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LUTERO, TRA “PRESUNZIONE” E UMILTÀ

“Tu solo hai la verità?” Parole del genere vennero dette a Martin Lutero sin da
quando iniziò la Riforma e furono una tale costante nella sua vicenda che possono essere
assunte come punto prospettico per cogliere ancora meglio la battaglia che il Riformatore
ha dovuto combattere a suo tempo e la sua levatura spirituale. Tutt’oggi rimane l’idea che
egli sia stato un uomo estremamente presuntuoso, tanto che qualcuno ha scritto di
recente: “Lutero ebbe la presunzione di erigere le sue vedute sopra e contro il giudizio
della Chiesa, la sua (fallibile) coscienza avanti a tutto, anche a costo di spaccare la
Chiesa”1.
Proprio all’inizio “i teologi dell’università di Erfurt - città dove aveva studiato -
accusarono Lutero di temerarietà, arroganza e superbia”, al che ribatté: “Chi mai potrà
produrre qualcosa di nuovo, senza una qualche dose di superbia?” 2 La “novità” per cui
Lutero era tacciato di presunzione era che voleva rifondare la teologia sull’unico
fondamento della Scrittura, tagliando fuori la filosofia e tutto ciò che le era estraneo! Ma
evidentemente questo significava scalzare un mondo per il quale, il parlare di Lutero era
come lo “starnazzare di un oca in un lago di cigni”. Troppo grezzo per competere con la
raffinatezza dei teologi-filosofi-benpensanti del tempo. Porre la Bibbia al centro della
teologia e riportare il discorso teologico alla semplicità della Scrittura, doveva apparire per
costoro come un atto di inaudita arroganza, perché non teneva conto di quanto detto da
menti brillanti e dotte, che avevano saputo combinare teologia e filosofia.
Più tardi, in un dibattito pubblico, un suo avversario (il domenicano Giovanni Eck) lo
incalzò con questa insistente domanda: “Sei il solo che sappia tutto? E, te eccettuato, tutto
il resto della Chiesa è nell’errore?”. “Rispondo - replicò Lutero – che Dio parlò una volta
per bocca di un’asina”3. Citando l'asina di Balaam (Num.22:28), Lutero rispondeva
all'accusa di presunzione e ricollocava in un colpo solo le forze in campo: lui era l'asina,
Eck ed il sistema religioso che rappresentava era il profeta Balaam, Dio era stavolta Colui
che non parla per mezzo di un suo profeta, ma per mezzo di un asina. Non era l'unica
volta che Lutero si identificava con qualcosa di “minimo”. Già quando mandò ad Alberto di
Magonza una copia delle 95 Tesi, si rivolse a lui con queste parole: “perdonami se io,
feccia della terra, oso rivolgermi alla tua Altezza. Il Signore Gesù mi è testimone che mi
rendo ben conto di quanto io sia insignificante ed indegno … Possa l’Altezza tua
guardare a questo granello di polvere e udire la supplica che tu e il papa mi siate
clementi”4. Più avanti si identificherà pure con un “puzzolente sacco di vermi”. Questo
suo modo pittoresco di ritrarsi non era casuale, ma era in linea con la sua Teologia della
croce e del suo Deus absconditus (il Dio che si nasconde), cioè l'Iddio che si rivela nelle
cose più impensate ed inaudite quali la croce, un'asina, un puzzolente sacco di vermi. Con
questa sua risposta, Lutero evidenziava la vera questione in campo: non che un'asina
travalicasse la sua posizione e parlasse (da qui l'accusa di presunzione a Lutero), ma che
Balaam, il profeta attraverso il quale Dio avrebbe dovuto normalmente parlare, non solo
non parlava più da parte di Dio, ma Dio stesso doveva servirsi di un asina per parlare ad
un suo profeta, uno che diceva di rappresentarlo. L'allusione alla chiesa cattolica del
tempo era evidente! Ma Lutero non era il tipo di fermarsi ad una battuta, per quanto
geniale, per cui proseguì la risposta dicendo: “Ma vi dirò tutto il mio pensiero: io sono un

1
www.fraternitasaurigarum.it/wordpress/?p=1690
2
Rossi F.A., Martin Lutero e Caterina Von Bora (Ancora Editrice, Milano 2013), p. 99
3
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 91
4
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 58
teologo cristiano e sono obbligato non solo ad affermare, ma a difendere la verità a prezzo
del mio sangue e della vita. Io voglio credere liberamente, senza essere schiavo
dell’autorità di nessuno, né concilio, né università, né papa. Io confesserò apertamente
quel che mi appare come la verità, sia che lo abbia sostenuto un cattolico o un eretico
[riferimento a Jan Huss], sia che un concilio lo abbia approvato o disapprovato [riferimento
al concilio di Costanza dove Jan Huss fu mandato al rogo]” 5.
Persino il suo Padre spirituale Von Staupitz, al quale era molto legato, lo esortava
alla moderazione e all’umiltà, tanto che Lutero dovette scrivergli: “Questo non è il tempo di
inchinarsi, ma quello di gridare ad alta voce, quando si vede il Signor Gesù Cristo
condannato, ingiuriato e bestemmiato. Se mi esorti ad essere umile, io ti esorto ad essere
fiero. È una questione seria: noi vediamo che Cristo soffre: se fino ad ora saremmo dovuti
essere silenziosi ed umili, ti domando, se ora che il benedetto Salvatore è deriso, non
dovremmo combattere per Lui? Padre mio, il pericolo è più grande di quanto molti pensino
... Ti scrivo questo senza malizia, perché temo che tu esiti tra Cristo e il papa, sebbene
essi siano diametralmente opposti. Preghiamo che il Signore distrugga il figliuolo di
perdizione col fiato della sua bocca. Se non vuoi seguire questo cammino, lascia che io lo
percorra. Sono grandemente attristato nel vedervi così remissivo” 6. Lutero aveva una
consapevolezza che travalicava le persone del suo tempo. Un giorno disse infatti: “Quasi
tutti i miei conoscenti condannavano quel mio stile brusco e pungente, tuttavia, anche se i
miei contemporanei mi biasimavano, ero sicuro che le generazioni future avrebbero
condiviso il mio punto di vista”.
Ma la risposta più “autorevole” alla domanda: “tu solo hai la verità?” la diede
l’imperatore Carlo V, la massima autorità politica del tempo, colui che un giorno disse “sul
mio impero non tramonta mai il sole”, il quale mise Lutero al bando (il che era l’anticamera
del rogo) con queste parole: “Un frate solo che va contro tutta la cristianità di un migliaio di
anni dev’essere nell’errore”7. Proprio un verdetto senza appello!
Tuttavia, la cosa più sorprendente è che Lutero stesso avrebbe voluto dare ragione
ai suoi avversari ed essere libero di poter dire: “mi sono sbagliato, mi ritratto, mi pento,
non c'è più bisogno d’essere scomunicato, messo al bando o mandato al rogo...”. In una
lettera all’imperatore Carlo V scrisse: “Ho scritto dei libri che sono spiaciuti a molti, ma l’ho
fatto condottovi da altri, perché per conto mio non desidero altro che rimanere
nell’oscurità. Per tre anni ho invano cercato la pace … chiedo una sola cosa: che né la
verità né l’errore siano condannati prima di essere stati uditi e confutati” 8. Anche dopo
l’esperienza trionfale di Worms, quando si trovava protetto nel castello della Wartburg,
combatté col dubbio, se aveva fatto la cosa giusta: “Tu solo sei saggio? Per tanti secoli si
è rimasti nell’errore? E se tu sbagli e trascini tanti altri con te nella dannazione eterna?” 9.
Lutero avrebbe voluto essere libero da questa “presunzione” di avere solo lui la
verità e tornare a vivere sereno. Si era fatto carico di un “fardello” del quale avrebbe fatto
volentieri a meno, ma, proprio quando ebbe la possibilità di ritrattare dinanzi alle maggiori
autorità politiche e religiose del suo tempo (Worms 1521), proprio quando la sua vita era
appesa alle sue stesse parole, proprio allora rivelò quale fosse il suo vero “dramma”: “la
mia coscienza è prigioniera della Parola di Dio, non posso e non voglio ritrattare. Che Dio
mi aiuti!”.
Con queste parole, Lutero aveva dimostrato di non essere tanto prigioniero del suo

5
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 91
6
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 143
7
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 155
8
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 122
9
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 162
orgoglio, della sua superbia e della sua presunzione, anche se si era messo da solo
contro tutti, ma era prigioniero di qualcosa di più grande, che legava la sua coscienza e gli
impediva di rinnegare le sue convinzioni: egli era indissolubilmente vincolato alla Parola di
Dio. Egli aveva approfondito per diversi anni ciò che la Parola di Dio afferma intorno alle
importanti tematiche della colpa, della salvezza, della fede, della grazia, delle indulgenze e
della sola autorità e ne era rimasto segnato, impregnato, vincolato.
Non disse che la sua coscienza era prigioniera della sua ragione, delle sue
convinzioni, delle sue opinioni e che fossero queste che voleva difendere davanti a tutto il
resto del mondo, nel qual caso, veramente avremmo potuto dire che la sua era solo
presunzione. Non disse neppure che la sua percezione della Parola di Dio fosse l’unica
giusta ed ammissibile, laddove tutti gli altri erano in errore. Anche questa sarebbe stata
una forma di presunzione. Esattamente lui disse: “A meno che non sia convinto con la
Scrittura e con chiari ragionamenti (poiché non accetto l’autorità di papi e concili che si
sono contraddetti l’un l’altro), la mia coscienza è prigioniera della Parola di Dio. Non posso
e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro coscienza. Iddio
mi aiuti. Amen”10.
Sostanzialmente, con queste parole lui ribaltò l’accusa di presunzione che gli veniva
mossa, mostrando che la vera presunzione è quella che si eleva al di sopra dell’autorità
della Parola di Dio, alla quale soltanto, la coscienza deve restare vincolata. E per evitare di
dar l’idea che la sua presunzione fosse quella di considerarsi l’unico interprete della
Scrittura (cosa che invece pretendeva il magistero cattolico), Lutero disse che era disposto
a ritrattare se qualcuno lo avesse convinto con la Scrittura che aveva sbagliato. Lutero non
pensava di avere la verità in tasca, ma nel suo ritenersi prigioniero della Scrittura, pensava
che era la verità che aveva in tasca lui ed è per questo che parlava con una tale fermezza,
franchezza e fierezza, da essere scambiata per presunzione e arroganza, da chi non
voleva venire alla conoscenza della verità.
Insomma, si può pensare che Lutero non poteva dare risposta migliore alla
domanda: “Tu solo hai la verità?”, affermando che la verità non era né sua, né del Papa,
ma della Scrittura, la quale soltanto è l’autorità chiara ed incontrovertibile, alla quale
dobbiamo vincolare la nostra coscienza, restando comunque aperti a modificare le nostre
convinzioni bibliche con argomentazioni migliori e biblicamente più fondate. Davanti alla
Scrittura ed alla sua autorità, non dobbiamo avere paura di dire: “mi ritratto … ho
sbagliato”, anche se Dio dovesse usare un asina per parlarci. Ma per la Scrittura ed in
nome della sua autorità dobbiamo anche avere il coraggio di dire: “È così … sta scritto”,
anche se dovessimo essere soli ad affermarlo ed essere per questo tacciati di
presunzione!
Tuttavia, bisogna pure dire che a Worms non ha trionfato la coscienza individuale
nel modo in cui l’intendeva l’umanesimo ed il moderno individualismo. È vero che c’è stata
una rivendicazione della dignità della coscienza individuale nei confronti del sistema, sia
esso politico che religioso, ma questo elemento va visto alla luce di altri due elementi.
1. La coscienza individuale è sì libera davanti al sistema, di affermare la propria
dignità, ma paradossalmente, questa libera dignità non è così libera, ma prigioniera
di un’autorità maggiore, quella della Parola di Dio. Basta fare un parallelo tra le
parole di Lutero a Worms e lo scritto di Pico della Mirandola sulla Dignità dell’uomo,
per rendersi conto della sostanziale differenza.
2. La coscienza individuale è sì libera di affermare le proprie idee, ma è anche
disposta a cambiare convincimento dietro una migliore visione della Scrittura e dei

10
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 154
migliori ragionamenti. Una coscienza quindi, non chiusa in sé stessa, ma aperta al
confronto, qual’ora il criterio ultimo di tale confronto sia la Scrittura, che per Lutero
era l’unica autorità a cui deve sottostare la coscienza.
La cartina tornasole, che dimostra come Lutero non cercava onori per sé, ma solo
che la Parola di Dio trionfasse, la vediamo dopo il trionfo di Worms, quando venne
osannato più che mai. Proprio allora lui scrisse: «Per prima cosa chiedo di tacere il mio
nome e di non chiamarsi luterani, ma cristiani. Cos’è Lutero? L’insegnamento non è mio …
Come potrebbe essere che io, povero puzzolente sacco di vermi, dia il mio nome ai figli di
Cristo? Quindi caro amico lascia che vengano cancellati i nomi di parte. Io non sono e non
voglio essere il maestro di nessuno. Assieme a tutta la comunità io posseggo l’unico
comune insegnamento di Cristo che è il solo nostro maestro (Matteo XXIII)»11. Egli
attribuiva il suo trionfo all’esclusiva opera di Dio, come si può bene vedere in queste sue
parole: “Guardate quante cose Egli è stato capace di compiere per mezzo mio, sebbene io
non abbia fatto altro che pregare e predicare. La Parola di Dio ha fatto ogni cosa. Se
l’avessi voluto, avrei potuto far scoppiare un conflitto a Worms. Ma mentre me ne stavo
tranquillo e bevevo birra con Filippo e Amsdorf, Dio assestava al papato un colpo
formidabile”12.
Se è vero che la storia è maestra di vita e che nell’identità evangelica permane una
certa considerazione di ciò che Lutero ha fatto e di come Dio lo ha usato, crediamo che sia
importante enucleare alcune “lezioni” sulla base di quanto detto finora.
Da un lato, proprio in tempi di relativismo, non dobbiamo perdere la fermezza e lo
zelo che la verità biblica esige, anche a rischio di essere tacciati di presunzione, animati
dalla profonda convinzione che ciò che diciamo è fondato sulla Scrittura e da ragionamenti
tratti da essa. Dobbiamo respingere con forza ogni autorità che voglia scalzare l’autorità
della Scrittura, sia essa un’istituzione umana, la ragione, la logica o l’esperienza. “Ogni
creatura faccia silenzio in presenza del Signore” (Zac 2:13). Questa è la vera presunzione:
continuare a parlare, a fare la voce grossa, ad appoggiarci sul nostro discernimento nelle
cose in cui Dio ha parlato. Dobbiamo “praticare il non oltre quel che è scritto” (1Cor.4:6).
Dobbiamo affermare che la vera umiltà non è essere remissivi verso l’errore, ma essere
colui del quale dice il Signore: «Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che
ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola” (Isaia 66:2).
D’altro canto, vivendo pure in tempi di individualismo, dobbiamo essere umili e
restare aperti all’ascolto di eventuali migliori ragionamenti biblici che ci aiutino e rivedere
qualcosa delle nostre convinzioni. La Parola di Dio deve restare l’ultima istanza, anche
dinanzi alle nostre convinzioni più ferree. Il Signore ha parlato una volta e per sempre, ma
noi dobbiamo sempre ascoltare. E il Signore non parla solo all’individuo, ma spesso parla
al plurale: “Ascolta Israele” (Dt.6:4). Come è stato detto da un noto teologo evangelico: “Il
cristiano evangelico corre il rischio di diventare il papa di sé stesso, se non legge la Bibbia
nella comunione della Chiesa”. Un vero ascolto crea infatti condivisione attorno alla Parola
di Dio, perché si è in sintonia con Colui che parla. Ciò è quello che l’apostolo Giovanni
scriveva con queste parole: “quel che abbiamo visto e udito noi lo annunziamo anche a
voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e
con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1Gv.1:3).
Dio ci aiuti a realizzare nella vita quell’equilibrio tra fermezza e umiltà che Lutero ha
saputo mirabilmente sintetizzare nella sua coraggiosa frase pronunciata alla dieta di
Worms.

11
Lutero M., Una fedele ammonizione a tutti i cristiani (uno scritto redatto nel 1522 nella Wartburg)
12
Bainton R., Lutero (Einaudi, Torino 2003), p. 181

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