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Sommario

Lo scopo di questo lavoro è quello di presentare una panoramica sullo stato dell’arte dei processi di
ossidazione fotocatalitica per la degradazione di inquinanti, ponendo particolare attenzione al
trattamento di acque reflue. In primo luogo, verrà fornita una presentazione generale del
meccanismo di ossidazione fotocatalitica con i catalizzatori più tradizionali. Si esporranno, inoltre, le
ragioni che hanno portato alla riduzione in scala nanometrica delle particelle del catalizzatore. In
seguito, verranno esaminati i metodi di miglioramento per aumentare l’efficienza dei catalizzatori, sia
in termini di capacità di adsorbimento che in termini di proprietà ottiche e elettroniche. Verrà inoltre
fornito un rapido insight su materiali di nuova concezione dotati di proprietà fotocatalitiche regolabili
per via chimico-fisica, ad oggi oggetto di grande interesse da parte della ricerca di base. Da ultima
verrà presentata una panoramica delle categorie di inquinanti che è possibile degradare attraverso
processi di ossidazione fotocatalitica, tra cui figurano svariati composti organici e batteri.

Introduzione
Il crescente fabbisogno di risorse di acqua pulita a causa del rapido sviluppo dell’industrializzazione,
della crescita demografica e della siccità a lungo termine è diventato un problema mondiale. Si stima
che all’incirca 4 miliardi di persone nel mondo abbiano accesso molto limitato a rifornimenti di acqua
pulita e igienizzata, e milioni di persone muoiano annualmente per gravi malattie infettive portate
dall’acqua MALATO ET AL. Si ritiene che questi dati statistici siano destinati a crescere nell’immediato
futuro, per via della crescente contaminazione delle acque dovuta all’abbondante scarico di
microinquinanti e contaminanti VINTEGNS ET AL RICHARDSON 2008 SUAREZ 2008. Per soddisfare il
crescente fabbisogno di acqua pulita è auspicabile lo sviluppo di tecnologie di trattamento delle
acque economiche e ad alta efficienza. Queste esigenze hanno portato al rapido sviluppo nel campo
dei processi di ossidazione avanzata come processi innovativi di trattamento delle acque.
1 – Meccanismo di ossidazione fotocatalitica
I processi di ossidazione avanzata (AOPs), basati sulla fotochimica, sono fra i metodi di eliminazione
di inquinanti più interessanti. Infatti, hanno la potenzialità di sfruttare la luce solare come fonte di
energia, rendendo il processo ecosostenibile (1).Tra tutti gli AOPs, la fotocatalisi eterogenea su
semiconduttori (TiO2, ZnO, Fe2O3, CdS, GaP e ZnS) ha dimostrato la sua grande efficienza nella
degradazione di una vasta gamma di sostanze inquinanti particolarmente resistenti. Tali composti
sono ridotti a composti biodegradabili o addirittura ad acqua ed anidride carbonica. Tra tutti i
semiconduttori, testati nelle medesime condizioni, il biossido di titanio (TiO2) ha dimostrato di
essere il più attivo quando stimolato da fotoni con lunghezza d’onda compresa tra 390 nm > λ > 300
nm. (2)
Figura 1. Spettro di assorbimento del TiO2 confrontato con lo spettro di emissione solare. Energia delle bande per
alcuni semiconduttori comuni: VB (banda di valenza), CB (banda di conduzione), Eg(gap energetico tra le bande).
(2)

Come si può notare (figura 1), vi sono altri materiali semiconduttori che assorbono una frazione

maggiore dello spettro solare (CdS, GaP). A differenza di questi, il TiO2 presenta notevoli vantaggi:
rimane stabile dopo ripetuti cicli catalitici e non degrada in prodotti tossici a fine vita (2). In aggiunta
alle sue ottime proprietà, il biossido di titanio è facilmente reperibile, in quanto disponibile
commercialmente a basso costo. Per tali motivi questo semiconduttore è alla base della maggior parte
degli studi effettuati nell’ambito dell’ossidazione fotocatalitica.

Durante la fotocatalisi, il materiale semiconduttore (in questo caso biossido di titanio) viene irraggiato
da luce solare (o artificiale) e, nel caso in cui l’energia dei fotoni sia maggiore del gap energetico tra
banda di valenza e banda di conduzione del semiconduttore, si assiste all’assorbimento del fotone e
all’eccitazione di un elettrone (e-) dalla banda di valenza a quella di conduzione. Una volta che
l’elettrone viene assorbito nella banda di conduzione (e-CB), si forma una buca positiva nella banda di
valenza (h+VB).
TiO2 + hv → h+VB + e-CB

Se il sistema buca-elettrone non si ricombina dissipando l’eccesso di energia (problematica


che riduce l’efficienza generale del processo) (3), i portatori di carica (buca ed elettrone) migrano sulla
superficie del catalizzatore dove partecipano a reazioni con i materiali adsorbiti (4). L’e-CB agisce come
agente riducente mentre la buca positiva h+ agisce come agente ossidante (5). Dalle reazioni con O2 e
H2O della coppia elettrone-buca si formano rispettivamente l’anione superossido (∙O2-) e il radicale
ossidrilico (∙OH)
h+VB + H2O → ∙OH + H+
e-CB + O2 → ∙O2-
e queste specie reattive dell’ossigeno (ROS) sono le responsabili dell’ossidazione e degradazione degli
inquinanti organici (3)
∙OH + inquinante → H2O + CO2 ∙O2- +
inquinante → H2O + CO2

Figura 2. Meccanismo di fotocatalisi

Il biossido di titanio è presente in natura sotto forma tre differenti strutture cristalline: rutilo, anatasio
e brookite. La forma rutilo è la più abbondante e facilmente reperibile, nonché la più stabile nei
processi di ossidazione, mentre la forma anatasio mostra maggiore attività fotocatalitica (6). La ricerca
in questo campo ha dimostrato come un metodo per controllare le proprietà fotocatalitiche del TiO2
sia combinare in un preciso rapporto le forme anatasio e rutilo (7) e ha anche dimostrato come
l’utilizzo congiunto di queste due fasi dia un catalizzatore molto più efficiente rispetto alla sola fase
anatasio (8). Il materiale più studiato è il P-25, formato dal 20% di rutilo e dall’80% di anatasio. In
precedenza prodotto da Degussa ed ora da Evonik Industries (9), il P-25 è largamente utilizzato per la
sua disponibilità e le sue ottime proprietà. È inoltre sfruttato come standard di riferimento per studi
riguardanti altri materiali fotocatalitici (8).

Altri ossidi e non ossidi


Materiali diversi dall’ossido di titanio sono stati studiati da principio per la scissione dell’acqua, ma
possono essere anche utilizzati per il trattamento di inquinanti; i due processi sono infatti simili (3).
La differenza principale tra fotocatalizzatori ossidi e non ossidi è che per i primi le bande di valenza
e conduzione sono sensibili alla variazione del pH (4); inoltre le due classi si distinguono per la
posizione della banda di valenza (5) (Figura 1).
Tra gli ossidi, a rivestire più importanza sono lo ZnO, per il basso costo e il meccanismo
fotodegradativo molto simile a quello del TiO2 (6), e lo WO3, che ha una maggiore capacità di
assorbimento dovuta al bandgap più ristretto (2.8 eV in confronto ai 3.0 eV del TiO 2)(7).
Tra i non-ossidi, il CdS è quello che riveste maggiore importanza (8,9).

Figura 1. Posizione delle bande per ossidi e non-ossidi (pH=7 per gli ossidi).

2 – Ulteriori sviluppi: metodi di miglioramento di substrati per ossidazione fotocatalitica


Catalizzatori nanostrutturati
Attualmente, in ambito di ricerca, è raro l’utilizzo di catalizzatori in bulk. Nella maggior parte dei
casi si impiegano catalizzatori in scala nanometrica, per via della loro maggiore reattività. Di
seguito si elencano alcune delle motivazioni:
 Le nanostrutture hanno un elevato rapporto superficie/volume. Dato che l’ossidazione
fotocatalitica presuppone l’adsorbimento superficiale della specie da degradare, la
reattività del catalizzatore in questa configurazione è superiore rispetto a quella che
avrebbe in bulk (10).
 Nelle nanostrutture aventi dimensioni sufficientemente piccole, i portatori di carica sono
soggetti a confinamento quantico. Oltre alla discretizzazione degli stati elettronici, vi è un
incremento del band gap. A questo fenomeno è associato un aumento nel potenziale di
ossidoriduzione dei portatori di carica; aumenta cioè la reattività del catalizzatore (10).
 Una riduzione nelle dimensioni del catalizzatore provoca una diminuzione del tasso di
ricombinazione tra lacune ed elettroni, effetto che in scala macroscopica ostacola
notevolmente la reattività del catalizzatore (tuttavia, esiste una dimensione critica sotto la
quale i fenomeni di ricombinazione riacquisiscono importanza, poiché la maggior parte
degli elettroni e delle lacune si genera nei pressi della superficie, dove i processi di
ricombinazione sono più rapidi dei processi di trasferimento di carica (11)).
Nonostante la riduzione in scala nanometrica del catalizzatore mostri notevoli vantaggi in termini
di reattività, le dimensioni ridotte generano problemi nell’applicazione pratica per il trattamento
di acque reflue. Infatti, per via della loro grandezza, le nanostrutture possono essere impiegate in
sospensione (forma slurry) oppure essere depositate su un substrato. Tra queste, la forma slurry
presenta maggiori vantaggi: fissare il catalizzatore su un substrato inerte riduce il numero di siti
attivi nel catalizzatore, limita il trasferimento di massa e ostacola la penetrazione dei fotoni
necessari per l’attivazione fotocatalitica (12). Utilizzando il catalizzatore in forma slurry, però, è
necessario aggiungere un’ulteriore fase in coda al processo di trattamento, necessaria per la
separazione del catalizzatore dalle acque trattate. Questo step è cruciale per evitare la perdita di
catalizzatore e la contaminazione dell’acqua da parte del catalizzatore stesso (13). Il recupero del
catalizzatore può essere effettuato attraverso svariate tecniche, tra cui la più importante è la
filtrazione attraverso membrane. Siccome con l’utilizzo delle sole membrane non è possibile
risolvere completamente il problema, si stanno studiando degli immobilizzatori in scala micro o
nanometrica per fissare il catalizzatore, tali da non ostruire i pori delle membrane e da
incrementare il contato superficiale con i contaminanti. Di questi immobilizzatori fanno parte, ad
esempio, le argille mesoporose (Figura 1), alcune fibre, o addirittura le stesse membrane (14-16).
Le argille mesoporose (come bentonite, sepiolite, montmorillonite, zeolite e kaolinite) sono
studiate per via della loro elevata capacità di assorbimento, che permette di incrementare il
contatto superficiale del catalizzatore coi contaminanti. Questi materiali sono inoltre disponibili
commercialmente a basso costo (14).

In uno studio di Ménesi et al., delle


nanoparicelle di TiO2 caricate positivamente
sono state legate alla superficie di alcuni strati di
montmorillonite caricata negativamente
(attraverso eterocoagulazione). Il minerale
argilloso aveva lo scopo di incrementare
l’assorbimento di fenolo da parte delle particelle
e di fungere da supporto per la fotocatalisi. Il
fenolo è stato degradato attraverso irradiazione
con luce UV-VIS, con un tasso di degradazione
proporzionale alla quantità di TiO2. Il sistema
composto dal 25% di TiO2 ha degradato il 70%
del fenolo presente in 60 minuti, mentre il
sistema con l’80% di TiO2 è stato in grado di
degradarne il 95-98% in 40 minuti (17).
Analogamente, in uno studio di
Jothivenkatachalam et al., si è dimostrato come
un supporto di zeolite incrementasse la capacità
di catalizzatori WO3-ZY di degradare la tintura
Figura 1. Nanocristalli di TiO2 depositati su Rhodamine B in diverse condizioni di
materiali argillosi in immagini SEM. (a) risoluzione irradiazione. La percentuale di composto
10 μm; (b) risoluzione 3 μm (14).
degradato è stata dell’86% in 140 minuti con luce UV, mente è stata del 95% in 180 minuti con
luce solare (18).

Tuttavia, l’immobilizzazione diretta di TiO2 su argille naturali comporta alcune problematiche. In


particolare, eventuali impurezze presenti nel reticolo delle argille potrebbero diffondere e
compromettere l’efficienza del TiO2, oltre che reagire con le molecole polari presenti in acqua
portando ad un rigonfiamento dell’argilla stessa (14).

Fibre di vetro, carbonio, titanato e tessili sono oggetto di interesse come materiali di supporto per
l’ossidazione fotocatalitica di vari inquinanti. Usando nanofibre, nanowires o nanorods aumenta
notevolmente la capacità di trasporto di massa. Tuttavia, l’utilizzo di fibre di vetro o tessili può
essere associato a bassa durabilità, dal momento che le particelle su di essi depositate potrebbero
staccarsi (19). Inoltre, alcuni studi hanno mostrato come un substrato di nanotubi riesca ad
aumentare notevolmente l’attività fotocatalitica delle particelle depositate su di essi, anche se
composte da materiali generalmente non funzionali. Ad esempio, nanocristalli di Ni e Fe
(fotocatalizzatori ‘poveri’) sono riusciti a degradare dei fenoli completamente e in maniera
efficiente, grazie al supporto di un substrato gerarchico di nanotubi di carbonio (20).

Metodi di miglioramento
Attualmente, gran parte della ricerca verte sullo sviluppo di metodi per il miglioramento della
sensibilità dei fotocatalizzatori alla luce solare (21). La necessità di usare fonti di luce esterna come
lampade UV per dare il via alla fotocatalisi è il maggior impedimento, inoltre la luce ultravioletta
copre solo il 5% dello spettro solare, a fronte del 43% della luce visibile (22).
I metodi si basano sull’ottimizzazione della struttura del bandgap e della superficie del
fotocatalizzatore.

Dye sensitization
La fotosensibilizzazione si basa sulla modificazione della superficie di un semiconduttore con tinture
organiche in grado di assorbire la luce visibile (23). Il meccanismo sfrutta il trasferimento di un
elettrone dallo stato eccitato della molecola di tintura, alla superficie del semiconduttore; la banda
di conduzione della tintura diventa il mediatore del trasferimento dell’elettrone fino alla banda di
valenza del semicnduttore. Alla fine del trasferimento, la molecola di tintura è trasformata in un
radicale cationico (24) (Figura 1).
Figura 1. Trasferimento di un elettrone dalla molecola di sensibilizzatore al semiconduttore.

Doping
Il doping permette la formazione di un livello di energia tale da restringere il bandgap proprio del
semiconduttore puro. La scelta del dopante è basata su: raggio ionico, configurazione elettronica e
stato ossidativo (25) (Figura 2). Si può effettuare doping con nanoparticelle metalliche, ma il rischio
è che inducano instabilità termica nella struttura cristallina del semiconduttore (22,26). Per risolvere
il problema si è investigato il non-metal doping, soprattutto con atomi di N, C e S (27), che possono
sostituire l’ossigeno dell’ossido metallico grazie all’elevata solubilità (28). Altre strategie efficaci
sono il co-doping con metalli e non metalli, e il self-doping del semiconduttore, come il Ti3+ per
l’ossido di titanio (29,30).

Figura 2. Modifica del bandgap ad opera degli elementi dopanti.

Heterojunction
L’unione di due o più ossidi metallici (Figura 3), o di più fasi di uno stesso ossido, con valori di
bandgap diversi estende il range di lunghezze d’onda assorbibili e facilita la separazione delle
cariche, tenendole separate su bande di conduzione diverse (31,32). Grande importanza riveste
l’eterogiunzione tra due fasi dell’ossido di titanio, in genere composti per l’80% da anatasio e per il
20% di rutilo (Degussa P-25) (33).
È stato studiato anche l’accoppiamento tra semiconduttori fotocatalizzatori ed enzimi in grado di
catalizzare reazioni di ossidoriduzione (34).
Figura 3. Processo di trasferimento degli elettroni nel caso di eterogiunzione tra due semiconduttori.

Quantum dot sensitization


Il meccanismo sfrutta gli effetti del confinamento quantico conferiti dall’aggiunta di particelle
nanometriche ad un fotocatalizzatore bulk: il bandgap dei QDs può essere adattato al
semiconduttore per facilitare il trasferimento degli elettroni eccitati; inoltre l’elevata area
superficiale aumenta la capacità di assorbimento del fotocatalizzatore. In aggiunta, inibiscono la
ricombinazione delle cariche creando un gradiente di potenziale all’interfaccia(35,36).

Plasmon based photocatalysis


La deposizione di nanoparticelle di metalli nobili quali Ag e Au sulla superficie di un catalizzatore
bulk ne modifica le proprietà e promuove sia l’assorbimento di inquinanti che il trasferimento di
cariche al mezzo acquoso (37). La tecnica si basa sull’SPR, ovvero l’oscillazione della banda di
conduzione della nanoparticella metallica, indotta dal campo elettromagnetico della luce
incidente(38). (Figura 4)

Figura 4. Effetto dell’SPR su semiconduttore ossido.

3 - Nuove frontiere: materiali avanzati per la degradazione fotocatalitica di inquinanti


Oltre che verso il miglioramento delle tecnologie già esistenti, la ricerca ha recentemente rivolto la
sua attenzione verso nuove tipologie di materiali particolarmente promettenti per le loro proprietà.
Tra i più rilevanti troviamo:

 Polimeri semiconduttori
 Metal-Organic frameworks (MOFs)

Polimeri semiconduttori
Si tratta di polimeri altamente coniugati, ossia dotati di ampi orbitali π delocalizzati su tutta o buona
parte della catena principale della molecola. Ciò conferisce a questo tipo di molecole e ai materiali
derivati caratteristiche ottiche e elettroniche estremamente particolari (42). Tra queste è
opportuno annoverare la possibilità, estremamente conveniente, di effettuare fine tuning delle
proprietà quantiche del sistema e modulare il band gap in modo da rendere il fotocatalizzatore
attivo anche in luce visibile(43). La creazione e l’utilizzo di fotocatalizzatori in reattori a luce solare
comporterebbe una enorme convenienza in termini di potenza di irraggiamento, abbattimento di
costi, impatto ecologico e dispendio energetico. (CIT). Inoltre, i polimeri semiconduttori sono
relativamente ecologici e resistenti, facili da preparare e molto resistenti alla degradazione da
photobleaching, e la loro coniugazione π offre ottima separazione di carica grazie al backbone della
catena principale(43)

Sintesi e struttura
Le caratteristiche comuni a tutti i polimeri coniugati per fotocatalisi sono:

 Forte e ampio assorbimento nello spettro del visibile


 Alta efficienza di migrazione e forte separazione delle cariche
 Livelli energetici appropriatamente configurati per consentire le semireazioni di ossidazione
e riduzione delle specie inquinanti
I polimeri impiegati per fotocatalisi sono numerosi, differenti per struttura chimica oltre che per le
loro morfologia. Il grande numero di monomeri coniugati di partenza utilizzabili infatti, consente
numerose possibili configurazioni e strutture del polimero finale. Sono anche numerose le tecniche
di sintesi esistenti (es: Suzuki–Miyaura coupling polymerization, Sonogashira coupling
reaction,Yamamoto dehalogenation coupling)(43). Al fine di ottenere buona coniugazione e
delocalizzazione elettronica, vengono spesso utilizzati monomeri di partenza contenenti un alto
numero di tripli legami (come nel poliacetilene) o anelli aromatici Alcune di queste reazioni sono
riportate in figura:
Fig.4 Alcuni modelli schematici di polimerizzazioni tipiche dei polimeri adottati per applicazioni fotocatalitiche

La tipica configurazione di un polimero conduttore prevede la presenza di due bande quasi-continue


di energia separate da un bandgap la cui entità può essere regolata tramite modifiche del
monomero di partenza o aumentando l’indice di polimerizzazione della molecola. Tra tutti i possibili
livelli energetici, i due che definiscono il bandgap sono quelli relativi agli orbitali HOMO e LUMO.

Fig.a)Distribuzione dei livelli energetici al variare dell’indice di polimerizzazione del composto diacetilene
b)Un possibile meccanismo di ossidazione fotocatalitica da parte di polidiacetilene nanocristallino (42)
fig.:Orbitali HOMO (sx) e LUMO (dx) di tre monomeri di partenza per polimeri coniugati

Metodi di calcolo quantomeccanico (44) consentono di visualizzare e progettare con buonissima


precisione i le nuvole elettroniche molecolari dei polimeri oggetto di studio. I polimeri sintetizzati in
forma bulk o non cristallina non hanno in genere dimostrato efficienza comparabile ai
fotocatalizzatori tradizionali. Forme microporose o nanocristalline degli stessi però, sintetizzate
tramite reazioni particolari di polimerizzazione (42), rendono i polimeri coniugati molto performanti,
ad oggi frontiera dei fotocatalizzatori organici (45).

Applicazioni e efficienza
Come già accennato, l’efficienza dei polimeri coniugati migliora drasticamente se questi vengono
sintetizzati in forma microporosa o nanostrutturata (siano essi spindle, nanofibre o nanocristalli). La
morfologia del materiale dunque influenza la resa in termini di riduzione di inquinante complessiva
a parità di lunghezza d’onda e tempo di irraggiamento. Gosh et al. hanno verificato tale
comportamento con il PEDOT o Poly(3,4-ethylenedioxythiophene). Il rate di degradazione in luce
visibile di alcune sue forme (soprattutto spindle e nanofibre) sorpassa di molto quello del TiO2 P25
Degussa. (39)
Fig.: resa di diversi fotocatalizzatori in uv
a sx e luce a dx visibile nella
degradazione di a,b) Fenolo, c,d)Arancio
Metilene. La forma spindle del PEDOT
sorpassa tutti gli altri fotocatalizzatori
elencati

Lo stesso PEDOT è stato utilizzato da Liu et al. in forma di microsfere tramite pirolisi ultrasonica
(tecnica economica e veloce dunque adatta alle implementazioni tecnologiche) ottenendo l’ 83% e
il 68% di degradazione del fenolo dopo 240 di irraggiamento rispettivamente in UV e in visibile,
contro i 78% e 9% per il TiO2 Ag-doped nelle medesime condizioni. (46)
Altro settore di interesse è quello dei polimeri coniugati microporosi, utilizzati in forma di
nanoparticella, che offrono una porosità intrinseca ineguagliabile da parte dei fotocatalizzatori
bulk(47). Li et al. hanno dimostrato, per i PCP delle porfirine, un’utile sinergia tra adsorbimento e
fotocatalisi per la degradazione di inquinanti selettiva (grazie al principio di size exclusion dovuto
alla dimensione limitata dei pori. (48)
Rimangono tuttavia delle criticità, come l’alto costo dei reagenti necessari per la sintesi, la minore
are superficiale BET dei PCP amorfi rispetto a quelli cristallini (meno economici). Nonostante ciò la
ricerca in questo ambito si rivela essere estremamente prolifica.
Metal Organic Frameworks
Di recente sviluppo è il campo dei Metal-Organic Frameworks. Si tratta di materiali costituiti da
una complessa struttura organica molecolare-covalente e punti nodali, di solito ioni o atomi neutri
metallici. L’abilità di utilizzare ligandi e gruppi chimici strutturalmente articolati ha prodotto alcuni
MOF dalle importanti applicazioni tecnologiche (49).
La grande flessibilità nell’impiego dei MOF risiede nel tweaking molto controllato della struttura e
delle proprietà elettroniche. Zn, Cu, Co sono i più usati per la costruzione di siti attivi metallici. Per
questi motivi esistono numerosissime tipologie di MOF, variabili per schema di fotocatalisi,
struttura, siti attivi implicati.
Compositi
Alcuni MOF possono contenere, incapsulati o incastonati, qd o nanoparticelle di fotocatalizzatori
tradizionali. Li et al. hanno recentemente sviluppato un composto denominato Salicylaldehyde-
NH2-MIL-101(Cr), contenente TiO2 incapsulato per la degradazione del blu di metilene. La
salicilaldeide sviluppada in ambiente acquoso durante la fotocatalisi sensibilizza il sistema alla luce
visibile e ne migliora l’efficienza nella degradazione. (50) Altri MOF compositi sono ad esempio
quelli derivati dell’inserimento ordinato di centri metallici su grafene ossido, utilizzato con
successo per la degradazione fotocatalitica di inquinanti in aria, cui si rimanda a Li et al. (51)
A metalli misti
Masoomi et al. hanno confrontato l’efficienza di degradazione di tinture da parte del MOF TMU-5
al Cd, allo Zn, e al Cd-Zn in miscelati in proporzione variabile. I risultati portano a concludere che il
MOF TMU-5 (30% Cd) presenta efficienza di degradazione superiore al TiO2 P25 Degussa anche
senza aggiunta di ossidanti esterni quali perossido di idrogeno per coadiuvare la reazione. A
partire da un MOF a metallo misto Hu e Bin hanno derivato un fosfuro al C-Fe-Co che ha
dimostrato elevati rate di ossidazione della Rodamina B (98% in 3h di irraggiamento) (52).
In generale dunque i MOF presentano (53):

 Grande flessibilità nelle tecniche di sintesi (solvotermica, da fase vapore, da emulsione, per
ultrasonicazione)
 Possibilità di ampie modifiche/implementazioni post sintesi
 Struttura ordinata e cristallina, che consente la progettazione tailored di un MOF fotoattivo
sulla base delle esigenze tecnologiche
 La capacità di raccolta di luce solare superiore ai fotocatalizzatori tradizionali
 La posibilità di accoppiamento e enhancing fotocatalitico con altre strutture tra le quali NP
di TiO2
4 – Inquinanti
Gli inquinanti rimovibili dalle acque reflue attraverso processi di ossidazione fotocatalitica possono
essere suddivisi in due macrocategorie:
 Composti organici refrattari, i quali possono essere trasformati in composti facilmente
biodegradabili oppure mineralizzati in CO2 e H2O (foto-mineralizzazione)
 Microorganismi patogeni, in particolare coliformi, i quali vengono attaccati e degradati
(foto-disinfezione)
Clorofenoli
I clorofenoli (CP) sono composti organici introdotti nell’ambiente a seguito di varie attività umane.
Infatti, per via del loro ampio spettro di proprietà antimicrobiche, i CP sono stati utilizzati come
agenti di preservazione per legno, vernici, fibre vegetali, pelli e disinfettanti. Inoltre, sono stati
largamente impiegati in numerosi processi industriali per la produzione di erbicidi, fungicidi,
pesticidi, insetticidi, farmaci e tinte. I CP possono anche essere generati come prodotti di reazione
durante l’incenerimento di rifiuti e nella declorazione dell’acqua potabile (54).
I CP sono in prevalenza tossici e difficilmente biodegradabili. La loro concentrazione nell’acqua
potabile non dovrebbe superare i 10 μgl-1, inoltre, concentrazioni anche inferiori a 0,1 μgl-1
potrebbero rendere il sapore dell’acqua sgradevole. L’emivita dei CP in acqua può raggiungere i
3.5 mesi in condizioni aerobiche e nei sedimenti organici può raggiungere alcuni anni (55).
I metodi convenzionali per rimuovere i CP dalle acque includono trattamenti biologici, termici e
chimici. I primi richiedono generalmente un lungo tempo di residenza dei microorganismi in
acqua, in quanto affetti dalla tossicità dei CP; i trattamenti termici comportano emissioni non
trascurabili di altri composti pericolosi; gli ultimi richiedono una fase post-trattamento per
rimuovere gli inquinanti dalle sostanze di trattamento, al fine di poterle riutilizzare (56). I metodi
alternativi di rimozione dei CP dalle acque più importanti sono i processi di ossidazione avanzata
(AOPs), efficaci nel degradare i CP in condizioni vicine a quella ambiente (57).
Tinture
L’acqua di scarto proveniente dai laboratori chimici e dalle industrie manufatturiere contiene vari
residui di sostanze coloranti, le quali risultano tossiche per i microorganismi, le forme di vita
acquatiche e gli esseri umani. La purificazione delle acque da queste sostanze chimiche si è rivelata
essere un problema complesso.
Il diossido di titanio si è dimostrato molto efficace nella degradazione delle tinture organiche (e.g.,
Alizarin S, Crocein Orange G, Congo Red, Blu di Metilene) presenti in acque reflue, con
un’efficienza di mineralizzazione pari a circa il 100% (58). Si è anche mostrato che, se drogato con
C, il TiO2 riesce a degradare una tintura organica stabile come Remazol Brillant Blue®,
completando il 70% della reazione in meno di 6.5h (59).
Pesticidi
I pesticidi organici rientrano in una categoria di composti identificati come EDCs. Gli EDCs
(Endocrine Disrupting Compounds) sono un gruppo di composti chimici dannosi che causano
effetti indesiderati nell’attività biochimica del sistema endocrino, portando a gravi conseguenze
per la salute. Queste sostanze chimiche pericolose si possono ritrovare nelle reti di distribuzioni
idrica a seguito di varie attività umane e causano particolare preoccupazione anche sul fronte
ambientale (60). La maggior parte dei pesticidi organici è idrofoba e la loro degradazione in acqua
è pertanto complicata, ma l’ossidazione fotocatalitica utilizzando il TiO2 si è rivelata essere un
approccio efficace.
Il para-diclorodifeniltricloroetano (DDT) è un composto insetticida altamente idrofobico
ampiamente utilizzato nel secolo scorso. Oggi, l’Organizzazione Mondiale della Salute ha permesso
il suo utilizzo solo per contrastare la diffusione della malaria, in quanto è stato dimostrato che il
DDT è dannoso per il fegato e per il sistema nervoso. La rimozione di questo composto e dei suoi
derivati dalle soluzioni acquose attraverso fotocatalisi ossidativa è stata approfonditamente
studiata negli ultimi tempi, sia mediante l’uso di radiazione UV che di luce visibile (61). Utilizzando
TiO2 drogato N, è stato mostrato che è possibile degradare al 100% il DDT, con un tasso di
degradazione di sei volte maggiore con l’utilizzo di luce visibile piuttosto che di radiazione UV (62).
Inoltre, si è mostrato che i pesticidi carbammati come Oxamyl e Methomyl sono efficacemente
adsorbiti sulla superficie del TiO2 e mineralizzati in CO2 e ioni SO42- , NH4+ e NO3- (63).
Microorganismi
È stato dimostrato che batteri come Staphylococcus aureus, Bacillus Subtilis, Escherichia coli,
Salmonella typhimurium e Micrococcus lylae possono essere distrutti attraverso ossidazione
fotocatalitica utilizzando TiO2 drogato con diversi elementi (64). In particolare, il meccanismo di
eliminazione dei batteri consiste nel danneggiamento della membrana cellulare, con conseguente
fuoriuscita dei componenti interni del batterio dalle zone attaccate. In seguito, questi componenti
vengono ossidati attraverso reazioni fotocatalitiche (65). Il diossido di titanio dopato con N e S è
particolarmente efficace per l’eliminazione di Escherichia coli (65).
Etacheri et al. (66) hanno studiato l’ossidazione fotocatalitica del batterio Streptococcus Aureus con
due diversi catalizzatori: eterogiunzioni anatasio-brookite drogate con C e TiO2 Evonik Degussa P25.
Dopo cinque ore di esposizione alla luce visibile, un campione di laboratorio contenente le
eterogiunzioni drogate presentava 3 colonie batteriche residue a fronte delle 116 colonie del
campione contenente Evonik Degussa (Figura 2).

Figura 2. Colonie batteriche in presenza


di nanoparticelle di TiO2. (A) Evonik-
Degussa P25 in assenza di luce visibile. (B)
eterogiunzioni anatasio-brookite drogate
con C in assenza di luce visibile. (C) Evonik-
Degussa P25 in presenza di luce visibile.
(D) eterogiunzioni anatasio-brookite
drogate con C in presenza di luce visibile
(66).
Conclusioni

Il presente scritto ha fornito una panoramica sui processi e i substrati per purificazione di acqua
tramite ossidazione fotocatalitica. Il problema della rimozione di sostanze nocive tramite queste
tecniche, tuttavia, è ancora complesso e presenta notevoli sfide sotto diversi punti di vista. Una
delle criticità più note nell’utilizzo di fotocatalizzatori tradizionali quali il TiO 2 è la scarsa efficienza
causata dalla facilità di ricombinazione elettrone-lacuna (e-/h+), oltre che la necessità di operare in
radiazione ultravioletta, a causa del band gap relativamente ampio di questo semiconduttore (39).
Si è tentato in diversi modi di migliorare l’efficienza dei fotocatalizzatori, ad esempio tramite
accoppiamenti, eterogiunzioni, doping, nanotubi di carbonio, substrati mesoporosi o utilizzando
particolari morfologie (soprattutto alla nanoscala) del fotocatalizzatore stesso (41). La ricerca ha
inoltre sviluppato materiali sempre più performanti e avanzati per perseguire tale scopo, come
polimeri semiconduttori e MOF. I prossimi passi consistono nell’effettiva applicazione di tali
tecnologie in sistemi di purificazione a livello industriale, implementandole nella comune pratica
ambientale. Questo implica la necessità di trovare strategie di fabbricazione di sistemi cost-
efficient, a basso impatto ambientale ed energetico e rigenerabili. Il raggiungimento di tale
obiettivo costituirebbe un importante miglioramento delle condizioni ambientali, economiche e
sociali.

A partire dalla scoperta delle proprietà fotocatalitiche del TiO2 nel 1972 da parte di Fujisima e
Honda (40)

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