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1.

Le discipline etiche e sociali (Yama)


Sono “grandi comandamenti che superano il credo, il paese, la realtà e il tempo”*. Si tratta di: non violenza, sincerità,
astensione dal rubare, continenza, non accumulo.

Principi morali, precetti universali e morali. Il percorso comincia con la propria relazione personale con gli altri, il
modo in cui ci relazioniamo ad altri essere umani. Che senso ha sviluppare il corpo e calmare la mente se poi siamo
stressati e non sappiamo stare con altre persone?

I 5 Yama sono:

1. Ahimsa: Non violenza La compassione per tutti gli esseri viventi


La parola ahimsa letteralmente significa non ferire o mostrare la crudeltà a qualsiasi creatura o
qualsiasi persona in qualsiasi modo. Ahimsa è, però, molto di più che la mancanza di violenza
inserita nello yoga. Significa gentilezza, amicizia, e la considerazione verso le altre persone e gli
esseri viventi e le cose. Ha anche a che fare con i nostri doveri e le responsabilità. Ahimsa ci sprona
ad essere attenti in ogni situazione ed ad agire senza fare del male. Ahimsa significa evitare di ferire
gli altri con pensieri, parole o azioni. Si può parlare di non-violenza ma la non-violenza non va confusa con la
passività o l’impassibilità. Di fronte ad un’ingiustizia bisogna intervenire e bisogna sempre agire in difesa dei
più deboli e di chi ha bisogno di aiuto.
2. Satya: Verità Impegnarsi per la Verità
Satya significa “dire la verità”, ma non è sempre buono dire la verità in tutte le occasioni, dato che potrebbe
danneggiare qualcuno inutilmente. Dobbiamo stare attenti a quello che diciamo, come lo diciamo, e in che
modo potrebbe influenzare gli altri. Se dire la verità ha conseguenze negative per un altro, allora è meglio non
dire niente. Satya non deve mai entrare in conflitto i comportamenti suggeriti da ahimsa. Questo precetto si
basa sulla comprensione che la comunicazione onesta e le azioni costituiscono il fondamento di ogni rapporto
sano, sia a livello di comunità che di governo, e che l’inganno intenzionale, e le esagerazioni,possono
danneggiare gli altri. Satya indica l’uso benevolo della parola e delle azioni mentali. Bisogna dire la
verità ma quando è dura si deve stare attenti a non dirla troppo bruscamente, si possono trovare
altre formule rispettose e che possano essere d’aiuto per chi ci ascolta.
3. Asteya: Non rubare non rubare
Steya significa “rubare”; asteya è l’opposto, non prendere nulla che non ci appartiene. Questo
significa anche che se ci troviamo in una situazione in cui qualcuno affida qualcosa a noi o si confida
con noi, noi non dovremmo approfittare di lui o di lei. Il “non rubare” non include solo il prendere
ciò che appartiene a un altro senza permesso, ma anche il non usare qualcosa al di fuori dello scopo
previsto, oppure oltre il tempo consentito da chi ce lo ha concesso . La pratica di asteya implica non
prendere qualche cosa che non è stata consentita liberamente o esplicitamente . Ciò può includere
ad esempio lo sfruttare il tempo o l’impegno di un altra persona senza che questi ce lo abbia
consentito liberamente. Se fai attenzione a questo ragionamento ti accorgerai che è effettivamente
rubare del tempo o del lavoro ad un altro. Asteya indica la buona condotta del non rubare ma non
si riferisce soltanto al mondo fisico, si estende infatti al mondo mentale. Dunque secondo lo Yoga
non dobbiamo appropriarci mai nemmeno mentalmente di ciò che non ci appartiene.
4. Brahmacharya: Contenersi Controllo dei Sensi
Brahmacharyaviene considerato spesso come “astinenza” , in particolare in relazione alle attività
sessuali. Brahmacharya suggerisce che dovremmo stringere relazioni che favoriscono la
comprensione delle più alte verità. Brahmacharya non implica necessariamente il celibato.
Piuttosto, significa che dovremmo tenere un comportamento responsabile nei confronti del nostro
obiettivo di arrivare alla verità. Praticare brahmacharya significa usare la nostra energia sessuale
per rigenerare la nostra connessione con il nostro sé spirituale. Significa anche che non dovremmo
usare questa energia per danneggiare gli altri in alcun modo. In pratica ci dice di usarla con la
persona che amiamo, detto cosi sembra più semplice. Significa riconoscere che tutti noi facciamo
parte dell’universo e che esiste un’unica coscienza universale che permea noi stessi e tutto ciò che
ci circonda nella realtà in cui viviamo.
5. Aparigraha: Non accumulare Neutralizzare il desiderio di acquisire e accumulare ricchezza
Aparigraha significa prendere solo ciò che è necessario, e di non approfittare di una situazione e di
non farci prendere dall’avidità. Dobbiamo solo prendere ciò che abbiamo guadagnato, se
prendiamo di più, stiamo sfruttando qualcun altro. Lo yogi ritiene che la raccolta o accaparramento
di cose implica una mancanza di fede in Dio e in te stesso nel provvedere al tuo futuro. Aparigraha
implica anche lasciar andare i nostri attaccamenti alle cose e stimola la comprensione
dell’impermanenza e il cambiamento che in realtà sono le uniche costanti della vita. Secondo
questo principio dobbiamo soddisfare le nostre necessità materiali ma non dobbiamo indulgere nel
lusso e nel superfluo visti come eccessi dato che proprio questi eccessi possono distoglierci dalle
mete più elevate della nostra vita.

Gli Yoga Sutra descrivono cosa succede quando queste cinque comportamenti che abbiamo appena visto
diventano parte della vita quotidiana di una persona. Così, i yama sono le virtù morali che, se applicate,
purificano la natura umana e contribuiscono alla salute e alla felicità della società.

Sono cinque comandamenti morali che regolano la condotta dello yogi nella vita sociale. Comprendono la
non-violenza, la sincerità, l’onestà, la moderazione nel sesso e la mancanza di avidità.

2. Le discipline individuali (Nyama)


Purezza (del corpo e dello spirito), appagamento (essere felici di ciò che si ha e di ciò che si è), fervore (sforzo
ardente nel raggiungere il proprio scopo nella vita), studio del sé (educazione dell’io), consacrazione al Signore (se
non siete credenti continuate a leggere, vale anche per voi) ovvero consapevolezza del fatto che ogni nostra azione è
inserita in un quadro più ampio, e desiderio di agire non per fini egoistici ma per il bene di tutti (del resto, essendo ogni
creatura connessa intimamente alle altre, il bene non può essere che collettivo).

Principi e osservanze personali. Il secondo passo è un cammino interno, attraverso la nostra relazione con noi stessi. Gli
Yama sono i precetti socondo i quali vivere, di disciplina e pratica spirituale. È un cammino attraverso gli aspetti più
grossolani per arrivare alla nostra più profonda verità.

I 5 Niyama sono:

1. Saucha: Pulizia Shaoca indica la pulizia fisica, mentale e dell’ambiente, il rispetto degli animali,
senza dimenticare il dovere di aiutare le persone che hanno bisogno di una mano.
2. Santosha: Accontentarsi Santosha significa mantenere la mente in uno stato di contentezza,
accontentandosi di ciò che si ha, ma bisogna comunque impegnarsi per migliorare le condizioni di
vita individuali e sociali.
3. Tapas: Disciplina, forza Tapah indica lo spirito di sacrificio nel fare del bene agli altri senza
pretendere nulla in cambio, senza la vanità delle proprie azioni e pensando che proprio questo tipo
di comportamento rende elevata la nostra vita dal punto di vista spirituale.
4. Svadhyaya: Studio delle sacre scritture e di se stessi Svadhyaya significa leggere e capire profondamente
le scritture che fanno parte della tradizione dello Yoga e che possano ispirarci a migliorare nella
nostra vita di tutti i giorni.
5. Ishvara Pranidhana: Arrendersi al divino Iishvara Pranidhana indica l’accettazione dell’entità suprema
universale e l’abbandono ad essa per raggiungere la meta più elevata della propria esistenza.

Sono cinque regole di condotta individuale per migliorare sé stessi: pulizia, contentezza, austerità, studio
dei testi, devozione.

3. Le posture (Asana)
Sono quelle che tutti conosciamo e di cui abbiamo parlato spesso su questo blog. Servono a rinforzare il corpo, a
calmare lo spirito e a combattere l’incostanza della mente per raggiungere l’equilibrio (fisico e mentale).
Le posizioni. Una volta compresi questi precetti “esterni” ed “interni” si passa al movimento, alla pulizia del corpo
attraverso la pratica che tanto noi yogi conosciamo, le asana. Le posizioni di yoga che hanno come scopo quello di
pulire le nadi (canali energetici) del corpo per fare in modo che l’energia fluisca in modo generoso in modo da innalzare
la vibrazione energetica del corpo. Il maestro Iyengar sempre diceva: “Il corpo è il mio tempio, le asana sono le mie
preghiere”.

Sono le posture del corpo, la cui pratica unisce corpo e mente, mente e anima. Patanjali non descrive
posizioni specifiche, ma sottolinea come mantenere il corpo in condizioni ottimali permetta il risveglio
della coscienza: man mano che ci si esercita nella pratica le asana richiederanno meno sforzo e lo yogi
potrà concentrarsi sempre meglio sulla mente e sui sensi.

4. Il controllo della respirazione (Pranayama)


“La durata della vita dello yogi non viene misurata con il numero dei suoi giorni, ma con quello dei suoi respiri.
Perciò, egli segue il giusto ritmo della respirazione lenta e profonda, che rafforza il sistema respiratorio e calma il
sistema nervoso”.*

Se non vi convince la teoria del numero di respiri, fatelo per il sistema nervoso, che su quello non c’è dubbio.

Le tecniche di respirazione. Il seguente passo tratta ancora di prana, la forza vitale che ci mantiene in vita. Il
Pranayama sono le tecniche di respirazione, che hanno come obiettivo quello di confluire le energie che
innalzano il livello di energia di prana del corpo. Il Pranayama indica la “liberazione del prana” ed è il passo
esattamente consecutivo alle asana in quanto amplifica il lavoro finora effettuato. Scopri tutto su
pranayama.

Il controllo del respiro ha l’obiettivo di concentrare e far risalire l’energia dalla base della colonna
vertebrale verso la sommità del capo.

5. Controllo dei sensi (Pratyhara)


Controllare i sensi significa liberarsi dalla brama, essere “il padrone di casa” nella nostra mente. Detto con un esempio
riduttivo e molto terra-terra: la mente dovrebbe essere in grado di decidere se è il caso o meno di avventarsi su quella
fetta di torta, senza essere annebbiata dalla golosità.

Il ritiro dei sensi. Questo quinto passo tratta il ritiro dei sensi. Il ritiro dei sensi è quello stadio in cui si
comincia a distaccare dagli input interni o esterni che arrivano alla mente. I pensieri ci sono, così come i
rumori, i colori e via dicendo e non si possono né annullare, né spegnere. Riportando però l’attenzione
all’interno possiamo essere osservatori dei nostri sensi e in che modo interferiscono nella nostra vita.

Significa “ritrazione dei sensi”, cioè il distogliere i sensi dal mondo esterno per rivolgerli al mondo interiore.
Attraverso le prime quattro braccia dello yoga, i primi quattro passi di questo percorso, lo yogi impara a
vincere le distrazioni fisiche e mentali, a rimanere indifferente agli stimoli esterni e può così raggiungere un
livello di coscienza molto profondo.

6. Concentrazione (Dharana)
Concentrata attraverso l’uso di una lente, la luce del sole può accendere un fuoco. Dispersa in modo indiscriminato, non
farà che scaldare. Così è la nostra mente: se riusciamo a concentrarla sul nostro obiettivo, avrà la potenza del fuoco. Se
lasciamo che si disperda in modo incontrollato, rinunciamo ad utilizzarne tutto il potenziale.

La concentrazione. Il prathyara apre il passo al Dharana: la concentrazione. Senza distrazioni esterne ci


possiamo ora concentrare su quelle interne rallentandone il flusso. In questo stadio la concentrazione su un
oggetto o domanda o un yantra (immagine) o la ripetizione di un mantra aiutano a sviluppare la
concentrazione per una mente quieta e più distesa.

È uno stato di concentrazione profonda, rivolta all’interiore: per esempio verso un punto individuato
dentro di sé, verso un chakra, una divinità o verso la visualizzazione di un proprio maestro e punto di
riferimento.

7. Meditazione (Dhyana)
Attraverso la meditazione riusciamo a trovare la felicità all’interno di noi stessi, smettendo di pretendere che siano gli
altri (persone o avvenimenti) a renderci felici.

“Chiunque faccia dipendere la sua felicità dalle circostanze esterne dimostra chiaramente che non desidera
essere felice”

…dice Ghandi nel commentare la Bhagvad Gita, uno dei testi più importanti della tradizione induista. Attraverso la
meditazione riusciamo a staccarci dalle circostanze esterne e a trovare la gioia dentro di noi.

La meditazione. Questo è il passo della meditazione, il flusso ininterrotto di concentrazione porta ad un


livello superiore dove la concentrazione su di un punto diventa uno stato naturale, un punto di attenzione e
presenza senza sforzo e senza concentrazione.

Significa meditazione, lo stato a cui lo yogi giunge quando riesce a mantenere a lungo e senza interruzioni
la concentrazione profonda. L’oggetto su cui si sta concentrando permea la coscienza dello yogi; il suo
corpo, il respiro, la mente, i sensi e l’ego si fondono con l’assoluto.

8. Liberazione (Samadhi)
Samadhi è il compimento della ricerca spirituale. In questo stadio, siamo completamente consci e vigili, in armonia con
il resto del mondo e coscienti dell’interdipendenza di tutte le creature, immersi in una pace che supera ogni conoscenza.

“La mente non ha parole per descrivere questo stato e la lingua si arresta […]. Tale stato può essere descritto
soltanto da un profondo silenzio”.*

L’illuminazione, essere tutt’uno con il divino. Descritto come la fase dell’estasi e dell’illuminazione, il Samadhi è la
connessione con il divino ed ogni cosa manifesta ed immanifesta. È la connessiona al Tutto, sentirsi uno con l’universo.
Il meditatore trascende se stesso e diventa la goccia del mare che non è separata dal resto, ma è un tutt’uno in continuo
fluire. Il Samadhi è il momento trascendentale di pura presenza, senza concentrazione, senza sforzo, lo stato naturale
dell’essere.

È lo scopo finale dello yoga: corpo e sensi sono a riposo come se dormissero, ma la mente è vigile, lo yogi si trova in
uno stato superconscio, che conduce alla liberazione e al risveglio.

“Quando rimane soltanto l’oggetto e l’osservatore perde la coscienza di sé, allora si ha il Samadhi”
(Yoga Sutra, sez. III, sutra 3)

Cosa è lo Yoga se non l’unione? È l’unione di corpo, mente e spirito, il supporto del praticante per ritrovare la
connessione con l’universo. E Patanjali ha identificato il perfetto percorso da seguire

Spero di non avervi spaventati con questo post un po’ tecnico, ma ci tenevo a spiegare che lo yoga va oltre il semplice
starsene a gambe incrociate o a testa in giù. Quelli descritti qui sopra non sono pre-requisiti ma sono le tappe del
percorso dello yogi. Il loro raggiungimento può richiedere una vita (o anche più di una) ma gli obiettivi (equilibrio tra
corpo e mente, armonia tra noi e le altre creature, pace interiore ed esteriore) meritano senz’altro. Se tutti noi li
perseguissimo, il mondo sarebbe davvero un posto migliore.
Namasté!

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