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Diritto universale

Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19/11/2001)


e diritto particolare:
un rapporto di complementarità

Sono orgoglioso, in quanto Decano della Facoltà di diritto ca-


nonico di questa Università, di partecipare alla presentazione del
Codice di diritto canonico commentato, sia per il suo valore intrinseco sia
per il fatto che tutti i suoi autori sono ex alunni della nostra
Facoltà, e di essi io stesso sono stato professore. Si riconoscono la
cura e la precisione con cui il volume è stato redatto e il commento
equilibrato e attento dei canoni.
Il tema del mio intervento deriva da un aspetto presente nel
volume: l’integrazione di volta in volta delle delibere della Confe-
renza episcopale italiana e, alla fine, di quattro suoi documenti di
particolare rilievo normativo per la Chiesa in Italia1.
Anche se il diritto particolare integrato nel volume è quello de-
rivante dalla CEI, in una considerazione di carattere generale dob-
biamo tener presente che quando si parla di diritto particolare si fa
riferimento non solo ai decreti generali emanati da una Conferenza
episcopale, ma anche alle leggi dei Concili particolari, provinciali e
plenari, e dei singoli vescovi, sia in occasione dei Sinodi diocesani
che fuori di essi, nonché alle leggi particolari eventualmente date
dalla suprema autorità per una Chiesa particolare o per un gruppo
di Chiese particolari2.

1
Essi sono il Decreto generale sul matrimonio canonico; il Decreto generale circa l’ammissione in se-
minario di candidati provenienti da altri seminari o famiglie religiose; le Disposizioni per la tutela del
diritto alla buona fama e alla riservatezza; le Norme circa il regime amministrativo dei Tribunali ec-
clesiastici regionali italiani e l’attività di patrocinio svolta presso di essi.
2
Si deve anche tener presente che in senso proprio si parla di diritto particolare in relazione a
quell’insieme dileggi date a una portio populi Dei, individuata secondo il criterio della terri-
12 Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19 novembre 2001)

Il rapporto di complementarità dialettica tra diritto universale


e particolare emerge dalla considerazione che ogni legge ha neces-
sariamente i caratteri dell’astrattezza e della generalità. Questo tan-
to più risalta quanto più la legge è universale. A parte il caso in cui
l’autorità suprema desse una legge per una Chiesa particolare o un
gruppo di Chiese particolari, normalmente essa promulga leggi per
tutta la Chiesa. La Chiesa, però, non è una società culturalmente
omogenea: essa comprende popoli dalle culture più differenziate,
ma proprio perché cattolica non può che incarnare la sua azione
evangelizzatrice nel rispetto e nella valorizzazione di tale differen-
ziazione culturale. La Chiesa, se vogliamo usare una terminologia
attuale, è per sua natura una realtà globalizzante, ma dove la diffe-
renziazione e la specificità dei popoli, anzi dei singoli, non possono
che essere vissute come un valore per tutti, in quanto essenziale al-
la sua stessa vita. Non è questo il luogo per affrontare la complessa
realtà dell’inculturazione dell’annuncio del vangelo e dell’espres-
sione della vita cristiana sia a livello liturgico che comportamentale,
ma è chiaro che esso è stato il compito costante nella storia bimil-
lenaria della Chiesa.
Il diritto nella Chiesa non è una realtà estrinseca all’annuncio
del vangelo e all’espressione della vita cristiana, quindi la legge uni-
versale si deve necessariamente incarnare nella particolarità. Ancor
più che ogni altra legge, la legge canonica in quanto tale ha il carat-
tere della frammentarietà, in quanto non può prevedere tutte le si-
tuazioni particolari di ogni fedele o gruppo di fedeli, che in ultimo
si definiscono in relazione al fine supremo, la salvezza3. Nella legge
universale della Chiesa si accentua questo.carattere di frammenta-
rietà e quindi il diritto particolare entra necessariamente in un rap-
porto di complementarità dialettica con il diritto universale4.

torialità. Si distingue così dal diritto speciale o proprio, come insieme dileggi che riguardano un
gruppo di fedeli individuato a partire da altri criteri, come nel caso degli Ordinariati militari
o degli Istituti di vita consacrata o di strutture simili. Parlare di diritto particolare in questi
casi è farlo impropriamente o comunque in modo analogico.
3
Sappiamo che a livello di singoli fedeli o di piccoli gruppi suppliscono a questa frammen-
tarietà vari istituti propri dell’ordinamento ecclesiale, quali l’epikeia, l’aequitas, la dispensa, le
cause scusanti, le cause esimenti, la dissimulazione, la tolleranza.
4
Cf P. AMENTA, Partecipazione alla potestà legislativa del Vescovo. Indagine teologico-giuridica su
Chiesa particolare e sinodo diocesano, Roma 1996, pp. 118-123.
L’intervento di padre Gianfranco Ghirlanda 13

Ciò che abbiamo affermato è antropologicamante fondato. Il fi-

Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19/11/2001)


ne di ogni legge nella Chiesa e quindi di tutto il suo diritto, sia uni-
versale sia particolare sia speciale, è la salus animarum (cf can. 1752).
Tale salvezza, però, è da ricercarsi nella concretezza dell’attuazione
storica sia dei singoli sia dei gruppi.
La salvezza è un dono che viene da Dio. La lettera Communionis
notio, data dalla Congregazione per la dottrina della fede il 28 maggio
19925, al n. 10 accentua il fatto che «ogni fedele, mediante la fede e il
battesimo, è inserito nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica»,
per cui appartiene alla Chiesa universale «in modo immediato»; ma
afferma pure che «l’ingresso e la vita nella Chiesa universale si
realizzano necessariamente in una particolare Chiesa». Questo per-
ché la salvezza raggiunge l’uomo nella sua dimensione storica, cioè
nelle coordinate del tempo e dello spazio in cui egli storicamente si
trova, che determinano un contesto culturale in cui l’annuncio del
vangelo deve essere reso operante, anche attraverso una disciplina
canonica. La legge particolare è necessariamente più vicina
all’esperienza storica del gruppo per il quale è emanata e quindi può
essere un aiuto più efficace al perseguimento del fine ultimo. Queste
affermazioni trovano corrispondenza a livello ecclesiologico, dato lo
stretto legame esistente tra antropologia ed ecclesiologia.
A quella specie di tensione che si ha tra universalità e particola-
rità della salvezza, che è correlativa all’altra tra metastoricità e stori-
cità dell’atto della salvezza, corrisponde la tensione tra Chiesa uni-
versale e Chiesa particolare, determinata dalla «mutua interiorità»
tra queste due dimensioni dell’unica Chiesa di Cristo, rilevata al n.
9 di Communionis notio. Infatti, come afferma al n. 7 la stessa Lettera:
«La Chiesa di Cristo, che nel simbolo professiamo una, santa, cat-
tolica e apostolica, è la Chiesa universale, vale a dire l’universale co-
munità dei discepoli del Signore, che si fa presente e operante nella
particolarità e diversità di persone, gruppi, tempi e luoghi». Tuttavia,
dobbiamo dire che la Chiesa di Cristo, come la salvezza, è in se stes-
sa metastorica, nel senso che – afferma Communionis notio al n. 9 –
essa «è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni
singola Chiesa particolare», in quanto, «ontologicamente, la Chie-

5
AAS 85 (1993) 838-850.
14 Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19 novembre 2001)

sa-mistero, la Chiesa una e unica, secondo i Padri precede la crea-


zione, e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in es-
se», ma «temporalmente la Chiesa si manifesta nel giorno di Pente-
coste nella comunità dei centoventi riuniti attorno a Maria e ai
dodici Apostoli, rappresentanti dell’unica Chiesa e fondatori delle
Chiese locali», per cui da tale Chiesa, «originata e manifestatasi uni-
versale, hanno preso origine le diverse Chiese locali, come realizza-
zioni particolari dell’una e unica Chiesa di Cristo». È in questo mo-
do che la salvezza, in se stessa universale, attraverso l’azione della
Chiesa si particolarizza.
Questa realtà della Chiesa fa sì che vi sia una «mutua interio-
rità» anche tra i due poli che per diritto divino esercitano la potestà
legislativa nella Chiesa, la suprema autorità a livello universale e i
vescovi a livello particolare. La suprema autorità universale, legife-
rando con potestà ordinaria, piena e immediata su tutta la Chiesa,
quindi su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti, espri-
me e attua l’unità della Chiesa. Tale funzione è svolta sia dal Roma-
no Pontefice in virtù del suo primato personale (cf cann. 331, 333
§ 1), sia dal Collegio dei vescovi (cf can. 336), il quale, «in quanto
composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del Popolo di
Dio, in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità
del gregge di Cristo» (Lumen gentium [= LG], n. 22b).
I vescovi esprimono la varietà del popolo di Dio nel Collegio a
livello universale, ma innanzitutto attuano tale varietà esercitando
per diritto divino la potestà legislativa ordinaria e propria nella Chie-
sa particolare loro affidata, nei vari modi previsti dal diritto (cf cann.
391 § 1, 466). Tuttavia, il singolo vescovo; anche legiferando nella
sua Chiesa particolare, lo fa sempre come membro del Collegio e in
comunione gerarchica col capo del Collegio, e quindi col Collegio
stesso; di conseguenza sempre in armonia con il diritto universale6.
Il rapporto di complementarità dialettica tra diritto universale e
diritto particolare si basa su quella giusta autonomia che dev’essere
riconosciuta alla Chiesa particolare. Proprio per il realizzarsi pieno

6
Ciò è in stretta relazione con la dimensione universale che è riscontrabile in tutti gli ele-
menti costitutivi la Chiesa particolare: cf G. GHIRLANDA, La dimensione universale della Chiesa
particolare, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 9 (1996) 6-22.
L’intervento di padre Gianfranco Ghirlanda 15

della Chiesa di Cristo e della sua cattolicità nella Chiesa particolare,

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e per il fatto che la Chiesa universale è la comunione fra tutte le
Chiese particolari, dobbiamo dire che ogni Chiesa particolare gode
per diritto divino di una sua giusta autonomia, cioè ha in sé tutti i
mezzi naturali e soprannaturali per adempiere la missione che Dio
ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo (cf can. 204 § 1). La
Chiesa particolare legittimamente eretta dalla suprema autorità gode
per il diritto stesso di personalità giuridica (cf can. 373); inoltre, per il
fatto che il vescovo, o altro pastore a lui equiparato, ha in essa la
potestà di magistero ordinario (cf can. 753) e quella di governo
(legislativa, amministrativa e giudiziale) ordinaria, propria e imme-
diata, costituisce un vero ordinamento giuridico, ma non primario e
originario, in quanto non è indipendente e pienamente sovrano,
perché destinatario anche delle norme emanate dall’autorità supre-
ma e sottoposto alle riserve a quest’ultima o ad altra autorità eccle-
siastica, stabilite dal diritto o dal Romano Pontefice (cf can. 381 § 1,
Christus Dominus [= CD], n. 8a)7. Allora, l’autonomia, cioè la capacità
di governarsi, è correlata all’immanenza della Chiesa universale nella
Chiesa particolare, che rende presente la suprema autorità, cioè il
Romano Pontefice e il Collegio dei vescovi con la loro potestà
suprema, piena, ordinaria e immediata su tutti i fedeli e i pastori
(cf cann. 331, 333 § 1, 336, LG 22b). Qui si potrebbe evocare il
principio di sussidiarietà, ma ritengo che sia ecclesiologicamente
più adatto e denso di significato applicare questo principio della
giusta autonomia, che si esprime appunto nella coordinazione del
diritto particolare e del diritto universale, che non il principio di
sussidiarietà il quale, mutuato dalla filosofia politica, è estraneo al
mistero della Chiesa e potrebbe indurre in equivoci8.

7
Il quarto dei principi di revisione del Codice prevedeva che fosse rivisto il sistema della
concessione delle facoltà ai vescovi (cf «Communicationes» 1 [1969] 80). Tale sistema,
infatti, nel CIC risulta abolito, in quanto viene riconosciuto che per diritto divino il vescovo
gode nella sua diocesi di tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per
l’esercizio del suo ufficio pastorale. Le riserve sono un limite che riguarda l’esercizio di tale
potestà e non la potestà come tale (cf G.P. MONTINI, Alcune riflessioni sull’omnis potestas del
vescovo diocesano, in «Quaderni di diritto ecclesiale» 9 [1996] 29).
8
Cf J.A. KOMONCHAK, La sussidiarietà nella chiesa: stato della questione, in Natura e futuro delle
Conferenze episcopali. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca, 3-8 gennaio 1988, a cura di
H. Legrand - J. Manzanares - A. GarcIa y GarcIa, Bologna 1988, pp. 321-369.
16 Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19 novembre 2001)

Infatti, da una parte il can. 381 § 1 afferma: «Compete al vesco-


vo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, pro-
pria e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pasto-
rale, fatta eccezione per quelle cause che dal diritto o da un decreto
del Sommo Pontefice sono riservate alla suprema oppure ad altra
autorità ecclesiastica»9; dall’altra il can. 135 § 2 stabilisce che «da
parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una
legge contraria al diritto superiore»10. Questo rapporto fra la totalità
di potestà legislativa che il vescovo ha sulla sua Chiesa e le limitazio-
ni dell’esercizio di essa è determinato dal principio di comunione
che domina la vita della Chiesa. Infatti, a parte le materie riservate al
Romano Pontefice per diritto divino, in virtù del suo ufficio prima-
ziale, quelle che il Romano Pontefice riserva a se stesso o ad altra au-
torità variano lungo il tempo, in quanto sono determinate da ciò che
è richiesto per il bene della Chiesa11. L’invalidità della legge partico-
lare contraria a quella universale, stabilita dal can. 135 § 1, tutela la
comunione fra le Chiese, in quanto una legge universale viene data
o perché esprime immediatamente il diritto divino, oppure perché
in quel momento la si ritiene necessaria per il bene soprannaturale
di tutti i fedeli per i valori che propone e che vuole tutelare, derivanti
più o meno immediatamente dal diritto divino. Se in questo secon-
do caso non fosse prevista l’invalidità della legge particolare contra-
ria, si avrebbe un tale frazionamento nella vita della Chiesa da met-
tere in pericolo i valori che dal supremo legislatore sono ritenuti
fondamentali e quindi universali. Inoltre è da tener presente che, se
la legge universale è emanata dal Collegio dei vescovi, il singolo ve-
9
Il corsivo è nostro.
10
G.P. Montini così spiega la formulazione del can. 381 § 1 e perché la potestà del vescovo
non è detta «piena»: «In realtà non può trattarsi della medesima pienezza [di quella del Ro-
mano Pontefice o del Collegio episcopale], neppure in senso strettamente analogico (di pro-
porzionalità). Infatti la pienezza è veramente tale in congiunzione con l’attributo della supe-
riorità (suprema); non può più esserlo invece in congiunzione con l’attributo dell’inferiorità.
In quest’ultimo caso infatti è sottratto alla pienezza tutto quanto la potestà piena e suprema
ritiene di poter esercitare (sia in senso esclusivo sia in senso cumulativo sia in senso alterna-
tivo) » (G.P. MONTINI, Alcune rflessioni sull’omnis potestas..., cit., p. 25). Ciò, però, non impe-
disce all’autore di parlare di «pienezza» della potestà del vescovo, in relazione alla sua dioce-
si, limitata però nel suo esercizio, ma non in se stessa (ibid., pp. 32-34).
11
Cf J. MANZANARES, Sulla «reservatio papalis» e la «recognitio». Considerazioni e proposte, in Chiese
locali e cattolicità. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca, 2-7 aprile 7991, a cura di H.
Legrand - J. Manzanares - A. GarcIa y GarcIa, Bologna 1994, p. 257.
L’intervento di padre Gianfranco Ghirlanda 17

scovo ha reso in esso presente l’istanza particolare che rappresenta

Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19/11/2001)


e ha partecipato in modo corresponsabile al formarsi della volontà
comune che si è espressa nella legge; se la legge è emanata dal Ro-
mano Pontefice, essa segue, come nel caso del Codice di diritto ca-
nonico, una larga partecipazione di tutto l’episcopato12. Una legge
particolare contraria sarebbe incongruente con la stessa logica di
formazione della legge universale13.
Per quello che riguarda le leggi particolari emanate dai Concili
particolari o dalle Conferenze episcopali, la comunione è tutelata
dalla recognitio. Infatti, la potestà che esercitano gli uni e le altre è
correlata alla totalità di potestà che il vescovo diocesano gode per di-
ritto divino, per cui né i Concili particolari né le Conferenze episco-
pali, che sono strutture di governo di diritto umano, possono sosti-
tuirsi alla capitalità del vescovo diocesano nella Chiesa affidatagli14. È
il diritto universale positivo a riconoscere una potestà legislativa ge-
nerale ai Concili particolari, mentre stabilisce in casi specifici delle
riserve in favore delle Conferenze episcopali. Per i primi la recognitio
è richiesta solo per la liceità (cf can. 446), mentre per le seconde è ri-
chiesta per la validità (cf can. 455 § 2), data la diversa natura giuridi-
ca e base teologica degli uni e delle altre15.

12
Cf GIOVANNI PAOLO II, costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges, in AAS 75 (1983) II,
VIII-X.
13
Ciò non esclude la possibilità dell’introdursi di una consuetudine contra legein, a norma
dei cann. 24-26.
14
La maggioranza dei due terzi richiesta per i decreti generali e l’unanimità o la maggioranza
dei due terzi per le dichiarazioni dottrinali, come indice dell’alto consensus raggiunto, e la re-
cognitio della Sede Apostolica, che esprime la comunione gerarchica col Romano Pontefice,
sono una garanzia per quei vescovi che nell’assemblea avessero votato contro la decisione
presa e quindi una tutela della minoranza (cf can. 455 § 2; GIOVANNI PAOLO II, motu proprio
Apostolos suos, 1° settembre 1998, n. 22, art. 1).
15
Riguardo alle Conferenze episcopali, il can. 455 § 2, affermando che i decreti generali di
esse «vim obligandi non obtinent, nisi ab Apostolica Sede recognita», espressamente stabi-
lisce l’invalidità di tali decreti se vengono promulgati senza essere occorsa la recognitio della
Santa Sede, mentre riguardo ai decreti dei Concili particolari, in base al can. 10 si deve affer-
mare che il can. 446 non prevede l’invalidità se manca la recognitio della Santa Sede, in quan-
to stabilisce «decreta a concilio edicta ne promulgentur, nisi postquam ab Apostolica Sede
recognita». Né, come opina J. Manzanares (cf Sulla «reservatio papalis» e la «recognitio»..., cit., p.
269), può indurre a dire che anche la recognitio dei Concili particolari è richiesta per la validità
il cambiamento di formulazione del can. 446 rispetto al can. 291 CIC 1917, che così suonava:
«nec eadem [decretai antea promulgentur, quam a Sacra Congregatione Concilii expensa et
recognita fuerint». Infatti, secondo il can. 39, il nisi indica l’invalidità solo quando per mezzo
di esso è espressa una condizione apposta a un atto amministrativo, non a un atto legislativo.
18 Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19 novembre 2001)

Nel regime giuridico attuale, il diritto particolare è comple-


mentare rispetto al diritto universale piuttosto nel senso che in ge-
nere esso ha la funzione di determinare o specificare ciò che dal di-
ritto universale è demandato all’autorità particolare. Invece, nei
secoli MV, prima dell’affermazione del diritto universale, i Concili
particolari erano la fonte primaria e quasi esclusiva del diritto nella
Chiesa, per cui il diritto da essi prodotto man mano è stato accetta-
to, almeno in parte, a livello universale e quindi è diventato diritto
di tutta la Chiesa. Anche quando successivamente si cominciarono
ad avere Concili generali e Concili ecumenici, il principio che rego-
lava i rapporti tra le Chiese era la communio, che si esprimeva attra-
verso la comunicazione delle decisioni dei Concili alle varie Chiese,
che man mano le facevano proprie16. Certamente questo era possi-
bile anche per la maggiore omogeneità della Chiesa di allora, ri-

Riguardo al can. 446, allora, si applicano solo i cann. 10 e 124 § 1. D’altra parte, la diversa
disciplina riguardo alle Conferenze episcopali e ai Concili particolari è giustificata dalla
diversa natura giuridica dei due istituti e dal diverso modo di esercizio della potestà: le prime
sono organismi di governo ordinario permanente, l’efficacia dei cui atti deriva dal fatto che
sono costituiti dalla stessa Santa Sede con competenza legislativa limitata, determinata dal
diritto universale o data di volta in volta dalla Santa Sede stessa (cf motu proprio Apostolos suos,
n. 13); mentre i secondi sono organi di governo straordinario con competenza generale non
istituiti dalla Santa Sede, ma espressione diretta non solo della communio episcoporum, come
nel caso delle Conferenze episcopali, ma anche della communio Ecclesiarum a livello locale. Si
può arguire che la potestà delle prime sia delegata a iure nelle materie stabilite dal diritto
universale o delegata ah homine nel caso di mandato esplicito della Santa Sede; mentre si ri-
tiene con certezza che quella dei secondi è potestà ordinaria propria (cf G. GHIRLANDA, Il
M.p. Apostolos suos sulle Conferenze dei vescovi, in «Periodica de re canonica» 88 [19991 636-
640). Sulla differenza tra Concili particolari e Conferenze episcopali, cf ID., «Munus regendi et
munus docendi» dei concili particolari e delle conferenze dei vescovi, in La Synodalité - La participation
au gouvernement dans l’Eglise. Actes du VIIe Congrès international de Droit canonique, Paris, Unesco,
21-28 septembre 1990, in «L’Année Canonique», 1992 (hors de série) I, 349-388.
16
Così si vanno progressivamente formando collezioni regionali delle norme emanate dai
Concili particolari. «Tuttavia, le norme in esse raccolte e tramandate in canoni e norme di-
sciplinari dimostrano una cattolicità, cioè una sensibilità alla genuinità sostanziale della tra-
dizione rafforzata dai rapporti tangibili tra le singole regioni. Le varie riunioni di vescovi –
ecumeniche, regionali, particolari – comunicano le loro deliberazioni e norme, anche se in
parte, ad altre regioni. Perciò si verifica il fatto che il diritto raccolto nelle collezioni partico-
lari, in certe situazioni, si poneva in realtà come un diritto comune della Chiesa cattolica.
Nelle raccolte di questo periodo, si nota un comune sostrato di norme prese dai concili,
specialmente ecumenici, altre norme tratte dai sinodi considerati importanti e dalle decre-
tali, norme che almeno dal punto di vista pratico sono considerate antiche norme univer-
sali. In altre parole, i canoni dei concili ecumenici e di alcuni concili particolari dell’Oriente
e dell’Africa sono recepiti in Italia, in Spagna, in Gallia e aggiunti alle proprie norme parti-
colari» (B.E. FERME, Introduzione alla storia delle fonti del Diritto Canonico (I). Il Diritto antico fino
al Decretum di Graziano, Roma 1998, pp. 58-59).
L’intervento di padre Gianfranco Ghirlanda 19

stretta al mondo greco-romano. Oggi la situazione è molto diffe-

Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19/11/2001)


rente. Appena una traccia di questo è quanto suggerisce il can. 458,
2°, cioè che la Segreteria generale di una Conferenza episcopale de-
ve comunicare alle altre Conferenze confinanti gli atti e i documen-
ti che essa nell’Assemblea plenaria o il Consiglio permanente han-
no stabilito di trasmettere. Ciò che si vuole stimolare è la ricerca di
un’omogeneità locale la più ampia possibile.
Comunque dobbiamo dire che il CIC 1983 molto più frequen-
temente che il CIC 1917 rimanda al diritto particolare, riconoscen-
do una competenza legislativa generale al vescovo diocesano e ai
Concili particolari, solo entro i limiti dei cann. 135 § 2 e 381 § 1,
stabilendo invece in modo tassativo i casi di competenza delle Con-
ferenze episcopali e le modalità di esercizio della loro potestà legi-
slativa (cf can. 455 § 1). Se si vedono le materie di competenza delle
Conferenze episcopali, si deve dire che in genere non sono di gran-
de rilevanza per la vita della Chiesa, mentre lo sono di più, almeno
in Italia, per le relazioni con lo Stato17. Per questo gli interventi legi-
slativi di una Conferenza episcopale sono frammentari, per cui non
si può dire che formino un corpo legislativo omogeneo per le Chie-
se dai cui vescovi è composta. La frammentarietà dei suoi interventi
legislativi è anche dovuta al fatto che, trattandosi di un organismo
permanente, se le fosse data una competenza legislativa generale,
verrebbe fortemente limitata la potestà che per diritto divino hanno
i vescovi nella propria Chiesa18.
Molto più omogenea ed espressiva delle esigenze della vita del-
la comunità cristiana può essere senza dubbio la legislazione dio-
cesana, e quindi sono da favorire i Sinodi diocesani come parteci-
pazione di tutte le componenti di una particolare portio populi Dei al
processo legislativo19. A questo livello potrebbe essere maggior-
mente valorizzato anche il ruolo della consuetudine, attraverso cui

17
Cf Accordo tra la S. Sede e la Repubblica Italiana e Protocollo addizionale, 18 febbraio 1984; Proto-
collo e Allegato, 15 novembre 1984; Decreto del Card. Agostino Casaroli, 3 giugno 1985 (in
AAS 72 [1985] 521-578).
18
Cf G. FELICIANI, Risposta alla relazione di J. Manzanares, in Chiese locali e cattolicità..., cit., pp.
279-282.
19
G. GHIRLANDA, Aspetti teologici e canonici del Sinodo diocesano, in «La Civiltà Cattolica» 149
(1998) 111, 480-493.
20 Presentazione del Codice di diritto canonico commentato (Roma, 19 novembre 2001)

il popolo di Dio manifesta i propri bisogni in una relazione dialet-


tica con il legislatore20.
Simili caratteristiche, per un gruppo di Chiese particolari, ha la
legislazione di Concili particolari, specialmente provinciali, per
l’omogeneità culturale e pastorale di cui sono espressione. Infatti, i
Concili particolari, non essendo un organismo permanente come le
Conferenze episcopali, hanno una competenza legislativa generale e,
data la loro composizione, a differenza delle Conferenze episcopali,
tutte le categorie del popolo di Dio partecipano alla formazione della
volontà legislativa dei vescovi. Sarebbe auspicabile una maggiore at-
tenzione al desiderio espresso dal Vaticano II che la celebrazione dei
Concili particolari riprenda nuovo vigore (cf CD 36b). Insieme alla
promozione delle Assemblee speciali del Sinodo dei vescovi a livello
continentale, al di là dell’attuale previsione del Codice, potrebbero
trovare posto anche Concili continentali, con la produzione di una
legislazione comune per aree culturali più vaste che presentano si-
mili problemi pastorali a cui provvedere21. Sulla linea dello sviluppo
di una legislazione particolare riguardante territori più vasti di una
Conferenza episcopale si possono porre quegli autori che auspicano
la creazione di nuovi patriarcati all’interno della Chiesa latina22.
Per concludere, il Codice di diritto canonico commentato che viene
presentato completa, con molta diligenza, la legislazione universale
del CIC con la legislazione particolare della CEI. Purtroppo in Italia,
dopo la promulgazione del CIC, non si è celebrato un Concilio ple-
nario a livello nazionale, mentre si sono celebrati soltanto due Con-
cili particolari, quello provinciale delle Marche nel 1989 e quello
plenario della Sardegna nel 1992-2001. Inoltre è evidente che in un
Codice di diritto canonico commentato non poteva trovar posto la legisla-
zione particolare diocesana, avutasi in occasione della celebrazione
di numerosi Sinodi diocesani, dopo la promulgazione del CIC.

GIANFRANCO GHIRLANDA

20
Cf P. AMENTA, Partecipazione alla potestà legislativa del Vescovo, cit., pp. 126-127.
21
Il can. 439 § 1 prevede come Concilio plenario quello comprendente tutte le Chiese par-
ticolari della medesima Conferenza episcopale. Attualmente non ci sono Conferenze epi-
scopali continentali che comprendano più nazioni.
22
Cf J. MANZANARES, Sulla «reservatio papalis» e la «recognitio»..., cit., p. 272.

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