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Confini antropologici: l’errore tecno-logico del

potenziamento umano.

Gabriele Barbieri, 1048034


Paper di Bioetica
Indice

Cap.1 Lo human enhancement

1.1 Origine e definizione del potenziamento umano.

1.2 Tipi di potenziamento e classificazioni

Cap.2 Il dibattito sul potenziamento umano e la perdita antropologica

2.1 Argomenti a favore del potenziamento umano: individualismo e utilitarismo alla base del
transumanesimo

2.2 Argomenti contrari: diritti violati, minacce all’ambiente e la perdita antropologica dietro il potenziamento

2.3 Il personalismo ontologico per comprendere l’errore del sogno biotech e l’autoreferenzialità del
progresso tecno scientifico insito nel bisogno/dovere di potenziarsi.

Cap.3 Conoscersi per migliorare

3.1 L’etica della virtù: il potenziamento umano come achievement

3.2 Considerazioni conclusive

1. Lo Human Enhancement

Con l’espressione human enhancement, in italiano potenziamento umano, ci si riferisce alle


possibilità, aumentate incredibilmente in seguito allo sviluppo convergente delle NBIC (nano-bio-
info technologies e cognitive sciences) di intervenire sul corpo e la mente umana non con intenti
terapeutici, ma bensì al fine di aumentare le capacità e le funzionalità di un individuo, in un’ottica
di perfezionamento della salute e della vita.
Esistono vari tipi di potenziamento umano: dal doping sportivo e la chirurgia estetica per
rimanere nell’ambito di tecnologie esistenti, all’assunzione di farmaci o alle migliorie dei geni propri
e dei futuri figli (tramite modifiche dei gameti sulla linea germinale) per il potenziamento cognitivo
e genetico nell’ambito delle tecnologie emergenti , fino alla prefigurazione e realizzazione di uomini
interfacciati con computer e biologicamente immortali (tecnologie convergenti). Come è facilmente
notabile, oltre che intuibile, il grado di attuabilità tecnologica viaggia in parallelo con quello di
radicalità, progettuale prima ancora che sperimentale, dell’intervento. Si tratta, pertanto, di un
tema che solleva importanti questioni bioetiche, quali la definizione normativa di persona umana ai
fini di tutelarne la dignità e l’integrità - anche e soprattutto con un occhio di riguardo alle generazioni
future senza voce - , il dibattito sull’inizio della vita in riferimento alla sperimentazione embrionale
e allo scartamento di quegli embrioni o addirittura feti con una percentuale alta di manifestare
malattie, il ‘duello’ natura vs cultura, la demarcazione da accertare o ribadire tra salute e malattia,
normalità o patologia, lo scopo da attribuire ad una medicina sempre più assoggettata alle logiche
capitaliste di soddisfazione della clientela, l’impatto sociologico di una probabile popolazione divisa
in Genrich e Genpoor, quello ambientale e quello psico-antropologico derivante dal - per ora utopia
– prolungamento indefinito della vita e conseguentemente la decisione politica di finanziare tali
linee di ricerca.
L’obiettivo del presente lavoro è duplice: da un lato mostrare, tramite un’analisi delle origini,
dei contenuti e degli orientamenti favorevoli e contrari, il limite filosofico del transumanesimo che
promuove il potenziamento umano - limite fondato, essenzialmente, dalla trasformazione della
conoscenza tecnoscientifica in una “metafisica immanentista” (Pessina 2006:58), che pretende di
essere l’unico orizzonte possibile di senso per un uomo sempre meno se stesso e sempre più
postumano - e dall’altro riconferire nobiltà all’espressione potenziamento umano, privandola del
suo significato tecnologico e valorizzando, invece, - e così facendo salvandolo - quello antropologico,
manifestabile in una tensione positiva verso il fulfillment.
Per dimostrarli, si procederà, dapprima, ad un confronto dialettico tra la prospettiva
utilitarista e individualista in cui sono calate le ragioni del potenziamento umano e quella
“deontologica” (Lecaldano 2003) del personalismo ontologico, l’unica in grado, secondo il parere di
chi scrive, di salvaguardare la dignità umana, i suoi diritti fondamentali e di farsi carico della
responsabilità morale di fermare cambiamenti che più che migliorare potrebbero impoverire
l’uomo; in seguito ci si appellerà all’etica della virtù evidenziando quelle scelte progettuali e
strumentali che permettono la piena e autentica realizzazione dei talenti e della personalità umana.

1.1 Origine e definizione del potenziamento umano


L’origine del termine potenziamento può essere fatta risalire intorno agli anni ’70 del secolo scorso
in seguito allo sviluppo della genetica, tramite la scoperta nel 1968 degli enzimi di restrizione che
hanno permesso di arrivare nel 1972 alla formazione della prima molecola di DNA ricombinante1.
La tecnica del DNA ricombinante consisteva-consiste nell’isolare e tagliare brevi sequenze di DNA
per trasferirle e inserirle nel genoma di altre cellule per modificarne uno o più geni. Si potevano-
possono così effettuare interventi mirati sui geni dei caratteri che si voleva-vuole modificare. Tale
tecnica spalancò le porte dell’ingegneria genetica, dal momento che consentiva la manipolazione
del DNA non solo tra organismi viventi della stessa specie, ma anche di specie diverse. Si accese un
ferrato dibattito bioetico sui suoi usi applicativi tra chi intendeva limitare la manipolazione genetica
per la cura di malattie quali l’anemia falciforme e l’emofilia e chi proponeva di spingersi oltre tramite
interventi migliorativi, potenzianti l’essere umano, come ad esempio la modifica di caratteri
somatici o della linea germinale così da trasmettere le caratteristiche desiderate alla propria
discendenza (Palazzani 2015).
Parallelamente sempre negli anni ’70 le industrie farmaceutiche erano alla ricerca di una
risposta al dilemma di una popolazione malata che tendeva ad essere disoccupata e dunque out of
the market. “The solution […] was to develop drugs for well people, who not only remain employed
but never get better” (Mooney 2002:13). Si iniziarono così a progettare i cosiddetti cognitive e mood
enhancers per migliorare le prestazioni lavorative.
Gli anni ’80 videro un fiorire degli scritti sulla letteratura intorno al potenziamento umano,
ma fu tuttavia solo con il nuovo millennio, in coincidenza del Rapporto del National Research
Council, che la questione del potenziamento umano assunse una dimensione globale al centro delle
preoccupazioni bioetiche (Commissione Bioetica delle Chiese Battiste, Metodiste e Valdesi 2014).
Nel Rapporto si affermava infatti che grazie alle convergenza delle NBIC si potevano realizzare
interventi potenzianti dell’essere umano in molteplici aspetti (Roco, Bainbridge 2003).
Come si può notare il fenomeno del potenziamento umano prende le mosse a partire da un
contesto – quello liberal democratico occidentale – in cui i servizi minimi di cura sono garantiti e la
spinta culturale, tecnologica, economica verso il progresso è forte al punto da poter immaginare
scenari inediti (distopici?). La spinta all’oltre la terapia è, infatti, la premessa ideologica del
potenziamento umano che considera soggettive e storicamente arbitrarie, convenzionali, le
distinzioni tra malattia e salute. In molti articoli i transumanisti fanno riferimento ad uno spettro

 1
Rielaborazione dell’autore da Barocci, Sergio 2015 I percorsi storici che partono dalla scoperta del DNA e che
arrivano alle nuove tecniche di sequenziamento o NGS (parte I) “, in Chimicare Associazione Culturale, marzo,
<http://www.chimicare.org/blog/metodi-e-approcci/dna-ricombinante-ed-enzimi-di-restrizione/ >, accesso 17
novembre 2018.
continuo che va dal ‘praticamente morto’ al ‘perfettamente in salute’ e sostengono che non esista
in maniera univoca e stabilita per sempre una linea netta di confine in grado di determinare con
esattezza l’assenza o la presenza di malattia. Pertanto, dimostrando che non esiste condivisione
sullo stato precedente di un intervento alterativo, considerano migliorativi tutti gli interventi (sia
quelli terapeutici che i non). Proprio in ciò risiede “l’ambiguità semantica” (Palazzani 2015:44) della
definizione di potenziamento e della nuova medicina dei desideri, contrapposta alla visione
oggettiva e votata all’essenza della medicina classica, che riesce ad individuare, invece, nel normale
svolgersi delle funzioni biologiche il criterio per la designazione della presenza/assenza di malattia.

1.2 Tipi di potenziamento e Classificazioni


Come già accennato, esistono vari tipi di interventi potenzianti: tra le tecnologie esistenti vengono
annoverate la chirurgia estetica e il doping sportivo. Operando una scelta arbitraria, si è preferito
non dilungarsi su tali questioni, che, seppur molto importanti, coinvolgono ambiti specialistici (lo
sport, - diverso è il carattere della chirurgia estetica -) e sono meno ‘scottanti’ rispetto, invece, alle
questioni del potenziamento (eu)genetico, biologico e cognitivo che potrebbero portare ad una
rivoluzione dell’esistenza umana e del modo con cui l’uomo (il cyborg?) rappresenta se stesso nel
mondo. Il cuore del dibattito bioetico sullo human enhancement è, infatti, a parere dello scrivente,
quello incentrato sulle tecnologie emergenti, ovvero quelle tecniche recenti che solo adesso stanno
diventando oggetto della riflessione morale. Si configurano come tecnologie emergenti il
potenziamento genetico, biologico e neuro-cognitivo.
Il potenziamento genetico diretto si divide in somatic e germline engineering: la differenza
risiede nel fatto che, mentre per la prima tipologia di intervento, chiamato anche doping genetico,
ad essere affetto è solamente l’individuo che lo richiede, per la seconda, che modifica le cellule
germinali, è coinvolta anche la discendenza. In base all’art. 13 della Convenzione di Oviedo, sui diritti
dell’uomo e la biomedicina, “un intervento che ha come obiettivo di modificare il genoma umano
non può essere intrapreso che per delle ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente
se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti “ (Convenzione di
Oviedo:3). Nonostante questa importante garanzia internazionale, i sostenitori del potenziamento
umano esercitano forti pressioni affinché venga rinegoziata. Il potenziamento genetico indiretto-
selettivo, invece, consiste: nel suo lato negativo nello scartare embrioni o lasciar morire i feti con
elevate probabilità - ma anche leggere predisposizioni nelle visioni più estreme – di nascere con
malattie incurabili; nel suo lato positivo nella scelta di permettere la nascita solo di quegli embrioni
o feti con qualità desiderate, come la vista perfetta, la longevità, la magrezza ecc. Infine, un’altra
forma di potenziamento genetico è quella che si esprime nella possibilità di produrre gli enhanced
children, tramite “l’introduzione diretta di materiale genetico mediante isolamento del gene,
replicazione, sintesi, inserimento di cromosomi artificiali per ottenere il miglioramento desiderato”
(Palazzani 2015:84).
Passando al potenziamento biologico, questo agisce, invece, sui meccanismi fisiologici al fine
di rallentare, bloccare o eliminare il processo di invecchiamento/decadimento fisiologico e
psicologico, allungando in tal modo la vita indefinitamente giovane, fino al progetto di sconfiggere
la morte.
Il potenziamento neuro-cognitivo, infine, si sostanzia nell’assunzione di farmaci nootropici
per migliorare le performance emotive (riduzione dell’ansia, miglioramento umore, regolazione del
temperamento) e quelle lavorative (aumentata lucidità, concentrazione, memoria, organizzazione
delle informazioni) da un lato, e nelle tecniche di neuro-imaging, quali la stimolazione transcranica
e l’installazione di chip elettronici nel cervello al fine di aumentare la potenza di determinate
funzioni o, nei progetti più estremi, decodificare il vissuto soggettivo di una persona per poterlo poi
leggere su un supporto informatico. A completamento della panoramica sui tipi di potenziamento
vanno sottolineati quelli che potrebbero derivare dalla progressiva convergenza delle NBIC e che
potrebbero portare, per esempio, all’esistenza di procedure crioniche di conservazione di un corpo
deceduto, per poi rianimarlo in un futuro quando saranno magari venute alla luce tecniche nuove
che renderanno questa operazione possibile.

2. Il dibattito sul potenziamento umano e la perdita antropologica


Non è difficile immaginare come il sorgere dei progetti appena descritti abbia scatenato reazioni
molto contrastanti, essendo in gioco due visioni antropologiche e filosofiche difficilmente
conciliabili, anche nelle versioni moderate di chi sostiene un potenziamento graduale, accessibile a
tutti e usa, pertanto, vocaboli e espressioni volutamente asettiche e meno accese, come “aborto
teraupetico” o “enablement”. Pertanto, si procederà ora all’analisi di queste due visioni, tra i pro e i
contro l’enhancement, oscillando tra osservazioni generali e specifiche.

2.1 Argomenti a favore del potenziamento umano: individualismo e utilitarismo alla


base del transumanesimo
Chi sostiene il potenziamento umano, nello specifico la World Transhumanist Association fondata
dal filosofo svedese Nick Bostrom, ritiene che esso sia un mezzo per garantire l’autodeterminazione
individuale, accrescere il controllo sul proprio corpo e la propria mente, migliorare il benessere
individuale e sociale, acquistare autostima, sicurezza, potere e successo, rendere l’umanità meno
schiava dalle debolezze, dalle malattie, dalla vecchiaia e, più in generale, dalla sofferenza, di cui non
se ne comprendono le ragioni, in virtù della possibilità biotecnologica di agire sui geni, sugli ormoni
o sui circuiti sinaptici per eliminarle o rallentarle (nel caso della vecchiaia).
Nel sostenere l’inesistenza di controindicativi morali al progetto tecnologico di
potenziamento, la tesi principale utilizzata dai transumanisti è la tecnica dell’antecedente, che
asserisce che l’evoluzione storica è costellata di miglioramenti e afferma, per esempio, che, così
come “Office workers enhance their performance by drinking coffee” (Bostrom 2007:1), alla stessa
maniera lo potrebbero fare i farmaci stimolanti la concentrazione e la lucidità. Se si ritiene lecito
bere un caffè per migliorare il proprio stato psico-fisico a lavoro, non si capisce il perché prendere
un farmaco avente lo stesso effetto dovrebbe essere proibito. A prescindere dal mezzo è lo scopo,
giudicato ontologicamente buono e dunque meritevole di essere perseguito, che conta. E lo scopo
è la massimizzazione, in questo caso, della performance lavorativa.
La logica che anima e giustifica il potenziamento è, infatti, la massimizzazione del beneficio
individuale e della collettività e la minimizzazione delle sofferenze in una prospettiva utilitarista.
Secondo tale impostazione etica, dal momento che il potenziamento è un bene desiderabile per
tutti (considerando che permette di essere più intelligenti, più forti, più sani, più sociali, più atletici,
più belli, riduce le malattie e la sofferenza e promette la giovinezza eterna) e che andrebbe
incentivato e reso obbligatorio, il non attuarlo sarebbe una lesione del dovere di beneficenza,
considerato che permetterebbe di accorciare i tempi dell’evoluzione e autodirigerla: si viene cioè a
configurare un diritto al potenziamento sulla scorta del diritto costituzionale americano alla felicità.
Ciò che fa felice dipende dal soggetto, a cui lo stato liberale deve garantire piena autonomia e
libertà. Più individui sono lasciati liberi di perseguire la felicità, più questa di diffonderà, a discapito
dei sentimenti negativi e dei problemi. Gli unici criteri etici da seguire, per i transumanisti sono la
sicurezza che l’intervento non provochi danni e il consenso informato dell’individuo che si sottopone
al trattamento. Una volta esposti i rischi (non si conoscono ancora bene le conseguenze a lungo
termine ad es. dell’assunzione di farmaci potenzianti, ma è evidente la dipendenza che genera), lo
scrupolo morale si esaurisce e la responsabilità sfuma, finendo col far diventare il medico un mero
esecutore di volontà individuali, e la persona sottoposta al potenziamento una cavia. Il debordante
individualismo, giustificato dall’utilitarismo, di chi è favorevole allo human enhancement risiede in
fondo in una visione materialistica e meccanicista della natura e dell’essere umano, inteso come
agglomerato di parti funzionali, come macchina e, in quanto tale, programmabile, sostituibile nelle
sue componenti difettose o scarsamente performanti, migliorabile all’infinito. Tale visione è alla
base del non cognitivismo etico che nega l’esistenza di una verità nella natura, che viene quindi
privata del suo significato e valore normativo, permettendo dunque la manipolazione del soggetto
che si vuole potenziare (Sgreccia 1991). Umanamente parlando è, infatti, diverso concepirsi come
un ammasso di parti organiche, rispetto a un essere dotato di spirito, autocoscienza, in relazione
con l’ambiente.
In riferimento al potenziamento biologico Bostrom ritiene che esso sia da perseguire perché,
sostanzialmente, aumenterebbe le possibilità di una vita piena di progetti e dunque più ricca, più
meritevole di essere vissuta. Riconvertire il processo di invecchiamento permetterebbe di godere al
massimo le bellezze e i piaceri della vita e di cimentarsi continuamente in nuove imprese. Davanti
all’obiezione di chi, invece, crede che non ci sarebbe una continuità identitaria tra l’io ad 80,120,
500 anni e che, pertanto, la vita perderebbe il suo senso, egli risponde nascondendosi dietro la
libertà all’autodeterminazione individuale.
La prospettiva utilitarista alla base del transumanesimo emerge, in particolare, in relazione
al potenziamento genetico. La selezione embrionale negativa, ma anche quella positiva diventa non
solo legittima, ma anche doverosa, in virtù del risparmio al nascituro e alla sua famiglia di inutili
sofferenze e della probabile aumentata felicità nel portare alla luce bambini con le migliori (per chi?
in base a quali criteri?) caratteristiche. Nell’ambito del biodiritto vengono così a formarsi due nuove
problematiche: quella del wrongful birth e quella del wrongful life. Si tratta di due diritti che il nato
disabile divenuto adulto potrebbe esercitare: il primo nei confronti del medico reo di aver sbagliato
la diagnosi, in seguito al test diagnostico pre-natale, grazie al quale si può (tecnologicamente,
legalmente è proibito, come si è visto dalla Convenzione di Oviedo recepita nei vari ordinamenti
nazionali) oggi sapere se una persona è portatrice di malattie o disabilità; il secondo (paradossale e
fortemente discriminatorio verso i diversamente abili) nei confronti dei genitori colpevoli di averlo
fatto nascere e condannato ad un’esistenza con una bassa qualità della vita.
I transumanisti incentivano anche la ricerca scientifica sui geni responsabili dei
comportamenti, appellandosi alla libertà di ricerca e alla possibilità di garantire una maggiore
sicurezza sociale. Pessina, nel suo “Bioetica. L’uomo sperimentale” ha giustamente notato che per
giustificarsi e ottenere consenso le tecnoscienze hanno bisogno di estraniarsi dal loro ambito
conoscitivo per far leva, invece, sui valori cosiddetti umanistici, quali la libertà, la felicità, la sicurezza
ecc.
La prova di quanto appena detto si ha nelle argomentazioni a favore del potenziamento
neuro-cognitivo, che autori come Bostrom e Mahowald sostengono in nome delle aumentate
possibilità di risolvere importanti problemi politici, sociali e scientifici, di vivere più sani, di non
soffrire di problemi socio-economici e della realizzazione individuale.

2.2 Argomenti contrari: diritti violati, minacce all’ambiente e la perdita antropologica


dietro il potenziamento

Le critiche all’enhancement arrivano dai fronti della filosofia morale, dell’antropologia, del diritto,
della sociologia e dell’economia. Tutte hanno però in comune il ripristino di una condizione
normativa della natura umana. L’attacco più pesante proviene infatti dal non cognitivismo etico che
tende a sfumare i confini, soggettivizzando il reale, mescolando naturale e artificiale e
depotenziando assiologicamente le categorie di uomo, natura e ambiente, calpestando diritti e, suo
malgrado, ponendo limitazioni alla libertà.
La prima considerazione che numerosi membri della comunità scientifica hanno sottolineato
(Rodotà 1995, Chieffi 2000, Palazzani 2015, Pessina 2006 , Casonato 2004, Postigo Solana 2009, solo
per citarne alcuni) è che ciò che rende l’umano tale non è il possesso di determinate qualità o
capacità o il compimento di azioni specifiche, che sono del soggetto, ma il fatto che abbia le
condizioni necessarie a vivere, ovvero un corpo, inteso olisticamente nelle sue dimensioni
organiche, genetiche e neurologiche che precedono il linguaggio, l’apprendimento e che prendono
forma fin dal concepimento e che, pertanto, conferiscono dignità alla persona. L’intensità della
manifestazione di un carattere, come ad esempio l’intelligenza, non dovrebbe essere il criterio per
l’attribuzione di un diverso statuto della dignità (come invece sostiene Bostrom) tra “superuomini”
(Harris 1991:7) di serie A e uomini di serie B, proprio per il fatto che l’intelligenza presuppone
l’esistenza di un soggetto. Teorizzando la posizione di Bostrom si arriverebbe al paradosso della
tutela di una caratteristica e non dell’essere umano.
Un’altra critica al potenziamento umano è quella per cui nell’affidarsi a tecnologie esterne
per raggiungere l’obiettivo x, perseguibile anche con metodi tradizionali come l’allenamento, la
meditazione (per ridurre l’ansia ad esempio), l’educazione, si radichi una perdita antropologica.
Questa si manifesta, nel caso di assunzione delle smart drugs, nella generazione di dipendenza, nella
non comprensione del meccanismo tramite il quale ci si appropria di nuove conquiste, nella
mancanza di elaborazione del processo, e, in ultima analisi, nella gioia derivante dell’aver ottenuto
io, e non io più i farmaci l’obiettivo. Inoltre, sempre in relazione al fenomeno della diffusione dei
nootropi, che nel 1995 generavano un fatturato globale di 400 miliardi (Mooney 2002) (giusto per
comprendere la portata economica e sociale del fenomeno), questi potrebbero creare dei vantaggi
concorrenziali, dei positional goods (discorso che vale anche per gli interventi genetici futuri possibili
su adulti, o per i bambini nati potenziati rispetto ai bambini normali) e indurre i datori di lavoro a
discriminazioni o le compagnie assicurative ad assicurare la persona più sana o longeva. Una volta
liberalizzato e accettato il commercio genetico e neurologico, caratteristica propria del secolo
Biotech (Rifkin 2003), sarebbe arduo limitare le forti pressioni a non esercitare tali tipi di
discriminazione. Discriminazione che avverrebbe anche su un piano economico, dal momento che
l’alto costo d’accesso ai nootropi e agli interventi genetici aumenterebbe le disuguaglianze tra post-
uomini potenziati sempre più ricchi e esseri umani normali sempre più poveri (Casonato 2004,
Richard 2002). Accettare il potenziamento potrebbe poi portare ad una diminuzione dei sentimenti
di solidarietà e cooperazione, dal momento che gli enhanced children potrebbero non capire il
perché della condizione di superiorità e pensare di meritarla, così come potrebbero soffrire del fatto
di essere esperimenti sociali viventi. È chiaro che qui entra in gioco il dovere di preservare il diritto
delle future generazioni a vite scelte interamente da loro (pur nei limiti dei condizionamenti
psicologici o di altra natura generazionali). A monte sussiste poi la questione bioetica della
discriminazione embrionale (che è già in atto, ad esempio, nella FIVET) e che porta alla dissoluzione
degli esseri umani imperfetti.
Altra critica viene dagli attivisti per i diritti umani che mettono in allarme l’opinione pubblica
da una corsa degli Stati agli armamenti genetici (praticamente alla produzione di esseri umani
potenziati) che potrebbe condurre a nuovi conflitti di natura razziale ed etnica, dalle discriminazioni
palesi nei confronti dei disabili; mentre gli ambientalisti ci avvisano che l’ambiente avrebbe più
possibilità di venire danneggiato e non preservato alterato da esseri umani che modificano
tecnologicamente se stessi (Halweil e Bell 2002, R. Billings 2002).
Dalle osservazioni fin qui riportate, emerge chiaramente la perdita antropologica: in dignità,
in diritti, in libertà, in pericolo di conflitti e distruzione dell’ambiente, in solidarietà, nella dimensione
dell’identità, nell’incapacità di stupirsi di fronte alla natura, nel non accettare con umiltà la vita come
un dono. Il Transumanesimo è, infatti, un’ideologia biopolitica pericolosa, radicata nel darwinismo
sociale, che ripugna l’uguaglianza e che minaccia la stessa esistenza umana.
2.3 Il personalismo ontologico per comprendere l’errore del sogno biotech e
l’autoreferenzialità del progresso tecno scientifico insito nel bisogno/dovere di
potenziarsi.

Per arrestarla è necessario comprenderne l’errore tecno-logico e divulgarlo. Si segua il


ragionamento. La cultura che sta dietro al progresso tecno-scientifico, di cui il transumanesimo è
una conseguenza, nega l’esistenza di una realtà diversa da quella che non comprende e crede che
ogni cosa sia comprensibile e raggiungibile con il continuo avanzamento delle conoscenze
scientifiche; tuttavia esistono aspetti del reale, quali la vita intesa come generazione ed esistenza,
che non possono essere compresi nel loro significato dalla tecnologia, la quale per sua impostazione
metodologica rifiuta il carattere contingente e trascendente del mondo. Questo è infatti il compito
della filosofia, ma nell’era biotecnologica (e dalla scoperta del DNA in poi in particolare) ci si illude
che la conoscenza dei geni deputati a… equivalga a capire il senso della vita. Stante questa
appropriazione di un settore della realtà, l’uomo può ora sottoporlo alle sue operazioni mentali di
unione, divisione, selezione, che – problema non da poco – finisce col cambiare veramente il
significato dell’oggetto studiato (la generazione umana di bambini potenziati ad esempio).
Se, dunque, ogni cosa nella civiltà biotecnologica è spiegabile con un avanzamento della
tecnica, questa diventa l’unica realtà, che, per continuare ad esistere, ha bisogno di essere
alimentata sempre con nuovi interrogativi che la estendano, inglobando anche quella matrice
umanistica da cui proviene. Se cessasse questo circolo infinito e autoreferenziale, significherebbe
ammettere che esiste altro e sarebbe un colpo troppo basso per i pilastri ideologici su cui si fonda
la tecnica. Il problema è che più si va avanti in questa illusione più si perde di vista la realtà e ci si
chiede della validità di approcci come quello della filosofia o dell’antropologia, fino al punto in cui
non nasce un’ideologia come il transumanesimo che ha completamente perso il contatto con la
realtà, a cui si deve ancorare, però, nelle giustificazioni dei suoi intenti. Tornando alla tecnica, essa
si pone, dunque, come unica realtà e orizzonte di senso per l’essere umano in un processo di
autogenerazione infinito. L’uomo tecnologico fa propria la categoria concettuale di incompiutezza
perenne e trova la risposta in un bisogno/dovere costante di formazione della propria identità, di
superamento di ogni vincolo percepito come un ostacolo o limite2.
La Bioetica, nasce, tuttavia, proprio per analizzare le ambiguità del progresso tecnico-
scientifico, valutarne le criticità, costruire ponti o porre, appunto, limiti: il personalismo ontologico,

2
Tutto il paragrafo 2.3 si basa su considerazioni dell’autore a partire dal concetto di autoreferenzialità tecnologico
espresso nel libro “Bioetica. L’uomo sperimentale” di Pessina
nella sua affermazione del “valore oggettivo di ogni persona umana, quale unità di corpo e spirito,
unica e indisponibile, dotata di una dignità intrinseca, propria della natura umana” (Enciclopedia
Treccani online) appare costituirsi come l’unica prospettiva in grado di fermare logicamente il sogno
Biotech della vita perfetta.

3. Conoscersi per migliorare


Eppure qualcosa di salvabile esiste nei progetti di potenziamento umano. Isolando l’espressione dal
suo contesto e significato tecnologico, esso esprime una naturale volontà di crescita personale.
Occorre partire da questo desiderio, da attuare più interiormente che esteriormente se si vuol
progredire davvero. Si ritiene che solo tramite l’introspezione o il dialogo sia possibile capire quali
sono i nostri comportamenti che causano incomprensioni o conflitti e diventare, pertanto, una
persona migliore. Se non si comprende, infatti, la natura umana, difficilmente, si potrà migliorarla.

3.1 L’etica della virtù: il potenziamento umano come achievement


Secondo la Commissione Bioetica delle Chiese Battiste, Metodiste e Valdesi, il cuore del problema
del potenziamento umano “non è il desiderio di miglioramento, quanto, piuttosto, il tentativo di
introdurre ideali di perfezione che cancellino, o pervertano, quella dose di finitezza, che è tipica
dell’umano” (Commissione Bioetica delle Chiese Battiste, Metodiste e Valdesi 2014:25). È proprio in
relazione alla finitezza che l’uomo può sperimentare quella tensione verso l’infinito e l’assoluto e
che è alla base di capolavori nelle più svariate arti espressive. Annullando la dimensione del finito,
tramite, ad esempio una vita infinita, l’essere umano non sarebbe più capace di esercitare la virtù
della conquista, dell’achievement e del fulfillment che ne consegue, perché sprovvisto umanamente
(ecco la perdita antropologica che ritorna) delle categorie concettuali per interpretare il finito.
Mentre sperimentando il contrasto tra la sua natura limitata e ciò che per, il momento, giudica
infinitamente più grande di lui egli può aspirare alla pienezza. Elemento questo, si ritiene alla base
della confusione/illusione dell’uomo potenziato biotecnologicamente.

3.2 Considerazioni conclusive


In conclusione, per tutte le motivazioni addotte sopra non si può che esprimere un giudizio negativo
sul potenziamento umano. Si concorda con l’art.13 della Convenzione di Oviedo e, in generale, col
principio in base al quale l’intervento sull’essere umano è consentito a fini terapeutici e non
potenziativi, ritenendo che, per quanto in alcuni casi possa risultare difficile una separazione netta,
esista un confine oggettivo tra malattia e salute. Se si sostenesse la soggettivizzazione e l’arbitrarietà
di questa differenza, si perderebbe un lume importante e fondamentale per l’uguaglianza
ontologica dell’essere umano e si aprirebbero le porte della discriminazione eugenetica e non.
Per quanto riguarda l’assunzione di farmaci neuro-cognitivamente potenzianti si ritiene che
generino dipendenza, che non ci sia valore nell’assumerli e che non siano sicuri; né tantomeno si è
favorevoli alla stimolazione magnetica transcranica, a parer di chi scrive invasiva e non sicura:
esistono altre modalità naturali (penso ad esempio all’allenamento o alla meditazione) con cui
raggiungere gli stessi risultati e garantire che l’atto compiuto sia un’atto che faccia fiorire la
personalità e che non la distrugga. Infine, se si fosse al potere, si eliminerebbe i finanziamenti a quei
filoni della ricerca genetica volti a potenziare l’uomo, per destinarli ad un riequilibrio tra Paesi del
Terzo Mondo e Paesi Industrializzati: questione di priorità…

Bibliografia

 Barocci, Sergio

2015 I percorsi storici che partono dalla scoperta del DNA e che arrivano alle nuove tecniche di
sequenziamento o NGS (parte I) “, in Chimicare Associazione Culturale, marzo,
<http://www.chimicare.org/blog/metodi-e-approcci/dna-ricombinante-ed-enzimi-di-
restrizione/ >, accesso 17 novembre 2018.
 Bostrom, Nick; Roache, Rebecca
2007 “Ethical Issues in Human Enhancement”, in Jesper Ryberg, Thomas Petersen, Clark Wolf (a
cura di), New Waves in Applied Ethics, Basinkstoke; Palgrave Macmillan (1ª ed. 2007), pp. 120-
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