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enerdì 26 giugno 2009

Clan D’Alema, Cesa era socio della


escort
di Gian Marco Chiocci

Nelle carte dell’inchiesta citato il segretario Udc: all’epoca era in


affari con la maîtresse che procurava donne ai collaboratori
dell’allora premier Ds. La replica del leader centrista: "Il caso
non mi riguarda minimamente"

Gian Marco Chiocci


Massimo Malpica

C’era anche il nome di Lorenzo Cesa nelle carte dell’inchiesta


sulle squillo di R.F. che frequentavano le stanze di Montecitorio e
personaggi dell’entourage dell’allora premier Massimo D’Alema.
Quell’indagine, chiusa a tempo di record nel 2000 con la
condanna della sola R.F., gira proprio intorno al nome della donna,
che tramite le «prestazioni» sue e delle sue ragazze avrebbe
ricavato vantaggi per le sue società «ufficiali», attive nel campo
della comunicazione. E tra le intercettazioni, alcune tirano in ballo
l’attuale segretario dell’Udc, Cesa.
Una telefonata di fine settembre del ’99, per esempio, mette in
rilievo una litigata tra R.F. e la sua segretaria. La maîtresse chiede
a quest’ultima «se ha mandato il fax al dottor Cesa», si legge in
una relazione della polizia. «La segretaria le risponde di sì –
prosegue il documento – e R.F. le comunica che si è sbagliata in
quanto ha mandato il fax per il Cesa direttamente al Ccd, sede di
partito, in quanto l’ha avvertita tale Lorenzo. R.F. prosegue con
tono adirato», spiegano gli inquirenti, invitando la segretaria a non
commettere più questi errori.

Ma che rapporti c’erano tra R.F. e Cesa, tali da giustificare l’invio


di fax riservati all’uomo che sarebbe diventato segretario
dell’Udc? Un verbale di un imprenditore, Claudio Barzocchini,
una chiave di lettura la offre: «Conobbi R.F. nel 1983 (...). Dopo
un periodo di frequentazione la persi di vista rincontrandola
nuovamente nel 1995, circa, durante un congresso del partito dei
Cristiano Democratici. Per quanto mi è stato detto da R.F. lei era lì
in qualità di organizzatrice di tutto il congresso e nell’occasione
riallacciammo i rapporti di amicizia. Da quel giorno - insiste il
costruttore - venni a sapere che era consociata con Cesa Lorenzo
ed avevano creato un’agenzia di pubblicità e grafica denominata
Global service. In seguito R.F. si aprì una società da sola».

Le carte processuali poi riportano le visure relative alle società che


facevano capo al politico e alla donna. E qui un legame c’è. Una
società a responsabilità limitata, la Global Media, che si occupa di
eventi e comunicazione, e vede gran parte dei suoi 20 milioni di
lire di capitale sociale divisi proprio tra R.F. e Cesa. La prima
intestataria di quote per otto milioni, il secondo per 11 milioni.
I due erano dunque soci. E, va detto, la Global Media non è
un’azienda ignota alle cronache, anzi. Fondata da Cesa quindici
anni fa, quando il segretario Udc aveva lasciato la politica, la
Global Media era già finita sui giornali, un paio d’anni fa, quando
su quella società si concentrò l’attenzione della Procura di
Catanzaro, che commissionò una perizia sui flussi bancari in
entrata e in uscita. Cesa, che nel frattempo aveva ceduto le quote
ai familiari, aveva fatto lavorare bene la sua azienda, che a quanto
accertarono i periti fatturava quasi 7 milioni di euro l’anno,
vantando clienti importanti. La stessa Udc (per conto della quale
Global Media ha anche organizzato un congresso), Enel,
Finmeccanica, Lottomatica e altri: in sei anni, tra 2001 e 2006, la
società avrebbe incassato oltre 30 milioni di euro.

Quel che i poliziotti avrebbero voluto approfondire qualora i


superiori li avessero lasciati fare, era perché Cesa e R.F. s’erano
messi a fare affari insieme. Dagli incartamenti assemblati
dall’autorità giudiziaria, infatti, non s’è mai capito il ruolo
effettivo ricoperto dalla donna in quella società. Così come la
squadra mobile non è riuscita ad approfondire il legame che
vedeva R.F. vicina e appunto socia del politico centrista con il
quale divideva le quote anni prima.

Il leader dell’Udc, che nel corso dell’inchiesta della Procura di


Roma che vide R.F. condannata non è mai stato indagato né
ascoltato come persona informata dei fatti, preferisce non
commentare la «coincidenza» emersa a dieci anni di distanza.
Ripetutamente contattato dal Giornale, attraverso il suo ufficio
stampa Cesa ha fatto sapere di non aver nulla da dire al riguardo in
quanto «la vicenda in argomento», che non conosce e di cui sente
parlare per la prima volta, «non lo riguarda minimamente».
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i venerdì 05 novembre 2010

Tegola per l’Udc Il segretario Cesa


indagato per frode
di Redazione
L’inchiesta è «targata» De Magistris, ma dalla genesi calabrese,
nel 2006, ne ha fatta di strada, sbarcando a Roma e finendo nelle
mani del pm Maria Cristina Palaia. Non è cambiata la posizione
del segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa. Che resta indagato per
l’ipotesi di frode comunitaria anche nel fascicolo aperto nella
capitale. E sarebbe, per di più, tra i soci di un’azienda «colpiti» dal
maxi-sequestro di più di un milione di euro, chiesto in estate dal
pm romano e concesso pochi giorni fa dal gip. Le magagne
vecchie e nuove, per Cesa, sono legata a una società di cui era
cofondatore, la Digitaleco Optical Disc srl, sede legale a Roma
(prima in via Tivoli e poi in via del Mascherino, a un tiro di
schioppo dal Vaticano) e stabilimento a Pian del Lago, Mangone,
in provincia di Cosenza. Ora in dismissione: i suoi 12 dipendenti
sono stati messi in cassa integrazione per la seconda metà del
2009. Doveva produrre supporti ottici digitali - cd e dvd - ma ha
finito per fabbricare soprattutto guai per Cesa e per altri soci
eccellenti che la battezzarono, come Fabio Schettini (già
segretario di Frattini in commissione europea) e Giovan Battista
Papello, già subcommissario per l’emergenza rifiuti in Calabria.
Per De Magistris la Digitaleco sarebbe stata costituita solo per
incassare un contributo Ue da 5 milioni di euro. I tre - Cesa,
Schettini e Papello - sarebbero tutti indagati a Roma, come anche
la moglie di Papello, Stefano Bencivenga e Augusto Pelliccia.
Cesa, però, si dice tranquillo. Parla di «atto dovuto» e ricorda che
l’Olaf, l’antifrode Ue che lo aveva indagato per la stessa storia,
avrebbe già «archiviato».
L’AFFARE S’INGROSSA
ven, giu 26, 2009

Generale

Dal Corriere.it
Rispetto tutti, ma non accetto solidarietà, in particolare dal presidente del consiglio»
“Il Giornale” attacca Cesa. Solidarietà dal premier. Il segretario Udc: non la voglio
Il quotidiano, il cui editore è Paolo Berlusconi, accusa Cesa di essere stato coinvolto in un giro di
squillo e festini
ROMA – E’ scontro tra il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa e il premier Silvio Berlusconi. Con
Cesa che rifiuta pubblicamente la solidarietà del premier, dopo essere stato attaccato da il
quotidiano “Il Giornale”, e il premier che controreplica: «Spero che torni in se».

L’ATTACCO – Tutto comincia con l’attacco sul numero di oggi de il quotidiano «Il Giornale», il
cui editore è Paolo Berlusconi il fratello del premier, a Cesa e all’ex premier Massimo D’Alema.
Secondo il quotidiano milanese infatti, nel 1999 un’inchiesta della magistratura (poi terminata il 4
ottobre 2000 con la condanna ad un anno della presunta maitresse dopo il patteggiamento) aveva
scoperto un presunto giro di squillo che avrebbe, sempre secondo “Il Giornale”, esercitato pressioni
su uomini vicini all’allora premier D’Alema per ottenere favori ed appalti pubblici. Cesa sarebbe
stato socio di una società di grafica pubblicitaria la Global Media Srl, proprio con R.F., la sospetta
maìtresse che avrebbe organizzato il presunto giro di squillo.

LA QUERELA DI CESA – Immediata la reazione di Cesa che dava incarico ai propri legali di
inoltrare immediatamente una causa civile per diffamazione a mezzo stampa «nei confronti del
quotidiano “Il Giornale” e di quanti altri organi di informazione volessero associare il suo nome a
vicende da cui è palesemente del tutto estraneo».

LA SOLIDARIETA’ DI BERLUSCONI – A questo punto interveniva il presidente del Consiglio


che esprimeva la sua solidarietà nei confronti di Cesa e D’Alema. «Non ho mai condiviso i modi di
chi ricorre ai pettegolezzi ed alle chiacchiere di vario genere per insinuare dubbi o gettare discredito
nei confronti di qualcuno – spiegava il premier – per questo esprimo perciò tutta la mia solidarietà a
Lorenzo Cesa. Se si leggono gli articoli sul “Giornale” di oggi si vede che su Cesa non c’è nulla di
nulla ma basta un titolo che fa un nome per criminalizzare una persona e sconvolgere una famiglia.
Conosco Cesa, gli sono amico e lo stimo al di là delle differenze politiche. Lo stesso voglio dire
espressamente nei confronti dell’onorevole Massimo D’Alema, dei suoi collaboratori, della famiglia
Agnelli e per quanti siano stati colpiti oggi da questo tipo di polemiche. Sono stato facile profeta
quando ho previsto che l’imbarbarimento provocato da una ben precisa campagna di stampa
avrebbe messo in moto una spirale che va assolutamente arrestata. Poiché io ho denunciato
aggressioni a mio danno – concludeva il Cavaliere – nessuno può pensare che io possa approvare
analoghi metodi ed aggressioni nei confronti di chiunque».

LA REAZIONE DI CESA – «Non ho mai partecipato a festini, nè ho mai frequentato minorenni o


persone che fanno uso di droga. Rispetto tutti, ma non accetto solidarietà da nessuno, in particolare
dal Presidente del Consiglio» replicava poco dopo in una nota il segretario nazionale dell’Udc.

L’IRA DEL PREMIER – La replica di Cesa provocava la reazione stizzita del premier: «Mi
dispiace che l’onorevole Cesa non accetti la mia solidarietà. Non ho mai partecipato a cosiddetti
festini, non ho mai frequentato minorenni nè so a chi si riferisca quando parla di persone che fanno
uso di droga. La sua risposta è offensiva e disdice sia la sua immagine, sia la considerazione che
nutrivo nei suoi confronti. Spero che torni in se e che risponda alle provocazioni con la stessa
serenità e con lo stesso stile con cui reagisco io».

Angelo1

5 Commenti per questo articolo

1. john - commento N.1 :


giugno 26th, 2009 at 14:45
“………..con la stessa serenità e con lo stesso stile con cui reagisco io”.
AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!!!!!!!!!!!!!!!

Ma dai, Papi, che se uno ti starnutisce vicino, dai la colpa ai Comunisti, per tentata epidemia
virale!

Però, devo darti atto di essere una bella lenza!

Già,……… negare, negare, negare, anche con le braghe in mano, e, alla prima occasione
possibile, dividere la responsabilità con terzi.

Con questo non voglio assolutamente dire che Cesa sia o non sia un puttaniere o quant’altro,
non sta a me dirlo.
E non me ne frega niente, di lui, di te, di Casini, D’Alema, La Russa; dico solo che se vi va
di andare a “Escort” (che non è un modello degli anni 70/80 della Ford, ma un modo molto
più delicato e politicamente corretto, per definire le “Busone di alto bordo”), ne siete
liberissimi,……………ma se vi beccano, visto che siete personaggi pubblici con incarichi
non indifferenti, abbiate il coraggio civico di ammetterlo e di togliervi dai……..piedi.
Fareste molto più bella figura, non vi pare?!

No, decisamente, no!!

Mi viene da domandarmi in quale capitolo spese siano inseriti i coadiuvanti.

john (not in my name)

L’HAREM SECRETATO…
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L’inchiesta svanita sulle escort del clan D’Alema

Roma -- C’è un’inchiesta, a Bari, che anziché restare riservata finisce sui giornali perché riguarda
indirettamente un premier e/o persone a lui vicine presumibilmente in contatto con alcune
prostitute. E c’è un’altra inchiesta, a Roma, che invece resta «sconosciuta» per quasi dieci anni e
che riguarda l’entourage di un altro premier in contatto sicuramente con una scuderia di prostitute
d’alto bordo. Il doppiopesismo mediatico-giudiziario cui si fa riferimento concerne un’inchiesta
avviata nel 1999 dal pm capitolino Felicetta Marinelli e conclusasi il 4 ottobre 2000 con il
patteggiamento a un anno della maîtresse R.F. che secondo l’accusa inviava sue «squillo» ai
fedelissimi dell’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, per ottenere ritorni economici
di vario genere.

Sono svariati i nomi eccellenti che tornano nei verbali d’interrogatorio e nelle intercettazioni
disposte a seguito dei pedinamenti fin sull’uscio di Montecitorio da parte degli agenti della Squadra
mobile: si va da Francesco «Franco» Mariani, un tempo responsabile dei trasporti del Pci-Pds e ora
presidente dell’autorità portuale di Bari (revocato dal ministro Matteoli e reinsediato dal Tar) ai due
ex soci del leader Massimo nella compravendita della barca Ikarus: innanzitutto, Roberto De Santis,
pugliese ed eminenza grigia del leader Ds, già vicepresidente della finanziaria London Court, quindi
nel cda della Spa portuale «Marina Blu» e poi in quello della società d’energia «Avelar Energy»;
dopodiché Vincenzo Morichini, ex amministratore delegato del consorzio Ina-Assitalia, fondatore
dell’Assonautica romana, da sempre vicinissimo a D’Alema. Nei brogliacci delle telefonate
sbobinate a piazzale Clodio si fa anche esplicito riferimento ad alcuni episodi dove viene citato
l’allora «segretario particolare di D’Alema», ovvero Nicola Latorre, oggi parlamentare del Pd.
Nelle informative c’è spazio infine per i ruoli ricoperti dall’ex deputato Ds, Michele Giardiello e da
un paio di funzionari ancor oggi nel partito di Franceschini.

Le persone di fiducia di D’Alema finite agli atti del procedimento numero 10498/99, a eccezione di
Latorre, sono state prese a verbale come persone informate dei fatti direttamente negli uffici della
Settima sezione della questura di Roma. Obiettivo degli inquirenti era infatti quello di capire se
effettivamente la maîtresse facesse ricorso a ragazze a pagamento per «convincere» persone
importanti a dare una mano alla sua agenzia di pubblicità nella gestione di eventi, convegni (la
donna ne ha organizzato un paio per la Camera dei deputati) appalti e pubblicazioni per strutture
come Alitalia, Banca di Roma, Enel, Eurostar, Ina-Assitalia, Acea, Inpdap, eccetera. Se l’allora
dirigente della Mobile, Nicolò D’Angelo, era pressoché convinto dell’andazzo corruttivo («la donna
che inequivocabilmente procura ragazze a molte persone organizzando incontri sessuali -- scriveva
in una informativa -- utilizza tale “chiave di accesso” per ottenere dai destinatari di queste
“attenzioni” che sembrano essere tutti ai vertici di strutture pubbliche o private, favori e indebite
pressioni al fine di ottenere benefici economici nella forma di ghiotti appalti o incarichi ben
remunerati») il pm Marinelli rimarcava: «Dalla lettura dei verbali emerge che R.F. utilizza le
ragazze per organizzare incontri di carattere chiaramente sessuale con personaggi, di cui alcuni
facenti parte del mondo politico, o aventi cariche in enti pubblici».

L’indagine, come tante nel sottobosco della prostituzione, nacque un po’ per caso. Solita routine:
una soffiata, un accertamento, un’arida informativa. Poi arrivarono i pedinamenti, i telefoni sotto
controllo, i riscontri su un’organizzazione di via Veneto diretta dall’austriaca Angelica W. e un
centro massaggi dell’Eur dove venivano reclutate ragazze per i festini. E quel che sembrava un
«normale» giro di squillo della Roma-bene, s’è rivelato presto un «problema» politico per tutti
coloro che s’erano ritrovati tra le mani quel materiale scottante. In procura si accavallarono le
riunioni. In questura gli accertamenti rallentarono bruscamente. L’ipotesi iniziale della corruzione
venne presto derubricata in sfruttamento della prostituzione finalizzata a portare a casa contratti
importanti con aziende private e istituzioni pubbliche. I controlli sui telefoni dell’indagata vennero
interrotti, la richiesta di rinvio a giudizio fu recapitata all’interessata, si arrivò al processo senza
dare alcuna pubblicità all’esito finale. Con la maîtresse condannata, in tanti tirarono un sospiro di
sollievo. Nessuno, nemmeno il preveggente D’Alema, poteva immaginare che a dieci anni di
distanza potesse arrivare una simile «scossa».
di Gian Marco Chiocci -- Il Giornale

MORALISTI A SENSO UNICO

Ora molti parlano di «emergenza morale» nel nostro Paese. Ebbene: se di emergenza morale si
tratta (e sottolineo: se) se non altro, nel nostro Paese non è cominciata ora. È cominciata già da un
pezzo, come dimostrano i documenti che pubblichiamo oggi. Sinceramente, avremmo voluto
evitarlo: rovistare nei boudoir a destra o a sinistra non è proprio il sogno che abbiamo coltivato
quando da bambini giocavamo al piccolo giornalista. Ma tant’è. Ci hanno costretto, da settimane, a
parlare soltanto di veline e prostitute, lettoni grandi e autoscatti nelle toilette. E sostengono che sia
obbligatorio farlo perché uno scandalo così (ma così come?) non si era mai visto. Ci danno a
intendere che, prima che arrivasse Berlusconi, fossero tutti casti e puri, piccoli emuli di santa Maria
Goretti prestati alla politica, candidi e immacolati come la neve. Ci vogliono far credere che nei
palazzi della politica circolassero soltanto tomi di Schopenhauer e saggi sull’amore platonico o sul
pensiero di Carlo Marx.
Non è così. E ve lo dimostriamo. Ciò che raccontiamo oggi, infatti, succedeva ai tempi del governo
D’Alema. Fra i protagonisti ci sono alcuni amici del Baffino, proprio quello che oggi va in giro a
sollevare il mustacchio scandalizzato. Erano tutti esperti di Carlo Marx, s’intende, e probabilmente
anche di amore platonico: non solo di quello, però. E infatti in questa storia c’è una maîtresse, ci
sono squillo, ci sono incontri che si consumano non in case private (come è e resta Palazzo
Grazioli) ma addirittura dentro i palazzi dell’istituzione. C’è, insomma, un’emergenza morale a luci
rosse, molto rosse, con fatti certi e assai più gravi delle accuse scagliate finora contro Berlusconi.
Telefonate hard comprese.
Leggete bene gli articoli di Gian Marco Chiocci e, in parallelo, di Stefano Zurlo. Da una parte
abbiamo alcuni episodi (di ieri) non lievi e indiscutibilmente documentati; dall’altra una serie di
polveroni sollevati oggi senza che nessuno chiarisca in modo accettabile where is the beef, dov’è la
ciccia, cioè dov’è il problema, dov’è lo scandalo (dopo aver scoperto che a Cortina si fanno le feste
e che a casa, alla sera, qualche volta capita di giocare a poker: ma guarda un po’…). E allora perché
oggi tutti, a cominciare proprio dagli ex libertini, dagli ex cantori dell’amore libero e del sesso
estremo, di fronte a poco si scoprono bacchettoni e strillano all’emergenza morale, mentre dieci
anni fa di fronte a molto stavano rigorosamente zitti?
Converrete con noi che, se tutte le domande sono legittime, anche questa si può fare. Ed è per fare
questa domanda, solo per questo, che pubblichiamo i documenti sulle escort del clan D’Alema.
Vogliamo chiedere: come mai allora l’inchiesta fu rapidamente archiviata e nessuno volle sfruttare
politicamente quei fatti che pure (lo ripetiamo) sono assai più clamorosi di quelli che da qualche
settimana Repubblica sta brandendo come una clava contro Berlusconi? Perché quei documenti non
finirono ai giornali? Perché, anche se molti sapevano, nessuno osò parlarne?
Qualche lettore dirà: perché le luci rosse, in quel caso, erano rosse prima di tutto politicamente. Può
essere. Per rendersi conto della doppia morale della sinistra basta leggere l’incredibile intervista di
Ezio Mauro all’Avvocato Agnelli ai tempi del sexygate di Clinton: com’era indignato l’attuale
direttore di Repubblica

dall’uso politico dello scandalo! Com’era nauseato dalle bassezze americane e sicuro che, da noi, tal
punto di infamia non si sarebbe raggiunto mai! Invece è stato raggiunto. Anzi, di più: è stato proprio
lui a raggiungerlo. Che cosa è successo nel frattempo? Semplice e drammatico insieme: come
abbiamo scritto nei giorni scorsi è stato rotto un patto silenzioso e antico, quello per cui la lotta
politica si fermava davanti alla camera da letto, rispettava la vita privata e non s’intrometteva
nell’educazione dei figli altrui. La rottura di quel patto è la vera sciagura che stiamo vivendo, il vero
scandalo che dobbiamo temere. Abbiamo l’impressione infatti (ma più che un’impressione è una
certezza) che d’ora in avanti, immondizia dopo immondizia, sarà sempre più difficile liberarci da
questo fetore. A noi non piace, al Paese fa male. E allora a chi giova tutto ciò? Chi l’ha voluto,
risponda.

di Mario Giordano -- Il Giornale

Massimo D’Alema ci querela. O meglio annuncia la sua intenzione di querelarci, che non è
necessariamente la stessa cosa. All’aspirante segretario-ombra del Pd non è piaciuto il fatto che il
Giornale abbia parlato di un’inchiesta, poi insabbiata, che verteva su un giro di squillo utilizzate per
ottenere favori e appalti dai politici e che vedeva pesantemente coinvolti alcuni dei suoi più stretti
collaboratori quando Baffino era presidente del Consiglio. All’epoca, per intendersi, in cui Palazzo
Chigi fu definito «l’unica merchant bank in cui non si parla inglese». Parole di Guido Rossi: non
certo un nemico della sinistra, diciamo.

Strano che il líder Maximo si sia risentito. Perché ci pareva che ultimamente, tra «scosse» e
dichiarazioni, fosse invece piuttosto sensibile a questo tipo di faccende. Non era stato lui, dopo una
visita a Bari, ad avvertire compiaciuto i suoi di tenersi pronti perché era in arrivo qualcosa di grosso
contro Berlusconi? E non era stato sempre lui, a proposito di quanto emergeva dall’inchiesta
pugliese, a parlare di «schifo», di «vicenda di rilevanza indubbiamente politica» e a intimare al
Cavaliere di «fornire chiarimenti sui suoi comportamenti privati che offrono un desolante spettacolo
che ha poco a che fare con l’etica condivisa dagli italiani»? E stava parlando di un presunto
rapporto sessuale in una casa privata. Come mai ha cambiato così repentinamente idea, visto che
l’inchiesta di cui ha riferito il Giornale riguarda molti e accertati incontri a luci rosse «finalizzati a
ottenere benefici economici nella forma di ghiotti appalti o incarichi ben remunerati», come
scriveva il capo della Mobile? Sono episodi che fanno forse parte «dell’etica condivisa dagli
italiani»? Proprio sicuro, onorevole? Anche se è stato provato che qualcuno di quei focosi rendez-
vous mercenari si è svolto negli istituzionalissimi uffici della Camera dei deputati? Ci permetta
almeno di dissentire.

E, visto che ci siamo, che fine ha fatto quella difesa della libera stampa che la sinistra alza, in questi
giorni più che mai, come un vessillo? D’Alema annuncia un’intimidatoria querela, il suo pretoriano
Luigi Zanda ci insulta in modo volgare. Fateci capire: non vorrete mica che qualcuno possa pensare
male. Per esempio che la libertà che avete in mente sia quella per cui i vostri giornali di riferimento,
Repubblica in testa, hanno il diritto-dovere di intrufolarsi quotidianamente sotto le lenzuola di
signore e signorine di dubbia reputazione sperando di trovare qualche traccia del passaggio del
Cavaliere, mentre tutti gli altri devono star lì a fare il coro. E appena «steccano», via con le querele.
Non sarebbe molto democratico, diciamo. E comunque, spiacenti ma noi la pensiamo in modo
diverso.
Noi pensiamo, e l’abbiamo ripetuto più volte, che non ci piace lo spettacolo a cui stiamo assistendo
in questi giorni. Ma ancor meno ci piace l’idea che sia stato allestito solo e unicamente perché il
protagonista si chiama Silvio Berlusconi. I tribunali speciali ci fanno un po’ paura. Sono settimane
che l’inchiesta di Bari sta tenendo banco, senza peraltro andare un passo più in là di Patrizia
D’Addauro e del suo registratore nascosto. Sono settimane che Repubblica e i suoi fratelli ci
ammanniscono ogni giorno sempre lo stesso piatto, con gli stessi ingredienti mescolati in modo
diverso e condito da insinuazioni spacciate per domande.

Ora qualche domanda vorremmo farla anche noi, se non vi è di troppo disturbo. Perché l’inchiesta
sui D’Alema boys è stata chiusa così frettolosamente? Che cosa ha esattamente ricevuto in cambio
dei suoi servizi la maîtresse che forniva le ragazze? È vero che appalti che riguardavano anche
società partecipate dallo Stato sono stati inquinati da questo vorticoso giro di squillo a Montecitorio
e dintorni? Come mai la nostra solerte magistratura (che a Bari sta facendo sfilare in Procura
lucciole, escort e trans per stabilire quante feste si tengono a Cortina) non ha sentito l’esigenza di
appurare chi era quel «politico molto influente» che ha goduto dei favori di una prostituta
all’interno della Camera dei deputati? Perché nessun investigatore è stato punto dalla curiosità di
approfondire i rapporti tra la famosa maîtresse e l’onorevole Lorenzo Cesa, cattolico, attuale
segretario dell’Udc, visto che i due erano in società insieme? Come mai in quel caso nessuno si
affrettò a passare le «carte» agli organi di informazione? Qualcuno crede davvero che l’indagine
rivelata dal Giornale non contenga elementi molto più seri di quella che sta avvelenando la vita del
Paese da settimane? Qualcuno crede davvero che quella vicenda si sarebbe risolta in modo così
rapido e indolore se al posto di D’Alema ci fosse stato Berlusconi?

Ecco le nostre domande: non sono dieci, ma ci accontentiamo. Certi che domani la Repubblica,
l’Unità, il País, il Times e tutti gli altri immacolati guardiani della democrazia le rilanceranno da par
loro. In nome della libertà di stampa e per il bene della nazione.

Fonte Il Giornale

Roma, 25 giu. (Adnkronos) -- “Saremo ben lieti di discutere in un’aula di tribunale con
l’onorevole Massimo D’Alema i contenuti dell’articolo pubblicato oggi dal ‘Giornale’, dal
momento che tutto cio’ che e’ scritto fa parte di un’inchiesta che noi abbiamo riportato
fedelmente”. Lo si legge in un comunicato del quotidiano diretto da Mario Giordano, che
replica cosi’ all’annunciata querela del parlamentare del Pd per un servizio pubblicato oggi.

CESA: ‘IL GIORNALE’ REPLICA “NOTIZIA SI FONDA SU DATO DI FATTO


INCONTROVERTIBILE”

(IRIS) -- ROMA, 26 GIU -- ”In relazione alla querela annunciata dall’onorevole Lorenzo
Cesa, ‘il Giornale’ ribadisce che la notizia pubblicata si fonda su un dato di fatto
incontrovertibile: Cesa era socio, nella Global Media Srl, di R.F., la mai’tresse che aveva
organizzato un giro di squillo per ottenere favori da un gran numero di politici, tra i quali
alcuni stretti collaboratori di Massimo D’Alema”. Così in una nota la segreteria del
quotidiano ‘Il Giornale’, in replica all’annuncio del segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa di
querelare il quotidiano. ”In quella societa’ -si legge ancora nel comunicato- Cesa era
intestatario di quote per 11 milioni, R.F per otto”.

esa parla di droga e puttane. Dimentica il caso Mele?


MA L’UDC NON SCAGLI LA PRIMA PIETRA…
Il segretario centrista, tirato in ballo da il Giornale rifiuta sdegnato
la mano tesa del Cavaliere. Ma il suo partito ha poco da insegnare
di Redazione. Roma (Italia) – Lorenzo Cesa, e chi sarebbe costui? Ma sì, il segretario dell’Udc
che invocò stipendi più alti per i parlamentari; in modo che, spiegò, i suoi deputati e senatori
potessero portarsi fino a Roma le mogli senza più aver bisogno di andare a puttane. Adesso questo
Cesa fa il piccato e respinge la solidarietà offerta dal premier Silvio Berlusconi, a proposito di
certe accuse della stampa di centrodestra su giri di mignotte (tanto per cambiar tema). “Non ho mai
partecipato a festini, né ho mai frequentato minorenni o persone che fanno uso di droga - ha
affermato in una nota il segretario dell'Udc -. Rispetto tutti, ma non accetto solidarietà da nessuno,
in particolare dal presidente del Consiglio”.
SPREZZANTE. Un tale sprezzo da verginella verso Berlusconi (costretto a ribadire di non aver
mai avuto storie con ragazze, né di drogarsi, né di organizzare festini) sorprende da un tipo che si
mostrò cosi comprensivo verso i suoi parlamentari affamati di sesso. La vicenda è nota. Nel luglio
2007 scoppiò lo scandalo dell’hotel Flora: un parlamentare aveva trascorso la notte in una suite
dell'hotel in via Veneto a Roma con una mercenaria (pare anche fossero due) che venne ricoverata
d’urgenza in ospedale stroncata da un mix di cocaina e alcol. Dopo qualche giorno, vistosi
scoperto, il deputato dell’Udc Cosimo Mele ammise di essere l’accompagnatore della donna,
anche se spiegò di non sapere nulla della droga.

GIRO DI SQUILLO. Questo era uno dei compagni di partito di Cesa il quale, tuttavia, adesso si è
inalberato non poco perché il Giornale lo ha tirato in ballo una presunta inchiesta della
magistratura (che si sarebbe conclusa il 4 ottobre 2000 con la condanna di una maitresse) dove
ancora si parla di prostitute. Una faccenda che ai tempi ebbe scarsa eco ma che, dati gli
“ingredienti” viene rilanciata dalla stampa di centrodestra.

26 giugno 2009 (aggiornato al 27 giugno)

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