluto imbarcarsi per l’America ma fu costretto a fermarsi perché il viaggio lo aveva stremato ed era molto malato al fegato. Nelle due settimane successive le sue condizioni si aggravarono molto, non volle visite dai familiari ma continuava a tenere contatti con l’Italia. Nel corso di questo breve periodo fu attaccato da 3 infarti, forte tosse tanto da non riuscire più ad alzarsi, e poco dopo le 15 del 28 luglio 1849 morì a poco meno di 51 anni affidando la sua anima a Dio. La sua salma rimase nella cattedrale di Oporto fino a settembre quando il cugino Eugenio di Savoia mandò delle navi per portare il corpo in patria. Ci fu il funerale nel Duomo di Torino e la salma venne riposta nei sotterranei della Basilica di Superga dove tuttora riposa.