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PRIMO

MAGGIO
Marzo 2018

saggi e documenti per una storia di classe

NUMERO
SPECIALE
Abbiamo voluto che questo speciale dedica- la esperienza o comunque contigue a quella e per-
to a Primo Moroni fosse un prodotto culturale a ché oggi l’operaismo suscita di nuovo l’interesse
sé stante, con una sua autonomia rispetto all’an- di militanti e studiosi di qua e di là dell’Atlanti-
niversario che lo ha sollecitato. Volevamo che ri- co. Ma è il presente che pone le giuste domande
manesse fedele alla tradizione della rivista, che agli storici. Ad esso sono dedicate le quattro in-
è stata una rivista di storia. Un gruppo di artico- terviste iniziali, su INFORMATICI ITALIANI,
li affronta tematiche di questo tipo: LEGGERE BITCOIN, CASA POUND e IG METALL ed i
L’AMBIENTE DA STORICI, IL MESTIERE due saggi sulla CINA e su DONALD TRUMP.
DI DUCCIO, IL MUSIL DI BRESCIA e l’AN- Di grande attualità e coerente con la tradizione
NALE FELTRINELLI, parlano di storia da di- della rivista il gruppo di saggi su logistica e tra-
verse angolature, quella della metodologia della sporti: I PORTI, IL LAVORO PORTUALE, LA
ricerca e quella della trasmissione della memoria. LOGISTICA COME LOGICA DEL CAPITA-
Sotto un diverso profilo anche il gruppo di artico- LE. Le lotte delle donne potrebbero riempire vari
li dedicati all’operaismo possono essere conside- numeri, qui abbiamo scelto un loro versante ironi-
rati di storia: OPERAISTI IN EUROPA ANNI co, graffiante e divertente, la rivista online ASPI-
’70, L’OTTOBRE RUSSO AL SENATO di Ma- RINA, che ci piace accostare al saggio di cultu-
rio Tronti e AUTONOMIA E SOGGETTIVI- ra e di costume sui BEATLES. Infine, ricordan-
TÀ: L’INCHIESTA IERI E OGGI. Perché l’ope- do i compagni scomparsi, PRIMO MORONI e
raismo? Perché il nucleo redazionale era compo- LAPO BERTI, abbiamo rinnovato un vincolo che
sto da persone provenienti direttamente da quel- non si spezza, finché siamo in vita.
Sommario

3 Omaggio a Primo Moroni Cesare Bermani, Sergio Bologna, Bruno Cartosio


4 Gli informatici italiani: tra libera professione e caporalato Intervista a Michele Pacifico
8 I segreti del Bitcoin Intervista a Christian Marazzi
12 A casa di Pound Intervista a Benedetta Tobagi
14 Luci e ombre dell’accordo IG Metall Intervista a Nele Dittmar e Klaus Neundlinger
18 La Cina nella globalizzazione Romeo Orlandi
25 “Donald Trump è fascista?” Bruno Cartosio
30 La logistica è la logica del capitale Anna Curcio e Gigi Roggero
39 I porti, dannazione della merce Andrea Bottalico
44 I portuali di Genova. 40 anni dopo Riccardo Degl’Innocenti
50 Studio 2. La storia del lavoro e la musica dei Beatles Ferdinando Fasce
54 Le voci di Aspirina la rivista Intervista a Loretta Borrelli, Piera Bosotti e Pat Carra
58 Industria e lavoro al museo (MusIL) di Brescia Pier Paolo Poggio
62 Il mestiere di Duccio Sergio Bologna
70 Autonomia e soggettività: l’inchiesta ieri e oggi Davide Gallo Lassere e Frédéric Monferrand
79 Operaisti in Europa anni ’70 Intervista a Karl Heinz Roth
83 L’ottobre russo in Senato Mario Tronti
85 Leggere l’ambiente da storici Adolfo Mignemi
89 Da “Don Lisander” alla “Calusca”. Autobiografia di Primo Moroni
103 Il cocktail ‘Lenta Ginestra’ Paolo Rabissi
107 In ricordo di Lapo Berti Claudio Greppi, Andrea Pezzoli, Sergio Bologna e Riccardo Bellofiore
112 Gli approdi mancati dell’Italia industriale Graziano Merotto e Giorgio Bigatti

“Primo Maggio”, numero speciale — Marzo 2018

Supplemento a “Altronovecento”
http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento
Rivista online promossa da:
Fondazione Luigi Micheletti
Centro di ricerca sull’età contemporanea
Via Cairoli, 9 - 25122 Brescia, Italia
Tel. 03048578 - Fax 03045203
micheletti@fondazionemicheletti.it
www.fondazionemicheletti.eu
Omaggio a Primo Moroni

Chi ha partecipato al ’68, all’autunno caldo ed ai


movimenti sociali del decennio successivo ricorderà la
rivista “Primo Maggio”. L’avevamo fondata nel 1973,
sarebbe durata fino al 1988. Cercavamo un editore, ci
portarono in piazza Sant’Eustorgio a Milano, dove c’e-
ra una piccola libreria, un bugigattolo, ma gestita da
un grande uomo, Primo Moroni. È scomparso vent’an-
ni fa, vittima della malattia del secolo. Per ricordarlo
abbiamo ripescato quel titolo “Primo Maggio”, anche
perché aveva un sottotitolo intrigante: “saggi e docu-
menti per una storia di classe”. Volevamo fare una rivi-
sta di “storia militante” ed è questo che suscitò l’inte-
resse di Primo Moroni, un uomo di straordinaria sensi-
bilità culturale che colse al volo cosa c’era dietro quel
termine di “storia militante”. C’era la consapevolezza
che scrivere di storia, riorganizzare la memoria, rico-
struire il passato, è un’attività, un mestiere, che richie-
de grande passione politica, esige la scelta di stare den-
tro le cose e non di astrarsene per guardarle con distac-
co e giudicarle “obbiettivamente”. Noi volevamo es-
sere parziali, schierati da una parte, da quella di colo- (fotografia di Salvatore Galano, Arch. Fot. Regione Lombardia)
ro che lavorano ma non godono dei frutti del loro lavo-
ro, di coloro che creano ma non godono dei frutti del- la Biblioteca di storia contemporanea che a Brescia cu-
la loro creatività, di quelli che dicono la verità ma per stodisce documenti di grande importanza per la storia
questo hanno la vita dura. E questo, nella pratica del- del Novecento. Anche Luigi aveva capito perfettamen-
la storia, porta spesso a sorprendenti scoperte o a risco- te il senso dell’uso pubblico della storia e, non conten-
prire vicende su cui era calato il silenzio. Noi che ab- to di aver fondato un centro di studi e di documentazio-
biamo fondato questa rivista, dato che siamo ancora in ne, ebbe l’idea di costituire anche un Museo dell’indu-
circolazione, malgrado i decenni che ci portiamo sul stria e del lavoro del Novecento. Qui ne parla Pier Pa-
gobbo, per ricordare Primo abbiamo chiamato a rac- olo Poggio. A lui ed ai suoi giovani collaboratori, che
colta persone che lo avevano conosciuto – ma anche ci hanno permesso di confezionare questo prodotto di-
giovani che ne hanno solo sentito parlare – per costru- gitale, va il nostro ringraziamento. Ma anche a tutti gli
ire con loro questo “numero speciale” con tematiche amici che hanno voluto essere presenti in questo omag-
che avevamo già affrontato con lungimiranza 40 anni gio a Primo Moroni, un uomo che ha segnato la cultu-
fa o tematiche di oggigiorno. Abbiamo fatto un pro- ra milanese ed ha contribuito a trasformarla ben oltre
dotto online e non abbiamo trovato posto migliore per il perimetro del cosiddetto underground. Primo è stato
renderlo disponibile che il sito della fondazione crea- qualcosa di ben diverso dall’immagine stucchevole che
ta da Luigi Micheletti, un altro grande uomo, opera- di lui spesso viene fatta, personaggio pittoresco dei Na-
io di fabbrica, comandante partigiano, piccolo impren- vigli che canta le gesta della vecchia mala. Primo è sta-
ditore, che ha investito la sua piccola fortuna in quel- to un innovatore.
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Gli informatici italiani:
tra libera professione e caporalato

Milioni di italiane e di italiani non sanno di aver contenitori di lamiera che fungevano anche da cas-
imparato a usare il personal computer anche grazie a setti.
te, che hai scritto – spesso usando pseudonimi – ma- Quelle schede contenevano i dati per calcolare pa-
nuali sui programmi più importanti (Windows, Excel ghe e stipendi, gestire i materiali nei magazzini, emet-
ecc.). Avendo fatto parte tu, filosofo e allievo di un tere le fatture, tenere aggiornati i libri contabili e mol-
grande maestro come Umberto Segre, del nucleo ori- to altro: erano la memoria storica della realtà azien-
ginario dell’Olivetti Elettronica, vorremmo porti al- dale.
cune domande sui primordi delle macchine da calco- Tutte le grandi imprese avevano un proprio cen-
lo. Nell’opinione comune la nascita del calcolo mec- tro meccanografico, quelle più piccole ricorrevano ai
canico e poi dell’elettronica viene associata a quella servizi offerti dalle imprese costruttrici delle macchi-
di una forza lavoro altamente qualificata e ben paga- ne meccanografiche oppure da società di servizi cre-
ta, una nuova élite dotata non solo di privilegi ma an- ate da accorti imprenditori che avevano intuito l’esi-
che di potere che la conoscenza dei nuovi linguaggi stenza di un mercato in potenziale sviluppo.
le conferiva. Corrisponde a realtà questa immagine L’elaborazione vera e propria dei dati si eseguiva
o invece anche allora, accanto a uno strato di tecnici tutti i giorni trattando lotti di schede perforate e ac-
d’élite, c’era un ampio bacino di forza lavoro dequa- cumulando risultati parziali per arrivare progressiva-
lificata alla quale venivano affidati in outsourcing i mente a ottenere i risultati a stampa necessari, i co-
compiti più ripetitivi? siddetti “tabulati” entro le scadenze (per lo più men-
sili) in cui dovevano essere pronti: tipicamente, i ce-
Per rispondere con adeguata chiarezza a questa dolini delle retribuzioni, i listati per gli adempimen-
complessa domanda è necessario, secondo me, fare ti fiscali (l’Imposta Generale sull’Entrata nota come
un po’ di storia del fenomeno che oggi si chiama “in- IGE, l’antesignana dell’IVA) e le fatture. Il grosso del
formatica”, ma che alle origini era detto “meccaniz- lavoro era la perforazione delle schede nelle quali si
zazione”. memorizzavano i dati di base per la gestione: ore la-
Nati alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti i si- vorate, materiali movimentati e così via.
stemi a schede perforate per l’elaborazione di dati Il lavoro di perforazione delle schede era istitu-
aziendali si diffusero rapidamente prima negli USA e zionalmente delegato a personale femminile, giovani
successivamente in tutti i paesi industrializzati. donne, spesso appena maggiorenni, che imparavano
In Italia la meccanografia venne introdotta dalla molto presto a volteggiare le dita sulle tastiere delle
società americana International Business Machines, perforatrici e delle verificatrici, arrivando rapidamen-
in sigla Ibm, alla quale si affiancò dopo la seconda te ai livelli di produttività richiesti (da quattro a otto
guerra mondiale la francese Compagnie des Machi- perforazioni al secondo).
nes Bull, rappresentata nel nostro paese da una socie- Per molte imprese di medie dimensioni non era
tà della Olivetti chiamata Olivetti-Bull. conveniente impiegare direttamente il personale ne-
Si chiamavano “centri meccanografici” o “Centri cessario per la perforazione delle schede e questo fa-
Elaborazione Dati” (in sigla CED) gli spazi operati- vorì lo sviluppo nel corso degli anni Cinquanta di una
vi occupati nelle aziende dai sistemi meccanografici. serie di “botteghe” dotate di qualche macchina per
Il cuore di un centro meccanografico, più che le perforare e per verificare le schede dove affluivano
macchine, era costituito dalle schede perforate, mi- pacchi di moduli contenenti i dati da trascrivere su
gliaia e migliaia di cartoncini conservati in lunghi scheda.

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Non esistono testimonianze scritte sul modo di compito di preparare i pannelli per la tabulatrice ve-
operare né sulle dimensioni di queste botteghe del niva assolto da personale della casa fornitrice, quindi
“data entry”, ma non siamo lontani dalle caratteristi- nel nostro caso Ibm o Olivetti-Bull, occasionalmente
che del “cottimo familiare” che nello stesso periodo si ricorreva a professionisti indipendenti, che veniva-
proliferava nei settori industriali della maglieria e del- no pagati su fattura e talvolta in nero (quando il com-
le calzature. Siccome le macchine da usare erano piut- mittente era una piccola società).
tosto ingombranti e rumorose non venivano installate Nel 1960, i computer di nuova generazione – 1401
nelle abitazioni private come accadeva per le macchi- di Ibm ed Elea 9003 di Olivetti – cambiarono radical-
ne per cucire, ma in spazi operativi spogli e austeri, ti- mente il modo di elaborare i dati, perché utilizzava-
picamente ex garage o magazzini industriali. no per archiviarli i nastri magnetici invece delle sche-
In gran parte dei casi, le ragazze addette al lavoro de perforate.
di perforazione e verifica delle schede erano pagate in Gradualmente scomparvero i centri meccanografi-
nero, non diversamente dall’esercito delle lavoratrici ci e vennero sostituiti da Centri Elaborazione Dati o
impegnate nel cottimo familiare. CED, dove la scomparsa delle schede perforate come
Nelle aziende di grandi dimensioni l’organico del supporto per l’archiviazione dei dati provocò una dra-
centro meccanografico era piuttosto cospicuo: nel stica riduzione degli operatori tradizionali, quelli che
1957 nella sede centrale della Olivetti a Ivrea gli ad- spostavano sistematicamente cassetti di schede da
detti erano una trentina di perforatrici, circa quaranta una macchina all’altra, per i quali si ricorse nei casi
operatori che lavoravano su due turni di otto ore, in- migliori a una riqualificazione nello stesso ambito la-
quadrati da una decina di capi-operatori ai quali si ag- vorativo.
giungeva una decina di tecnici specializzati. La riqualificazione non fu facile per nessuno, per-
Il lavoro degli operatori era estremamente sempli- ché il lavoro nei CED comportava lo sviluppo di pro-
ce e molto faticoso, richiedendo una discreta potenza grammi per il computer, attività per la quale era ne-
fisica per spostare a più riprese decine di contenitori cessario conoscere il linguaggio della macchina, lin-
di schede perforate predisposti per alimentare le varie guaggio che nelle fasi iniziali era particolarmente ar-
macchine in base a sequenze rigorosamente predefi- duo da imparare e da utilizzare.
nite: i contenitori quasi sempre erano riempiti fino a Ai pannellisti subentrarono quindi i programma-
saturarne la capacità (che era di circa 3.000 schede), tori, persone capaci di scrivere programmi da far ese-
per cui pesavano sugli 8-9 chili. guire al computer per ottenere almeno gli stessi risul-
L’impegno intellettuale richiesto agli operatori era tati che si era soliti ottenere con le macchine mecca-
vicino allo zero: il loro compito era alimentare con le nografiche.
schede le diverse macchine, rispettando le procedure Soltanto una concezione romantica e del tutto in-
specifiche per ogni lavorazione, si trattasse di fattura- consapevole della vita aziendale potrebbe definire i
zione o di conteggio delle retribuzioni. programmatori che lavoravano nei CED delle gran-
Un ruolo distinto e di livello intellettuale notevole di aziende “una forza lavoro altamente qualificata e
era invece quello dei pannellisti, operatori specializ- ben pagata, una nuova élite dotata non solo di privi-
zati nell’impostare e far funzionare i “pannelli”. legi ma anche di potere che la conoscenza dei nuovi
Che cosa sono i pannelli? Sono l’antenato del sof- linguaggi le conferiva.”
tware. La tabulatrice, la macchina principe fra quel- Era indubbiamente qualificata, ma i livelli retribu-
le che elaboravano schede perforate, veniva pilotata tivi non erano diversi da quelli dei lavoratori di altre
nel suo lavoro da un pannello di alluminio della di- aree aziendali (i sindacati di allora si sarebbero op-
mensione di un grosso libro, sul quale erano predi- posti fieramente a un inquadramento retributivo di-
sposti una serie di buchi in orizzontale e in vertica- verso da quello degli altri impiegati amministrativi),
le, che formavano una matrice rettangolare. Il pannel- non godeva di particolari privilegi eccetto quelli ri-
lista aveva a disposizione una serie di cavetti di filo conosciuti contrattualmente a chi lavorava a turni, e
di rame isolato, dotati di due spinotti alle estremità. la conoscenza dei linguaggi di programmazione pote-
Il suo lavoro consisteva nell’infilare uno spinotto in va al massimo favorire un passaggio di categoria, ma
uno dei buchi del pannello e l’altro spinotto in un al- nient’altro.
tro buco, scelto opportunamente. I cavetti avevano la Per certi versi, i professionisti informatici che la-
funzione di prendere il segnale elettrico in arrivo dalla voravano nei CED delle aziende grandi e medie era-
lettura di una colonna di una scheda perforata e di de- no potenzialmente un fastidio, perché erano percepi-
viarlo verso un dispositivo intermedio, un totalizzato- ti come estranei rispetto ai ruoli aziendali abituali. In-
re, per esempio. In questo modo, con un solo passag- quadrati di solito nel settore amministrativo, non era-
gio delle schede nella tabulatrice si potevano eseguire no ragionieri né si occupavano di bilanci, di fatture
più operazioni. I pannelli erano vere e proprie opere o di credito, quindi non facevano parte di quella fa-
d’arte, i cavetti formavano matasse inverosimilmente miglia. Cosa ancora peggiore, erano sostanzialmente
aggrovigliate, su un pannello un esperto riusciva a in- estranei al settore produttivo della impresa nella qua-
filare decine di cavetti. le lavoravano: se era un’acciaieria, non conoscevano
Nei centri meccanografici di piccole dimensioni il né frequentavano i forni e le colate, se l’azienda fab-
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bricava macchine gli informatici non le conoscevano ri esterni per intervenire con adeguate modifiche sui
e come tali erano fuori dal patriottismo aziendale, che programmi esistenti: fu questo un caso di outsourcing
spesso faceva (e tuttora fa) da legante per chi lavora in per attività non banali e di notevole importanza, che
un determinato settore. impiegò forza lavoro qualificata; i bacini “di forza la-
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i voro dequalificata” non sono mai esistiti nel mercato
programmi per i computer non sono qualcosa di sta- dell’informatica gestionale.
bile, scolpito nella pietra, ma devono essere conti-
nuamente modificati per migliorare le prestazioni, Proviamo ad applicare a questo periodo inizia-
sfruttare nuove possibilità offerte dalla disponibilità le dell’era informatica in Italia uno schema d’analisi
di macchine più moderne e per star dietro alle conti- tratto dall’esperienza odierna delle partite Iva. Si dice
nue variazioni degli adempimenti richiesti dalla ge- che una parte ha scelto la strada del lavoro indipen-
stione aziendale e dal sistema fiscale e pensionistico. dente perché, fiduciosa nelle proprie competenze, pen-
Per esempio, un programma per le retribuzioni, cioè sa di guadagnare di più e di vivere meglio di quelli che
per ottenere i cedolini degli stipendi, è una vera e pro- sono alle dipendenze di un’azienda. Una parte invece
pria cattedrale quanto a complessità, per via delle in- è costretta a scegliere il lavoro a fattura proprio perché
numerevoli regolamentazioni di cui deve tener con- le aziende, per risparmiare, esternalizzano molte fun-
to, che spesso si modificano più volte nel corso di un zioni e le affidano in outsourcing a persone che sono
anno, per ragioni fiscali o contrattuali. dei dipendenti mascherati ed hanno tutti gli oneri ma
Per far fronte a queste complesse difficoltà nasce nessuno dei benefici del lavoro salariato. Allora, nel
l‘outsourcing, che si caratterizza principalmente come vostro settore, c’era qualcuno che si metteva in proprio
una classica scelta fra “make or buy”: se la mia voca- e diventava un professionista di successo? Con l’elet-
zione aziendale è fabbricare motoscafi d’altura o tor- tronica c’era un mercato per i freelance?
tellini di pasta fresca perché impegnare costose risorse
informatiche interne per fare e gestire programmi per Un informatico altamente qualificato sa di po-
le retribuzioni? Invece di fare qualcosa che mi è estra- ter dare al suo committente un valore molto eleva-
neo compro quello che mi serve e dedico le risorse in- to e quindi vedendosi come un professionista e non
formatiche di cui dispongo a sviluppare programmi di come un dipendente è portato a mettersi in proprio,
calcolo per il profilo delle carene o per le statistiche anche per sottrarsi alle pastoie burocratiche e disci-
sulle varianti di tortellini che si vendono meglio. plinari che quando si lavora come dipendente finisco-
Questo tipo di outsourcing non è parente neppu- no sempre per prevalere. Diversamente, però, da un
re alla lontana di quello che si praticava ai tempi del- idraulico che può portarsi dietro in un ampio borso-
la meccanografia ed è all’origine della nascita e dello ne tutto quello che gli serve per lavorare, un informa-
sviluppo rigoglioso – in Italia e nel mondo – di socie- tico che lavora sui grandi sistemi deve poter accedere
tà specializzate nella produzione di “pacchetti appli- a tali sistemi per fornire i suoi servizi e questi sistemi
cativi”, come si sono spesso chiamati, cioè program- sono del cliente, non sono suoi per elementari ragioni
mi per computer predisposti per eseguire elaborazio- economiche. Lo sviluppo del lavoro autonomo in in-
ni fortemente tipiche quali il calcolo delle retribuzio- formatica è stato quindi condizionato fino agli Anni
ni o la gestione degli acquisti. Novanta del secolo scorso dalla possibilità di accede-
I CED appaltavano volentieri all’esterno il lavoro re ai grandi computer.
di “data entry”, non diversamente da come facevano i Vi sono stati quindi casi in cui l’autorevolezza pro-
centri meccanografici, ma si trattava di una forma di fessionale di chi offriva lavoro di sviluppo dei sistemi
outsourcing intrinsecamente povera, che gradualmen- era tale da consentirgli di fatturare a prezzi dignitosi
te si ridusse negli anni grazie all’avvento dei codici a il suo lavoro pur eseguendolo sui computer del clien-
barre, che aprirono un capitolo del tutto nuovo nella te e altri in cui il potere contrattuale di chi faceva i pro-
storia dell’acquisizione dei dati, sul quale sarebbe in- grammi non era altrettanto forte, rendendolo vittima di
teressante fare qualche riflessione. condizioni di lavoro di sostanziale sfruttamento, finen-
Venendo a tempi relativamente più recenti, verso do per avere tutti gli inconvenienti del lavoro autono-
la fine del secolo scorso, fra il 1998 e il 1999 si do- mo e nessuno dei vantaggi del lavoro subordinato.
vette fare un gran lavoro di manutenzione su tutto il Questo utilizzo sostanzialmente predatorio della
patrimonio informatico gestionale perché si temeva forza lavoro informatica favorì lo sviluppo di imprese
(a ragione) che a partire dall’anno 2000 tutte le date che assumevano programmatori per appaltarli a clien-
rappresentate convenzionalmente negli archivi infor- ti industriali che avevano bisogno di servizi informa-
matici nella forma “gg/mm/aa”, ovvero con l’anno tici, operando in un modo che un grande informatico
espresso con due cifre anziché con quattro sarebbero italiano, Piergiorgio Perotto, stigmatizzava in un suo
state interpretate dai programmi gestionali come rife- scritto del 1995:
rite all’anno 1900 anziché al 2000.
Gli interventi per prevenire i potenziali danni di [Lo sviluppo e l’innovazione] sarà certamente più facile
quello che fu chiamato il “Millennium bug” compor- nel campo del software, purché le aziende in questo setto-
tarono la mobilitazione di migliaia di programmato- re non si autolimitino a vendere ai loro clienti le prestazio-

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ni dei loro esperti, perseverando in una forma moderna di Se tu dovessi dare un consiglio a un giovane che sta
caporalato occultata sotto la dizione di “servizi professio- per iscriversi all’università e vuole lavorare nel set-
nali” o “body shopping”, ma si impegnino a sviluppare e a tore dell’informatica, gli consiglieresti di fare filoso-
diffondere dei veri e propri prodotti (in Piergiorgio Perot- fia o ingegneria?
to, Quando l’Italia inventò il personal computer, Milano,
Comunità, 1995, p. 101). Quando mi laureai in filosofia nel remoto 1960 i
computer in Italia muovevano i primi passi e non era-
Si può dire che c’era e continua a esserci un mer- no oggetto di insegnamento e tanto meno di studio
cato per gli informatici freelance, che possono avere nelle università e nelle scuole superiori. Cinquant’an-
successo purché seguano l’indirizzo indicato da Pe- ni dopo le cose sono cambiate parecchio e in Italia ab-
rotto, abbandonando l’universo limaccioso delle pre- biamo ottimi corsi di laurea in informatica in parec-
stazioni professionali a giornata ma impegnandosi a chie università di prestigio (si cominciò a Pisa, ma ora
sviluppare e a diffondere veri e propri prodotti. almeno dieci università di grande livello offrono cor-
si di laurea eccellenti) e sono stati sviluppati insegna-
Schematizzando al massimo, potremmo dire che menti di informatica dapprima come complementi di
l’umanità dell’era digitale è divisa in due categorie: curriculum già esistenti in Istituti Tecnici Industriali e
una minoranza che possiede i linguaggi e le tecniche in seguito si sono creati e funzionano molto bene otti-
e una massa indistinta che usa quei linguaggi e ne mi ITI nei quali si può diventare periti informatici di
viene condizionata, subendo a volte una vera e pro- buon livello. Nella parte conclusiva della mia carriera
pria mutazione antropologica. Vivere nell’era digita- ho avuto il piacere di lavorare con giovani laureati in
le può essere una grande opportunità, ma anche un informatica o periti informatici molto ben qualificati.
rischio per l’habitus mentale delle persone. Per sfug- In questa situazione, quindi, chi vuole studiare in-
gire a questo rischio, a tuo avviso, potrebbe servire formatica, ha la passione dei computer e aspira a di-
invece la conoscenza delle tecniche di programma- ventare un serio professionista ha solo l’imbarazzo
zione, in modo da essere non solo consumatori passi- della scelta, per quanto riguarda il corso di laurea, se
vi ma anche utilizzatori di linguaggi? è diplomato, o la scuola superiore se ha appena fini-
to le medie.
Temo che la mutazione antropologica che afflig- Raccomanderei lo studio professionale della filo-
ge gli utenti degli smartphone sia ormai irrimedia- sofia, quindi una laurea completa 3+2 ed eventual-
bilmente avanzata e fuori controllo, complici non mente un dottorato a chi vuole crearsi una solida base
gli smartphone, che sono innocenti computer dota- di pensiero indipendente e rigoroso, con la quale poi
ti di funzionalità telefoniche, ma quella sezione del- – se lo desidera o se gli capita l’occasione – cimentar-
la grande rete Internet che va sotto il nome di Web e si in una carriera aziendale nella quale avrebbe otti-
che è diventata un’arena sterminata nella quale può me possibilità di successo, quale che sia il settore in-
accadere (e accade) di incontrare di tutto: ottimi te- dustriale nel quale andrà a trovarsi, quello della gran-
sti letterari da scaricare sul proprio computer e leg- de informatica o quello della grande distribuzione
gere con gioia e mostruose aberrazioni quali i filmati o dell’aeronautica civile. Non è un caso che Sergio
dei tagliagole islamici o le deliranti lepidezze dei po- Marchionne sia laureato in filosofia.
litici più estremi.
Dagli aspetti negativi del Web non ci si può difen- Michele Pacifico
dere usando le tecniche di programmazione, che pure
si possono apprendere con poco sforzo, essendo tutte Michele Pacifico si è laureato in filosofia all’Università degli
oggi diventate molto più semplici da usare di quelle Studi di Milano nel gennaio del 1960 discutendo una tesi su “Logi-
ca e linguaggio in W. V. Quine” con Enzo Paci e Ludovico Geymo-
degli Anni Sessanta e Settanta: si può con un impegno nat. È stato assistente volontario alla cattedra di Filosofia Mora-
relativamente semplice modificare una pagina Face- le della stessa Università dal 1960 al 1974. Ha ottenuto il diplo-
book che non ci piace, ma a che pro? Verrebbe imme- ma International Teachers Program (ITP) della Harvard Business
diatamente rigenerata com’era da chi l’ha creata pie- School nel 1971. Ha lavorato come dirigente industriale in Olivet-
ti, Fiat, Motta, GEPI e Pirelli dal 1960 al 1986. Ha scritto e pub-
na di sciocchezze o di deliri nazisti. blicato una cinquantina di libri di informatica, molti dei quali fir-
Oggi si può, senza troppo impegno intellettua- mati con pseudonimi.
le, imparare una qualche tecnica di programmazio-
ne, un “linguaggio” se vogliamo, col quale creare una
propria pagina Web e provare con questa a mantene-
re una propria identità non riconducibile a quella de-
vastante e devastata della grande massa disarmata. In
questo modo si può tentare di non essere soltanto con-
sumatori passivi.
Sei nato filosofo, sei diventato un manager, poi un
consulente e oggi torni ai tuoi amati studi filosofici.
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I segreti del Bitcoin

Il “Guardian”, giornale molto attento alle storture la guerra alle criptovalute, a cominciare dal Bitcoin,
del mondo finanziario, scrive: “Il Bitcoin è la prima e per appropriarsi della tecnologia blockchain e poter
la più grande ‘criptovaluta’, un bene digitale negozia- riaffermare la centralità dell’intermediazione banca-
bile decentralizzato. Se si tratti di un cattivo investi- ria su nuove basi.
mento è la domanda da 97 miliardi di dollari (letteral- Per questa ragione credo sia importante capire il
mente, poiché questo è il valore corrente di tutti i Bit- concetto, l’idea che sta dietro il Bitcoin. Non solo dal
coin in circolazione). Il Bitcoin può essere utilizzato profilo tecnico, ma anche da quello politico-cultura-
solo come mezzo di scambio e in pratica è stato sino- le. Il Bitcoin è infatti l’espressione monetaria di una
ra molto più importante per l’economia sommersa di rivoluzione antropologica che si è consumata in que-
quanto non sia stato per la maggior parte degli usi le- sti ultimi decenni di digitalizzazione della produzio-
gittimi. La mancanza di una qualsiasi autorità centrale ne, della comunicazione e delle relazioni interperso-
rende il Bitcoin notevolmente resiliente alla censura, nali. Se si studiano i profili dei protagonisti di que-
alla corruzione ovvero alla regolamentazione. Ciò si- sta rivoluzione, come fa ad esempio Andrew O’Ha-
gnifica che ha attirato una serie di sostenitori, dai mo- gan nel suo La vita segreta. Tre storie vere dell’era di-
netaristi libertari che amano l’idea di una valuta senza gitale (Adelphi, Milano, 2017), sembra di trovarsi di
inflazione e senza una banca centrale, agli spacciato- fronte a entità collettive oscure, ossessionate fino alla
ri di droga a cui piace il fatto che sia difficile (ma non paranoia da qualsiasi forma di controllo istituziona-
impossibile) fare risalire una transazione in Bitcoin a le estraneo alla propria comunità di riferimento. L’in-
una persona fisica”. Tu che ne pensi? venzione delle criptovalute va capita sullo sfondo di
questo rifiuto autoreferenziale dell’autorità monetaria
Questa del “Guardian” mi sembra una buona sin- centrale, della volontà di restituire il potere monetario
tesi di cosa sia il Bitcoin come, più in generale, di al “popolo della rete”.
cosa siano le criptomonete oggi in circolazione. Ce La traduzione monetaria di questa avversione radi-
ne sono ormai 1500, per un valore totale di merca- cale all’ingerenza dell’autorità di controllo, cioè del-
to pari a qualcosa come 540 miliardi di dollari. Mal- le banche, sembra la realizzazione elettronica dell’i-
grado le denunce di “frode” o di “lavaggio di denaro dea di moneta privata di Friedrich von Hayek e an-
sporco”, specie per i Bitcoin, si tratta ormai di un fe- che di Milton Friedman. Per realizzare una distribu-
nomeno impossibile da ignorare. In questi mesi di fe- zione della ricchezza non viziata dalla manipolazione
nomenali variazioni del valore del Bitcoin, si è mol- del valore del denaro ad opera di intermediari ester-
to insistito sul fatto che il valore vero sta nella tecno- ni come le banche, occorre, secondo il white paper di
logia informatica che fa da supporto alla criptovaluta, Satoshi Nakamoto (pseudonimo dell’individuo o del-
la blockchain, quella tecnologia che permette di eli- la collettività che ha inventato i Bitcoin), “una “pura”
minare dal sistema di transazioni monetarie ogni ge- versione peer-to-peer della liquidità elettronica...” che
nere di intermediazione e controllo istituzionale cen- “...consenta di essere direttamente trasferita da una
trale e arbitrario. Infatti, si stanno investendo centi- parte all’altra senza il passaggio da una istituzione fi-
naia di milioni di dollari in questa tecnologia. Quan- nanziaria”. Dato che tutto ciò che è online si può co-
do ad esempio si sente parlare di Banche centrali che piare e replicare, per evitare il rischio di una contraf-
studiano il Bitcoin per emetterne una loro versione, in fazione generalizzata si è architettata la blockchain.
realtà è alla tecnologia che ne è alla base che mirano. Si tratta di un grande libro mastro online in cui ven-
L’impressione è che le Banche centrali vogliano fare gono annotati e convalidati tutti i passaggi di denaro
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da un utente all’altro eliminando la possibilità di una un’attività economica con ricadute ambientali decisa-
duplicazione. Secondo i suoi ideatori, la blockchain mente devastanti, molto più simile al funzionamento
“è un database condiviso da molti utenti, ciascuno dei dell’economia descritta da Georgescu Roegen con ri-
quali contribuisce alla rete e possiede una copia iden- ferimento al secondo principio della termodinamica,
tica del database stesso. Ogni aggiunta o modifica al ossia l’entropia. Secondo il sito d’informazione am-
libro mastro, per quanto piccola, si riflette su ciascu- bientalista Grist, oggi un’operazione con Bitcoin ri-
na copia nel momento stesso in cui viene eseguita. chiede una quantità di energia pari al consumo quoti-
Nessuna autorità centrale vigila sul processo, eppure diano di nove abitazioni negli Stati Uniti. La potenza
nessuna voce sul libro mastro può essere contestata” di calcolo della rete di Bitcoin è quasi centomila vol-
(O’Hagan, op. cit., p. 149). te più grande dei primi 500 supercomputer del mon-
La rete dei pagamenti è tenuta in piedi dai miners, do. E il consumo di energia cresce di 450 gigawattora
minatori, cioè operatori dotati di potenti computer al giorno. Se Bitcoin continua a crescere a questi rit-
che verificano e approvano le transazioni e sono re- mi, l’elettricità richiesta potrebbe superare tra pochi
tribuiti in nuovi Bitcoin. Si tratta, peraltro, dei Bit- mesi quella disponibile, rendendo necessario l’uso di
coin che loro stessi hanno generato con la risoluzio- nuove centrali, comprese quelle alimentate a carbo-
ne di problemi matematici complessi che si creano ne. Sono allo studio diverse soluzioni per rendere più
con l’avanzare della blockchain. L’immagine dei mi- efficiente l’estrazione dei Bitcoin, ma questo renderà
ners come produttori di monete fisiche con il presun- ancora più cara la criptovaluta. I principali estrattori
to simbolo del Bitcoin che evoca un po’ il dollaro e un di Bitcoin si trovano in Cina, dove prendono l’energia
po’ l’Euro, è del tutto fuorviante. I miners creano se- dalle dighe idroelettriche. L’impatto ambientale è tale
quenze alfa numeriche, stringhe di parole, in altri ter- che il governo cinese vuole vietarne l’uso, ciò che, fra
mini moneta linguistica del tipo “I Alice, am giving l’altro, permetterebbe di frenare la fuga di capitali dal
Bob one infocoin, with serial number 1234567” (si paese a mezzo di acquisto di Bitcoin.
veda, di Michael Nielsen, “How the Bitcoin protocol Al di là della definizione canonica di Bitcoin come
actually works”, http://www.michaelnielsen.org/ddi/ “moneta paritaria digitale e decentralizzata la cui im-
how-the-bitcoin-protocol-actually-works). La pre- plementazione si basa sulla crittografia” (Wikipedia),
senza dei miners, che sono incentivati ad agire dan- occorre comunque chiedersi se siamo realmente di
do loro l’opportunità di guadagnare qualcosa in Bit- fronte a una moneta. Benché la risposta non sia sem-
coin, dovrebbe permettere di eludere il problema del- plice, dal confronto tra le caratteristiche, o funzioni,
la fiducia e di realizzare, almeno nelle intenzioni, l’i- che storicamente sono state attribuite a ciò che comu-
deale dell’autoregolazione dell’economia di mercato. nemente consideriamo moneta e le caratteristiche ri-
A questo proposito si cita Adam Smith e la sua “mano scontrabili anche nel Bitcoin, è possibile trarre qual-
invisibile”, laddove sostiene che non è per altruismo, che ìnsegnamento. Da questo confronto (si veda Vit-
non è perché al panettiere importi di te, non è perché torio Carlini, “Bitcoin, ecco perché non è una mone-
al macellaio importi di te e del tuo pranzo, ma perché ta. Il suo vero valore? La blockchain”, “Sole 24 ore”,
gli importa delle loro famiglie (“Non ci rivolgiamo 17 gennaio 2018), solo la funzione della criptovalu-
alla loro umanità ma al loro interesse personale”). La ta come mezzo di scambio sembra apparentarla alla
mano invisibile, in questo senso, controlla il funzio- moneta classica, e questo perché si tratta di una fun-
namento della società in generale (O’Hagen, cit., p. zione a-temporale, che permette allo scambio (un pc
149). Ciò che preserva l’integrità della valuta e impe- con un numero di Bitcoin in un determinato istante)
disce a qualunque singolo attore di controllarla è que- di concretizzarsi. Al contrario, la funzione di unità di
sta attività di verifica dei minatori che nel medesimo conto non si addice al Bitcoin, dato che l’estrema vo-
tempo genera Bitcoin. Il perseguimento del proprio latilità del suo valore non permette alla criptovaluta
esclusivo interesse (guadagnare Bitcoin) garantireb- di fungere da strumento da usarsi nella contabilizza-
be insomma il funzionamento stesso del sistema de- zione (la criptovaluta “non può considerarsi unità di
gli scambi, nell’interesse di tutti i partecipanti. È però conto perché è come un metro che, con il passare del
evidente che il riferimento a Adam Smith è un mal- tempo, si allunga o si accorcia”). Immaginatevi di es-
celato tentativo di ribadire l’assenza di un’autorità di servi indebitati in Bitcoin, all’inizio del 2017, per ac-
regolazione esterna, quando in realtà sia nel caso del quistare una casa. Quale sarebbe l’ammontare del vo-
cosiddetto libero mercato sia in quello della rete degli stro debito ipotecario un anno dopo, quando nel frat-
scambi in criptovalute si è in presenza di non poche tempo vi è stata una sproporzionata rivalutazione dei
regole e procedure estremamente vincolanti. Bitcoin rispetto alla moneta con cui vi versano il sa-
L’attività dei miners genera sì Bitcoin, ma nient’al- lario, ad esempio Euro? Per quanto riguarda la fun-
tro, cioè nessun valore d’uso, nessuna ricchezza reale. zione di mezzo di pagamento, l’impossibilità di in-
Siamo cioè ben lontani da un’economia monetaria di serire l’elemento temporale, vista appunto la volatili-
produzione in cui il denaro creato ex nihilo è collega- tà del Bitcoin, impedisce anche a questa funzione di
to alla produzione di beni e servizi. Niente a che vede- essere pertinente per i Bitcoin. “È difficile immagi-
re con quanto teorizzato dalla Banking School o dal- nare un sistema socio-economico-giuridico che attri-
la scuola keynesiana. Abbiamo a che fare, invece, con buisca al Bitcoin il potere liberatorio dal debito”. Lo
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stesso ragionamento, infine, vale per la funzione ri- Could Conquer the World”, “The Atlantic”, 30 no-
serva di valore, specie se si tiene conto che l’offerta vembre, 2017). L’inizio della lievitazione si situa nel
di Bitcoin è rigida (nel 2020 cesserà la sua estrazio- novembre del 2013 quando, poco dopo la chiusura
ne/creazione), il che rende la criptovaluta molto sen- del sito Silk Road (usato per vendere nel totale ano-
sibile alla domanda. nimato droghe e altri prodotti illegali) ordinata dal-
l’Fbi, alcuni senatori in audizioni ufficiali descrissero
Dal momento che è stata autorizzata l’emissione le monete virtuali come “legittimi servizi finanziari”.
di futures in Bitcoin, esso non è più soltanto un mezzo Si è trattato di una legittimazione politica da non sot-
di scambio ma anche un prodotto finanziario. Qua- tovalutare, se è vero che in un mese il valore dei Bit-
li possono essere le conseguenze di tale finanziariz- coin triplicò. In seguito, l’idea del Bitcoin come bene
zazione? rifugio dei millenials (i nati tra il 1980 e il 2000) ha
contribuito a dilatarne il significato nell’immaginario
Come detto, allo stato attuale il Bitcoin non è de- collettivo. Il boom del mercato delle ico (initial coin
finibile come una moneta, ma solo come mezzo di offering), con le quali le imprese rastrellano denaro
scambio. Basare la definizione di moneta su una sola senza vendere azioni, ma in cambio di gettoni digi-
funzione come quella di mezzo di scambio, sarebbe tali denominati in criptovalute, ha contribuito a sua
un po’ come definire il denaro in Marx essenzialmen- volta ad alimentare l’esplosione dei Bitcoin. È un fat-
te come oro, cioè moneta-merce, equivalente genera- to che il valore di Bitcoin è esploso di pari passo con
le. In effetti, molti considerano il Bitcoin assimilabile il boom (altrettanto irrazionale) delle ico. Infatti, un
all’oro, un “oro digitale” con le tipiche caratteristiche aspetto interessante è che “molti di quelli che investo-
intrinseche della scarsità, fungibilità, incorruttibilità e no nelle ico convertono i loro dollari in Bitcoin prima
omogeneità garantite dalla tecnologia blockchain su di comprare nuove criptomonete”. Questo fa dei Bit-
cui si basa. Ma è proprio come merce digitale che il coin una sorta di ‘valuta di riserva’ della criptoecono-
Bitcoin è diventato un prodotto finanziario, cioè un mia, in questo simile al dollaro statunitense che, con
bene speculativo che, paradossalmente, impedisce al il suo status di valuta di riserva mondiale, è accettato
Bitcoin di essere moneta. È significativo che, per il in tutti i paesi in cambio o in sostituzione della valu-
momento, il 64% dei Bitcoin non è mai stato usato e ta locale. È possibile che in tal modo le ico contribui-
giace sterile nei dischi rigidi. scano a gerarchizzare tra loro le criptomonete secon-
Secondo il “Wall Street Journal”, ogni settimana do rapporti di forza interni all’economia criptomone-
si scambiano 34 miliardi di dollari in Bitcoin, cioè taria. È anche possibile che la criptomoneta vincen-
meno dell’1 per cento del mercato monetario globa- te e la blockchain soggiacente permettano in futuro lo
le. Un po’ poco per essere così famosi! C’è un diva- svolgimento di transazioni direttamente tra paesi, evi-
rio sempre più ampio tra il volume delle transazio- tando qualsiasi intermediazione bancaria, quella in-
ni in Bitcoin (cresciuto di 32 volte dal 2012) e il suo termediazione che, oggi, favorisce non poco il dolla-
prezzo di mercato (cresciuto di mille volte). Benché ro e il paese che lo emette. Perché escludere la possi-
il 2008, l’anno d’inizio della crisi finanziaria, rappre- bilità della realizzazione di un Criptobancor che pon-
senti una sorta di “tempesta perfetta” per lo sviluppo ga fine al signoraggio monetario americano?
di Bitcoin, che verrà lanciato l’anno dopo, Bitcoin si È al termine di questa evoluzione che si è arriva-
iscrive in un processo socio-politico che precede la ti ad autorizzare l’emissione di futures in Bitcoin al
crisi finanziaria e che risale agli anni Ottanta (è del Chicago Marcantile Exchange e al Cboe Global Mar-
1988 il Manifesto cripto-anarchico di Tim May, l’in- kets. Il che, d’ora in poi, permette di scommettere sul
ventore di BlackNet). Gli anni della crisi finanzia- valore futuro della valuta senza possederne neanche
ria, gli scandali bancari, le politiche monetarie del- l’ombra. Se fino a poco tempo fa si poteva scommet-
le Banche centrali a tutto vantaggio dei mercati finan- tere contro il prezzo dei Bitcoin esclusivamente ven-
ziari, i tassi d’interesse negativi e l’aumento delle di- dendo la valuta, a partire da questa svolta “civiliz-
suguaglianze, tutto questo ha certamente contribuito zatrice” del Bitcoin a mezzo di mercato dei futures
a rafforzare il desiderio di sperimentare vie alternati- si potrà speculare sulle variazioni senza dover pas-
ve al sistema monetario ufficiale. Ma, a rigore, questo sare attraverso il mondo della criptovaluta. È d’al-
“esercizio di esodo” non è figlio della crisi, è invece tronde certo che l’integrazione di Bitcoin nel merca-
consustanziale al processo di digitalizzazione dell’e- to dei prodotti derivati ne elimina l’esclusività (la sua
conomia iniziato con la fine del fordismo e la diffu- “otherness”), autorizzando gli investitori ad applicare
sione delle nuove tecnologie dell’informazione e del- a questo nuovo prodotto finanziario i normali criteri
la comunicazione. Difficile immaginare che la bol- di valutazione del rischio. Visto che il Bitcoin presen-
la Bitcoin possa metter fine ad un processo struttura- ta a tutt’oggi non poche zone d’ombra per quanto ri-
le che dura da tempo e che ha sedimentato saperi cri- guarda il suo funzionamento, la sua entrata nel mon-
tici, desideri, tonalità emotive in rotta con la finanzia- do dei mercati finanziari potrebbe contribuire ad am-
rizzazione dell’economia. pliarne le oscillazioni al ribasso. È quanto sostiene
Derek Thompson ha cercato di ricostruire il dive- Gillian Tett sul “Financial Times”, ricordando come
nire bolla del Bitcoin (“Bitcoin is a Delusion That la globalizzazione del mercato dei titoli derivati giap-
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ponese a metà degli anni ’80 stracciò il velo di esclu- tale svolto nelle piattaforme è ormai esemplificativo.
sività che avvolgeva quel mercato e contribuì, tra al- Per certi versi, viste le sue caratteristiche intrinseche,
tri fattori, al crash del Nikkei del 1990. E lo stesso si Bitcoin potrebbe diventare la forma naturale del va-
può dire del mercato delle ipoteche statunitense, che lore delle merci prodotte a mezzo di lavoro digitale.
fino al 2005 era decisamente opaco e di difficile ap- Per essere tale, comunque, dovrebbe essere eletto dal-
prezzamento per gli outsiders. Il lancio e la pubbliciz- la comunità umana, così come, storicamente, l’oro e
zazione nel 2007 dei derivati ipotecari come l’ABX l’argento furono socialmente elevati al rango di “mer-
index, veri e propri barometri di fiducia nel mercato ci universali”. Forse il successo, ma anche la preoc-
dei mortgage-backed bond, contribuì non poco a far cupazione!, suscitato da Bitcoin si spiega alla luce di
esplodere la bolla dei subprime nel 2008 (“Prepare to questa prossimità tra lavoro concreto e lavoro astrat-
bet against Bitcoin”, FT,17 novembre 2017). to che caratterizza i modi di produrre contemporanei.
È un fatto che, con l’entrata sul mercato dei futu- Bitcoin ha due caratteristiche che lo apparentano al
res, la finanziarizzazione rende la criptovaluta parti- sistema monetario così come esso è evoluto nel tem-
colarmente vulnerabile a qualsiasi rumor, peggio an- po: è una moneta scritturale e elettronica. Tra il 90 e
cora alle misure repressive di governi e Banche cen- il 95% del denaro oggi in circolazione è infatti scrit-
trali (vedi di recente Cina, Corea del Sud, India) con- turale, è cioè creato dall’insieme delle banche priva-
tro l’uso di Bitcoin. È possibile che la bolla Bitcoin si te. Si tratta di denaro-credito che, nel momento stesso
stia sgonfiando in modo irreversibile proprio in questi in cui viene emesso, crea un deposito presso la ban-
primi mesi del 2018, come al solito lasciandosi die- ca emittente, avviando quel processo di creazione cu-
tro non poche vittime e, forse, una nuova classe di ric- mulativa di debiti che ha portato la finanziarizzazione
chi, i criptomilionari. Ma, ricorda Derek Thompson, a sganciarsi sempre più dall’economia reale. D’altro
“spesso la schiuma delle bolle che scoppiano diven- canto, Internet ha rappresentato la possibilità di svi-
ta il fertilizzante delle tecnologie avanzate della ge- luppare forme elettroniche di trasferimento di valore
nerazione successiva. Prima del telegrafo, delle ferro- in grado di aggirare la stessa moneta scritturale ban-
vie e dei giganti della tecnologia ci sono state la bol- caria. Ma sia nei modelli di trasferimento elettronico,
la del telegrafo, la bolla delle ferrovie e – come di- sia nel caso della moneta scritturale bancaria priva-
menticarla? – la bolla internet del commercio online”. ta, il riferimento alla moneta fiduciaria emessa dalla
Anche se il prezzo dei Bitcoin dovesse crollare de- Banca centrale è preservato e ha una sua base legale,
finitivamente, la blockchain potrebbe diventare l’in- dato che gli attivi registrati a bilancio sono espressi in
frastruttura dell’economia digitale, di certo una sua unità di conto ufficiale (Dollari, Euro, Yen, ecc.). Per
componente fondamentale (si veda, di Steven John- quanto in quantità esigue, la moneta fiduciaria emes-
son, Beyond the Bitcoin Bubble, https://www.nyti- sa dalle Banche centrali costituisce la base della so-
mes.com/2018/01/16/magazine/beyond-the-bitcoin- vranità monetaria (Michel Aglietta, La monnaie entre
bubble.html). dettes et souvraineté, Odile Jacob, Parigi, 2016, pp.
176-77). Nel sistema Bitcoin, in cui il denaro viene
Nella storia, la moneta ha sempre avuto una sua emesso/depositato in modo decentrato (i famosi bloc-
base metallica (aurea o argentea), che è andata man chi della catena blockchain) e privato, l’assenza di ri-
mano evaporando con il progredire della creazione ferimento ad una moneta fiduciaria emessa central-
di denaro ex nihilo. Il Bitcoin, in fondo, ha riportato mente impedisce a Bitcoin di funzionare da unità di
una base al valore della moneta, e questa base è co- conto. O, meglio, la fiducia, e quindi la sovranità, vie-
stituita dai Big Data. In un certo senso c’è una con- ne garantita elettronicamente dalla blockchain. Ma,
gruenza con il fatto che l’informazione oggi è la base come abbiamo visto, con enormi esternalità negati-
del valore. ve e nella più assoluta volatilità del valore della crip-
tovaluta.
Paradossalmente, Bitcoin permette di attualizzare
la teoria del valore-lavoro, perlomeno per quanto at- Christian Marazzi
tiene la produzione del denaro nella sua funzione di Lugano, 10 febbraio 2018
equivalente generale, quella funzione che in Marx è
svolta dal metallo oro. In quanto equivalente gene-
rale, dice Marx, il denaro è necessariamente merce
in cui il lavoro privato concreto necessario alla sua
produzione (quello degli operai nelle miniere d’o-
ro) esprime (ne è l’immagine) il lavoro sociale astrat-
to contenuto in tutte le altre merci in circolazione. In
questo senso, Bitcoin è anch’esso prodotto dal lavoro
privato concreto dei minatori digitali che, incarnan-
dosi nel Bitcoin, funge da immagine del lavoro socia-
le astratto contenuto nelle merci prodotte dal lavoro
così come lo conosciamo oggi, di cui il lavoro digi-
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A casa di Pound

Come nasce il movimento di Casa Pound? Trova le sassinato nel 2002), al Danish People’s Party danese
sue radici nell’estrema destra italiana o nasce all’e- e al True Finns di Finlandia.
stero?
La caratteristica importante di Casa Pound, dal-
Il movimento politico e culturale Casa Pound è la quale ogni sinistra o ogni movimento antagonista
un prodotto rigorosamente autoctono, nasce a Roma avrebbe da imparare, è la sua capacità di parlare ai
nel dicembre 2003, con l’occupazione di uno stabi- giovani precari/disoccupati e la sua attività assisten-
le di proprietà della Regione nel quartiere multietni- ziale nei confronti di cittadini italiani emarginati, di-
co dell’Esquilino (un’eccellente ricostruzione della menticati spesso da tutti. Oppure non è così?
sua storia si trova nel saggio di Daniele Di Nunzio ed
Emanuele Toscano, Dentro e fuori Casa Pound. Ca- Casa Pound richiede ai propri militanti un gros-
pire il fascismo del terzo millennio, Armando editore so impegno diretto, continuità di presenza, in sede e
2011). I militanti si autodefiniscono “fascisti del ter- per attività sul territorio. Di recente ha fatto notizia la
zo millennio”, ossia rimandano esplicitamente all’i- “Befana di Casa Pound”: militanti che hanno portato
deologia del Ventennio mussoliniano e poi di Salò, in dono calze coi dolci ai bambini del quartiere Ma-
ma rivista, aggiornata e reinterpretata in chiave con- gliana a Roma. È una caratteristica comune di molti
temporanea, più che nostalgica. Nella loro elabora- movimenti della nuova destra radicale: anche i neo-
zione teorica si percepisce una profonda influenza di nazisti di Alba Dorata, nella Grecia sul lastrico, si fa-
esperienze maturate nel campo della destra sull’on- cevano conoscere distribuendo tonno fresco gratis ai
da del movimento del Settantasette. In area missina, padri di famiglia dopo i comizi. Strumentalizzazione,
sono debitori dei famosi “campi Hobbit” del Fron- propaganda, certo. Ma chi altro manda qualcuno a in-
te della Gioventù, descritti all’epoca come “crogiu- teressarsi alla sorte e alle difficoltà delle famiglie im-
olo di esperienze di liberazione”, e delle posizioni di poverite, nelle periferie profonde? Chi si fa conosce-
Rauti negli anni Ottanta, che si richiama agli aspet- re, chi fa sentire la propria presenza alle persone che
ti più movimentisti, antiborghesi e anticapitalisti del ci vivono, che si sentono assediate dalla presenza dei
fascismo storico, aprendosi alle tematiche ecologiste migranti, a cui – in mancanza di adeguati strumenti
(tra l’altro, la corrente rautiana rifiutava l’etichetta di di lettura dei fenomeni – vedono come la causa del-
“destra”, che pure Casa Pound mette in discussione, le proprie disgrazie? Anche temi come la costruzione
parlando di “estremo centro alto”). Nel campo del- di case popolari, i mutui sociali, l’aiuto per le madri...
la destra radicale, il riferimento storico è Terza Po- Casa Pound si è posizionata con chiarezza e continu-
sizione, gruppo (con una testata giornalistica omoni- ità su questi temi, che sono al centro delle preoccu-
ma) pure nato a Roma dalla forte connotazione anti- pazioni quotidiane della maggioranza della popola-
sistema: non a caso, uno dei guru dei frequetatori di zione. Da questo punto di vista, occupano uno spezio
Casa Pound è Gabriele Adinolfi, protagonista di quel- lasciato vuoto dalla sinistra (un po’ come la Lega ha
la stagione, che ne trasmette direttamente ai ragaz- rimpiazzato il Pci nel cuore di molti operai).
zi di oggi contenuti e pathos emotivo. Quanto alle in- Nel mondo dei centri sociali di sinistra prevale l’a-
fluenze estere, vi è un richiamo alla Nouvelle Droi- spetto antagonista, non si registrano, o comunque non
te francese di Alain De Benoist. Per i suoi tratti po- hanno risonanza e riconoscibilità, iniziative e pro-
pulisti, oltre che di destra, Casa Pound è avvicinabile grammi analoghi.
all’esperienza della LPF olandese di Pim Fortuyn (as- Un ragazzo con idee di sinistra che vuole fare qual-
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cosa e sentirsi utile, si avvicina alla galassia del vo- spressione. Una riflessione molto profonda sui dilem-
lontariato e del terzo settore, inserisce il proprio im- mi che pone questa “zona di turbolenza” si trova in
pegno in un ambito estraneo alla politica. Oppure si uno splendido film recente, premiato a Venezia e can-
orienta verso il mondo cattolico, che mantiene una didato all’Oscar, L’insulto, del regista Ziad Doueiri:
presenza capillare sul territorio e resta fortemente at- sebbene ambientato in Libano, e legato alla specifica
trattivo, sia per chi si sente di sinistra e si riconosce vicenda delle pesanti eredità della guerra civile, tut-
nelle posizioni di papa Francesco (quante volte si sen- tavia aiuta a comprendere le dinamiche che alimen-
te dire, tra il serio e il faceto, che è l’unico vero lea- tano l’odio e le escalation di violenza e conflittuali-
der di sinistra nel panorama mondiale di oggi!), ma tà sociale in tutta la società contemporanea. La tenta-
anche per i conservatori (oltre alla potentissima Co- ta strage di Macerata del febbraio 2018 ci interroga in
munione e Liberazione, spuntano sul territorio anche modo drammatico su questo problema: Luca Traini,
i lefebvriani della Fraternità Sacerdotale san Pio X). incriminato per strage con l’aggravante dell’odio raz-
Ma fa volontariato, non fa politica. A destra, invece, ziale per aver aperto il fuoco su un gruppo di immi-
le due cose possono coincidere. E questo risponde al grati, era stato candidato della Lega ed esibisce sulla
bisogno, così profondo e diffuso, di sentirsi utili, di fronte un tatuaggio con il simbolo di Terza posizione.
dare un senso alle proprie giornate. Finché non vi sono azioni penali da perseguire,
però, la via giudiziaria semplicemente non è percorri-
C’è una certa pressione per usare la legge contro bile: il problema è in primo luogo politico e cultura-
questi gruppi. Invocare la severità dei tribunali quan- le, non penale.
do il problema è il vuoto politico della sinistra istitu- Bisogna considerare, infine, che la destra in età
zionale e non, rischia di radicalizzare ulteriormente repubblicana ha sempre fatto dell’isolamento e del-
questi movimenti e forse di rafforzarli? la vittimizzazione – potremmo definirla una sorta di
“sindrome del perseguitato” – un punto di forza, un
Mi pare che, non solo in Italia, stia tornando d’at- forte collante tra i militanti.
tualità una questione spinosa e delicatissima: il confi-
ne tra istigazione all’odio e al crimine, e la libertà d’e- Benedetta Tobagi

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Luci e ombre dell’accordo IG Metall

State conducendo da tempo un’indagine compa- tazioni delle due parti impegnate nel negoziato, que-
rata sulle relazioni industriali nell’industria metal- sto fattore deve essere stato di particolare importan-
meccanica in Germania, Austria e Italia. Ne appro- za nel caso “pilota” del Baden Württemberg. Un al-
fittiamo per porvi alcune domande sull’accordo con- tro fattore è stato il successo, come mezzo di pressio-
cluso dall’IG Metall nel Baden Württemberg, epicen- ne, degli scioperi di avvertimento di 24 ore proclama-
tro dell’industria dell’auto. Intanto, per cominciare, ti dall’IG Metall soprattutto nelle fabbriche maggiori,
quali fattori di contesto hanno contribuito maggior- ai quali hanno dato la loro adesione 500.000 lavora-
mente alla conclusione positiva della vertenza con- tori2. Infine, non bisogna dimenticare che per i datori
trattuale? Possono essere considerati tali anche quel- di lavoro firmare un contratto con validità di 27 mesi
li che si riferiscono al campo di applicazione del con- rappresenta un vantaggio non indifferente in quanto
tratto? consente di pianificare le risorse con una certa tran-
quillità.
Un fattore indubbiamente importante che ha favo- L’industria meccanica ed elettromeccanica tedesca
rito l’esito positivo è la situazione estremamente fa- è di gran lunga la maggiore d’Europa. Ciò riguarda
vorevole dello sviluppo economico, in particolare nei non solo il numero degli occupati ma anche la strut-
settori dell’elettromeccanica e della meccanica. Di- tura dimensionale delle imprese. Mentre in Germania
versamente che in Italia, dove a seguito della crisi il nelle imprese con più di 250 dipendenti lavorano due
25% della capacità produttiva è andata irrimediabil- milioni e mezzo di persone, in Italia ne lavorano solo
mente persa, l’industria metallurgica tedesca ha da 500 mila. Se ne può dedurre che il potere contrattua-
tempo superato i livelli pre-crisi. Mentre in Italia, se- le dell’IG Metall è ancora relativamente elevato, poi-
condo le stime di Federmeccanica, dal 2007 ad oggi ché gli riesce più facile organizzare i lavoratori nel-
sono andati persi 300.000 posti di lavoro1, in Germa- le grandi fabbriche. Per converso, il fronte dei dato-
nia nello stesso periodo nelle industrie con più di 20 ri di lavoro si trova davanti al problema di trasmettere
dipendenti abbiamo avuto un incremento occupazio- e far accettare il contenuto del contratto ai suoi asso-
nale pari a 200.000 unità. In Austria già nel novembre ciati, in quanto, se da parte delle grandi imprese esso
2017, dopo alcune tornate di trattativa relativamen- rappresenta un onere sopportabile, lo stesso non può
te brevi, è stato raggiunto un accordo per i 180.000 dirsi delle imprese minori. Analogo discorso vale per
dipendenti dell’industria meccanica che prevede de- quanto riguarda il divario economico esistente tra il
gli aumenti retributivi del 3%. Le previsioni di cresci- Baden Württemberg e le altre regioni del paese.
ta a medio termine sono in ambedue i paesi positive, Diversamente che in Austria, dove la copertura dei
tant’è che i datori di lavoro hanno avuto pochi argo- contratti collettivi è al 100% in quanto le imprese sono
menti per opporsi ad un aumento consistente dei sa- tenute per legge ad iscriversi alle Camere di Commer-
lari. In Germania inoltre la prospettiva di scarsità di cio e ad applicare il contratto collettivo nazionale, in
mano d’opera qualificata che si sarebbe determina- Germania dopo la riunificazione c’è stata un’erosione
ta in molte imprese in seguito alla congiuntura favo- del tasso di copertura dei contratti collettivi. Dei 3,8
revole ha spinto ulteriormente verso una conclusio- milioni di occupati (dati del 2015) nell’industria mec-
ne positiva. canica ed elettromeccanica, solo 1,8 milioni sono co-
Oltre a questo, probabilmente la collaudata capa- perti dal contratto di settore, il che equivale al 47,5%
cità delle parti contrattuali di saper trovare delle solu- del totale. Se però questi stessi dati li vediamo diffe-
zioni ha svolto un ruolo importante. Stando alle valu- renziati per i diversi Länder tedeschi, ci si accorge del
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grande divario che esiste tra Est e Ovest. Mentre in sta autonomia non funziona in determinati settori –
Germania occidentale dei 3,3 milioni di occupati in diversamente che nella metalmeccanica.
questi settori, 1,7 milioni sono coperti dal contratto Per quanto riguarda le norme sulla flessibilità
collettivo, quindi il 51,8%, nella Germania orientale dell’orario che consentono a delle persone di ridur-
solo 80 mila dei 470 mila occupati hanno una coper- re il proprio orario di lavoro settimanale a 28 ore per
tura contrattuale, quindi il 17,2%. A questo si aggiun- un determinato periodo di tempo, è presumibile che
ga che nel corso degli anni ’90 si è verificata a livel- possano avere effetto anche in altri settori. In questo
lo di singole aziende una diffusa pratica di deroga ai senso l’IG Metall ha fatto da battistrada per molti al-
contratti collettivi. Nel 2004 per riportare sotto con- tri settori, cercando di capire fino a che punto pote-
trollo questo fenomeno le parti sociali hanno conclu- va spingersi con questa rivendicazione. Bisogna ve-
so un accordo (detto “di Pforzheim”) in base al qua- dere il nuovo modello anche sotto il profilo del dirit-
le per le aziende in difficoltà economiche si preve- to a ritornare da un contratto a tempo parziale ad un
deva la possibilità, previo consenso d’ambo le par- contratto ad orario pieno, diritto che finora non è mai
ti, di poter derogare temporaneamente dai contenu- stato riconosciuto. In questo contesto va riconosciu-
ti del contratto collettivo per consentire di mantene- to all’IG Metall un ruolo di precursore. Tuttavia, per
re i livelli occupazionali. Secondo la valutazione del- valutare appieno il nuovo modello di regolamentazio-
le parti sociali questo accordo ha consentito di sta- ne dell’orario, occorre tenere presente che anche al
bilizzare il contratto collettivo. Ciononostante le dif- padronato interessava portare a casa una flessibiliz-
ferenze all’interno del contratto collettivo sono di- zazione dell’orario (verso l’alto). Mentre le organiz-
ventate più grandi. Un ulteriore cambiamento c’è zazioni datoriali hanno accolto con un certo mal di
stato quando dal 2005 è stata consentita l’adesione pancia gli aumenti di salario nel Baden Württemberg,
alle rappresentanze padronali delle imprese che non hanno ritenuto accettabile il compromesso raggiunto
riconoscevano il contratto nazionale, cosiddette OT- sulla questione dell’orario di lavoro. In definitiva an-
Verbände (ohne Tarif = senza obbligo di applicare il che su questo terreno non è stata eliminata una certa
contratto collettivo nazionale). Ciononostante molte eterogeneità perché, mentre in determinati settori e in
aziende che non riconoscono il contratto e che non determinate regioni la durata dell’orario di lavoro ten-
aderiscono alle rappresentanze datoriali si orientano de anzi ad aumentare, ci sono imprese disposte a spe-
tuttavia sui parametri di massima contrattuali, talché rimentare dei sistemi molto innovativi, che consento-
le retribuzioni reali nell’industria metallurgica fini- no di modellare a seconda delle aziende regimi d’o-
scono per essere, in base a un confronto internazio- rario con ancor maggiore autonomia (es. la cosiddet-
nale, relativamente elevate. D’altronde per i sindaca- ta “sovranità dell’orario di lavoro” alla Continental)4.
ti cercare di avvicinare il più possibile le retribuzioni
nelle aziende che non riconoscono il contratto a quel- Dall’esito di questa lotta contrattuale si possono
le previste negli accordi collettivi, rappresenta uno trarre degli insegnamenti per le relazioni industriali
stimolo per reclutare nuovi iscritti. in Europa e in Italia?
L’esito di questi negoziati potrebbe avere un effet- Benché in Italia ci siano aziende che reggono bene
to domino sulla situazione in altri settori? il confronto con quelle tedesche, da quanto detto all’i-
nizio è evidente che l’industria metalmeccanica ita-
Sì, potrebbe estendersi ad altri settori, almeno su liana, pur essendo la seconda a livello europeo, è
due livelli, quello delle retribuzioni e quello dei mo- molto indietro rispetto alla competitività ed alla forza
delli di flessibilità dell’orario. Per quanto riguarda economica di quella tedesca5, pur esistendo una forte
l’aspetto salariale, l’accordo in sé e per sé può essere compenetrazione tra le catene del valore in Piemonte,
considerato un grosso successo, secondo le proiezio- Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e quelle nel Ba-
ni l’incremento dei salari reali è addirittura superio- den Württemberg, in Baviera e nel Nordrhein-West-
re all’incremento dell’inflazione e della produttività3. falen6. Le due economie fanno parte da molto tempo
Bisogna dire però che il ruolo di traino svolto tradi- dello spazio economico e monetario europeo. Tutta-
zionalmente dal settore metalmeccanico sul piano dei via all’interno di questo spazio l’Italia ha subito una
salari e degli stipendi è meno accentuato che nel pas- svalutazione non solo economica ma anche istituzio-
sato. In Germania ci sono settori, soprattutto nei ser- nale. Il paese, che per lungo tempo ha contribuito a
vizi, che sono quasi privi di sindacato, dove vengo- costruire sia sul piano politico che intellettuale l’in-
no praticati salari assai bassi. Questo è stato uno dei tegrazione europea7, dall’inizio della crisi del 2008 e
motivi che hanno indotto il governo federale ad intro- soprattutto dalla notifica della lettera “segreta” del-
durre un salario minimo orario fissato per legge, che la BCE al governo Berlusconi e dalle misure pre-
oggi si aggira attorno agli 8,84 euro. Benché l’auto- se dall’Unione nel pacchetto del 2011, si trova nella
nomia delle parti sociali nella stipula dei contratti sia condizione di dover subire le imposizioni della BCE,
garantita dalla costituzione tedesca e sia considerato della Commissione e del Consiglio della UE in mate-
un bene di grande valore da tutti, di fronte a certe si- ria di finanza e di politica fiscale.
tuazioni la politica ha tratto il convincimento che que- Vale la pena ricordare che negli anni ’90 i sindaca-
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ti europei dei metallurgici, tra essi anche il sindaca- molto da come vanno le contrattazioni a livello azien-
to italiano, nell’intento di evitare il dumping, aveva- dale se questa iniziativa può portare ad una valutazio-
no elaborato delle linee guida per coordinare a livel- ne più generale della formazione e della competenza
lo europeo le trattative riguardanti i contratti collet- nel settore11.
tivi nazionali8. Ciò ha contribuito in una certa misu- Il pesante retaggio della crisi in Italia – in realtà si
ra ad avere maggiore consapevolezza della dimensio- potrebbe parlare di un periodo più lungo, quello degli
ne internazionale dei rapporti di lavoro e delle rela- ultimi 25 anni – sembra essere, visto dall’esterno, un
zioni industriali. Da allora i sindacati dei metallurgi- certo modo di “fare impresa”, che ha portato in ulti-
ci si scambiano regolarmente informazioni sulle ver- ma analisi solo una parte minore delle aziende ad in-
tenze contrattuali nei singoli paesi attraverso l’Euro- tegrarsi nelle catene internazionali del valore. Hanno
pean Metalworkers Federation (oggi IndustriALL). portato sul piano internazionale un approccio ricavato
Ma in seguito alla crisi economica il divario tra di- dal modello dei distretti industriali, utilizzando mol-
versi paesi è diventato così profondo, che il coordi- to spesso capitali e competenze di altre aziende, inve-
namento ha perduto ogni efficacia, persino sotto il stendo sì in nuove tecnologie ma troppo poco in for-
profilo simbolico9. me di cooperazione e in processi di riorganizzazio-
Le organizzazioni dei datori di lavoro, come Busi- ne12. Troppe le imprese che hanno considerato il lavo-
ness Europe, UEAOME o CEEMET si sono sempre ro un costo e non un valore e pertanto hanno investi-
dette contrarie a un coordinamento europeo delle po- to troppo poco in competenze e formazione dei loro
litiche salariali, ma continuano a livello di settore ad giovani collaboratori che si affacciavano sul merca-
operare in termini di partenariato con i sindacati nel to del lavoro.
quadro del dialogo sociale europeo, esercitando insie- Nel protocollo d’intesa sottoscritto dai sindacati il
me azione di lobbying presso il Parlamento ed il Con- 23 luglio del 1993, con la suddivisione in due dei li-
siglio Europeo. La politica neoliberale dell’Unione velli di contrattazione, a livello aziendale e a livel-
Europea viene a loro chiaramente incontro ma poi nei lo interconfederale, si erano poste le premesse per
singoli paesi debbono di volta in volta confrontarsi mettere in moto un processo di evoluzione struttura-
con le particolarità dei singoli sistemi di produzione, le del sistema produttivo partendo dalle relazioni in-
anche se le imprese sono in misura maggioritaria in- dustriali. Quello che negli ani successivi non si riu-
tegrate all’interno di catene del valore internazionali. scì a raggiungere era un equilibrio tra un rinnovamen-
Benché le relazioni industriali in Germania, Fran- to organizzativo assolutamente necessario e l’esigen-
cia, Italia, ma anche in Austria e soprattutto in Scan- za di migliorare la formazione e l’istruzione profes-
dinavia abbiano una forte impronta di carattere na- sionale delle maestranze. Si è sempre privilegiata la
zionale, qualcosa trapela di quanto succede di parti- flessibilità nelle normative del diritto del lavoro e non
colare nei singoli paesi e talvolta questo genere d’in- si è mai arrivati a una valorizzazione delle compe-
formazioni fa capolino all’interno dei negoziati che tenze dei dipendenti, vedendo nelle spinte all’innova-
si svolgono sui contratti. I consigli aziendali europei zione sempre un fattore di riduzione di costi, trami-
(European Workers Councils) hanno portato a livello te assunzioni di personale precario o addirittura fre-
di singola azienda una certa coscienza europea, ben- elance, piuttosto che un’occasione per la crescita e
ché alcuni sindacati li considerino uno strumento “de- l’arricchimento professionale dei dipendenti13. Il rap-
bole” in quanto servono piuttosto per informare i rap- porto tra livello di contrattazione nazionale e azien-
presentanti dei lavoratori delle decisioni già prese dal dale avrebbe dovuto, negli ultimi due decenni, esse-
management anziché coinvolgerli in processi veri e re utilizzato con molto maggiore elasticità per sup-
propri di partecipazione. portare progetti innovativi che puntassero su proces-
In questo quadro la modestia dei risultati della ver- si organizzativi tali da incentivare pratiche di coge-
tenza contrattuale italiana dei metalmeccanici nel no- stione e arricchimento professionale, in modo da ot-
vembre 2016 può apparire persino un successo, se si tenere quegli effetti di feedback che sono andati per-
tiene conto del fatto di essere riusciti comunque a fir- duti con il declino del modello distrettuale. Avendo
mare un contratto che tutte le componenti hanno ac- affidato la quota di retribuzione legata alla produtti-
cettato. Negli anni precedenti il settore metalmecca- vità alla trattativa aziendale, che riguarda, a seconda
nico era diventato teatro di una tendenza disgregatrice delle diverse stime, solo il 20% degli occupati di tut-
che rischiava di portare l’Italia nella situazione di re- ti i settori (nell’industria, la percentuale sembra esse-
stare priva di un contratto di lavoro collettivo o, ancor re più alta)14. Si è finito per privilegiare i fattori di ou-
peggio, priva di un sistema di relazioni industriali10. tput (“premio di risultato”) piuttosto che quei fattori
Ci sembra comunque importante che sia i sindaca- di input, come competenze, saperi, innovazione, pro-
ti sia le organizzazioni datoriali riconoscano l’impor- cessi, organizzazione, partecipazione che sono deci-
tanza della formazione avendo accordato, per la pri- sivi per un rinnovamento15. Nel documento sindaca-
ma volta a livello nazionale, il diritto alla formazio- le del 2016 “Un moderno sistema di relazioni indu-
ne per ogni singolo lavoratore. Siccome questo dirit- striali” sembra d’intravvedere alcuni segni in direzio-
to prevede un minimo assai basso di 24 ore nell’ar- ne di un cambiamento sulla base di un rinnovamen-
co dei tre anni della validità del contratto, dipenderà to delle relazioni industriali16. La sfida che si presen-
16
ta oggi all’industria italiana è quella di recuperare un li di competitività industriale. Adapt Labour Studies. E-Book n.
ritardo di 15 anni in un contesto nel quale assistia- 53 [http://farecontrattazione.adapt.it/wp-content/uploads/2016/04/
ebook_vol_53.pdf].
mo ad un’impressionante accelerazione con l’avven-
6. [http://imprese.regione.emilia-romagna.it/entra-in-regione/
to della nuova rivoluzione (digitalizzazione, Industria documenti-di-programmazione/copy_of_MRusso_2011_1129.
4.0.). La politica e le parti sociali sembra che abbia- pdf/at_download/file/MRusso_2011_11 29.pdf]
no almeno preso coscienza di questa trasformazione, 7. Biagi, M. (2001) Towards a European Model of Industrial
abbiamo cominciato ad analizzarla ed a pensare come Relations? The Hague: Kluwer.
affrontarla17. 8. Henning K. (2013): Europäische Integration und Gewer-
kschaften. Der EMB zwischen Interessenvertretung und transna-
Nele Dittmar tionaler Solidarität. Wiesbaden: Springer.
Klaus Neundlinger 9. Van Gyes G., Schulten T. (2015): Wage Bargaining un-
der the New European Economic Governance. Brussels: ETUI
aisbl [http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2015/11/
etui_2015.pdf].
Note 10. Carrieri M., Feltrin, P. (2016): Al bivio. Lavoro, sindacato
e rappresentanza nell’Italia di oggi. Roma: Donzelli, p. 113 sgg.
Nele Dittmar e Klaus Neundlinger stanno lavorando con l’Uni- 11. Conte, Malandrini, Tiraboschi, Italia-Germania, cit., pp.
versità di Linz al progetto di ricerca Europeanization of Labor Re- 47-49, 92-110.
lations, diretto da Susanne Pernicka e Vera Glassner, con riguar- 12. Bologna S. (2007): L’undicesima tesi, in: Ceti medi senza
do alle relazioni industriali nella meccanica in Germania e in Ita- futuro? Roma: DeriveApprodi, pp. 55-107 (qui p. 79); Feltrin P.,
lia. Questa ricerca è parte di un progetto austrotedesco di più vasta Tattara G. (2010): Crescere per competere. Milano-Torino: Bruno
portata che, in un arco di tempo che va dal 2012 al 2018, intende Mondadori, p. 34.
approfondire il tema dell’“europeizzazione dei processi sociali” in
diversi campi (http://horizontal-europeanization.eu/en/). 13. Lucidi, F., Liebknecht, A. (2010): Little innovation, many
jobs: An econometric analysis of the Italian labour productivity
1. http://www.federmeccanica.it/images/files/industria-metal- crisis. In: Cambridge Journal of Economics, 2010 n. 3, pp. 525-
meccanica-in-cifre-giugno-2017.pdf. 546; Pieroni L., Pompei, F. (2008): Evaluating innovation and la-
2. Ibid. bour market relationships: the case of Italy, in: Cambridge Journal
3. https://makronom.de/ig-metall-tarifpolitik-wie-hoch- of Economics, 2008, n. 2, pp. 327-347.
ist-der-tarifabschluss-in-der-metallindustrie-tatsaechlich- 14. http://www.fondazionedivittorio.it/sites/default/files/con-
25316?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=twitter&utm_ tent-attachment/Contrattazione_2_livello_2016.pdf.
source=socialnetwork. 15. Pini P. (2013): Lavoro, contrattazione, Europa. Roma:
4. http://www.deutschlandfunkkultur.de/neuer-kampf-um-die- Ediesse, p. 50.
arbeitszeit-wem-gehoert-vati-samstags.976.de.html?dram:article_ 16. http://www.corriere.it/tmpMethode/Relazioni%20Indu-
id=407857. striali.pdf.
5. Su questo cfr. anche: Del Conte M., Malandrini S., Tirabo- 17. http://documenti.camera.it/_dati/leg17/lavori/documenti-
schi, M. (2016): Italia-Germania, una comparazione tra i livel- parlamentari/IndiceETesti/017/016/INTERO.pdf.

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La Cina nella globalizzazione

La Cina, nel senso ovviamente della Repubblica chi contrapposti. In quel tempo, nessuno in Occiden-
Popolare, non è mai stata un magnete intellettuale per te aveva osato prendere nettamente le distanze dalla
la nuova sinistra italiana e internazionale. Ha attratto Cina di Mao.
invece l’attenzione di un variegato gruppo di segua- Tuttavia, persisteva nei militanti e nelle organiz-
ci che ne esaltavano la fedeltà manichea e si identifi- zazioni rivoluzionarie un senso di fratellanza senza
cavano nella propaganda di Pechino. La liturgia era appartenenza, di comunanza con la diversità, di lon-
immutabile, il rosso indelebile, il lessico della Ter- tananza geografica e politica. Era impossibile schie-
za Internazionale. L’attenzione apologetica apparte- rarsi con gli Stati Uniti, Taiwan o il Giappone, ma a
neva ai marxisti-leninisti, per i quali la conservazio- cosa poteva servire l’esperienza cinese in Occidente?
ne del trattino assicurava la linearità di pensiero. Chi Se i suoi soggetti politici erano i contadini e le guar-
derogava dalla linea, indipendentemente dal suo con- die rosse, qual era il loro contributo agli operai di fab-
tenuto, era oggettivamente un amico della reazione e brica? La base rossa di Yenan poteva essere utile a
del capitalismo. L’analisi serviva a scovare i nemici, Mirafiori? Che rapporto esisteva tra chi lottava con-
a denunciare i traditori. Per queste versioni, la Cina tro il sottosviluppo e chi poneva il problema della ri-
di Mao era la continuazione dello stalinismo – e dun- voluzione in un paese a capitalismo avanzato? La le-
que della retta via – mentre quella di Deng emulava zione – pur vittoriosa – di un partito post-leninista in
il revisionismo di Kruscev. Le dinamiche della storia Cina era coerente o inservibile a chi teorizzava inedi-
sembravano irrilevanti; l’identità manteneva sempre te forme organizzative, nuovi soggetti politici? Se la
il primato sull’analisi. La verità valeva fino al prossi- coscienza di classe deriva dal conflitto immediato tra
mo Congresso del Pcc, dove chi prevaleva dettava la capitale e lavoro, se non c’è bisogno di intermedia-
linea e chi era sconfitto finiva nei campi di rieduca- zioni per farla esplodere, è ancora necessaria una di-
zione. Il dibattito che ne derivava non era fertile. Mao rezione come quella cinese, “un partito di quadri le-
era la continuazione o la crisi del bolscevismo? Deng gato alle masse”?
ha salvato il Partito o la Cina? Il Pcc può definirsi an- Inoltre, le istanze di liberazione – dal lavoro e dal-
cora comunista? Le domande sono mal poste, proba- le costrizioni sociali – che sorgevano nelle metropoli
bilmente inutili; negli anni ’60 si sarebbe risposto The occidentali, come si conciliavano con un regime che
answer is blowing in the wind. proprio al controllo e alla fatica manuale aveva affi-
Una lente disincantata, minoritaria, ideologica ma dato la propria legittimità? I soggetti eversivi che ne-
non ossificata, ha invece analizzato con spirito criti- gli anni ’70 hanno accompagnato le lotte operaie – il
co l’esperienza cinese. Certamente la sua epopea ne è proletariato giovanile, le femministe, gli intellettua-
stata glorificata, dalla Lunga Marcia alla guerra civi- li – che sponda potevano trovare in un regime dispo-
le contro i nazionalisti di Jiang Jie Shi, dal terzomon- tico, allineato, unidirezionale? Tutti questi interroga-
dismo di Bandung alla lotta imperialista. Senza dub- tivi stimolavano risposte con il cuore prima ancora
bio il fascino della Rivoluzione Culturale ha infiam- che con il cervello: tiepida accoglienza, diffuso scet-
mato i militanti, con la sua pratica egualitaria, il ri- ticismo, simpatia sentimentale. La Cina è lontana, so-
corso alla violenza, l’affermazione della volontà sog- prattutto è la Cina.
gettiva. L’appoggio militare al Vietnam e alla Corea La morte di Mao nel 1976 ha sigillato la fine di un
del Nord, il sostegno ai popoli del Terzo Mondo, la esperimento politico eroico. Con la sua scomparsa,
fede nel Sol dell’Avvenire marchiavano lo stemma l’arresto della Banda dei Quattro e la fine della Rivo-
dell’appartenenza in un mondo diviso tra due bloc- luzione Culturale viene consegnato alla storia il ten-
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tativo estremo della tradizione comunista novecente- turati “sulla via del capitalismo” aveva procurato pa-
sca. Da allora, con una sapiente e redditizia innova- recchie congestioni stradali. Con Deng si cementa la
zione, la Cina abbraccia molte delle logiche capitali- convinzione tipica del capitalismo: le disuguaglianze
ste, inaugurando un modello politico mai visto, con sono l’anima della crescita economica, causa ed ef-
contagi universali ed esiti imprevedibili. Si può dun- fetto, antecedente e conseguenza. Gli imprenditori di-
que ora tentare un’analisi più fredda, lontano dal fer- ventano patrioti, creano lavoro e diffondono ricchez-
vore delle adunate oceaniche a Tian An Men, senza la za. To get rich is glorious. Con una straordinaria vi-
commozione delle bandiere rosse, Far from the Mad- sione si inizia un processo che pochi anni dopo rinne-
ding Crowd. I passaggi fondamentali che hanno con- gherà un caposaldo radicato: la volontà di un partito
dotto la Cina nella globalizzazione sono sostanzial- non è sufficiente. L’economia ha le sue leggi. In Asia
mente tre: la svolta di Deng Xiao Ping, l’attrazione la sovrastruttura è più potente e complessa. Le scor-
delle multinazionali, i nuovi assetti nella crisi. ciatoie verso il comunismo non sono praticabili. For-
se, probabilmente, certamente, la Cina non era ma-
L’indifferenza al colore dei gatti tura per una rivoluzione socialista. Cosa poteva dun-
que fare un’organizzazione che ha provato a forza-
La Cina che Deng eredita alla fine degli anni ’70 re la storia ma si trovava nel labirinto della cronaca?
è in una situazione drammatica; la Repubblica Popo- Nell’impellenza delle decisioni, la soluzione più dif-
lare appare consolidata ma ancora povera e fragile. ficile è apparsa quella obbligata: cambiare politica ma
Circondata da vicini ostili, è fuori e contro il vecchio non i simboli, mantenere il potere politico e delega-
“campo socialista” dell’Urss, non ancora alleata degli re l’iniziativa economica, affidare al controllo la pro-
Stati Uniti in chiave anti-sovietica e anti-vietnamita. pria sopravvivenza. La Piazza Rossa è lontana, l’U-
La sua classe dirigente è inadeguata, a stento contra- nione Sovietica al tramonto, Gorbacev un irrespon-
sta il sottosviluppo ma non lo debella. Il Pcc acqui- sabile. Gli ideali comunisti non sono stati sconfitti a
sisce la tragica consapevolezza di non essere in gra- Pechino, erano già morti. Queste erano le impellen-
do di produrre sufficiente ricchezza sociale. Come in ti conclusioni tratte dal Politburo. Sono bastati pochi
altri momenti della storia comunista, scopre che l’e- anni per avvalorare la spericolata, inevitabile, geniale
gualitarismo ha compresso la crescita, che il pauperi- lungimiranza della Cina.
smo non garantisce il riscatto, che lo “sviluppo delle Nella “Politica di apertura e riforme” di Deng, que-
forze produttive” non è soltanto una pericolosa deriva ste ultime sono più conosciute, per la virata di 180°
di destra dall’ortodossia. Nell’ultimo decennio del- che hanno imposto. Tuttavia la prima – cioè la con-
la Guerra Fredda la Cina è esposta a tensioni milita- taminazione con gli altri paesi – non si è rivelata una
ri che probabilmente non è in grado di fronteggiare. scelta scontata. Permaneva infatti un postulato origi-
Le due superpotenze le sono ostili, Taiwan, il Giap- nale: soltanto la Cina deteneva la corretta linea rivo-
pone, la Corea del Sud e l’India la circondano armati. luzionaria, premessa e viatico per la liberazione delle
Il paese è praticamente escluso dai circuiti economi- masse. Ogni contatto con il capitalismo era contagio-
ci mondiali. Imperniato su autarchia e nazionalismo, so, tutti i legami con il social-imperialismo diventa-
è ai margini del commercio internazionale e non regi- vano pericolosi, infido veicolo di revisionismo. Con-
stra investimenti stranieri sul suo territorio. Il Pcc as- tare sulle proprie forze, ricordava il Presidente Mao. I
sorbe in quegli anni l’ineludibile certezza che la sua contadini sorridenti potevano rimandare l’acquisto di
esistenza è legata all’integrità della Cina. Solo crean- trattori. La comune agricola garantiva loro il riso. Gli
do una solida base economica, il paese avrà la forza “altiforni da cortile” del Grande Balzo in Avanti for-
di mantenere la sua unità. nivano l’acciaio. Appena tutto ciò diventa insostenibi-
L’amara verità impone di trasferire questo compi- le, quando i granai si svuotano, l’apertura all’estero è
to ad altri soggetti politici, non più alla collettivizza- cogente. Le carestie non sono più né perdonabili, né
zione, alle comuni popolari, alle imprese di stato. Sti- ripetibili. È necessario importare tecnologia, dare fia-
molata da un partito che tuttora si chiama comunista, to all’industrializzazione, senza aspettare la disponi-
una nuova classe di imprenditori si impone, blandita e bilità di tecnici allevati alla scuola del socialismo. La
protetta. Con rapide frequenze viene eliminata la fra- Grande Muraglia si abbassa, il guscio ideologico che
zione nostalgica, smantellato il welfare di base, tolta aveva protetto la Cina consente l’arrivo di beni stru-
la tutela sindacale. Il percorso è tracciato, intellegibi- mentali stranieri. Il sinocentrismo perde un suo archi-
le nella sua spietatezza: l’aumento del Pil, il rafforza- trave. Per una volta si inchina alla superiorità dell’Oc-
mento della Grande Madre Cina sono la misura di tut- cidente. Se ne riconosce il primato industriale, non
to, del consenso e del mantenimento del potere. politico o culturale, certamente non etico. Un paese
Per questa eclatante svolta politica la direzione intriso di nazionalismo, orgoglioso della sua storia,
di Deng ha impresso due forti accelerazioni. La pri- irrobustito dalla sua omogeneità, per la prima volta
ma è la libertà per le imprese di accumulare, investi- nella storia decide di sancire il proprio ritardo. Quan-
re, sfruttare. Negli anni immediatamente precedenti do Pechino afferma di essere un paese povero, in via
soltanto immaginare questo percorso sarebbe costato di sviluppo, non ammette una vergogna ma inizia una
anni di rieducazione a chi lo suggeriva. Essersi avven- trattativa. Le sono necessari torni, fresatrici, trapani,
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tutto ciò che possa creare valore aggiunto. Da quegli sociale e grigiore. La Cina non ha il dinamismo degli
anni ha inizio l’ingresso della Cina nella globalizza- Stati Uniti, ma vanta un valore più alto del Gini Index,
zione corrente. il coefficiente che misura la distribuzione del reddi-
to. Pechino registra più disuguaglianze di Washing-
Un matrimonio di puro interesse ton. Tuttavia non se ne cura, l’unico suo metro di giu-
dizio è il tragitto della continuità. Alla fine degli anni
Nella storia economica nessun esperimento ha re- ‘70, Deng era stato acuto, lucido ed esplicito: “Il no-
gistrato un successo così clamoroso. Nei 30 anni dal stro nemico non è il capitalismo, ma il feudalesimo”.
1979, Pechino ha inanellato una serie straordinaria di Gli esiti del suo esperimento non sarebbero stati
risultati. Il Pil è cresciuto a una media annuale del comunque così spettacolari senza la globalizzazio-
10%. Il paese ha conquistato varie supremazie mon- ne. La Cina ha tratto vantaggio dalla sua affermazio-
diali: primo esportatore, principale destinazione degli ne e ne ha impresso il volto corrente, quello più co-
Fdi (Foregn direct investments), maggior detentore nosciuto. La fine dell’Unione Sovietica, il sipario sul-
di riserve. Tutti questi primati si sono rafforzati ogni la Guerra Fredda sembravano aver decretato la “fine
anno. Le condizioni di vita dei cittadini sono miglio- della storia”. Il mondo era avviato a un’era di pace
rate sensibilmente; appartengono ormai ai ricordi gli e di benessere, dove il capitalismo avrebbe allunga-
indescrivibili bagni pubblici, le distese di biciclette, i to i suoi tentacoli ovunque creando libertà e prospe-
carri trainati dagli asini. Pur con modeste flessioni nel rità. Sembrava irreversibile il crepuscolo del dirigi-
tasso di crescita, la Cina vanta ora la seconda econo- smo, della politica industriale, della programmazio-
mia al mondo, la prima dal 2014 se si considera il Pil ne. In ultima analisi, anche la socialdemocrazia eu-
a parità di potere d’acquisto. Sul versante internazio- ropea presagiva un destino avverso. Il bagaglio teo-
nale la Cina è solida, rispettata, temuta. Non esistono rico era il liberismo dominante: ogni limitazione alla
nell’agenda mondiale argomenti che la vedano esclu- libera circolazione di capitali, persone, merci, era un
sa dalle trattative. È inimmaginabile che qualche pa- ostacolo alla ricchezza sociale. Il mercato avrebbe re-
ese tenti un’avventura militare contro la Cina; al con- perito i fattori di produzione ovunque fossero dispo-
trario la sua forza è ora capace di intimorire, talvolta nibili al meglio: operai in Asia, materie prime in Afri-
viene addirittura auspicata nelle crisi internazionali. ca, ingeneri in Germania, banchieri nel Regno Uni-
Questo progresso epocale è avvenuto con pochi to, consumatori negli Stati Uniti. Senza vincoli ide-
scossoni, con l’eccezione della repressione di Tian ologici, ormai appassiti, era possibile trasformare il
An Men nel 1989. Aver coniugato crescita e stabilità pianeta in un mercato globale, piatto e senza asperità,
è stato il merito maggiore della dirigenza. Il control- dove tutto si poteva spostare senza limiti. The World
lo della forza lavoro, dei cittadini è stato rigido. Se il is Flat. Lo certificavano il Wto, la World Bank, il Wa-
Partito ha concesso molte libertà individuali all’im- shington Consensus.
prenditoria, ha invece mantenuto un polso saldissimo Se tutto questo è vero, quale appare la destinazio-
sul resto della società. L’arsenale tipico è stato man- ne migliore per gli investimenti internazionali? Se il
tenuto: nessun sindacato antagonista, repressione del mondo è un’immensa arena di produzione e consu-
dissenso, chiusura sui diritti umani, censura sulle co- mo, dove è possibile assecondarla? Se le aziende, or-
municazioni. Il Pcc, fiero del proprio ruolo, si avvia mai non più indirizzate dalla sfera politica, cercano
a celebrare i 100 anni di vita, nel 2021, e i 70 al pote- l’approdo migliore per i loro capitali, a quale paese
re, dalla fondazione nel 1949 della Repubblica Popo- possono rivolgersi? La Cina è una calamita imbat-
lare. Tutto questo ha avuto certamente un costo socia- tibile per chi vuole essere coerente con un bastione
le. Deng aveva affermato, per minimizzare la sconfit- della globalizzazione: Manufacture everywhere, sell
ta del Maoismo, che quando si aprono le finestre per everywhere. Per questi everywhere, la Cina è il posto
cambiare aria, è inevitabile entrino dei moscerini. In migliore. Offre una combinazione straordinaria di at-
realtà i nuovi intrusi sono stati più grandi degli inset- trattività. Cosa cercano le multinazionali? Qual è l’o-
ti: disuguaglianze, espropri delle proprietà contadine, rizzonte dei Consigli di Amministrazione quando de-
inquinamento, sordità alle rivendicazioni. Nella nuo- cidono di delocalizzare? Tutto converge verso le op-
va sinistra i traguardi raggiunti suscitavano indiffe- portunità che emergono dalla Cina. La stabilità so-
renza, il cambio al timone generava disincanto. La di- cio-politica è il primo requisito e Pechino ha già di-
sillusione colpiva chi si era illuso. La Cina non ave- mostrato di saper usare i cingoli quando è necessa-
va liberato la società, né cambiato i rapporti di pro- rio. Il paese è pacifico, disciplinato, ordinato. I costi
duzione. Il lavoro salariato aveva sostituito la fatica di produzione rimangono contenuti. La forza lavoro,
nei campi. Le libertà individuali rimanevano ridotte, almeno in una prima fase, era inesauribile, controlla-
la democrazia non era all’ordine del giorno, agli ope- ta, economica. Decine, centinaia di milioni di conta-
rai era riservato soltanto un riscatto materiale. Para- dini si sono dirette in città, per lavorare nelle fabbri-
dossalmente, questa analisi identificava nel “sociali- che e nei cantieri. Le condizioni di lavoro sono dure,
smo di mercato con caratteristiche cinesi” i peggiori i diritti vengono repressi, anche se per la prima vol-
difetti del capitalismo e del collettivismo: sfruttamen- ta nella loro vita i lavoratori partecipano ad un’econo-
to e controllo, alienazione e conformismo, disparità mia monetizzata: guadagnano un salario e lo spendo-
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no nei negozi. Da alcuni anni, per la prima volta nel- al territorio. Nessun provvedimento politico o nor-
la storia, la popolazione urbana della Cina ha supera- mativo proibiva loro di trasferire capacità produtti-
to quella rurale. Il business climate è favorevole, gli ve, di chiudere le proprie fabbriche e aprirne di nuo-
investimenti sono benvenuti, le imposte ridotte, i pro- ve dove più conveniente. Gli ostacoli ideologici sono
fitti esportabili. La rete infrastrutturale – decisiva nel- un ingombro del passato. McDonald’s ha negoziato
la distribuzione delle merci – è eccellente. La Cina ha 14 anni per avere l’autorizzazione ad aprire i batten-
la più estesa rete di ferrovie ad alta velocità al mondo. ti a Mosca, nel 1990, quando il sole già calava sull’U-
Sei dei primo otto porti al mondo per movimentazio- nione Sovietica. Il suo primo ristorante era considera-
ne container sono cinesi, con Shanghai da anni salda- to un veicolo del capitalismo, un nemico da arginare.
mente al primo posto. Infine, esiste in Cina un mer- Oggi sono presenti migliaia di McDonald’s in Cina,
cato interno dalle potenzialità immense. Affrancati da per la gioia della multinazionale, dei suoi soci loca-
una prudenza atavica, i consumatori cinesi si affaccia- li e dei consumatori. La globalizzazione elimina dun-
no per la prima volta ad acquisti massificati, rendendo que le frontiere, trasferisce il sapere industriale, tro-
così possibile per le aziende indirizzare le vendite non va nella rete un moltiplicatore di opportunità. La Cina
più all’export ma all’interno dei confini. dava il benvenuto agli investimenti diretti e alla com-
Permangono ovviamente dei limiti strutturali: la mittenza, off shoring or sourcing.
ridotta indipendenza della magistratura nelle verten- Le conseguenze sono state devastanti in alcuni pa-
ze, la persistenza di copia e imitazione, il trattamento esi. È’ sufficiente vedere le fabbriche dismesse nel
migliore riservato dalle normative alle aziende cine- Midwest, le acciaierie abbandonate in Italia, le mi-
si. Tuttavia i vantaggi offerti sono imbattibili, anche niere chiuse in Vallonia o nel Galles, la riduzione de-
nei confronti dei paesi emergenti. La Cina consen- gli addetti nell’industria tessile, calzaturiera, in tutti i
te non soltanto costi più bassi, ma interviene diretta- comparti labour intensive. I recenti risultati elettorali,
mente nella creazione di valore, moltiplicando le ven- quelli più importanti negli Stati Uniti, nel Regno Uni-
dite e i profitti. Se l’interrogativo fosse teso a scopri- to, in Europa, hanno sorpreso soltanto chi non ave-
re la destinazione migliore per i capitali internaziona- va in mente queste immagini. La risistemazione del-
li alla ricerca di investimenti produttivi, la risposta sa- la forza lavoro ha assunto dimensioni titaniche, come
rebbe semplice, di una plateale evidenza. Si è dunque se la classe operaia rivendicativa, cosciente, sindaca-
assistito negli anni a un matrimonio di interesse tra la lizzata fosse sostituita da un’infinita disponibilità di
Cina e le multinazionali. Un’unione apparentemente braccia a basso costo e senza tutele. I paesi di tra-
innaturale ha dato luogo a un fenomeno di grandi di- dizione manifatturiera con prevalenza dei settori ma-
mensioni. Le conseguenze sono state impressionanti. turi, come l’Italia, hanno sofferto l’emersione della
La prima, la più conosciuta, è la veloce industria- Cina. La riduzione dei salari reali, la disoccupazio-
lizzazione della Cina, la sua trasformazione in uno ne, il precariato, la nascita di nuove occupazioni al di
sterminato opificio mondiale, dove si produce tutto fuori della fabbrica sono stati la conseguenza, più o
per tutti. The factory of the world. Un paese agrico- meno mediata, dei nuovi assetti globalizzati. Inoltre, i
lo, abituato a misurare il tempo con l’arco del sole, paesi in via di sviluppo hanno trovato ostacoli nel ten-
ha appreso i ritmi della fabbrica, la spietatezza dei tativo di industrializzarsi. Come attrarre investimenti
cronometri. L’artigianato è stato soppiantato dall’in- internazionali se la Cina presenta approdi più redditi-
dustria, il cielo oscurato dalle ciminiere. Le multina- zi? Quali prospettive offre una nascente industria na-
zionali non hanno soltanto arrecato le macchine uten- zionale se la manifattura è già dominata da Pechino?
sili, ma soprattutto le capacità di farle funzionare. I L’amara conclusione rivela un destino fatidico: non
loro ingegneri, sono stati preziosi come la tecnologia riuscire a trasformare le proprie materie prime, ma es-
che fornivano. Il paesaggio demografico, etico, socia- sere obbligati a venderle alla Cina, avversario imbat-
le in pochi anni ha visto un cambiamento spettacola- tibile per produzione e distribuzione.
re. Tutto ciò ha registrato relativamente pochi scosso- Oltre ai due coniugi, chi ha tratto vantaggio dall’i-
ni. Nessun paese al mondo avrebbe potuto assorbire nedito matrimonio? Gli importatori, i paesi con im-
mutazioni così repentine, enormi differenze economi- pianti produttivi all’avanguardia e inimitabili, come
che, senza vacillare. La Cina invece ha effettuato una la Germania, ora la Corea del Sud, prima il Giappone.
rivoluzione rapida e silenziosa, senza il clangore delle In un mondo che denunciava l’invasione delle mer-
armi ma con risultati eccezionali. Ha certamente con- ci cinesi, invocando un aiuto conservatore contro il
tribuito il retaggio storico del paese – soprattutto l’o- loro declino, questi paesi registrano ogni anno atti-
mogeneità culturale – ma il merito va ascritto al Pcc. vi commerciali. La Cina acquista i loro prodotti, cre-
Ha cambiato linea più volte, ma non ha derogato dal- ando dunque reddito e occupazione. Le altre nazio-
la funzione che aveva assunto: selettore delle priorità, ni, la maggioranza, hanno sofferto questa emersione.
sentinella dello sviluppo, guardiano del dissenso, re- Alle dinamiche capitaliste non bastava più il control-
golatore delle tensioni. lo della forza lavoro interna, perché sfuggiva loro la
Una seconda conseguenza, la più pericolosa, è sta- concorrenza internazionale. Quest’ultima è una filia-
ta la forte de-industrializzazione del Nord America e zione diretta della lungimiranza delle multinaziona-
dell’Europa. Le multinazionali non erano più legate li. Anche grazie a loro, il Regno di Mezzo è diventato
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un Dragone. Gli anelli deboli del vecchio ordine sono si dibattono verso una ripresa incerta, essa continua a
stati i più colpiti. Quando non è stato più possibile crescere a tassi invidiabili. Una gigantesca manovra
stampare moneta e finanziare il consenso con il debi- di stampo keynesiano ha immesso una benefica inie-
to pubblico, la crisi è diventata sistemica e forse irri- zione di denaro nella società. La crescita del Pil negli
solvibile. In termini prosaici e con un’eccessiva sem- ultimi anni si è assestata intorno al 7%, un tasso invi-
plificazione: non si può più finanziare il welfare con diabile da tutti i premier del mondo. Pur lontano dai
il sudore degli altri. Certamente la crisi è endemica record a due cifre, la ricchezza prodotta procede con
nel capitalismo, sicuramente le classi dirigenti occi- stabilità. Denota che il lungo percorso per uscire dal
dentali sono state imbelli, ma l’emersione della Cina sottosviluppo è a buon punto. Segnala che la maturi-
ha inchiodato alle proprie responsabilità molti siste- tà dell’economia è acquisita: anche senza il traino dei
mi sociali arretrati, non concorrenziali, obsoleti pri- paesi industrializzati la Cina cresce delle dimensioni
ma ancora che ingiusti. La Cina è stata l’araldo di un di un paese come la Turchia ogni anno. L’inflazione è
riscatto storico, soprattutto dell’Asia. Vecchi e popo- accettabile, i conti appaiono in ordine, la disoccupa-
losi paesi, sedi di antiche civiltà stanno riprendendo il zione rimane sotto controllo, la bilancia commerciale
loro posto. Quando anche l’India e l’Indonesia saran- in costante attivo. Le proteste sono contrastate in an-
no coerenti con le loro dimensioni, quando riusciran- ticipo, talvolta mediate, spesso represse. Soprattutto,
no a coniugare produzione e produttività, le lancette la Cina non deve rendere conto a nessuno, se non a se
della storia ritorneranno alla tradizione, secondo l’or- stessa. I governi, l’opinione pubblica occidentale, le
dine conosciuto prima della rivoluzione industriale. cancellerie – tutti attraversati da una pregiudiziale ve-
L’ingresso della Cina nella globalizzazione ha ge- natura anti-cinese – non possono far altro che tratta-
nerato una terza conseguenza, di impatto ugualmente re con Pechino, con leve negoziali sempre più debo-
grande: il sostegno alla finanziarizzazione dell’eco- li. Per una paradossale inversione della storia, devono
nomia. Ironicamente, assumendo le capacità produtti- fronteggiare una potenza della quale hanno accelera-
ve, ha liberato energie al capitale finanziario. Mentre to l’emersione. Sono costretti a importare merci cine-
le tute degli operai continuavano a creare valore, gli si, perché i consumatori le richiedono: costano poco e
abiti gessati di Wall Street e le bombette della City si possiedono qualità crescente. Blandiscono i turisti ci-
preoccupavano di estrarre valore. Trasferivano ovun- nesi: sono tanti e acquistano molto. Richiamano capi-
que masse ingenti di capitale, finanziavano consumi tali dalla Grande Muraglia: sono disponibili e cerca-
incessanti, perpetuavano il deficit statale. Per l’enne- no all’estero la qualità che non hanno in patria. Con-
sima ironia della storia, il risparmio dei contadini ci- tinuano a coltivare il miraggio d’Oriente, convinti da
nesi concedeva credito ai consumatori americani. Pe- due secoli che la Cina sia comunque the largest mar-
chino interveniva nei twin deficit statunitensi: con le ket on earth. Il gigante asiatico si staglia dunque vit-
merci attivava quello commerciale, con gli stessi dol- torioso da questa prima fase della globalizzazione,
lari riparava il bilancio federale comprando titoli di congiuntamente ai profitti delle multinazionali.
stato. Il matrimonio non poteva essere più solido e Tuttavia, se il punto di massimo sviluppo coinci-
conveniente, fino alla prossima crisi. È stato così raf- de con la crisi, il Regno di Mezzo si trova a fronteg-
forzato questo tipo di globalizzazione, la sua versio- giare problemi inediti che la rincorsa economica ave-
ne corrente. L’aspetto dominante è quello economi- va trascurato. Non a caso, una delle prime direttive
co, forse addirittura contabile: rapporti di produzione del segretario Xi Jin Ping, appena eletto nel 2012 è
senza veli nazionalistici, privatizzazione dei beni co- stata di “uscire dall’ossessione della crescita”. Si trat-
muni, crisi del modello socialdemocratico, afferma- ta di un passaggio cruciale, ribadito dal recente XIX
zione dell’individualismo. Il profitto è la misura di Congresso del Pcc. Impone la ricerca di un model-
tutto, anche degli aspetti etici. Un altro versante della lo di sviluppo più sofisticato, indipendente, sinizzato.
globalizzazione sarebbe stato possibile, se il riformi- Chi trae vantaggio dalla “fabbrica del mondo”? Cer-
smo non fosse stato così platealmente impotente e ri- tamente la committenza e la distribuzione, più della
luttante a intercettare le nuove dinamiche sociali. Sa- Cina. La nazione ha potuto accettare un ruolo meno
rebbero potuti emergere i valori della solidarietà, del- redditizio in cambio delle competenze per sconfigge-
la democrazia, dei diritti, se la politica non avesse ab- re l’arretratezza. Ora è più forte e può imporre accor-
dicato ai suoi compiti e avesse lasciato la regolazio- di più vantaggiosi. Inoltre, si interroga se non sia pe-
ne dei conflitti all’illusione del mercato. Come noto, ricoloso affidare la crescita alle esportazioni. Se il re-
questa opzione è stata sconfitta. Il trionfo cinese nel- sto del mondo entra in crisi, chi comprerà le merci ci-
la globalizzazione ne è una conseguenza, neanche la nesi? Si possono affidare le sorti di un grande paese
più nefasta. alla congiuntura internazionale? Laddove il Made in
China non venisse esportato, quante fabbriche chiu-
I nuovi assetti derebbero, quanto salirebbe la disoccupazione, che ri-
schi correrebbe la stabilità? Nel momento in cui l’o-
A dieci anni dall’inizio della crisi, la Cina è anco- pificio mondiale tocca il suo vertice, se ne scopre la
ra più solida e potente. Mentre gli altri paesi hanno debolezza. Si comprende dunque l’insistenza verso
pagato un prezzo alto alla recessione e molti ancora un assetto economico più adeguato, stabile, potente,
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moderno. I consumatori cinesi acquisteranno le mer- le d’ordine: sogno cinese, rinascimento, new normal.
ci che producono, il consumo interno dovrà aumenta- Sono emerse dagli ultimi 2 congressi del Pcc che han-
re. Il modello dovrà cambiare, da investment-export no sancito prima l’avvento e poi il trionfo di Xi Jin
led growth a domestic led growth. Non ha più signifi- Ping. La prima fase della globalizzazione si è conclu-
cato stabilire gli ennesimi record nella produzione di sa con un successo, la delega all’economia per scon-
acciaio, cemento, vetro, abbigliamento, calzature. Se figgere il sottosviluppo è stata un’operazione astuta.
il mondo ha bisogno di beni di scarso valore aggiun- Ora il Partito tende a riprendere in mano l’iniziativa
to, si rivolga ad altri paesi in via di sviluppo. La Cina politica, rafforzato dalle epurazioni degli oppositori,
è indirizzata verso un impianto più ambizioso, quali- caduti nella lotta alla corruzione. Nella scena interna-
ty vs quantity. zionale le timidezze del passato sembrano dimentica-
Non deve infine sfuggire all’analisi la madre di tut- te. La Cina non ha timore di elargire i sorrisi e mo-
te le contraddizioni: la Cina è un attore principale del- strare i muscoli. L’avvio della Belt and Road Initia-
la globalizzazione senza averne condiviso i principi tive è un’operazione diplomatica ed economica che
fondamentali. Ha intercettato le opportunità, certa- ha ricevuto un plauso diffuso. Una gigantesca tena-
mente non la sua filosofia. Glielo hanno impedito la glia partirà dalla Cina, si dividerà lungo curve marit-
sua weltanschauung e le contingenze legate al ruo- time e terrestri e si ricongiungerà nel Vecchio Conti-
lo del Partito comunista. Se la globalizzazione impli- nente, come l’antica Via della Seta alla quale si ispira.
ca libertà, movimento, diritti umani, la Cina limita la L’Eurasia tornerà ad essere un’immensa massa conti-
prima, controlla il secondo, interpreta come vuole i nentale. I suoi 2 estremi – sulle sponde del Pacifico e
terzi. Il pensiero dominante, affermatosi dopo l’89 a dell’Atlantico, passando per l’Oceano Indiano – sa-
Berlino, riteneva che l’ascesa economica fosse con- ranno collegati da una gigantesca rete infrastruttura-
comitante alla democrazia politica, in una reciprocità le dove viaggeranno merci, persone, idee. Finanziata
logica tra condizioni necessarie e risultati attesi. Il di- da Pechino, l’iniziativa si muove nel solco della mi-
namismo individuale appariva la ricetta per sconfig- gliore globalizzazione, dove il commercio e la mobi-
gere la povertà, lo Stato leggero il grimaldello per la lità sono strumenti di pace. È meglio che alle frontiere
prosperità. La Cina, pur abbracciando il capitalismo, si scambino manufatti piuttosto che colpi di artiglie-
lo ha declinato in maniera originale. È proprio la dire- ria. Ora Xi può affermare incontrastato quello che ri-
zione politica a incanalare gli animal spirits. La poli- vendicava nel 2009: “Esistono degli stranieri annoia-
tica industriale – anche se scevra dai piani quinquen- ti, con gli stomaci pieni, che non hanno niente di me-
nali – impone scelte cogenti, seleziona i settori, inco- glio da fare che accusarci. In primo luogo, la Cina
raggia l’imprenditoria privata. Mentre si celebravano non esporta la rivoluzione; poi non causa nel mondo
le vittorie ineluttabili dell’homo economicus, spaval- fame e povertà, infine non si avventura all’estero per
do e cittadino del mondo, Pechino dimostrava che si procurare disagi. Cos’altro ancora dobbiamo dire?”
può creare valore soprattutto con la disciplina, l’au- Il Presidente ha ragioni da vendere, effettivamente il
mento delle ore in fabbrica, la riduzione del costo del suo paese ha subito torti che vuole riscattare. Esprime
lavoro. Se il capitalismo avanzato preferiva lo smart il suo punto di vista, anche se l’analisi trova difficoltà
work, la Cina si irrobustiva con l’hard work. Quan- nel distribuire torti e ragioni. Trascura però di ricor-
do la globalizzazione imponeva l’uniformità dei gu- dare che in una società globalizzata si possono creare
sti, dei modelli culturali, delle abitudini alimentari, danni fuori dai propri confini, anche soltanto offren-
la nazione resisteva nell’unicità della propria storia, do prodotti a basso costo, vendendo in dumping, vio-
nell’immenso retaggio comportamentale, nella prote- lando la proprietà intellettuale e ignorando le moder-
zione della Grande Muraglia. È questa singolarità a ne relazioni industriali.
inquietare il pensiero unico del liberismo, la scoperta In contrasto con la visione armoniosa del pea-
di un’alterità non prevista che esalta l’economia pur ceful rise, l’alba pacifica trova sullo stesso Oceano
trovando le sue radici nella sovrastruttura. Non ha im- un teatro di conflitti e di pericoli. La Cina rivendi-
portanza che la Cina esprima un modello migliore o ca un’immensa distesa di mare, il perimetro della ni-
peggiore, il vulnus inflitto al capitalismo occidentale ne-dash line che collega isolotti, atolli e scogli. En-
è la sua diversità irriducibile. tra così immediatamente in contrasto con il Giappo-
ne e molti paesi dell’Asean (Association of South-
Prospettive East Asia Nations), principalmente il Vietnam e le
Filippine. In questa disputa, Pechino non ha esita-
Oggi la dirigenza è impegnata ad acquisire un ruo- zioni nel costruire fari, piste di atterraggio, attracchi
lo ancora più nevralgico nello scacchiere mondiale. su isole disabitate. Se riuscisse nel suo intento, allar-
Ha più forza nel discutere con i governi e le multina- gherebbe le sue acque territoriali di migliaia di chi-
zionali. Possiede le risorse per acquistare la migliore lometri dalle sue coste attuali. Le ripercussioni sa-
tecnologia, la determinazione per sconfiggere le re- rebbero gravi, soprattutto per la libertà di navigazio-
sistenze interne al cambiamento. All’orizzonte si in- ne. La Pax Americana che regna nel Pacifico Orien-
tuisce la fisionomia di un paese potente e prospero, tale sarebbe messa a dura prova e potrebbe genera-
innervato da capacità ed espresso dalle nuove paro- re tensioni dagli esiti imprevedibili. Perché la Cina
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ha sollevato queste dispute? Qual è il suo interesse a la tolleranza del dissenso. Contrariamente alle inge-
rinnegare una politica estera silenziosa? Era neces- nue attese dell’Occidente, in Cina non sono sorti par-
sario risvegliare vecchi rancori? Pur nella comples- titi d’opposizione, le nuove classi non hanno dato vita
sità dell’analisi, una risposta traspare chiaramente: a raggruppamenti sociali, le dinamiche di una socie-
la Cina ora è pronta a ingaggiare nuove sfide. Ha le tà articolata hanno preso strade diverse, conformi allo
risorse, la determinazione, il ricordo indelebile del- spirito di Pechino. La riforma del sistema politico non
la sua grandezza. Inoltre, il nazionalismo compatta i è in agenda, il controllo rimane ferreo, i lavoratori de-
cittadini, il partito tiene sotto controllo l’esercito, le vono obbedire. La lotta di classe come motore del-
dimensioni contano sul piano negoziale. Tra i mol- lo sviluppo è una sofisticazione impraticabile, un ri-
ti, è l’indizio più consistente che la prima fase del- schio che la dirigenza non saprebbe come assumere.
la Repubblica Popolare – la lotta al sottosviluppo e Eppure questi compiti saranno ineludibili. Dal loro
il consolidamento del Pcc – volge ormai al tramon- svolgimento dipenderanno i prossimi assetti strategi-
to. Il paese ha tratto forza dalla globalizzazione e ora ci e la nuova divisione internazionale del lavoro. La
cerca di riscuoterne i dividendi, imponendo il peso Cina per ora continua a crescere e macinare record.
che la geografia e la storia le hanno assegnato. L’ottimismo le indebolisce i dubbi, mentre propone
Non le sarà facile. La Cina si trova infatti non an- con gli Stati Uniti l’ultima bizzarria mediatica e poli-
cora al centro del sistema mondiale, ma certamen- tica: un paese comunista difende la globalizzazione,
te ha abbandonato la sua periferia. È più forte, ma mentre l’alfiere del capitalismo ne riduce l’impatto
più esposta; gonfia il petto ma genera risentimento; con dazi e muri protettivi.
è estranea alla tradizione militare ma la sua storia re-
cente è affollata di scontri alla frontiera. Soprattutto, Romeo Orlandi
non è abituata a gestire la complessità della globaliz-
zazione. Ha scarsa duttilità, confonde la trattativa con Economista e sinologo, Romeo Orlandi è Vice Presidente
il cedimento, rispetta i rapporti di forza, privilegia il dell’Associazione Italia-Asean. Insegna Globalizzazione ed Estre-
mo Oriente all’Università di Bologna e ha incarichi di docenza
bilateralismo, la sua stella polare è il risultato. Do- sull’economia dell’Asia Orientale in diversi Master post univer-
vrebbe accompagnare una visione più larga alla sua sitari. Ha diretto il think tank Osservatorio Asia. Ha vissuto e la-
sinitudine, ma questo richiederebbe una responsabili- vorato a Los Angeles, Singapore, Shanghai e Pechino. Collabora a
tà che la Cina non sa e probabilmente non vuole pren- quotidiani e riviste specializzate. È autore di numerose pubblica-
zioni su Cina, India, Vietnam, Indonesia, Singapore e Asean. Per
dersi. Le sono ancora lontane scelte multidirezionali, l’editore Derive Approdi ha pubblicato il romanzo “Il Sorriso dei
la gestione delle tensioni, i conflitti a bassa intensità, Khmer Rouge”.

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“Donald Trump è fascista?”

Nel novembre 2015, agli inizi della rincorsa del- ak) e che si era già conquistata l’etichetta di Trum-
l’“antipolitico” Donald Trump alla candidatura re- pspeak: il rovesciamento del significato delle paro-
pubblicana per la presidenza, due giornalisti, Jamelle le accompagnato dalla alternative truth, la falsifica-
Bouie ed Eric Levitz, osservavano il potenziale can- zione sistematica della verità e del disprezzo per l’e-
didato attraverso la doppia lente della personalità e videnza dei fatti3.
dei movimenti storici delle destre statunitensi ed eu- Eric Levitz ammetteva che l’accusa che mol-
ropee. Le accuse più o meno esplicite di fascista che ti commentatori e politici, conservatori e progressi-
altri politici, osservatori e giornalisti avevano comin- sti, lanciavano contro Trump “suonava ragionevole”,
ciato a rivolgere a Trump in seguito al suo estremismo ma si domandava: “È giusto dare del fascista a Do-
e alla sua arroganza sessista, xenofoba e islamofoba nald Trump solo perché lui si sente tale?” Così come
spingevano sia Bouie, sia Levitz a definire anzitutto la aveva fatto Bouie con Eco, Levitz si rifaceva ai mo-
cornice concettuale di riferimento entro cui articolare delli interpretativi elaborati da Robert Paxton, l’auto-
poi un giudizio non impressionistico1. re di un volume, The Anatomy of Fascism, pubblica-
Bouie ricorreva a un saggio di Umberto Eco, inti- to nel 2004 e universalmente considerato un classi-
tolato Ur-Fascism, pubblicato dieci anni prima sul- co del settore. Diversamente da tanti altri storici che
la “New York Review of Books”2. Eco aveva elencato avevano cercato di tracciare le genealogie intellettua-
14 tratti caratterizzanti del fascismo, non necessaria- li del fascismo, nel suo libro Paxton non aveva preso
mente coerenti tra loro e presenti tutti insieme; anzi, le mosse da ideologia e filosofia politica, intese come
aveva scritto, “è sufficiente la presenza di uno di essi premesse teoriche da cui la prassi di fascisti e nazi-
perché il fascismo gli si coaguli intorno”. Di quei trat- sti sarebbe poi derivata. L’origine del fascismo, ave-
ti Bouie ne individuava in Trump almeno otto: il di- va scritto, sta nella ricerca di potere ed è da riportare
sprezzo per il pensiero in quanto attività intellettua- a “un insieme di ‘passioni mobilitanti’ che danno for-
le (“una forma di evirazione”); l’intolleranza verso le ma all’azione fascista, piuttosto che a una coerente e
critiche; la paura della diversità (e quindi il dovere di pienamente articolata filosofia”. Queste passioni – la
fare fronte contro gli “intrusi”); il fare appello alla “lava emotiva che fece da basamento del fascismo” –
frustrazione individuale e sociale (in particolare del- erano sintetizzate da Paxton in nove punti: un senso
la “classe media frustrata” e impaurita “dalle pressio- di crisi profonda, impossibile da risolvere con meto-
ni esercitate da gruppi sociali inferiori”); il naziona- di tradizionali; la primazia del gruppo, con la subor-
lismo estremo (e “la paura del complotto”); un sen- dinazione dell’individuo al gruppo e la conservazione
so di umiliazione di fronte alla “ricchezza e forza dei della purezza del gruppo stesso; la convinzione che il
nemici”; un “elitarismo popolare” (secondo cui i pro- proprio gruppo si trovi nella condizione di vittima e
pri concittadini “appartengono al popolo migliore del che ciò giustifichi ogni azione contro il proprio nemi-
mondo”) integrato dal disprezzo per i deboli; la cele- co; il timore che il gruppo si indebolisca per l’effet-
brazione di una mascolinità aggressiva e spesso vio- to corrosivo del liberalismo, della lotta di classe e di
lenta. Se Bouie avesse scritto un anno più tardi non influenze esterne; il bisogno di una comunità coesa e
avrebbe potuto trascurare almeno altri due dei trat- pura, che si formi grazie al consenso oppure con una
ti indicati da Eco: il “populismo selettivo”, venato di violenza che escluda chi non aderisce; la necessità di
suprematismo razziale bianco e accompagnato da au- avere un capo naturale (maschio), il solo capace di in-
toritarismo presidenziale, e l’adozione di quella che carnare i destini del gruppo; la superiorità degli istin-
George Orwell aveva chiamato “neolingua” (newspe- ti del capo rispetto al pensiero razionale; la bellezza
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della violenza e l’efficacia della volontà quando ser- che le valutazioni dei non pochi che già allora ritene-
vano al successo del gruppo; il diritto del popolo elet- vano che il giornalista del quotidiano newyorkese si
to a dominare gli altri, in nome della legge del più for- sbagliasse sui repubblicani e che nel suo auspicio egli
te e senza vincoli derivanti da leggi umane o divine4. peccasse di un immotivato ottimismo.
L’opinione di Paxton sul candidato repubblicano Le evidenti pulsioni autoritarie di Trump da una
fu richiesta ripetutamente nell’anno e mezzo succes- parte e i rischi per le istituzioni democratiche dall’al-
sivo. Nel gennaio 2016, egli faceva riferimento alle tra erano al centro anche di un lungo articolo pubbli-
manifestazioni concrete ispirate dall’ideologia oppor- cato dalla rivista “Tikkun” all’inizio di gennaio 2016.
tunistica e manipolatoria del fascismo novecentesco Il suo autore, lo storico della Kent State University
e diceva di “comprendere che alcuni possano esse- Richard Steigmann-Gall, riportava le valutazioni di
re portati a sottolineare le somiglianze tra Trump e i vari studiosi che, pur esprimendo giudizi variamente
capi fascisti”5. Poco prima delle elezioni del novem- negativi sull’uomo e la sua cultura autoritaria, ritene-
bre successivo, Paxton si diceva convinto che Trump vano impropria l’accusa di fascismo. Per lui, invece,
fosse più che altro un affarista che pensava ai suoi in- Trump era fascista. Anche il suo giudizio, come quel-
teressi e che però stesse giocando “in modo disastro- lo di Eric Levitz (e vari altri), poggiava soprattutto sui
so con molto della retorica e dei pregiudizi che sen- modelli interpretativi elaborati da Paxton. Su quella
za dubbio appartengono alla retorica fascista e alla base, Steigmann-Gall dimostrava poi analiticamente
violenza fascista”6. Quattro mesi dopo le elezioni, in- non soltanto che “Trump è effettivamente fascista”,
fine, scrivendo in prima persona per il francese “Le ma anche – cosa forse più importante – che i suoi so-
Monde”, egli ammetteva nuovamente che Trump “ri- stenitori, “alcuni dei quali peraltro usano etichettare
prendeva diversi motivi tipicamente fascisti”: “deplo- come ‘fascisti’ i loro avversari di sinistra e dichiarano
razione del declino nazionale imputato agli stranie- ad alta voce che a loro non interessa avere un caudil-
ri e alle minoranze; disprezzo per le norme del dirit- lo, stanno attivamente cercando soluzioni fasciste per
to; difesa implicita della violenza contro gli opposito- i problemi che li affliggono”10.
ri; rifiuto di tutto ciò che è internazionale, che siano il Lungi dallo spegnersi, la discussione sul fasci-
commercio, le istituzioni o i trattati esistenti”. Tutta- smo/non fascismo di Trump e su rischi, probabilità
via, così come sottolineava la mancanza di coerenza e conseguenze di un suo successo elettorale prose-
ideologica o teorica del fascismo storico, Paxton sot- guì in modo altalenante per tutta la durata delle pri-
tolineava anche, e ancor più, l’incoerenza caratteriz- marie, ebbe un’ulteriore accelerazione nelle settima-
zante l’azione politica di Trump. La sua conclusione ne immediatamente precedenti e seguenti le elezioni
era che l’idea trumpiana di un “esecutivo senza vin- del novembre 2016 e fu nuovamente rinfocolata nel
coli e senza controlli” si avvicinava più a quella di 2017, dopo il suo insediamento. Alcuni esempi, tra i
una “generica dittatura”, che a quella di un “preciso tanti, di matrice politico-ideologica diversa.
fascismo”7. Nel maggio 2016, Robert Kagan, uno degli ideolo-
Torniamo indietro. Anche Eric Levitz, misurando gi dell’ala neo-conservative del Partito repubblicano,
quanto parole e comportamenti del futuro presiden- prendeva un’inaspettata, esplicita posizione contro
te “obbedissero” o meno a ciascuno dei punti elenca- Trump con un lungo articolo sul “Washington Post”,
ti da Paxton nel suo volume, aveva riconosciuto che intitolato: “Questo è il modo in cui il fascismo arriva
in qualche caso Trump risultava antifascista, notan- in America”11. Kagan era molto severo anche nei con-
do però che altri “aspetti del trumpismo richiamano fronti del Partito repubblicano, in cui confusione e di-
alla memoria i più odiosi elementi [del fascismo]”. visioni stavano facendo il gioco di Trump, nonostan-
In conclusione, scriveva, l’aggettivo che meglio defi- te che al 18 maggio 2016 – la data di uscita dell’arti-
nirebbe la politica di Trump è “pericolosa”, ma “nel- colo – egli non avesse ricevuto nemmeno il 5 per cen-
la misura in cui il termine fascista ci allerta sulle pe- to delle preferenze nelle primarie. Ci saranno anche
ricolose specificità del suo tipo di demagogia, vale le ragioni dello scontento sociale nella formazione
la pena di tollerare l’imprecisione”8. Dagli articoli di del seguito di Trump, scriveva Kagan, ma soprattutto
Bouie e Levitz prendeva implicitamente spunto qual- quello che lui offre è “un atteggiamento, un alone di
che giorno più tardi un altro giornalista, Ross Dou- rozzo machismo e di energia, una ostentata mancan-
that, per un commento sul “New York Times”9. Dou- za di rispetto per le buone regole della cultura demo-
that ammetteva che Trump era “un po’ fascistoide” cratica che secondo lui – e i suoi seguaci gli credono
e “proto-fascista”, riconoscendone l’anomalia rispet- – hanno prodotto la debolezza e l’incompetenza del-
to alle tradizionali destre istituzionali statunitensi, in la nazione”. I suoi “pronunciamenti sono incoerenti e
generale “vaccinate contro il fascismo”. Escludeva, contraddittori”, ma hanno un tratto comune, l’attacco
però, che il Partito repubblicano potesse finire sotto il a “un ampio ventaglio di ‘altri’ – musulmani, ispani-
suo controllo e auspicava che nei mesi a venire la po- ci, donne, cinesi, messicani, europei, arabi, immigra-
litica sapesse rispondere alle “legittime lagnanze” che ti, rifugiati – presentati come minacce o come oggetti
molti lavoratori avevano verso partiti e governo, in di derisione” da deportare o da tenere fuori dei confi-
modo da scongiurare il pericolo Trump. I fatti avreb- ni, da sottomettere o da zittire. La conclusione, nell’i-
bero dimostrato, come è noto, che erano più realisti- potesi malaugurata di una vittoria di Trump, era dra-
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stica: “Questo è il modo in cui il fascismo arriva in maggio 2017, in una lunga intervista apparsa su “Sa-
America, non con gli stivali e i saluti romani – benché lon”, lo storico si dichiarasse convinto che in un fu-
ci siano stati anche quelli e qualche violenza – ma at- turo prossimo Trump e i suoi accoliti avrebbero dav-
traverso un ciarlatano televisivo, un miliardario frau- vero tentato di “rovesciare la democrazia” negli Stati
dolento, un egomaniaco da manuale che ‘attinge’ a ri- Uniti, andando però incontro al fallimento14.
sentimenti e insicurezze, e con un intero partito poli- Subito dopo il suo insediamento, la filosofa fem-
tico nazionale che gli si accoda, per ambizione o per minista Judith Butler riconosceva i tratti di un “feno-
cieca lealtà di partito o semplicemente per paura”. meno fascista” nella spregiudicata rozzezza di Trump
Il 31 maggio, in risposta alle contestazioni rivolte- e nella mobilitazione ideologica e politica cui lui e
gli dal “trumpiano” Michael Ledeen, Kagan esplicita- i suoi consiglieri avevano dato vita nel corso della
va i propri riferimenti al modello interpretativo di Ro- campagna elettorale. Anche Philip Roth aveva avu-
bert Paxton e precisava sia le coincidenze, sia le dif- to parole sprezzanti nei confronti di Trump, definen-
ferenze tra l’ascesa di Trump e quella dei fascismi in dolo niente più che “un artista della truffa. E il famo-
Europa. La conclusione: “Non sto dicendo che quello so fumettista Art Spiegelman – l’autore delle storie di
che sta succedendo negli Stati Uniti riproduce in ogni Maus sulla memoria della Shoah – avvertiva: “Trump
aspetto quello che era successo in Italia e in Germa- è molto peggio di quanto mi aspettassi, nel suo gover-
nia. Se un fascismo arrivasse in America, non sareb- no ci sono tutti i simbolismi iniziali del fascismo”15.
be simile al fascismo italiano più di quanto il fasci- Negli stessi giorni, tuttavia, Dylan Riley, un altro
smo italiano assomigliasse al fascismo tedesco. Quel- studioso dei fascismi europei e docente a Berkeley,
lo che mi preoccupa è il momento in cui Trump, con pubblicava un saggio sulla britannica “New Left Re-
un seguito di arrabbiati fedeli a nessun altro che a lui, view” in cui sosteneva che, “contrariamente a quanto
si impossessi dei poteri straordinari della presiden- alcuni hanno sostenuto negli scorsi diciotto mesi sia
za statunitense. Temo che a quel punto la nostra de- da sinistra, sia dal punto di vista di un liberalismo of-
mocrazia sarà in pericolo più di quanto sia mai stata. feso, Trump non è fascista”16. Le condizioni sociali e
Sarebbe fascismo all’americana. O forse meriterebbe politiche in cui il neopresidente è collocato, scrive-
una definizione sua propria. Ma quale che sia il termi- va Riley, “sono alquanto diverse da quelle che carat-
ne che si sceglie, sarà una minaccia alle nostre istitu- terizzarono l’Europa tra le due guerre, quando classi
zioni democratiche”12. dirigenti esauste erano pronte ad accettare la sospen-
Dopo le elezioni del novembre 2016 il giornali- sione delle libertà borghesi e ad affidare i governi a
sta Michael Kinsley, che nell’ottobre dell’anno pre- delinquenti di estrema destra che avrebbero elimina-
cedente aveva dato del “buffone” e del “pagliaccio” al to fisicamente la minaccia della rivoluzione operaia.
“populista” Trump, apriva un suo articolo post-elet- A Trump mancano un’organizzazione di partito, una
torale sul “Washington Post” affermando perentoria- milizia e un’ideologia; la politica estera che ha prean-
mente che “Donald Trump è un fascista”. Kinsley non nunciato è isolazionista, invece che revanscista”.
usava il termine come generico epiteto denigratorio; Non c’è dubbio che, nel concreto storico, i paral-
anzi, definiva “clinica” la propria definizione, anche leli con l’ascesa al potere di Mussolini e di Hitler non
se poi ne smussava in una certa misura i contenuti, fa- reggono: nonostante il sostegno che Trump e i suoi si
cendo risalire l’autoritarismo di Trump, da lui chia- sono scambiati con le destre estreme – in parte raccol-
mato “dirigismo”, ai suoi trascorsi di imprenditore e te e in parte camuffate sotto l’altra più che ambigua
sottolineando che comunque “fascismo è ora una pa- etichetta di alternative-right, o alt-right, destra alter-
rola [...] che Trump non userebbe, tanto meno in rife- nativa – e la violenza fisica impiegata in alcune oc-
rimento a se stesso”13. casioni dal suo servizio d’ordine contro i contestato-
A sua volta, Timothy Snyder, studioso di fascismo ri nel corso della campagna elettorale (e, dopo, in oc-
e comunismo europei e docente di storia a Yale, pub- casione delle aggressioni di Charlottesville dell’ago-
blicava il 18 novembre 2016 un fosco articolo di cro- sto 201717), i cappellini rossi sfoggiati come un’inse-
naca distopica, come analizzata dal futuro. Era scritto gna dai suoi sostenitori non sono assimilabili né alle
guardando al presente odierno da un futuro immagi- camicie nere, né alla camicie brune. Tuttavia, lo stes-
nato, come rivelava il sottotitolo: “La sua elezione in so sociologo di Berkeley non sottovalutava l’intrin-
quel novembre giunse come una sorpresa...”. Snyder seco autoritarismo e la spregiudicatezza di Trump.
non solo leggeva Trump alla luce della storia di fasci- Pur non ipotizzando, come invece faceva Snyder, che
smo e nazismo, ma “raccontava”, nella sua pseudo- Trump potesse dare vita a un letterale colpo di stato,
cronaca, come il neopresidente, una volta entrato alla egli guardava al neopresidente come espressione di
Casa Bianca, avesse messo in atto un letterale colpo “una crisi di leadership della classe dirigente”: crisi
di stato e scatenato una guerra alfine di consolidare tanto grave da non essere priva di analogie con quel-
il proprio potere personale con il richiamo al patriot- la che a metà Ottocento aveva reso possibile in Fran-
tismo. E diceva degli esiti tragici che aveva poi avu- cia il colpo di stato “bonapartista”. Riley scriveva, ci-
to la sua avventura, finita con il suicidio dell’aspiran- tando il Marx de Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte:
te dittatore, ma anche con il paese portato alla rovina. “Potremmo dire che con la transizione da Obama a
È significativo che sei mesi dopo quell’articolo, il 1° Trump, la repubblica americana ‘non ha perso altro’
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che i suoi arabeschi retorici e il decoro esteriore, in hanno punteggiato i primi dodici mesi della sua pre-
una parola ‘l’apparenza di rispettabilità’, e che le ele- sidenza. Ma tra la grande manifestazione delle donne
zioni del 2016 hanno semplicemente fatto sì ‘che la del 21 gennaio 2017, il giorno dopo il suo giuramento
vescica scoppiasse e che il mostro apparisse agli oc- sulla balconata del Campidoglio, e le altrettanto gran-
chi di tutti’”. Invece la frase del 18 brumaio non cita- di manifestazioni di donne e uomini di un anno dopo,
ta nel saggio di Riley era quella in cui lo stesso Marx convocate in contemporanea in tutte le grandi città, si
dice di avere mostrato nel suo libro come in Francia è manifestata altrettanto chiaramente la risposta alla
fosse stata la lotta di classe a creare “delle circostanze sua presidenza: una risposta diffusa – intergenerazio-
e una situazione che resero possibile a un personag- nale, intersezionale e interclassista; sociale, politica e
gio mediocre e grottesco di far la parte dell’eroe”18. culturale – spesso di massa e altrettanto spesso istitu-
Pur senza volere istituire paralleli a tutti i costi, zionale, a difesa delle autonomie locali, della divisio-
non si può negare che le parole di Karl Marx evochi- ne dei poteri, dell’indipendenza della magistratura.
no le parole pronunciate dal super-ricco Warren Buf-
fett nel 2006: “Certo che c’è guerra di classe, ma è la Bruno Cartosio
mia classe, la classe dei ricchi, che la sta facendo e la
stiamo vincendo”19. Le divisioni sociali presenti ne-
gli Stati Uniti attuali sono largamente dovute agli esi- Note
ti di quella lotta di classe. E il declino della “quali-
tà” di ceti politici e cultura politica – che hanno potu- Questo saggio è parte di un più ampio lavoro su politica e so-
to portare da una parte alle candidature “dinastiche” cietà negli Stati Uniti odierni.
dei Bush e dei Clinton e dall’altra al successo eletto- 1. Jamelle Bouie, Donald Trump Is a Fascist, in “Slate”, 25
novembre 2015; al sito: http://www.slate.com/articles/news_and_
rale di “un personaggio mediocre e grottesco” come politics/politics/2015/11/donald_trump_is_a_fascist_it_is_the_
Trump – è cronologicamente intrecciato con ragioni, political_label_that_best_describes.html; Eric Levitz, Is Donald
metodi e obiettivi dell’offensiva classista degli ulti- Trump a Fascist?, in “New York Magazine”, 25 novembre 2015; al
mi decenni cui fa riferimento Buffett. In questo pro- sito: http://nymag.com/daily/intelligencer/2015/11/donald-trump-
a-fascist.html.
spettiva Barack Obama è stato l’eccezione che con-
2. Umberto Eco, Ur-Fascism, in “New York Review of Books”,
ferma la regola: il sasso che solleva onde nello stagno 22 giugno 1995.
e che però, subito dopo, affonda e l’acqua si richiu- 3. Insieme alla prassi della alt-truth, alla metà di dicembre 2017
de sopra di lui. è comparsa anche la censura nei confronti di alcuni termini specifi-
Il resoconto della discussione può fermarsi qui, ci del linguaggio medico. Trump ha comunicato al Center for Dise-
su alcune righe di sintesi presenti nell’articolo di ase Control and Prevention (CDC), la massima autorità nazionale
“Tikkun”: “La questione più ampia e pressante non in materia di sanità, la proibizione di usare nei suoi documenti uffi-
ciali le parole vulnerable, entitlement, diversity, transgender, fetus,
è se Trump arrivi a un ‘livello minimo di fascismo’, evidence-based, science-based (vulnerabile, diritto, diversità, tran-
e neppure se sia un pagliaccio o una falsa bandiera; sessuale, feto, basato sulle prove, basato sulla scienza).
è che esiste una porzione significativa della popo- 4. Robert O. Paxton, The Anatomy of Fascism, A.A. Knopf,
lazione statunitense che era in attesa di un Trump”. New York 2004, p. 41.
Non c’è dubbio che Trump non abbia avuto e non ab- 5. Robert O. Paxton cit. in Steigmann-Gall, One Expert Says,
bia dietro di sé una milizia organizzata (paragonabile Yes, Donald Trump Is a Fascist. And It’s Not Just Trump, in “Tik-
alle squadracce fasciste o naziste), né un partito che kun”, 5 gennaio 2016; al sito: http://www.tikkun.org/nextgen/
one-expert-says-yes-donald-trump-is-a-fascist-and-its-not-just-
gli obbedisca ciecamente (nel corso del 2017 nel suo trump-2.
rapporto con il partito e con gli eletti repubblicani nel 6. Robert O. Paxton intervistato in Isaac Chotiner, Does Don-
Congresso si sono manifestate non poche incrinatu- ald Trump Believe in Anything but Himself?, in “Slate”, 24 ottobre
re), né che gli Stati Uniti d’oggi siano diversi dalla 2016; al sito: http://www.slate.com/articles/news_and_politics/in-
Francia di metà Ottocento e dall’Italia o la Germania terrogation/2016/10/donald_trump_s_fascism_is_rooted_in_his_
own_self_interest.html.
del primo Novecento. D’altro canto, pur essendo vero
7. Robert O. Paxton: “Le regime de Trump est une ploutocra-
che Trump non si qualifica come propositore di un’i- tie”, in “Le Monde”, 6 marzo 2017; al sito: http://www.lemonde.
deologia politica organica e coerente, non c’è dub- fr/idees/article/2017/03/06/robert-o-paxton-le-regime-de-trump-
bio neppure che i suoi autoritarismo e classismo, xe- est-une-ploutocratie_5089711_3232.html.
nofobia, narcisismo, maschilismo e arroganza si sia- 8. Levitz, Is Donald Trump a Fascist?, cit.; corsivi nell’origi-
no dispiegati molto spesso e in modi a volte grotte- nale.
schi e altre volte drammatici, sia durante le primarie, 9. Ross Douthat, Is Donald Trump a Fascist?, in “New York
sia nel suo primo anno alla Casa Bianca. Nello stesso Times”, 3 dicembre 2015. Nel corso del 2016, il giornale avreb-
be poi puntualmente notato e stigmatizzato i discorsi e i comporta-
arco di tempo, infine, lasciando in sospeso il giudizio menti maschilisti, xenofobici, aggressivi e autoritari di Trump, ma
sugli esiti possibili del cosiddetto Russiagate, si sono senza ricondurli alla definizione di fascista.
manifestate appieno sia la sua mediocrità intellettua- 10. Steigmann-Gall, One Expert Says, Yes, Donald Trump Is a
le, sia una inadeguatezza morale e instabilità emotiva Fascist, cit.
da cui sono poi discese anche le giravolte politiche e 11. Robert Kagan, This is how fascism comes to America, in
linguistiche e la successione di nomine, dimissioni e “Washington Post”, 18 maggio 2016.
destituzioni di ministri, funzionari e collaboratori che 12. Michael Ledeen, Nobody Knows Anything About Fascism,

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in “Forbes”, 19 maggio 2016; Robert Kagan, Yes, A Trump Pres- gennaio 2017; al sito: https://culanth.org/fieldsights/1032-reflec-
idency Would Bring Fascism To America, in “Forbes”, 31 maggio tions-on-trump. Philip Roth cit. in Judith Thurman, Philip Roth
2016; al sito: https://www.forbes.com/sites/realspin/2016/05/31/ E-Mails on Trump, in “The New Yorker”, 30 gennaio 2017. Art
yes-a-trump-presidency-would-bring-fascism-to-ameri- Spiegelman, “Trump è un demagogo. Nei gesti del suo governo
ca/#66b5d56d526b. ci sono i segni dell’odio”, intervista di Paolo Mastrolilli, in “La
13. Michael Kinsley, The Serious Problem with Treating Don- Stampa”, 31 gennaio 2017.
ald Trump Seriously, in “Vanity Fair”, 12 ottobre 2015; Id., Don- 16. Dylan Riley, American Brumaire?, in “New Left Review”,
ald Trump Is Actually a Fascist, in “Washington Post”, 9 dicem- 103 (Gennaio-febbraio 2017) p. 21.
bre 2016. 17. In particolare, il 12 agosto 2017 a Charlotteville (Virgi-
14. Timothy Snyder, Him: His election that November came nia), in occasione di una manifestazione dell’estrema destra e della
as a surprise..., in “Slate”, 18 novembre 2016; al sito: http://www. concomitante protesta contro fascismo e razzismo, la trentaduen-
slate.com/articles/news_and_politics/history/2016/11/his_elec- ne Heather Heyer fu deliberatamente investita con l’automobile e
tion_that_november_came_as_a_surprise.html. Chauncey Deve- uccisa dal ventenne simpatizzante nazista James Fields. Il più che
ga, Historian Timothy Snyder: “It’s pretty much inevitable” that equivoco comportamento di Trump, che inizialmente mise sullo
Trump will try to stage a coup and overthrow democracy, in “Sa- stesso piano aggressori e aggrediti, fu oggetto di ampie contesta-
lon”, 1° maggio 2017; al sito: http://www.salon.com/2017/05/01/ zioni e proteste.
historian-timothy-snyder-its-pretty-much-inevitable-that-trump- 18. Riley, American Brumaire?, cit., p. 31; Karl Marx, Il 18
will-try-to-stage-a-coup-and-overthrow-democracy/. Snyder aveva brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma 1977, pp. 35-
già rinnovato l’ipotesi dell’incombente minaccia alla democrazia, 36, 201. Anche Daniel Lazare aveva definito Trump bonapartista
pur non nominando Trump, nel suo On Tyranny: Twenty Lessons nel confronto a quattro – con Jennifer Roesch, Dylan Riley e Ri-
from the Twentieth Century, Tim Duggan Books, New York, un chard Steigmann-Gall – Is Donald Trump a Fascist? pubblicato su
agile libretto pubblicato a tamburo battente nel marzo dello stes- “Jacobin” il 15 dicembre 2015; al sito: https://www.jacobinmag.
so 2017. com/2015/12/donald-trump-fascism-islamophobia-nativism/.
15. Butler, Reflections on Trump, parte della serie “The Rise 19. Warren Buffett cit. in Ben Stein, In Class Warfare, Guess
of Trumpism”, Hot Spots, in “Cultural Anthropology” website, 18 Which Class Is Winning, in “New York Times”, 26 novembre 2006.

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La logistica è la logica del capitale

Partiamo dal titolo. La tesi, che facciamo nostra, è un percorso di ricerca militante1. Utilizziamo questa
stata formulata da un lavoratore della Tnt di Bologna definizione in termini non retorici, cioè non sempli-
in un dibattito a Padova. Bologna e Padova, l’Emilia e cemente per dire che coloro che hanno portato avan-
il nord-est, due snodi importanti del sistema della lo- ti la ricerca sono militanti. Vogliamo invece sottoline-
gistica in Italia, due snodi importanti del ciclo di lotte are che la ricerca è stata uno strumento fondamentale
dentro e contro quel sistema che ha avuto il suo pic- di produzione al contempo di conoscenza e organiz-
co nel periodo tra il 2011 e il 2014. A essere presenti zazione. Del resto, studenti e lavoratori precari han-
a quel dibattito, insieme a militanti, studenti e lavora- no preso parte ai picchetti, agli scioperi e alle mobili-
tori precari, erano Si Cobas e Adl Cobas, i due sinda- tazioni dei facchini della logistica non solo e non tan-
cati di base che maggiormente sono stati protagonisti to in chiave di solidarietà, ma come possibilità di co-
di quel ciclo di lotte. Arriviamo ora velocemente alla struire uno spazio comune di lotta. Non si tratta, ov-
“fine”, o meglio a quello che a quel ciclo di lotte è se- viamente, di rimuovere ideologicamente le evidenti
guito. Le imprese della logistica, inizialmente spiaz- differenze che segnano le forme di vita e di lavoro di
zate dalle lotte e dopo aver subito ingenti danni eco- soggetti differenti. E tuttavia, per un certo periodo di
nomici e di immagine, sono riuscite almeno in parte a tempo queste differenze hanno trovato un terreno di
utilizzarle per un passaggio in avanti in termini di in- combinazione virtuosa, nell’individuazione di comu-
novazione organizzativa, produttiva e in limitata mi- ni nemici e di una lotta contro una più generale depri-
sura anche tecnologica, in uno scenario – quello ita- vazione del presente e del futuro. Si è così costruita
liano – segnato da una storica arretratezza del settore una cooperazione conflittuale, con saperi, pratiche e
rispetto al contesto internazionale. Le lotte hanno tra- competenze differenti che si sono composti, interse-
sformato in un terreno di battaglia questa arretratezza cati e articolati, permettendo di combinare la capacità
(fatta soprattutto di scarsa automazione del processo di agire dentro e fuori dai magazzini, di fronteggiare
e ipersfruttamento di una forza lavoro razzializzata e i cordoni della polizia e utilizzare il piano sindacale,
retribuita come dequalificata); i padroni hanno rispo- di boicottare i grandi marchi e manifestare sul piano
sto non solo mandando la polizia ai picchetti, come cittadino contro Legacoop (come è avvenuto a Bolo-
hanno abbondantemente fatto e periodicamente con- gna quando gli scioperi di Granarolo si sono riversati
tinuano a fare, ma innanzitutto tentando di mettere in sul tessuto urbano), di comunicare autonomamente e
produzione il conflitto per i loro fini, costruendo al attraverso i media mainstream. Anzi, crediamo che
contempo nuovi livelli nel governo della forza lavoro. proprio il ritorno a un’idea puramente solidaristi-
In questo articolo ci concentriamo in particolare su ca del rapporto tra lotte dei facchini e soggetti ester-
ciò che sta nel mezzo tra la logica del capitale e l’esi- ni che vi partecipano abbia rappresentato un arretra-
to del ciclo di lotte. Focalizziamo la nostra attenzio- mento sintomatico del progressivo esaurirsi delle po-
ne, cioè, nel vivo del processo conflittuale, per analiz- tenzialità che quelle lotte per un certo periodo han-
zarne composizione e dinamiche di soggettivazione, no espresso.
per comprendere la genealogia del presente e le diffe- La seconda premessa è la delimitazione del campo
renti possibilità che in essa hanno agito, per ragiona- della nostra ricerca, che corrisponde alla delimitazio-
re su ricchezze, limiti e problemi aperti. Prima di ad- ne del campo delle lotte di cui qui si parla. Qui ci ri-
dentrarci in questo processo, in sede introduttiva sono feriamo alla logistica di distribuzione ed in particola-
necessarie un paio di brevi premesse. re alle lotte all’interno dei magazzini di smistamento
In primo luogo, l’articolo è basato sui materiali di delle merci; la difficoltà o incapacità di andare oltre
30
questo ambito settoriale, investendo più complessiva- decimo anno, mentre l’import/export restava l’unico
mente il sistema e dunque un ganglio decisivo del- settore in attivo nel paese e il trasporto intermodale ha
la logica del capitale, è come vedremo uno dei limiti contribuito a fare della voce “esportazioni” uno dei ti-
delle lotte. In questo quadro, la nostra ricerca si è svi- toli che reggono l’asfittico Pil nazionale.
luppata in Emilia, tra Piacenza e Bologna. Non per- Occorre notare che in Italia, a differenza di altri
ché questa porzione territoriale sia più importante di paesi che hanno investito in automazione e sistemi
altre aree geografiche, al contrario i processi organiz- informatici, le plusvalenze del settore hanno a lungo
zativi dei lavoratori per esempio in Veneto hanno ra- trovato fondamento nello sfruttamento di forza lavo-
dici più profonde e per certi versi più dense2. È que- ro poco qualificata o pagata come tale, in genere mi-
sta, più semplicemente, l’area di intervento politica in granti. Magari diplomati o addirittura laureati, resi ri-
cui ci collochiamo e a partire da cui tentiamo di trac- cattabili per la vulnerabilità del loro status e le poli-
ciare delle analisi che siano al contempo specifiche e tiche di gestione dei confini, gli occupati nel setto-
almeno parzialmente generalizzabili. re della logistica sono finiti nella tagliola del siste-
ma a scatole cinesi delle cooperative. Tale sistema,
Le lotte contro il sistema delle cooperative che in Italia assume una forte peculiarità, ha permes-
so di eludere le tutele e le garanzie contrattuali pre-
In Italia le lotte nel settore della logistica, in par- viste dal CCNL. A comporre il sistema vi sono atto-
ticolare di quel ciclo cui abbiamo fatto cenno, hanno ri diversi. Molte sono le cosiddette “finte” cooperati-
trovano tutte una medesima localizzazione geografi- ve, create esclusivamente per aggirare la legislazio-
ca: la pianura padana, vero e proprio hub di circola- ne in materia; in vari casi sono società flight-by-night,
zione delle merci in Italia. All’interno di questo spa- che nascono, spariscono o cambiano nome con estre-
zio, possiamo parlare di almeno tre blocchi di conflit- ma rapidità e grandi vantaggi anche sul piano fiscale3.
to: tra il 2008 e il 2010 i processi di lotta comincia- Lo mette in evidenza uno dei lavoratori protagonisti
no ad assumere consistenza nell’hinterland della va- degli scioperi alla Tnt di Piacenza nel 2011 e poi nel
sta metropoli milanese e, più o meno contemporanea- successivo ciclo di lotta: “[Queste cooperative] ogni
mente, vertenze e scioperi si consolidano nei magaz- due anni cambiano nome, così non pagano i contribu-
zini del nord-est, in particolare a Verona e Padova; ti e fregano i lavoratori [oppure ricorrono] a presta-
varcato il Po, a cominciare dai blocchi del 2011 alla nome diversi, trovano proprietari di 80 anni che non
Tnt e all’Ikea, le lotte si concentrano nel polo logisti- sono perseguibili”.
co di Piacenza e poi dilagano nell’Emilia, raggiun- L’aggettivo “finte” rischia però di circoscrivere in-
gendo il loro culmine a Bologna. Queste differenti debitamente la questione, riducendola esclusivamen-
aree territoriali hanno trovato una virtuosa triangola- te a un problema di sorveglianza legislativa e inter-
zione con il blocco del settore in occasione del pri- vento giudiziario. In realtà, nel sistema di cui qui stia-
mo sciopero nazionale il 22 marzo del 2013. In que- mo parlando rientrano a tutti gli effetti, e con ingen-
ste aree l’adesione allo sciopero è infatti stata altissi- ti profitti, le cooperative di LegaCoop, che nell’Emi-
ma, con percentuali talora vicine al 100%. lia “rossa” e a livello nazionale hanno un peso econo-
Milano, Piacenza, Bologna, Verona e Padova, epi- mico di primo piano (basti pensare che, mentre i la-
centro e origine delle lotte del settore, sono al contem- voratori della logistica si battevano contro questo si-
po i punti nodali del sistema di circolazione delle mer- stema, diventava ministro del lavoro Poletti, ex presi-
ci in Italia e in Europa, dove la valle del Po e la fit- dente proprio di LegaCoop).
ta rete viaria che l’attraversa si connette direttamente Non sorprenderà allora che oltre il 98% dei lavo-
ai porti di Genova e Venezia che gestiscono il traffi- ratori del settore impiegati dal sistema delle coopera-
co di merci con il Medio Oriente e il Nord Africa. Non tive sono migranti, catturati tra le strette maglie della
è un caso che un gigante della distribuzione globale deregolamentazione del lavoro e la legislazione sulle
come Ikea abbia localizzato a Piacenza il più grande migrazioni, la famigerata legge Bossi-Fini. Quest’ul-
magazzino in Europa e che anche Amazon abbia scel- tima, una volta di più, mostra i suoi effetti innanzitut-
to la stessa zona per il proprio primo insediamento pro- to come legge sul lavoro, evidenziando come la gestio-
duttivo, mentre il gruppo tedesco Hangartner è diven- ne e il controllo dei confini sia un dispositivo di devalo-
tato terminalista ferroviario acquistando dei magazzini rizzazione della forza lavoro, ovvero di aumento dei li-
nell’interporto di Verona, dal quale transita tutto l’im- velli di ricattabilità e sfruttamento dei migranti. Anche
port/export di frutta e verdura tra Medio Oriente, Spa- dall’angolo prospettico offertoci da questo caso di stu-
gna, America Latina e Nord Europa. dio è possibile vedere come la competizione tra lavora-
Dentro questa vasta area geografica, le cooperati- tori autoctoni e stranieri per occupazioni perlopiù de-
ve della logistica e i marchi globali della distribuzio- qualificate e per un welfare ormai destrutturato sia tan-
ne su grande scala hanno dunque trovato una potente to reale quanto artificialmente costruita, cioè frutto di
fonte di valorizzazione basata sull’accelerazione e la precise scelte e volontà politiche. È perciò facile mo-
linearità dei processi di circolazione. Non stupirà al- strare che se la destra utilizza l’effetto naturalizzando-
lora che il settore in Italia abbia risentito solo in par- lo in chiave di competizione razziale, le politiche e le
te della crisi economica globale ormai arrivata al suo pratiche della sinistra (ivi incluse, ovviamente, il siste-
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ma delle cooperative) sono in buona misura la causa poi si sarebbero travasati all’Ikea e successivamente
che determina questo perverso risultato. estesi all’intero territorio emiliano), duecento lavora-
tori erano costretti a fare il lavoro di cinquecento fac-
Dentro i magazzini chini. I ritmi – raccontano i lavoratori – erano scandi-
ti dalla voce di un responsabile che, per usare le paro-
Per capire meglio le specifiche forme di sfruttamen- le di uno degli intervistati, “giorno e notte urlava: ‘dai
to di questo pezzo del sistema della logistica dobbiamo dai dai’, sembrava un cd incantato!”. Ciò ha permesso
fare qualche cenno all’organizzazione del lavoro inter- al gruppo di ridurre di oltre la metà il costo del lavo-
na ai magazzini in cui si sono avute le principali lotte di ro e, a queste condizioni, la TNT ha ottenuto un gros-
cui stiamo parlando. Essa ruota prevalentemente intor- so risultato di produttività.
no alla figura di un responsabile, vero e proprio “capo- Nel deposito Ikea di Piacenza, nel giugno del
rale” come viene definito da molti lavoratori, che sta- 2012, le “righe” da scaricare erano passate da 12/13 a
bilisce i turni sulla base di precise gerarchie stabilite 35. Anche in questo caso all’incremento della produt-
secondo i criteri della docilità e dell’ubbidienza, oltre tività non era corrisposto nessun aumento salariale,
che alle gerarchie razziali che, come vedremo, puntano mentre erano cresciuti tra i lavoratori i malesseri fisi-
sistematicamente alla segmentazione, frantumazione e ci: ernie, problemi articolari, disturbi posturali, spes-
dunque governabilità della forza lavoro. Ogni settima- so non riconosciuti come infortuni sul lavoro. Quan-
na il “caporale” fissa per ciascun lavoratore il numero do poi i facchini sono entrati in sciopero per prote-
di ore, cosa che determina l’ammontare del salario in stare contro l’incremento dei ritmi, in molti si sono
busta paga. All’interno di questo sistema è successo di visti ridurre la giornata lavorativa fino a sole quattro
frequente che i lavoratori più attivi nelle lotte si vedes- ore, con due giorni di riposo forzato e uno stipendio
sero presentare un foglio ore ridotto all’osso o finan- mensile di 400 euro. Nei magazzini della CTL (Coo-
che comunicazioni di temporanea sospensione, come perativa Trasporto Latte), che a Bologna gestisce per
ritorsione per l’attività sindacale o per generici com- conto di Granarolo lo smistamento dei prodotti ca-
portamenti di insubordinazione. Sono queste alcune seari, i lavoratori hanno denunciato lunghe ore di la-
delle forme di ricatto che i lavoratori descrivono come voro nelle aree frigorifere, a temperature intorno ai 4
vere e proprie intimidazioni mafiose: “IKEA + CGS gradi, sprovvisti dell’idonea attrezzatura, altro moti-
coop = MAFIA” era scritto su uno degli striscioni fuo- vo dei crescenti malesseri tra i facchini. Quotidiana-
ri dal deposito di Piacenza in agitazione (il CGS, acro- mente il magazzino smista merci destinate a circola-
nimo di Consorzio Gestione Servizi, è uno dei molti at- re in Italia, Germania e Russia, impiegando 80 perso-
tori di questo sistema paludoso). Non si escludono ne- ne; per ogni turno ci sono circa 20 carrellisti e 50 ad-
anche violenze fisiche e danneggiamenti, con scena- detti al picking, ossia la raccolta dei colli da spedire.
ri che richiamano alla mente le iniziative padronali e Nelle numerose interviste raccolte davanti ai magaz-
dei loro sgherri negli Stati Uniti dell’inizio del seco- zini e nelle lunghe albe dei picchetti, i lavoratori rac-
lo scorso: durante le agitazioni alcuni lavoratori han- contano continuamente dettagli come quelli riportati
no avuto le gomme della macchina tagliate, minacce e da Aadil: “Ognuno ha la sua ‘pistola’ con la missione:
aggressioni. Nei magazzini in cui sono presenti le non quali colli per ogni bancale e la porta in cui lasciarli.
molte donne occupate nel settore, si sono registrati non Finisci di lavorare quando hai completato la missio-
di rado episodi di molestie e più o meno espliciti abu- ne. In genere lavoriamo dalle 14 fino alle 20, 21. Ma
si sessuali. In un caso, quello della cooperativa Mr. Job a fine mese la maggior parte non raggiunge le 168 ore
che impacchetta per il marchio Yoox l’abbigliamento e lo stipendio non è mai pieno, anche se ci sono alcu-
destinato all’e-commerce, ciò ha portato alle ribellione ni che fanno straordinari”; “Nel magazzino il respon-
delle lavoratrici e a una lotta prolungata e radicale nei sabile della cooperativa ha stabilito un clima di pau-
magazzini dell’azienda dentro l’interporto di Bologna, ra – aggiunge Bharat. Se non fai più di 200 colli all’o-
con un importante protagonismo femminile che ha mo- ra ti mette in ferie, nonostante per contratto i colli si-
strato come la questione di genere agisca pienamente ano 180”.
dentro i meccanismi dello sfruttamento. Nella sua ap-
pendice giudiziaria, i dirigenti responsabili sono stati La razzializzazione come dispositivo di organiz-
condannati, ma certo non è questo l’elemento sostan- zazione del lavoro
ziale, proprio perché – come scioperi e picchetti delle
lavoratrici hanno messo con forza in evidenza – non si A fronte di una stragrande presenza di lavoro mi-
tratta di casi isolati ma di un dispositivo generale con- grante nel settore, in Emilia Romagna gli addetti del
nesso ai rapporti di potere dentro i magazzini. settore sono prevalentemente maghrebini (egiziani,
Con questi metodi il processo di lavoro (almeno marocchini, tunisini); meno numerosi ma ben presen-
tra il 2011 e il 2013) ha potuto seguire la richiesta di ti sono coloro che provengono dall’Europa dell’est,
accelerazione di un settore in espansione, sull’onda dall’Africa sub-sahariana e dall’Asia del sud (in par-
delle esportazioni favorite dalla crisi, e i processi di ticolare dal Bangladesh). Molti, soprattutto tra i ma-
sfruttamento si sono intensificati. Nel 2011 alla TNT ghrebini, sono stati reclutati nei paesi di provenien-
di Piacenza (da cui sono cominciati gli scioperi che za da società di intermediazione del lavoro che, agen-
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do in un vuoto legislativo, riescono a garantirsi buoni umanitaria, dipendente dall’essere più o meno predi-
proventi dalla loro attività. Sono perlopiù uomini, in sposti alla tolleranza e al cosmopolitismo; è, al con-
gran parte giovani e giovanissimi, mediamente istrui- trario, un dispositivo maledettamente materiale, che
ti, spesso con un diploma, qualcuno con una laurea o permette o impedisce dei processi ricompositivi inter-
iscritto all’università; tra di loro vi è anche chi è nato ni alla classe. Solo la lotta e i percorsi di soggettiva-
o cresciuto sin da piccolo in Italia, le cosiddette “se- zione che in essa si determinano, e non una coscien-
conde generazioni”. za ideale, può quindi mettere in discussione, combat-
Nei magazzini le gerarchie sul terreno della raz- tere o distruggere questo dispositivo. Ce l’ha spiega-
za sono dispositivi materiali di organizzazione del la- to con grande chiarezza, in un picchetto al deposito
voro. Un esempio tra i molti è Cogefrin, che gesti- Ikea di Piacenza, un lavoratore della TNT: “I padro-
sce l’import-export di materie plastiche dai paesi ara- ni mi hanno provocato una malattia: il razzismo. Ero
bi destinate al resto d’Europa. Racconta Hassan: “Ci diventato razzista contro i miei compagni di lavoro di
sono circa 30 operatori. Gli stranieri lavorano all’a- altre nazioni, i capi dicono ai marocchini che i tunisi-
perto. Pioggia, neve, sole siamo lì, con un orario di la- ni sono più bravi, ai tunisini dicono che sono più bra-
voro più lungo: dalle 7.30 alle 22. Carichiamo e sca- vi gli egiziani o i rumeni. Con la lotta contro lo sfrut-
richiamo materiale che arriva sfuso nei container op- tamento ci siamo uniti e abbiamo sconfitto anche il
pure in sacchi. Io per fortuna ho imparato ad usare le razzismo. Ora sappiamo che siamo tutti uguali perché
macchine e scarico i container che è comunque un la- siamo dei lavoratori”.
voro pericoloso. Gli altri lavorano con sacchi da 25 Come già successo in altre epoche, inoltre, va con-
kg da scaricare manualmente nelle cisterne con l’aiu- siderato che i lavoratori migranti portano con sé l’e-
to di un nastro scorrevole. Ogni cisterna contiene 20 sperienza, diretta o indiretta, di altre pratiche e forme
bancali da 55 sacchi. Si caricano 7 cisterne al giorno, di lotta dei contesti territoriali da cui provengono. Si
circa 200 tonnellate di merce giornalmente mosse da pensi per esempio al fatto che mentre le lotte esplo-
4 persone”. dono nella pianura padana, con un forte protagonismo
La peculiare composizione del lavoro, connessa di facchini nordafricani, Tunisia ed Egitto erano attra-
alle già menzionate forme di ricatto legate alla speci- versati da quelle insurrezioni che in occidente sono
fica organizzazione all’interno dei magazzini e al par- state etichettate come “primavere arabe”. Non è un
ticolare sistema di controllo e gestione del lavoro mi- caso, allora, che molti lavoratori hanno parlato di una
grante in Europa, ha permesso – nel settore della lo- sorta di “rivoluzione nella logistica”, da un lato per
gistica di distribuzione – un significativo taglio del tracciare un filo rosso con quello che stava accadendo
costo del lavoro accompagnato da una profonda de- nei loro paesi di origine, dall’altro per rimarcare il re-
regolamentazione di tutele e garanzie. Negli anni in troterra soggettivo di cui erano portatori.
cui le lotte si sono sviluppate il salario medio era de-
cisamente inferiore (in termini relativi e talvolta addi- Soggettivazione e uso operaio del sindacato
rittura assoluti) di quello percepito dai lavoratori ne-
gli anni Novanta. Puntando sul lavoro razzializzato Sono proprio le fratture della composizione ope-
le imprese della logistica hanno potuto intensifica- raia costruite lungo la linea del colore uno dei pri-
re i ritmi, aumentare la produttività e accrescere si- mi nodi politici che le lotte hanno incontrato; proprio
gnificativamente i profitti. All’Ikea di Piacenza le di- dove il padrone aveva costruito segmentazioni e ge-
namiche che gestiscono il processo produttivo sono rarchie, si sono dati processi di unificazione. La co-
state dunque ben riassunte da uno striscione esposto mune condizione di lavoratori soggetti al comando e
davanti ai cancelli del deposito durante i giorni delle allo sfruttamento capitalistici si è fatta terreno di bat-
agitazioni: “Coop. Facchinaggio = schiavitù”. taglia, divenendo lama affilata nelle mani dei lavora-
Nell’organizzazione del lavoro all’interno dei ma- tori. Il riferimento alle esperienze degli IWW è ritor-
gazzini, del resto, i processi di razzializzazione hanno nato spesso nei dibattiti attorno a scioperi e picchetti,
funzionato come “supplemento interno” alle forme di per la forte presenza di una forza lavoro mobile, per
gerarchizzazione e segmentazione. Le differenti ap- la sperimentazione di modelli e forme di conflitto dif-
partenenze nazionali sono spesso giocate le une con- ferenti da quelle abituali dei sindacati, per la tensione
tro le altre, come strumento di disciplinamento che a “organizzare gli inorganizzabili”. È ritornato anche
punta a interrompere i processi di solidarietà e unifi- nella ripresa del noto slogan “An injury to one is an
cazione tra i lavoratori. La costruzione di vere e pro- injury to all”, ripetuto di continuo e fin da subito spie-
prie tassonomie del lavoro e di profili stereotipati da gato da uno dei lavoratori in lotta all’Ikea: “Abbiamo
parte dei responsabili sono il terreno su cui i proces- imparato che il padrone comanda se i lavoratori sono
si di razzializzazione si dispiegano nella loro concre- divisi e adesso quando toccano uno, toccano tutti”.
tezza: gli egiziani diventano “spie”, i magrebini sono Le lotte hanno cioè permesso di trasformare sog-
messi in competizione con russi e rumeni rispetto alla gettività assoggettate dalla paura e dal ricatto in sog-
produttività del lavoro, gli asiatici vengono ritenuti gettività capaci di rovesciare i dispositivi di comando.
docili e chiusi, e via di questo passo. Da questo pun- L’unificazione dei lavoratori all’interno dei magazzi-
to di vista, il razzismo non è una questione morale o ni e la battaglia contro l’ipersfruttamento a cui sono
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sottoposti, con scioperi a oltranza, picchetti e blocchi dacati di base che ne hanno sostenuto gli sforzi. In
delle merci, ha prodotto ingenti perdite alle imprese particolare, ci soffermiamo qui sul rapporto con il Si
del settore. In una dinamica di veloce contagio, uno Cobas, che è stato il soggetto sindacale maggiormen-
dopo l’altro i magazzini di diversi marchi della distri- te presente nelle mobilitazioni sul territorio emilia-
buzione su gomma dell’area emiliana, da Piacenza a no. Per comprenderlo, riportiamo due casi, che pos-
Bologna, sono entrati in lotta e i lavoratori sono riu- siamo ritenere sufficientemente paradigmatici di que-
sciti – spesso, non sempre – a imporre una parte del- sto rapporto. Il primo si riferisce all’inizio del proces-
le proprie istanze e rivendicazioni (dal riconoscimen- so di organizzazione della lotta alla TNT di Piacenza
to dell’attività sindacale autorganizzata a concreti ri- nel 2011, descritta in modo molto chiaro da uno dei
sultati rispetto a salari e ritmi, dal reintegro dei col- suoi leader, il lavoratore egiziano Mohamed Arafat:
leghi sospesi o licenziati alla condivisione di arretra-
ti mai riconosciuti). “Il gruppo iniziale era di una ventina di lavoratori, su 380.
La peculiare composizione soggettiva qui breve- Sono andato di casa in casa per spiegare com’era il con-
mente descritta e trasformata nel corso delle lotte ha tratto, come ci hanno sfruttato e cosa ci hanno fregato per
saputo utilizzare la conoscenza, almeno sui livelli anni, per dire che non dobbiamo più accettare questo trat-
medio-bassi del sistema, degli specifici meccanismi tamento che calpesta la nostra dignità. Ho iniziato a fare
e dei delicati ingranaggi del processo di circolazio- formazione tra i lavoratori, ho dato dei compiti a ognuno
ne e distribuzione delle merci. Prima ancora che ne- per allargare il gruppo. Mi hanno chiamato dei responsa-
gli hub emiliani si concretizzassero precise volontà e bili per avvertirmi che sapevano delle riunioni a casa mia.
forme di conflitto, l’incrinarsi degli abituali disposi- Allora, perché non andare in giro per la città, allo scoper-
tivi di governo della forza lavoro si è dato attraverso to, a convincere tutti? Sono andato in 50-60 case, nei gior-
un rifiuto delle proposte di lotta – definite come pura- ni successivi alla TNT abbiamo aperto uno spiraglio. Sono
mente “simboliche” – offerte dai sindacati confedera- venuti in tanti a dirmi che lo sfruttamento e la sofferenza
li. Questo rifiuto è stato espresso con parole molto ef- sono condivisi e che volevano partecipare alla lotta. Ogni
ficaci da un lavoratore della TNT di Piacenza: “Se vai tanto, per far crescere l’organizzazione, bisogna dire una
con la bandiera a fare uno sciopero tradizionale o sali ‘bugia’ per dare coraggio: quando eravamo in venti dice-
sul tetto puoi stare lì anche tutta la vita, non cambie- vo che gli altri anche se non partecipavano erano con noi,
rà niente. Basta con lo sciopero della fame o cose del che eravamo in cento, poi in due o tre giorni ci siamo ar-
genere, perché la fame la deve fare il padrone! A noi rivati davvero! [...] Noi non sapevamo neanche cosa vo-
basta già la sofferenza che viviamo tutti i giorni sul lesse dire sindacato: lo conoscevamo solo per il rinnovo
posto di lavoro”. Ciò che in apparenza era letto dal- del permesso di soggiorno, per i ricongiungimenti fami-
le lenti sindacali come docilità e passività di questo gliari o per compilare un modulo, come un’agenzia di ser-
pezzo di composizione di classe, celava invece una vizi. Non ci siamo mai rivolti a loro per rivendicare dirit-
disponibilità a un conflitto in grado di “far male al ti, perché quando qualcuno si lamenta dicono ‘lavora e zit-
padrone” per conquistare effettivi cambiamenti delle to’, hanno dimenticato la lotta. Allora sono andato in giro
proprie condizioni di lavoro e di vita. a cercare un sindacato disponibile a sostenerci nelle lotte,
Per procurare al padrone ingenti perdite, i lavora- intese come diciamo noi, facendo scioperi e picchetti che
tori hanno appunto compreso di dover mettere a va- colpiscano gli interessi del padrone. Infatti, non deve esse-
lore le conoscenze accumulate rispetto alla quantità re il sindacato a utilizzare i lavoratori, ma devono essere i
e temporalità dei flussi di merci, praticando forme di lavoratori a utilizzare il sindacato. Nel luglio 2011 abbia-
lotta in grado di bloccarli nei momenti in cui il danno mo incontrato il Si Cobas, ho spiegato che entro una setti-
sarebbe stato maggiore. Per farlo è stato necessario mana ci saremmo organizzati per fare un blocco. Sono sta-
giocare la carta dell’imprevedibilità, da cui il caratte- ti disponibili, abbiamo iniziato e abbiamo vinto.”
re selvaggio assunto dalla maggior parte degli sciope-
ri nel ciclo di lotte di cui stiamo parlando. La mobili- Possiamo qui vedere riassunti in successione i pas-
tà delle merci è perciò diventata mobilità delle lotte. saggi e le concatenazioni di un processo di lotta e or-
E mentre il ciclo produttivo e distributivo veniva di- ganizzazione: insopportabilità delle condizioni di la-
slocato per eludere i blocchi, è stato possibile costru- voro, indifferenza e radicale insoddisfazione per i sin-
ire vere e proprie catene di unificazione tra differen- dacati esistenti, importanza del ruolo soggettivo e di
ti magazzini localizzati in aree diverse, una sorta di trascinamento di uno o più lavoratori, messa a valore
coordinamento che ha permesso di coprire un’ampia dei legami comunitari (Arafat si rivolge innanzitutto
porzione di territorio tra Piacenza, Modena e Bolo- agli altri egiziani e poi ai lavoratori nordafricani) per
gna. È un meccanismo di diffusione spaziale dei con- un processo che andrà oltre o metterà in discussio-
flitti che sarà poi ripetuto in occasione degli scioperi ne il rischio di chiusura di questi stessi legami, ricer-
generali del settore. ca di un sindacato utile per scioperare. E ovviamen-
In questo quadro, a partire dall’indifferenza e dal te, per non immaginare uno sviluppo lineare, va con-
rifiuto dei sindacati confederali, è necessario appro- siderato un certo ruolo giocato dall’elemento di ca-
fondire il rapporto tra questi lavoratori, perlopiù pri- sualità (Arafat si mette in viaggio per Milano e trova
vi di precedenti esperienze politiche e di lotta, e i sin- quel sindacato); il punto, però, è che l’elemento ca-
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suale si inserisce sempre all’interno di un rapporto tra di Granarolo che muove merci deperibili: quattro ore
condizioni di possibilità materiale e volontà sogget- di blocco significano una perdita di circa 250 mila
tiva. Virtù e fortuna, per dirla con Machiavelli; o per euro. Non è stato possibile quantificare con altrettan-
citare una celebre espressione di Marione Dalmavi- ta solerzia il costo di un giorno di blocco nel deposito
va, “quando leggi Lenin poi dici ‘che bravo!’ e subito piacentino di Ikea, o nell’impianto Cogefrin all’inter-
dopo ‘che culo!’”. Il punto, cioè, è costruire le condi- porto bolognese. Sappiamo comunque che se le mer-
zioni di possibilità per avere culo. ci non vengono caricate sui camion non arrivano in
Il secondo caso paradigmatico è quello delle lotte tempo nei porti per essere imbarcate verso l’Europa
dei lavoratori in appalto alla Coop Adriatica di Anzo- dell’est, il Medio oriente e il Nord Africa, producen-
la dell’Emilia all’inizio del 2013. I lavoratori ci han- do gravi ritardi nelle spedizioni. Il blocco di un solo
no raccontato di essere stati iscritti in numeri consi- magazzino può far esplodere l’intero circuito e servo-
stenti alla Cisl e di aver strappato tutti insieme la tes- no circa dieci giorni perché il ciclo possa essere ripor-
sera quando ha firmato un contratto bidone; successi- tato a regime.
vamente, la stessa dinamica si è ripetuta con l’Ugl. Al Tuttavia, i padroni non indugiano mai troppo nel-
di fuori quindi di ogni opzione ideologica, nel Si Co- la perplessità o nei turbamenti rispetto ai conflitti, né
bas hanno trovato una struttura disponibile a mettersi si affidano esclusivamente alla repressione per rimuo-
a disposizione delle loro lotte per migliorare le condi- vere i punti di blocco. Innanzitutto studiano le lotte,
zioni di lavoro e di vita. cercano di trovarne i punti deboli per contenerle, ad-
È proprio questa funzione di servizio del sindacato domesticarle e soprattutto per rovesciarle in possibi-
ciò che ha orientato inizialmente la scelta dei le fonte di innovazione e sviluppo del proprio siste-
lavoratori. Dentro la crisi della rappresentanza, ciò ma. Nell’immediato, per esempio, per aggirare i bloc-
che almeno inizialmente i facchini hanno cercato non chi, le imprese interessate da scioperi e picchetti han-
era un soggetto che potesse parlare a loro nome, ma no modificato i tempi di carico e scarico delle mer-
semplicemente una struttura tecnica in grado di so- ci e smistato parte della produzione in altri siti, lonta-
stenere le loro esigenze, le loro pratiche, le loro lotte. ni anche 50 km. Talvolta, nei picchi di maggior forza
Possiamo parlare di un uso operaio del sindacato, che delle lotte, i blocchi sono riusciti a seguire le mosse di
per qualche tempo ha rovesciato il rapporto tradizio- rilocalizzazione della produzione e della distribuzio-
nale tra rappresentanti e rappresentati. Tutto somma- ne; alla lunga, però, le possibilità di riorganizzazione
to, la restaurazione di quel rapporto ha in parte segna- dei padroni si sono rivelate per ovvi motivi maggiori
to l’esaurirsi degli elementi potenzialmente più esplo- nella tenuta degli strumenti nelle mani dei lavoratori.
sivi di quel ciclo di lotte. Su un livello di prospettiva, le imprese hanno pro-
vato a rispondere con un parziale aumento degli inve-
Riorganizzazione dentro la logica del capitale stimenti in innovazione tecnologica, come strumento
– oltre che di crescita del plusvalore relativo – di in-
In un recente articolo ripreso dalla newsletter di debolimento del potere contrattuale della forza lavoro
C.I.S.Co., lo studioso del settore Kim Moody, dopo e di deconcentramento di quella spazializzazione che,
aver succintamente descritto l’ormai conclamato de- come ha notato Moody, è uno dei fattori di facilitazio-
clino dei sindacati, ha evidenziato come tale decli- ne dell’aggregazione conflittuale. È ancora da valuta-
no sia stato ulteriormente aggravato proprio dalla “ri- re quanto questi investimenti appartengono a un reale
voluzione logistica”, attraverso una riorganizzazio- piano strategico o, almeno per il momento, siano in-
ne complessiva delle forme di produzione e circola- farciti di molta retorica. Secondo Gianni Boetto, dal
zione delle merci che ha in buona parte reso liqui- suo punto di vista situato dentro i magazzini, la pos-
di quei luoghi in cui i sindacati erano radicati. E tut- sibilità di un balzo tecnologico in grado di ridefinire
tavia, continua Moody, tale rivoluzione è permanen- completamente il rapporto tra macchine e lavoratori è
temente esposta alla propria fragilità strutturale, indi- in Italia ancora piuttosto lontana e indefinita. Sono di-
viduabile principalmente in due elementi: da un lato, ventati di utilizzo diffuso solo alcuni dispositivi come
la vulnerabilità della circolazione delle merci, ossia la voice, i palmari attraverso cui controllare la pro-
il fatto che bloccare un anello della catena faccia sal- duttività individuale, le pistole per il picking e in al-
tare tutto il meccanismo del just-in-time; dall’altro, è cuni casi i sorter, delle particolari giostre che leggo-
secondo l’autore “una delle grandi ironie del capita- no i pacchi e smistano automaticamente, che determi-
lismo moderno assistere alla ricostruzione delle mas- nano la necessità di maggior personale ma part-time,
sicce concentrazioni di lavoratori manuali a cui i diri- dunque con una riduzione del tempo di occupazione.
genti aziendali avevano cercato di sfuggire”4. Se nel nostro paese all’aumento complessivo del-
Sono esattamente gli elementi su cui hanno fatto la movimentazione di merci non corrisponde anco-
leva le lotte nella pianura padana, utilizzando la con- ra, per il padrone, la capacità di farvi fronte in modo
centrazione come base di organizzazione e colpendo massiccio con l’automazione tecnologica e la riduzio-
il padrone in termini economici e di immagine. Non ne consistente della forza lavoro, è in atto un proces-
sempre è stato possibile quantificare il danno econo- so di riorganizzazione complessiva che sta mutando
mico subito dalle imprese. Lo è stato nei magazzini anche le punte arretrate del settore. Boetto lo defini-
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sce il “modello Amazon”, come diffusione delle for- socio lavoratore, costretto a versare le quote societa-
me di organizzazione del lavoro dei suoi magazzini, rie e farsi artefice del proprio sfruttamento), la prima
nei quali vigono come è noto livelli alti di ricatto e figura è tutt’atro che sparita.
bassi di garanzie, con situazioni che “rendono difficili Comunque, se le nuove regole che disciplinano gli
i processi di autorganizzazione”; si riferisce però, più appalti sono state obbligate a recepire almeno in par-
in generale, all’imposizione di nuovi standard com- te le istanze delle lotte, sull’altro piatto della bilancia
plessivi che vanno al di là delle sedi della multinazio- le organizzazioni padronali hanno posto la rivendica-
nale americana (si pensi per esempio alla consistente zione di un aumento della flessibilità del lavoro, del-
modificazione dell’attività dei corrieri). Queste forme la produzione e della distribuzione. Il nuovo CCNL
di riorganizzazione produttiva e tecnologica, già ope- estende l’orario giornaliero dei singoli lavoratori fino
ranti o come possibile tendenza, sono indubbiamente a 9 ore, mentre la settimana lavorativa include adesso
una risposta alle lotte. Il problema è come le lotte si anche il sabato per il personale non viaggiante (prima
possono ricollocare a questa nuova altezza, per tenta- erano 39 ore settimanali spalmate su cinque giorni).
re di giocare di anticipo e non essere limitate a un ruo- Quanto alla riorganizzazione del ciclo, viene intro-
lo resistenziale di corto respiro. dotta la possibilità di variare l’orario di lavoro dopo
sei mesi senza accordo sindacale, o con tempi addirit-
Contratto e sfide sindacali tura più ridotti e il pagamento di una piccola indenni-
tà di disagio. A ciò si aggiungono specifiche ulteriori
Il contratto nazionale, scaduto nel 2015 e rinno- limitazioni del diritto di sciopero, attraverso cui le or-
vato con due anni di ritardo, è definito da Boetto e in ganizzazioni padronali tentano di prevenire le minac-
varie altre interviste una “scadenza liturgica”: quello ce alle fragilità del proprio sistema e gli ingenti danni
che lì viene scritto, infatti, “ha un valore formale, se economici e di immagine prodotti dal blocco dei ma-
non si ha la capacità di applicarlo e imporlo attraverso gazzini. In seguito a lotte come quella di Granarolo a
i rapporti di forza tra lavoratori e controparte padro- Bologna e di altri nodi della distribuzione alimenta-
nale rimane aria fritta”. Proprio le lotte dei facchini lo re, le imprese hanno ottenuto l’estensione dello spet-
dimostrano: in diverse situazioni sono state imposte tro dei beni di prima necessità (ora comprendenti an-
delle rivendicazioni che vanno ben oltre quello che che prodotti come animali vivi, carburante, medicina-
è codificato nei contratti formali. Un esempio signi- li, ecc.), cioè quelli per cui i facchini sono vincolati a
ficativo è l’introduzione del principio dell’anzianità procedure di “raffreddamento” e nei fatti di impedi-
come automatismo nei passaggi di livello, che è uno mento della possibilità di scioperare in modo effica-
stravolgimento del principio che lega la professiona- ce. Se prima era solo il trasporto a far parte dei servi-
lità e gli avanzamenti di carriera al merito. Rivendi- zi garantiti, ora è nei fatti blindata l’intera filiera logi-
cazioni come questa sono state conquistate in accordi stica legata a questi prodotti.
nazionali come quelli con Fedit (Federazione Italiana Proprio quest’ultimo è, forse, il risultato più im-
Trasportatori), che poi vengono implementate e svi- portante conquistato dal padronato nel nuovo contrat-
luppate attraverso battaglie specifiche nei singoli po- to. La questione della filiera è, nel sistema della lo-
sti di lavoro. In altre situazioni, infatti, “basta un atti- gistica, chiaramente centrale, in quanto indica il ci-
mo di distrazione per stravolgere quello che era sta- clo produttivo e distributivo della merce. La sua de-
to conquistato, perché siamo davvero nella giungla”. finizione e delimitazione è però, a differenza di quel-
Tuttavia, per quanto formale e partecipata dai con- lo che si vorrebbe far credere, tutt’altro che oggettiva:
federali che “agiscono sempre più come sindacati di appartiene invece, come il contratto nazionale dimo-
Stato”, la scadenza del contratto nazionale ha comun- stra, a uno scontro tra posizioni e interessi differenti o
que una sua rilevanza politica e per gli orientamen- contrapposti. Garantendosi la regolamentazione del-
ti di massima del settore. Dopo una lunga trattativa lo sciopero sull’intera filiera dei prodotti, le imprese
tra i vari attori, l’ultimo contratto registra una sorta di hanno così allargato a dismisura l’area di salvaguar-
partita di scambio tra regolamentazione degli appalti dia rispetto alle proprie fragilità di sistema, approfon-
e flessibilità del lavoro. Oggi l’impresa che subentra dendo al contempo la possibilità di un’interpretazio-
nell’appalto è formalmente tenuta ad assumere i la- ne soggettiva dei confini della filiera. Un’interpreta-
voratori a parità di condizioni, mantenendo anzianità zione, cioè, legata ai rapporti di forza e alla capacità
pregressa, livelli retributivi, inquadramento e discipli- di imporla. Potremmo dire che attorno alla definizio-
na relativa al licenziamento, tutte questioni che han- ne materiale di filiera si gioca un asse centrale dello
no ampiamente animato le lotte nella fase che consi- scontro tra ciclo del capitale e ciclo delle lotte. Il pa-
deriamo. Anche qui, tuttavia, non mancano ambiguità dronato lo ha temporaneamente vinto, ricomponen-
e scappatoie. È stata per esempio inserita una postilla do il proprio ciclo e frammentando quello della con-
in cui si precisa che in caso di innovazione tecnologi- troparte, che fino a questo momento non è riuscita –
ca si lascia alle imprese maggiore autonomia rispet- come vedremo nelle conclusioni – a uscire dalla com-
to alla normativa. Allo stesso tempo, benché molti ex partimentazione nei magazzini.
soci lavoratori siano diventati dipendenti (dopo che le In questo quadro, comunque, i principali obietti-
lotte hanno saputo mettere in discussione la figura del vi dell’autorganizzazione sindacale si stanno concen-
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trando sul breve e medio periodo nel tentativo di “non Questo progressivo ribaltamento è stato puntella-
accettare le forme di flessibilità e gli straordinari im- to da un limite di fondo, che lungi dall’appartenere
posti dal contratto siglato dai sindacati confederali, di solo alle lotte nella logistica di distribuzione interro-
conquistare aumenti salariali e indennità di vacanza ga in profondità i movimenti o gli sprazzi di conflit-
contrattuale, di continuare sulla strada dell’automa- to che si sono avuti nell’ultimo decennio: stiamo par-
tismo nei passaggi di livello svincolandoli sempre di lando della difficoltà di far corrispondere all’estensio-
più dal merito, di estendere la copertura per malattia ne orizzontale dentro il settore un’intensità ricompo-
e infortunio nelle tante situazioni in cui ancora non è sitiva, sul piano “esterno” e sul piano “interno”. Sul
prevista, a partire dai soci di cooperativa”. E siamo piano “esterno” al sistema della logistica, la capaci-
così arrivati all’oggi. tà ricompositiva è stata insufficiente rispetto ad altri
soggetti del lavoro vivo che, pur in contesti e con ca-
Conclusioni. Alcuni insegnamenti del ciclo di ratteristiche differenti, hanno una base comune non
lotte solo di sfruttamento ma di potenzialità di lotta contro
lo sfruttamento. Per esempio, nel 2014, più o meno
Come è necessario fare per ogni ciclo di lotta, an- parallelamente agli scioperi selvaggi nei magazzini
che per quello di grande importanza portato avanti dai di Granarolo, all’Università di Bologna c’è stata una
lavoratori della logistica proviamo a ragionare nei ter- mobilitazione particolarmente significativa e piutto-
mini delle ricchezze e dei limiti. Le prime sono sta- sto prolungata dei lavoratori delle portinerie “appal-
te evidenziate con forza nelle pagine precedenti: le tati” all’Unibo da Coopservice. La presenza dei fac-
pratiche di sciopero e dei picchetti, la capacità di far chini alle prime assemblee all’università è stata, in-
male al padrone e di colpire i punti di fragilità del sieme alla presenza attiva degli studenti, un fattore di
sistema della logistica, l’uso operaio del sindacato grande importanza per l’avvio della lotta, che tra l’al-
sono alcune delle principali caratteristiche di un com- tro ha ripreso da quanto avveniva a Granarolo alcu-
plessivo processo di controsoggettivazione di un pez- ne forme significative (lo sciopero selvaggio, il pic-
zo specifico della composizione di classe, fortemen- chetto, ecc.). È stato individuato nel sistema di pote-
te segnata da dispositivi di razzializzazione e ricatto. re e di organizzazione dello sfruttamento delle coope-
Va anche sottolineato che indicare nel periodo tra rative il nemico comune; a partire da qui, si è creato
il 2011 e il 2014 il picco delle lotte non significa che uno spazio comune chiamato “no coop”, che il primo
negli anni successivi i magazzini siano stati pacificati maggio 2014 ha dato vita a una vivace manifestazio-
o la conflittualità sia venuta meno. Al contrario, scio- ne con una contestazione alla piazza della Cgil. Tut-
peri e picchetti non sono cessati, e vi è stata una sta- tavia, questo processo che aveva come obiettivo un
bilizzazione del ruolo del sindacato di base nelle im- piano tendenzialmente ricompositivo è stato blocca-
prese. In diversi luoghi dell’Emilia, la sola annunciata to, anche per delle problematiche valutazioni e scelte
presenza del Si Cobas è servita per far ottenere ai la- soggettive da parte del sindacato e di alcune strutture
voratori condizioni più vantaggiose. Ciò a dimostra- organizzate che lo sostenevano.
zione della minacciosa forza che questo ciclo di lot- Sul piano “interno”, la difficoltà è stata la ricerca
te ha avuto. Tuttavia, come abbiamo visto, l’effetto di di un piano di alleanza o convergenza di interessi con
miglioramento delle condizioni lavorative è relativo. figure al di fuori dei magazzini che, su alcuni livelli,
Innanzitutto, perché il padrone ha agito il piano del- hanno una loro baricentralità nella catena logistica.
la riorganizzazione produttiva e dell’innovazione per Un esempio rilevante è quello degli autotrasportatori,
scomporre e frammentare la sua controparte. In se- che hanno percorsi di organizzazione molto differenti
condo luogo, perché i rapporti di forza non sono irre- da quelli dei facchini. Nelle lotte di cui abbiamo par-
versibili, e la tendenza al miglioramento delle condi- lato vi sono state poche occasioni di connessione tra
zioni di lavoro dipende esattamente da quei rapporti queste figure, anzi perlopiù vi sono stati motivi di at-
di forza. In terzo luogo, non è la stessa cosa quando trito o scontro per ragioni facilmente intuibili data la
le rivendicazioni sono imposte o sono concesse: in un particolare posizione nel ciclo della logistica (gli uni
caso appartengono all’accumulo di una forza di parte, devono consegnare le merci per portare a casa il sa-
nell’altro possono diventare uno strumento di gover- lario, gli altri devono bloccarle per migliorarlo). Tut-
no della forza lavoro. Ci sembra, per restare al terri- tavia, proprio l’intervento in questo ambito complica-
torio emiliano in cui si è svolta la nostra ricerca mili- to è segnalata dallo stesso Boetto come una necessi-
tante, che vi sia stato un progressivo ribaltamento nel tà, per esempio attraverso la rivendicazione del rico-
rapporto tra vertenze e lotte: se nella fase ascendente noscimento del lavoro notturno che, a differenza dei
del ciclo conflittuale le vertenze erano uno strumen- facchini, non è concessa ad autisti e driver.
to di sviluppo delle lotte, nella fase successive le lot- Insomma, rischiando di chiudersi dentro il settore
te sono diventate finalizzate quasi esclusivamente alle e i magazzini, il processo di controsoggettivazione e
vertenze. Il sindacato ha cioè parzialmente cessato di le potenzialità di lotta si sono incanalate verso una di-
essere uno spazio utilizzato per un processo di con- namica di limitazione vertenziale dell’iniziativa. E ri-
trosoggettivazione, per diventare il fine (e per molti la schiando, all’interno della vertenzialità, di veder pro-
fine) di quel processo. gressivamente indeboliti i rapporti di forza. Questo ri-
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schio è stato ulteriormente complicato da un discorso spiro e non coincide con la generalizzazione dei con-
politico-ideologico prevalente tra alcune delle strut- flitti. Come abbiamo visto, infatti, il padrone utilizza
ture organizzate che ha teso a vedere nelle lotte della l’arma dell’innovazione: lì aspetta le lotte, le sfianca
logistica l’esclusivo ritorno dell’egemonia del lavo- e salta in avanti. Per tentare di anticipare, è necessario
ro manuale. Se l’obiettivo polemico può in parte es- acquisire il portato che le lotte ci consegnano e pro-
sere condivisibile, cioè la postulata egemonia del la- iettarlo su nuove linee di tendenza del conflitto. Solo
voro cosiddetto “immateriale”, tale discorso ha fini- così, crediamo, sia possibile tentare di uscire dai mi-
to per presentarsi semplicemente come suo rovescio cro-spazi in cui, alla lunga, il padrone ha la meglio, e
speculare, riproponendone con segno di valore oppo- tentare di approfondire in pieno quella grande politi-
sto gli stessi vicoli ciechi. Ben oltre un’idea platonica cità che si è aperta nelle contraddizioni della logisti-
di rigida divisione tra corpo e anima, proprio il siste- ca, in quanto appunto logica del capitale.
ma complessivo della logistica come logica del capi-
tale ci mostra la continua combinazione e concatena- Anna Curcio
zione di alta densità di sfruttamento delle conoscenze Gigi Roggero
e dei muscoli. Lo stesso lavoro dei facchini, come si
può facilmente evincere dalle descrizioni che ne han-
no fatto nel corso delle interviste, è fatto non solo di Note
sforzo fisico, ma anche (e in alcuni casi soprattutto)
di gestione di software e saperi, per quanto su livelli 1. Le interviste citate nel corso del testo e gli altri materiali della
bassi. Proprio questa combinazione è ciò che le lotte ricerca sono disponibili sui siti uninomade.org e commonware.org.
per un certo periodo hanno contro-utilizzato per col- 2. Nella parte conclusiva dell’articolo, soprattutto riguardo alle
questioni relative al contratto e allo stato attuale dei processi sinda-
pire gli interessi padronali. cali, ci avvaliamo dell’intervista realizzata nel febbraio 2018 con
Last but not least, questa combinazione è stata il Gianni Boetto, militante storico dell’Adl Cobas di Padova.
terreno su cui è stata possibile la costruzione di un 3. Si veda la relazione di Sergio Bologna “Lavoro e capita-
iniziale piano di incontro tra lavoratori della logisti- le nella logistica italiana: alcune considerazioni sul Veneto”, pub-
ca, studenti e precari. Studenti e precari, cioè, sono blicata su “UniNomade”, 15 marzo 2013, disponibile all’indiriz-
andati davanti ai cancelli innanzitutto perché hanno zo http://www.uninomade.org/wp/wp-content/uploads/2013/02/
lavoro_e_capitale_nella_logistica.pdf.
compreso che quella logica di sfruttamento e quel-
le lotte riguardava anche loro. Abbandonando le pos- 4. Kim Moody, “Modern capitalism has opened a major new front
for strike action – logistics”, in “The Conversation”, 3 gennaio 2018,
sibili linee della ricomposizione, si è ritornati nel ri- disponibile all’indirizzo http://theconversation.com/modern-capitali-
stretto alveo della mera solidarietà, che ha corto re- sm-has-opened-a-major-new-front-for-strike-action-logistics-89616.

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I porti, dannazione della merce

Il cambiamento di paradigma che ha investito i por- agiscono lungo l’intera catena marittimo-logistica. Le
ti negli ultimi decenni è ormai visibile nei suoi effet- trasformazioni più significative sono quindi veicola-
ti più dirompenti. Se da un lato i nuovi meccanismi te dalle dinamiche instabili e mutevoli dell’industria
di accumulazione dell’economia contemporanea sono marittima, per non parlare dei processi di automazio-
caratterizzati da un’organizzazione reticolare del- ne in banchina (spesso un deterrente per i lavoratori,
la produzione, dall’altro non si riuscirebbero a com- come è emerso ad Anversa) e dell’impatto in termi-
prendere a fondo questi meccanismi senza osservare il ni di occupazione e costi (sociali, del lavoro). Il feno-
funzionamento della catena marittimo-logistica, vale meno del gigantismo navale inoltre, così come le inte-
a dire uno dei vettori essenziali per la creazione di va- grazioni orizzontali e verticali, ma anche le fusioni, i
lore. I porti, com’è stato già accennato, sono gli sno- fallimenti, le acquisizioni e le alleanze tra compagnie
di principali della catena marittimo-logistica, al di là marittime, hanno trasformato radicalmente il panora-
del loro radicamento all’interno di cornici istituzionali ma generale sia sul lato mare che in banchina e nel re-
e spaziali specifiche. Cos’è cambiato negli ultimi de- troporto. Oggi i portuali e i loro sindacati si trovano a
cenni? La competizione odierna avviene lungo le ca- dover negoziare non solo con le imprese terminaliste
tene logistiche che connettono le origini alle destina- transnazionali, ma anche con i loro clienti e azionisti
zioni delle merci. L’attuale configurazione della com- (le compagnie marittime). E in entrambi i casi si trat-
petizione portuale ha luogo lungo la totalità della ca- ta di colossi. Le strategie degli attori lungo la catena
tena logistica, in generale formata dalle attività marit- marittimo-logistica pongono sempre più nuove insi-
time, dalla movimentazione delle merci nell’area por- die per il lavoro portuale e l’intera portualità2.
tuale e dai servizi di trasporto nell’hinterland1. Tre di- I molteplici problemi connessi alla varietà dei si-
mensioni integrate, che vedono i porti al centro, inve- stemi di lavoro nei porti nascono soprattutto dagli
stiti da tensioni e forze che tendono a destrutturarne i interessi in conflitto, dalla mancanza di chiarezza e
modelli organizzativi e i sistemi di un lavoro astorico, compatibilità tra regolazioni nazionali e regolazioni
localmente radicato e al contempo esposto alle pres- a livello europeo, ma come vedremo, nel caso italia-
sioni di mercato sia interne che esterne. Un lavoro tan- no riguardano anche la mancanza di uniformità rego-
to arcaico nella forma quanto ipermoderno nella so- lativa a livello nazionale. D’altro canto, mentre il pa-
stanza, sempre più digitalizzato, automatizzato, remo- norama generale si trasformava, lo scopo delle isti-
tizzato, ma non per questo obsoleto. tuzioni e delle politiche europee negli ultimi decen-
L’effetto più dirompente del cambiamento di para- ni era quello di liberalizzare i servizi portuali – tra cui
digma è quindi riassumibile in un nuovo equilibrio di il lavoro – in accordo con i principi del Trattato eu-
potere tra gli attori principali. In particolare, due for- ropeo, mentre i sistemi nazionali del lavoro portuale,
ze incidono sull’organizzazione sociale del lavoro nei al di là della loro varietà, spesso andavano in direzio-
porti: i processi di privatizzazione o deregolamenta- ne opposta alle logiche neoliberiste di “Europeizza-
zione, e il tentativo delle compagnie marittime di con- zione” del settore. Le forme di protezione dalle ten-
trollare l’intera catena logistica del trasporto, al fine sioni cui il lavoro portuale è sottoposto sono conce-
di cercare una maggiore integrazione tra gli attori per pite come “restrizioni” al libero mercato, ma è chia-
sfruttare le economie di scala. La varietà dei regimi ro che per le istituzioni europee e per le multinaziona-
di lavoro nei porti è influenzata non solo dagli atto- li attive nel settore l’obiettivo è liberalizzare l’ultimo
ri economici e sociali coinvolti in questo nodo princi- nodo che resta da sciogliere nella catena marittimo-
pale, ma anche dalle strategie degli attori globali che logistica. Ciononostante, finora ogni tentativo è più o
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meno fallito, al punto da costringere un cambiamen- ganizzazione del lavoro, in cui la principale entità di
to di strategia dell’Europa, orientata adesso all’utiliz- riferimento era la Compagnia Portuale, a un modello
zo di procedure legali d’infrazione agli Stati membri pressoché privato. Dopodiché ogni porto è andato per
non allineati e all’approccio soft attraverso il dialogo la sua strada. In estrema sintesi, l’impresa terminali-
sociale di settore. stica (privata) nata dalla legge, opera nell’area por-
In altri termini la dannazione della merce è ancora tuale (pubblica) tramite una concessione; per il ciclo
il porto e la sua “storica” forza lavoro, con le sue re- operativo di carico e scarico merci è dotata di propria
gole scritte, non scritte e circoscritte in un perimetro forza lavoro dipendente, e può disporre anche di una
che ne definisce con estrema precisione i rapporti so- riserva esclusiva di lavoro attraverso una manodopera
ciali e i limiti spaziali, contrattuali, regolativi. Un luo- temporanea di lavoratori autorizzati dall’articolo 17
go in cui il lavoro resta rischioso, usurante, professio- della legge 84, per fronteggiare l’oscillazione costan-
nalizzato, richiede formazione e continuo aggiorna- te della domanda derivata dai traffici. Com’è stato già
mento. Prima e dopo, “fuori” al porto, lungo la cate- accennato, questa riserva (detta anche “pool”) di ma-
na marittimo-logistica (nei magazzini degli interpor- nodopera può essere organizzata come un’impresa di
ti e nei centri distributivi, sulle portacontainer, nelle fornitura della manodopera temporanea o come un’a-
cabine dei camion, eccetera) si è più o meno servito- genzia per il lavoro. In Italia solo alcune esperienze
ri della merce e del suo flusso senza soluzione di con- al momento hanno optato per quest’ultima, in virtù di
tinuità, al di là dei continui blocchi fuori ai magaz- situazioni diventate nel tempo insostenibili. È il caso
zini, degli scioperi e dei conflitti in atto nelle piatta- dei porti di Trieste, Livorno e Gioia Tauro, e forse in
forme logistiche, peraltro in netto aumento. Sembre- futuro sarà il caso di Taranto, Cagliari e Napoli.
rà paradossale ma in Italia le condizioni di lavoro nei Dopo anni di corsa al ribasso e competizione tra
porti dalla prospettiva della catena marittimo-logisti- cooperative del lavoro, e malgrado il dumping sul
ca sono in generale accettabili, tutelate da una legge e costo del lavoro del vicino porto sloveno di Koper,
da un contratto collettivo nazionale – laddove rispet- dall’inizio di ottobre del 2016 nel porto di Trieste è
tato –, sebbene agli occhi delle istituzioni europee e operativa l’agenzia per il lavoro portuale che si pro-
degli attori economici siano da scardinare sia le rego- pone come pool di manodopera per la fornitura di la-
lazioni a tutela del lavoro che le condizioni contrat- voro temporaneo. Composta da oltre cento lavora-
tuali dei portuali. tori, l’agenzia è stata promossa dall’Autorità di Si-
stema Portuale in collaborazione con sedici imprese
Il lavoro nei porti italiani portuali, e ha una struttura e gestione caratterizzata
dalla collaborazione tra soggetti pubblici e privati.
Ciononostante, il quadro che emerge dai por- Per un periodo sperimentale di un anno, prorogato dal
ti italiani resta piuttosto contraddittorio, frammenta- governo fino alla fine del 2018, prevede la partecipa-
to, fragile. La portualità italiana è riconosciuta per zione maggioritaria dell’Autorità di Sistema, mentre
la sua varietà, per le forti differenze di governance la quota di minoranza del capitale sociale è distribuita
e gestione del lavoro tra i principali scali. Un report in parti uguali fra i soci privati. Il consiglio di ammi-
prodotto qualche anno fa da ISFORT ha mostrato l’i- nistrazione dell’agenzia è affiancato da un Comitato
nesistenza in Italia di un porto simile all’altro, la di- dei Garanti di tre membri, espressione dell’Autorità
pendenza di ogni porto dal suo passato, dal suo per- di Sistema, delle associazioni di categoria e delle or-
corso, dalla sua posizione geografica, dalla sua sto- ganizzazioni sindacali. Trieste sta proponendo quindi
ria, dalla composizione della sua forza lavoro. Para- un modello organizzativo del lavoro piuttosto inedito
gonando il variegato scenario dei sistemi di lavoro per il contesto italiano. Stando alle informazioni più
portuale a un Far West, il report ha enfatizzato l’ete- recenti la valutazione dell’agenzia è positiva, sebbene
rogeneità dei modelli organizzativi del lavoro. A par- la capacità di mantenere un equilibrio tra sfera pub-
tire dal rispetto formale della legge nazionale infat- blica e privata sia complessa. A questo va aggiunta la
ti ogni porto ha trovato il proprio modus vivendi, ten- crescita dei volumi del porto, la sua efficienza inter-
dendo ad autorganizzarsi secondo le proprie regole e modale e la sua posizione strategica rispetto alla nuo-
creando uno specifico modello organizzativo che cor- va Via della Seta. Tuttavia, la mancanza di una rego-
risponde al risultato di una sintesi tra le macro-indi- lazione nazionale chiara e approfondita su questi mo-
cazioni espresse dalla legge nazionale e le specifici- delli organizzativi, efficaci ma isolati in contesti loca-
tà locali3. li specifici, potrebbe causare dei rischi nel lungo pe-
L’immagine attuale non è cambiata di molto rispet- riodo in termini di sostenibilità economica dell’agen-
to a quella fornita tempo addietro da ISFORT, sebbe- zia.
ne la recente riforma abbia modificato l’assetto della Da nord a sud, il porto di transhipment di Gio-
governance portuale. Oltre al contratto collettivo dei ia Tauro mostra una forma di agenzia del lavoro di-
porti e agli accordi di secondo livello, il principale versa dal modello triestino, nata in prima battuta da
corpus giuridico inerente il settore portuale – la legge un’inesorabile crisi dei traffici, dovuta in parte alla
84 del 1994 – è emerso da un processo di riforma che concorrenza tra i porti di trasbordo di container nel
ha sancito il passaggio da un modello pubblico di or- Mediterraneo rispetto alle rotte principali. Dopo una
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lunga trattativa intervallata da una serie di scioperi, circa venti lavoratori, ma nel complesso si parla di un
a Gioia Tauro i sindacati e il principale terminalista centinaio di portuali che hanno preferito siglare ac-
– un gruppo tedesco che gestisce da decenni il por- cordi “tombali”. In cambio della rinuncia a ogni pre-
to, espressione dell’interesse di compagnie marittime tesa verso Conateco hanno accettato somme anche ri-
internazionali – hanno raggiunto un accordo per far sibili e si sono “volontariamente licenziati”. I circa
passare i circa quattrocento dipendenti licenziati dal venti portuali licenziati che hanno rifiutato gli accor-
terminalista e in cassa integrazione nell’agenzia per di vogliono tornare a lavorare e hanno portato le loro
il lavoro portuale. Un lavoro che però manca, a cau- ragioni davanti ai giudici.
sa dello stato di crisi in cui versa il terminalista, che Del porto di Genova è stata già descritta nei det-
tra l’altro anni fa ha investito nel porto marocchino tagli l’attuale situazione (si legga il testo di Degl’In-
di Tanger Med – con denaro pubblico dello stato ita- nocenti al riguardo). Qui vale la pena di ribadire che
liano –, in concorrenza diretta con il porto calabre- in condizioni di riduzione dei volumi, o di crescita,
se. A Gioia Tauro, mentre si attribuisce al prolifera- l’articolo 17 rappresentato dalla Compagnia “P. Bati-
re di “zone economiche speciali” la soluzione a tut- ni” diventa l’ammortizzatore su cui le imprese termi-
ti i mali, l’agenzia del lavoro portuale risponde al bi- naliste scaricano le pressioni. Com’è stato dimostra-
sogno di sostenere l’occupazione, ma sembra piutto- to, inoltre, l’uso sempre maggiore di lavoro tempora-
sto una forma mascherata di assistenzialismo che non neo per fare fronte ai picchi di lavoro e l’aumento del-
affronta la questione alla radice, dal momento che in la flessibilità suggeriscono un ritorno del lavoro oc-
caso di calo dei traffici i lavoratori dell’agenzia per- casionale, confermato dal ruolo sempre più incisivo
cepirebbero l’indennità di mancato avviamento al la- del lavoro portuale interinale, a Genova e in Italia4. È
voro, a spese del contribuente e non dell’impresa ter- l’agenzia Intempo, appartenente al gruppo Randstad,
minalista in parte responsabile della situazione attua- a fornire manodopera interinale per il settore portua-
le. Su circa 1300 portuali, quelli in esubero conflui- le e logistico e a vedere crescere il proprio fatturato
ti nell’agenzia sono quasi un terzo della forza lavo- in maniera costante dal 2013 in virtù di questa ten-
ro complessiva, in un contesto in cui parte consisten- denza di fondo. Intempo è la sola agenzia interinale
te del lavoro è appaltata anche a cooperative esterne. che opera nei principali porti italiani a sostegno delle
Anche nel porto di Napoli si era millantata l’ipo- imprese di fornitura di manodopera temporanea (ar-
tesi di un’agenzia del lavoro. Dopo anni di commis- ticolo 17), impiegando più di 500 lavoratori occasio-
sariamento, l’idea del nuovo presidente dell’Autorità nali in tutta Italia. Anche se le ultime modifiche sul-
di Sistema è stata quella di costituire un’agenzia in- la legge nazionale lasciano spazio a uno scenario di-
dividuando il modello più adatto insieme all’organo verso in futuro, l’aumento dell’avviamento al lavoro
consultivo formato dalle imprese portuali. Nel frat- tramite l’agenzia interinale Intempo a livello naziona-
tempo lo scenario che emerge dallo scalo napoletano le è stato finora confermato dall’assenza di turnover
è quello di un “caso limite”, un epicentro delle preca- tra le Compagnie Portuali italiane – di cui Genova è
rie condizioni dei lavoratori. L’Autorità Portuale non la più numerosa.
sembra prendere una posizione chiara sulle vertenze
in atto. Mentre abbondano i progetti di sviluppo del Uno sguardo al Nord Europa
porto dopo anni di stallo, la Compagnia Portuale (Ar-
ticolo 17), composta da circa ottanta lavoratori, è in In Belgio i porti sono regolati da una legge degli
pre-dissesto, e il maggior terminalista, Conateco So- anni Settanta (nota come legge Major), in cui si affer-
teco – di cui la MSC di Aponte possiede la quasi to- ma che solo i lavoratori portuali riconosciuti e regi-
talità delle quote azionarie – non usufruisce dell’av- strati del pool di manodopera hanno il diritto di svol-
viamento al lavoro di questa manodopera temporanea gere il lavoro portuale nell’area del porto. Tre nozioni
nel terminal container che ha in concessione. Il moti- quindi (riconoscimento dei lavoratori, lavoro portua-
vo sta in un accordo di programma sottoscritto in pas- le e area portuale) caratterizzano i vincoli legali dei
sato tra Regione Campania e Conateco, in cui il ter- porti in Belgio. Il perimetro definito del porto di An-
minalista otteneva 12 milioni di Euro nell’arco di due versa dalla legge sancisce la differenza principale tra
anni in cambio di assunzioni. Ma le promesse occu- status di lavoro dentro e fuori l’area portuale. La de-
pazionali scaturite dall’accordo di programma hanno finizione di lavoro portuale si trova nella prima pagi-
preceduto la riduzione dei traffici e di conseguenza na del Codex, il maggiore accordo collettivo a livello
i licenziamenti, giustificati da una presunta condot- portuale, considerato come “la Bibbia” dei lavoratori.
ta scorretta dei lavoratori, in realtà strumentali alla ri- Tutte le attività di movimentazione delle merci all’in-
strutturazione del gruppo Conateco Soteco in stato di terno dell’area del porto sono considerate come lavo-
crisi. Da anni i portuali al terminal container gesti- ro portuale – con alcune eccezioni legate alle attività
to da Conateco lavorano in condizioni ai limiti del- industriali presenti nell’area –, non limitandosi quin-
la sicurezza, in cassa integrazione a rotazione. Al ter- di solo al processo di carico e scarico merci dalle navi
mine degli ammortizzatori gli vengono offerte nuove alla banchina, ma comprendendo anche il lavoro nei
condizioni contrattuali con il beneplacito delle tre si- magazzini all’interno dell’area del porto. Le modali-
gle sindacali. I licenziamenti al momento riguardano tà di reclutamento e le condizioni di lavoro logistico,
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vale a dire di quelli che movimentano e manipolano La riforma proposta all’Europa dipenderà molto
merci nei magazzini al di fuori dell’area portuale, dif- dai negoziati tra le parti sociali e il processo è tuttora
feriscono dalle modalità e le condizioni di chi svolge in atto. Nonostante i continui tentativi di attacco, pe-
le stesse attività all’interno dell’area. raltro portati avanti in primis dal gruppo Katoen Na-
Il riconoscimento e registro dei lavoratori del pool tie (che controlla anche l’interporto di Rivalta Scri-
di manodopera ad Anversa avviene tramite una sot- via), la legge Major del 1972 resta invariata. Tuttavia
tocommissione paritetica del porto e in virtù dell’a- i seguenti punti sono stati modificati:
dempimento di sette condizioni. Nel porto di Anver-
sa, tutte le imprese portuali sono affiliate all’associa- 1) Il riconoscimento e registro dei lavoratori portuali del
zione datoriale CEPA, che ha il compito di negozia- pool di manodopera è mantenuto. Il riconoscimento e re-
re con i sindacati l’accordo collettivo. Il CEPA ha an- gistro dei lavoratori della logistica invece, operativi all’in-
che la responsabilità di gestire l’organico del pool e di terno dell’area portuale, viene cancellato. Un singolo cer-
amministrare i salari. Allo stesso tempo, tutti i portua- tificato di sicurezza verrà loro fornito per accedere nell’a-
li ad Anversa sono membri di una delle tre sigle sin- rea portuale.
dacali. Nel secondo porto europeo per volumi di mer-
ci movimentate, sia i dipendenti fissi dei terminal che 2) Nel lungo periodo ci sarà la possibilità per le impre-
i lavoratori temporanei (permanenti, semi-permanen- se portuali di assumere lavoratori al di fuori del pool di
ti, occasionali) sono registrati e appartengono al pool manodopera (il cosiddetto “circuito parallelo”), attraverso
di manodopera. La formazione è gestita e organizzata contratti a breve e lungo termine.
da un’istituzione legata al CEPA (chiamata OCHA),
che coinvolge imprese portuali e organizzazioni sin- 3) Le procedure per la composizione delle squadre di lavo-
dacali. Queste dinamiche sono consolidate e legitti- ro saranno riviste.
mate da una forza lavoro che vede il coinvolgimento
diretto dei sindacati, i quali si trovano a fronteggiare 4) In un certo numero di casi, la polivalenza sarà possibi-
imprese multinazionali localmente situate e spazial- le, ma senza mettere a repentaglio la sicurezza, e senza un
mente dislocate. impatto negativo sulla formazione professionale e i salari.
Anche i porti del Belgio hanno avuto dei conti in
sospeso con l’Unione Europea – come in Spagna. Il 5) Il circuito parallelo stabilisce che lavoratori portuali ri-
Belgio è stato oggetto dal 2014 di un’infrazione av- conosciuti saranno reclutati anche al di fuori del pool di
viata dalla Commissione Europea a causa della leg- manodopera, ammesso che le sette condizioni per il rico-
ge Major che regola l’organizzazione del lavoro por- noscimento e registro dei portuali siano ugualmente rispet-
tuale, incompatibile con i principi del Trattato euro- tate come previsto dalla legge. L’ottava condizione riguar-
peo sulla libertà di stabilimento e la libera prestazio- da il contratto di lavoro per quei lavoratori reclutati dal-
ne di servizi (articolo 49 del TFUE). Dopo mesi di le imprese portuali al di fuori del pool, la cui durata corri-
negoziazioni, un compromesso è stato raggiunto nel sponderà alla temporanea durata del riconoscimento. Per
2016, quando le parti sociali hanno proposto una ri- assumere portuali al di fuori del pool è stato stabilito un
forma alla Commissione da realizzare nei prossimi processo graduale legato alla durata dei contratti: dal 2016
anni. Dopo una lunga attesa, la soluzione proposta possono essere assunti all’esterno del pool solo portuali
dal Belgio è stata valutata positivamente sia dai lavo- con contratti a tempo indeterminato; dal 2017 solo portua-
ratori tramite un referendum che dalla Commissione, li con contratti di almeno due anni; dal 2018 solo portua-
e la procedura d’infrazione è stata ritirata nella metà li con contratti di almeno un anno; dal 2019 solo portua-
di maggio 2017. In particolare, cinque infrazioni sono li con contratti di almeno sei mesi; infine dal 2020 potran-
state identificate dalla Commissione: no essere assunti portuali con ogni tipo di contratto (an-
che giornaliero).
1) Il divieto di avviare al lavoro portuale lavoratori non re-
gistrati del pool di manodopera e quindi l’obbligo, per le In definitiva dal Nord Europa, nella regione dei
imprese portuali, di reclutare forza lavoro soltanto dal pool porti anseatici, quelli tra i più efficienti al mondo – i
sindacati meglio organizzati, i portuali più qualifica-
2) Le restrizioni sul tipo di contratto ti, le imprese più internazionalizzate –, ciò che sem-
bra essere la fine di un percorso rappresenta in realtà
3) L’obbligo di impostare una composizione della squa- una nuova fase da monitorare con attenzione5. Il mu-
dra di lavoro molto dettagliata ed estensiva per ogni tur- tamento in corso del sistema di lavoro portuale ad An-
no di lavoro versa fornisce molti elementi e spunti di riflessione
sulle tendenze di fondo che investono i porti europei,
4) Il divieto della polivalenza o multi-tasking al di là delle differenze sostanziali tra ogni scalo. Vi-
sti dall’Italia, tali cambiamenti dovrebbero far riflet-
5) Il registro e riconoscimento obbligatorio anche per i la- tere su quale sarà lo scenario completo quando questo
voratori della logistica che operano nei magazzini all’in- processo sarà terminato. Se la portualità italiana e le
terno dell’area portuale. parti sociali coinvolte avranno la capacità d’interpre-
42
tare e affrontare le sfide che investiranno il futuro dei er on the reality of port work”, European Transport Workers’
lavoratori portuali sarà il tempo a dirlo. Federation. http://mail.statik.be/t/ViewEmail/r/51A4091EAC-
F64A742540EF23F30FEDED/A4DBAF6EBADB6BDD6B-
5BE456C00C2519.
Andrea Bottalico 3. ISFORT (2012). Far west Italia. Il futuro dei porti e del la-
voro portuale. Rapporti periodici, Osservatorio Nazionale sul Tra-
sporto Merci e la Logistica. http://www.isfort.it/sito/pubblicazioni/
Note Rapporti%20periodici/RP_17_luglio_2012.pdf.
4. Si veda il testo di Sergio Bologna (2017). Tempesta perfet-
1. Meersman H., Van de Voorde E., Vanelslander T. (2009). ta sui mari. Il crack della finanza navale, Deriveapprodi, Roma.
Introduction. In Meersman H., Van de Voorde E., Vanelslander 5. Sull’analisi comparata tra i porti di Genova e Anversa, e sul-
T., (Eds.) Future challenges in the port and shipping sector. The la replicabilità del modello organizzativo del lavoro di Anversa
Grammenos Library, Informa, London, pp. xix-xxi. in altri contesti, si veda la tesi di dottorato di Bottalico A. (2017)
2. Si legga la lettera aperta del sindacato ETF a Viole- “Across the chain. Dock labour systrems in the European ports: a
ta Bulc; ETF (2017). “Open letter to Transport Commission- comparative analysis on two container terminals”.

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I Portuali di Genova. 40 anni dopo

Sono passati giusto 40 anni dalla pubblicazione nel nell’intervista si avverte la consapevolezza tra i por-
1978 su “Primo Maggio” di un memorabile articolo tuali più giovani, quelli più esposti al futuro, che la
intitolato “I portuali di Genova” firmato dal Colletti- progressiva meccanizzazione delle operazioni di im-
vo Operaio Portuale. L’articolo rivelò una realtà so- barco-sbarco, connesse all’avvento del container nel
ciale sino ad allora velata dei chiaroscuri della mi- traffico internazionale e delle navi ro-ro nel cabotag-
tologia dei “camalli”. Associazione di lavoratori con gio, avrebbe inciso sull’occupazione e mutato l’orga-
radici medievali, serbatoio elettorale del PCI, duri nizzazione del lavoro e i rapporti sociali e professio-
nell’antifascismo, nel conflitto sindacale sulle ban- nali. Una prospettiva che vedrà la sua rappresentazio-
chine e nello scontro politico e sociale quando occor- ne economica nel progressivo rovesciamento di pro-
reva, come era stato nel 1960 con la rivolta che abbat- porzioni tra capitali investiti e prestazioni di lavoro
té il governo Tambroni e sarebbe stato di lì a poco nel sulle banchine, tra lavoro morto e lavoro vivo, visto
1978 con il volantino “Né con lo Stato né con le BR”. che i portuali genovesi agli inizi degli anni ’70 erano
Non altrettanto puri con riguardo ai privilegi che le più di 8000 e vent’anni dopo sarebbero scesi a meno
specificità del mestiere, la protezione della riserva di 10001.
di manodopera e l’autonomia corporativa garantiva- I porti sono dei grandi bacini di occupazione in cui
no ai soci all’interno rispetto ai giovani avventizi così opera e si intreccia una molteplicità di mestieri e di
come all’esterno rispetto al resto della classe operaia. professioni, sul lato mare e navi e su quello banchine
L’articolo è in forma di testimonianza-intervista rila- e merci. Quando si parla di lavoro portuale tuttavia ci
sciata a Brunello Mantelli nel novembre 1977, in cui si riferisce alla categoria per antonomasia, i portuali
una voce del Collettivo narra il decennio appena tra- che muovono i carichi tra la nave ormeggiata e la ban-
scorso di lotte sindacali e di militanza politica dall’in- china di attracco e i piazzali di sosta, dove si svolge il
terno della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie ciclo produttivo che è il cuore della vita e degli affari
(CULMV). Il decennio iniziato con la ribellione de- del porto. Questo anello della catena logistica è strate-
gli avventizi in nome dell’egualitarismo contro la so- gico perché è il luogo dove per secoli si è ambientato
perchieria dei soci, una sorta di 68 esploso all’inter- il conflitto tra gli interessi della merce – dei suoi pa-
no del santuario portuale dominato dal PCI e dalla droni con gli spedizionieri e degli armatori con i loro
CGIL, proseguito con la conquista del salario garan- agenti – e quelli del lavoro. Esso è il luogo dove sto-
tito che aveva fatto giustizia delle diseguaglianze e in- ricamente i portuali sono riusciti a esercitare un certo
fine l’organizzazione dell’autonomia operaia contro potere contrattuale ogni volta che, grazie all’autono-
la visione del porto come azienda, anche se pubblica, mia derivata dagli statuti corporativi e a una prover-
che si andava delineando tra le forze governative del biale forza solidale, si sono profittati collettivamente
centro-sinistra, gli armatori, i padroni della merce e le della variabilità e indeterminatezza dei tempi e modi
componenti efficientiste del PCI. Un disegno volto a lavoro e delle occasioni di manipolazione della mer-
ridurre i portuali della CULMV, che allora in virtù del ce offerte dalle rotture di carico2. Anche per ripagar-
regime della riserva di lavoro aveva il monopolio del- si della casualità delle loro prestazioni3. La riduzione
le operazioni tra nave e banchina, in uno stato di su- dell’indeterminatezza che favoriva quel certo potere
balternità per dare luogo a una nuova organizzazione dei portuali è stato il principale motivo che dal secon-
del lavoro basata su capitali e tecniche industriali che do dopoguerra a oggi ha guidato lo sviluppo delle tec-
implicavano una gestione diretta e un maggiore con- nologie del porto e del trasporto. Uno sviluppo mira-
trollo produttivo della forza lavoro. A questo riguardo to a sostituire il processo di lavoro tradizionale simile
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a una commessa per ogni nave (job-shop: “every ship segna anche l’arrivo di una portacontenitori nel nuo-
is a different factory”) con l’adozione di un ciclo ope- vissimo grande porto di Voltri che da solo valeva l’in-
rativo lineare e fluido (flow-shop), sincronizzato con cremento del 20% della superficie dell’intero scalo,
i transit time delle navi e dei mezzi del inland tran- destinato a diventare il più importante gateway italia-
sport, grazie a un layout industriale che ha trasforma- no di container. Per completare la trasformazione oc-
to le banchine in fabbriche a cielo aperto. Il risultato è correva che intervenisse la nuova legge a consentire
stato l’affermazione di un nuovo modello di traspor- l’ingresso di imprese specializzate, i cosiddetti termi-
to delle merci, l’intermodalità, ossia l’impiego siste- nalisti, e delle nuove regole di organizzazione del la-
mico di contenitori standard di grandi dimensioni e di voro, pretese anche dall’Unione Europea per proteg-
alta resa unitaria, in cui possono essere stivati pres- gere la libertà di impresa, la libera concorrenza, il li-
soché tutti i tipi di merce e che non necessitano della bero commercio e la valorizzazione dei capitali. La
rottura di carico potendo essere direttamente trasferiti libertà dei lavoratori avrebbe dovuto venire di con-
da un vettore all’altro con mezzi meccanici di movi- seguenza secondo i principi liberali ma per i portuali
mentazione. Un container è come l’equivalente di una della CULMV doveva iniziare invece una nuova fase
porzione della stiva di una nave, che allo sbarco con di resistenza ma anche di contraddizioni con “i nuovi
un movimento di gru si trasforma nel rimorchio di un portuali” ossia i dipendenti dei terminal.
camion o nel vagone di un treno, senza che la mer- Limitandoci a esaminare la questione del lavoro, il
ce contenuta venga toccata. Il lavoro portuale quindi principale elemento di riforma della legge 84 riguar-
non solo è stato sostituito o trasformato dalla mecca- da la perdita di unitarietà dei lavoratori portuali. In-
nizzazione, ma la manipolazione e il magazzinaggio fatti, con la concessione delle banchine ai terminali-
della merce che una volta erano appannaggio dei por- sti privati essi devono dotarsi dei mezzi di produzio-
tuali sono stati decentrati fuori dei confini del porto e ne e di un organico di lavoratori adeguato ai piani di
della sua giurisdizione lavoristica, laddove altri lavo- impresa da formularsi in base alle previsioni dei traf-
ratori senza i diritti e le tutele dei portuali riempiono e fici. Per cui nell’ambito dello stesso porto si crea una
svuotano i contenitori e aggiungono alla merce il va- pluralità di organici di lavoratori portuali distinti per
lore di servizi a costi molto inferiori. I porti da empo- azienda di appartenenza e per organizzazione e ambi-
ri si sono trasformati in caselli (gateway) di un siste- to portuale di lavoro. I lavoratori della CULMV con-
ma verticalizzato e integrato di trasporto door-to-do- tinuano a esistere ma con il ruolo complementare di
or. Sulla base delle proprie convenienze (costi-tempi- lavoratori temporanei soggetti alla chiamata giorna-
rese-collegamenti) è la merce a scegliere il porto ove liera dei terminalisti in ragione dei fabbisogni di per-
transitare nella rete logistica in cui i nodi (porti-re- sonale contingenti di ciascuno di loro, convenzional-
troporti-interporti-magazzini) e le linee (feederaggio- mente attribuiti ai picchi di lavoro ma per lo più pre-
strade-ferrovie-idrovie) sono in competizione gli uni determinati da criteri di flessibilità organizzativa e
con gli altri a prescindere dalla distanza geografica ri- produttiva adottati da ciascun terminalista. Alcuni ter-
spetto ai mercati di origine e destinazione4. Per cui gli minalisti chiamano quotidianamente lavoratori della
armatori più grandi che grazie alle concentrazioni oli- CULMV addirittura in numero superiore al loro orga-
gopolistiche controllano più merce sono in grado di nico. Per assolvere a questo ruolo di jolly la CULMV
condizionare il mercato dei trasporti anche al punto da associazione è stata obbligata a trasformarsi in im-
tale da fare vivere o morire un porto5. presa cooperativa, unica fornitrice con prerogative di
Il senso politico di questa trasformazione è stato monopolio ma con il vincolo dell’esclusività della
evidente, per tornare alle preoccupazioni dei giovani prestazione e in favore dei soli terminalisti. Il suo or-
portuali genovesi 40 anni fa circa il loro declino oc- ganico è determinato dall’Autorità Portuale anche per
cupazionale e professionale: togliere dalle loro mani il fatto che i lavoratori temporanei ricevono un’inden-
la dipendenza del valore delle merci, scambiando il nità a parziale compensazione delle giornate di man-
contenitore per il suo contenuto, frapponendo tra il cato impegno. Inoltre essa deve mantenere aggiorna-
contenitore e il lavoro un’organizzazione industriale ta con la formazione a proprie spese la capacità pro-
e processi meccanici nella prospettiva di una integra- fessionale dei soci di servire tutti i terminalisti e con
le automazione. Un declino contro cui i portuali han- essi tutti i cicli operativi di merce varia presenti nel
no opposto una dura resistenza sino a che la riforma porto: a Genova sono una decina i terminalisti e qua-
dell’ordinamento portuale, la legge n. 84 del 1994, si il doppio i cicli tra container, rotabili, break bulk,
non ha cambiato radicalmente il quadro giuridico e project cargo, auto, passeggeri. Oltre a ciò, nonostan-
con esso ha costretto anche loro a cambiare. Le inno- te sia impresa sottoposta al Codice civile per quanto
vazioni del container e del ro-ro non avevano aspet- concerne il pareggio di bilancio, non ha alcuna garan-
tato la riforma per manifestarsi occupando spazi nel zia di giornate minime di lavoro dovendo procurarse-
porto ma non erano ancora giunte a uno stadio da ri- lo negoziando, terminalista per terminalista, di anno
tenersi compiute. Negli anni precedenti il porto ave- in anno e talora di nave in nave, a condizioni tariffarie
va reagito alla domanda dei nuovi servizi iniziando a diverse e comunque al di sotto di un plafond stabili-
adeguare le opere portuali e le attrezzature alle tipo- to dall’Autorità portuale, che la stessa definisce tarif-
logie e dimensioni delle nuove navi. Il 1994 a Genova fa di pareggio quindi senza margini. Lo scostamento
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tra tariffa concordata e quella massima è lo spazio per avviamento e una maggiore regolarità nella gestio-
i terminalisti per ottenere incrementi di produttività e ne dell’organico.
flessibilità da parte della CULMV e per questa per ot- Permane invece la dualità dipendenti-soci, nono-
tenere più turni di lavoro, salvo in momenti di crisi di stante si sia attenuata la divisione sociale del loro la-
traffici o di crescita di competizione nel settore subi- voro. Permane infatti la dualità nel loro status giuridi-
re repentinamente sotto forma di minori chiamate lo co, nelle condizioni contrattuali e salariali, nei diritti
scarico delle pressioni sulla redditività del terminal. consentiti dalla legge e dai regolamenti. Continua so-
Insomma condizioni di impresa assolutamente proi- prattutto a prevalere un reciproco pregiudizio con cui
bitive, per taluni una vera e propria trappola, a cui tut- entrambi i gruppi si attribuiscono caratteri quasi an-
tavia la CULMV ha resistito sino a oggi. tropologici: i soci si ritengono i veri portuali, perché
I portuali genovesi a poco più di 20 anni dalla ri- eredi della tradizione di autonomia, senza padroni; in
forma si presentano oggi come un universo di circa buona sostanza si reputano una specie particolare di
2000 uomini, di cui circa la metà dipendenti dei ter- liberi cottimisti che nel cottimo trovano lo strumento
minal, e l’altra metà soci operativi della CULMV. Un per variare l’impiego della loro forza lavoro in ragio-
rapporto 1:1 che si è mantenuto stabile nel tempo, in ne dei propri interessi di tempo e di denaro; ritengono
particolare negli ultimi 10 anni in cui i terminalisti i dipendenti dei “robot”, dei salariati, costretti nelle ri-
non hanno aumentato gli organici, sostenendo pub- gide strutture e procedure dell’organizzazione del la-
blicamente di non assumere per aiutare la CULMV voro che il padrone terminalista loro impone. C’è per-
(sic!), e la CULMV dopo essere stata ridotta a se- sino una mitologia figurativa di queste differenze che i
guito della crisi del 2008-09 ha ripreso a crescere. terminalisti e talvolta anche i media tendono a diffon-
Due facce della stessa medaglia, portuali gli uni esat- dere: il socio non usa il badge, trascura i DPI (dispo-
tamente come gli altri: operano negli stessi cicli in sitivi di protezione individuale), quando è finito il la-
maniera interdipendente, utilizzano gli stessi mezzi voro se ne va anche se non è terminato il turno, accet-
e anche se sono organizzati in squadre distinte ob- ta le chiamate se sono vicino a casa. Il dipendente vie-
bediscono agli stessi turni e ritmi produttivi. Eppu- ne rappresentato quasi come una caricatura all’oppo-
re in questi anni i dipendenti e i soci non hanno mai sto. Al fondo c’è anche un’altra distinzione che pro-
trovato una vera unità, salvo nelle occasioni dell’e- viene dal passato: i portuali dipendenti in quanto tali
splosione di rabbia dopo qualche grave infortunio. hanno paura di perdere il lavoro, i portuali soci no.
I primi, sindacalizzati, inquadrati nel CCNL Porti e Una distinzione che la riforma e la regolamentazione
beneficiari di accordi di II livello, sono posiziona- della fornitura del lavoro temporaneo ha cancellato a
ti nei livelli professionali più alti per cui non svolgo- sfavore dei portuali soci. È comparso inoltre in questi
no le mansioni generiche e conservano la preceden- 20 anni un altro migliaio di addetti negli uffici dei ter-
za su quelle specialistiche e se manca il lavoro go- minal. Essi compongono una forza lavoro che in par-
dono della valvola di sfogo della diminuzione delle te svolge le funzioni che una volta erano assolte dai
chiamate della CULMV che sinora ha evitato loro la portuali sul bordo e sulle banchine. Sono i pianifica-
cassa integrazione o peggio i licenziamenti. I secon- tori dello stivaggio della nave o della disposizione dei
di, sono sindacalizzati più per forma che per sostan- contenitori nei piazzali che operano per mezzo di sof-
za; padroni della propria impresa e quindi di se stessi tware speciali, sono coloro che comunicano le istru-
e in una buona misura anche della loro forza lavoro, zioni di sbarco e imbarco alle squadre operative per
la dispensano con un certa autonomia nel rispondere mezzo di radio e computer palmari e sono quelli che
selettivamente alle chiamate, sia nel senso di rinun- programmano i turni e controllano la movimentazione
ciare a del lavoro e quindi a del salario integrandolo dei contenitori attraverso i computer e le telecamere.
con l’indennità di mancato avviamento, sia in quel- Risiedono per lo più nelle control room del terminal.
lo opposto di accrescere il salario duplicando e tri- Domani ci saranno quelli che dalle room guideranno
plicando i turni giornalieri di lavoro. È avvenuta per- remotamente le gru. Sono anch’essi operatori del ci-
tanto nel corpo sociale della CULMV una polarizza- clo della merce a tutti gli effetti che però non vengono
zione di partecipazione produttiva e di condizioni so- considerati tali, tantomeno sono considerati “portua-
ciali che è stata oggetto di attacchi politici da parte li”. Sono un’altra componente distinta del corpo so-
dei terminalisti aprendo delle crepe nella proverbiale ciale dei vecchi e nuovi portuali. Se c’è ancora distan-
unità solidale dei soci rispetto alle conseguenze per za tra dipendenti e soci, l’unità tra “operai” e “impie-
la stabilità dell’impresa CULMV. Tuttavia l’aumento gati” è tutta ancora addirittura da evocare.
dei traffici dopo la crisi e di conseguenza delle chia- Sullo sfondo, lo scenario produttivo segnala il
mate, sia sotto il profilo quantitativo che professio- compimento della trasformazione del porto: 2/3 del-
nale, insieme alla presa di coscienza delle contrad- la produzione del porto di Genova in tonnellate è rap-
dizioni nella gestione interna, ha prodotto negli ulti- presentato da merce varia, il resto è attività del porto
mi anni da parte dei soci della CULMV un notevole petroli in cui il lavoro portuale è ridotto a poche uni-
incremento di partecipazione al lavoro, di formazio- tà; sono quasi scomparse le rinfuse secche e pochis-
ne specialistica e di aumento della produttività con la simo personale è richiesto dai depositi di olii natura-
conseguente diminuzione delle giornate di mancato li. L’80% della merce varia movimentata è contenu-
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ta nei container, il 15% viaggia in ro-ro su rimorchi ma che i problemi nella parte corrente del bilancio de-
rotabili, resta solo un 5% di break bulk manipolabile rivano dalle tariffe insufficienti e dai costi della for-
e immagazzinabile. La produzione del porto, dopo la mazione a carico. Lo studio, dovendo valutare i con-
precipitazione del biennio “orribile”, ha ripreso a au- ti tra i molteplici vincoli a cui è sottoposta l’impre-
mentare, ha raggiunto i numeri pre-crisi e continua a sa CULMV e gli scarsi ricavi procurati dalle tariffe
salire. Negli ultimi due anni ha segnato i record, gra- stabilite dall’Autorità portuale e ridotte dalle imprese
zie all’adeguamento delle banchine e dei fondali per utilizzatrici, non è riuscito a dare risposta alla doman-
ospitare le navi di ultima generazione e a un costan- da: come si può pareggiare il bilancio? Soprattutto a
te aumento di produttività dovuto agli investimenti quali condizioni di lavoro e di salario, visto che nel
tecnologici e organizzativi ma grazie soprattutto alle tempo la produttività è aumentata, i salari non sono
prestazioni fornite dai lavoratori. Le loro prestazioni cresciuti e il bilancio non si è risollevato. Visto che
sono cresciute soprattutto grazie a una maggiore effi- nello stesso periodo le imprese terminaliste hanno re-
cienza e integrazione dei cicli di lavoro in cui dipen- alizzato profitti e utili ma non hanno consentito mar-
denti e soci sebbene organizzati in squadre differen- gini di redditività alla CULMV e anzi quando gli è
ti intervengono negli stessi turni sempre più paritaria- convenuto le hanno fatto pagare gli incrementi di pro-
mente non solo sul piano quantitativo ma anche pro- duttività in termini di chiamate. L’Autorità portuale
fessionale. Se fino a alcuni anni fa la tendenza era di per parte sua ha fissato delle tariffe massime dichia-
lasciare ai soci le prestazioni generiche come il riz- rando che sarebbero state onnicomprensive di tutto,
zaggio o gli spostamenti orizzontali con le ralle, oggi persino degli utili di impresa della CULMV, mentre
per fare fronte all’aumento dei volumi di traffico e dei Deloitte ha certificato nel 2014 che il costo del lavoro
turni di lavoro, una volta esauriti i ruoli dei dipenden- della CULMV – con i salari fermi peraltro al 2008 –
ti i soci salgono sempre più spesso sui carrelli di sol- rappresenta l’85% del totale dei costi e assorbe il 90%
levamento e persino sulle gru di banchina grazie alla dei ricavi. Queste conclusioni, unitamente alla cresci-
loro straordinaria flessibilità (7 turni giornalieri, sa- ta della domanda di lavoro da parte dei terminalisti,
bato, domenica, notte, periodi feriali)6. Da un’indagi- ha portato al paradosso che dopo solo due anni dal-
ne svolta presso i terminalisti l’81% della forza lavo- la riduzione forzata dell’organico della CULMV ne è
ro richiesta alla CULMV è specializzata, percentua- stato autorizzato l’incremento. Fortunatamente erano
le che sale al 94% nei terminal contenitori. Per quan- uscite persone in grado di andare in pensione e sono
to concerne i salari, i dipendenti oltre al CCNL Por- entrati invece giovani sino allora impegnati precaria-
ti hanno accordi di II livello e premi di produttività, mente, soci speciali e interinali7.
mentre i soci sono regolati da un sistema interno di re- Nell’estate del 2016 il Governo ha riformato la
tribuzione che, fatte salve le paghe per le giornate di legge 84/1994 per quanto riguarda la governance del
lavoro integrate eventualmente dall’indennità di man- sistema portuale nazionale e locale. Nell’occasione il
cato avviamento, deve anche contribuire a mantenere tema del lavoro non era stato toccato. Poco dopo l’ap-
la struttura di impresa con l’unico ricavo delle tariffe provazione del decreto tuttavia il Ministro dei Tra-
dei terminalisti. sporti Delrio ha avviato un confronto con le parti in-
La fragilità del conto economico della CULMV, teressate per riformare anche le regole del lavoro por-
aggravata anche da vecchie partite finanziarie a ri- tuale. Sin dai primi documenti circolati si è avvertito
schio contenute nel capitolo patrimoniale del bilan- un orientamento favorevole a consolidare e per certi
cio, ha determinato in questi anni una situazione di versi a rafforzare ruolo e funzioni del lavoro tempo-
precarietà che i terminalisti hanno cercato di sfrut- raneo, anzi superando il concetto stesso di tempora-
tare per delegittimare il gruppo dirigente o l’autono- neità a favore di un più coerente attributo di flessibili-
mia gestionale più che i lavoratori perché nel frattem- tà, tenuto conto che l’impiego dei lavoratori tempora-
po non hanno mai smesso di impiegarli con profit- nei è diventando costante e strutturale. Al termine di
to. Vero è che da molti anni la CULMV per chiude- un processo durato più di un anno il Governo e il Par-
re in pareggio il suo bilancio deve attendere che i ter- lamento alla fine del 2017 sono intervenuti per modi-
minalisti eroghino una somma che essi propaganda- ficare la legge 84 in alcuni punti salienti riguardanti
no come regalia e che la CULMV invece afferma es- il lavoro. In primo luogo, quello temporaneo regolato
sere il conguaglio dovuto per il ribasso delle tariffe in dall’art. 17, a cui sono state apportate alcune impor-
corso d’anno. Il Governo, preoccupato delle sorti del- tanti modifiche: la possibilità per la CULMV di otte-
la CULMV che equivale a dire della pace sociale nel nere dal bilancio dell’Autorità portuale finanziamen-
più grande porto d’Italia, era intervenuto mettendo in ti per la formazione dei lavoratori, per il prepensio-
legge queste somme a carico del bilancio dell’Autori- namento di quelli inidonei e per il ripiano dei bilanci
tà portuale purché la CULMV diminuisse l’organico sulla base della presentazione di piani di risanamen-
e si impegnasse con un piano di risanamento. E così è to; infine è stato ammesso che l’impresa fornitrice di
stato per un paio di anni. Tuttavia si è scoperto tramite lavoro temporaneo possa essere considerata “impre-
uno studio commissionato appositamente alla società sa incaricata della gestione di servizi di interesse eco-
di consulenza Deloitte che la CULMV può sì miglio- nomico generale”, una circostanza sinora esclusa che
rare la sua gestione e ridurre alcuni capitoli di spesa apre nuove prospettive della CULMV per tale rico-
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noscimento. In secondo luogo all’art. 8 ai poteri del sure relative al Piano dell’organico e alle politiche at-
Presidente è stato aggiunto quello di utilizzare risorse tive del lavoro delineano un contesto normativo idea-
del bilancio per la formazione di tutti i lavoratori del le per favorirne la riqualificazione e la ricollocazione
porto, siano essi dipendenti o temporanei, sulla base o presso altri terminalisti o presso la CULMV in una
di una ricognizione e analisi dei fabbisogni lavorativi logica compensativa di regolazione del mercato del
in porto che porta il nome di “Piano dell’organico del lavoro interno del porto, tenuto conto altresì che una
porto dei lavoratori delle imprese di cui agli articoli parte della banchina delle rinfuse è stata riconvertita
16, 17 e 18” a cui la norma conferisce espressamente a ospitare ro-ro e quindi merce varia. L’Autorità por-
il valore di documento strategico8. tuale da notizie di stampa sembrerebbe disponibile a
Di rilievo è che per la prima volta dal 1984 l’or- consentire l’operazione che pertanto si avvia a realiz-
ganico dei lavoratori del porto torna a essere conce- zarsi con l’aumento dell’organico della Compagnia e
pito come unitario, non sotto il profilo giuridico ma a saldo zero per l’organico del porto.
sotto quello sostanziale delle politiche attive del la- Il 2018 ci dirà se le premesse e le promesse di
voro: formazione professionale per la riqualificazio- quest’ultima riforma si avvereranno e come. Se fosse
ne o la riconversione e la ricollocazione del persona- vero che a primavera cambierà il colore del governo,
le interessato in altre mansioni o attività sempre in la domanda è se il nuovo atteggiamento favorevole
ambito portuale. È il riconoscimento dell’unitarietà al riconoscimento dell’unitarietà della partecipazio-
della partecipazione dei lavoratori al ciclo portuale, ne dei lavoratori al ciclo portuale promosso dal mini-
della loro complementarietà, interdipendenza e pari stro Delrio si conserverà o meno. Certo è che il mo-
dignità professionale. È il riconoscimento anche della dello Genova come viene spesso evocato ha dato buo-
triplice funzione attribuita sin dal concepimento della ni risultati in questi 10 anni in cui sono cresciuti a li-
legge 94/84 al soggetto unico fornitore del lavoro vello di record i traffici e con essi i profitti e gli utili
temporaneo: la funzione produttiva, svolta con la delle imprese terminaliste che sono state capaci di at-
prestazione di lavoro, la funzione riproduttiva sul trarli offrendo occasioni di lavoro ai propri dipenden-
piano della qualificazione e della nuova occupazione, ti e ai soci della CULMV. Entrambi i gruppi di lavo-
svolta con formazione, e infine la funzione sociale, ratori per parte loro hanno corrisposto in misura ec-
svolta assolvendo al ruolo di compensazione del mer- cezionale sul piano della produttività, senza un’ora di
cato del lavoro interno al porto nell’ambito di proces- sciopero in 10 anni, assicurando la più ampia flessibi-
si di ricollocazione9. Il Piano non produce vincoli per lità d’impiego professionale. Pur resistendo a attacchi
i terminalisti, di cui sono fatti salvi i piani di impre- mediatici, a tentativi di delegittimazione, a ricatti sul-
sa, ma li vincola a dichiarare i loro programmi occu- le tariffe, a provocazioni ricorrenti di autoproduzio-
pazionali e professionali per permettere di organiz- ne sulle ro-ro10, al tentativo mai sopito di fare entrare
zare e formare per tempo i soci della CULMV. Ba- ditte d’appalto di manodopera per abbassare le tarif-
sti pensare al tema dell’automazione che i terminali- fe, ridurre la forza della CULMV e attentare all’occu-
sti stanno pianificando di introdurre e di cui tuttavia pazione dei dipendenti11. Privi inoltre del sostegno di
essi non danno alcuna informazione pubblica per va- una aperta rivendicazione da parte del sindacato, di-
lutare l’impatto che avrà sull’occupazione e la qua- sperso nella rappresentanza dei dipendenti dei singo-
lificazione dei lavoratori. Inoltre la formazione, es- li terminal e privo di autentica rappresentatività nel-
sendo finanziata con risorse pubbliche e rivolta tanto la CULMV, sul tema dell’unità dei portuali, essenzia-
ai dipendenti che ai soci, potrebbe essere organizza- le per affrontare le ulteriori trasformazioni che si pro-
ta in maniera da mettere insieme entrambi i gruppi di spettano viste le tendenze in atto nel trasporto maritti-
lavoratori. D’altro canto è inammissibile che lavora- mo: dalla concentrazione dei terminal in gruppi mul-
tori che operano nello stesso ciclo non siamo formati tinazionali o nelle mani anonime di fondi finanziari,
assieme, non solo per la sicurezza che è obbligatoria all’avvio di nuovi terminal a Genova e Savona con la
per entrambi per cui dovrebbe essere ovvio, ma an- prevedibile rilocalizzazione dei traffici, dall’introdu-
che per il miglioramento delle rispettive professiona- zione di mezzi automatizzati all’aumento costante dei
lità che vengono esercitate nello stesso ciclo di lavoro ritmi di lavoro.
e spesso sulle stesse macchine e con le stesse mansio- Da alcuni anni c’è dentro il porto di Genova un
ni. Mentre sono scritte queste note è in corso nel por- nuovo Collettivo, si chiama Collettivo Autonomo dei
to di Genova una vertenza che presenta alcuni carat- Lavoratori del Porto, un filo rosso lo lega ai padri del
teri di esemplarità e di messa alla prova delle nuove 1967 nella ricerca dell’unità dei portuali, non più tra
misure di legge e della volontà degli attori istituziona- avventizi e soci come allora, ma tra dipendenti e soci
li e sociali di metterle in pratica. La Compagnia Pie- che semmai riproducono per analogia le contraddi-
tro Chiesa, la storica associazione oggi cooperativa zioni tra soci della Compagnia e dipendenti del Con-
dei “carbunin” che hanno scritto pagine fondamenta- sorzio Autonomo del Porto di 40 anni fa. Sue sono
li della storia del lavoro del primo Novecento, a cau- state le iniziative di reazione agli incidenti sul lavoro
sa del progressivo esaurirsi dei traffici di rinfuse sec- con il blocco dei varchi e delle operazioni, sue le ini-
che nel porto è in stato prefallimentare. Nella discus- ziative di lotta in occasione di particolari eventi come
sione circa il destino dei 30 soci portuali le nuove mi- denunce, licenziamenti, provocazioni padronali, sue
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le manifestazioni di forza nei confronti dell’Autori- apprendistato. Oltre ai soci speciali previsti per le cooperative dal
tà portuale o del Governo quando necessario. Ne fan- Codice civile, la legge 84 per parte sua consente alla impresa che
fornisce il lavoro temporaneo come la CULMV di utilizzare il la-
no parte portuali sia dei terminal che della CULMV e voro interinale nei casi non riesca con i propri soci a soddisfare
ognuna delle due parti porta nel confronto e nella di- la domanda. Nei porti italiani, compreso Genova, questo merca-
scussione anche accesa con l’altra il bisogno di rag- to è in mano a una sola agenzia, Intempo, creata a questo scopo
giungere una effettiva unità superando per un verso il all’indomani della legge 84 dalle stesse compagnie portuali, Geno-
particolarismo sindacale delle vertenze terminal per va esclusa. Da allora il controllo di Intempo è passato nelle mani
di Obiettivo Lavoro e da qualche anno in quello della multinazio-
terminal e per l’altro la mancanza di una reale sinda- nale Randstad.
calizzazione della condizione lavorativa dei soci della 8. L’articolo 16 regola le autorizzazioni alle imprese a svolge-
CULMV. La nuova legge sul Piano dell’organico uni- re le operazioni e i servizi portuali. L’articolo 18 regola la conces-
tario e dell’attribuzione all’Autorità di sistema por- sione delle banchine alle imprese autorizzate ex art. 16. L’articolo
tuale di poteri e funzioni di regolazione e governo del 17 regola la fornitura di lavoro temporaneo alle imprese ex artt. 16
e 18 da parte di un’impresa unica in ogni porto.
mercato del lavoro portuale offre una occasione poli-
9. All’origine del concepimento giuridico del soggetto di for-
tica assolutamente da non perdere, confidando anche nitura del lavoro temporaneo con la legge 84/94, anche per regola-
nella capacità del sindacato di sostenere finalmente re la transizione dal vecchio sistema, era stata previsto in alternati-
questa visione unitaria. Come i suoi vecchi fondato- va all’impresa l’istituto dell’agenzia di iniziativa pubblica e a par-
ri, questo Collettivo ha inoltre una straordinaria for- tecipazione delle imprese terminaliste. Di questo modello la rea-
za ideale e una coesione solidale che quando occor- lizzazione più coerente e efficace è quella promossa dall’Autorità
portuale di Trieste narrata da Mario Sommariva che è il Presidente
re sa mettere a disposizione anche della città, come dell’Agenzia oltre che Segretario generale dell’Autorità nell’inter-
nell’antifascismo militante che è tornato a essere una vista pubblicata in S. Bologna, Tempesta perfetta sui mari – Il crac
necessità non solo morale ma anche pratica per l’agi- della finanza navale, DeriveApprodi, Roma 2017.
bilità politica e sociale nei quartieri. In un loro recen- 10. Autoproduzione significa che l’armatore provvede con il
te documento hanno detto che solo attraverso il lavo- proprio personale, sia di bordo che a terra, alla movimentazione
del carico senza ricorrere del tutto o parzialmente ai lavoratori del
ro il porto fa gli interessi della città. Il 2018 si è aper- terminal e della CULMV. La legge lo consente a condizione che
to con questo importante messaggio per il porto e per l’Autorità portuale lo autorizzi. Nel porto di Genova di norma non
la città. è autorizzata per ragioni di sicurezza oltre che per l’opposizione
del sindacato a tutela della distinzione tecnica e giuridica del lavo-
ro tra le competenze del personale marittimo e di quello portuale.
Riccardo Degl’Innocenti
11. La legge ammette che le imprese terminaliste possano ap-
paltare segmenti di ciclo a imprese autorizzate a svolgere operazio-
ni e servizi portuali ex art. 16 ma prive di concessione di banchi-
Note na. Di norma dovrebbe trattarsi di segmenti operati integralmente
quindi con la disponibilità anche di mezzi oppure di servizi specia-
1. Vedi PM n° 9-10, inverno 1977-78. A complemento dell’ar- listici, altrimenti si tratterebbe di mera somministrazione di mano-
ticolo ascolta il documento orale “Amanzio Pezzolo”, registrazio- dopera che invece spetta all’impresa o all’agenzia ex art. 17 forni-
ne di Sergio Bologna, Genova 2009, in La rivista “Primo Maggio” trice del lavoro temporaneo. In molti porti italiani tuttavia si è este-
(1973-1989), DeriveApprodi, Roma 2010, che contiene nel DVD so il fenomeno dell’impiego di surrettizie imprese di appalto in re-
allegato la raccolta di tutti i numeri pubblicati. altà cooperative di lavoro a tariffe e condizioni di lavoro indecen-
ti. Del resto in alcuni porti italiani non esiste un soggetto ex art.
2. La rottura di carico avviene quando la merce viene scarica- 17, in alcuni a causa e in alcuni per effetto dell’impiego di imprese
ta da un mezzo di trasporto e ricaricata su un altro mezzo anche in di appalto di manodopera. L’operazione di costituzione dell’agen-
partite di dimensioni diverse. zia nel porto di Trieste di cui alla nota precedente è servita a sana-
3. La casualizzazione e quindi l’incertezza sono i principali at- re una situazione del genere e a restituire legalità oltre che digni-
tributi del lavoro a chiamata su cui si basa il lavoro portuale tradi- tà al lavoro portuale.
zionale: quando, come e dove la prestazione di lavoro avverrà e se
avverrà e quanto renderà?
4. Con feederaggio si intende il trasbordo di un contenitore da
una nave generalmente più grande a una più piccola con cui viene
trasportato in un porto non toccato dalla prima.
5. I motivi, i caratteri e le prospettive di questa trasformazione
erano stati affrontati da “Primo Maggio” in alcuni lungimiranti ar-
ticoli: Verso il porto diffuso, del Collettivo Operaio Portuale di Ge-
nova, in Quaderni di PM 1 – Dossier trasporti, giugno 1978; Sto-
ria del container, di Franco Bortolini, in PM 12, inverno 1978-79;
L’intermodalità nel mercato mondiale delle merci, di Oscar Mar-
chisio, in PM 13, autunno 1979; Ristrutturazione e frammentazio-
ne operaia nei porti italiani, di Alberto Macor, ibidem.
6. Il rizzaggio è un’operazione manuale che i portuali fanno a
bordo delle navi per bloccare il contenitore sui ponti o il rimorchio
nei garage dei ro-ro perché restino fissati in navigazione. Il deriz-
zaggio è la manovra opposta.
7. I soci speciali sono una categoria di soci lavoratori con con-
tratto a tempo determinato di 5 anni a fini formativi che non rien-
trano nell’organico perché non beneficiano dell’indennità di man-
cato avviamento. Costituiscono una sorta di nuovo avventiziato o

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Studio 2. La storia del lavoro
e la musica dei Beatles

Senza la sezione monografica sugli Industrial rato più che raddoppiato fra il 1955 e il ’63. I Beatles
Workers of the World (IWW) del fascicolo d’esordio sono John Lennon, Paul McCartney, George Harrison
di “Primo Maggio” difficilmente sarei diventato uno e Pete Best. Vengono da Liverpool, provincia del pro-
storico del lavoro1. Oltre quarant’anni dopo sono or- fondo Nord. Sono cresciuti in un mondo sospeso fra il
mai un pensionato dell’università. Nel corso del tem- baricentro operaio e la piccola borghesia, con un im-
po dalla storia del lavoro sono passato progressiva- printing influenzato dall’appartenenza di tre di loro
mente a quella del consumo. Sino ad approdare di re- alla minoranza irlandese, sia pure senza marcate af-
cente a un progetto relativo alla vicenda dei Beatles filiazioni etniche, religiose o culturali, esplicite. Han-
come storia integrata del lavoro e del consumo di mu- no tutti frequentato la scuola media superiore, senza
sica2. Qui vorrei illustrarne alcuni aspetti relativi alle che nessuno l’abbia finita, come la stragrande mag-
trasformazioni dell’attività fra le pareti dello studio gioranza di quelli della loro età ed estrazione socia-
discografico – attività che costituisce l’altro principa- le. Hanno 80 anni in quattro. Sono uno degli oltre 300
le ramo dell’industria musicale, assieme a quello del- gruppi che suonano musica beat a Liverpool all’epo-
le esibizioni dal vivo – nel corso degli anni sessan- ca. Come la maggior parte dei colleghi, non hanno
ta3. Lo studio è il celebre Studio 2 londinese di Ab- alcuna formazione musicale istituzionale, non sanno
bey Road della Electric and Music Industries (EMI). leggere la musica. Hanno alle spalle alcuni anni di in-
Con una fedeltà a un solo luogo produttivo piuttosto tensa gavetta per locali, a Liverpool, Amburgo e in
rara nella storia della popular music4, i Beatles vi in- giro per le città del Nord dell’Inghilterra. Li ha aiutati
cisero praticamente tutti i loro dischi. Dato il carattere ad arrivare a questo provino londinese Brian Epstein,
ancora embrionale delle indagini in materia5 e lo spa- liverpulliano come loro, ebreo, gay, trentenne, ceto
zio a disposizione, le pagine che seguono non aspi- medio-alto. Attore e couturier mancato, venditore di
rano a generalizzazioni sul tema. Ma intendono solo dischi provinciale, ma cospicuo, e perciò con qual-
suggerire una pista di ricerca in larga misura inedi- che entratura nel settore discografico concentrato a
ta mediante alcuni flash, su come, nell’arco di pochi Londra, da qualche mese si è inventato agente (mana-
anni, cambiano il modo di incidere, l’organizzazione ger) musicale per loro. Esercita sul gruppo un’azione
del lavoro, i ruoli e i rapporti tecnici e sociali fra i vari di disciplinamento che è prassi comune nei confron-
attori coinvolti. ti dei giovani musicisti, ma che nel suo caso è svolta
con una sensibilità personale e informalità inaudita,
Fumo di Londra frutto della sua condizione di outsider, professionale
ed esistenziale, e pari solo all’inesperienza in questo
Quando i Beatles varcano per la prima volta la so- campo. Che cosa intendiamo per disciplinamento? La
glia dello Studio 2 per incidere Love Me Do, la loro trafila del lancio di un nuovo cantante segue all’epo-
canzone d’esordio, siamo nel giugno 1962, in un po- ca stadi collaudati che vanno dalla scelta di un nome
meriggio di prove che culminano in tre ore d’incisio- cattivante, alla ripulitura della sua immagine per ren-
ne, dalle sette alle dieci di sera. La EMI è una delle derlo accettabile a un pubblico medio, alla presenta-
due grandi case discografiche, l’altra essendo la Dec- zione nei primi programmi televisivi per giovani in
ca, che controllano in un regime di stretto duopolio il concomitanza con l’uscita di un singolo, all’organiz-
75-80 per cento del mercato britannico dei dischi. Un zazione di tournée che cercano di sfruttare anche il
mercato che, sotto la spinta del rock, è da metà anni più effimero effetto di interesse suscitato da un even-
cinquanta in costante espansione, come prova il fattu- tuale successo discografico. Digiuno di musica rock,
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alla quale preferisce personalmente, come si addice fra la sala di controllo e la sezione in cui stanno i mu-
alla sua estrazione sociale, il jazz, Epstein agisce sui sicisti, collocate fisicamente l’una sopra l’altra, se-
Beatles soprattutto dal lato dell’immagine, degli abi- condo una linea verticale che esalta l’asimmetria fra
ti di scena, della performance, della promozione del le due sfere e consolida lo sguardo dominante di chi
gruppo presso i media. Per sua iniziativa spariscono sta nell’empireo, raggiungibile dal basso solo ascen-
le giacche in pelle da “gioventù bruciata” e l’abitu- dendo su per uno stretto labirinto. In questi anni re-
dine di “pazziare” in scena che la band ha contratto gistrare vuol dire ancora, secondo un’antica consue-
nell’intenso apprendistato per tener desta l’attenzio- tudine, riprodurre una performance dal vivo, in ge-
ne del pubblico dei locali da ballo e dei club popola- nere in base al principio, tanto più ferreo nel caso di
ri riciclando rockabilly bianco e nero. Al loro posto, esordienti sui quali le case discografiche tirano ov-
non senza qualche resistenza, specie da parte di Len- viamente a risparmiare, del “buona la prima”. Si inci-
non, ma con la progressiva collaborazione “creativa” de su due piste, una per l’orchestra e le parti strumen-
di McCartney, Epstein impone una “divisa” a mezzo tali, l’altra per quelle vocali. Le sedute sono rigida-
fra il professionale e il mod, e un atteggiamento meno mente fissate a blocchi di due, più spesso tre, ore cia-
“selvaggio” sul palco, suggellato da un inchino alla scuna, secondo orari che raramente superano le die-
fine dei brani. E poi l’ingiunzione perentoria di evi- ci di sera, a una paga sindacale di sette sterline per un
tare nelle interviste qualunque argomento passibile di turno da tre ore. Reduci da un fallito provino di qual-
suscitare controversie, dalla politica al calcio. che mese prima alla Decca, i quattro Beatles sono in-
timiditi dalle occhiate di condiscendenza con le quali
Amami i fonici e gli ingegneri del suono reagiscono di fron-
te alla loro palpabile inesperienza di tecniche di stu-
Nello studio li prende in carico George Martin, al- dio. Un’inesperienza tanto più rimarcata agli occhi
tro mediatore intergenerazionale un po’ più grande di della sala controllo perché accompagnata dalla prete-
Epstein, trentacinquenne, che completa sul piano mu- sa del gruppo, nonostante questo, di cantare e suona-
sical-discografico l’opera di disciplinamento eserci- re brani di sua composizione, cosa assai rara all’epo-
tata dal manager su un terreno eminentemente rela- ca. Martin, figlio di un falegname che ha però dimen-
zionale-simbolico. Martin è a capo della Parlopho- ticato estrazione e modi popolari molti anni prima, in
ne, una delle tre etichette, diversificate a seconda dei guerra, da ufficiale della RAF, e poi, nel dopoguerra,
generi, che, a mo’ di divisioni, compongono la strut- in una prestigiosa scuola musicale londinese, è genti-
tura produttiva EMI, entro una filosofia complessiva le, ma freddo e distaccato. E non lesina critiche su tut-
aziendale che resta comunque per il momento di per- to, anche se poi l’unica vera vittima di questo esordio
sistente primato della musica classica. È responsabile tutt’altro che brillante del gruppo è lo zoppicante bat-
Artist & Repertoire (A&R) dell’etichetta, incaricato terista Pete Best, che verrà sostituito col tecnicamen-
di scovare i talenti, in un dialogo continuo con gli im- te rudimentale, ma molto più energico e affilato, Rin-
presari e gli agenti, da un lato, e le società di edizio- go Starr, il più proletario del complesso.
ni musicali, che forniscono le canzoni scritte da autori
specializzati, dall’altro. In cascata dall’A&R discen- I matti e il manicomio
de il reparto produttivo, cioè la sala di incisione. In
questa fase di rapido consolidamento ed espansione Proviamo ora a spostare il calendario in avanti di
dell’industria attorno al rock e di prime sperimenta- nemmeno quattro anni. Siamo nell’aprile del 1966.
zioni di forme di registrazione affidate alle potenzia- Smentendo le tante Cassandre che li davano regolar-
lità inesplorate del magnetofono essa è ancora spesso mente per finiti entro i sei mesi successivi, i quattro
legata alla sezione artistica da rapporti porosi e osmo- sono più che mai al lavoro. Solo che adesso hanno i
tici. Per cui l’uomo A&R è anche produttore e sovrin- capelli molto più lunghi, un conto in banca che cresce
tende alle operazioni di incisione, aiutato da una ca- a vista d’occhio grazie ai diritti dei dischi e soprat-
tena di tecnici distribuiti lungo gli anelli di una rigi- tutto agli incassi delle esibizioni dal vivo (che polve-
da e invalicabile divisione del lavoro. Martin è una ti- rizzano i record di Sinatra e Presley), case e auto da
pica esemplificazione di questi due ruoli uniti in una capogiro, un regime di vita da divi che i loro com-
stessa persona. mercialisti cercano di difendere dalla coraggiosa tas-
La Parlophone è nella geografia EMI un’etichet- sa progressiva sul reddito delle persone introdotta dal
ta minore rispetto alle due principali della Columbia governo laburista di Harold Wilson. Stanno per en-
e della His Master’s Voice. Minore, ma dignitosa e trare a Abbey Road per incidere un nuovo LP e un
di forte impronta sperimentale, capace di spaziare dai 45 giri, rispettivamente il settimo e il dodicesimo del-
ritmi africani, alle cornamuse scozzesi, alle sonorità la loro fulminante carriera, da lanciare in estate. Col-
latinoamericane. La sua natura di nicchia e relativa- pisce intanto l’orario della seduta. Si apre alle otto di
mente eccentrica non significa tuttavia che essa si di- sera. Durerà sino all’una di notte. Il lavoro notturno
scosti dalle consolidate pratiche e dal sistema forte- non è una novità assoluta per il gruppo e per il setto-
mente gerarchico della sala d’incisione. Nettissima, re. Ma da adesso in poi, col passare del tempo, diven-
secondo i canoni vigenti, è la separazione di status terà per i Beatles una cosa sempre più comune, sino a
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costituire la norma, mentre i blocchi lavorativi da tre errori, della centralità della fonografia, dell’uso del-
ore sono ormai chiaramente una pura formalità conta- lo studio d’incisione come un laboratorio e uno stru-
bile. Poi colpisce il fatto che, perfezionando una ten- mento specifici, dell’autonoma producibilità tecnica
denza già sviluppata nell’autunno precedente, lo spa- che vi si può perseguire.
zio riservato alle sedute di registrazione è un’entità a In terzo luogo decisiva è stata la co-evoluzione fra
se stante, il cui calendario non può essere interrotto, il loro processo di maturazione autoriale ed esecuti-
né tanto meno ritagliato, com’è accaduto per i primi va e quella del produttore George Martin. Cresciute
tre anni, negli interstizi di altri frenetici impegni qua- sotto la guida di Martin, in una dialettica che li ha vi-
li tournée, partecipazione a programmi televisivi, lun- sti insensibilmente allargare il perimetro delle com-
gometraggi. E si protrae in sequenza per trenta giorni petenze e della disinvoltura operativa in studio, le loro
lavorativi diretti, il doppio dell’LP precedente, quat- aspirazioni si sono incontrate dall’estate del 1965 con
tro volte la media di settore, 280 ore, distribuite su ol- quelle che per conto suo il produttore ha a sua volta
tre due mesi, pari al tempo impiegato per incidere tut- sviluppato. Dopo quindici anni di onorato, ma poco
ti i primi quattro album messi insieme, con una par- riconosciuto, servizio EMI, Martin infatti ha cambia-
tecipazione del gruppo anche alle attività di missag- to casacca. Stufo dei rifiuti della casa discografica di
gio e confezionamento finale del prodotto, accanto a farlo partecipare agli utili della colossale fortuna che
Martin e ai tecnici. Che a questo punto commentano i Beatles vanno costruendo per l’azienda, dall’agosto
che le parti fra la sala controllo e i musicisti si stanno del 1965 si è messo in proprio. È diventato produt-
invertendo, i “matti” sono sul punto di “impadronir- tore indipendente, siglando con la EMI un accordo
si del manicomio”. che promette di garantirgli molto più delle 3000 ster-
Che cos’è accaduto in questi quattro anni? In pri- line l’anno (oltre tre volte e mezzo un salario medio)
mo luogo è accaduto che per una serie di fortunate che guadagna come funzionario stipendiato (l’accor-
convergenze astrali nelle quali c’hanno messo indub- do prevede lo 0,5 per cento sugli incassi discografi-
biamente anche alquanto del loro, con le loro canzon- ci al dettaglio). È, questa, una tendenza che, sia pure
cine di appena 173 parole in 10 brani ripetute 1 072 lentamente, comincia a diffondersi nel sistema disco-
volte i Beatles sono riusciti a superare ogni più rosea grafico. Perché riflette e alimenta trasformazioni più
previsione, loro e della EMI, di successo economico. ampie in corso nella discografia mondiale e in parti-
Nel solo biennio1963-64 da soli hanno fatto crescere colare in quella britannica. Anzitutto, “l’età del col-
il fatturato complessivo dell’impresa dell’80 per cen- lage”, della sovraincisione e del mixaggio, nella qua-
to. In secondo luogo, a differenza di altri divi giova- le a ogni ora che un artista classico o pop dedica alla
ni degli anni cinquanta come Presley, si sono sforza- registrazione ne corrispondono una media di quattro
ti di reinvestire il credito e il capitale tecnico, profes- da parte dei tecnici per rielaborarla, esalta automa-
sionale e relazionale, così faticosamente conquista- ticamente ruolo e potere contrattuale dei produttori.
to non su facili carriere multimediali, ma su se stessi Inoltre, come si è detto, mettendosi in proprio Martin
come musicisti, impegnati in un graduale e poi sem- incrocia la domanda di maggiore autonomia che nel
pre più vertiginoso processo di crescita innovativa e frattempo sale dagli sforzi di miglioramento del pro-
sperimentale. Lo hanno fatto, sotto la spinta della co- prio profilo di artisti di punta come i Beatles, all’in-
munità epistemica e di saper fare, cioè della rete di terno di un campo musicale via via più effervescen-
relazioni tecniche e professionali che hanno pazien- te, la cui crescente complessità invoca estro e agilità
temente costruito con altri colleghi e amici soprattut- di coordinamento delle risorse in luogo delle anchi-
to statunitensi (Dylan, i Byrds, i Beach Boys), in un losate procedure dei modelli standardizzati predomi-
rapporto costante di concorrenza, cooperazione e ap- nanti. L’impulso alla sperimentazione artistica e alla
prendimento reciproco, su testi, musica, perfoman- flessibilità organizzativa è favorito infine dall’asset-
ce e modalità di incisione. Forti del successo com- to più dinamico e pluralizzato che l’industria disco-
merciale, hanno progressivamente strappato alla EMI grafica internazionale e soprattutto inglese va assu-
carta bianca sui budget e sull’uso della sala di regi- mendo, sotto la spinta delle grandi imprese america-
strazione. Il che significa che a questo punto si pre- ne impegnate a riconquistare il terreno perduto negli
sentano in studio non con un brano già perfettamen- ultimi due anni a causa dei Beatles e della cosiddetta
te calibrato nelle esibizioni live, in attesa solo di esse- “invasione britannica” sul mercato statunitense. A tal
re registrato con un adeguato uso di microfoni e alto- fine queste imprese si muovono nel Regno Unito con
parlanti. Ci arrivano invece con un abbozzo che cre- maggiore indipendenza e disinvoltura rispetto al pas-
scerà nel corso di innumerevoli sedute e sperimenta- sato, sganciandosi dai tradizionali accordi di licenza
zioni, attraverso infinite sovraincisioni, rese possibi- con EMI e Decca e contribuendo così a un parziale al-
li dai nuovi registratori a quattro piste, secondo dina- lentarsi del vecchio duopolio a beneficio di una con-
miche che spezzano il dualismo sala di controllo-sa- figurazione più mossa e frammentata. La compongo-
la di incisione e dischiudono, assieme ad altri esperi- no, oltre ai due attori principali, almeno altre sei gran-
menti condotti contemporaneamente, in un dialogo a di società e una decina di indipendenti, comparse a
distanza con altri musicisti, nuove frontiere. È la sco- questo punto anche sulla scena britannica sull’esem-
perta, molecolare e cumulativa, per continue prove ed pio americano, che si disputano un mercato d’un trat-
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to più concorrenziale e dunque più portato a innovare. dio 2 una pagina non secondaria di quel sogno-sfor-
In questo contesto, non potendo evidentemente rinun- zo di trovare nuovi modi collettivi di progettare e pro-
ciare ai Beatles, che vogliono continuare il lavoro con durre cose, idee, esperienze che attraversa un po’ tutti
Martin, la EMI accetta la sfida di un nuovo rapporto i settori in questi anni, facendosi sentire con partico-
contrattuale esterno col produttore e con essa la mag- lare evidenza, in forme ancora in gran parte da studia-
giore autonomia che ne deriva al gruppo. re in chiave storica, nell’ambito delle industrie cultu-
Ecco che allora un nuovo regime produttivo emer- rali e creative6.
ge quasi insensibilmente, giorno dopo giorno, nella
pratica musicale che si accumula a Abbey Road. Lo Ferdinando Fasce
caratterizza una sempre più mossa e articolata dina-
mica fra il gruppo, Martin e i tecnici EMI. È una di-
namica che vede all’occorrenza i Beatles allearsi con Note
i tecnici giovani nell’infrangere le regole inveterate
dello studio, alla ricerca di soluzioni in grado di sop- 1. Sugli IWW e “Primo Maggio” nella storiografia militante
perire a strutture tecnologiche ancora cronicamente in italiana degli anni settanta del Novecento si veda N. Pizzolato, The
IWW in Turin: ‘Militant history’, workers’ struggle and the cri-
ritardo rispetto a quelle, tradizionalmente più avanza- sis of Fordism in 1970s Italy. in “International Labor and Working
te, d’oltre Atlantico, anche a costo di invadere, silen- Class History”, n. 91, 2017, pp. 109-126.
ziosamente, le prerogative di Martin e allargare i mar- 2. Per i dettagli metodologici, bibliografici e di fonti primarie
gini di autonomia nei suoi confronti. È una dinami- di quel che segue F. Fasce, Beatles, storici e storia a cinquant’an-
ca che vede Martin, a sua volta, rispondere con gran- ni da Sgt. Pepper’s, in “Contemporanea”, XX, n. 2, gennaio-aprile
de duttilità, pronto a seguire il gruppo in maniera cri- 2017, pp. 335-48 e La musica nel tempo. Una storia dei Beatles, in
preparazione per Einaudi, 2018.
tica, assecondandone e riqualificandone le richieste
di tagli, cuciture, revisioni incessanti, in uno sviluppo 3. D. Hesmondhalgh, The Cultural Industries, 2nd edition,
SAGE, London, 2007, pp. 64-5.
produttivo che esalta la capacità di trasferire e centri-
fugare in studio saperi musicali diffusi, tagliando tra- 4. S. Bennett, Behind the magical mystery door: history, my-
thology and the aura of Abbey Road Studios, in “Popular Music”,
sversalmente i generi e ricomponendo in modo crea- XXXII, n. 3, autunno 2016, p. 400.
tivo il cervello sociale musicale. 5. Come primi esempi di questo filone emergente vedi C. Hu-
Come gli anni immediatamente successivi si inca- ghes, Country Soul. Making Music and Making Race in the South,
richeranno di mostrare, il delicato, provvisorio equili- University of North Carolina Press, Chapel Hill, 2015 e il fascico-
brio che così viene a crearsi non manca di aprirsi pre- lo monografico di “Popular Music and Society”, XL, n. 5, inver-
sto a nuove contraddizioni e conflitti: fra il gruppo e no 2017.
la EMI, fra Martin e il gruppo, fra il gruppo e i tecni- 6. M. Cloonan, You Can’t Do That: The Beatles, Artistic Free-
ci, e poi anche e soprattutto fra gli stessi fab four, di- dom and Censorship, in I. Inglis (a cura di), The Beatles, Popular
Music and Society. A Thousand Voices, Palgrave Macmillan, Lon-
visi da ruoli, attese, aspirazioni divergenti. Ma que- don, 2000, pp. 126-44; T. Frank, The Conquest of Cool: Business
sto non toglie che, sia pure temporaneamente, nella Culture, Counterculture, and the Rise of Hip Consumerism, Uni-
seconda metà degli anni sessanta si scriva nello Stu- versity of Chicago Press, Chicago, 1997.

53
Le voci di Aspirina la rivista

La vostra storia comincia 30 anni fa, nel 1987, so femminile, vale a dire donne che non vogliono es-
quando “Aspirina” era una rivista cartacea. Erava- sere come gli uomini, donne che segnano la differen-
te un prodotto del movimento delle donne, un prodot- za sessuale contro le politiche delle pari opportunità
to del femminismo. Tuttavia la vostra satira non ri- e il femminismo di Stato. Non eravamo ossessionate
sparmiava alcuni aspetti del femminismo stesso. Vo- dall’idea di quante ci avrebbero letto, eravamo dentro
lete dirci qualcosa di questa fase iniziale? qualcosa che galleggiava ovunque, ci sembrava di po-
ter arrivare ovunque.
Alcune di noi, alla Libreria delle donne di Mila-
no, erano insofferenti al linguaggio politico del mo-
vimento, non ci bastava per nominare quello che sta-
va succedendo.
Non volevamo collaborare a ponderosi saggi, an-
che se ne leggevamo tanti, o forse proprio per questo:
in quegli anni cresceva la produzione teorica della
differenza sessuale, da Irigaray a Fouque, e nel 1983
all’Università di Verona era nata la comunità filosofi-
ca Diotima, che Aspirina ribattezzò Diotimanda. Sta-
va crescendo una sorta di accademia femminista che
faceva lievitare in misura direttamente proporzionale
il nostro senso dell’umorismo. Sentivamo il desiderio
di un linguaggio diverso per ridere di noi e di tutto.
Nel libro Backlash Susan Faludi scrive che gli anni
Ottanta sono stati il decennio della grande controf-
fensiva maschile, guidata negli USA dai conservato-
ri, per riprendere alle donne il terreno conquistato. Il
femminismo occidentale ha lottato e quelli sono sta-
ti anni di forte espansione e radicamento. Gli anni Ot-
tanta hanno diviso i destini di chi stava nei gruppi ex-
traparlamentari e viveva radicalità politiche estreme
(i compagni di strada di molte di noi nei 20 anni pre-
cedenti), e dall’altra parte il femminismo. Per i pri-
mi la parabola era in discesa, crollavano le lotte ope-
raie e cominciava la delocalizzazione, per le femmi-
niste è stata un’epoca fondamentale. Noi non vive-
vamo la Milano da bere, ma una città aperta a tanti
scambi e conflitti, a una libertà femminile in fermen-
to. La rivista è nata su carta in questo contesto stori-
co, edita dalla Libreria delle donne che era aperta dal
1975, con un nome e un sottotitolo ideato dalla scrit-
trice Bibi Tomasi: Aspirina. Rivista per donne di ses-
54
La tiratura era di 1500 copie, diffuse in abbona- La redazione di Aspirina online è composta perlo-
mento e distribuite nelle librerie. Dopo dieci numeri più da freelance, alcune hanno una consolidata espe-
il gruppo di Aspirina si trasferì fino al 1992 nel mensi- rienza di programmazione web e grafica editoriale,
le Noi donne con numeri speciali e con l’inserto Sotto- altre di lavoro redazionale e relazionale. Un grup-
Sotto. Tra le testate di movimento Noi donne è quella po che riunisce giovanissime e no: Loretta Borrelli,
che ci ha sostenute e rilanciate con una più ampia dif- Piera Bosotti, Pat Carra, Anna Ciammitti, Manuela
fusione in edicola. Nel 1986 era nato Tango, inserto sa- De Falco, Margherita Giacobino, Elena Leoni, Livia
tirico dell’Unità, poi seguito da Cuore nel 1989, in cui Lepetit. Il nuovo sottotitolo è Rivista acetilsatirica.
confluivano i fumettari perlopiù di sesso maschile, che Il formato online ci ha permesso di ampliare i conte-
venivano da Frigidaire e Il Male. In Italia nel 1978 un nuti della rivista, aggiungendo video, animazioni, a
gruppo di disegnatrici aveva pubblicato tre numeri di volte test interattivi. Nel passaggio all’online è sta-
Strix, effimera rivista di fumetti femministi, in Francia to importante il confronto tra noi, soprattutto perché
erano usciti dal 1976 al 1978 nove numeri di Ah!Nana, siamo riuscite a svincolare il progetto dal normale
rivista fatta da donne e per donne. ìTenevamo d’occhio utilizzo di sistemi già esistenti. Questo è quello che
quello che succedeva in giro, nel femminismo ameri- si fa di solito nell’informatica, cioè riprodurre gli
cano c’erano molte fumettiste, a Milano brillava Gra- stessi sistemi logici che ripropongono il già pensato.
zia Nidasio, a Parigi Claire Bretecher, autrici che han- La nostra esigenza invece era quella di pensare in-
no subito collaborato con noi. Facevamo riunioni nelle sieme, partendo da quello che volevamo: una rivista
case più che in libreria, rallegrate da ottimi pranzetti. I periodica i cui contenuti creassero un’opera corale.
numeri erano monografici, da quello sul lavoro “Don- Siamo rimaste distanti dall’imperativo della comu-
ne in carriera, donne in bolletta” a quelli sull’attualità nicazione odierna che prevede la produzione costan-
politica “Come difendersi in caso di stupro dalla leg- te e frammentaria di contenuti. Abbiamo scartato
ge contro la violenza sessuale” e “Aspirina ricostituen- l’approccio più comune adottato da numerosi siti,
te per le donne del PCI”, a temi femministi “Come uc- quello del blog e della sequenza di news, dove ogni
cidere la tua migliore amica” e “Femminismo che os- singolo contenuto vive isolato come un’esca nel gio-
sessione!”. Sentivamo il bisogno di differenziarci rac- co dei continui rimbalzi degli utenti tra un contenu-
contando storie personali: la rubrica Echi dal guancia- to e l’altro.
le è la trasposizione ironica nell’infanzia dell’amicizia Abbiamo scelto un’impostazione che rende im-
reale tra due femministe, l’autrice Fio’ che parla sem- possibile spezzettare la rivista e condividerne le sin-
pre di dolori e avventure d’amore e la sua compagna di gole pagine sui social network. Per impaginare par-
banco Lia/Sara, autorità politica in nuce che sforna te- tiamo sempre da un menabò su carta, con i fogli
orie. I fumetti a due mani Pat&Ste, che costellano tutti sparsi su un ampio tavolo. Il nostro desiderio è ren-
i numeri della rivista, sono dialoghi tra una femminista dere l’unità e la bellezza grafica di una rivista sfo-
piena di fede nella salvezza delle donne con le donne e gliabile, un’esperienza che troppo spesso va perduta
un’altra allergica ai gruppi, dubbiosa, a caccia di piace- nei siti che aggregano varie firme. Abbiamo cerca-
ri. La redazione era ondivaga, c’era chi aveva già espe- to di “costruire un’unità poetico/politica” nei termi-
rienze editoriali e giornalistiche, di fumetto e di scrit- ni di Haraway, attraverso una pratica di affidamen-
tura, e chi no ma tutte con il desiderio di mettersi alla to reciproco. Nel 2014 si è inaugurata una collana di
prova insieme: Piera Bosotti, Pat Carra, Fiorella Ca- eBook animati e sonori in formato ePub3 che sono
gnoni, Bibi Tomasi, Sylvie Coyaud, Margherita Giaco- nello shop della rivista e in vari store digitali, in-
bino, Giuliana Maldini, Isia Osuchovska, Ketty Frost... sieme ai pdf di Aspirina anni Ottanta. La riedizione
Molto importante era la cura grafica, affidata a Stefania online dei numeri cartacei ha fatto parte del lavoro
Guidastri che era la fumettista Ste. di radicamento e ripresa.
Il lavoro redazionale e creativo era completamente
volontario, la vendita della rivista copriva le spese di
stampa. Aspirina è stata una sperimentazione che ha
formato e dato voce a molte, quelle che già pubblica-
vano e quelle che volevano farlo, in una compresen-
za leggera, dove circolavano anche conflitti sulle am-
bizioni e le suscettibilità, più o meno dolorosi, più o
meno divertenti.
Riprendete l’idea della rivista quando ormai siamo
nel pieno dell’èra digitale, nel 2013, e decidete di fare
un prodotto online. Evidentemente dovevate disporre
di professionalità in grado di gestire questo nuovo ca-
nale di comunicazione. Oltre ai testi e alle vignette co-
minciate ad inserire dei video. Potete dirci qualcosa di
più preciso sulla vostra capacità informatica?
55
E cosa ci sapete dire del vostro uso o non uso dei sura per indicare il successo di una comunicazione.
social? Come se esistessero solo i parametri a cui ci sot-
topone un marketing capillare. Dimentichiamo che
Abbiamo riflettuto a lungo sul rapporto con i social quei numeri hanno un valore unicamente all’inter-
network. Aprendo la nostra pagina Facebook ci sia- no di un sistema specifico, che ci spinge a dare cre-
mo poste una serie di interrogativi: questo strumento dito a quell’unità di misura per qualsiasi tipo di pro-
che cosa comporta? come è fatto e quali sono le cose getto intraprendiamo. In Aspirina abbiamo incon-
che richiede di fare? quanto tempo e lavoro dedichia- trato questo problema, ma con leggerezza abbia-
mo alle caratteristiche specifiche dello strumento? mo deciso di continuare nel percorso che avevamo
In base a questo abbiamo scelto di sottrarre ore avviato. Nel tempo ci siamo accorte che l’imposta-
di lavoro su Facebook per dedicarle alle relazio- zione scelta per la rivista ci racconta altro: che ab-
ni politiche tra noi e con altre. Non volevamo met- biamo un pubblico costante nonostante la periodi-
tere a disposizione le nostre risorse per stare in cità, un pubblico che sfoglia l’intera rivista senza
quella dinamica social di continua interazione. la tensione al consumo veloce dei contenuti. Suc-
Ci è capitato di essere coinvolte dalle onde emo- cede qualcosa di molto simile alla concretezza del-
tive tipiche di Facebook, per esempio nel caso le riviste politiche su carta. È molto diffusa l’idea
“Charlie Hebdo” nel 2015. La velocità del- di un funzionamento standard della tecnologia,
la comunicazione in quei giorni ci chiamava, ma è possibile sperimentare un modo diverso di
come rivista satirica, a una reazione immedia- essere nel digitale, sottraendosi in qualche misura
ta a cui siamo sfuggite, preferendo dedicare tem- all’accentramento di potere nelle mani di pochi.
po alla discussione in redazione e dare una rispo- Le relazioni tra noi sono state l’elemento fondamen-
sta corale attraverso lo speciale Aspirina Parigina. tale per uno spostamento di senso e per la riuscita
Nella rivista convive un duplice aspetto, quello del della rivista. Questa pratica comporta fatica e spinge
gruppo politico e quello dell’autorialità e percorso ad agire pensando. Ci ha portate alla consapevolez-
professionale delle singole. Ci siamo accorte che l’a- za della forza che scaturisce quando si scelgono so-
scesa di Facebook ha provocato un enorme cambia- luzioni tecnologiche differenti, che tengano in mag-
mento nella vita di ognuna e nel mercato del lavoro, gior conto i desideri e le relazioni in piccoli gruppi.
e ha comportato la perdita di contrattazione lavora- Questo tipo di lavoro, secondo noi, può fare la dif-
tiva ed economica. Per molte autrici quella modalità ferenza e creare nuovi spazi di contrattazione non
di condivisione ha un impatto molto forte sulle vite solo economica, perché per fortuna non tutto il la-
personali. Si tratta di un sistema che accumula dena- voro è merce.
ro e potere, che ha dietro un interesse e un’intenzio-
ne, strumenti apparentemente gratuiti, che paghiamo Alla vostra rivista collaborano anche grandi firme
senza saperlo, fornendo contenuti in modo distratto e del fumetto internazionale, di qua e di là dell’oceano.
automatico. Il sogno che il neoliberismo ha realizza- Poiché oggi è tanto importante fare networking, po-
to è accentrare capitali esorbitanti nella mani di po- tete raccontarci come avete costruito la vostra rete?
chi e far lavorare miliardi di persone senza pagarle.
Proviamo a chiamare le interazioni che noi utenti Fare una rivista è sempre così, si comincia con il
abbiamo con quelle interfacce per quello che sono: desiderio di darsi un’identità per quanto fluida, di dire
un lavoro per le aziende che forniscono i servizi. mi colloco lì, da qui guardo il mondo. Il primo nu-
Affermare questo ribalta il senso di molte doman- mero è stato un classico numero zero, fatto solo dal-
de che ci affliggono. Come mai si dà per scontato le autrici della redazione. Dai numeri successivi ab-
che un lavoro non venga pagato? Come mai crolla- biamo cominciato a invitare fumettiste e scrittrici che
no interi settori, soprattutto legati all’informazione sentivamo affini, conosciute attraverso siti e pubbli-
e all’editoria? Perché lavoro gratuitamente per que- cazioni. Ci siamo presentate, eravamo un gruppo ri-
ste aziende? conoscibile che veniva da una storia editoriale inizia-
Aspirina non è estranea a queste problematiche. ta negli anni Ottanta. Abbiamo scritto a Liza Donnel-
ly del New Yorker e alla mitica Alison Bechdel, ad Ar-
Però voi lavorate gratuitamente (come tutti quel- gelia Bravo in Venezuela dopo avere ammirato le sue
li che hanno redatto questo numero di “Primo Mag- opere alla Biennale di Venezia, all’egiziana Doaa el
gio”). Chi è senza peccato... Adl indicata dal Museo della Satira di Forte dei Mar-
mi. La rete si è estesa con naturalezza attraverso in-
Fin dai primi passi abbiamo definito il nostro la- contri politici o di lavoro, e passaparola amicali: una
voro politico e volontario, esplicitando l’assenza di noi conosce qualcuna a un festival spagnolo di ani-
di compensi. Naturalmente non crediamo alla re- matrici o a un corso di fumetto, le parla di Aspiri-
torica della gratuità del web e prendiamo decisio- na, così sono arrivate la video artista Lotte Sweetliv,
ni scomode per una rivista online. In molti danno Anne Derenne, Marilena Nardi, Giulia Lupo, Susan-
per scontato che numero di visualizzazioni o pas- na Martìn, Isabel Franc, Irene Coletto, Sara Menetti
saggi di utenti su un contenuto siano l’unità di mi- e molte altre.
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Il magnete che ci attrae l’un l’altra è il linguaggio Come tutti i movimenti e le ideologie che hanno
artistico e umoristico. Aspirina online è aperta anche grandi trasformazioni da portare avanti, la comuni-
ad autori che sentiamo vicini, che si sono fatti avanti o cazione femminista ogni tanto è un po’ pallosa. Il vo-
che abbiamo invitato. Di numero in numero la rivista stro modo ironico di trasmettere dei messaggi forse
ha raccolto autrici e autori di storia e paesi diversi, fir- riesce meglio a penetrare nelle orecchie degli indiffe-
me importanti e altre che pubblicano per la prima vol- renti o degli ignoranti. Avete l’impressione che que-
ta. L’intento non è diventare una vetrina, ma un luo- sta vostra risorsa sia riconosciuta nel movimento del-
go in cui le opere si parlano e creano una conversa- le donne o percepite di essere considerate ancora un
zione. Aspirina ha creato accostamenti stabili tra chi allegro passatempo?
scrive e chi illustra, come in Pensieri di una misantro-
pa di Giacobino e Sdralevich, e Le sofistiche di Mar- Nel movimento si rischia a volte il vittimismo, o si
zi, Maffioli e Osuchovska. Sono nate personagge: la parla un linguaggio accademico-femminista, o si imi-
epica e comica eroina WonderRina aspirante paladi- ta la voce di altre donne non cercando la propria. Fai
na di Ciammitti, La bracciante digitale di Pat in lotta una rivista acetilsatirica quando hai guadagnato mol-
contro i latifondisti del web, L’ormone mistico di Li- ta forza e molta rabbia, e senti che devi liberare la tua
via che vive a innumerevoli metri d’altezza dall’ama- voce. Il linguaggio artistico e umoristico è sempre un
re, Gioosy giovane e choosy di Elena che scandisce po’ selvaggio, un corpo estraneo che svela qualcosa
sempre NO. Dal primo numero Piera Bosotti realiz- di nascosto. Non ci aspettiamo riconoscimenti, ci ba-
za le video narrazioni Il Muro della Bicocca, ex quar- sterebbe un contributo per realizzare il nostro sogno
tiere operaio di Milano. La personaggia vive vicino segreto: un Impero Editoriale di Aspirina. Da far con-
al muro che è una sorta di leopardiana siepe “all’er- correnza anche alla Bayer...
mo colle”, confine e contenitore della memoria del
luogo, dalle battaglie della Resistenza ai cortei del- Loretta Borrelli
la Pirelli e Breda, i migranti nuovi abitanti, le lingue Piera Bosotti
lontane, gli antichi dialetti. Il tema del lavoro perva- Pat Carra
de la rivista, ricorre nelle illustrazioni ironiche di Da-
lia Del Bue e Ila Grimaldi, nei racconti satirici di bu- Su Aspirinalarivista.it trovi:
lander che immagina mondi grotteschi e apocalitti- - la rivista
ci, nel surreale The Boss Design di Zenoni, nelle stri- - tutti i numeri online dal 2013
sce Cose stupide che succedono a chi cerca lavoro - gli speciali Aspirina Parigina e Gran Premio
di Menetti dove un’attonita freelance suona il banjo, - la sezione seria seria Mumble Mumble
nelle canzoni Frau Mescaline e Genio delle Pinne, e - gli ebook animati e sonori
in tante vignette e animazioni. Molto spazio è dedica- - i pdf della rivista su carta dal 1987
to a sessualità, migrazioni, guerre, amori e poliamori, - i pdf di SottoSotto dal 1989
violenza maschile e lotte delle donne fino a #MeToo. - extra con le news, le mostre, la rassegna stampa

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Industria e lavoro
al museo (MusIL) di Brescia

Alla metà degli anni ’70 Brescia era una città di ni, che Micheletti aveva individuato e che conosce-
fabbriche, sino a pochi passi del centro storico sorge- va bene essendo contigua al suo quartiere di origine
vano fabbriche risalenti agli inizi del Novecento. Sta- “Campo Fiera”.
va però avvenendo un cambiamento sostanziale del Una scelta temeraria volendo passare dalla provo-
paesaggio; molte aziende si trasferivano nel territorio, cazione ai fatti, e ciò per molti motivi. In primo luogo
verso la pianura, altre chiudevano. Si moltiplicavano l’edificio faceva parte della Bisider, cioè dell’impero
i presidi simbolici con le bandiere rosse del sindacato di Luigi Lucchini, non in buoni rapporti con Miche-
per difendere e resistere, ma il processo continuava e letti. Era stata tra fine Ottocento e anni ’20 la princi-
si ampliava. Di varie industrie restavano solo gli sche- pale fabbrica di Brescia ma era poi entrata in un lento
letri, il cui destino era legato all’andamento del mer- declino, sino alla scomparsa e alla cancellazione dal-
cato immobiliare. In quegli anni, poco prima che il la memoria collettiva. Particolare non irrilevante, in
passaggio di fase venisse sanzionato dal clima del de- tutta la fase ascendente era stata totalmente in orbi-
cennio successivo, prese forma nell’istituto promosso ta tedesca, prima di diventare una fucina di armi per
da Luigi Micheletti l’interesse per l’archeologia indu- la Grande guerra (maggiore centro nazionale di pro-
striale, ai suoi esordi in Italia. L’apporto dei brescia- duzione di mitragliatrici), poi epicentro degli scontri
ni, in sintonia con l’ambiente circostante, consistet- del Biennio rosso. L’unico appiglio a favore era che
te in una più marcata attenzione per gli aspetti socia- si trovava a lato del Cimitero monumentale, per cui o
li, produttivi, tecnologici. Non si consideravano de- veniva abbattuta per farne un parcheggio o si salvava
gne di interesse solo le architetture o la qualità artisti- per un riuso socio-culturale.
ca degli edifici industriali dismessi ma quel che avve- Anche tra i collaboratori e i numerosi studiosi con
niva al loro interno, le condizioni di vita e di lavoro cui la Fondazione era entrata in contatto, specie con
e, tra le testimonianze fisiche, non solo i muri ma an- l’impegnativo e inedito convegno sulla Repubblica
che le macchine. Sociale Italiana (1985), pochi condividevano il pro-
Il centro principale dell’attività della futura Fonda- getto di indagare il Novecento sia dal lato della sto-
zione (dal 1981) era la storia politica, particolarmen- ria politica che da quello dell’industria e del lavoro;
te delle ideologie politiche, ma Micheletti veniva dal le compartimentazioni specialistiche si andavano ac-
mondo artigianale e industriale, conoscendo ogni ri- centuando, anche per i meccanismi burocratici con-
svolto di quello bresciano, in una prospettiva non lo- nessi alla loro espansione; la frammentazione favo-
calistica, con una forte curiosità intellettuale, da au- riva l’autoreferenzialità e la separatezza dal conte-
todidatta, per la storia e le innovazioni della tecnica. sto sociale. L’Università veniva normalizzata e la di-
Per origini familiari provenivo da un contesto analo- mensione critica neutralizzata con l’apporto convinto
go, piemontese-ligure. Ci intendemmo subito e pre- delle leve post-sessantottesche. Il progetto del museo
se corpo l’idea di un museo dell’industria e del lavo- puntando apertamente a rivolgersi a un pubblico am-
ro, formulata ufficialmente a metà anni ’80, trovando pio e generico, privilegiando la divulgazione, entrava
l’entusiastico appoggio del principale animatore de- in contrasto con l’idea che la ricerca e la conoscen-
gli studi di archeologia industriale in Italia, Eugenio za potessero essere solo per pochi, mentre per le mas-
Battisti. L’autore de “L’Antirinascimento” era portato se andava bene l’intrattenimento, la superficialità, lo
a coniugare ingegneria e arte, archeologia e avanguar- svago, quindi la più totale separazione dall’industria
dia, con piglio libertario diede una spinta a puntare, e dal lavoro, per coloro che ce l’avevano, figurarsi per
come sede del museo, sulla ex Metallurgica Tempi- chi non l’aveva o lo perdeva.
58
C’era però il rischio che il MusIL (non ancora noto tiche, hanno accompagnato, in forma esplicita e più
con tale ambizioso acronimo) in qualche modo ve- spesso silente ma operativa, tutto il lungo, quasi este-
nisse realizzato, dando corpo alla sfida più ambizio- nuante, percorso ideativo e realizzativo del museo.
sa della Fondazione Micheletti. La cosa, all’epoca e Anche se, bisogna ammetterlo, la critica più effica-
anche dopo, era intollerabile per gli ambienti che ve- ce era l’indifferenza, la mancanza di qualsiasi critica
ramente contavano a Brescia, specie in ambito politi- data l’irrilevanza, più o meno utopica, della cosa, dei
co e culturale. Di qui plateali pronunciamenti contra- suoi contenuti e finalità. Ad animare questa posizione
ri e altre forme di contrasto. Su questo sfondo è da ri- c’erano anche motivi più specifici, locali, seppure in
cordare il sostegno convinto, isolato e controcorrente, consonanza con lo spirito del tempo, che vale la pena
di Sandro Fontana, amico di lunga data di Micheletti richiamare: pesava l’idea che Brescia dovesse diven-
e suo successore alla presidenza della Fondazione. La tare una città d’arte, per cui gli investimenti culturali
sua collocazione politica (a destra) e il suo ruolo na- pubblici, preferibilmente a sostegno di grandi eventi
zionale sparigliavano le carte e davano ossigeno alla con forte risonanza mediatica, dovevano concentrar-
Fondazione e al progetto del museo. si su ciò che davvero contava e valeva, dimostrando
Ci siamo però subito scontrati con una delle con- nei fatti la convergenza di finanza e cultura, di lunga
traddizioni maggiori del nostro tempo: l’esaltazione tradizione, ma in quel torno di tempo percepita come
della tecnica e la scarsa o nulla conoscenza delle tec- la forma reale della modernizzazione, agita dall’ente
niche, nel caso specifico anche solo limitatamente a pubblico contro le eccessive prudenze e chiusure del
quelle manifatturiere. Le ragioni di questo stato delle passato e dei privati. Poco è restato di quel micidia-
cose sono molteplici, richiamerò solo quelle che han- le passaggio, archiviato senza colpo ferire in attesa di
no qualche attinenza con la vicenda del museo. In pri- qualche replica. La città ha conservato la sua impron-
mo luogo incidono i residui dell’idealismo e classi- ta manifatturiera ma ciò, con poche eccezioni, non ha
smo che, sotto forme diverse, hanno dominato la cul- contribuito a rafforzare lo schieramento a favore del
tura italiana del Novecento. In Italia, contro la sua museo che, già nel 1994, perdeva Luigi Micheletti,
storia più profonda, nonostante eccezioni come Cat- poco dopo l’avvio della costituzione delle collezioni.
taneo, il progetto di riabilitazione della tecnica e del Un lavoro, quest’ultimo, dovuto a due valutazioni
lavoro proprio dell’Encyclopédie non ha avuto cor- che si incrociavano tra di loro: da una parte la consta-
so, è stato relegato in una posizione subalterna. È ri- tazione che ci si doveva muovere in fretta se si voleva
velatore, ancora oggi, un confronto tra i nostri mu- conservare qualche brandello di una vicenda che sta-
sei dell’industria e del lavoro (quasi inesistenti) con va subendo una radicale trasformazione anche se non
quelli dei Paesi di consolidate tradizioni industriali e finendo, come pronosticavano vacui opinion makers;
spesso anche con quelli di più recente industrializza- dall’altra l’intuizione che una delle non molte possi-
zione. La verità è che proprio la centralità del lavo- bilità di costruire davvero il museo dedicato all’in-
ro nel processo produttivo rappresenta un problema. dustria e al lavoro risiedeva nel dargli una materiali-
Non a caso il lavoro è trattato mediamente male, o tà e consistenza, seppure precaria come dimostreran-
molto male, e non interessa come tale ma solo come no i successivi traslochi e migrazioni da un sito all’al-
strumento per altro, un po’ da parte di tutti i soggetti tro sino all’approdo attuale (sede di Rodengo Saiano)
in campo, compreso spesso, ma non sempre, gli stessi non ancora consolidato mentre scrivo. Ci si potrebbe
lavoratori. Paradosso non da poco alla luce di ciò che chiedere come sia possibile che l’industria e il lavoro,
sancisce solennemente la Costituzione. ancor più la loro storia, costituiscano un problema per
L’impostazione storico – genealogica del museo, una città come Brescia che, per tanti versi, nella real-
pur fortemente contrastata e imputata di passatismo, si tà e nell’immaginario, ne rappresenta un luogo di ele-
prefigge di risalire non tanto a una inesistente epoca in zione. A ulteriore sostegno di una tale osservazione si
cui la dignità del lavoro era riconosciuta ma al filo ros- può far valere il fatto che, bene o male, il museo ha
so che attraversa le epoche e le tecniche, segnalando il preso corpo, cosa che probabilmente altrove non sa-
contributo generalmente anonimo delle persone comu- rebbe stata possibile, come dimostra lo stato dell’ar-
ni, dei lavoratori – lavoratrici, al divenire generale, al te, inclusi gli stessi musei d’impresa. Le sue difficoltà
percorso contrastato, di progressi e regressi, che forma e l’incerto procedere dipendono quindi solo dai limi-
il sotto testo, la base portante della società, e a cui va ti di chi l’ha proposto e sostenuto? Può essere ma cre-
dato riconoscimento. Ma proprio ciò, rotto il velo del- do che la questione sia più complicata e interessante.
la retorica, risulta privo di interesse, a causa dell’ege- Le ragioni risalgono nel tempo, a una dimensione
monia culturale avversa o della mancanza di cultura. antropologico culturale di lunga durata, il risultato è
La conclusione, più o meno chiaramente formulata, so- stata una versione peculiare e forte della separazione
stiene che una tale impostazione è impraticabile, inca- e contrapposizione tra cultura e industria, sapere e la-
pace di attrarre pubblico, di far divertire e stupire. L’ac- voro, alto e basso, che concorrono a formare l’iden-
cusa, esplicita o meno, è di volersi sottrarre alla spetta- tità italiana alle prese con la modernità. In definitiva
colarizzazione, di praticare una via élitaria, utilizzando l’idea è che l’industria e il lavoro siano una necessità,
fondi pubblici (seppure esigui). una dannazione per molti aspetti, se ne possono trarre
Queste argomentazioni, trasversali alle forze poli- frutti, profitti e salari più o meno buoni, ma non pos-
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sono aspirare ad una vera dignità nel campo della cul- so di cui si conosceva ben poco (con la conseguenza,
tura. Ci sono e sono utili, ma meno se ne parla meglio tra l’altro, di ragionamenti inconsistenti sull’Italia in-
è, al più si possono evocare ma non indagare, raccon- dustriale prima e dopo la grande crisi del 2007). Erano
tare ma non conoscere. industriali, tecnici, operai specializzati, dalla forte in-
L’obiettivo del museo è stato invece sin dall’ini- dividualità e con una conoscenza talvolta stupefacente
zio di entrare, almeno un po’, nella scatola nera della dei processi produttivi, delle singole macchine e delle
tecnologia, nel suo materializzarsi concreto e circon- modifiche che spesso loro stessi avevano operato. Un
stanziato, nelle esperienze di lavoratori e tecnici, di obiettivo e una ragione per il museo nascevano spon-
imprenditori e industriali. Il che, tra le altre cose, vuol taneamente: conservare una traccia, una testimonianza
dire occuparsi delle condizioni, mutevoli, degli ope- dall’interno, dell’industrializzazione italiana, della sua
rai, della salute e sicurezza, dei conflitti dentro e fuo- diffusione, dalla seconda metà del Novecento sin den-
ri dalle fabbriche, dell’impatto sul territorio, sull’am- tro i rivolgimenti tecnologici connessi all’informatiz-
biente sociale e naturale. Questioni, specie quest’ulti- zazione. La conferma che il territorio era molto ricco
ma, altamente problematiche, rispetto a cui si registra quanto a capacità tecniche, anche in settori poco noti e
una contraddizione tra le capacità di singole imprese nuovi rispetto all’immagine tradizionale, venne dai la-
o gruppi di imprese, ben collocate a livello interna- vori, specie di allestimento, effettuati nelle tre sedi mu-
zionale nelle tecnologie cosiddette verdi, e il gover- seali sorte dal 2008 in poi. L’architetto tedesco vinci-
no del territorio, per responsabilità multiple, singo- tore del progetto per la sede principale, in attesa che
le e collettive, locali e sovralocali (non senza rappor- si sbloccasse rispetto ai soliti veti politici, ha realizza-
ti con le separazioni sopra evocate). Il risultato come to la facciata e gli allestimenti di Rodengo Saiano; per
nel resto della Padania è la qualità pessima dei princi- sue ammissione in Germania non c’era un eguale livel-
pali indicatori ambientali. Il museo, specie attraverso lo tecnologico-professionale nelle forniture dei più di-
la Fondazione Micheletti, ha cercato di tematizzare il versi materiali e apparecchiature.
nodo tecnica – ambiente, sia ricostruendo percorsi e Eravamo consapevoli che questo era un mondo a
genealogie sia indicandone l’inaggirabilità per evita- parte, con scarsa visibilità, e che era difficile “far par-
re approdi regressivi e alimentare derive irrimediabili. lare” le macchine; dicevano qualcosa solo a chi le co-
È certamente più facile limitarsi a celebrare i fa- nosceva per esperienza diretta; e poi come ricostrui-
sti dell’innovazione tecnologica in quanto tale, ma è re l’intero processo produttivo se non tutto il ciclo del-
un campo molto affollato. Anche a fini divulgativi la le merci, sino al loro utilizzo da parte dei “consumato-
prospettiva storico – critica è da preferire, e, come nel ri” e successivo smaltimento delle scorie? Una possibi-
caso della storia politica e sociale, le questioni con- lità da cogliere al volo, prima della scomparsa dei testi-
troverse e conflittuali non debbono essere nascoste o moni e delle loro memorie, era di intervistare, meglio
edulcorate, bensì fatte oggetto di indagine, per susci- video intervistare, i protagonisti. Una pista che è stata
tare attenzione dibattito, fornendo informazioni e co- (ed è) perseguita con ostinazione ma senza la possibili-
noscenze, che potranno essere ulteriormente verifica- tà di far partire una campagna sistematica, che coprisse
te, discusse, accettate o respinte. In Italia e non solo il i decenni 60-70 e seguenti, segnati dalla grande trasfor-
museo come istituzione pubblica e democratica non mazione della tecnologia e del lavoro, il retroterra del-
vanta una vera tradizione e forti antecedenti, al con- lo scenario attuale. La sordità diffusa per questo tipo di
trario è piuttosto concepito come il luogo in cui vige progetti mi pare innegabile, a ciò si aggiunga l’incapa-
una asimmetria strutturale tra l’istituzione e il visita- cità di costruire reti operative sovralocali e la crescente
tore, che ultimamente si vorrebbe interattivo ma su un astruseria burocratica delle procedure in sede europea.
canovaccio predefinito. Alcune fortunate circostanze e qualche scelta az-
Scegliere l’industria e il lavoro come tema centra- zeccata ci hanno consentito di sopperire in parte e
le attorno a cui costruire un museo comporta, specie da non sistematicamente a una lacuna a cui non potran-
noi, molteplici difficoltà ma anche alcuni aspetti posi- no porre rimedio la documentazione tradizionale e gli
tivi. Su uno di essi mi soffermo brevemente, essendo archivi fotografici. A partire dai primi anni ’90 è stato
stata una delle esperienze più stimolanti in cui mi sia possibile acquisire alcuni fondi cinematografici rile-
imbattuto. In parte un ritorno al mondo delle fabbriche vanti, in particolare quello Fratelli Donato e Gamma
e delle botteghe artigiane che conoscevo bene ma in un Film, più vari minori. Per brevità segnalo il documen-
contesto tecnologico rivoluzionato e fortemente inter- tario “Borsalino” della collezione Donato, anteceden-
nazionalizzato. Nella prima fase gli incontri con le in- te alla Prima guerra mondiale, in cui viene ricostrui-
dustrie, piccole e grandi, che potevano donare qualche to l’intero processo tecnico – produttivo, dalla mate-
pezzo storicamente rilevante vennero tenuti da Miche- ria prima al famoso cappello. Il cinema, coprendo tut-
letti che proveniva da quel mondo. Successivamente di to il Novecento, si dimostrava uno strumento prezioso
necessità dovetti occuparmene e fu una piacevole sor- per raccontare le storie che ci interessano per il mu-
presa. L’incontro diretto con tante realtà manifatturie- seo e il suo pubblico. La verifica di tale potenzialità
re, in attività o chiuse, principalmente nel Bresciano fu possibile farla, in prima battuta, al MusIL di Cede-
ma anche a Milano e nel resto della Lombardia, a Ge- golo – Valle Camonica (aperto nel 2008), con l’utiliz-
nova, in Veneto, in Emilia, mi fece scoprire un univer- zo dei documentari di Ermanno Olmi commissiona-
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ti dalla Edison, con cui dialogano le videointerviste a e non solo potesse entrare più in profondità sui temi,
testimoni e protagonisti della valle. grandi e piccoli, di ogni specifica realtà museale.
Particolarmente rilevante è stato l’incontro con Ro- Un’impostazione che poi si è estesa a ogni tipo di mu-
berto Gavioli che, fino all’ultimo, ha seguito con entu- seo, anche alle mostre temporanee: spesso con un ap-
siasmo il progetto MusIL. Produttore, inventore, ma- proccio ludico si mira alla costruzione di esperienze
nager della Gamma Film, ci ha aiutati a entrare nel- coinvolgenti, differenziate per fasce di età, multisen-
la macchina del cinema, soprattutto quello di anima- soriali. In questo modo il museo cerca di rispondere
zione. È quindi stato possibile adottare anche in que- ad un bisogno di contatto diretto con le cose e il loro
sto caso l’approccio perseguito per altri settori pro- farsi, ricreando, nell’ambiente artificiale del museo, i
duttivi: ricostruire dall’interno evoluzioni e rivoluzio- processi lavorativi, artigianali, artistici, con cui la re-
ni della tecnologia, cogliendo gli scarti, le peculiari- altà che ci circonda viene costruita. Nel caso del Mu-
tà, almeno in parte i segreti del mestiere, dei molti me- sIL, partendo dai reperti e documenti storici, il virtua-
stieri coinvolti, sino al passaggio dall’analogico al di- le viene messo al servizio di un’esperienza cultura-
gitale. Una documentazione più recente è stato possi- le, il cui valore è in primo luogo educativo, formati-
bile raccoglierla grazie al Concorso intitolato proprio a vo. I laboratori realizzati nelle sedi MusIL funzionan-
Roberto Gavioli, inaugurato nel 2008, e dedicato a fil- ti (Cedegolo, Rodengo Saiano, Brescia – San Barto-
mati sul lavoro oggi. In questo come in altri casi l’ele- lomeo) hanno consentito di verificare il ruolo cruciale
mento distintivo, al di là del valore in sé, è stata la tenu- che in queste attività riveste il coinvolgimento diret-
ta nel tempo, indispensabile per fronteggiare la naviga- to dei protagonisti della storia dell’industria e del la-
zione lenta e perigliosa a cui è stato costretto il museo. voro, coprogettando con loro le attività di laboratorio.
Risale addirittura al 1996, molti anni prima della Non è però stato possibile, sinora, dare continui-
costituzione del MusIL (2005), l’avvio di una inizia- tà a una tale impostazione, di cui molto potrebbero
tiva rivelatasi cruciale per entrare nel mondo dei mu- avvantaggiarsi le scuole, anche attraverso un uso in-
sei europei della tecnica e del lavoro, l’annuale “Mi- telligente della alternanza scuola – lavoro. La caren-
cheletti Award” promosso da Kenneth Hudson, am- za strutturale di finanziamenti, a cui non credo possa
pliato di recente alla storia contemporanea. Alcuni porre rimedio la creazione di musei – impresa capa-
dei musei vincitori o partecipanti sono diventati degli ci di trovare le risorse sul mercato, ovvero l’incapaci-
interlocutori o modelli a cui ispirarsi. Cito almeno il tà di intraprendere un tale percorso cosiddetto virtuo-
DASA di Dortmund, una struttura unica nel suo gene- so, hanno costretto il MusIL a diventare, per necessi-
re, sideralmente lontana da quanto (quasi nulla) esiste tà, un laboratorio in cui sperimentare molte delle for-
in Italia sulla storia e problematiche attuali in tema di me di lavoro oggi vigenti: lavoro volontario, occasio-
salute e sicurezza dei lavoratori. L’obiettivo è di far- nale, a contratto, part time, a partita iva, spesso sen-
ne un filone che attraversi le varie sezioni espositive za orari e certezza di puntuale retribuzione. Un espe-
della sede centrale del MusIL che, salvo ulteriori in- rimento in corpore vili che vorremmo cessasse, anche
cidenti di percorso, dovrebbe cominciare a realizzar- per dare il giusto riconoscimento al gruppo di giova-
si nella citata ex Metallurgica Tempini. I nuclei tema- ni, bravissimi, che in questi anni sono riusciti a far vi-
tici previsti, oltre a una Galleria introduttiva dedica- vere il museo.
ta alla storia generale del Novecento, saranno dedica-
ti alla metallurgia e meccanica, all’energia, ai consu- Pier Paolo Poggio
mi, al ciclo delle merci.
I musei scientifici e tecnici sono stati all’avanguar- Per tutte le informazioni relative all’attività del museo si riman-
dia nel creare laboratori in cui il pubblico delle scuole da al sito istituzionale: http://www.musilbrescia.it.

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Il mestiere di Duccio

Il 19 ottobre 2017, a cura del Dipartimento di Sto- negli anni ’60 e anni ’70 la fabbrica ha goduto di tan-
ria dell’Università di Milano, si è svolto il conve- to interesse da parte della cultura italiana, mai come
gno La fierezza del mestiere. Duccio Bigazzi e il la- in quei decenni si è conquistata una centralità sociale
voro dello storico. Dopo i due interventi introdutti- così marcata. Mai come in quegli anni è stata studia-
vi di Giulio Sapelli e Maria Luisa Betri, ci sono sta- ta con tanta passione e con competenza, dai sociolo-
te le relazioni di Patrick Fridenson e Sergio Bologna gi prima di tutto, dell’industria o del lavoro, delle mo-
(qui riportata), alle quali hanno fatto seguito gli in- bilitazioni sociali o dell’organizzazione, si pensi, un
terventi di Luigi Tomassini, Giovanna Ginex, France- esempio per tutti, ai lavori di Pizzorno e dei suoi al-
sca Pino, Carolina Lussana, Giovanni Contini, Sara lievi. Nessuna di queste discipline ha potuto evitare di
Zanisi, Nicola Crepax, Giandomenico Piluso. Il con- fare i conti con una fabbrica che era anche – e in cer-
vegno è stato preceduto dalla pubblicazione del libro ti momenti, soprattutto – sede di conflitti. Questi con-
di Sara Zanisi, Il Portello. Voci dalla fabbrica. Le in- flitti riportavano a galla tutte le problematiche politi-
terviste di Duccio Bigazzi in Alfa Romeo, Franco An- che che erano man mano scomparse dalla scena ne-
geli, Milano, 2017. gli anni in cui, dopo la vittoria della DC alle elezioni
del ’48, si era diffusa nelle fabbriche una pace socia-
L’opera d’indagine storica che Duccio Bigaz- le forzata. Ritornavano a galla anche le ideologie e le
zi ha condotto sul tema del lavoro operaio si collo- rappresentazioni della classe operaia, precedenti quel
ca in uno specifico ambiente socio-tecnico: la fabbri- periodo, in particolare quelle che erano intrise dell’e-
ca. Non una fabbrica qualsiasi ma una particolare ti- pica della Resistenza e dell’antifascismo, con il risul-
pologia di fabbrica: la fabbrica di veicoli a motore, la tato d’imprimere al lavoro storico e al trasferimen-
fabbrica dell’auto. Un ambiente socio-tecnico diver- to della memoria una torsione che avrebbe prodotto
so da quello delle fabbriche chimiche o siderurgiche. in una certa misura una narrazione mistificata, con-
Non è dunque un’indagine sul lavoro o sulla clas- tro la quale Duccio avrebbe combattuto per tutta la
se operaia in generale, ma su uno specifico segmen- sua attività di ricercatore. Questo atteggiamento cri-
to, che ha rivestito caratteristiche del tutto particola- tico di Duccio è stato però, a mio avviso, male inter-
ri. Un ambiento socio-tecnico sul quale si sono mo- pretato perché, rappresentandolo come persona seria
dellati sistemi di management e tecniche di organiz- e scrupolosa, storico “obbiettivo” che cerca di depu-
zazione del lavoro che hanno segnato profondamente rare da incrostazioni ideologiche i discorsi sul lavo-
non solo la classe operaia occupata in quel settore ma ro e la classe operaia, la sua figura ha rischiato di es-
l’intera classe operaia del primo Novecento ed hanno sere inserita nel processo di normalizzazione che ha
condizionato fenomeni di massa come la mobilità in- visto negli anni ’80 tante persone con esperienze nei
dividuale e stili di vita, valori condivisi, assetti urba- gruppi della cosiddetta “ultrasinistra”, seppure pas-
ni, politiche infrastrutturali. Senza dimenticare le pro- seggere, prodursi in non richiesti autodafé ed in pla-
prietà specifiche che hanno avuto i confitti sindacali teali “pentimenti”, anche solo per essersi fatti cresce-
all’interno di quel particolare ambiente socio-tecnico. re i capelli nel ’68. In questa raffigurazione, a mio av-
Prima di affrontare il discorso sul metodo che Duc- viso, caricaturale, si nasconde l’implicita convinzio-
cio ha adottato nella sua ricerca storica del lavoro, mi ne che gli anni ’70 siano stati sotto questo punto di vi-
preme fare una precisazione. Duccio Bigazzi sceglie sta solo anni d’illusioni e di mistificazioni, di slanci
come suo campo d’indagine la fabbrica e in questo irrazionali e di comportamenti criminali. Gli anni non
assorbe e interpreta lo spirito del tempo. Mai come a caso chiamati “di piombo”, definiti “tetri”, anni di
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follìe intellettuali alle quali una coscienziosa ricerca biente socio-tecnico significa assumere un punto di
scientifica avrebbe saputo porre rimedio. Mi ribello vista che privilegia l’analisi del rapporto uomo-mac-
a questa raffigurazione di Duccio e del suo tempo, a china. Duccio è un appassionato studioso della tec-
questa immagine di Duccio sia come uomo che come nologia ma non ha interesse per la tecnica in sé bensì
storico, perché vorrei ricordare che, se l’ambiente so- per i processi sociali che l’impiego di una determina-
cio-tecnico della fabbrica è stato così presente nella ta tecnologia mette in opera, attraverso la tecnologia
cultura italiana, anche presso strati sociali e profes- lui riesce a individuare i processi di deprofessionaliz-
sioni che non avevano mai avuto dimestichezza con zazione di una parte del personale operaio, attraverso
esso, ciò è dovuto proprio al fatto che quell’ambien- la graduale, discontinua, introduzione della tecnolo-
te ha cominciato a “parlare di sé” con le voci del con- gia di ultima generazione a Mirafiori, per esempio, ri-
flitto operaio. Il processo di modernizzazione della esce a cogliere il persistere di strati qualificati di forza
cultura italiana, determinato da una sempre maggiore lavoro anche là dove in teoria avrebbero dovuto esse-
consapevolezza di essere una potenza industriale, non re eliminati, attraverso la tecnologia individua il ruo-
avrebbe mai riscoperto o riletto la fabbrica in quel lo dei tecnici di produzione, attraverso la tecnologia
modo se non ci fosse stato un così massiccio e pro- coglie i processi di disciplinamento della forza lavo-
lungato confitto industriale. Un conflitto che ha risve- ro. Il saggio su Mirafiori è un saggio di faticosa lettu-
gliato l’interesse e toccato la coscienza di magistra- ra, nel quale, con una precisione che certe volte scon-
ti ed avvocati, alle prese con lo Statuto dei Lavorato- fina quasi nella pedanteria, Duccio segue passo dopo
ri, di medici alle prese con la nocività in fabbrica, di passo l’introduzione di macchinario ultima genera-
insegnanti, sollecitati dalle 150 ore, di professionisti zione, in massima parte di provenienza americana. Si
dell’informazione e fotografi, di cineasti. Molte de- potrebbe dire che si tratta di un saggio sulla cosid-
ontologie professionali furono scosse e messe in di- detta “ibridazione” del modello fordista da parte dei
scussione, una componente della borghesia, della cul- costruttori europei, tema che era stato messo al cen-
tura, si trovò a fare i conti con lo specifico ambiente tro della ricerca del gruppo Gerpisa (Groupe d’études
socio-tecnico chiamato fabbrica, che finalmente par- et des recherches permanent sur l’industrie et les sa-
lava non con la voce degli uffici stampa delle azien- lariés de l’automobile). In realtà è un’indagine sotti-
de ma con la voce diretta degli operai. Anche gli sto- le sui rapporti tra cinque diversi livelli della gerarchia
rici ci dovettero fare i conti e misero nella loro cas- aziendale: il livello dell’intelligence, dei dirigenti e
setta degli attrezzi la storia orale, praticata fino a quel tecnici inviati in America a visitare e studiare le fab-
momento solo da storici “scalzi” o da antropologi alla briche dell’auto ed a prendere contatto con i produtto-
De Martino o da sociologi di frontiera come Montal- ri delle macchine utensili e con gli studi di consulenza
di. Duccio è figlio a pieno titolo di questa stagione che avrebbero fornito assistenza tecnica alla Fiat; il li-
e lo è proprio quando combatte contro i cliché della vello del management cui spetta la gestione dei flussi
rappresentazione della classe operaia, è figlio del suo finanziari, le operazioni di finanziamento degli acqui-
tempo, partecipa a pieno titolo a questo momento di sti, i rapporti con i ministeri vigilanti sulle operazio-
modernizzazione del paese che ha contribuito a svec- ni d’importazione, un gruppo preoccupato del rappor-
chiare le discipline, non è lo storico che si ritira nella to tra costi e ricavi; il livello dei tecnici di produzio-
turris eburnea della ricerca accademica per non sen- ne abituati a ragionare in termini di mera produttività;
tire gli spari. Non dimentichiamo che quando quel- il livello delle strutture di controllo e disciplinamen-
la voce operaia si è spenta, dopo i 35 giorni della to, come possono essere il cronometrista o il capo re-
Fiat, nell’ottobre del 1980, emettendo nei trent’an- parto con limitata autonomia nei confronti dei gestori
ni successivi solo lamentosi vagiti, si è spenta anche dell’Ufficio tempi e metodi, che possiamo considera-
la conoscenza della fabbrica nella cultura italiana, si re come quinto livello, focalizzato sulla pianificazio-
è spento, nell’accademia soprattutto, l’interesse cul- ne. Sono cinque segmenti, cinque funzioni, della ge-
turale per il lavoro – tranne per alcuni studiosi come rarchia aziendale che interagiscono tra loro, sono cin-
Berta, Musso e pochi altri – si è spento prima ancora que figure di white collar i cui comportamenti sono
che il processo di deindustrializzazione avesse por- tanto più intellegibili quanto più puntuale e dettaglia-
tato a termine la sua opera distruttiva di una classe ta è la descrizione del macchinario che via via vie-
sociale. E ancora oggi ha difficoltà a orientarsi in un ne sostituito e del macchinario di ultima generazione
universo di continua destrutturazione del lavoro e di che entra in fabbrica. Tra l’altro, il saggio su Mirafio-
precariato universale. Certo, Duccio potrà aver avu- ri mette in luce molto bene l’importanza della logisti-
to presente le grottesche rappresentazioni della clas- ca di produzione, del materials handling – per dirla
se operaia che circolavano in certi gruppi politici an- col moderno linguaggio dei professionisti della sup-
che a lui vicini, ma si è trattato di fenomeni margina- ply chain – cioè l’alimentazione delle linee di produ-
li, che non possono in alcun modo offuscare la real- zione, le cui problematiche la direzione Fiat non rie-
tà degli anni ’70, che è stata quella di un amplissimo sce a mettere a fuoco per decenni, ci arriverà solo alla
processo di emancipazione delle cosiddette “classi fine degli anni ’50, quando capisce cosa significa il
subalterne”. trasporto dei materiali in un flusso continuo e “teso”.
Collocare lo studio del lavoro in uno specifico am- La narrazione di Duccio procede come un continuo
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crescendo, quando poi arriva a ricostruire la fase fina- dei regimi dittatoriali un ampio consenso. Un tema
le del passaggio dai complessi a piattaforma girevo- particolarmente bruciante in Germania, che suggerì
le alle transfer e poi – passo conclusivo del processo a una scuola di pensiero la tesi che il nazionalsociali-
di fordizzazione – all’introduzione dei convogliatori a smo non fosse un fenomeno piccolo borghese o sotto-
gancio, quando il grado d’integrazione tra diversi re- proletario, come voleva la storiografia comunista, ma
parti e cicli di produzione raggiunge, con la produzio- un fenomeno specificamente operaio. (È il tema a cui
ne della 600, lo stato di “sistema”, la sua narrazione, è dedicato il mio libretto “Nazismo e classe opera-
dicevo, riesce a dare al lettore la sensazione di un’a- ia”). Scuola di pensiero che si opponeva frontalmen-
poteosi, di un trionfo. Ma la marcia trionfale durerà te alla storiografia della ex DDR, dove la passività
poco – avverte Duccio – nel ’62 inizia il ciclo di lotte della classe operaia tedesca negli anni ’30 era spie-
proprio contro quel “sistema”, un ciclo che si prolun- gata solo come effetto di un sistema repressivo totale
gherà quasi per vent’anni. Duccio analizza i cambia- e privo di smagliature e le anomalie venivano indivi-
menti tecnologici come passaggi da forme di discipli- duate nelle storie personali di militanti comunisti che,
namento della forza lavoro ad altre, secondo un pro- magari scoperti a distribuire un volantino, venivano
cesso che esercita potere di controllo proprio perché internati in un Lager e lì lasciati consumare di sten-
non è lineare, pieno di modificazioni, aggiunte, ripen- ti. Storiografia che era, per un verso, puro martirolo-
samenti continui. L’apparente “indecisione” del ma- gio, per altro verso puro rifiuto di prendere in consi-
nagement Fiat nell’introdurre tutte insieme le inno- derazione l’innovazione presente nelle politiche so-
vazioni tecnologiche sul mercato, il suo procedere a ciali del regime e nella politica della DAF, Deutsche
macchia di leopardo, non sono il segno di incertezze Arbeitsfront, il sindacato nazista. In questo contesto
o idee confuse sulla strategia da seguire ma bensì la ebbero un effetto dirompente gli scritti di Tim Ma-
logica di un procedere empirico, pragmatico, del tut- son su Arbeiterklasse und Volksgemeinschaft, che fu-
to al riparo dalle infatuazioni ideologiche per il siste- rono conosciuti in Italia anche tramite il gruppo che
ma fordista. La narrazione di Duccio apparentemente stava attorno alla rivista “Primo Maggio”, di cui face-
segue una logica ingegneristica, in realtà è la descri- va parte Karl Heinz Roth, che fu uno dei primi a re-
zione di un processo sociale, lo scopo della narrazio- censire e segnalare quell’imponente lavoro in Germa-
ne è l’individuazione di processi sociali e dei sogget- nia. Cosa c’era di nuovo nello scritto di Mason? L’in-
ti diversificati che li interpretano. Processi che spes- dividuazione, attraverso una meticolosa documenta-
so lui non esplicita, lasciando quasi al lettore accor- zione, di comportamenti nella classe operaia tedesca
to il compito di intuirli, di chiarirseli da sé. Prendia- che non erano apertamente conflittuali ma dimostra-
mo proprio il processo di “ibridazione”, cioè l’inse- vano una non adesione ai valori del regime nazista e
rimento graduale, non meccanico, di metodi e tec- una volontà di non sottostare alle sue direttive, era la
nologie di ultima generazione, fino all’adattamento scoperta di una microconflittualità che teneva conto
alle condizioni “europee” di certe macchine utensi- di comportamenti della classe operaia, sia in fabbrica
li, che vengono opportunamente modificate. Un pro- che fuori, che non erano mai stati presi in considera-
cesso del genere come avrebbe potuto esser realizza- zione. Lo storico si poneva domande inedite e percor-
to senza la collaborazione di operai specializzati che reva sentieri di ricerca mai battuti, poteva essere un
sapevano tutto della macchina da sostituire ed erano insegnamento di metodo forte e un suggerimento per
in grado – meglio dei tecnici di produzione – di ca- rileggere la vicenda della classe operaia italiana sotto
pire quali effetti avrebbe avuto il nuovo macchinario il fascismo. Duccio colse subito la novità di questa di-
se inserito come da specifiche del produttore? Resta mensione, che Mason ribadì, correggendo anche cer-
il fatto che il saggio su Mirafiori illustra molto più ti suoi giudizi precedenti, nel libro Intention and ex-
chiaramente il ruolo dei white collar che quello dei planation: a current controversy about the interpre-
blue collar. E qui s’innesta il discorso della “passi- tation of National Socialism, pubblicato a Stoccarda
vità operaia”. nel 1981. Duccio Bigazzi e Tim Mason, a mio avvi-
Cosa intendo dire? La rappresentazione della fab- so, avevano notevoli affinità come ricercatori, erano
brica negli anni ’70 era fortemente condizionata dal simili nel porsi le domande e nel gusto di demolire i
conflitto industriale, la forza lavoro della fabbrica ve- cliché. È significativo invece, a dimostrazione dell’a-
niva percepita quasi come una variabile indipenden- pertura mentale di Duccio, che egli seguisse con in-
te, sembrava impossibile parlare di operai di fabbri- teresse e simpatia il lavoro di “Primo Maggio”, una
ca o di classe operaia senza considerare il conflitto rivista che aveva un’impostazione quasi agli antipo-
uno dei suoi elementi costitutivi. Ma non era sempre di con la sua visione del mestiere di storico. Una sto-
stato così, chi si occupava di storia del Novecento in ria “militante”, che orrore! Eppure in Germania il fi-
fabbrica, in particolare in Italia e in Germania, dove- lone di “Primo Maggio” sarebbe riuscito a conqui-
va fare i conti con una prolungata passività operaia, starsi una posizione importante, soprattutto con quel
con un comportamento non conflittuale che non po- libro sul lavoro coatto alla Daimler Benz (1986), che
teva essere spiegato solo con la repressione delle li- non solo portava un nuovo contributo alla conoscen-
bertà sindacali, si doveva riconoscere che i lavorato- za dell’industria dell’auto ma apriva la strada alla sta-
ri avevano dato alle politiche e alle scelte strategiche gione dei risarcimenti: migliaia di persone o discen-
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denti diretti delle medesime, che erano state costret- sce dove va a parare. Qui invece, come la intendo io,
te ai lavori forzati nelle fabbriche del regime nazista, viene sottolineata l’importanza del “progetto”, cioè di
avrebbero avanzato richiesta di risarcimento ottenen- un’idea forte che è la molla dell’indagine, qualcosa
do soddisfazione. Karl Heinz Roth e la sua compagna per cui lo storico sa già all’inizio dove vuole anda-
Angelika Ebbinghaus avrebbero trovato poi un finan- re a parare. Lo chiamo “progetto” o “idea progettua-
ziatore con larghe disponibilità in Philipp Reemtsma le”, come quella che ha l’architetto quando concepi-
ed avrebbero fondato la Hamburger Stiftung zur So- sce i lineamenti, il volume, la forma essenziale del-
zialgeschichte des 20. und 21. Jahrhunderts e la rivi- la costruzione e ne fa il primo schizzo. Lo storico, si
sta “1999”. Sui numeri di aprile del 1989, di gennaio dice, deve essere pronto a cambiare idea se un docu-
1990 e di aprile 1990 sarebbe stato pubblicato il sag- mento contraddice la sua ipotesi di partenza, dev’es-
gio in tre parti Theorie und Geschichte des Masse- sere prudente e scrupoloso, io penso invece che la
narbeiters in Italien dove i lavori di Duccio veniva- molla dell’indagine è quando uno è convinto di ave-
no ampiamente illustrati e analizzati. Dopo la rottura re qualcosa di nuovo da dire. È questa sicurezza ini-
con Reemtsma l’archivio e la biblioteca della Fonda- ziale, questa “visione” che è caratteristica dello stori-
zione – che oggi conta 40 mila volumi circa – sareb- co vero, a mio avviso. È con questa idea progettuale
bero stati trasferiti a Brema nei locali dell’Università. che riesce con sicurezza a stabilire una gerarchia del-
Ho riportato queste circostanze non solo perché sono le fonti, a individuare di colpo il documento più elo-
quelle nelle quali s’inquadra la mia frequentazione ed quente, nel quale sono contenute magari poche parole
amicizia personale con Duccio ma perché dimostra- ma rivelatrici, ed a mettere in secondo piano tanti al-
no come Duccio non avesse perduto né i contatti né tri. Lo storico si deve esporre, quello che si nasconde
l’interesse per chi aveva un’impostazione del tutto di- dietro montagne di documenti o di citazioni, che dice
versa dalla sua e, lungi dal ripudiare la propria espe- e non dice e l’essenziale lo fa dire sempre da qualcun
rienza nei gruppi radicali dell’estrema sinistra, ne tra- altro, riservando a sé il ruolo del puro moderatore, è
eva spunto per nuove ipotesi di ricerca, muovendosi un passacarte, non uno storico. La mia forse è un’i-
sul terreno del cosiddetto “uso pubblico della storia”. dea molto “autoriale”, come si dice oggi, di fare sto-
Sull’ultimo numero di “Primo Maggio” nell’autun- ria, ma non credo che l’impostazione di Duccio fos-
no del 1988, veniva pubblicata una lunga intervista se molto diversa. In conclusione Bermani gli chiede
con Duccio, condotta da Cesare Bermani, che prende- quali libri di storia lo hanno stimolato per il lavoro
va spunto dall’uscita del volume sul Portello. Bigazzi sul Portello e lui, oltre al solito Agnelli di Castrono-
spiega con molta chiarezza con quale approccio si è vo, cita di Spriano la Storia di Torino operaia e socia-
avvicinato alla storia degli operai dell’Alfa nei primi lista. Da De Amicis a Gramsci e aggiunge:
decenni del Novecento e quali sono stati gli elemen- “Se pensi che io ho deciso di fare lo storico proprio
ti che gli hanno permesso di demolire lo stereotipo perché non mi piaceva la Storia del Partito Comuni-
dell’operaio professionale, attaccato all’azienda, mi- sta di Spriano, che mi pareva il modo sbagliato di fare
lanese, buon socialista. La realtà era ben diversa, una storia... Ti parrà forse buffo che della storiografia ita-
classe operaia in genere venuta da fuori, di altissima liana io mi sia rifatto a ricerche di molti anni fa, forse
mobilità interaziendale, che si autolicenziava per tro- anche un po’ datate. Ma sai, dopo di allora al peggio
vare qualcosa di meglio, autonoma e ribelle alla di- non c’è stato fine...”
sciplina e alle direttive del movimento operaio, quasi e termina l’intervista citando, come storici che per
antesignana di quella anni ’60 ma con un forte senso lui sono stati un riferimento, gli americani, da Mont-
identitario nel mestiere. Gli stereotipi, le mitologie, gomery a Gutman a Tamara Hareven. E questo è un
le semplificazioni sono i bersagli preferiti di Duccio. altro elemento per il quale il lavoro di “Primo Mag-
C’è un passaggio di questa intervista che a me pare gio” lo interessava, tra i collaboratori della rivista ci
molto significativo. Parlando del lavoro per il secon- sono stati infatti alcuni tra i migliori americanisti ita-
do volume sul Portello, fondato su molte testimonian- liani, da Cartosio a Fasce, da Portelli a Gambino, che
ze orali che gli avrebbero permesso di interpretare le hanno riportato e analizzato con costanza le ricerche
fonti scritte, Bermani gli chiede “Quanti anni hai la- più aggiornate sulla storia del movimento operaio ne-
vorato?” Risposta: gli USA.
“Dieci. In una ricerca storica non occasionale i Fierezza del mestiere. Ecco un altro esempio del
tempi di traduzione pratica sono lunghissimi. In real- debito che Duccio aveva contratto con gli storici ame-
tà, quello che volevo dimostrare in questa ricerca l’a- ricani. Volume sul Portello, pp. 85-89, paragrafo inti-
vevo già capito sin dall’inizio. Ma il lavoro di rifini- tolato Il ‘codice etico’ degli operai di mestiere. Duc-
tura e di completamento di una traccia che c’era dopo cio dichiara la sua idea di professionalità, idea che
pochi mesi di ricerca, mi ha occupato dieci anni”. sarà il filo conduttore del volume. Nella tradizione
A me sembra significativa questa frase perché della letteratura del movimento operaio la professio-
smentisce l’idea di un lavoro di ricerca che, per scru- nalità è riferita all’abilità manuale ed alla conoscen-
polo di obbiettività, parte senza un’ipotesi ben preci- za tecnica dell’utensile, a questa si associa l’idea di
sa, senza una convinzione, ma lascia che siano i do- una “aristocrazia operaia”, gelosa dei propri privile-
cumenti a scoprirla e solo alla fine il ricercatore capi- gi, fedele a un suo “codice etico”, l’orgoglio di saper
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fare un lavoro alla perfezione, bravura che sta tra l’ar- caso che questo ragionamento sull’idea di professio-
tigianato e l’opera d’arte. Un esempio di rispettabili- nalità Duccio lo inserisca commentando la notizia di
tà. Duccio non rifiuta questa idea di professionalità un giornale sindacalista rivoluzionario, “L’avanguar-
ma la ritiene incompleta, insufficiente e passibile di dia” del 1 novembre 1913, dove si parlava del tentati-
creare dell’operaio professionale un’immagine iconi- vo d’introdurre all’Alfa guadagni di cottimo inferio-
ca, un idealtipo, una figura astratta, se non caricatu- ri, pur aumentando la produttività, sfruttando la con-
rale. Secondo Duccio l’operaio professionale è quel- discendenza di un paio di operai, disposti a lavorare
lo che sa difendere la propria professionalità dai con- come matti per dimostrare che una determinata ope-
tinui attacchi della gerarchia aziendale. Non è essen- razione si poteva fare in un tempo molto inferiore.
zialmente il “bravo operaio”, il “lavoratore rispetta- Circostanza ben nota questa a chiunque abbia lavora-
bile” ma l’operaio che è sempre sul chi va là, che sa to in fabbrica nel Novecento, scena che si sarebbe ri-
gestire il rapporto con la gerarchia in un permanen- petuta migliaia e migliaia di volte nella storia dell’Al-
te braccio di ferro, che può, ma non deve necessaria- fa e della Fiat. Chi sapeva cogliere al volo il tentativo
mente, sfociare in un conflitto aperto. A un’idea stati- messo in atto dal padrone e sapeva come contrastar-
ca di professionalità Duccio oppone un’idea dinami- lo, quello era l’operaio professionale. Si potrebbe dire
ca. Se nell’idea tradizionale l’operaio professionale quindi che, secondo l’idea di Duccio, professionale è
era anche un operaio fortemente individualista, nell’i- l‘operaio che sa proteggere il “contenuto discreziona-
dea di Duccio egli è pervaso da un sentimento di soli- le” del suo lavoro. Quindi l’immagine che ne esce è
darietà, sa che proteggendo la propria professionalità molto diversa da quella tramandataci dal movimento
protegge anche quella degli altri e a questo proposito operaio: non è vero che il “saper ben fare” dell’ope-
Duccio cita David Montgomery, come fonte di questa raio specializzato rappresentava l’incontro, il terreno
sua diversa idea di professionalità, cita i lavori di Gi- di cooperazione, tra l’interesse dell’azienda e l’inte-
sela Bock e Bruno Ramirez, pubblicati nella collana resse operaio. L’operaio professionale era al contrario
Materiali Marxisti di Feltrinelli, cita lo storico Craig un elemento di resistenza all’innovazione padronale,
Littler il quale ma era una resistenza silenziosa, senza gloria, sen-
“sottolinea il coesistere di due elementi nel concet- za epica, una resistenza che non sfociava in conflit-
to di professionalità: il primo tecnico, costituito dal- to aperto, dunque difficile da vedere, da documenta-
le mansioni assegnate (task range), l’altro sociale, de- re – ecco l’importanza della problematica sulla “pas-
finito in relazione al discretionary content del lavoro sività operaia”! Non era una resistenza conservatrice
svolto” (Il Portello, nota 135, p. 89). perché proteggeva i valori di solidarietà. Per dirla an-
Non so se è chiaro il deciso cambiamento di para- cora con Duccio:
digma che questa idea di professionalità porta con sé “la reale natura delle trasformazioni in atto nell’in-
e le prospettive del tutto inedite che essa apre alla ri- dustria meccanica e in particolare in quella dell’auto
cerca storica sul lavoro industriale nel periodo della non è quella di una pacifica e autonoma evoluzione
graduale affermazione del fordismo. Se l’idea di pro- della tecnologia e dell’organizzazione del lavoro ver-
fessionalità viene riferita esclusivamente al rappor- so forme ‘moderne’, ma un conflitto quotidiano, lo-
to uomo-macchina, la storia dell’introduzione di tec- gorante e segnato da alterni rapporti di forza. Da una
nologie e sistemi organizzativi fordisti nell’industria parte, operai la cui professionalità non era tanto e so-
dell’auto europea tra le due guerre può essere vista lamente costituita da un insieme di abilità tecniche,
come la storia di una progressiva gentrification delle quanto dalla capacità di controllare i tempi e i modi
fabbriche da parte di operai comuni poco qualificati e di erogazione della propria forza lavoro. Dall’altra,
la parallela espulsione dei vecchi operai specializza- industriali per i quali l’introduzione di nuovi macchi-
ti. Un processo meccanico provocato dalla mera so- nari, metodi di organizzazione e forme salariali non
stituzione di macchinario e dall’introduzione dei con- era determinata esclusivamente da ragioni tecniche di
vogliatori; un sistematico allontanamento del bravo efficienza, ma aveva come obbiettivo complementa-
operaio di mestiere attaccato al suo lavoro e alla per- re l’affermazione della loro piena capacità di gestio-
fezione del prodotto, e una sua sostituzione con l’ope- ne del processo produttivo.” (Il Portello, pp. 86-87).
raio comune, privo di un codice etico, completamen- A questo punto mi chiedo perché Duccio non ha
te alienato e del tutto indifferente se dalla sua linea mai usato nei suoi scritti – lo dico a memoria, non
di montaggio esce un prodotto difettoso oppure no. ho mai fatto una ricerca specifica usando le tecniche
L’impostazione di Duccio è completamente diversa digitali – il termine di “operaio massa”. Me lo chie-
e pone interrogativi continui sulla complessa intera- do perché penso di avere una certa responsabilità nel
zione di elementi umani, soggettivi, sociali in un am- concepimento e nella e diffusione di quel termine.
biente socio-tecnico votato alla produttività, cioè sot- Non escludo, anzi, è molto probabile che quando
toposto ad una continua, incessante pressione per pro- Duccio se la prende con le rappresentazioni semplifi-
durre di più, più in fretta, dove il campo d’azione del- cate e mistificate della classe operaia se la prenda an-
la operazioni programmabili si allarga sempre di più che con quella mia trovata linguistica. Aveva ragione,
e lo spazio di discretionary content del lavoro pro- naturalmente, a mia discolpa posso dire soltanto che,
fessionalizzato diventa sempre più stretto. Non è un mettendo le basi di “Primo Maggio” avevo cercato di
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cambiare strada, in modo da affrontare le problema- ri, alla FIOM Carniti doveva apparire un demagogo.
tiche operaie in maniera meno ideologica. Non avrei Su questi due atteggiamenti non potevano non aver
tirato in ballo questi aspetti di carattere personale se esercitato una certa influenza gli stereotipi dell’ope-
non fossi convinto che nello stesso periodo le diverse raio di mestiere e dell’operaio comune, lo aveva mes-
concezioni di professionalità stavano all’origine di un so bene in luce un libro che deve avere offerto a Duc-
dibattito molto acceso che si scatenò nel movimen- cio molti spunti di riflessione, Il lavoro come ide-
to sindacale prima e dopo l’autunno caldo a propo- ologia di Aris Accornero. Insisto nel ricordare que-
sito delle rivendicazioni egualitarie. “Aumenti eguali ste circostanze per dire che la tenacia quasi ossessi-
per tutti! La seconda categoria per tutti!” e slogan di va con cui Duccio cerca di demolire l’immagine ste-
questo genere crearono un forte imbarazzo nella base reotipata della classe operaia deriva non solo da una
e nella dirigenza della CGIL ed uno scontro aperto tra preoccupazione di rigore scientifico ma anche, a mio
la FIOM di Bruno Trentin e la FIM di Pierre Carniti. avviso, dal desiderio di contribuire a uno svecchia-
Era profondamente radicata, nella cultura del militan- mento della cultura sindacale. Il fatto di avere una
te sindacale CGIL, l’idea che i diversi gradi di profes- vera e propria idiosincrasia per il linguaggio “operai-
sionalità dovessero essere retribuiti in maniera diffe- sta” non significa che volesse estraniarsi dal dram-
renziata, Trentin lo disse apertamente che considera- ma che il movimento sindacale stava attraversando in
va ingiusta la rivendicazione degli aumenti uguali per quel periodo. Tutto questo non fa che accrescere l’at-
tutti, alla fine l’accolse solo per non rompere l’unità tualità dei lavori di Duccio e la loro strettissima con-
sindacale. Il problema della professionalità e di tutto nessione con gli eventi a lui contemporanei. Come
l’ampio corollario di problematiche sindacali che si tutti i grandi, veri, storici, lui sa riportare le tensio-
porta dietro non è solo un problema culturale d’inte- ni, le passioni del suo tempo di vita nella trattazione
resse per gli storici come Duccio, è un problema poli- dell’epoca storica che gli interessa.
tico che non ha ancora cessato di infiammare gli ani- La sistematica opera di demolizione di convinzio-
mi. Si vedano le recenti dichiarazioni di ex dirigen- ni consolidate e di rappresentazioni mistificanti che
ti della CGIL e della CISL, i quali, ricordando quella Duccio ha condotto dimostra quanto importante fos-
stagione, ribadiscono oggi con ancora maggior vee- se per lui il terreno dell’analisi dell’immagine, in par-
menza la loro diversità d’opinione a questo proposito ticolare dell’immagine che le aziende volevano dare di
“ll punto unico di contingenza e gli aumenti ugua- sé. Riporta sempre con molto scrupolo i reportages, le
li per tutti sono stati dei grandi errori” impressioni che ricavavano giornalisti e visitatori che
tuona Antonio Pizzinato in un’intervista del 2015; erano entrati in fabbrica ed avevano percorso le offi-
Carniti, invece, in un’intervista rilasciata l’estate cine. Ai suoi albori l’industria dell’auto si vuole pre-
scorsa, 2016, dice che non si trattava di sentare come un’industria “nuova”, dove anche i loca-
“un insensato egualitarismo, ma il rifiuto di diffe- li e le sistemazioni per gli operai sono comode e puli-
renze salariali gestite unilateralmente dalle aziende, te, dove regna l’ordine pur nel parossismo della pro-
i sistemi premianti affidati alla discrezionalità delle duzione. E così, sin dai tempi della Darracq, viene co-
gerarchie di fabbrica, la contestazione delle discrimi- struita dalla direzione dello stabilimento e dai suoi ad-
nazioni nelle retribuzioni. Per me era una tipica que- detti alle relazioni esterne anche una figura di operaio
stione di principio (sindacale): per valorizzare la di- che corrisponde all’immagine di ordine e di efficien-
gnità del lavoro bisognava introdurre criteri oggettivi za, immagine che il movimento operaio, nello sforzo
di classificazione delle mansioni facendola finita con di costruirne una propria, non smentisce o almeno non
i premi discrezionali sulla base della fedeltà azienda- smentisce del tutto. Il risultato è una figura disegnata
le”. secondo i criteri e gli interessi altrui, che si contrappo-
Quelle che potrebbero sembrare sottili distinzioni ne al soggetto come una sua ombra deformata. Il la-
nell’approccio metodologico degli storici, sono in re- voro di Duccio è quello di restituire al soggetto la sua
altà questioni brucianti che ancora non hanno smes- vera identità, la sua vera ombra. Operazione possibi-
so di dividere i protagonisti delle lotte operaie de- le quando il soggetto può ancora parlare, rendere testi-
gli anni ’60. Quando la CGIL sosteneva la necessità monianza, ma sembra impresa difficile quando ormai
di mantenere le differenziazioni salariali, perché era- non può più parlare e l’unica possibilità di riuscirci sta
no un riconoscimento della diversa professionalità, in un meticoloso lavoro sulle fonti scritte. Ma quali?
un fattore meritocratico, lo diceva anche pensando di Ed è qui che l’idea di professionalità deve sin dall’ini-
rappresentare in primo luogo e di tutelare gli interes- zio avere la forza di “idea progettuale”, per capire di
si dell’attrezzista, dell’operaio di mestiere, che spes- quali fonti si tratta di andare alla ricerca. Non sempre
so era stato il militante più fedele all’organizzazio- le fonti orali sono di aiuto. Nell’intervista a “Primo
ne, il membro di Commissione Interna più accorto. Maggio” Duccio confessa che
Quando la CISL invece sosteneva gli aumenti ugua- “intervistare i tecnici o gli ingegneri è spesso cata-
li per tutti pensava anche di rappresentare e di tutela- strofico, perché le interviste talvolta si riducono a in-
re gli interessi soprattutto del giovane immigrato en- terrogatori con risposte ‘sì’ o ‘no’. Non per reticenza
trato in fabbrica da poco, operaio comune. A Carniti ma proprio perché non ritengono elemento degno di
quelli della FIOM dovevano apparire dei conservato- ricordo la vita normale della fabbrica”.
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Oppure quando – lo ricorda in una nota dello scrit- un movimento tellurico di ben più vasta portata, de-
to su Mirafiori – un ex dirigente dell’azienda accetta terminato da fenomeni complessi e in gran parte ine-
d’incontrarlo solo nei locali del Centro storico Fiat, splorati, che hanno indotto cambiamenti di mentalità
non gli permette di registrare la conversazione e rifiu- ma anche consistenti spinte squilibranti, basti pensa-
ta di fornirgli le fotocopie dei documenti e delle pla- re all’altissima mobilità della forza lavoro, all’Alfa si
nimetrie della fabbrica di trent’anni prima che ave- tocca punte del 44%. Questa contrapposizione tra un
va portato con sé. Non vorrei qui aprire il discorso movimento sismico, sotterraneo, che provoca il cedi-
sull’uso delle fonti orali da parte di Duccio, tema sul mento del fronte interno e un’eruzione violenta che
quale molti suoi amici, colleghi e discepoli si sono palesa in tutta evidenza la rottura con l’ordine fasci-
esercitati. Non avrei nulla di nuovo da dire, mi ba- sta, è anche una contrapposizione tra una resistenza
sta ricordare che nella sua crociata contro gli stereo- passiva e una ribellione attiva, tra un comportamen-
tipi Duccio sa benissimo quale ruolo nefasto può pro- to doppiogiochista e l’eroico mostrare la faccia, tra la
durre “l’affabulazione”. Ed ancora una volta abbiamo massa che si sottrae e l’avanguardia che sfida. È qui
dimostrazione della sua “modernità”, se si pensa che che a me sembra di cogliere una forte affinità con il
rilevanza ha assunto nelle pratiche aziendali e nella lavoro di Tim Mason, Duccio è attratto dagli “invisi-
presenza pubblica dell’impresa la politica dell’imma- bili” molto più che dagli eroi, dalla resistenza passi-
gine. va più che dalla resistenza attiva. Ma questa passivi-
Ultimo punto che vorrei toccare, per limitarmi al- tà non va confusa con immobilismo, non è l’accetta-
meno agli aspetti essenziali della ricerca di Duccio zione del giogo ma il suo celato liberarsene. Gli au-
sul lavoro industriale – in realtà sarebbero da tratta- tolicenziamenti sono strategie individuali di soprav-
re almeno una decina di altri aspetti – è quello che ri- vivenza ma, attuati in quel preciso momento storico,
guarda il conflitto. Negli anni ’70 abbiamo visto una sono atti di violazione delle direttive del regime. La
vera e propria fioritura di monografie, tesi di laurea fabbrica rimane negli ultimi mesi di guerra, quando
e altro dedicati a episodi di lotta collegati a vertenze tutto va a rotoli, l’unica istituzione ancora in piedi,
sindacali, come se l’interesse per il lavoro e per l’am- l’unica forma di protezione e di solidarietà. È una ca-
biente di fabbrica fosse concentrato tutto su quelle fi- serma, è un carcere ma è anche un’ancora di salvezza,
nestre temporali della storia di un’azienda, in cui si un’arca di Noé. Questa fabbrica bifronte, in cui con-
era verificato lo scontro aperto tra lavoratori e dire- vivono ruoli opposti, rispecchia il disorientamento di
zione; spesso questi episodi venivano trattati e consi- un popolo, vittorioso e sconfitto al medesimo tempo,
derati come spartiacque tra due epoche, dando a loro carnefice e vittima, disperato e speranzoso, fascista
un risalto e un’importanza spesso enfatizzati. In ef- e antifascista, eroe e opportunista. È una narrazione
fetti è spesso accaduto che dopo scioperi prolungati con un respiro molto più ampio di quella che si limita
certe fabbriche abbiano cambiato volto e sia cambia- a esaltare le gesta degli scioperanti del 43. Qui Bigaz-
ta anche, in meglio o in peggio, la condizione operaia. zi riesce a trasformare l’ambiente socio-tecnico del-
Ma non è questo il punto, ho introdotto questo discor- la fabbrica in una specie di grandioso scenario dove
so per dire che negli anni ’70 la “cronaca della lotta” si recita un’umana commedia, non solo uno scontro
ha assunto uno specifico formato, tanto da diventare di classe. Le notazioni relative alla composizione di
quasi un genere o subgenere narrativo. Duccio questo classe sono molto frequenti ma sembrano, tutto som-
genere non lo ha mai praticato, anche quando trattava mato, marginali. Si parla del ruolo delle donne, più
periodi e contesti tramandati come momenti epici di significativo nell’indotto che nelle fabbriche centrali
lotta operaia. Tipico caso: gli scioperi del marzo 1943 dell’auto. Non sottoposte al ricatto della chiamata alle
a Torino. Io trovo molto interessante e significativo il armi, hanno meno rispetto della disciplina, accresco-
modo in cui Duccio nel saggio “La fabbrica nella cri- no l’indice di conflittualità. Si parla degli apprendisti,
si del regime fascista” riesce a non parlare degli scio- giovanissimi, un quarto della forza lavoro nell’indu-
peri del marzo 43, pur dedicando tutta la sua attenzio- stria bellica, che entrano con la prospettiva di restarci,
ne al disagio e alle sofferenze di chi lavorava in fab- in fabbrica, e non si distinguono per comportamen-
brica, sia come operaio che come cittadino, proprio ti conflittuali. Le due grosse componenti, gli addetti
nel periodo in cui quegli scioperi hanno avuto luogo. macchina, manovali specializzati e gli operai comuni,
Avesse dedicato anche lui piena attenzione alla dina- non cambiano significativamente il loro peso percen-
mica della lotta, avrebbe circoscritto la rottura tra fa- tuale negli anni di guerra. Non si parla, se non en pas-
scismo e classe operaia ai protagonisti e partecipanti sant, dell’altro episodio tramandato con l’enfasi epica
agli scioperi. La sua idea progettuale è un’altra, la sua della Resistenza, il salvataggio degli impianti indu-
ipotesi di ricerca è ben più ambiziosa: capire perché striali da parte di una classe operaia professionalizza-
la classe operaia ha determinato il cedimento del fron- ta, episodio che sappiamo quanto ha contribuito a cre-
te interno, innescando un processo ben più ampio, al are l’icona del bravo operaio per il quale quella mac-
quale ha dato il suo contributo una platea ben più va- china, quel contesto socio-tecnico è la patria, non l’I-
sta di quella rappresentata dagli scioperanti del marzo talia. Certe volte si coglie l’intenzione di Duccio me-
43. Gli scioperi sono stati come l’eruzione di un vul- glio nelle cose che non racconta e che talvolta dice di
cano ma il regime è stato scosso dalle fondamenta da non voler raccontare, che in quelle di cui approfon-
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disce l’analisi. In conclusione: il modo in cui tradi- tomotive è come studiare un territorio senza prestare
zionalmente è stato trattato il conflitto industriale da attenzione alle strade o alle infrastrutture di trasporto.
parte degli storici – lo sciopero, la fermata di repar- Il passaggio dalle transfer e dai convogliatori a gan-
to, l’occupazione, i picchetti ecc. – era in maniera più cio ai robot non è l’aspetto più significativo della ri-
o meno esplicita concepito come fase della costruzio- voluzione avvenuta nel settore in questi anni. Il vero
ne dell’edificio chiamato “movimento operaio orga- salto di qualità è avvenuto quando tutto questo com-
nizzato”, il sindacato, il partito. Negli anni ’70 il tipo plesso sistema è stato sottoposto ai dettami di un co-
di conflittualità nuova che si manifesta dopo l’autun- dice chiamato Word Car Manufacturing, che ha pro-
no caldo modifica questa impostazione e nelle “cro- ceduralizzato (non è una bella parola!) anche la mi-
nache delle lotte” si esalta la democrazia diretta, l’e- nima operazione che si compie nel ciclo, stabilendo
mancipazione degli operai comuni, l’autonomia ope- per ogni singolo passaggio dei protocolli che vanno
raia come traguardi più importanti del rafforzamen- rispettati rigorosamente, pena l’espulsione dal mer-
to di un’organizzazione esistente. Se nei racconti del- cato delle aziende che non rispettano quel codice. E
la Resistenza alla fine il Partito è il vincitore, nelle questo ha creato un segmento di tecnici dedicati al
cronache delle lotte anni ’70 si cerca di dare maggio- controllo, che costituisce di per sé un caso interessan-
re risalto alla vittoria del collettivo operaio, potrem- te di analisi della composizione della nuova forza la-
mo dire che scompare la bandiera rossa dai racconti. voro. Ma esempi come questo ce ne sono a decine se
Duccio è un grande artefice di ricostruzioni di conflit- si guarda non più alla fabbrica ma al sistema a rete
ti senza insegne, senza slogan, senza gloria. che oggi è la nuova fabbrica. Anche quella che appare
come la fase finale, anche Pomigliano, dove la mono-
Una riflessione per chiudere scocca diventa un’automobile, e dove i robot domina-
no incontrastati, non è il punto di arrivo perché la lo-
Si potrebbe dire che il grande lavoro di Duccio è gistica non si ferma lì, va avanti, non solo nella rete
dedicato a un mondo che fu, un mondo che dalla sto- distributiva ma soprattutto nel servizio post-vendita,
ria contemporanea ha fatto in pochi anni il passag- nell’assistenza al cliente, operazioni che, concettual-
gio all’archeologia industriale. Le vicende specifiche mente, erano considerate ausiliarie ed oggi invece ri-
dell’industria dell’auto in Italia, dopo il 1980, dopo le entrano nel continuum del processo produttivo/distri-
grida e i fischietti delle lotte degli anni ’70, ci hanno butivo. Allargando lo sguardo in questo modo, cer-
riservato un ventennio di silenzio surreale, alla fine cando di cogliere con l’occhio dello storico l’estrema
del quale invece di trovare un’industria rafforzata da complessità del ciclo dell’auto oggi, scopriamo anche
una pace sociale paragonabile a quella del Ventennio che il conflitto invece di scomparire riappare prepo-
fascista, abbiamo scoperto un ammasso di macerie tentemente, ma riappare nelle nervature della logisti-
provocato da un management irresponsabile che è ri- ca, non nei gangli della produzione, riappare in quel-
uscito persino a cancellare l’Italia dalla lista dei pa- la che ieri era periferia ed oggi grazie al “flusso teso”
esi produttori di auto. Anche la classe operaia è sta- (espressione che preferisco a quella comune di just
ta cancellata, sia come soggetto sociale sia come fat- in time) è diventata centro. Il ritorno dell’industria
tore della produzione. Oggi, dobbiamo riconoscere dell’auto sta producendo un upgrading del nostro si-
che le acrobazie finanziarie di un manager italo-ca- stema manifatturiero che si era concentrato sulle bas-
nadese hanno riportato in Italia l’industria dell’auto e se tecnologie e poteva servirsi di una facile deloca-
l’ambiente socio-tecnico che si chiama fabbrica. Ma è lizzazione verso mercati del lavoro low cost. Questo
così diversa da quella studiata da Duccio Bigazzi che ritorno sta producendo un upgrading della logistica,
il suo insegnamento metodologico pare difficilmente che in Italia si era concentrata quasi esclusivamente
possa essere utile a chi volesse indagarla come stori- su una logistica distributiva “mordi e fuggi”, esaspe-
co. Cosa c’è a Pomigliano oggi che possa assomiglia- rata oggi dall’e-commerce. La supply chain dell’au-
re a Mirafiori anni ’60? Nulla. E se di classe operaia tomotive va in direzione opposta. E torna anche l’in-
non possiamo più parlare, che interesse presenta Po- teresse per il lavoro industriale, se non altro per scopi
migliano se non per gli appassionati di robotica? aziendali (si veda per esempio l’ampia inchiesta che
Un momento: oggi parlare di fabbrica non ha sen- ha coinvolto 5.000 operai di Pomigliano sotto la regìa
so, si parla di ciclo dell’auto. Negli ultimi 30/40 di sociologi come Luciano Pero, Anna Ponzellini ed
anni i fenomeni della specializzazione flessibile e altri). In questo quadro di possibile riqualificazione
dell’outsourcing hanno trasformato la fabbrica mo- del nostro sistema manifatturiero, l’insegnamento di
nocentrica in un sistema a rete, in un universo multi- Duccio continua a rimanere attuale.
polare tenuto insieme da una fittissima maglia di ner-
vature che rappresenta il territorio della logistica e Sergio Bologna
basterebbe pensare a questo, immaginare questo fir-
mamento per rendersi conto della molteplicità di fi-
gure professionali che si agitano dentro, che appaio-
no, scompaiono, riemergono, si trasformano. Studiare
oggi il ciclo dell’auto trascurando la logistica dell’au-
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Autonomia e soggettività:
l’inchiesta ieri e oggi

L’inchiesta operaia è stata il punto più alto di unificazione giustificano lo sviluppo capitalistico e contro le for-
delle conoscenze rivoluzionarie. me di controllo sociale che ne assicurano la stabilità.
Primo Moroni Plurali, siccome questo processo di soggettivazione
attraversa delle soglie storiche e delle fasi di trasfor-
Dopo la crisi economica del 2008 e il nuovo ci- mazione che costituiscono il vero criterio di periodiz-
clo di lotte che l’ha accompagnata, è diventato luo- zazione dello sviluppo capitalistico. È senza dubbio
go comune diagnosticare il ritorno nei dibattiti intel- il concetto di “composizione di classe” ad esprimere
lettuali e politici del riferimento ai marxismi. Tra le al meglio questa dialettica storica di assoggettamen-
varie tradizioni marxiste che oggigiorno sono ogget- to e soggettivazione. Da un lato, infatti, il concetto in-
to di riscoperta, una in particolare ci pare presentare dica le forme di subordinazione dei lavoratori ai rap-
una bella vitalità: l’operaismo. Si possono invocare porti di produzione capitalisti. Dall’altro, invece, rin-
numerose ragioni per spiegare tale vitalità. Alla stre- via alle forme d’insubordinazione che essi inventano
gua delle differenti tendenze della “sinistra comuni- al contatto con questi rapporti, trascinandoli così in
sta”, ma senza condividerne lo spirito settario, l’ope- una dinamica di ristrutturazione continua.
raismo si è infatti costituito attraverso un atto di rot- Giungiamo in questo modo a ciò che costituisce la
tura con l’ortodossia terzo-internazionalista e non è seconda caratteristica che consente di spiegare il rin-
stato dunque screditato dallo sgretolamento dei regi- novato interesse di cui è oggi oggetto l’operaismo:
mi sovietici. Nelle sue varie mutazioni, è sempre stato il fatto che si tratti di un marxismo autonomo. Scru-
inoltre capace di legare la ricerca intellettuale all’im- tare le trasformazioni della composizione di classe,
pegno politico, in modo da poter dar luogo sia a delle studiare i processi attraverso i quali delle soggetti-
riappropriazioni teoriche che a degli investimenti mi- vità antagoniste si costituiscono dentro e contro le
litanti. Per comprendere l’interesse che suscita tutt’o- forme del loro assoggettamento al capitale, signifi-
ra l’operaismo, tuttavia, un’altra caratteristica ci pare ca infatti partire costantemente alla ricerca della leva
debba essere sottolineata: il fatto che si tratti essen- che permette di convertire l’alienazione in autono-
zialmente di un marxismo della soggettività. mia. Come il concetto di soggetto, la nozione di “au-
Dalla sua elaborazione iniziale nelle pagine dei tonomia” si declina allora al plurale, in quanto desi-
Quaderni rossi alle sue reinvenzioni più recenti, l’o- gna al contempo e inestricabilmente: autonomia dei
peraismo si è in effetti sempre sforzato di comprende- proletari rispetto al loro statuto di lavoratori, auto-
re le trasformazioni del capitalismo dal punto di vista nomia della classe rispetto allo sviluppo capitalisti-
delle forme di soggettività alle quali queste trasfor- co e rispetto alle istituzioni ufficiali della contesta-
mazioni si impongono e contro le quali esse si oppon- zione sociale, autonomia infine delle donne rispetto
gono. Parlare di “forme di soggettività” implica im- ai lavoratori uomini, dei lavoratori immigrati o raz-
mediatamente attirare l’attenzione sul fatto che, per zializzati rispetto al proletariato bianco, dei preca-
gli operaisti, la riflessività e l’iniziativa pratica che ri rispetto ai salariati stabili. Come lo si può evince-
designa classicamente il concetto di “soggetto” non re, tale autonomia, esattamente come la soggettivi-
sono né date né univoche, ma prodotte e plurali. Pro- tà antagonista, non è data di per sé stessa nei rappor-
dotte, siccome la capacità di un individuo o di un col- ti sociali. Deve piuttosto essere politicamente susci-
lettivo di operare un ritorno critico sulla propria espe- tata, strategicamente perseguita, tatticamente copro-
rienza e di adottare una linea di condotta determinata dotta. Ora, la pratica militante che permette di ope-
si costruisce sempre contro le forme ideologiche che rare questo doppio passaggio – dall’assoggettamento
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alla soggettivazione, dall’alienazione all’autonomia pitalistica della società attorno e attraverso la fabbri-
– non è altro che la pratica dell’inchiesta. ca rimane tuttavia contradditorio. Da un lato, realizza
Dalla soggettività all’inchiesta e dall’inchiesta la feticizzazione completa dei rapporti di produzione
all’autonomia: tale è dunque il percorso che ci propo- capitalisti, la cui specificità storica tende a identifi-
niamo di tracciare nel nostro contributo, il cui obietti- carsi con una socialità generica. Dall’altro, segna in-
vo consiste al contempo nel rendere conto delle gran- vece il punto in cui il capitale, avendo integrato l’in-
di scansioni teorico-politiche dell’operaismo e nell’a- sieme delle mediazioni sociali, si espone all’insubor-
prire delle piste di ricerca favorevoli alla sua attua- dinazione operaia. Dire che “la fabbrica estende il suo
lizzazione. Cominceremo con l’esaminare la manie- dominio esclusivo su tutta la società” significa in ef-
ra in cui, in Operai e capitale, Mario Tronti articola fetti affermare che le lotte di fabbrica hanno il po-
diagnosi storica del capitalismo e fenomenologia del- tere di disfare l’articolazione capitalista della totali-
le figure soggettive della lotta di classe. Ci sofferme- tà sociale. È questa logica contradittoria d’integrazio-
remo in seguito sulle forme organizzative dedotte da ne della classe al capitale sociale e di disarticolazio-
Antonio Negri da tale articolazione all’epoca dell’au- ne del capitale sociale tramite la classe che Tronti rin-
tonomia. E ci sforzeremo per finire di delineare delle traccia nell’architettura concettuale stessa del Capi-
ipotesi politiche per un cantiere di inchieste militanti tale di Marx.
tarato sulla congiuntura contemporanea. Per l’autore de Il capitale, infatti, il Doppelcha-
rakter delle categorie della critica dell’economia po-
Tronti e le figure soggettive dell’antagonismo litica – valore d’uso/valore di scambio, lavoro concre-
to/lavoro astratto, forza-lavoro/lavoro vivo, processo
Pubblicato nel 1966, Operai e capitale pone i fon- di lavoro/processo di valorizzazione, capitale costan-
damenti dell’interpretazione operaista del nuovo ci- te/capitale variabile – rivela e dissimula al contem-
clo di lotte inaugurato dall’afflusso massiccio di la- po la natura essenzialmente conflittuale dei rapporti
voratori non-qualificati provenienti dal Sud Italia ver- di produzione capitalisti. Interpretando la dualità del-
so le grandi fabbriche del Nord, all’epoca in pieno le categorie marxiane dal punto di vista del dualismo
processo di taylorizzazione. Sono infatti le nuove ge- iscritto nella società dall’esistenza stessa della clas-
nerazioni operaie degli anni ’60, e i loro comporta- se, Tronti lavora dunque alle differenti mediazioni at-
menti di insubordinazione spontanea, ad indirizzare traverso le quali la merce forza-lavoro si trasforma in
gli operaisti verso la scoperta di una soggettività po- classe operaia antagonista. Come lo attesta un cele-
litica incastonata nei rapporti stessi di produzione. Lo bre passaggio, è innanzitutto dal punto di vista stori-
scopo del gruppo di ricercatori-militanti riunito attor- co che tale trasformazione va analizzata:
no ai Quaderni rossi consiste allora nell’articolare un Abbiamo visto anche noi prima lo sviluppo capita-
quadro teorico capace di definire la specificità del- listico, poi le lotte. È un errore. Occorre rovesciare il
la nuova figura soggettiva dell’antagonismo attraver- problema, cambiare il segno, ripartire dal principio: e
so la pratica dell’inchiesta militante: è questo il meto- il principio è la lotta di classe operaia2.
do che permette loro di tessere il legame tra l’analisi Bisogna qui prendere alla lettera la tesi secondo la
della congiuntura e l’azione politica autonoma. Que- quale “il principio è la lotta di classe operaia”, poi-
sto nuovo ciclo di lotta, di cui gli “eventi” di Piazza ché per Tronti la formazione di questa classe precede
Statuto costituiscono in qualche modo l’allegoria, te- storicamente quella della classe capitalista. La clas-
stimonia infatti di una nuova fase dello sviluppo, le se operaia appare innanzitutto sulla scena della storia
cui grandi tendenze sono descritte da Tronti come se- in quanto massa di proletari condannati a vendere la
gue: “al livello più alto dello sviluppo capitalistico, il propria forza-lavoro a dei capitalisti individuali a cau-
rapporto sociale diventa un momento del rapporto di sa della loro “liberazione” dai rapporti di dipendenza
produzione, la società intera diventa un’articolazione feudali e dai mezzi di produzione. Ma, dal momento
della produzione, cioè tutta la società vive in funzio- in cui tale massa di venditori è gettata nel processo di
ne della fabbrica e la fabbrica estende il suo dominio produzione, comincia a organizzarsi in quanto clas-
esclusivo su tutta la società”1. se di produttori, obbligando così i loro datori di lavo-
Per Tronti, il processo di sussunzione della socie- ro a costituirsi a loro volta in classe unificata a cau-
tà sotto la logica dell’accumulazione capitalista gene- sa della necessità di controllare coloro che sfruttano.
ra una riorganizzazione profonda di tutte le sfere e di Nella prospettiva trontiana, i capitalisti sono dunque
tutte le pratiche sociali. Per prendere qualche esem- “reazionari” nel senso rigoroso del termine, in quan-
pio, sviluppato in particolare dal femminismo auto- to la loro stessa esistenza altro non è che una reazione
nomo: la scuola forma la forza-lavoro che sarà sfrut- alla costituzione politica della classe operaia. Ciò non
tata in fabbrica, la fabbrica determina lo sviluppo di significa, tuttavia, che i capitalisti siano storicamen-
infrastrutture urbane, di mezzi di comunicazione e di te passivi. Al contrario: dal momento in cui formano
circolazione, oltre che di città-dormitorio, e nelle cit- a loro volta una classe cominciano a utilizzare l’anta-
tà-dormitorio il lavoro riproduttivo delle donne assi- gonismo operaio come forza motrice per l’accumula-
cura la disponibilità incessante di forza-lavoro sfrut- zione di capitale3.
tabile in fabbrica. Tale processo di totalizzazione ca- L’analisi della lotta per la giornata di lavoro “nor-
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male” sviluppata ne Il capitale rappresenta senza Fenomenologia dello spirito. Se in Hegel il proces-
dubbio il miglior esempio dell’uso capitalista dell’an- so di formazione della coscienza individuale segue le
tagonismo operaio. Strappando una “legge sulle fab- stesse tappe del processo di costituzione storica del-
briche” che fissa un limite legale al tempo di lavoro, lo Spirito, così in Tronti il divenire-rivoluzionario del
spiega infatti Marx, la classe operaia favorisce l’in- lavoratore individuale percorre le medesime tappe del
tegrazione dello Stato e del capitale e dunque l’uni- processo di costituzione storica della classe: forza-la-
ficazione della classe dominante in classe dirigente. voro – lavoro produttivo – classe operaia. Al suo più
E questa integrazione dello Stato e del capitale scate- alto grado di sviluppo, infatti, il capitale sociale rein-
na a sua volta la transizione da una forma di sfrutta- tegra la genesi della sua costituzione nelle sue strut-
mento fondata sul prolungamento del tempo di lavo- ture costituite, trasformando in tal modo tutte le sfere
ro (estrazione di plusvalore assoluto) a una forma di della società in siti di soggettivazione antagonista. A
sfruttamento fondata sull’intensificazione della pro- questo livello d’analisi, la storia delle lotte di classe si
duttività del lavoro via la meccanizzazione del pro- rivolge dunque in fenomenologia delle figure sogget-
cesso di lavoro (plusvalore relativo). A seguire Tron- tive del conflitto.
ti, non bisogna vedere nel passaggio dal plusvalore Nella sfera della circolazione, prima di entrare nel
assoluto al plusvalore relativo una pura e semplice processo di produzione, l’operaio fronteggia il capita-
sconfitta operaia. Da una parte, tale passaggio testi- lista in quanto figura di venditore di merce che scam-
monia la dipendenza dello sviluppo capitalistico nei bia la sua forza-lavoro contro del denaro. Nella sfe-
confronti dell’iniziativa operaia. Dall’altra, determina ra della circolazione, dopo essere uscito dal processo
il varco di una soglia critica nella concentrazione de- di produzione, l’operaio fronteggia lo Stato in quan-
gli operai in seno alla grande industria meccanizzata. to figura di cittadino che riceve dei redditi. In entram-
Da tale prospettiva, le lotte operaie non possono esse- bi i casi, il rapporto del lavoratore rispetto ai “suoi”
re ridotte a un momento meramente funzionale rispet- altri (il capitalista, lo Stato) presuppone l’integralità
to allo sviluppo economico del capitale. Ma è piutto- dei rapporti di produzione capitalisti. Lo scambio de-
sto “il sistema economico capitalistico” che deve es- naro/forza-lavoro non potrebbe infatti aver luogo se i
sere ricondotto a “un momento di sviluppo politico capitalisti non avessero monopolizzato tutte le condi-
della classe operaia”4. zioni sociali della produzione. E la regolazione statale
Forte di questa “rivoluzione copernicana”, Tron- della distribuzione dei redditi definisce la forma poli-
ti si accinge a scrivere la storia dello “sviluppo politi- tica del dominio esercitato dal capitale su tutta la so-
co della classe operaia” come un Bildungsprozess nel cietà. Appare allora chiaro come la sfera della circo-
corso del quale i lavoratori accumulano il potere di lazione e quella della distribuzione costituiscano dei
rompere con la logica lineare dello sviluppo capitali- terreni di lotta nei quali i lavoratori sono più debo-
stico5. E ancora una volta, queste ipotesi sono verifi- li, in quanto la lotta tra le classi vi riveste un caratte-
cate e praticate dall’inchiesta militante, che mette in re riformista e individualizzato. In tali ambiti, i lavo-
luce le mutazioni profonde della composizione sog- ratori sono infatti ridotti a rivendicare delle miglio-
gettiva e politica della classe operaia. Dai cortei spon- ri condizioni d’assunzione oppure a esigere una mi-
tanei all’interno delle fabbriche all’assenteismo osti- gliore ripartizione della ricchezza sociale tra i mem-
nato, dall’auto-riduzione dei ritmi di lavoro all’ostili- bri della società.
tà aperta rispetto all’esecuzione delle mansioni pre- Nella sfera della produzione, invece, il lavorato-
scritte, dalla negligenza rispetto alle tappe della pro- re non è sfruttato in quanto individuo, bensì in quanto
duzione al danneggiamento delle macchine e del- membro interscambiabile del “lavoratore collettivo”.
le merci, dall’indisciplina rispetto ai cronometri alla Generalizzando lo sfruttamento, il capitale socializ-
violenza diretta contro i capi di dipartimento, duran- za la forza-lavoro come lavoro produttivo. E massifi-
te tutti gli anni ’60 la conflittualità eccede le fabbri- cando la produzione, fa nascere ciò che Sergio Bolo-
che italiane, fino a riversarsi nelle metropoli. Secon- gna ha definito l’“operaio-massa”. Dequalificato dal-
do Tronti e gli operaisti, queste nuove forme di lot- la meccanizzazione del processo lavorativo, estraneo
ta esprimono il rifiuto puro e semplice del mondo del all’identità operaia ereditata dai giorni gloriosi del-
lavoro, facendo saltare la dicotomia classica tra lot- la Resistenza, ostile alle forme di organizzazione tra-
te economiche e lotte politiche. Poiché le lotte eco- dizionale del movimento operaio, l’“operaio-massa”
nomiche riescono a pesare sulla ripartizione del valo- trova nella fabbrica il terreno di lotta nel quale diven-
re aggiunto, finiscono per impattare direttamente sul- ta praticamente possibile rifiutare il proprio statuto di
la stabilità politica; acquisiscono cioè una dimensione lavoratore. È dunque nella fabbrica che il “rifiuto del
autenticamente sovversiva, diventando politicamente lavoro” riceve una portata strategica e che la classe
insostenibili. operaia accumula il massimo di forza, in quanto tutto
Non bisogna allora stupirsi se, dopo aver affron- il ciclo di valorizzazione capitalista dipende dalla sua
tato le poste in palio storico-politiche della fase neo- partecipazione attiva. Costituiti in classe operaia at-
capitalista nelle “prime ipotesi” e ne “un esperimen- traverso la loro incorporazione nella grande industria,
to politico di tipo nuovo”, le “prime tesi” di Operai ai proletari non resta perciò che rivendicare il potere
e capitale contengono una lunga discussione della e la fine dello sfruttamento. Da cui lo slogan verso il
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quale convergono tutte le analisi di Operai e capitale: multinazionali nello Stato nazionale corrisponde allo-
“il partito in fabbrica”! ra una ristrutturazione del modo di produzione, di cui
Giunti a tale livello, appare chiaro che il concet- il passaggio seguente di Proletarie e Stato fornisce le
to di “fabbrica” non designa più soltanto in Tronti il principali caratteristiche:
centro della totalità sociale attorno al quale si artico- Nelle sue linee portanti il processo di ristruttura-
lano tutte le altre sfere della società. Ma si riferisce zione in atto riprende in Italia le caratteristiche princi-
ugualmente, e più fondamentalmente, alla scena poli- pali della ristrutturazione capitalistica del e sul mer-
tica nella quale tutti i conflitti sociali sono totalizzati cato mondiale: punta cioè a determinare una mag-
e tendono a semplificarsi nella lotta epocale tra “ope- giore forza del commando capitalistico attraverso un
rai e capitale”. È precisamente tale centralità politica massimo di flessibilità della forza-lavoro, contro l’or-
della fabbrica che la svolta “autonoma” dell’operai- ganizzazione operaia, – vale a dire contro la sua mo-
smo rimette in questione. bilità politica e contro la sua rigidità salariale. Que-
sto obiettivo è approssimato attraverso modificazio-
“Nella giungla della fabbrica sociale”: l’operai- ni che riguardano l’articolazione settoriale della pro-
smo di Negri duzione (sua riorganizzazione con accentuazione del
peso del settore dei beni strumentali: motori, ciberne-
Come sottolineato da Steve Wright, la tesi ope- tizzazione, telefonia ecc., e con la conseguente stru-
raista di un rapporto organico tra fabbrica e socie- mentazione diffusa del “controllo tecnologico” della
tà può dare adito a due letture alternative. Per la pri- socializzazione del lavoro industriale), l’integrazione
ma, la sussunzione di tutte le mediazioni sociali sotto fra industria e settori collaterali (soprattutto il credito
la logica della valorizzazione capitalista rivela il ca- e la distribuzione: che è come dire “terziarizzazione”
rattere esplosivo delle lotte che si svolgono dentro le del lavoro industriale), e infine la riorganizzazione in-
cinte della fabbrica. Per la seconda, tale sussunzio- terna dell’industria (processi di decentramento delle
ne richiede al contrario “l’allargamento della catego- lavorazioni ecc.). Socializzazione, terziarizzazione,
ria [economica] di lavoro produttivo oltre il proces- flessibilizzazione (decentramento ecc.) del lavoro in-
so di lavoro immediato”6 e, correlativamente, l’esten- dustriale sono dunque i tre obiettivi fondamentali che
sione della categoria politica di classe operaia oltre si aggiungono e si articolano, nella ristrutturazione in
il salariato. Intervenendo in una congiuntura marca- corso, a quello permanente del controllo e della ridu-
ta dal rinnovo delle lotte di fabbrica culminate nello zione del costo del lavoro7.
sciopero generale dell’Autunno caldo del ‘69, Tron- Sebbene il concetto non intervenga, a essere qui
ti opta – come abbiamo visto – in favore della prima descritto è un capitalismo “post-fordista” caratteriz-
ipotesi. Sforzandosi di comprendere e di organizza- zato dall’esternalizzazione della produzione, dal po-
re le lotte autonome culminate dal canto loro nel mo- tenziamento dei servizi e delle telecomunicazioni e
vimento del Settantasette, i cui protagonisti principa- dalla flessibilizzazione della forza-lavoro. Per Negri,
li non sono più solo gli operai, ma anche gli studen- questi differenti fenomeni devono non solamente es-
ti, i disoccupati, i giovani lavoratori precari, le donne sere concepiti come una strategia di classe che mira a
e le minoranze, Antonio Negri adotta la seconda pro- rompere il potere acquisito dall’“operaio-massa” nel-
spettiva. la grande industria, ma anche come altrettanti fatto-
Da tale punto di vista, la produzione intellettua- ri che conducono alla disseminazione della coopera-
le del Negri degli anni ’70 appare inseparabile dai di- zione – un tempo concentrata nella fabbrica – sull’in-
battiti strategici che accompagnano la dissoluzione di sieme del territorio metropolitano. L’entrata rumoro-
Potere Operaio nell’“area dell’autonomia”. Coniu- sa del “partito” nella fabbrica ha così contribuito a
gando selvaggiamente la sperimentazione concettua- far uscire la fabbrica nella società. Ora, tale “unifica-
le con l’intervento politico, non può dunque essere zione produttiva del sociale”8 è accompagnata dall’e-
sottoposta a una ricostruzione strettamente analitica. mersione di una nuova figura della composizione di
Ciononostante, è possibile identificarvi due direzio- classe del proletariato – l’“operaio sociale”9 – la qua-
ni principali: da una parte, l’illustrazione delle corre- le ingloba sia il tecnico impiegato al petrochimico di
lazioni tra le trasformazioni istituzionali dello Stato e Porto Marghera che l’operaio appena reclutato alle
le ristrutturazioni del modo di produzione capitalisti- catene d’assemblaggio della Fiat per rimpiazzare i
co; dall’altra, l’identificazione del soggetto antagoni- vecchi operai dequalificati diventati piccoli-impren-
sta corrispettivo a tali mutazioni. ditori o lavoratori a domicilio, così come il giovane
Per quanto riguarda il primo punto, Negri diagno- disoccupato o lo studente precario benché altamen-
stica un’integrazione crescente tra imprese multina- te diplomato, fino ai differenti soggetti dei movimen-
zionali e Stati, la quale trasforma questi ultimi in sem- ti contro-culturali.
plici cinghie di trasmissione nazionali di una sovrani- Ci si potrebbe stupire nel vedere delle figure così
tà capitalista globale, ossia in meri punti d’appoggio diverse riunite sotto la medesima categoria. L’uni-
necessari al mantenimento arbitrario e puramente po- tà alla quale può aspirare l’operaio sociale, tuttavia,
litico del “comando” esercitato dalla legge del valo- non è sociologica, bensì politica. Essa non è infatti
re sul lavoro vivo. All’infiltrazione dell’azione delle fondata sull’omogeneità delle condizioni di lavoro e
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di vita, ma sulle pratiche antagoniste messe in atto. sta militante: non soltanto registrare gli effetti sogget-
Dall’assenteismo al sabotaggio, dal furto organizzato tivi della ristrutturazione capitalista, ma organizzarli
nei magazzini al rifiuto di pagare gli affitti o i traspor- in un “partito dell’autonomia”.
ti in comune (le “auto-riduzioni”), dall’occupazione È allora riscontrabile una tensione nel dispositivo
dei luoghi della produzione al conflitto armato con la teorico-politico di Negri. Da un lato, la pratica stessa
polizia: ciò che emerge è un nuovo arcipelago sovver- dell’inchiesta implica infatti l’idea secondo cui man-
sivo nel quale si esprime uno stesso desiderio diffuso, ca ancora qualcosa ai differenti processi sovversivi
sebbene risoluto, di libertà. Per cartografare tale arci- che attraversano la metropoli per potersi issare ai li-
pelago, Negri intraprende un lavoro di rovesciamen- velli d’intensità e di coordinazione necessari a realiz-
to del contenuto negativo dei concetti classici dell’o- zare la rottura con il capitale e il suo Stato. Dall’al-
peraismo in affermazione del loro contenuto positiva- tro, invece, l’identificazione di una tendenza comu-
mente comunista: la forza-lavoro sfruttata si trasfor- nista già all’opera “nella giungla della fabbrica so-
ma così in “forza-invenzione” di nuove forme di vita, ciale” rende quest’inchiesta superflua. Delle due cose
il “rifiuto del lavoro” in “auto-valorizzazione” dei bi- l’una: o la forma-inchiesta del “partito dell’autono-
sogni, ecc. La funzione di tale rovesciamento concet- mia” deve condurre un lavoro militante che permetta
tuale consiste nel far apparire il processo d’appropria- di convertire la composizione tecnica del proletariato
zione immediata della ricchezza sociale e l’apertura in composizione politica rivoluzionaria; oppure tale
di spazi di libertà in seno alle metropoli nelle quali è composizione politica si trova già data nella nuova
impegnato l’operaio sociale. E per Negri, l’aggiorna- organizzazione “post-fordista” del lavoro e, malgra-
mento di questa transizione al comunismo già avvia- do i dinieghi, l’inchiesta si riduce alla semplice con-
ta dentro e contro la fabbrica sociale passa attraverso statazione di un comunismo in atto, che è certo gio-
l’elaborazione di un’“inchiesta di massa sull’autono- ioso vedersi dispiegare, ma sul quale non v’è modo
mia operaia e proletaria”10. d’intervenire.
A leggere Proletari e Stato, appare chiaro come Questa tensione tra l’inchiesta come forma politi-
l’obiettivo di questa inchiesta non consista né nel “ve- ca e la sua impalcatura filosofica costituisce il bersa-
rificare” l’ipotesi dell’operaio sociale, né nel racco- glio polemico delle critiche che Sergio Bologna espo-
gliere del materiale empirico in vista della formula- ne nella recensione di Proletari e Stato e ne La tribù
zione di un programma di lotta. Quanto piuttosto nel delle talpe. Se gli scritti politici del Negri degli anni
consolidare le “basi rosse” conquistate nei quartieri ’70 insistono infatti sulla centralità dell’operaio so-
popolari, effettuando la coordinazione delle iniziati- ciale, Bologna si focalizza piuttosto sulle controten-
ve prese in modo autonomo dalle figure eterogenee denze determinate dallo sviluppo capitalistico e dal-
del proletariato metropolitano: “in questa giungla del- la reazione statale rispetto alle lotte operaie e socia-
la fabbrica sociale le avanguardie possono oggi inve- li. In questi scritti, Bologna avanza una lettura basata
ce costruire dei focolai di lotta insurrezionale attorno sulle frammentazioni e sulle stratificazioni interne al
ai quali le masse degli sfruttati si riuniscono”11. In al- neo-proletariato. Dal suo punto di vista, lungi dal pre-
tri termini, l’“inchiesta di massa sull’autonomia ope- disporre l’unità della classe e dall’intensificare la pre-
raia e proletaria” costituisce l’esistenza materiale del senza comunista in seno al mondo capitalista, la dis-
“partito dell’autonomia” così come esso emerge dal- seminazione della produzione lungo il tessuto metro-
la moltitudine di pratiche antagoniste che attraversa- politano e provinciale accentua la disgregazione delle
no la fabbrica sociale. forze rivoluzionarie. Ciò che è all’opera, allora, non
Questa identificazione del partito con l’inchiesta è tanto una radicalizzazione della “dialettica della se-
si basa in Negri su due principali concetti, elaborati parazione”12 capace di sostenere l’auto-valorizzazio-
in particolar modo nelle Trentatré lezioni su Lenin. Il ne soggettiva, quanto un processo di dissoluzione del-
concetto di “astrazione determinata”, il quale designa la nuova composizione politica. La diffusione di pic-
l’operazione consistente nell’isolare la composizione cole e medie imprese, l’espansione dei servizi e l’e-
della classe operaia – ossia la socializzazione del la- mersione della logistica, assieme alle manovre finan-
voro vivo generata dalla dispersione territoriale del- ziarie e monetarie, si rivelano decisive per rilancia-
la fabbrica –, nell’astrarla dalla formazione sociale in re la dinamica di accumulazione del capitale e doma-
seno alla quale essa esiste, in modo da cogliere il ca- re la conflittualità sociale. Questi processi si rivolgo-
pitalismo al suo più alto livello di sviluppo. E il con- no infatti contro gli strati inferiori della società; sgre-
cetto di “tendenza”, il quale designa il metodo con- tolano le classi medie, precarizzano i giovani e scom-
sistente 1. nell’anticipare teoricamente la direzione pongono il mondo operaio.
che segue lo sviluppo capitalistico e 2. nell’anticipare È così che Bologna, anziché seguire le tendenze
praticamente la composizione politica che s’annuncia dei punti più avanzati dello sviluppo capitalistico,
nelle forme spontanee dell’insubordinazione operaia. privilegia la ricerca di settori che fungono da cernie-
I concetti d’“astrazione determinata” e di “metodo ra tra fabbrica e società. Per dirlo altrimenti: laddove
della tendenza” permettono così d’identificare il sog- Negri fa dell’inchiesta una piattaforma militante che
getto sociale al quale s’indirizza l’inchiesta (l’operaio permette di produrre l’unità politica operante dietro
sociale) e di definire gli obiettivi politici dell’inchie- l’apparente molteplicità delle figure soggettive che
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compongono l’operaio sociale, Bologna la conside- tivo e lavoro improduttivo, lavoro manuale e lavoro
ra come un metodo per prendere le misure dell’irri- intellettuale, produzione e riproduzione, focalizzando
ducibile pluralità delle esperienze sociali e delle for- sempre più l’attenzione sul ruolo giocato dalle diver-
me di mobilitazione che accompagnano la ristruttura- se forme di dominio nella ri-modulazione dei proces-
zione capitalista. Potremmo così dire che attribuisce si di sfruttamento.
all’inchiesta una funzione negativa e critica – mettere In questa congiuntura, la questione politica prima-
in luce gli ostacoli che s’oppongono alla costituzio- ria concerne quindi l’articolazione tra differenti lot-
ne del proletariato in classe antagonista – mentre Ne- te sociali a partire dalla loro autonomia rispettiva.
gri le attribuisce la funzione positiva e performativa di Ecco l’orizzonte economico-politico nel quale ci ri-
creare la figura soggettiva che incarna già virtualmen- troviamo a partire dall’inizio degli anni ’70: l’impos-
te tale antagonismo. A quarant’anni da questi dibatti, sibilità di ridurre la pluralità a unità; l’impossibilità
il nostro rompicapo politico si pone allora all’incro- di costruire un fronte unico, di costituire un blocco
cio tra queste due prospettive e potrebbe essere decli- sociale compatto. Malgrado le differenze specifiche
nato nel modo seguente: come attribuire una funzione di ogni (ciclo di) lotta, è tale molteplicità di linee –
produttiva e affermativa all’inchiesta, a partire dall’e- di condizioni materiali di vita e di lavoro, di genere,
terogeneità e dall’autonomia irriducibili delle figure di razza, di generazione, ecc. – che si manifesta sul-
della subalternità? le strade e nelle piazze da diversi decenni, in Europa
come altrove. Ed è dunque a partire da tale situazione
Attualità del metodo al contempo oggettiva e soggettiva che tracciamo del-
le piste attinenti un lavoro d’inchiesta militante che
Che cosa resta oggigiorno del metodo operaista? mira a rispondere alle sfide del presente. Se si con-
Che cosa significa praticare qui e ora l’inchiesta mili- divide tale diagnosi, riflettere nuovamente all’inchie-
tante, in un contesto storico così differente? Rispetto sta implica affrontare diversi nodi: chi fa l’inchiesta?
agli anni 1960-70, è infatti chiaro che non ci troviamo Con quali forze militanti? In vista di quali obiettivi?
più in una fase ascendente dell’accumulazione del ca- Assieme, con e per quali soggettività? In quali luoghi
pitale, né in un ciclo espansivo dei movimenti di con- fisici o in quali spazi sociali? Con quale grado di in-
testazione. Da un lato, i rapporti sociali di produzione ternità? Al fine di costruire delle traiettorie di mobili-
si sono riconfigurati: la divisione transnazionale del tazione o di saldare delle realtà organizzative già esi-
lavoro e la moltiplicazione delle condizioni di sfrut- stenti? Delle inchieste a breve, a medio o a lungo ter-
tamento hanno accentuato ancora più le linee di divi- mine? Delle inchieste a “caldo”, a “freddo” o laddove
sione interna alla composizione di classe. Dall’altro, la situazione sembra sul punto d’insorgere?
malgrado le numerose sequenze di sollevamenti che Siccome fare della politica significa essere con-
si sono manifestate dal 2011, la reazione neoliberale dannati a pensare e agire nella contingenza, parliamo
non soltanto continua la sua opera di ristrutturazione a partire dalla singolarità storica nella quale ci ritro-
sociale, ma si è ulteriormente rafforzata dopo la crisi viamo immersi, ossia la fase che si è aperta in Francia
del 2007-08. La variabilità delle traiettorie della crisi dopo la mobilitazione contro la Loi Travail e il suo
ha così ridefinito l’intreccio tra ridispiegamento delle mondo. Malgrado la sconfitta, ciò che ha caratterizza-
dinamiche globali d’accumulazione e specificità dei to positivamente (almeno per un certo periodo) que-
capitalismi regionali. Questi processi hanno messo a sto movimento è la forte azione reciproca che è sus-
nudo la sovrapposizione tra la pluralità delle logiche sistita tra crescita della conflittualità sindacale e po-
di valorizzazione e la molteplicità delle forme di con- liticizzazione di una parte significativa della cittadi-
trollo e sfruttamento del lavoro vivo attraverso le qua- nanza; tra lotte salariali e rimessa in causa più gene-
li si è elaborata la riorganizzazione finanziaria delle rale dell’esistente; tra critica dello sfruttamento e cri-
società a partire dalla metà degli anni ’70. tica del dominio; tra, in fin dei conti, critica del capi-
Come disfare, allora, la combinazione gerarchica tale e critica dello Stato, nella sua duplice veste di cri-
di diversi regimi di governance della forza-lavoro – tica della rappresentanza e critica delle violenze po-
tanto più che questa “inclusione differenziale” opera liziesche. È questa azione reciproca che ha costitui-
sia a livello metropolitano che planetario? Se l’ado- to il vero filo rosso della contestazione. La si è vista
zione di uno sguardo extra-occidentale o di una pro- all’opera tra il carattere di massa e via via più risolu-
spettiva di longue durée costringono già a “provincia- to delle manifestazioni e l’occupazione delle piazze.
lizzare l’Europa” e a relativizzare la portata dei rap- A nostro avviso, le manifestazioni hanno rappresen-
porti salariali, lo scoppio in corso di nuove forme di tato una delle condizioni politiche decisive della du-
“lavoro dipendente” dissolve definitivamente le op- rata e della riproduzione di Nuit debout, mentre Nuit
posizioni binarie che hanno a lungo caratterizzato la debout si è configurata come una delle principali con-
tradizione marxista. La complessità spazio-tempora- dizioni materiali per il rilancio delle manifestazioni.
le del sistema-mondo di oggi invita così a interroga- Ma tale azione reciproca l’abbiamo vista operare an-
re le separazioni rigide tra Centro e Periferia, sussun- che per ciò che riguarda il rapporto 1) tra cortège de
zione formale e sussunzione reale, plusvalore assolu- tête13 e base sindacale e 2) tra base sindacale e centra-
to e plusvalore relativo, o, ancora, tra lavoro produt- li dirigenti. Da un lato, più il cortège de tête si mostra-
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va combattivo e più la base sindacale lo raggiungeva; nizzazione presenti. Per quanto riguarda il primo pun-
ma più la base sindacale partecipava al cortège de tête to, è chiaro che le capacità 1. di assicurare con per-
e più quest’ultimo si rafforzava e acquisiva coraggio. sistenza una presenza politica e 2. di pesare in modo
Dall’altro, più la base sindacale s’agguerriva e più i più o meno determinante nelle dinamica organizzati-
vertici del sindacato rilanciavano la mobilitazione; va sono in parte legate alla quantità e alla qualità dei
ma più i vertici del sindacato sostenevano gli scioperi militanti implicati nell’inchiesta. Per quanto ha che
e i blocchi, e più la base sindacale diventava refratta- a che vedere con il secondo aspetto, invece, a secon-
ria a ogni tipo di compromesso, superando – durante da del tipo di relazioni esistenti, l’inchiesta può lan-
le manifestazioni – i servizi d’ordine eretti dai vertici ciare, diffondere o catalizzare dei processi di mobili-
per installarsi nel cortège de tête. Malgrado le diffe- tazione e/o d’organizzazione: ciò dipende se l’inizia-
renze di composizione sociale e di prospettive politi- tiva politica è in mano o meno al gruppo che conduce
che, e a discapito della pluralità delle pratiche in atto, la conricerca. L’inchiesta militante può dunque esse-
la primavera francese del 2016 ha determinato il po- re il motore della dinamica sociale, se il progetto par-
tenziamento comune dei soggetti implicati in tale lot- te da essa stessa; può fungere da cassa di risonanza, se
ta dovuto all’azione reciproca tra “autonomia” e “or- si mette al servizio dei soggetti che si attivano; o può
ganizzazione”. altrimenti accelerare e intensificare lo slancio socia-
Ora, una volta il movimento rifluito, perché pra- le e politico, se riesce ad armonizzarsi con le colletti-
ticare l’inchiesta militante? Se, in questo momento, vità in lotta e a rendere più potente la loro offensiva.
siamo ben lungi dal rivedere all’opera una tale vir- Per ritornare al nostro presente post-mobilitazio-
tuosa produttività vicendevole tra una molteplicità di ne contro la Loi Travail, due elementi ci paiono par-
soggetti, di tecniche d’azione e di orizzonti tattico- ticolarmente decisivi per costruire un progetto di for-
strategici parzialmente convergenti, l’inchiesta può za politico: la concentrazione soggettiva e la capaci-
ad ogni modo rivelarsi di fondamentale importan- tà oggettiva di blocco. Ed è dunque su tali luoghi stra-
za. In effetti, malgrado una lunga tradizione che ri- tegici che è opportuno recarsi per testare la validità
sale a Panzieri tenda a praticare l’inchiesta a “caldo” di certe ipotesi politiche. Tenuto conto del potenzia-
– ossia sui luoghi di lotta o laddove la conflittuali- le e delle carenze emersi durante e dopo la mobilita-
tà sociale si esprime in maniera chiara e diretta, at- zione del 2016, ci limitiamo in guisa di conclusione
traverso dei comportamenti apertamente contestata- a menzionare quattro piste di ricerca che compongo-
ri – essa può giocare un ruolo decisivo anche in altri no un cantiere al quale partecipiamo entrambi attiva-
periodi. In primo luogo, una pratica rigorosa e assi- mente15.
dua dell’inchiesta costituisce un metodo per impian- 1. Se durante la primavera 2016 sono state soprat-
tare negli spazi sociali e geografici delle forme di pre- tutto le scuole medie superiori del Nord-est parigino
senza militante: degli scambi e dei confronti costanti (dove diverse migliaia di studenti sono riuniti in qual-
possono infatti avverarsi a tal riguardo nevralgici per che kilometro quadrato) ad attivare e tirare il proces-
partecipare al radicamento politico nei territori. In se- so di mobilitazione, le università rimangono ciono-
condo luogo, l’ancoraggio nei luoghi è un presuppo- nostante un luogo e un ambito [mi-lieu] cruciale di
sto inaggirabile per riprodurre e prolungare nel tem- soggettivazione e di radicalizzazione. Focolaio di nu-
po tali forme di presenza militante. L’inchiesta è al- merose iniziative politiche, da diversi mesi sono sot-
lora uno strumento che può imprimere continuità a to la pressione di una riforma che modifica sostan-
dei processi di mobilitazione; può contribuire a ela- zialmente la loro struttura didattica. Dopo la Loi Tra-
borare dei percorsi di lotta di differente natura: de- vail (che ha precarizzato ancor più il mondo del lavo-
nunce, proteste, rivendicazioni, resistenze, insubordi- ro) e dopo la Loi Travail XXL (che mira a smantellare
nazioni, contro-istituzioni, ecc. In terzo luogo, attra- sempre più lo Stato-sociale), la riforma Vidal accen-
verso l’inchiesta militante delle dinamiche organizza- tua ulteriormente l’orientamento dell’Università ver-
tive possono essere lanciate laddove non esistono an- so le esigenze del mercato del lavoro e la pretesa me-
cora; le loro strutture possono essere consolidate lad- ritocrazia. Inchiestare, da un lato, le condizioni mate-
dove esistono già; o, ancora, diversi nodi possono es- riali di vita degli studenti, le loro esperienze di lavoro
sere messi in rete – o i loro legami rafforzati – laddo- (gratuito o sottopagato), gli stage, l’interim ecc. e le
ve le connessioni organizzative mancano, sono debo- loro strategie per cavarsela e, dall’altro, la quotidiani-
li o non sufficientemente coordinate. Nel primo caso, tà all’università, i metodi valutativi, il “controllo con-
l’inchiesta è una premessa all’organizzazione; nel se- tinuo”, gli esami, la selezione o, ancora, i costi di tra-
condo, è l’organizzazione in atto; nel terzo, è un mo- sporto, le mense, la situazione abitativa ecc. costitui-
mento di perfezionamento dell’organizzazione. Os- sce pertanto un terreno di ricerca militante da investi-
sia, essa può al contempo pre-figurare, co-costituire o re, tanto più in un periodo in cui delle nuove mobili-
ri-assemblare le logiche e le strutture organizzative14. tazioni stanno prendendo piede.
Tutto ciò, chiaramente, non può fare astrazione da 2. Se vi è un settore del mondo del lavoro nel qua-
due considerazioni materiali: le forze soggettive di- le gli scioperi e i blocchi hanno funzionato bene – in
sponibili a impegnarsi nel processo di conricerca e il particolare nella primavera 2016 – questo è proprio
rapporto che esse stabiliscono con le forme d’orga- il settore della logistica. In effetti, aldilà dei pesi
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massimi (centrali nucleari e raffinerie), è nella sfe- tro la Loi Travail le lotte nel settore non hanno fatto
ra dei trasporti e della circolazione delle merci che i difetto, il lavoro di cura rimane per definizione sot-
lavoratori sono riusciti ad attaccare i processi di va- tomesso a ricatti specifici: occuparsi di malati im-
lorizzazione del capitale e a “fare male” alle classi plica infatti delle difficoltà particolari in termini di
dominanti. Portuali, autotrasportatori, ferrovieri, pi- possibilità di sciopero, insubordinazione, rifiuto del
loti, autisti hanno così creato non pochi problemi a lavoro, ecc. Ora, la composizione del lavoro infer-
governo, Confindustria e forze dell’ordine, e ciò du- mieristico e d’inserviente è fortemente genderizza-
rante diverse settimane. Tuttavia, in Francia le lot- ta. Alle classiche ingiunzioni al lavoro, si aggiun-
te della logistica, in particolare nei depositi destina- ge così la dimensione di genere: prendere in carico
ti allo smistamento delle merci, per il momento non dei corpi malati sarebbe un lavoro d’amore che ne-
hanno espresso la stessa potenza che in Germania o cessita la messa in valore di qualità che si pretendo-
in Italia. Nodo nevralgico e punto di strangolamento no femminili e che hanno a che vedere con gli affet-
dei flussi circolatori, il blocco di tali luoghi si con- ti e le relazioni interpersonali. Tentare di compren-
ferma ad ogni lotta determinante. Se le condizioni di dere come scardinare tale dispositivo genderizzato
lavoro iper-fisiche e stressanti manifestano un con- di costrizione al lavoro appare importante, e ciò tan-
trollo dispotico nell’erogazione della forza-lavoro, to più in un’epoca in cui non solo il governo prepa-
per cui scoprire e politicizzare assieme e per i lavo- ra un ennesimo giro di vite austeritario per la sanità,
ratori le visioni del mondo, gli immaginari, i bisogni ma il “divenir-donna” del lavoro è una realtà inaggi-
e le passioni all’opera rappresenta una posta in palio rabile per il capitalismo contemporaneo.
di cui non sapremmo sottovalutare la portata, un’in-
chiesta militante può fornire al contempo la cono- Considerazioni finali
scenza e il sapere necessari per capire il funziona-
mento del processo circolatorio e bloccarlo laddo- Soggettività-inchiesta militante-autonomia: attra-
ve con il minor dispendio di energie si può creare il verso tale trittico abbiamo provato a ricostruire due
danno di maggiore entità. momenti fondamentali della traiettoria operaista, sof-
3. I processi di precarizzazione del mondo del la- fermandoci in primo luogo sulle elaborazioni svilup-
voro, di sgretolamento del welfare e di indurimento pate durante gli anni ’60 da Tronti in Operai e capita-
delle logiche autoritarie e repressive dello Stato (in le e dopodiché sulle prospettive articolate durante gli
breve: Loi Travail I e II + stato d’emergenza) non col- anni ’70 da Negri nelle lezioni su Lenin e negli opu-
piscono nella stessa maniera i cittadini della società scoli confluiti in I libri del rogo. Il passaggio opera-
francese. Le classi inferiori subiscono infatti in modo to in tale scansione dalla centralità sociale, economi-
molto più acuto le conseguenze antisociali di tali ri- ca e politica della fabbrica e dell’operaio-massa alla
forme. Ora, sono giustamente gli abitanti – in mag- centralità sociale, economica e politica della fabbrica
gior parte Neri e Arabi – dei quartieri popolari, delle sociale e dell’operaio-sociale ci ha in seguito permes-
cités e delle banlieues che hanno disertato l’appello so di affrontare dei nodi cruciali per discutere la situa-
alle armi di due primavere fa. Ciononostante, dall’e- zione attuale, tanto dal punto di vista della delineazio-
state 2016 – in concomitanza con la fine del movi- ne dei processi storici di ridispiegamento del capitale
mento contro la Loi Travail – diverse mobilitazioni che da quello di una formulazione ancora embrionale
contro le violenze poliziesche sono emerse con forza di alcune ipotesi politiche.
nello spazio e nel dibattito pubblico. Dai comitati di Riteniamo infatti Operai e capitale il volume de-
“verità e giustizia” per i giovani assassinati dalla po- cisivo per comprendere le lotte operaie che hanno co-
lizia alle lotte contro le politiche di pianificazione ur- stellato la prima parte della seconda metà del Nove-
bana, passando per la micro-conflittualità quotidiana cento. Tale opera condensa per noi l’esperienza teori-
ed endemica sulle condizioni di vita e d’abitazione, ca e politica più avanzata concernente l’apice dell’an-
per l’accesso alla città e ai consumi, ecc. una miria- tagonismo raggiunto dallo scontro di classe in Occi-
de diffusa di comportamenti d’indocilità e d’indisci- dente tra la Seconda Guerra Mondiale e gli anni Set-
plina merita di essere inchiestata con sguardo e postu- tanta. “Lenin in Inghilterra” indica allora la linea di
ra militanti. Se la convergenza delle lotte tra studenti condotta da assumere per valorizzare politicamente il
e lavoratori è in effetti una questione politica centra- soggetto che costituisce il motore della storia, ossia il
le, costruire dei ponti con la gioventù precarizzata e soggetto che non solo produce lo sviluppo del capita-
razzializzata dei quartieri popolari appare ancora più le, ma che possiede anche le caratteristiche per rove-
importante per ogni tentativo che ambisca a scuotere sciarlo: quando le lotte economiche determinano una
i rapporti di forza in vigore. crisi politica dell’insieme del sistema! Ecco l’obiet-
4. Gli ospedali rappresentano a loro volta una tivo cui mirava la ricerca tattica del grado massima-
scatola nera da esaminare. In mancanza costitutiva le di autonomia dell’operaio-massa. Lo scacco rela-
di effettivi, vittime di privatizzazioni e tagli di bud- tivo dell’Autunno caldo e la concomitante scoperta
get spaventosi, i centri di produzione della sanità dell’autonomia del politico segnano la fine di quel-
pubblica sono oggetto da diverso tempo di ristruttu- l’“esperimento politico di tipo nuovo”.
razioni imponenti. Se durante la mobilitazione con- La lettura di “Marx oltre Marx” e l’uso spregiudi-
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cato di “Lenin oltre Lenin” praticati da Negri e da va- la quale l’Erinnerung della sequenza composizione-
sti settori di movimento durante gli anni ’70 marca- inchiesta-organizzazione non si limita alla semplice
no a tal riguardo una cesura netta, la quale ha aperto meditazione melancolica delle promesse d’emanci-
un terreno d’investigazione teorico-politica avvincen- pazione deluse, ma costituisce il compito a venire da
te. Ciononostante, tale approccio ci pare rimanere im- realizzare fin da ora!
pigliato in alcune pastoie. Se non vi sono dubbi cir-
ca il fatto che il capitale si sia definitivamente mon- Davide Gallo Lassere
dializzato, non per questo tutti i lavoratori paiono ri- Frédéric Monferrand
conducibili sotto un’unica insegna. L’internazionaliz-
zazione finanziaria dei circuiti di produzione e scam-
bio delle merci non ha infatti prodotto alcuna omoge- Note
neizzazione delle condizioni di lavoro, di vita e di lot-
ta, ma è bensì sfociata sull’intreccio problematico di 1. M. Tronti, Operai e capitale, DeriveApprodi, Roma 2006,
tendenze e contro-tendenze tali per cui il “Nord glo- p. 48.
bale” si trova invischiato nel cuore stesso del cosid- 2. Ibid., p. 87.
detto “Sud globale” e viceversa. Tale complessità nel- 3. L’iniziativa storica che Tronti attribuisce alla classe domi-
le dinamiche spaziali e temporali dei processi d’accu- nante in quanto classe dirigente è particolarmente chiara nelle ana-
lisi consacrate al New Deal nel “poscritto di problemi” che ag-
mulazione del capitale e delle forme di controllo del giunge nel 1970 alla riedizione di Operai e capitale. Retrospetti-
lavoro vivo ci impedisce di ricondurre il settore più vamente, tali analisi annunciano il passaggio di Tronti dall’autono-
avanzato dal punto di vista della cooperazione socia- mia della classe all’“autonomia del politico”. Da segnalare per il
le al soggetto politicamente più influente e pericolo- suo rilievo storico e teorico lo studio su Hobbes, Cromwell e la ge-
nesi del capitalismo apparsa in M. Tronti (a cura di), Stato e rivo-
so per la riproduzione pacifica dei rapporti sociali vi- luzione in Inghilterra, Saggiatore, Milano 1977. Cfr. in particolare
genti. Se, infatti, l’identificazione tra composizione pp. 219-20, nelle quali emerge come la centralizzazione del pote-
tecnica e composizione politica rimane permeata da re politico sia stata determinante per la transizione al capitalismo.
una reliquia di storicismo pernicioso, allora non ci re- È in effetti nel processo di accumulazione originaria che si vede in
sta che abbandonare l’idea di una successione linea- funzione la mano visibile dello Stato: l’origine dello Stato borghe-
se anticipa e pilota l’accumulazione del capitale, esattamente come
re delle figure attorno alle quali la classe può e deve la stagione del pensiero politico classico precede e annuncia l’epo-
ricomporsi, per approdare infine a un’analisi artico- ca classica dell’economia politica, la rivoluzione politica quella in-
lata dei differenti processi di dominio e sfruttamen- dustriale, Hobbes viene prima di Ricardo, il New Model Army pre-
to attraverso i quali si esprimono oggigiorno le logi- corre la macchina a vapore, Cromwell Watt, ecc.
che di sussunzione. 4. M. Tronti, Operai e capitale, op. cit., p. 222.
A tal proposito, una volta abbandonata la ricerca 5. Da cui la scrittura da parte di Nanni Balestrini di un
di una soggettività centrale, siamo spinti a investiga- Bildungsroman operaista: Vogliamo tutto! In cui la lettura segue le
peripezie che conducono un giovane lavoratore meridionale da una
re con l’inchiesta le modalità pratiche attraverso le condizione di alienazione alla prospettiva rivoluzionaria.
quali coalizzare una pluralità di soggettività viven- 6. S. Wright, À l’assaut du ciel, Senonevero, Marseille, 2007,
ti ognuna, da un lato, delle esperienze specifiche di p. 47. [Traduzione italiana presso Edizioni Alegre, Roma 2008].
dominio/sfruttamento e, dall’altro, delle potenziali- 7. A. Negri, Proletari e Stato, in I libri del rogo, DeriveAppro-
tà autonome di liberazione. Senza alcuna pretesa di di, Roma 2006, pp. 135-194, citazione p. 161.
esaustività, ci pare infatti che tale ipotesi permetta 8. Ibid., p. 162.
di sondare delle piste per dischiudere dei processi di 9. Ibid., p. 145: “il proletariato si era fatto operaio, ora il pro-
soggettivazione ampi e trasversali, dai quali soltan- cesso è inverso: l’operaio si fa operaio terziario, operaio sociale,
to potrà scaturire una prospettiva atta a ricomporre operaio proletario”.
le fratture che solcano le società attuali. Da questo 10. Ibid., pp. 190-93.
punto di vista, le forme di precarietà cognitiva e ma- 11. A. Negri, Crisi dello Stato-piano, in I libri del rogo, op. cit.,
nuale così come il razzismo e il sessismo struttura- pp. 17-65, citazione pp. 51-52.
li si configurano come quattro fuochi gravitaziona- 12. Cf. A. Negri, Dominio e sabotaggio, in I libri del rogo, op.
li dai quali possono irradiare delle indicazioni utili cit., pp. 245-301, in particolare pp. 274-300.
per uscire dalle impasse odierne. Se, infatti, la sog- 13. Lo spezzone di punta del corteo, che ha connotato le mani-
gettività autonoma non solo non è data né univoca, festazioni della mobilitazione contro la Loi Travail.
ma è un campo di battaglia, l’azione reciproca tra 14. Ex post, il sapere politico prodotto dall’inchiesta può servi-
re a 1. effettuare un ritorno critico con i soggetti stessi che hanno
una molteplicità di soggettività in lotta può e deve partecipato alla lotta, 2. diffondere la ricchezza e i limiti della lot-
diventare un terreno di guerriglia permanente. È in ta, 3. sedimentare un memoria collettiva, riappropriabile dalle ge-
questo modo che ci pare di poter compiere al meglio nerazioni future.
il riscatto delle esperienze rivoluzionarie passate cui 15. Se le riflessioni precedenti non impegnano che i due auto-
abbiamo alluso, proiettando il loro lascito produttivo ri, le prospettive alle quali facciamo brevemente allusione qui sotto
nella congiuntura contemporanea. Così facendo, sono il frutto di un’elaborazione collettiva in corso, lanciata l’au-
tunno scorso e tutt’ora in fase di dispiegamento in seno alla Pla-
speriamo di rimanere fedeli alla memoria e all’ope- teforme d’enquêtes militantes. A tal riguardo, cfr. http://www.pla-
rato di Primo Moroni, al cui paziente lavoro di archi- tenqmil.com/apropos (testo di presentazione disponibile in italia-
vio e trasmissione dobbiamo la convinzione secondo no su Commonware, Effimera e Infoaut).

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Operaisti in Europa anni ’70

Per i troppi impegni in corso, Karl Heinz Roth non Andare verso le fabbriche e verso la classe ope-
ha potuto scrivere un contributo originale per il nu- raia per me non era una novità. Sino alla laurea ave-
mero fuori serie di “Primo Maggio”. Volendo comun- vo continuato a lavorare saltuariamente nell’edilizia,
que essere presente in questo omaggio a Primo Moro- in fonderia o in aziende metalmeccaniche. Nelle va-
ni, ci ha consentito di tradurre un’intervista che ave- canze estive del 1965 ho lavorato nella medicina di
va dato non molto tempo fa agli “Annali per la ricer- fabbrica della principale officina di montaggio della
ca sulla storia del movimento operaio”. Roth, laurea- Ford di Colonia. Distribuivo di nascosto i volantini
to in medicina, è stato uno dei dirigenti del movimen- ed i giornali di fabbrica delle organizzazioni operaie
to studentesco tedesco del 68. Dopo il 1970 si è av- dei lavoratori immigrati. Quando stava avvicinandosi
vicinato all’esperienza dell’operaismo italiano ed ha lo scioglimento dello SDS (Sozialistischer Deutscher
praticato l’intervento nelle lotte di fabbrica in alcu- Studentenbund NdT) mi sono battuto perché il movi-
ni importanti centri industriali della Germania. Ha mento studentesco si aprisse alle iniziative degli ap-
svolto attività di medico di base in uno dei quartie- prendisti che stavano proprio decollando in quel pe-
ri più problematici di Amburgo, è stato imprigionato riodo e alle proteste, agli scioperi degli studenti di in-
per due anni per dei suoi contatti con gruppi clande- gegneria degli istituti tecnici superiori. Queste espe-
stini, ha continuato ad esercitare la professione fin- rienze ed altre ancora mi hanno offerto molti stimoli,
ché non ha avuto l’opportunità di dedicarsi comple- aiutandomi ad allargare la mia idea di classe opera-
tamente alle ricerche sulla storia della Germania na- ia e anche di fabbrica. Pertanto il gruppo di PF nella
zista. Ha fondato e diretto assieme alla sua compa- sua concezione di base non si è portato dietro il far-
gna, Angelika Ebbinghaus, la rivista “1999”. Rivista dello di una visione della classe e della fabbrica di
di storia sociale del XX e XXI secolo” ed ha costru- tipo tradizionale.
ito negli anni un importante archivio e una bibliote-
ca specializzata che vanno sotto il nome di “Fonda- In questa intervista a noi interessa mettere a fuo-
zione per la storia sociale del 20° secolo” con sede a co soprattutto la dimensione internazionale del feno-
Brema, dove il materiale è stato in parte incorporato meno. PF era venuto fuori inizialmente dal gruppo
nella biblioteca dell’Università. La sua autorità nella “Trikont” di Amburgo, che era concentrato in parti-
storiografia sul nazismo gli è stata riconosciuta a li- colare sulla solidarietà internazionale. Che ruolo ha
vello internazionale. Per l’elenco delle sue numerose svolto l’internazionalismo nella costituzione di PF e
pubblicazioni si veda www.stiftung-sozialgeschichte. che cambiamenti ha subito in seguito?
de/ o la corrispondente voce di Wikipedia.
Il Gruppo “Trikont” ha rappresentato solo uno –
Questa edizione dell’Annale è dedicata ai gruppi per quanto importante – dei diversi momenti di ag-
politici che fecero intervento di fabbrica ed agli scio- gregazione di PF, anche per quel che riguarda la sua
peri informali negli anni ’60 e anni ’70. Dott. Roth, nascita a livello di Germania del Nord. Avevamo già
Lei agli inizi del 1970 faceva parte del gruppo Prole- lavorato con un’ottica internazionalista negli anni
tarische Front (PF), un’organizzazione scaturita dal precedenti, per esempio dando appoggio ai diserto-
movimento studentesco nel Nord della Germania, la ri dell’esercito americano oppure dando supporto alle
quale si era prefissa, tra l’altro, di praticare l’inter- lotte contro le dittature in Grecia, Portogallo, Spagna,
vento in fabbrica. Com’è avvenuta questa svolta in ma anche a quelle contro la dittatura dello Scià di Per-
direzione della fabbrica? sia e contro il regime di apartheid in Sudafrica. Con
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il 1970 abbiamo provato a superare questa separazio- Purtroppo questo tentativo non ha avuto successo.
ne di terreni di lavoro – intervento in patria e interna- Gli attivisti di PO non sono riusciti a stabilire rapporti
zionalismo fuori. Sul piano organizzativo volle dire stabili con gli operai italiani nello stabilimento VW di
che il PF si strutturò con dimensione transfrontalie- Hannover e quindi anche le nostre analisi sui rappor-
ra e quindi cercò anche contatti e connessioni con l’e- ti di classe all’interno della VW in generale sono ri-
stero – c’erano anche gruppi in Svizzera. E tutto que- maste un po’ in sospeso. Il nostro approccio era mol-
sto prima ancora di passare ad una prospettiva mul- to ambizioso. Volevamo riuscire a capire in che misu-
tinazionale articolata teoricamente, sotto l’influs- ra la VW si distingueva dagli altri gruppi dell’indu-
so dell’operaismo italiano. Ci siamo avvicinati alle stria dell’auto europea – in particolare Ford, Fiat, Re-
impostazioni di gruppi presenti in altri paesi, come nault (che erano gli altri punti dove gruppi di tenden-
“Big Flame” in Gran Bretagna, “Gauche Poletarien- za operaista coordinavano l’intervento con PO) – gra-
ne” in Francia, Comisiones Obreras in Spagna, men- zie alla sua particolare costituzione di fabbrica d’im-
tre per quel che riguarda la Germania abbiamo stret- postazione corporativa. Non si è riusciti a sciogliere
to rapporti con “Arbeitersache” a Monaco e “Revolu- la contraddizione tra esigenze organizzative e bisogni
tionäre Kampf” a Francoforte. In questo contesto di- personali, né tra l’“interno” e l’“esterno”. La storia di
venne d’importanza decisiva rivolgere la nostra atten- questo tentativo non riuscito deve ancora essere scrit-
zione alle operaie e agli operai stranieri, ai cosiddet- ta. Ricordo che tra gli “esterni” tedeschi c’era anche
ti “Fremdarbeiter”. In una certa misura il nostro in- Peter Brückner.
ternazionalismo acquistò un fondamento di classe in
senso molto pratico, prima ancora d’integrarsi nell’e- Oltre a questo c’erano anche contatti con altri
laborazione degli operaisti che parlavano di “operaio gruppi in Europa, in Svizzzera, Francia, Gran Breta-
massa multinazionale”. gna. Qual’era la prospettiva che avevate in comune
e come si è arrivati a questo tipo di collaborazione?
Diversamente dai numerosi gruppi marxisti-leni-
nisti, sia PF che “Arbeitersache” a Monaco che “Re- Si è arrivati a lavorare assieme sulla base d’incontri
volutionäre Kampf” a Francoforte sono stati, nel regolari tra gruppi d’ispirazione operaista tra il 1970
quadro dei gruppi che facevano intervento in Ger- e il 1971 in Italia, a margine delle conferenze d’or-
mania, fortemente influenzati dall’operaismo italia- ganizzazione di PO. Parallelamente c’erano incontri
no. Mentre gli altri mantenevano un legame abbasta- e dibattiti che si svolgevano su un piano di carattere
na stretto con Lotta Continua, i vostri contatti erano più scientifico, allora l’operaismo esercitava una no-
soprattutto con Potere Operaio (PO). Come si è giun- tevole forza di attrazione per chi si occupava di storia
ti a questo rapporto e quale effetto ha avuto sui vostri del movimento operaio e della classe operaia, ma non
programnni e le vostre pratiche di lotta? meno importante era l’influenza degli operaisti ame-
ricani, quelli di “Zero Work”.
Il contatto con PO avvenne alla fine del 1970, ini- In questa dialettica tra autonomia organizzativa
zio del 1971, parallelamente all’avvicinamento a Lot- orientata all’azione e riflessione storiografica abbia-
ta Continua da parte di “Arbeitersache” e di “Revo- mo portato avanti alcuni dibattiti su temi di grossa ri-
lutionäre Kampf”. Abbiamo preferito PO perché al levanza, per esempio sugli effetti che le politiche d’in-
suo interno, pur essendo molto orientato alla prassi e tervento pubblico d’ispirazione keynesiana possono
all’azione, c’era un dibattito con dei fondamenti teo- avere sulla classe operaia, sull’adozione delle tecni-
rici più solidi. A noi PO ci è stato di aiuto – così come che tayloristiche da parte dei bolscevichi e sui rap-
Lotta Continua per gli altri gruppi qui menzionati – porti di genere all’interno della classe operaia dove
per prendere le distanze dalle tendenze anacronisti- l’elemento maschile era dominante, anche all’interno
che e regressive dei gruppi maoisti e dei cosiddetti K- delle nostre stesse strutture organizzative. A questo
Gruppen, i quali non tenevano conto della ristruttura- si aggiunse un costante scambio d’informazioni sul-
zione in corso nella forza lavoro e finivano per richia- le rispettive attività che ciascuno di noi portava avanti
marsi a forme ormai superate di organizzazione del nelle fabbriche, negli ospedali, nelle università come
movimento operaio, comprese alcune ormai scredi- pure nei quartieri operai, dove c’erano le lotte sul co-
tate. In contrasto con questa impostazione, noi mette- sto degli affitti, dei trasporti e si occupavano le case.
vamo in evidenza la dinamica in corso nella composi- Come ho detto prima, il concetto di “fabbrica” per
zione di classe, determinata a nostro avviso dai cam- noi aveva un’ampia estensione. Gli ospedali li consi-
biamenti nell’organizzazione del lavoro. deravamo già allora come “fabbriche bianche”, siamo
intervenuti a livello europeo contro le riforme univer-
Può dirci qualcosa di più sulle forme concrete del- sitarie di allora, perché le ritenevamo un veicolo per
la collaborazione con PO? Nel 1972 c’è stato il ten- far passare una produzione massificata e standardiz-
tativo di un intervento comune alla Volkswagen di zata del sapere. Altri terreni di lotta erano le carceri o
Hannover con la partecipazione di un membro di PO. la psichiatria istituzionalizzata. L’operaismo europeo
In concreto, com’è andata? Oltre a questa, ci sono è stato un laboratorio di dimensioni molto più vaste di
state altre iniziative in comune? quelle che in seguito gli sono state attribuite perché i
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suoi campi d’azione e riflessione andavano ben oltre zioni locali di PF riuscirono anche a portare a termi-
la grande industria. Una delle ragioni sta nel fatto che ne azioni comuni che si conclusero con un successo.
la politica di controllo dei sindacati riformisti era riu- Le attiviste e gli attivisti di PF per esempio realizza-
scita nel frattempo a pacificare la spinta dell’operaio rono campagne di agitazione a bordo dei treni che a
massa dell’industria e quindi a livello europeo solo la Pasqua e Natale portavano verso sud gli operai stra-
componente migrante della classe operaia era in gra- nieri, in nome di una coalizione di lavoratori migranti
do di produrre qualcosa in termini di conflitto. di livello europeo. Contestualmente, a livello locale,
si occupavano le baracche dove questi operai erano
Nel 1972 su iniziativa di PO è stato costituito un alloggiati, eludendo o rendendo inefficace la sorve-
centro di coordinamento internazionale a Zurigo. glianza dei guardiani tedeschi e distribuendo volanti-
Può dirci qualcosa sugli obbiettivi e il funzionamen- ni. Questo tipo di azioni erano molto diverse da quel-
to di questo centro? le dei K-Gruppen che volantinavano alle porte delle
fabbriche. Non abbiamo avuto però tutto il fiato ne-
Noi eravamo impegnati direttamente in questa ini- cessario affinché le nostre inziative potessero ottene-
ziativa con due punti di appoggio, uno a Berna e uno a re un riscontro di massa.
St. Gallen, ma i veri protagonisti che l’hanno sostenu-
ta sono stati gli attivisti del gruppo zurighese “Klas- Purtroppo non è chiaro com’è finito il centro di co-
senkanpf”. La scelta del luogo non era favorevole sol- ordinamento di Zurigo. Secondo la nostra ricostru-
tanto per la sua posizione geografica ma soprattutto zione, dal 1973 la sua attività si era fermata, para-
perché le compagne e i compagni svizzeri avevano il dossalmente dopo che a livello europeo erano riparti-
vantaggio di conoscere le lingue – una dote purtrop- ti gli scioperi e i movimenti di lotta, che pure avevano
po allora non molto diffusa. In prima istanza il centro fatto da sfondo alla conferenza sull’indusria dell’au-
di coordinamento consentiva di avere contatti diretti, to che si tenne a Parigi nell’aprile del 1973. Potreb-
rendeva possibile la circolazione, quindi aveva un po’ be provare a ricostruire quello che avvenne in questa
la funzione d’interprete e di ufficio viaggi per i grup- fase finale della cooperazione internazionale e dirci
pi che vi facevano riferimento. S’incaricava di spe- qualcosa sulle cause di questo esito?
dire delle circolari dove i diversi gruppi davano con-
to della loro attività e organizzava incontri e dibattiti La conferenza sull’auto di Parigi nell’aprile del
pubblici. Per quanto io mi ricordi, nel breve periodo 1973 è stata la più importante iniziativa portata a ter-
della sua esistenza ha funzionato molto bene. Anche mine dal centro di coordinamento di Zurigo. La que-
la sua impostazione politico-teorica era chiaramen- stione che fu discussa allora era in che misura le for-
te delineata, con l’obbiettivo di fondare un’organiz- me di lotta espresse negli anni precedenti a livello
zazione autonoma rivoluzionaria dell’“operaio mas- operaio, in quello che bene o male era il più impor-
sa europeo” partendo dalla componente più margina- tante settore della propduzione di massa – e quando
lizzata della classe operaia. Come settore d’interven- parliamo di lotte intendiamo anche l’assenteismo, il
to decisivo si era concordato fosse l’industria europea sabotaggio, le lotte brevi di reparto, le azioni dirette
dell’automobile. contro il dispotismo dell’apparato disciplinare di fab-
brica – potessero essere utilizzate per costruire una
C’interesserebbe sapere anche quali erano le rete coordinata sul piano europeo di “potere operaio
aspettative che voi di PF avevate nel mettere in pie- antgonista”, una rete in grado di differenziarsi dai di-
di un lavoro in comune di respiro internazionale. Era spositivi negoziali delle rappresentanze sindacali. Nel
concepito come una specie d’integrazione del lavoro corso del dibattito emerse chiaramente che indizi in
a livello locale oppure era un fattore centrale della questo senso erano ampiamente presenti ma che alla
vostre strategia? Che tipo di risorse individuali e or- maggioranza degli attivisti operai intervenuti nel di-
ganizzative vi avete investito? battito appariva irrealistico considerare sufficienti a
creare una rete di tale natura. Le differenze nella com-
I gruppi di PF agivano a livello locale in modo di- posizione sociale ed etnica delle varie maestranze –
verso l’uno dall’altro – per dire, il gruppo di Bochum i magrebini della Renault, quelli provenienti dai do-
e una parte di quello di Amburgo avevano come ter- minions dell’impero britannico nella Ford di Dagen-
reno d’intervento l’università, le cellule di fabbrica di ham, le varie nazionalità degli operai dell’auto del-
Brema l’industria pesante, il gruppo di Berna agiva la Germania ovest – erano troppo grandi. A questo si
all’interno della comunità multietnica operaia inse- aggiungeva il monito di alcuni “dissidenti” del cir-
diata in città, il gruppo di Amburgo ancora era impe- cuito di PO, che non avevano preso parte alla con-
gnato nelle lotte per la casa nei quartieri operai a sud ferenza, secondo i quali le forme di lotta dell’opera-
della città e nel porto. Ma l’insieme della struttura era io massa ormai erano destinate a finire nel nulla, per-
concepito con dimensione transnazionale. PF proiet- ché le direzioni aziendali ed i sistemi di regolazione
tava le sue iniziative locali in uno spazio che andava statale erano già riusciti a mettere in atto dei disposi-
ben oltre i confini dello stato-nazione e delle sue isti- tivi di controllo che tagliavano l’erba sotto i piedi al
tuzioni. Con la piena coscienza di ciò le diverse se- progetto dell’“operaio massa multinazionale”. Que-
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sta premonizione dell’ascesa imminente del postfor- ponente femminista. A questo si aggiunsero le scon-
dismo aleggiò sul congresso come un cattivo presa- fitte che subimmo in Germania. Due mesi prima che
gio. Indubbiamente aveva colto nel segno, ma era an- scoppiassero gli scioperi dell’operaio massa, quelli
che terribilmente in anticipo ed ebbe l’effetto di dele- che noi da anni avevamo auspicato, i gruppi di Mona-
gittimare un’iniziativa politica proprio nel momento co e di Francoforte, “Arbeitersache” e “Revolutionäre
in cui si profilava all’orizzonte la più vasta ondata di Kampf” dichiararono la fine dell’intervento in fabbri-
scioperi, gravida di conseguenze, dell’“operaio mas- ca. Quindi PF si trovò di colpo da solo. Come se non
sa multinazionale”. bastasse, un’occupazione di case che finì molto male
Ma torniamo al centro di coordinamento di Zurigo. spezzò la schiena al gruppo di Amburgo di PF. Il no-
A me sembra di ricordare che si è sciolto più tar- stro tentativo di tenere in vita un’iniziativa con l’au-
di, più o meno nel 1974/75. È vero però che aveva silio di “un altro movimento operaio” (titolo di un li-
perduto già nel 1973 il sostegno in Italia e nell’Euro- bro di Roth, tradotto da Feltrinelli nel 1977, NdT) ri-
pa centrale. PO si era sciolto nel 1973 dopo un con- uscì soltanto a promuovere un interessante dibattito
gresso nazionale caotico, spaccandosi in tre o quat- storiografico ma non a rendere credibile il progetto di
tro fazioni in contrasto inconciliabile tra loro. Il crol- PF e la sua visione di una rivolta dell’“operaio mas-
lo era stato determinato anche dall’uscita della com- sa multinazionale”.

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L’ottobre russo in Senato

Il 26 ottobre 2017 Mario Tronti ha pronunciato nali, molte riviste, molti libri. Del resto, per mette-
in Senato questo discorso per commemorare la rivo- re un pizzico di ironia in avvenimenti che hanno dal-
luzione bolscevica. A qualcuno l’intervento è parso la loro parte non poco di vicende tragiche, si potreb-
un gesto di trasformismo rispetto alle posizioni che be dire che anche questa, come facciamo spesso in
Tronti ha assunto nei confronti della prospettiva ri- quest’aula, è la commemorazione di un defunto. Qui,
voluzionaria alla fine degli anni ’70. Per noi Tronti è a Palazzo Madama, come a Montecitorio, soprattut-
il massimo teorico dell’operaismo e tale resterà nel- to nella prima Legislatura, seguita alla Costituente,
la storia. Da lui tutti abbiamo imparato. Ci è sembra- presero posto alcuni protagonisti che avevano vissu-
to inoltre opportuno riportare questo intervento nel to quella storia in prima persona. Questo mio ricordo
quadro di una certa “riscoperta” dell’operaismo ita- vuole essere anche un omaggio a questi padri.
liano in Europa e altrove. Una “riscoperta” testimo- Il 1917 è conseguenza del 1914. Senza la grande
niata anche dalla lezione tenuta lo stesso giorno a guerra non ci sarebbe stata la grande rivoluzione. E la
Berlino da Sergio Bologna per l’inaugurazione della cosa da ricordare subito è che la prima rivendicazio-
Marx Herbst Schule che la Fondazione Rosa Luxem- ne, che forse più di altre produsse il successo della ri-
burg organizza ormai da dieci anni (v. https://www. voluzione, fu la rivendicazione della pace: la pace ad
youtube.com/watch?v=Wm2LFD46gAY). ogni costo, si disse, anche a costo di perdere la guerra.
Quando Lenin, contro tutti, firmò il trattato di Brest
Presidente, colleghe e colleghi, vi chiedo un mo- Litovsk, accettò tutte le più pesanti condizioni, pur di
mento di attenzione. In mezzo ai lavori convulsi di riportare a casa i soldati. Lenin era l’autore di quel-
questi giorni, una pausa di riflessione può far bene. la che a mio parere è stata la più audace di tutte le pa-
Volevo ricordare un evento, di cui ricorre quest’an- role d’ordine sovversive, quando disse: soldati ope-
no il centenario. Il 24 di ottobre, secondo il calendario rai e contadini russi non sparate sui soldati e conta-
giuliano, o il 7 novembre, secondo il calendario gre- dini tedeschi, ma voltate i fucili e sparate sui genera-
goriano, del 1917, esplodeva nel mondo la rivoluzio- li zaristi. C’era quella idea, che era stata per primo di
ne in Russia. Mi sono interrogato sull’opportunità di Marx. dell’internazionalismo proletario, “proletari di
proporre qui, nel Senato della Repubblica, il ricordo tutti i paesi unitevi”: un’idea niente affatto di parte,
di questa data. Sono consapevole che questo arrivi a che affonda invece le sue lunghe radici nell’umane-
turbare la sensibilità di alcuni, e di alcune, che legit- simo moderno. Già nei moti rivoluzionari del 1905 i
timamente possono nutrire, nei confronti di quell’e- soldati si erano rifiutatati di sparare sulla folla, e ave-
vento, una ostilità assoluta. Ma siamo a cento anni da vano sparato sui loro ufficiali.
quella data e possiamo parlarne, come io intendo par- 1905 e 1917 sono le due tappe della rivoluzione
larne, con passione e nello stesso tempo con disin- in Russia. La lucida strategia, che sarà dei bolscevi-
canto. chi contro i menscevichi, era che i comunisti dove-
Non so se è verità o leggenda, quella volta che vano mettersi alla testa della rivoluzione democratica
chiesero a Chou En-Lai, anni cinquanta del Nove- per portarla alle sue naturali conseguenze, che stava-
cento, che giudizio si sentisse di dare sulla rivoluzio- no nella rivoluzione socialista. Se democrazia è infat-
ne francese del 1789. E la risposta fu: troppo presto ti il kratos in mano al demos, il potere in mano al po-
per parlarne. Di quei “dieci giorni che sconvolsero il polo, quale strumento più democratico dei soviet, dei
mondo”, secondo il reportage che ne fece il giornali- consigli degli operai e dei contadini?
sta americano John Reed, ne trattano oggi molti gior- Ma, attenzione, i soviet dovevano farsi Stato, dove-
83
vano assumere l’interesse generale. E il fatto che in- che lo hanno seguito nella sua realizzazione. Ricor-
vece di farsi Stato si sono fatti partito, chissà che non do una data e condanno una sua negazione. Quell’at-
sia stato questo il vero punto di catastrofe dell’inte- to trova la sua fondazione nel mirabile inizio di seco-
ro progetto. Ma comunque quella democrazia diretta lo. Il primo decennio del Novecento vede l’irrompe-
non ha niente a che vedere con l’attuale democrazia re, anch’esso sovversivo, della trasvalutazione di tutte
immediata. Questa non solo non si fa istituzione, ma è le forme: in campo artistico, con le avanguardie, arti
anti-istituzionale e dunque antipolitica e allora è con- figurative, poesia, narrativa, musica; in campo scien-
servatrice, se non addirittura reazionaria. tifico, con la fine della meccanica newtoniana e l’a-
La rivoluzione partì su tre parole d’ordine: la pace, vanzare del principio di indeterminazione; nel pen-
il pane, la terra. Parole semplici, che toccarono il cuo- siero filosofico con la messa in questione della ragio-
re dell’antico popolo russo. Tre cose che erano state ne illuministica.
sottratte a quel popolo. La rivoluzione gliele restituì. Come potevano le forme della politica, organizza-
Per questo “l’assalto al cielo”, che avevano già tenta- zioni e istituzioni, non essere travolte da questo Sturm
to invano gli eroici comunardi di Parigi, vinse a Pie- und Drang, da questo impeto e assalto? Come la gran-
troburgo con l’assalto al Palazzo d’Inverno. de Vienna è il cuore di questo sommovimento cultu-
Colleghi, conosco bene il seguito della storia. rale, così Pietroburgo diventa il cuore di un sommo-
Una rivoluzione, che era nata dalla guerra, si trovò vimento politico. Il secolo ne sarà interamente segna-
in guerra con il resto del mondo, accerchiata e com- to. L’anima e le forme è lo splendido titolo di un li-
battuta. Non intendo, per questo, nascondere, tan- bro del giovane Lukács, che esce nel 1911. Era l’ani-
to meno giustificare, le deviazioni, gli errori, la vio- ma dell’Europa ed era, come dirà anni dopo Husserl,
lenza, i veri e propri crimini commessi. Qui, c’è il la crisi delle scienze europee, a ribaltare tutte le for-
grande problema del perché la rivoluzione, cioè il me ottocentesche. Lo spirito anticipa sempre la storia.
progetto di trasformazione in grande del corso del- La rivoluzione del ’17 in Russia sta in mezzo a
le cose, sfocia storicamente nel terrore. E il proble- questo totale fermento. Atto di liberazione, che mette-
ma non riguarda solo i proletari. I borghesi non han- rà in moto masse enormi di popolo e provocherà scel-
no agito diversamente nella loro presa del potere. La te di vita di piccole e grandi personalità. Ad esso si ri-
rivoluzione inglese di metà Seicento, la rivoluzio- chiamavano molti dei ribelli antifascisti, mentre subi-
ne francese di fine Settecento, ambedue hanno fat- vano il carcere e l’esilio, molti dei combattenti nella
to cadere nel capestro la testa del re. E la rivoluzio- guerra di Spagna contro i franchisti, molti dei parti-
ne americana, per produrre la più stabile democrazia giani che salirono in montagna contro i nazisti.
del mondo, è dovuta passare per una terribile guer- Se leggete le lettere dei condannati a morte della
ra civile. Rivoluzione e guerra, rivoluzione e terro- Resistenza, in Italia e in Europa, troverete spesso l’ul-
re, sono dunque inseparabili? Dobbiamo dunque per timo grido di saluto per quell’evento. Mi rendo con-
questo rinunciare al tentativo di un rivolgimento to- to di parlarne con fin troppa partecipazione, e perfi-
tale? Occorre rassegnarsi alla pratica di cosiddette no enfasi Ma vedete, colleghi, io mi considero figlio
riforme graduali, che però mai riescono a minima- di quella storia. E francamente vi dico che non sarei
mente mettere in discussione il rapporto, che poi è nemmeno qui se non fossi partito da lì. Qui, a fare po-
un rapporto di forza, tra il sotto e il sopra, tra il bas- litica per gli stessi fini con altri mezzi, senza ripetere
so e l’alto della società? nulla di quel tempo lontano, passato attraverso tante
Questo è il problema che ci pone ancora oggi, dopo trasformazioni, rimanendo identico.
un secolo, quell’ottobre del ’17. Vi assicuro, un esercizio addirittura spericolato,
Ecco perché vorrei, se possibile, isolare il valo- ma entusiasmante. Se entusiasmo può esserci anco-
re liberatorio di quell’atto rivoluzionario dai falli- ra concesso in questi tristi tempi. Vi chiedo ancora
menti epocali e anche dalle costrizioni antilibertarie, scusa.

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Leggere l’ambiente da storici

La definizione “consumo del territorio” è una sor- grafia uno strumento in grado di “documentare” con
ta di etichetta inclusiva ma al tempo stesso di ecces- indiscutibile efficacia i mutamenti ambientali nel tem-
siva semplificazione delle questioni che stanno dietro po. Pensiamo alla “invenzione” del paesaggio italia-
a quei termini. no consegnataci dalla produzione degli studi fioren-
Tenteremo di confrontarci con alcune di esse guar- tini Alinari intorno alla quale sono stati versati fiumi
dando ai loro caratteri distintivi in prospettiva preva- di inchiostro e colmati scaffali di biblioteca con mo-
lentemente storica. nografie maniacali: borgo per borgo, campanile per
Oltre venti anni fa lo storico Piero Bevilacqua sottoli- campanile5. Ma le cose vanno ancor meglio se provia-
neava come nell’età contemporanea i problemi ambien- mo ad osservare attentamente, ad esempio, molte del-
tali abbiano subito un cambiamento in termini di sca- le fotografie di Mario Giacomelli sul territorio mar-
la: la desertificazione, il disboscamento, l’inquinamen- chigiano realizzate tra gli anni Cinquanta e il 2000.
to sono sempre esistiti, a cambiare è stata l’intensità e Allorché il nostro sguardo si libera dalle logiche di un
l’ampiezza dei fenomeni1 in ragione ed in conseguenza approccio formale ed estetizzante ci accorgiamo che
del mutare delle forme di organizzazione della presenza quelle linee, quei chiaro/scuro che sembrano lacerare
dell’uomo sul pianeta, della cultura e dei rapporti sociali la superficie delle immagini sono tracce incise dalla
che tale presenza ha espresso di volta in volta. presenza dell’uomo che un tempo, ciclicamente a se-
Siamo abituati a “misurare” i cambiamenti soprat- conda delle stagioni, vi avvicendava le colture, oggi
tutto a partire dalla percezione sensoriale: vista, udi- spesso esse corrispondono solo alle ferite inferte da-
to, tatto, olfatto, gusto. Esemplifichiamo a partire dal gli stessi uomini a quel paesaggio agrario dagli stes-
primo, applicandolo banalmente alle forme di rappre- si uomini con l’abbandono delle colture ed il conse-
sentazione del paesaggio. guente degrado6.
La storiografia italiana ha dato preziosi contributi in Analoga esperienza può essere fatta analizzando lo
questo ambito grazie allo straordinario lavoro di Emilio straordinario repertorio di immagini sul lavoro nel-
Sereni, storico e militante politico, che nel 1961 ha pub- le campagne del territorio mantovano realizzato da
blicato una Storia del paesaggio agrario italiano2 i cui Giuseppe Morandi negli stessi anni. Qui alle profon-
materiali preparatori sono ancor oggi oggetto di studio. de trasformazioni del paesaggio che fa da sfondo alle
Ripercorrendo principalmente attraverso le rappresenta- sue riprese si sovrappone anche la geografia multiet-
zioni visive artistiche le trasformazioni del mondo agra- nica di una incredibile trasformazione del lavoro e dei
rio Sereni, pur nello schematismo della sua elaborazione suoi diretti protagonisti7.
anticipava le analisi che quasi trent’anni dopo sarebbero Sorprendenti analoghi riscontri li possiamo avere,
state riprese dallo storico inglese Oliver Rackham il qua- andando a ritroso nel tempo, sfogliando – ed è ancora
le, dopo aver affermato che il paesaggio è come una im- solo un esempio tra i tanti – le pagine delle inchieste,
mensa biblioteca sterminata, piena di libri spesso scritti condotte a partire dagli anni Trenta dall’INEA, sullo
in lingue antiche e sconosciute3, proponeva di uscire dal- spopolamento montano.
la tirannia delle fonti scritte poiché il territorio stesso po- Non tutto, però, nel campo ambientale è percepi-
teva e doveva essere documento4. bile a livello sensoriale immediato. Pensiamo alle in-
sorgenze delle patologie ingenerate dall’inquinamen-
Uno strumento di indubbia efficacia to, dai mutamenti climatici ecc. Questi “paesaggi” si
rendono palesi solo a distanza di tempo e ciò ha sem-
La rappresentazione del paesaggio ha nella foto- pre rappresentato la difficoltà maggiore a compren-
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dere ed a recepire con chiarezza ed evidenza i nessi Leggiamo queste considerazioni di Hughes guar-
causa/effetto. dando ad un “piccolo universo locale”: uno dei tan-
ti del Belpaese.
Come affrontare lo studio dell’ambiente Abbiamo prescelto un lembo della Regione Pie-
monte, perché queste note sono state impostate a mar-
Abbiamo fin qui esemplificato alcuni casi e accen- gine di un convegno tenutosi ad Orta S. Giulio il 26
nato al fatto che per confrontarsi con il passato vi è la agosto 2017.
necessità di trovare “prove” documentali capaci di ri- Titolo dell’incontro, organizzato dall’Associazio-
costruirlo e porlo a raffronto con il tempo che ci se- ne Ernesto Ragazzoni, era: Il suolo che ci rimane è in-
para da esso. sostituibile e strategico.
Il fatto che la storia, in quanto disciplina, oggi si Le relazioni al convegno di quella mattina avevano
ponga il problema di rimettere in discussione la cen- percorso vari temi, alcuni molto generali, altri legati
tralità dei soggetti delle proprie analisi (l’uomo che all’esperienza dei comitati e delle associazioni sorte
essa osserva e racconta) non è per nulla paradossale. in difesa dell’ambiente nel Piemonte Orientale: le di-
Né ciò prelude all’affermarsi di un filone di studi ve- scariche di rifiuti urbani di Ghemme e di Barengo di
nuto “alla moda” accanto ad altre tematiche storio- cui si andavano scoprendo i reali impatti ambientali e
grafiche fiorite negli ultimi decenni in Europa e ne- il carattere di bombe ecologiche non facilmente con-
gli USA. La storia dell’ambiente, in altre parole, non trollabili; l’elettrodotto Interconnector Svizzera-Italia
può proporsi come l’ennesimo “specialismo” accade- 380kV destinato a mortificare paesaggi naturali di ec-
mico! cellenza e dare un calcio alle loro storiche prospettive
Guardiamo con attenzione ai soggetti che richia- turistiche; gli scellerati progetti di trasformare in un
mavamo prima. Ha suggerito ancora lo storico Piero distretto di estrazione di idrocarburi liquidi e gasso-
Bevilacqua: “gli uomini che si adoperano a racconta- si le colline produttrici di vini eccezionali e le pianu-
re la loro storia sono il frutto di una storia naturale [ – re risicole adiacenti, devastando una economia agro-
la lunga evoluzione geologica e biologica del pianeta alimentare qualificatissima e nota anche a livello in-
– ] dimenticata. Una vicenda che li precede e che con- ternazionale; le emergenze sanitarie legate alle attivi-
tinua anche quando l’umano dominio della Terra è di- tà produttive ad alto rischio presenti nel territorio ecc.
ventato così grande come ai nostri giorni”8. Il continuo fluire di informazioni (che per il loro
Per queste ragioni la storia dell’ambiente è un set- carattere di drammaticità non cessavano mai di sor-
tore di studi che incarna una delle più profonde rivo- prendere anche quando veniva riproposta una situa-
luzioni culturali del nostro tempo. Essa, hanno affer- zione già ampiamente conosciuta!) faceva venir la vo-
mato Marco Armiero e Stefania Barca, è “un progetto glia di provare a fare della simulazione storica e in-
che vuole mettere in discussione l’intero statuto epi- terrogarsi così: chissà cosa diranno gli archeologi del
stemologico delle scienze storiche, lanciando una sfi- futuro di fronte ai resti delle discariche di Ghemme,
da: mettere la natura dentro la storia, riscrivere i libri Barengo ecc. oppure quando inciamperanno nei resti
guardando al modo in cui gruppi, società, nazioni, in- dell’elettrodotto tra la Svizzera a la regione Padana?
dividui e culture hanno interagito con i loro ambienti, Non è possibile pensare che esulteranno come
e sono stati influenzati da essi”9. i loro colleghi di oggi di fronte alle potenzialità di
Ed aggiungono: “la questione centrale è il rapporto studio offerte, ad esempio, da un Monte Testaccio a
tra storia e saperi scientifico-naturalistici”. Per con- Roma. Quei resti avranno in comune con quelli delle
cludere: “si è lanciato un ponte tra mondi da lunghis- anfore di epoca romana provenienti da tutto il mon-
simo tempo sottoposti ad una rigida segregazione di- do mediterraneo solo l’essere i testimoni di un model-
sciplinare”10. lo di sviluppo che, si spera, apparirà finalmente per
quello che era stato: irresponsabile e incontrollato, in-
Che cosa ci può raccontare la storia? capace di fermarsi davanti a nessuna evidenza con-
traria al principio della massima accumulazione del
Il principio organizzativo di tutti i testi di storia profitto. Chissà – si era anche commentato con sar-
del mondo attualmente disponibili, sostiene lo sto- casmo – negli annali del nostro tempo conosciuti da
rico Donald Hughes (tra i fondatori della storia am- quegli archeologi del tempo futuro sarà rammentata
bientale nel Nord America) è lo sviluppo (nei testi del anche la stolta impresa della solita multinazionale del
Nord America) o il progresso (in Europa): ma il pun- petrolio che alla caccia degli ultimi barili di idrocar-
to di vista e l’ispirazione del racconto sono sempre buri del pianeta, rintracciati con pozzi che operavano
gli stessi11. ormai a profondità inimmaginabili si erano cimentati
La favola di un avanzare progressivo dell’umanità anche con il sottosuolo archeologico di Roma avendo
verso un futuro sempre più radioso è oggi dissolta da scoperto che a fianco dell’ingresso di Santa Maria in
un nuovo e ben più inquietante racconto, che ci mo- Trastevere una antica iscrizione celebrava la presen-
stra come il procedere della società sia portavoce di za in quel luogo di una fons olei ovvero una casuale e
progressive distruzioni, in grado di mettere in perico- spontanea fuoriuscita di petrolio dal sottosuolo avve-
lo la nostra stessa sopravvivenza biologica12. nuta in epoca imperiali romana!
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Si era anche rammentato che proprio in quei giorni volute però le proteste della Svizzera per far emerge-
era uscito un brillante articolo destinato a “storicizza- re la questione e nel 1998 questo insediamento pro-
re” in forma divulgativa il ruolo modernizzatore svol- duttivo è stato inserito nella lista delle sedici aree ita-
to nel Piemonte sabaudo della prima metà dell’Otto- liane a elevato rischio ambientale15.
cento dalle opere idrauliche avviate da Cavour. Il tito- Il terzo esempio: nessuno degli storici dell’indu-
lo era assai significativo (Il canale Cavour non è mai strializzazione si è mai premurato di analizzare la ri-
a secco), ma ancor più l’occhiello ne esplicitava la fi- caduta delle politiche di concessioni gratuite di spa-
losofia “progressista”: “L’idea venne a Camillo Ben- zi alla nascente grande industria nelle periferie urba-
so per irrigare le risaie vercellesi. Ancora oggi fun- ne, né di percorrere le vicende del loro impatto am-
ziona benissimo tanto che da queste parti l’emergen- bientale e delle bonifiche successive alla cessazione
za idrica non è di casa”. L’articolo poi si concludeva delle attività. Nel caso di insediamenti che produsse-
con una stupefacente interrogazione retorica: “Ma il ro forme di monocoltura produttiva quelle vicende di-
canale Camillo Benso di Cavour, oggi, supererebbe la vennero la storia dell’instaurarsi di rapporti “feuda-
valutazione di impatto ambientale?”13. li” nei confronti delle comunità e dei territori, non-
Si era infine concluso, parafrasando le parole che ché di complesse e vischiose politiche di paternali-
Tacito fa pronunciare al generale calèdone Calgacus smo aziendale16.
ubi solitudinem faciunt, pacem appellant14: hanno co- Il quarto esempio (anche questo molto trascurato
struito mostri e lo chiamano progresso. dagli storici in relazione alle vicende del consumo di
Ironia e sarcasmo potranno forse consolarci ma territorio): le servitù militari. La provincia di Nova-
non necessariamente condurci al reale nodo dei pro- ra nella sua configurazione precedente al 1926 ave-
blemi. va molte aree vincolate e sottoposte a questo genere
di servitù. Dai poligoni di tiro alle aree aereoportua-
Alcuni esempi intorno ai quali riflettere li, dalle caserme alle strutture difensive (ad esempio
la linea Cadorna). È un terreno di indagine totalmen-
Il consumo del territorio, la desertificazione, il di- te ignorato dagli studi storici locali anche se in taluni
sboscamento, l’inquinamento – lo abbiamo già det- casi ci si è occupati delle vicende delle strutture che
to – sono sempre esistiti, a cambiare però è stata l’in- occupano quegli spazi.
tensità e l’ampiezza di quei fenomeni e soprattutto il Il quinto esempio (questa volta di carattere assai
modo di produrre. meno locale): le aree investite dalla guerra moder-
Ed è proprio questo il nodo centrale dei problemi. na. Là dove le operazioni si sono impantanate i ter-
Proveremo a spiegarlo attraverso alcuni esempi. ritori sono diventati cimiteri ambientali. In Francia
Il primo riguarda le acque e la zona che abbiamo dopo il 1918 sedici milioni di acri di terreno (65 mila
scelto già prima. Kmq) furono dichiarati inaccessibili (il 15% di obici
L’industrializzazione del lago d’Orta e del Verba- non esplose). Nel 1996 restavano ancora due milioni
no sono legate a questo elemento. Le manifatture tes- di acri (8.100 Kmq) da bonificare con 12 milioni di
sili, prima, la seta artificiale (Bemberg e Rhodiatoce) obici inesplosi. Il loro smaltimento è avvenuto solita-
e le rubinetterie, poi, si insediano qui per l’abbondan- mente facendoli brillare in mare.
za delle acque necessarie alla produzione. Per l’ab- Poveri pesci! Anche se a quelli della Manica è an-
bondanza e la qualità! Si pensi alle sbianche di Intra data meglio di quelli dell’Adriatico che nel tratto di
e alla diversità delle acque dei torrenti S. Bernardino fronte alla Puglia, dopo la seconda guerra mondia-
e S. Giovanni nella scelta delle loro dislocazioni. L’e- le, si sono trovati a convivere con un enorme arsenale
redità di quella industrializzazione fu un pesantissi- chimico di iprite, scaricato lì dagli americani dopo il
mo inquinamento dei due laghi ancor oggi irrisolto. bombardamento tedesco di Bari del 2 dicembre 1943,
Abbiamo sottolineato la questione della diversità che ha colpito e continua a colpire i pescatori dell’a-
delle acque non per vezzo accademico ma per la ri- rea17.
levanza che ciò ha dal punto di vista ambientale. Lo
stesso vale infatti anche per i terreni e ben lo sanno Non è una conclusione
coloro che si battono contro le pratiche diffuse di bo-
nifica delle aree inquinate: la decorticazione super- Tentiamo di muovere verso la fine di queste con-
ficiale a la sostituzione con terra di altra provenien- siderazioni. Abbiamo richiamato alcuni esempi, fa-
za implica la cancellazione di produzioni agricole di cendo cadere lo sguardo a caso, qui e là, muovendo
pregio (ad esempio la produzione di vini doc) che de- spesso più per enunciazioni schematiche che per ar-
vono proprio alle caratteristiche mineralogiche super- gomentazioni approfondite.
ficiali il loro essere. Tutti gli esempi, senza grandi ombre di dubbio,
Il secondo esempio: lo stabilimento Rumianca di consentono però di confermare che da decenni ormai
Pieve Vergonte. Esso è stato per anni specializzato facciamo estinguere innumerevoli specie, impoveria-
nella produzione di nebbiogeni e arsenici per usi mi- mo la biodiversità, alteriamo ecosistemi, modifichia-
litari, poi nella fabbricazione del Ddt con cui sono mo equilibri millenari del clima, consumiamo risorse
state devastate le acque del Lago Maggiore. Ci sono che saranno perdute per sempre.
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A voler ben riflettere dobbiamo tuttavia conveni- 4. Cfr. Rackham Oliver, The History of the Countryside. The
re che una elaborazione storiografica attenta alla ri- full fascinating story of Britain’s landscape, London, J.M. Dent &
Sons Ltd, 1986.
costruzione delle modificazioni ambientali nel corso
del tempo (un tempo che sappiamo sulla nostra pelle 5. Cfr. Quintavalle Arturo Carlo, Gli Alinari, Firenze, Alina-
ri Idea, 2003.
non essere espressione di un percorso continuativo e 6. Per un approccio a questi materiali si rinvia ai siti www.ma-
lineare) è caratterizzata da una forte carica etico-poli- riogiacomelli.it e www.archiviomariogiacomelli.it (consultati il 14
tica. Ed in piena crisi delle ideologie, tutto ciò signifi- gennaio 2018).
ca proporre una radicale critica all’attuale sistema di 7. Ampia antologia dei materiali è consultabile negli archivi fo-
produzione, distribuzione e consumo, rifiutando l’as- tografici della Regione Lombardia, al sito www.lombardiabenicul-
sioma che esso sia il migliore possibile. turali.it/fotografia/ (consultato il 14 gennaio 2018).
“Il futuro non ci sarà graziosamente consegnato 8. Bevilacqua P., Presentazione, in Armiero Marco e Barca
Stefania, Storia dell’ambiente. Una introduzione, Roma, Carocci,
da qualche metafisica progressista, ma è drammatica- 2004, p. 10.
mente nelle nostre mani, dipende dal nostro senso di 9. Cit. in idem.
responsabilità e dalla capacità collettiva di piegare le 10. Cfr. ibidem, pp. 55-56.
potenze dominanti alle ragioni degli interessi genera- 11. Cfr. Hughes Donald, Introduction, in Id, (ed.) The Face
li della gente comune”18. of the Earth. Environment and World History, New York, M. E.
La memoria e la ricostruzione critica e scientifi- Sharpe, 2000, p. 3.
ca del passato ci possono dare una grossa mano. Non 12. Cfr. ibidem.
dobbiamo però illuderci più di tanto e muoverci con 13. Meletti Jenner, Il canale Cavour non è mai a secco, in Il Ve-
realismo: “per la maggior parte degli storici del no- nerdì di Repubblica, n. 1535, 18 agosto 2017, p. 44.
stro tempo, la nottola di Minerva deve ancora inizia- 14. Tacito, Agricola, 30, 40.
re il suo volo”19. 15. Cfr. Di Feo Gianluca, Veleni di Stato, Milano, Rizzoli,
2009, pp. 213-215.
Adolfo Mignemi 16. Benché nati in contesti analitici molto differenti e lonta-
ni dalle problematiche di storia ambientale cfr., ad esempio, sul-
la industrializzazione della provincia di Novara: Mignemi Adolfo,
“I commerci e l’industria che si vanno sempre più ravvivando”,
Note in Una terra tra due fiumi: la Provincia di Novara. L’Ottocento, a
cura di Tuniz Dorino, Novara, Provincia di Novara, 2007, pp. 167-
1. Cfr. Bevilacqua Piero, Il secolo planetario. Tempi e scansio- 216; sulle vicende nel Verbano: Rattazzi Giulio Cesare, Azienda e
ni per una storia dell’ambiente, in “Parolechiave. Nuova serie di comunità locale, in L’azienda e la libertà dell’uomo. Convegno del
‘Problemi del socialismo’”, 1996, n. 12, pp. 161-195. Movimento giovanile DC. Torino, 21-22 nov. 1963, Brescia, Mor-
celliana, 1965, pp. 85-96.
2. Sereni Emilio, Storia del paesaggio agrario italiano, Bari,
Laterza, 1961. Il “cantiere” di lavoro di Sereni è oggi conservato a 17. Cfr. Webster Donovan, Le terre di Caino. Quel che resta
Gattatico (RE) presso l’Istituto “Alcide Cervi”. della guerra, Milano, Corbaccio, 1999, pp. 15-77. Su Bari si ve-
dano anche: Di Feo G., op. cit, pp. 155-176; Morra Francesco, Top
3. In questo ambito di sensibilità scientifica era già uscito nel secret. Bari 2 dicembre 1943, Roma, Castelvecchi, 2014; Infield
1937 in Inghilterra il trattato del geografo inglese, P. W. Bryan, Glenn B, Disastro a Bari, Bari, Adda, 2003, 2ªed. aggiornata.
Man’s adaptation of nature. Studies on cultural landscape, (Lon-
don, University of London Press); il testo è riprodotto in www.ar- 18. Bevilacqua P., Presentazione, op. cit., p. 14.
chive.org (consultato 15.01.2018). 19. Idem.

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Da “Don Lisander” alla “Calusca”.
Autobiografia di Primo Moroni

Raccolta e redatta da Cesare Bermani, pubbli- vamente a lui sottoposte il 23 ottobre. L’autobiografia
cata in “Primo Maggio” n. 18, autunno-inverno – così penso si possa definire questo scritto malgrado
1982-83, era stata preceduta dalla seguente nota la mia mediazione – si ferma al 1972. Le fonti a dispo-
metodologica di Cesare: “Il 22 gennaio di quest’anno, sizione, permettevano una ricostruzione solo sino a
1982, ho registrato alla Calusca una lunga conversazione quella data, che d’altronde segna un momento deci-
con Primo Moroni che, a partire dagli avvenimenti po- sivo di passaggio nell’attività politica di Primo Moroni e,
lacchi e le reazioni della classe operaia italiana ad essi, si vero e proprio spartiacque, ne chiude anche un capitolo”.
è ben presto allargata, e direi senza soluzione di continu-
ità, a tutta la sua vita di lavoratore e militante. Dalla Sono nato nel 1936 in una famiglia di contadini to-
sua biografia emergevano alcuni momenti della vita scani, emigrati interni della val di Nievole, che, come
del PCI negli anni Cinquanta e Sessanta determinanti tutti sanno, cominciano di solito col fare i camerieri
per la comprensione di nodi storici posteriori (dal ’68 e poi finiscono per aprire una trattoria o un ristorante
al partito armato) e di radicati e tuttora attuali com- a Milano. Mio padre era monarchico, una brava per-
portamenti operai. L’interesse era indubbio, ma Moro- sona che pensava che il Re avrebbe aggiustato tutto il
ni avrebbe mai trovato il tempo per stendere una sua casino italiano del dopoguerra. A Milano ci arrivò ne-
autobiografia? Sarebbe riuscito a vincere quella ritro- gli anni Trenta e aprì un negozio di friggitoria casta-
sia che prende ognuno di noi quando dobbiamo scri- gnaccia: “Il Gigi della Gnaccia” si chiamava. Negozi
vere di noi stessi? E dico “scrivere” e non “parla- del genere, erano allora molto in uso.
re a un amico”, cosa che per lo più riesce meno difficile. Finita la guerra avevamo una trattoria in via Ripa-
Mi sono quindi sostituito a lui utilizzando sia la tra- monti al 119, frequentata da operai della OM e del-
scrizione della nostra conversazione sia un’altra con- la Centrale del Latte, storica e nota sede comunista.
versazione di Moroni con Giorgio Morale, apparsa con Così, nel 1953, mi sono iscritto alla sezione del Pci di
il titolo di Frantumazioni. I percorsi dei sogni in “La Tri- via Bellezza, vicino al parco Ravizza, perché in trat-
bù”, Foglio settimanale del movimento per la fondazio- toria erano tutti quanti comunisti. Nei paraggi, c’era
ne del villaggio, Milano, n. 23, 4 marzo 1982, pp. 1, 6-8. anche una sala da ballo, il “Principe” di viale Bligny,
Ho proceduto poi con il porre in successione diacronica ed è lì che ho cominciato a ballare. Ho smesso presto
brani tratti da queste fonti, sfrondandole da quanto d’andare a scuola, come si usa in queste famiglie to-
mi sembrava inessenziale al fine della ricostruzione scane. Ho fatto la seconda media ma non funzionavo,
biografica, facendo anche numerosi interventi nella tra- allora mi hanno mandato all’avviamento professiona-
slitterazione dal linguaggio orale a quello scritto; pun- le. Andavo a scuola in tuta, tiravo la lima, lavoravo al
tualizzando avvenimenti e verificando le loro date, chie- tornio finché ho dato una martellata a un professore e
dendo poi a Moroni una verifica del mio lavoro. Infatti mi hanno espulso. Incazzato, mio padre mi ha messo
questo tipo di razionalizzazione delle testimonianze ora- a lavorare in trattoria, ma non riuscivo bene. Allora,
li ha una sua validità se in essa non vi sono travisamen- per svezzarmi, mi ha mandato da un certo Eligio Isa-
ti di quanto il testimone ha effettivamente voluto dire ia Merini: un profugo di Mauthausen, gigantesco, alto
e se non vengono fatte omissioni di cose che egli ritenga circa due metri, che mandava avanti una scuola d’ad-
debbano apparire. Mi sono così nuovamente incontrato destramento per cani in via Bellezza, dopo avere im-
con Primo Moroni, il 12 ottobre successivo, ed è stata parato il mestiere dai tedeschi. Per un anno ho adde-
necessaria una nuova, breve conversazione registrata strato pastori tedeschi, molossi napoletani e altre bel-
per effettuare alcune integrazioni da lui richieste, nuo- ve allucinanti. Col Merini che si rotolava per terra e
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faceva a botte con questi cani giganteschi, ho fatto il tri chef, intoccabile e munito di poteri assoluti persino
mio primo mestiere. Poi mio padre comprò un gran- sul maître di sala. Finiva spesso a coltellate con que-
de ristorante in via Larga, allora una grossa e popolo- sti cuochi perché sono pazzi furiosi, nevrotici, e per di
sa via vicino al Bottonuto, che era un quartiere al cui più allora tu avevi davanti un pubblico che ti trattava
posto adesso c’è un grande palazzo in via Albricci, con estrema durezza. Da noi veniva a mangiare tutta
ma vent’anni fa erano quattro vie, una piazza, tre case la famiglia Treccani: il padre Ernesto, senatore, e il fi-
di tolleranza e tanta malavita. Il ristorante era davan- glio che era un pittore comunista ma non disdegnava
ti al Teatro Lirico e si chiamava “Firenze Mare”, in di frequentare questi locali in compagnia del padre.
un secondo tempo “Alla Bella Toscana”. Alle undici Veniva anche un signore raffinatissimo, tutto pelato,
ci venivano a mangiare le prostitute della casa di tol- che aveva ereditato il titolo di Treccani degli Alfie-
leranza di via Chiaravalle, che cominciavano il lavoro ri e mangiava solo tartufi e funghi. Mi ricordo che un
nel pomeriggio. Mia madre non le voleva. Le trattava giorno le operaie del Cotonificio Ticino, di proprietà
male e metteva più sale nei loro piatti. Invece erano dei Treccani, dopo averli individuati, hanno assaltato
persone gentilissime e a me, ragazzo giovane, interes- il ristorante e, vergogna per un comunista, io ho fat-
savano moltissimo e speravo sempre che mi avrebbe- to scappare il senatore dalle cantine, invece di conse-
ro fatto entrare, prima dei diciotto anni, in queste case gnarlo alla classe operaia in lotta. Ma a quei tempi un
di tolleranza. Alle sei, era il turno di quelli delle com- cameriere non poteva fare capire troppo di essere co-
pagnie di rivista – Dapporto, Macario –, perché in te- munista. In ogni caso, questo lavoro mi permetteva,
atro si mangia prima dello spettacolo. fin da giovanissimo, di girare, andare sulla Costa Az-
È in via Larga, giovanissimo, che ho imparato a zurra, in Germania o in Svizzera, usando le lingue ne-
fondo l’unico mestiere, quello dei ristoranti, in un cessarie in ristorante, cioè quelle trecento-mille paro-
ristorante abbastanza di lusso, frequentato da molti in- le del lavoro – perché i camerieri in realtà non cono-
dustriali. A casa però mi rompevano i coglioni; pren- scono quasi mai le lingue. Ma, soprattutto, ha fatto sì
devo un sacco di botte perché andavo sempre in giro che introiettassi fortemente i modelli dei miei clienti.
di notte e tornavo alle due o alle tre; e allora me ne Questo è il secondo grosso rischio del nostro mestie-
sono andato a lavorare come commis da “Don Lisan- re: guadagni molto, sei d’estrazione di strada, maga-
der”, in via Manzoni. Diventato demi-chef, sono pas- ri un po’ proletaria e non hai granché gusto nel vesti-
sato da “Alno”, a servire in smoking e guanti bianchi. re, mentre ti trovi davanti clienti che hanno un gusto
Poi sono stato tre mesi a perfezionarmi alla scuola al- sviluppatissimo.
berghiera di Stresa e ho cominciato a fare delle tour- Una delle cose che più mi colpivano era che que-
née, accettando ingaggi. Lavorando al “Negresco” di sti qui avevano sempre la camicia bianca che usciva
Cannes, sono diventato chef de rang: un mestiere alta- dalla giacca e faceva un bell’effetto. Le camicie che
mente redditizio ma terribile per l’orario. Entravi alle compravo io, invece, per quanti sforzi facessi, non ve-
otto e uscivi alle tre del pomeriggio; rientravi alle sei nivano mai fuori dalla giacca, e non riuscivo a otte-
e finivi a mezzanotte. Lavoravo circa quattordici ore nere questo effetto. Così, un giorno, ho domandato
al giorno e guadagnavo dalle 500 alle 700 mila lire al come mai a un commerciante di seta. Mi disse: “Ma
mese, che in quegli anni, parlo del ’52-56, erano mol- figlio mio, le camicie si fanno fare su misura, non si
tissime. E siccome non le potevi spendere di giorno, comprano già fatte!”. Svelato il mistero, domandai:
le spendevi di notte, nei night club di lusso, a fare il “Ma lei dove le fa fare?”. “Io le faccio fare da Caruc-
cliente. Lì ho conosciuto le prime donne: entraîneu- ci, in corso di Porta Romana”. Mi precipitai là e sco-
ses di cui mi innamoravo regolarmente pensando di prii che una camicia su misura costava 25 mila lire.
avere il dovere di toglierle dal mestiere per portarle Era una cifra enorme, ma feci fare lo stesso le cami-
sulla retta via, cioè a fare le oneste donne di famiglia. cie. Dopo tre anni che eri del mestiere, fuori del la-
Ma, in questo senso almeno, mi mandavano sempre a voro cominciavi a vestirti come il padrone che servi-
dar via il culo. Avevo delle relazioni che non pagavo, vi, introiettavi questa figura di borghese colto e raf-
ci innamoravamo perché io ero giovane e gentile, non finato che avevi davanti andando a comprare le scar-
uno di quei vecchi che vanno di solito al night, e ave- pe da Fragiacomo e i vestiti da Tosi o da Tadini. Mi
vo soldi in tasca. Da parte loro c’era un po’ d’interes- sono comprato persino un Piaget extra piatto. “Ma
se e d’affetto, ma l’ultima cosa che gli passava per la che cazzo ci trovano in questi orologi?”, continuavo a
testa era di lavorare. Io invece sognavo che smettesse- domandarmi. Così, quando uscivo ed entravo nei lo-
ro; avrei preso un appartamento, e loro sarebbero sta- cali, avevo l’aspetto dei miei clienti, ma se andavo in
te a casa a fare la donna di famiglia. sezione mi cambiavo, mettevo un maglione; agghin-
Il ristorante allora era una struttura molto rigoro- dato così mi vergognavo e avevo la netta sensazione
sa e fortemente gerarchizzata. In quelli dove lavoravo che gli altri compagni mi avrebbero guardato male.
io si pagavano già cifre intorno alle 10-12 mila lire a Gli operai invece venivano con la camicia e la cravat-
cranio e c’erano un maître, degli chef, dei demichefs, ta, però era roba da grande magazzino. Qualcuno si
dei commis, che non contavano un cazzo e pigliavano serviva dai sarti di quartiere, figura ormai scomparsa,
insulti da tutti. Sopra tutti incombeva la magica figu- ma il taglio dei loro abiti era approssimativo.
ra dello chef di cucina, attorniato da uno stuolo d’al- Interessandomi di politica, benché non avessi cul-
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tura, ascoltavo voracemente i discorsi di certi miei In quegli anni, quando avevo un giorno di festa,
clienti e ho così appreso una massa incredibile di in- andavo spesso in sala da ballo e la domenica uscivo
formazioni. Mi ricordo di avere servito Camilla Ce- anche la sera. C’erano delle grandi compagnie di bar,
derna giovanissima, Arbasino, Calvino, Vittorini e tutte molto maschili e solidali, anche un po’ teppistel-
moltissimi giornalisti di piazza Cavour. Parlavano di le e aggressive, tanto che poi nelle sale da ballo c’era-
autori, di percorsi, di letteratura. Io poi andavo nel- no episodi di violenza, risse gigantesche e ci si dava
le librerie e cercavo disperatamente i libri e le rivi- delle botte da orbi! Noi andavamo quasi tutti nei pri-
ste che sentivo nominare. La svolta fu quando deci- mi locali di tipo esistenzialista come: l’“Aretusa”, il
si di comperare “Les Temps Modernes”, che leggevo “Santa Tecla”, la “Taverna Messicana”, oppure nelle
con grande sforzo e ostentavo molto. Questo capitava sale da ballo da gara: la “Fiorentina”, il “Principe” e
verso il ’55. Compravo regolarmente “Cinema Nuo- la “Meridiana. Ma le sale che andavano di moda era-
vo”, perché al pomeriggio, non avendo niente da fare no ormai quelle esistenzialiste o definite tali. Ti ve-
e con poche ore a disposizione, andavo sempre al ci- stivi un po’ all’americana, con giubbotti e blue jeans,
nema. Quando ero molto stanco, finiva che mi addor- foulard al collo, e dicevi che va be’ eri stanco, che in-
mentavo e, siccome alle sei dovevo tornare al lavo- somma tu eri un esistenzialista, che avevi i casini tuoi,
ro, avevo dato una mancia alla maschera del Canzoni delle grandi tristezze e che che il mondo non cambia-
perché mi svegliasse, se capitava. Mi spostavo sem- va. Bevevi un po’ di più, stavi magari un’ora seduto in
pre in taxi, vedevo molti film, andavo al night e la not- un angolo, non parlavi con nessuno. “Sai lui è un esi-
te tornavo regolarmente a casa alle quattro. Alle set- stenzialista, lascialo perdere”. In realtà avevi una gran
te e mezzo mi alzavo e tornavo al lavoro. Quando ero voglia di andare a ballare ma dovevi fare la parte con
di festa, poi, recuperavo, dormendo due giorni di fila. le donne perché ci cadevano; come per tutti i giovani,
A un certo punto, però, ho scoperto che era molto più il problema fondamentale era scoprire la tecnica per
semplice fare le stagioni. Fai tre mesi estivi e tre in- entrare in contatto con questo cazzo di mondo del-
vernali e, se trovi l’ingaggio buono, guadagni come le donne, e ogni volta dovevi inventarti una tua figu-
lavorare tutto l’anno. A volte, nei grossi ristoranti, ca- ra. Quando dicevo che facevo lo chef de rang e lavo-
pitava anche di venire ingaggiati da famiglie molto ravo in ristorante, mi colpiva che loro immediatamen-
ricche. Chiedevano al titolare il permesso e poi ti da- te dicevano: “Ah, fai il cameriere”, e ti guardavano
vano 50.000 lire. In questo modo, ho lavorato al Con- peggio che se avessi fatto l’operaio o l’artigiano; per
solato rumeno, in quello del Perù, in famiglie del giro loro era un brutto mestiere, un mestiere da servo; ma
dell’Italcementi che abitavano attorno a via Turati e io non facevo il cameriere, ero uno chef de rang. Un
via Sant’Andrea, scoprendo un mondo assolutamen- po’ questo, un po’ il fatto che lavorare come chef de
te incredibile, perché avevo sempre vissuto in case di rang teneva veramente occupato troppo tempo, sicco-
ringhiera: onestamente, in queste abitazioni c’erano me facevo delle gare di ballo e riuscivo molto bene,
una serie di aggeggi che un ragazzo allora non aveva ho deciso di fare il ballerino. Allora queste gare era-
mai visto, dai bagni enormi con tanti impianti igieni- no parecchio importanti. Il ballo era praticato in tutte
ci, allo spreco di spazio, ai mobili antichi. Nei risto- le nuove sale. C’erano gare autorganizzate: si comin-
ranti scoprivi le attrezzature di posate, ed era già una ciava dai campionati di sala, per arrivare a quelli cit-
grossa scoperta. Però, in quelle case così complesse, tadini e regionali. Imparavamo a ballare così, automa-
c’era anche una spregiudicatezza di comportamenti e ticamente, in sala, ma nascevano anche delle scuole,
durante le feste si scopava, con gli invitati che combi- per esempio “Auric” in via della Cerva o “Colombo”
navano dei casini allucinanti. Erano cose sorprenden- in piazza del Duomo. I maestri organizzavano le gare
ti, tanto che quando andai a vedere La dolce vita mi per recuperare clienti. Dai campionati italiani potevi
dissi: “È vero, è proprio così. Fellini è grande”. arrivare a fare gli europei e lì entravi in contatto con
Tornando poi in sezione o in strada, l’assorbimen- altri ambienti perché il fenomeno era diffuso e riguar-
to molto forte delle indicazioni culturali recepite dai dava certamente la Francia e la Svizzera. Io ho vin-
clienti e la tendenza a identificarmi con loro, a vol- to il campionato europeo di charleston in Olanda. Si
te, mi facevano sembrare che i miei compagni fossero facevano trentadue passi diversi e la gara finale si di-
inferiori. Avevo questo dubbio e ogni tanto ne parla- sputava sulle note di Tiger rag, un pezzo che occorre
vo con qualche vecchio comunista. In sezione davano fare viaggiare le gambe molto rapidamente per reg-
dei libri del realismo socialista; mi costrinsero a leg- gerlo. Bisognava fare la serie completa dei passi, e te-
gere tra l’altro il Klim Samglin di Gorkij, ma questi nere il ritmo, perché se lo perdevi venivi eliminato. A
del partito a me sembravano veramente scadenti e il Lione sono andato in finale ai campionati mondiali di
Klim Samglin orrendo, ma guai a dirlo, perché questa rock & roll. Sono tornato con una coppa, e tutti i pro-
era l’opera socialista. Mi piacevano invece, enorme- prietari dei locali mi cercavano per attirare i clienti.
mente gli scrittori americani, Steinbeck, Hemingway, Andavo in pista e facevo i numeri, mischiato agli altri
Faulkner, Dos Passos e quelli francesi, a cominciare che si spostavano perché non reggevano quel ritmo.
da Sartre, che avevo conosciuto più attraverso i collo- La gente veniva e beveva per vedere questi numeri as-
qui con la clientela dei ristoranti che non tramite l’e- solutamente nuovi. Come campione, invece di piglia-
ducazione impartita dal partito in questo campo. re 2500 lire e l’ingresso gratis, ne prendevi 5000. E,
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se volevi, potevi fare carriera. Alcuni di noi sono fini- razzo di fronte agli altri. Quanto alle donne, nell’am-
ti in America, quando è venuto Norman Granz, con il biente del teatro c’è anche molto senso della comuni-
“Jazz At The Philarmonic”. Se ne portò via cinque o tà. E quindi, anche se c’è molto affetto, non si scopa
sei e avrei potuto andare anch’io, ma non m’interes- neanche tanto. Magari queste ballerine andavano con
sava. Tre sono ancora in California, dalle parti di Be- qualche spettatore o con i clienti che le aspettavano
verly Hills; hanno aperto una scuola di danza, inse- fuori in macchina, ma spesso era per fame, perché si
gnano il tango e il valzer agli americani e mi manda- guadagnava troppo poco. 5400 lire al giorno di paga
no ancora delle cartoline. Athos, invece, è tornato in- sindacale, cioè 150mila lire al mese, per quegli anni
dietro dopo tre anni, con una Thunderbird spettacola- sembrano molte ma, a mangiare al ristorante e dor-
re; alto, elegante, era uno specialista del blues e quan- mire in albergo, non ti rimaneva nulla. Quando senti-
do arrivò in via Larga all’angolo di Chiaravalle, con vo la mancanza di danaro, perché m’ero abituato con
la Thunderbird bianca importata dall’America e im- l’altro mestiere a vestirmi bene, ad andare nei locali
matricolata a Genova, sembrava una scena di un film di lusso e vedere i film in prima visione, nuovo a fare
americano degli anni Cinquanta. Eravamo convin- il ballerino. In sezione i vecchi compagni mi diceva-
ti che fosse diventato miliardario, invece aveva pre- no che non andava, perché era meglio fare carriera in
so una mac82 china di seconda mano con tutto quello ristorante, mettere via i soldi e aprire un locale. Sì, in
che aveva guadagnato, solo per arrivare nella via del- sezione erano abbastanza contro il fatto che facessi il
la banda con una macchinona che faceva tre chilome- ballerino, perché un comunista non deve fare il balle-
tri con un litro ed era impossibile da mantenere. Noi rino. Invece il ristorante andava bene, nel senso che
allora avevamo solo vespe e lambrette; le automobi- ero uno chef de rang, un professionista! Inoltre, lavo-
li sono arrivate dopo il ’55. La passione di tutti era di ravo in ristoranti dove venivano a mangiare quelli del-
comperare l’Alfone mille e nove, la macchina della la Confindustria, da Pesenti agli altri, quindi riferivo
pula e dei randa. quello che dicevano a tavola. Allora il partito era tut-
Intanto studiavo danza classica con una maestra to informazione. Quanto al risparmiare, non rispar-
che aveva la scuola sopra la sede dell’Anpi in via Ma- miavo assolutamente nulla, perché di notte si spende-
scagni e si chiamava Anita Bronzi; ero spinto dalla va molto. Giravamo sempre in bande di molti ragaz-
mia morale comunista, cioè dai meccanismi tipici dei zi, perché tutti quanti avevamo questo pallino di fare
comunisti di quegli anni. Avevo due mestieri, uno che tardi. Andavamo a piedi nei locali di Brera, in quel-
mi piaceva – il ballerino – e uno che ero costretto a li lungo i Navigli o sulla circonvallazione. Quello dei
fare nei ristoranti. E allora, proprio per quel modello ristoranti è un mestiere in cui tu hai la continua solle-
politico e culturale assimilato nel Pci, non potevo es- citazione a emergere, perché sei a contatto con i ric-
sere un cameriere. Se ero comunista, dovevo diventa- chi, con case grandissime e donne bellissime, decisa-
re uno chef de rang, cioè un professionista. E se fa- mente più belle delle proletarie o meglio, che appa-
cevo il ballerino di sala non potevo limitarmi a fare iono decisamente più belle, perché vestono e si truc-
le gare, ma dovevo specializzarmi. Esattamente come cano meglio. Senza accorgertene, diventi un aspiran-
se avessi fatto l’operaio, avrei dovuto diventare ope- te borghese e speri che qualcuno di questi ricchi ti as-
raio specializzato e se fossi stato specializzato, capo- suma in qualche sua azienda, tirandoti fuori dai risto-
reparto. Così ho fatto due anni di danza classica per- ranti. Non lo sopportavo più! Tanto è vero che, a un
ché, se ballerino dovevo essere, dovevo possedere i certo punto, smisi di farlo. E smisi di fare anche il bal-
fondamenti scientifici della danza, anche secondo i lerino, perché durante uno spettacolo avevo fatto un
colloqui fatti con altri compagni. I primi tempi anda- salto troppo alto, m’ero infilato in una quinta e ave-
vo a lezione di pomeriggio e continuavo a fare il ca- vo spaccato un ginocchio; il che mi procurò un gros-
meriere. La ginnastica alla sbarra per educare le gam- so applauso perché la gente pensava che fosse un pez-
be è molto pesante, e la Bronzi era una maestra molto zo di bravura.
severa. Queste due ore pomeridiane, dopo averne fat- Intanto ero andato a militare: ventuno mesi di naia
te prima sette in piedi al ristorante, volevano dire ave- perché ero irrequieto e segnalato politicamente. Mi
re le gambe rotte. Dopo due anni, però, camminavo misero in un reggimento di assaltatori a Messina: uni-
in modo diverso, perché quella ginnastica ti modifi- co alto un metro e ottantasei mentre, in media, gli as-
ca la struttura del ginocchio e ti sposta la rotula verso saltatori sono tutti un metro e sessanta. Ho sconta-
l’esterno. È questa modificazione a permettere i salti, to tre mesi di CPR, perché scappavo per guadagnare
i giri, le piroette e tutto il resto. Siccome ero venuto soldi – allora davano 117 lire di diaria e nessuno mi
fuori nel saggio abbastanza bene, questa maestra mi mandava soldi da casa, perché con i miei avevo rot-
ha trovato degli ingaggi in avanspettacoli e operette, to. Così m’ero fatto ingaggiare in un locale nottur-
dove si guadagnava molto poco, ma in compenso era no come ballerino. Mi hanno beccato varie volte que-
una grossa avventura perché giravi tutta l’Italia. Con sti colonnelli del cazzo e mi hanno cacciato in galera.
una compagnia di operette ho fatto Il Paese dei cam- Tornato a casa, mi hanno assunto all’Olivetti a fare
panelli e Cinci- là. La maggioranza dei ballerini era- lo zero uno: la vendita della Lettera 22. Sino ad allora
no omosessuali. In un’operetta a Trieste, di sei boy, non ero mai entrato nell’ordine di idee di fare dei la-
ero l’unico a non essere invertito e provavo dell’imba- vori borghesi, perché pensavo fosse un vendersi ai pa-
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droni, e invece restarne fuori permetteva di mantene- cui io ero letteralmente sospeso fra la strada e il par-
re più identità. Poi ho girato in macchina, per le casci- tito, tra il ristorante di lusso e la sala da ballo. Avevo
ne del Piemonte, sette o otto mesi, a fare il magliaro: una formazione di grande complessità, ma mi manca-
vendevo pacchi di biancheria o pentolame. Ma sotto va una particolare identità nel mondo del lavoro. Non
c’era sicuramente una truffa, e la mia morale comuni- che non cercassi d’uscire da questo circuito; quando
sta m’impediva di fare a lungo cose del genere. Così m’innamoravo cominciavo a pensare: “Come faccio a
ritornavo ogni volta dentro al solito circuito: di gior- continuare a lavorare in ristorante e a fare questa vita,
no nei grandi locali di lusso e la notte in giro con ban- che sono fuori casa quattordici ore al giorno; che caz-
de di malavitosi. La compagnia del Bottonuto era fat- zo di famiglia faccio?”. E decidevo di cambiare me-
ta da più di cento ragazzi, di cui una metà sono fini- stiere, perché pensavo di sposarmi con questa o con
ti in galera. Pochi si sono politicizzati: sette o otto a quella. E così facendo, sono rimasto scapolo fino a
sinistra e quattro o cinque a destra. Uno di questi fa- trentatre anni.
scisti è diventato o cinque a destra. Uno di questi fa- Ero entrato nella Fgci che ne avevo sedici. All’ini-
scisti è diventato segretario del Fronte della Gioven- zio ti tenevano a bagnomaria due o tre anni prima di
tù qui a Milano. Un altro fa il pittore ed è di Ordine darti la tessera e a me l’hanno data nel ’56. Nel frat-
Nuovo. Nel ’71, quando sono stato picchiato, lui è ar- tempo ero andato ad abitare in via Larga e avevo cam-
rivato a casa mia e mi ha detto: “Dimmi che caratteri- biato sezione, finendo alla “Peroni Devani”. Cos’e-
stiche avevano perché tutti sanno che sei intoccabile, ra in quegli anni il partito? Una grande, solidale co-
perché sei mio amico. Li andrò a beccare io”. Molti munità con un progetto ambiguo: la rivoluzione. De-
altri sono diventati ladri, truffatori, macrò e ogni tanto mocrazia, rivoluzione e la convinzione di tutti che la
li trovo sui giornali. L’ambiente era quello, insomma, via al socialismo e i partiti erano una cosa, ma che
con delle leggi interne rigorose. L’ultimo gradino di una volta preso il potere, col cazzo che lo davamo in-
queste categorie di strada della malavita era il macrò, dietro. Avremmo imposto criteri operai, instaurato la
lo sfruttatore di donne, che veniva lentamente espul- dittatura del proletariato. Questa convinzione da par-
so dalla compagnia, perché non rischiava di persona. te di tutti non andava mai detta ma era totale e asso-
Le prostitute non sono viste male dal malavitoso nor- luta. L’ambiguità si imparava rapidamente. Nel ’51,
male che fa il ladro, il rapinatore o il truffatore. Anzi, alla OM venne scoperto un deposito di armi. Crollò il
spesso se le sposano e una volta che scelgono di fare pavimento e, casualmente, ne trovarono qualche ton-
una famiglia sono delle brave donne, anzi straordina- nellata sotto il reparto torni. Fu una cosa molto imba-
rie, perché hanno provato di tutto nella vita e non han- razzante per i comunisti e in un’osteria in viale To-
no problemi di immaginazione. Il macrò invece sfrut- scana, sull’angolo con via Leoni vicino alla Centrale
ta; è quello che trova la ragazza sbandata, arrivata dal- del Latte, sedici operai tirarono la bruschetta per chi
la provincia alla Stazione centrale, e l’avvia alla pro- si doveva prendere la colpa. Quattro di loro, che non
stituzione: è un autentico corruttore di un altro prole- vennero difesi da nessuno, andarono in galera e usci-
tario. Ma non è che questo fosse un giudizio politico, rono sei o sette anni dopo. Nel partito si sapeva che
perché in queste compagnie non si faceva politica. Il erano comunisti, ma lo tenevamo per noi. Sapevamo
ladro e il rapinatore erano molto rispettati, perché ri- che tenere le armi nascoste era un’azione assoluta-
schiavano di persona, insomma. mente corretta.
Questi giovani del Bottonuto provavano un grande Sapevamo che c’era stata la “Volante Rossa” e si
rifiuto all’idea di andare in fabbrica, tutto al contra- favoleggiava di un’altra organizzazione del genere
rio di via Ripamonti, nella zona dove ero vissuto pri- nel triangolo di Reggio Emilia, più rilevante. I vec-
ma, dove c’era una grande morale operaia. Era con chi compagni ti dicevano: “Quando sarai più grande,
questi miei amici malavitosi che andavamo a rompe- te la raccontiamo, non adesso, perché sono cose com-
re i coglioni nelle sale da ballo per portare via le don- plicate”. Parevano depositari di segreti molto grandi
ne alle altre compagnie. Quasi tutti i sabati sera o le che noi giovani non potevamo ancora apprendere. Sì,
domeniche pomeriggio, finiva a botte con quelli del la “doppiezza” era allora un comportamento costante.
paese, specialmente se andavamo in provincia, a La- Una volta abbiamo picchiato un fascista che stava a
chiarella o a Paullo. In una compagnia, ognuno dove- Niguarda; il giorno dopo la nostra sezione ha fatto
va avere una caratteristica distintiva e io ero ballerino, un comunicato criticando duramente un episodio di
per cui nelle sale ero utile. Facevo il numero e tutte teppismo estraneo alla tradizione della classe opera-
le donne volevano ballare con me il boogie-woogie, ia, quando invece l’avevamo fatta proprio noi della
il rock & roll, il charleston e il bebop. La mia funzio- sezione, perché la ritenevamo un’operazione estre-
ne era di tirarmi dietro le donne per gli amici, di rom- mamente rivoluzionaria e furba, al di là del morali-
pere il ghiaccio. Però quelli della compagnia del po- smo borghese. Nella sezione di via Bellezza c’era il
sto s’incazzavano, cominciavano spedizioni e contro- segretario di sezione ma anche un responsabile della
spedizioni e si finiva in questura denunciati per rissa. vigilanza, a cui rispondevi direttamente se entravi in
Il “Santa Tecla” e la “Taverna Messicana” sono sta- questo settore paramilitare del partito. Ancora nel lu-
ti sfasciati interamente più volte. La compagnia era glio ’60, quando mi telefonarono di notte per anda-
una grossa scuola di comportamenti, in quegli anni in re a Genova, non fu il segretario di sezione a farlo,
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ma il responsabile del servizio d’ordine. Ricordo che vano un certo disprezzo nei loro confronti, vedendo
quel viaggio non venne approvato dai vertici e quan- nell’intellettuale un individuo da usare. Così, mentre
do tornai in federazione mi chiesero: “Chi t’ha detto gli intellettuali criticavano, i giovani comunisti e gli
di andare a Genova?”. “Me l’ha detto il responsabile operai erano in piazza Cavour a difendere la sede del-
del servizio d’ordine”. Allora quello mi disse: “Ma tu l’“Unità” dall’attacco della marmaglia liberal-fasci-
mi hai ritelefonato per verificare se ero proprio io?”. sta, che metteva insieme in un unico calderone la li-
“No”. “Bravo! Sei caduto in una provocazione, caro bertà di Trieste e quella degli ungheresi. Quel gior-
compagno”. Sicuramente era lui che mi aveva telefo- no, anzi, dovemmo difendere anche la sede della Ca-
nato, però io avevo commesso due errori fondamenta- mera del Lavoro, allora anch’essa in piazza Cavour,
li per un militante comunista: rivelare che era lui che dall’assalto di gruppi di studenti con bandiere trico-
m’aveva dato l’indicazione e non tenermi il deferi- lori. La nostra diffidenza nei confronti degli studen-
mento ai probiviri, stando zitto, come usa un comuni- ti è anche dipesa dal fatto che l’Università Statale era
sta. Questi comportamenti li imparavi attraverso anni in mano al Fuan e gli studenti erano fascisti e borghe-
di militanza, spiegarteli non avrebbe avuto senso. Ma si, tanto è vero che ci avevano assaltato varie volte.
l’immaginario dello scontro a cui dovevi essere pron- Ricordo che qui a Milano i giovani liberali ci assalta-
to era sempre presente, e si favoleggiava di una certa rono anche nel ’63, dopo le elezioni, che avevano vi-
Brigata Garibaldi che: “Quella sì! Quella lì esiste an- sto raddoppiare il numero dei loro voti. Allora questa
cora di fatto”. Comunque tu avevi la sensazione di es- compattezza intorno al partito era ancora una cultura
sere protetto e che il partito sarebbe stato sicuramente unificante; l’obiettivo era la rivoluzione e, di fronte a
pronto nel momento dello scontro ad affrontarlo per- essa, si pensava che alcuni sacrifici che riguardavano
ché aveva tutte le strutture per farlo. la propria individualità fossero inevitabili. La classe
Questo qui fino alla destalinizzazione, al ’56. Da operaia e i comunisti dovevano essere assolutamen-
lì in avanti, c’è stato un progressivo processo di an- te la parte migliore e più sana della società, contrap-
nullamento di queste cose. C’era un opuscolo che cir- posta a quella corrotta, che era la borghesia; quindi,
colava allora, intitolato Ipotesi di comportamento e quelli che si rivoltavano in Ungheria vennero male in-
quelli che entravano nel servizio d’ordine – e io ci terpretati. Paradossalmente, quello che scriveva allo-
sono stato – dovevano averlo. Dava delle indicazioni ra Indro Montanelli della rivolta ungherese piacque
su cosa bisognava fare in caso di colpo di Stato: pren- abbastanza ai giovani comunisti. In un’opera teatra-
derti cura delle armerie della tua zona, essere pronto le, I sogni muoiono all’alba, e anche nelle sue cor-
ad assaltare alcuni edifici pubblici, eccetera. Questi rispondenze, egli sosteneva che quella era una rivol-
opuscoli vennero in seguito ritirati tutti, era d’obbli- ta comunista contro lo Stato socialista. Quest’opera,
go riconsegnarli. Adesso, ovviamente, leggo nelle va- rappresentata al Teatro del Convegno, vicino al cine-
rie interviste che non sono mai esistiti, né gli opusco- ma Capitol, fu vista da quasi tutti i giovani comuni-
li né queste strutture paramilitari. Il 14 febbraio del sti, che in fondo speravano che quella ungherese fos-
’56, il XX Congresso del Pcus inaugurò la campagna se una rivolta comunista. Ma la Cia e gli americani –
di destalinizzazione. Nella mia sezione c’era Rodol- così almeno si pensava – si erano inseriti sulla rivolta
fo Banfi che fece una serie di serate sulla faccenda; e per mistificarne i significati e quindi, di fronte a que-
quelli che erano un po’ più svegli vennero mandati in sta loro manovra, lo Stato socialista non aveva alter-
altre sezioni a spiegare questa storia, cioè, a sostene- native alla repressione. In ogni caso il Partito comu-
re la tesi delle vie nazionali al socialismo. Mi ricor- nista italiano non doveva prendere le distanze, perché
do che gli operai, sia a Niguarda sia ad Affori, dice- senza il retroterra dei Paesi socialisti, senza l’Unione
vano: “Signor Krusciov” e “Compagno Stalin”. Uno Sovietica, non era possibile la rivoluzione.
dei nostri compiti era di convincere i militanti a leva- In quegli anni si raccontava del disgelo, si leggeva
re le effigi di Stalin dalle sezioni: erano quadri enormi Il’ja Erenburg, si andavano a vedere film come Quan-
di Stalin vestito da maresciallo e andavano tolti. Però, do volano le cicogne, si parlava della necessità e pos-
in nessuna delle sezioni dove sono stato, sono riuscito sibilità di un ulteriore sviluppo dell’economia sovieti-
a farli togliere. L’unico compromesso a cui si arriva- ca e si pompava molto sulle diffamazioni che c’erano
va era che se ne facevano quattro piccoli: uno di Sta- state, nei confronti della patria del socialismo, che era
lin, uno di Lenin, uno di Marx e uno di Togliatti. Non in grado di riprodurre tecnologie avanzate, perché nel
c’erano più solo il quadro di Stalin grande e quello di ’57 aveva lanciato lo Sputnik. Nelle cellule di strada,
Togliatti piccolo. quelle che si tenevano in piazza Duomo e in via Ore-
In ottobre, scoppiò la rivolta in Ungheria e gran fici, potevamo ora dire che non era vero che l’Unione
parte dei comunisti di base, giovani compresi, si Sovietica non aveva l’elettronica e solamente l’accia-
schierarono dalla parte dei carri armati sovietici, a di- io pesante. Cosa che negli anni precedenti non erava-
fesa dello Stato socialista guida. Solo gli intellettua- mo mai riusciti a dire e che trovava ora una sua lam-
li si distaccavano dal partito; in quella fase, però, per pante dimostrazione. Di qui un’adesione ancora più
una serie di motivi che avevano a che fare con la fi- forte verso la patria del socialismo.
gura di alcuni di questi intellettuali, tipo Ignazio Si- Nonostante questo, le elezioni del ’58 non furo-
lone, i militanti organici del Partito comunista nutri- no brillanti. Comunque, la destalinizzazione non pas-
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sò interamente, malgrado i cambiamenti di alcuni di- ghe”, muovevamo all’attacco della Celere, senza uno
rigenti e non so quanto questi scazzi nel partito siano schema preciso, in modo molto spontaneo, mischia-
stati determinanti nella scelta di trasformare una buo- ti ai vecchi comunisti, che si conoscevano a memoria
na parte delle sezioni in circoli culturali. Fu il caso, e si muovevano militarmente organizzati, secondo la
tra le altre, della sezione “Mantovani Padova” con il vecchia formazione partigiana. I dirigenti del partito
Circolo Bertolt Brecht. Le sezioni erano il luogo di ci volevano ricondurre a una specie di trattativa con
ritrovo, di riferimento e d’incontro quotidiano; aperte le forze istituzionali e io non capivo il perché di que-
tutte le sere, c’era una riunione una o due volte la set- sto diverso comportamento, essendo tutti nel medesi-
timana e la gente ci andava a giocare a carte, a scac- mo partito. C’era tra l’altro del nuovo anche in fabbri-
chi, a chiacchierare; la maggior parte avevano un pic- ca. In aprile, giovani operai avevano guidato uno scio-
colo bar interno gestito da donne comuniste. A un pero di sedici giorni alle linee di montaggio dell’Al-
certo punto, con un ordine del quale non si è mai ca- fa Romeo, contro l’accelerazione dei ritmi e la mone-
pito bene il senso, le sezioni vennero chiuse. Apriva- tizzazione del maggior sforzo. Molti di loro erano im-
no solo per l’attività politica, quando c’erano le riu- migrati e non iscritti al sindacato. Era l’inizio di una
nioni, salvo quelle collocate all’interno di osterie con vera e propria ripresa, che avrebbe raggiunto i suoi
un bell sot e la bocciofila, come a Niguarda o sui Na- momenti più alti durante le lotte contrattuali del ’62-
vigli. Rimasero aperte e continuarono la loro attività 63, per stagnare poi fino al ’68.
solo le sezioni che avevano un’attività commerciale Che cos’era la nostra cultura politica di allora? Ne-
pubblica, rivolta all’esterno del partito. Quelle munite gli anni precedenti, nel Pci si facevano letture preci-
di bar all’interno invece, come la “Cantore” o la “Pe- se e attente dei testi sacri, da Marx a Lenin. Si leg-
rotti Devani”, eliminato il bar, aprivano i loro stanzo- gevano: Il manifesto del Partito Comunista; Salario,
ni solo una volta alla settimana per le riunioni poli- prezzo e profitto; L’evoluzione del socialismo dall’u-
tiche. Era una scelta che determinava una disaggre- topia alla scienza; Stato e rivoluzione; L’imperiali-
gazione fortissima. Sino ad allora il meccanismo di smo come fase suprema del capitalismo; La rivolu-
proselitismo era stato che tu prendevi degli amici, li zione proletaria e il rinnegato Kautsky. Solo più tar-
portavi lì, loro conoscevano delle ragazze e poi tor- di, ho letto L’ideologia tedesca e La Sacra famiglia.
navano. Inoltre la decisione di chiusura delle sezio- Era una cultura politica molto elementare, che consi-
ni coincideva con una grande svolta nell’occupazione steva essenzialmente in un cofanetto di “Classici del
del tempo libero all’esterno. Le sale da ballo a richie- marxismo”, dato dagli Editori Riuniti alle sezioni. In
sta, dove tu emergevi per le qualità di ballerino o per- più, si leggevano molti opuscoli, direttamente prodot-
ché eri bello e ti vestivi meglio, lasciavano il posto ai ti dal partito e, naturalmente, “l’Unità” e “Il Contem-
whisky a gò gò. E qui bisognava entrare accompagna- poraneo”, che erano d’obbligo per chi faceva un po’
ti dalla donna. Questo sfavoriva fortemente i proleta- di politica.
ri, che le donne dovevano conquistarsele per la stra- Tuttavia la formazione culturale dei giovani co-
da. La morale tribale delle bande di quartiere richie- munisti di allora – voglio dire non solo la mia – an-
deva tra l’altro una estrema correttezza verso le ra- dava ben oltre. Certo, il vecchio comunista che ave-
gazze del tuo quartiere, perché erano sorelle o ragaz- va fatto la Resistenza ed era segretario di sezione e
ze dei tuoi amici, mentre gli altri quartieri erano ter- decisamente stalinista disprezzava la cultura borghe-
ritorio libero di caccia. Nelle sale con balli a richie- se, ma il giovane consumava molta letteratura, mol-
sta ti sgamavi e imparavi delle tecniche per conosce- to cinema, molto teatro. Quello fu un periodo cultu-
re le donne. Ma nei whisky a gò gò, erano favoriti i ralmente assai vivace. Nel ’60, durante la proiezione
borghesi, perché nessuno di noi era mai stato un gran- del film Rocco e i suoi fratelli, c’erano risse in sala tra
ché a scuola, mentre loro avevano il giro delle amiche chi sfotteva il film e chi lo difendeva. Contro La dol-
studentesse nelle famiglie. La sezione diventava quin- ce vita “L’Osservatore romano” condusse una vera e
di l’unico mezzo per socializzare rapporti con le figlie propria crociata e la borghesia milanese sputò addos-
dei compagni. Chiudendo le sezioni, si tolse un im- so a Fellini, cercando di aggredirlo, mentre noi comu-
portante canale alla socializzazione, che aveva magari nisti lo difendevamo. Durante le proiezioni, ci si alza-
poco a che fare con la politica, ma era molto rilevante va in piedi per applaudire certe scene e questa identi-
per un giovane comunista. A quel punto si intristì tut- ficazione tra battaglia delle idee e vita quotidiana fu
to, anche perché bisognava dedicarsi alle attività cul- certo più forte in quegli anni che durante gli anni suc-
turali. Ricordo che, quando fondammo il Circolo Ber- cessivi.
tolt Brecht, chiamammo Dario Fo a raccontarci la sto- I giovani comunisti leggevano, per esempio, la col-
ria della commedia dell’arte e di fronte a un gruppo di lana “Medusa” Mondadori, dove sono stati pubblica-
operai sbigottiti, tenemmo un corso su Il Tao e il Taoi- ti Joseph Roth e Hermann Hesse, che sembrano una
smo, rimanendo allibiti noi stessi. Comunque, nel lu- scoperta di oggi e che noi, sul finire degli anni Cin-
glio ’60, quei gruppi di centinaia di giovani milanesi quanta, abbiamo consumato come del resto anche
che, nel ’56, erano in piazza Cavour a fare a botte con l’Ulisse di Joyce. Il nostro mito era Sartre. L’esisten-
i fascisti si trovarono quasi tutti a Genova a scontrar- zialismo costituiva un momento di equilibrio della ri-
si con la polizia. Noi, “i giovani dalle magliette a ri- gidità della cultura comunista, e lo costituiva del re-
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sto anche la lettura di una rivista come “Il Mondo”, vano anche “la degenerazione burocratica dello Stato
espressione di una borghesia intelligente. Il modo socialista” e anzi era questo il titolo dell’intervento di
come Ernesto Rossi riusciva a spiegare come funzio- Notarianni che aprì quel dibattito.
nasse la Borsa e gli inviti di Guido Calogero a capire Si era agli inizi di una grande crisi nei rapporti tra
le cose sino in fondo, sospendendo temporaneamen- nuove generazioni e Pci, una crisi che sarebbe dura-
te il giudizio, erano un’implicita critica allo schema- ta a lungo e che si acuì nel ’62- 63. Mentre arrivava-
tismo culturale che si respirava nella vita di partito. no nuovi modelli culturali – si cominciava a leggere
Sicché, quando a cavallo degli anni Sessanta, Ros- Kerouac e Ginsberg, ad ascoltare i Beatles – il Parti-
sana Rossanda impresse un nuovo orientamento alla to comunista decideva la scalata ai ceti medi. Infat-
Casa della Cultura, ci sembrò finalmente di trovar- ti, nel ’63, aumenta di un milione di voti e “l’Unità”
ci davanti a una risposta comunista, con un taglio di si sforza di dimostrare che l’aumento è avvenuto più
classe e in un’ottica marxista, ai problemi agitati an- in zone impiegatizie che non in quelle operaie. A noi,
che dal “Mondo”. Con i suoi golfini di cachemire, il che venivamo dalla strada e dai quartieri operai, c’e-
suo modo di parlare e di prenderti sotto braccio, il suo rano poco simpatici sia gli studenti sia gli impiegati.
circondarti di attenzioni e di affettività, il suo citare E cominciammo a vedere le sezioni popolarsi di bu-
con estrema agilità Bertrand Russell o Max Weber, rocrati, che ovviamente erano più colti di noi, perché
Rossana Rossanda esercitava su noi giovani comu- venivano dalle cellule bancarie o da quelle delle as-
nisti un fascino singolare e mi ricordava straordina- sicurazioni. Questi diventarono rapidamente segreta-
riamente quegli intellettuali colti e raffinati che ave- ri di sezione, perché erano più sgamati e favoriti dalla
vo conosciuto nei ristoranti e a cui tanto doveva la loro capacità d’esprimersi. In quel momento moltis-
mia formazione culturale di autodidatta. La Casa del- simi quadri di estrazione operaia vennero emarginati,
la Cultura fu una grande esperienza di “sprovincializ- anche perché il loro linguaggio era quello di un par-
zazione” culturale. Ne seguivamo i corsi prendendo tito operaio comunista stalinista e si trovavano inve-
appunti, cercando poi i libri citati da Enzo Paci e An- ce di fronte questi impiegati delle cellule di assicura-
tonio Banfi, da Remo Cantoni e Mario Spinella. Fu zione e delle banche che usavano un linguaggio cor-
quest’ultimo, più che altri, a rappresentare in quegli rispondente alle trasformazioni del boom economico
anni, per noi giovani comunisti, un autentico maestro alle porte e che mistificavano tutte le categorie.
di rinnovamento. Aveva tra l’altro organizzato alla se- Prima le cose erano chiare: di qua i padroni e di là
zione “Togliatti” di via Palermo un corso durato quasi gli operai. I padroni erano corrotti, sfruttatori e assas-
un anno sulla sociologia della conoscenza. Ci familia- sini; gli operai sobri, onesti e rivoluzionari. Questi se-
rizzavamo con Ideologia e utopia di Karl Mannheim. gretari di sezione parlavano di nuova economia e so-
Negli anni precedenti ci eravamo nutriti di roman- stenevano l’esistenza di più strati intermedi, metten-
zieri americani e quando alcuni di questi, che pensa- do così in crisi le precedenti categorie. Molti operai
vamo comunisti, fecero i traditori, come Dos Passos automaticamente si emarginarono e non vennero più
e Steinbeck, grande fu il nostro trauma, perché nessu- alle riunioni. La chiusura delle sezioni, la mancata
no ci aveva spiegato che questi erano semplicemente frequenza alle riunioni di gran parte dei vecchi comu-
grandi scrittori del New Deal americano. nisti e anche l’efficienza un po’ burocratica di questi
C’era senza dubbio un divario tra i bisogni di cre- impiegati neofiti del partito determinavano che nelle
scita della mia generazione di comunisti e lo sche- votazioni congressuali la maggioranza era loro. Pia-
ma ideologico del partito. Noi sopportavamo a malin- no piano, in questo modo, venne fatta fuori una ge-
cuore la disciplina interna, anche perché i fatti di Un- nerazione di quadri operai di tipo classico, che conti-
gheria e il luglio ’60 avevano già parzialmente mes- nuarono a rinnovare la tessera, ma passivamente. Tra
so in crisi le nostre utopie. C’era un’esigenza di mes- l’altro, dopo il XX Congresso, si cominciò a dare la
sa a punto. Per esempio, i giovani della Fgci che ruo- tessera a tutti con estrema facilità, cosa che era mol-
tavano attorno a “Nuova Generazione” – Michelange- to criticata dai militanti operai di tipo classico. Era in
lo Notarianni, Elio Mercuri, Pio Marconi, Augusto Il- atto una svolta formidabile nel partito, nei confronti
luminati, Luca Cafiero, Gian Paolo Samonà, lo stes- della quale molti di noi si sentivano spiazzati. Non bi-
so Achille Occhetto – in un dibattito durato dal no- sogna dimenticare che tutti quanti, e io stesso giova-
vembre ’61 al gennaio ’62 avevano rivalutato Trot- nissimo, avevamo pianto per la morte di Stalin. Inol-
sky, scrivendo che era stato un comunista rivoluzio- tre, in una società rozza e aggressiva come era quel-
nario anche se aveva fatto degli sbagli. Essi chiede- la degli anni Cinquanta e anche Sessanta – quella del
vano “una nuova scientifica definizione della natura boom economico e delle cambiali –, l’insicurezza del
del trotskismo e del ruolo giocato da Trotsky”, co- posto di lavoro e della casa, l’angoscia del domani
glievano l’esigenza positiva del trotskismo nell’affer- erano una cosa fondamentale. E riconoscevi che, al di
mazione del valore insostituibile della rivoluzione in là della crisi della libertà, nei Paesi socialisti aveva-
Occidente, contrapposta alla “tendenza all’autosuf- no eliminato questa angoscia del domani. Facevi una
ficienza e al produttivismo della società sovietica” e vita più grigia, ma avevi la casa, andavi a scuola, non
alla “deformazione afro-asiatica del marxismo come morivi di fame e non eri un emarginato. Questa con-
dottrina della rivoluzione dei Paesi arretrati”. Critica- vinzione è in parte ancora oggi una costante unita-
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ria di cultura politica nell’immaginario sui Paesi so- gliato fuori, data la mia cultura precedente, dalla qua-
cialisti. le non volevo staccarmi. In aprile, c’era stato ancora
La sensazione e l’idea della rivoluzione e del cam- un grande corteo, durato una giornata intera, per Ju-
biamento globale negli operai vennero poi trasferi- lián Grimau, che stava per essere garrotato. Ma già
te come memoria all’operaio massa emergente nel- nell’ottobre dell’anno precedente, per i giovani mi-
le grandi fabbriche dai vecchi operai. Se, dopo la se- lanesi di varie sezioni che parteciparono agli scontri
conda grande immigrazione dal Sud al Nord, la clas- in cui morì Ardizzone, quella era stata l’ultima gran-
se operaia fu meno razzista della borghesia, è perché de fiammata, perlomeno in forma di partito. Abbiamo
i meridionali dimostrarono, dopo gli sfottò iniziali, fatto un comizio per la questione dei missili a Cuba,
di sapere lavorare in fabbrica e di potersi impadroni- poi abbiamo girato in piazza Fontana e siamo piom-
re del funzionamento delle macchine. Una volta sti- bati in piazza Duomo; in testa c’erano quelli della
mati, venne loro trasferita gran parte dell’immagina- “Mantovani Padova” e lì, siccome il corteo non era
rio collettivo leninista e rivoluzionario dei vecchi mi- autorizzato, è iniziato uno scontro che è durato tutto
litanti. Malgrado l’operaio massa avesse caratteristi- il pomeriggio. Abbiamo respinto la polizia varie vol-
che diverse dai vecchi operai, c’è stato lo stesso un in- te in via Mengoni, fino a quando, verso le sei di sera,
terscambio fortissimo. Ricordo un bollettino speciale non è arrivato il Battaglione Padova che ci ha spazza-
dell’Alfa Romeo di via Serra, nel ’63, che annuncia- to via, perché aveva i gipponi alti e non c’era niente
va come per la prima volta fosse stato eletto un rap- da fare. Dopo questo grande scontro, a centinaia, non
presentante meridionale nella Commissione Interna, abbiamo più rinnovato la tessera. Al processo io ero
perché aveva dimostrato di essere un quadro opera- testimone perché avevo visto la camionetta investirlo,
io e politico di valore. Episodio analogo si verificò ma secondo loro la mia era falsa testimonianza. Il par-
all’Azienda Trasporti Milanesi. Gli operai emigrati, tito non voleva esacerbare la situazione e allora l’av-
alla fine degli anni Cinquanta, hanno ricevuto quin- vocato Alcide Malagugini ha detto: “Va be’, Moroni
di l’immaginario e la cultura politica precedente, al- non era in grado di intendere, aveva preso delle ran-
trimenti, tra l’altro, non si spiegherebbero gli slogan dellate, non dico dalla polizia ma nel trambusto ge-
dell’“autunno caldo” ’69, slogan leninisti, nei quali nerale. Può darsi che abbia visto delle camionette e
c’è l’autonomia della classe ma anche l’internaziona- gli è sembrato sia successo così, ma in realtà le cose
lismo, l’antimperialismo e l’abbattimento dello Stato. sono andare diversamente”. E la magistratura stabilì
La complessa cultura politica degli anni Cinquan- che Ardizzone era stato schiacciato dalla folla in fuga.
ta non era annullabile con una semplice operazione di Noi l’avevamo visto ammazzare da una camionetta
vertice. Quegli operai comunisti, sebbene emarginati della quale ricordo ancora gli ultimi due numeri di
dal partito, trasmettevano memoria. targa: 6 e 8. Questo fu per me l’ultimo di una serie di
Quelli di Lambrate, nel ’68 erano con gli studen- episodi, la goccia che fece traboccare il vaso. Sono
ti, erano con i collettivi di quartiere anche diversi tra uscito soprattutto per stanchezza, per crisi d’identi-
loro, con quest’aria un po’ furba da vecchio operaio, tà, per il rifiuto del lavoro di routine in sezione e per
che sembrava voler dire: “Lasciamoli andare avanti, la mancanza di un dibattito che non fosse di vertice.
che va bene”. Lo stesso a Baggio e al Giambellino, Dal punto di vista politico, non ho fatto più niente
dove poi le cose si sono intricate terribilmente. La- fino al ’68. E, poiché la prima reazione al distacco dal
voravano dentro la classe, magari annullando la pro- partito era di recuperare le vecchie amicizie di quar-
pria tendenza leninista e stalinista rigorosa, in nome tiere, cominciai a lavorare con Mario, detto il Barone
dell’unità complessiva della lotta. Così facendo, tra- di Santa Caterina per il fatto appunto che stava in vi-
sferivano cultura politica anni Cinquanta, anche per- colo di Santa Caterina in fondo a via Pantano. Lui era
ché, dal ’64 in poi, nel Pci non c’è più stato dibatti- figlio del titolare di un’agenzia di investigazioni pri-
to alla base, dato che le sezioni, quasi sempre chiuse, vate in via Gonzaga, la cui licenza risaliva addirittu-
si sono burocratizzate. Così, la vecchia cultura unifi- ra al Regno delle Due Sicilie. Un giorno ci recammo
cante ha continuato a trasmettersi, ha generato dissen- dall’allora moglie del conte Vittorio Olcese, ora sot-
so a sinistra e ha permesso al Pci di avere ancora die- tosegretario alla presidenza del Consiglio, che abita-
ci milioni di voti. va in un palazzo seicentesco con giardino, nei pressi
Tornando al ’62-63, non c’è dubbio che furono per di via Lanzone. Aveva in corso una causa di separa-
me e altri giovani comunisti degli anni cruciali. Si zione e ci incaricò di seguire il marito. Avremmo do-
sentiva aria di centro-sinistra, le riviste culturali pa- vuto andare a fare le ferie ad Abano Terme, un po-
rallele al Pci, come “Società” e “Il Contemporaneo sto pieno di alberghi neo liberty, dove i ricchi andava-
”, erano scomparse o stavano per scomparire. Con la no a fare i fanghi e di cui si parlava spesso nei roto-
chiusura delle sezioni dovevi diventare uno che anda- calchi. La cosa era allettante: fare l’investigatore pri-
va alle riunioni con una scadenza settimanale, le cel- vato non era per me solo avere un rapporto diverten-
lule di strada erano pressoché annullate, sebbene già te con questo mio amico d’infanzia, ma anche eserci-
allora non fossero più motivo d’orgoglio, perché ci tare una professione che, a furia di vedere film ame-
entravi ormai solo per scazzarti. Il sindacato comin- ricani, si era caricata ai miei occhi di qualcosa di mi-
ciava a parlare di progetti unitari e io mi sentivo ta- tico. Il conte Olcese aveva un castello medioevale a
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Luvigliano di Torreglia e si vedeva spesso con una lago. Il barone cedette la licenza a Tom Ponzi; e a me,
splendida inglese che alloggiava in un lussuoso alber- visto quell’ambiente, non dispiacque di aver cambia-
go di Abano Terme. Armati di macchina fotografica e to mestiere.
di cinepresa otto millimetri, li seguivamo con la no- Alla fine del ’63, ero finito a lavorare dai fratel-
stra 500. Vittorio Olcese aveva però una Rover Due- li Fabbri. Conosciuti nei locali notturni, ero andato a
mila e, fino a quando i due se ne andavano in giro per chiedere lavoro. All’inizio mi hanno fatto fare il ven-
i colli Euganei a visitare ville e chiese, riuscivamo ditore, poi, siccome ero sveglio, sono diventato rapi-
a stargli dietro, ma quando si recavano a Venezia in damente prima capogruppo e poi agente. Giravo tutta
autostrada ci seminavano regolarmente. Tornammo a Italia e sono diventato uno dell’istruzione dei vendi-
Milano a prendere una Giulia mille e sette, ma quelli tori. Si facevano dei corsi con gli americani. Si elen-
cominciarono ad andare in giro in bicicletta, prenden- cavano una serie di motivazioni di acquisto e si spie-
doci in contropiede. gavano. Esse sono tutte contenute nella formula “il
Il castello di Luvigliano aveva attorno un grande caso”: inedito, lucro, capacità, affettività, sicurezza,
muraglione e una notte che l’inglese era rimasta lì a orgoglio. Queste dovrebbero essere le sei fondamen-
dormire lo scavalcammo, ma due mastini e tre pasto- tali motivazioni di acquisto che spingono chiunque a
ri tedeschi ci costrinsero a una rapida fuga durante comprare qualsiasi cosa. Si trattava di truffare i pro-
la quale perdemmo anche la macchina fotografica. letari vendendogli un’enciclopedia del cazzo che si
Qualche giorno dopo il giornale locale accennava a chiamava Conoscere, e ne hanno vendute due milio-
ignoti ladri che avevano tentato di penetrare nella vil- ni di copie.
la del conte. Ci eravamo allora procurati un telescopio Poi sono stato ingaggiato dalla casa editrice Anto-
e studiavamo i comportamenti del conte, salendo su- nio Vallardi, che mi ha fatto direttore alle vendite per
gli alberi circostanti, spacciandoci per contadini natu- l’Italia. Avevo l’ufficio, la segretaria; avevo fatto car-
ralisti che dovevano studiare i movimenti degli uccel- riera: in soli quattro anni di lavoro nell’editoria ero
li. Alla fine riuscimmo finalmente a fotografare e ci- diventato un direttore delle vendite. Per dire come la
nematografare gli atteggiamenti affettuosi del conte e professionalità propria della cultura comunista, que-
della signora inglese, durante una delle loro gite sui sta matrice insomma, funzionasse benissimo anche se
colli Euganei, e queste prove permisero alla moglie di trasposta in tutt’altro campo. In quegli anni avveniva-
vincere la causa e di accordarsi sugli alimenti. Spesati no fenomeni di massa e di costume straordinari, che
per un mese e mezzo in albergo di lusso, fummo quin- avrebbero preparato il ’68. A Milano c’era il movi-
di pagati profumatamente, alcuni milioni. mento beat, quello dell’accampamento di via Ripa-
Tornammo a Milano e c’incaricarono di seguire un monti – la “Barbonia City” – che fu assaltato e in-
industriale della seta, sospettato dalla moglie di ave- cendiato dalla polizia, nonostante fosse un ritrovo di
re una relazione, perché usciva troppo presto di casa pacifisti. C’era un giornale che cambiava titolo ogni
al mattino e rincasava troppo tardi. Ma costui, prima volta: “Mondo Beat”, “Urlo Beat” ecc. E questo per
di andare in fabbrica e dopo esserne uscito, si ferma- sfuggire alle leggi sulla stampa.
va invece lungamente a pregare in una chiesa di via Si cominciava a sentire cantare Bob Dylan, dap-
Manzoni. Era un maniaco religioso; quando lo dicem- pertutto. Ancora mi sembra di rivedere l’occupazione
mo alla moglie, lei cascò letteralmente dalle nuvole. dell’Hotel Commercio e la nascita dei primi gruppi
Fu poi la volta di seguire un malavitoso, proprietario organizzati. Compravo “classe operaia”, i “Quader-
di un locale notturno in piazzale Corvetto, anche lui ni piacentini”. Con grande difficoltà mi rendevo con-
sospettato dalla moglie di avere un’amante. La prima to che stava cambiando un ciclo storico-politico: ci ho
sera riuscimmo a stargli dietro, a capire il percorso messo almeno sei anni a capire che cazzo era questa
che faceva e dove si recava. Ma la sera seguente quel- nuova cultura politica, tanto ero radicato in quell’al-
lo bloccò di colpo l’automobile in viale Ortles, scese tra. Anche se ormai era diventato un fatto privato che,
e tirò due revolverate alla nostra 500. Ci demmo alla a quel punto, tenevo tutto per me. Dal finire del ’67
fuga e decidemmo che era meglio lasciarlo perdere. cominciava a muoversi sul serio qualcosa.
L’investigatore in ascesa a Milano allora era Tom Allora ho abbandonato quel lavoro da dirigente e
Ponzi, che, interessato all’acquisto della licenza di ho aperto con la liquidazione un grande club, il “Sì o
Gadisco, ci invitò nel 1965 nella sua villa di Meina, Sì”. Questo club dal nome onomatopeico stava in un
sul lago Maggiore. Arrivammo in questa villa milita- palazzo del Settecento di mille metri quadri in via San
rizzata, dove c’erano un motoscafo d’alto mare e mol- Maurilio; c’erano salotti, una sala di lettura, un bar
te guardie del corpo vestite con una specie di divisa e anche un piccolo ristorante. Partimmo con ottanta
da marina. Ai muri erano appesi pugnali tedeschi con milioni di debiti. Per fare soci, andavamo in metro-
su scritto “Gott mit uns” e ritratti di Hitler. Pensando politana, fermavamo la gente e dicevamo: “Lei come
alle nostre idee politiche, ci cagammo un po’ sotto. occupa il suo tempo libero?”. Dopo che aveva rispo-
Allora si favoleggiava che Tom Ponzi avesse un’at- sto, gli facevamo un lungo discorso e li iscrivevamo al
trezzatura ultramoderna, ma in realtà tutto si riduce- club. Costava 35 mila lire all’anno e l’iscrizione veni-
va a un camioncino dal quale si potevano agevolmen- va rimborsata in libri dei Remainder’s che a noi costa-
te spiare le mogli di alcuni industriali in vacanza sul vano solo 3500 lire. Abbiamo fatto in sei mesi 3800
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soci, cento milioni di fatturato e quindi abbiamo potu- venuta di colpo la voglia di ributtarmi dentro, di tro-
to attrezzare il club molto elegantemente. Facevamo vare un luogo d’osservazione per quello che succe-
del jazz – venne anche Joe Venuti – e nel teatro pote- deva. E, all’inizio del ’72, ho aperto la libreria Calu-
vi chiedere di tutto. I soci non andavano al botteghino sca, che era allora in fondo a corso di Porta Ticinese.
per prendere i biglietti, ma telefonavano al club che Una delle prime persone che è entrata lì dentro è stato
pensava a farglieli trovare in loco, con il 20% di scon- Giancarlo Buonfino, che era un grafico geniale, di li-
to. Facevamo anche delle feste e gite molto bizzar- vello europeo, e proveniva da Lotta continua: “Senti,
re. Ne ricordo una a Milano romana a piedi. Compra- conosco uno che si chiama Sergio Bologna…”. “So
vamo un albero di ciliege e portavamo i soci a S. Co- chi è; è stato un personaggio grosso di “classe opera-
lombano a raccoglierle. Facevamo inoltre due spetta- ia””. “Lui ha intenzione di fare una rivista, e siccome
coli e due dibattiti al mese. Mi ricordo che il primo tu sei un libraio di tipo nuovo, hai lavorato a lungo in
dibattito sull’aborto fu fatto con Adele Faccio pro- editoria e hai delle idee strane, potresti essere l’edito-
prio nel nostro club: Donna, il negro della società. Il re adatto”. Così decisi di andare a una prima riunione
club aveva iscritte 2400 donne e solo 1400 uomini. Lì con Franco Mogni, Giancarlo Buonfino, Bruno Car-
le donne si sentivano sicure. Così, gli ultimi miei di- tosio e Sergio Bologna.
ciotto amici ancora scapoli, che avevano superato con
me i trent’anni, si sono sposati in questo club, e an- •
che mia moglie ne era una socia. Era un problema di
percentuale, la possibilità di scelta era troppo alta per Sull’autobiografia di Primo Moroni
non trovare statisticamente l’anima gemella in questo
club, durato dal novembre ’68 all’estate ’71. L’autobiografia di Primo Moroni che viene qui ri-
Dopo piazza Fontana, abbiamo fatto un dibattito pubblicata si ferma al 1972, cioè alla soglia del de-
dicendo che la strage era di Stato. Mi ricordo che sei- cennio in cui egli si rivelò un originalissimo “organiz-
cento soci hanno restituito la tessera e se ne sono an- zatore di cultura” e di iniziative politiche d’ampio re-
dati dicendo: “Questi qui sono matti!”. Il “Sì o Sì” spiro dentro il movimento antagonista.
non era un club politicizzato, ma soltanto largamen- Era simpatico, pieno d’umanità, con uno spicca-
te democratico, per l’occupazione del tempo libero, to senso dell’ironia, colto di una cultura non libre-
aperto dalle nove del mattino alle quattro del mattino sca, nutrita da tutte le esperienze diverse che aveva at-
successivo. Mi ero preso una stanza a fianco del club, traversato (ragazzo di strada, operaio, cameriere, bal-
perché ero il presidente, presentavo gli spettacoli e lerino, detective privato, militante del Pci, venditore
curavo l’andamento complessivo del circolo. di libri a rate, gestore di un innovativo club cultura-
L’abbiamo chiuso definitivamente quando il cas- le) e dalle quali tutte aveva imparato. Quando aprirà
siere si innamorò di una socia che era un pezzo di la Calusca questo ricco retroterra di vita gli permette-
figa fantastica. Con la Mercedes che aveva e con i rà – oltre che d’insegnare a leggere e ad avere fami-
fondi della cassa comune, andò al casinò di Venezia liarità con la parola stampata a molte persone – anche
per giocare, vincere e tornare con ancora più soldi in di esercitare il mestiere di libraio in modo da trasfor-
tasca. Naturalmente fallì e sparì per una settimana, marlo in un’importante e singolare funzione militante
finché ci giunse un telegramma nel quale annunciava e di “servizio” all’interno del movimento, nella qua-
che si suicidava, perché ci aveva tradito. Lo abbiamo le si combinavano scrittura e oralità, autoproduzione
trovato all’ospedale di Peschiera del Garda: i milioni, editoriale e distribuzione alternativa, memoria e ricer-
la Mercedes e la figa non c’erano più. Aveva in tasca ca, in una vera e propria tessitura di innumerevoli “fili
solo la tessera del casinò. Anche se poi, a dire il vero, rossi”. Le idee erano mille e i soldi zero, ma Primo
si assunse tutti i debiti del club, a dimostrazione che era capace di praticare un’aperta e creativa violazione
era uno dei nostri. Era comunque una botta un po’ pe- delle “leggi di mercato”; così, grazie anche alla soli-
sante da sopportare, eravamo stanchissimi e io avevo darietà fra i compagni, prendevano vita progetti altri-
deciso di sposarmi. Mi si presentava insomma il so- menti impossibili. In questa multiforme attività, Pri-
lito problema storico: se stavo al club dalle nove del mo espresse alcuni tratti forti della propria personali-
mattino alle quattro del mattino successivo, che cazzo tà. Ne cito qui solo tre:
di famiglia facevo? E tra le proteste di migliaia di soci – innanzitutto, la diffidenza, derivatagli da una
abbiamo liquidato tutto da un giorno all’altro. lunga permanenza all’interno del Pci, per ogni genere
Chiudevamo poco prima dell’occupazione del- di cultura “ufficiale”. L’uso che sapeva fare della “fi-
la Fiat ’72-73; nel periodo tra l’“autunno caldo” e losofia del dialogo” di Guido Calogero, masticata in
quell’occupazione, io avevo avuto la sensazione di un gioventù con la voracità dell’autodidatta, lo portava a
grande fatto storico. In quel momento si verificaro- cercare di capire senza esprimere giudizi affrettati e
no occupazioni anche all’Ansaldo di Genova, all’Al- spesso proprio sospendendo il giudizio. La sua atten-
fa Romeo, all’Italsider. Dai volantini che circolavano, zione “dialogante” nei confronti di tutte le esperienze
dai comportamenti pratici, dall’uso della violenza, si di movimento, anche di quelle che gli corrispondeva-
poteva intuire che i protagonisti di quelle lotte erano no meno, e la sua costanza nel cercare di fare ragiona-
disponibili per scelte ancora più radicali. Così m’era re la gente spesso non erano ben viste, e gli capitò tal-
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volta di venire ostacolato e di trovarsi perciò ad agire Da tutti Primo ha appreso e a tutti ha insegnato qual-
in una pressoché totale solitudine; cosa, riuscendo spesso a cambiare cose e persone. Gra-
– in secondo luogo, la capacità di mettere in co- zie al suo intervento le teorie e le analisi acquistavano
municazione situazioni diverse e di coinvolgere le una nuova plasticità, e aree politiche di movimento tra
persone giuste in progetti che non erano del tutto i loro assai diverse riuscivano a interagire. Personaggio
loro, ma nei quali potevano tuttavia in qualche modo complesso, e anche per questo scomodo e poco capito,
riconoscersi. Per esempio, fu Primo ad avere l’i- Primo è stato un rivoluzionario di rara coerenza, che ha
dea di chiamarmi in “Primo Maggio” nel settembre saputo dare fra l’altro un senso inedito alla professione
1974, perché aveva capito che questa rivista avrebbe libraria facendone una pratica di presenza alla storia e
potuto svolgere un ruolo importante nelle “150 ore” di critica della politica.
se avesse visto anche una presenza della storia orale
(e infatti “Primo Maggio”, essendo in comunicazio- Cesare Bermani
ne con le esperienze di didattica alternativa, vendeva
3500-4000 copie ma veniva letto da 10-15.000 perso- •
ne). Così mi trovai indirettamente e direttamente im-
pegnato dentro quel grande progetto politico-pedago- El primin l’è ön che legg*
gico che furono in quegli anni le “150 ore”. Per inci- Profilo biografico a cura dell’Archivio Primo Moroni
so, se Milano fu un punto di riferimento per tutti co-
loro che vedevano le “150 ore” come una forma di Nasce a Milano, il 17 giugno 1936, in una fami-
educazione degli adulti di grande spessore innovati- glia di ex contadini emigrati dalla Toscana. Frequen-
vo, questo lo si deve in non poca parte proprio all’at- tate le scuole fino alla seconda media, dopo un anno
tività di Moroni. E così come aveva trovato una col- di avviamento professionale, inizia a lavorare. La sua
locazione nel movimento per me, la trovò per mol- sarà quindi una formazione da autodidatta, alimenta-
ti altri, “utilizzati” a seconda delle loro competenze ta da “un desiderio di sapere violento e sterminato”1.
e capacità, proposti e collocati all’interno di progetti Nel 1951 s’iscrive alla Federazione giovanile co-
politico-culturali collettivi; munista italiana (cinque anni dopo otterrà la tesse-
– infine, una curiosità onnivora. Primo aveva la- ra del Pci). All’inizio degli anni Cinquanta la fami-
sciato il Pci quando questo partito si era rivelato poco glia Moroni lascia la periferia Sud (zona Ripamon-
interessato alle trasformazioni sociali in atto e aveva ti) e apre un ristorante in via Larga, vicino al Botto-
dimostrato di non saperle più cogliere. Per contro, la nuto, un quartiere malavitoso nel centro di Milano.
straordinaria capacità di rimanere in costante contatto Qui Primo entra a far parte di una grossa compagnia
con queste trasformazioni, che in larga parte venivano di strada: questi saranno i suoi amici per sempre, an-
ormai negate, ostracizzate o criminalizzate dal Partito che dopo lo sventramento del Bottonuto e la disper-
comunista, è stata la cifra del suo modo di agire. Nes- sione dei suoi abitanti. In questo periodo alterna il la-
suno ha avuto a Milano negli anni Settanta la sua stes- voro nei ristoranti a quello di ballerino di fila e con-
sa capacità di incontrare i movimenti nascenti, di co- duce un’intensa vita notturna.
glierne la novità e d’inventare gli strumenti per poten- Nel luglio 1960, come molti altri “militanti politi-
ziarne l’incisività. ci di base” del “triangolo industriale”, si reca a Geno-
Delle trasformazioni in atto Moroni ha dato una va per partecipare agli scontri di piazza contro il go-
lettura ravvicinata, viva, affatto personale, di straordi- verno Tambroni.
naria acutezza, resa possibile dai rapporti che era ca- Nel 1963 esce da un Pci che prosegue a spron
pace d’intessere con coloro che producevano tali tra- battuto la marcia d’avvicinamento ai ceti medi, nel
sformazioni e ne erano attraversati. Questa grande ca- quadro della “politica di programmazione” aper-
pacità di stare immerso nel movimento gli permet- ta dal centrosinistra, nel mentre va acuendosi la crisi
teva di intuirne le metamorfosi sotterranee, di vede- nei rapporti tra il partito e le nuove generazioni.
re ciò che nessun altro di noi vedeva, di decodificare Riallacciati i vecchi rapporti di quartiere, collabo-
quei processi informali che le scienze sociali paludate ra con un amico titolare di un’agenzia investigativa.
non avevano neppure le categorie per riconoscere. Ha Dopo quest’esperienza, lavora nella grande editoria
così prodotto ex novo una lettura socio-antropologi- (Fabbri, Mondadori e Vallardi) come dirigente del
ca degli spazi metropolitani, in particolare raccontan- settore vendite.
do e rappresentando in modo insuperabile il Ticinese. Nel 1967, in un settecentesco palazzo di via S. Mau-
Le sue analisi in “presa diretta” avevano nella li- rilio, apre il “Sì o Sì Club”, un elegante e innovativo
breria un luogo di elezione. Un luogo d’incontro e di circolo culturale, con quasi quattromila soci, che or-
azione, un crocevia delle “diversità”, un “porto franco” ganizza concerti, reading di poesia, spettacoli teatrali
di dialogo rivoluzionario con tutto ciò che una grigia e dibattiti, nonché feste e scampagnate (Giò Tavaglio-
città di plastica e cemento condannava e/o cercava di ne, Duilio Del Prete, Roberto Brivio, Corrado Pani, Joe
recuperare alla logica della merce, dove “passavano” Venuti e Giorgio Gaslini sono alcuni degli artisti “pas-
man mano tutti i soggetti della trasformazione della sati” per il “Sì o Sì Club”, che chiuderà nel 1970).
scena culturale e politica, sia milanese che nazionale. Nel 1970 si sposa con Sabina Miccoli; e l’anno
100
dopo nasce la figlia Maysa. Insieme, nel 1973, dopo liano Spazzali), AR&A (consorzio tra Coop. Scrittori,
essere stati sfrattati dalla casa in Passaggio degli Osii Edizioni aut aut, Edizioni delle Donne, Lavoro Libera-
(a lato di piazza dei Mercanti), andranno ad abitare in to, L’Erba Voglio, Libri del NO, Librirossi, Squi/libri).
via Cesare da Sesto, nel quartiere Genova-Ticinese, Notevole è anche il suo contributo per la produzione di
“triangolo dei destini incrociati” d’ora in poi “suo”. fogli, opuscoli e ciclostilati “dal basso”.
All’inizio del 1971 è tra i promotori del “Collet- Nel dicembre 1974 la Calusca e la PiuLibri di Sau-
tivo di Lavoro Antonio Gramsci”, che si prefigge di ro Sagradini organizzano alla Palazzina Liberty di
attivare un circuito di vendita diretta e di promuove- Milano un convegno per Un’editoria e un circuito di
re un’attività editoriale di base, anche attraverso la diffusione per una cultura alternativa nella scuola e
diffusione dell’enciclopedia monografica Io e gli al- nella società. Dopo questo incontro, Primo lavora alla
tri (edita dall’ex partigiano genovese Angelo Ghiron) creazione di una struttura che centralizzi gli acquisti
tra gl’insegnanti della scuola dell’obbligo che cerca- di una decina di librerie del Milanese. Ma il “Consor-
no alternative ai libri di testo. [Il “Gramsci” appogge- zio Punti Rossi” non svolgerà il servizio per il quale
rà e diffonderà anche altre importanti esperienze edi- è stato costituito: adeguandosi alle esigenze del mo-
toriali: il BCD (Strumenti di informazione e didattica vimento, darà invece inizio, sotto l’impulso di Renato
popolare), la Biblioteca di Lavoro Mario Lodi, il bol- Varani, al circuito di distribuzione dei “Punti Rossi”,
lettino del Centro di Documentazione di Pistoia e la destinato a estendersi a tutta l’Italia (giungerà a copri-
collana per bambini “Per leggere e per fare”]. re più di cento fra librerie e centri di documentazione
Nell’inverno 1971-72 apre la Calusca (vicolo Ca- facendo circolare una grande mole di pubblicazioni,
lusca, 2). Completamente autonoma, questa libre- fino a divenire il principale canale attraverso cui pas-
ria rifiuta la logica di appartenenza delle formazioni serà la comunicazione scritta del ’77).
politiche extraparlamentari, allora impegnate a con- Intorno alla Calusca gravita anche il Centro di Do-
tendersi la supremazia gruppuscolare, e si propone cumentazione Scuola, una struttura di base dei docen-
di creare una “struttura di servizio” capace di rap- ti che, nata nel gennaio 1976 con “l’intento di facili-
portarsi con tutte le realtà spontanee, underground tare il coagulo e la diffusione delle più significative
e antagoniste. In questo modo diventa “un punto esperienze di didattica alternativa”3, arriverà a conta-
di riferimento dei non organizzati, dei cani sciolti, re oltre duemila iscritti.
di quest’area indefinibile che va dai bordighisti, ai Nel 1978 la Calusca si trasferisce in Corso di Por-
protosituazionisti, ai consiliari, agli internazionali- ta Ticinese 48. A Primo si affianca Giancarlo Ravelli,
sti, agli anarchici, agli anarco-comunisti, ai comuni- che proviene da esperienze di librerie di movimento
sti libertari”2 (ma cospicua è anche la presenza dei (Sapere e La Ringhiera). Gli arresti del 7 aprile 1979
marxisti-leninisti e della sinistra sindacale). Stret- inaugurano la stagione degl’incarceramenti di mas-
to è anche il rapporto con la comune infantile che sa (“Quarantamila denunciati, quindicimila “passati”
Elvio Fachinelli anima nel Ticinese; inoltre, attra- dalle carceri, seimila condannati, quasi sempre senza
verso il gruppo “Bambini mani in alto”, si lavora nessuna garanzia del diritto di difesa”4). Primo colla-
per una educazione antiautoritaria nelle scuole ma- bora alla rivista “7 aprile”, contribuisce all’organiz-
terne. La Calusca è anche sede di vari comitati, tra zazione di un grande convegno nazionale contro la
cui quello per il Portogallo (1972) e quello di soli- repressione (Palazzina Liberty, Milano, 30-31 mag-
darietà con Salvador Puig Antich, giovane militan- gio 1981) e partecipa al Coordinamento dei Comitati
te dell’ultraradicale Movimiento Ibérico de Libera- Contro la Repressione nato da quell’incontro.
ción (Mil), garrotato dal regime franchista nel mar- Nell’inverno 1984-85 affida in gestione ai “punk
zo 1974. Nell’ambito di queste attività, così come e creature simili” uno spazio all’interno della Calu-
del Comitato Vietnam e di Soccorso Rosso, stretto è sca per diffondervi le autoproduzioni. Nella primavera
il rapporto con Sergio Spazzali, “fratello per i dan- 1986 inizia un nuovo rapporto sentimentale con Anna
nati della terra” (come avrà a scrivere lo stesso Pri- Pellizzi, dal quale, nel dicembre 1989, nascerà Chia-
mo commemorandone la morte nel gennaio 1994). ra Pellizzi. Nell’estate dello stesso anno chiude la Ca-
Molte sono le iniziative d’editoria militante e al- lusca, a causa dell’esaurimento delle energie soggetti-
ternativa alle quali collabora nel corso degli anni Set- ve, della sostanziale scomparsa della produzione edi-
tanta: “L’Arcibraccio” (rivista satirica diretta da Luca toriale legata alla “stagione dei movimenti” e di gra-
Staletti), “Primo Maggio” (rivista diretta da Sergio vi problemi economici, cagionati anche dalla repres-
Bologna e prodotta dal Collettivo Editoriale Calusca), sione (la libreria conta sei o settecento arrestati tra la
“CONTROinformazione”, “Documento” (collana di sua clientela più stretta). Nel 1987, grazie all’aiuto di
didattica della storia a dispense prodotta dal Colletti- Primo, nasce la rivista “Decoder” (da cui scaturirà poi,
vo Editoriale Calusca), “Solidarietà militante” (bollet- l’anno successivo, la cooperativa ShaKe Edizioni Un-
tino del Comitato per la difesa dei detenuti politici in derground). Altre riviste alle quali collabora negli anni
Europa), “150 ore” (collana di dispense promossa dal Ottanta sono: “Alfabeta”, “Strategie” (gennaio 1981),
Centro Ricerche sui Modi di Produzione e co-edita dal “Metroperaio” (1985-1982) e “Mob” (aprile 1987).
Collettivo Editoriale Calusca insieme con la CELUC Inizia a scrivere L’Orda d’oro. 1968-1977. La
Libri), Machina Libri (casa editrice animata da Giu- grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed
101
Primo Moroni-CSOA Cox 18-Calusca City Lights-Cox 18 books,
esistenziale, di cui uscirà una prima edizione nel 1988 seconda edizione, marzo 2016 (con anche una Bibliografia di Pri-
(SugarCo)5 e una seconda, aggiornata e ampliata, nel mo Moroni e in allegato il DVD del film Malamilano del 1997 di
1997 (Feltrinelli). Tonino Curagi e Anna Gorio). Nell’edizione italiana di Lawrence
Alla fine del 1987 riapre la libreria in piazza S. Eu- Ferlinghetti, Writing Across the Landscape (Scrivendo sulla stra-
da. Diari di viaggio e di letteratura, Milano, il Saggiatore, 2017)
storgio, ma deve nuovamente chiuderla nel settembre alle pagine 422-423 si legge: «Fin da quando Primo Moroni, in-
1990. Subito dopo, lavora per una nuova apertura en- torno al 1989 (ma 1992, ndr), ha cambiato il nome della sua libre-
tro lo spazio occupato dell’Acquario (piazzale Stazio- ria da Calusca in Calusca City Lights, e ha fatto la prima tessera a
ne Porta Genova); ma il tentativo abortisce a causa di mio nome, sapevo che dovevo visitare quel posto a Milano. Ave-
vo un indirizzo vago, che mi ha condotto a un quartiere malconcio.
un incendio doloso. La vicenda dell’Acquario raffor- Ho trovato un edificio sbarrato con assi, non sembrava che nessuno
za ulteriormente il rapporto fra Primo e i componen- ci vivesse o lavorasse. C’era una porta che sembrava sbarrata, ma
ti della ShaKe. non lo era completamente. Ho bussato a lungo, e infine la porta si
Nel febbraio 1992, trasferisce la libreria nei loca- è schiusa scricchiolando ed è sbucato un occhio. Quando ho detto
all’occhio il mio nome e che venivo dalla City Lights di San Fran-
li del centro sociale occupato autogestito di via Con- cisco, la porta si è spalancata cigolando, e c’erano due tipi dall’aria
chetta 18 (rioccupato nel settembre 1989, dopo lo diffidente che sembravano decisamente sulla difensiva. Ma non ero
sgombero del gennaio precedente) e la ribattezza Ca- io il motivo della loro paranoia. Ben presto mi hanno spiegato che
lusca City Lights, in omaggio al poera-libraio-editore erano in perenne attesa di qualche raid della polizia speciale. Ma
non appena si sono persuasi che ero davvero Ferlinghetti della City
Lawrence Ferlinghetti (cui intesta la tessera associati- Lights, altri hanno cominciato ad apparire, “uscendo allo scoper-
va n. 1). Da lì in poi interagirà strettamente con gli/le to”, avvicinandosi a stringermi la mano e abbracciarmi. Ben pre-
occupanti di Cox 18. Questa scelta gli permette di os- sto mi sono reso conto che, oltre ad essere un centro di gruppi at-
servare da vicino le trasformazioni dell’universo gio- tivisti dissidenti, questa “libreria” era fondamentalmente un archi-
vio di letteratura radicale di ogni tipo, con connessioni internazio-
vanile e di partecipare dall’interno al dibattito che ac- nali specialmente in Germania, in Francia e Stati Uniti – scritti an-
compagna la vita dei centri sociali lungo gli anni No- tifascisti, anarchici, comunisti libertari, internazionalisti, situazio-
vanta, facendo da cerniera politico-culturale tra le di- nisti, dei sindacati di sinistra ecc. ecc. E nonostante nei numero-
verse anime che vi si esprimono all’interno e rispetto si raid avessero sequestrato molti materiali, c’erano ancora miglia-
ia di opere radicali, volumi storici, opuscoli politici, volantini, libri
alle esperienze della “stagione dei movimenti”. di poesia radicale e tanto altro... Ci siamo salutati con un profondo
Numerosissime sono le occasioni in cui collettivi, sentimento di fratellanza. La City Lights di San Francisco e la Ca-
associazioni culturali, centri sociali ecc. lo invitano a lusca City Lights sono sulla stessa lunghezza d’onda culturalmen-
parlare (le lotte degli anni Sessanta- Settanta, Gladio, te e politicamente!» — c.b.
l’eroina, il cyberpunk, il leghismo, il no-profit: questi * II “Primino” è uno che legge.
sono i temi sui quali più spesso è chiamato a interve- 1. Una cultura sfrattata. Costretta a chiudere dopo quindici
nire). Nello stesso periodo inizia a svolgere un’attivi- anni la libreria Calusca di 104 Milano – Primo Moroni racconta
la sua esperienza di libraio, intervista a cura di Ida Faré, in “il ma-
tà professionale di ricercatore sociale per il Consorzio nifesto”, mercoledì 24 dicembre 1986, p. 7.
A.A.Ster, collaborando a ricerche sull’immigrazione 2. Primo e Sabina della libreria “Calusca” di Milano, in Emina
extracomunitaria in Italia, le trasformazioni produtti- Cevro-Vukovic, Vivere a sinistra. Vita quotidiana e impegno poli-
ve del Nord-Est, il leghismo, il “lavoro autonomo di tico nell’Italia degli anni ’70. Un’inchiesta, Arcana, Roma 1976.
seconda generazione”, i centri sociali autogestiti, le 3. Da una comunicazione del Centro di Documentazione Scuo-
discoteche e i nuovi consumi drogastici. (Tra il 1984 la, gennaio 1977.
e il 1995 partecipa anche a seminari presso la Facoltà 4. Nanni Balestrini, Primo Moroni, L’Orda d’oro. 1968-1977.
di Architettura del Politecnico di Milano, l’Università La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esisten-
ziale, nuova edizione a cura di Sergio Bianchi, Feltrinelli, Mila-
di Pescara e quella di Padova). no, 1997.
Nel novembre 1995, partecipa alla costituzione di 5. Una nota editoriale, a pag. 6, precisa: “Hanno collaborato:
“LUMHi – Libera Università di Milano e del suo Hin- Sergio Bianchi per le ricerche e il cap. 9; Giairo Daghini per il cap.
terland Franco Fortini”, di cui è vicepresidente6. 3; Franco Berardi Bifo per i capp. 6, 7 e 10; Franca Chiaromon-
Collabora inoltre alle riviste “DeriveApprodi”, te e Letizia Paolozzi per il cap. 8. Contributi originali di: Giancar-
“Altreragioni”, “Millepiani” e “Il de Martino”. Dopo lo Mattia, Franco Bolelli, Giuliano Scabia, Aldo Bonomi, Vincen-
zo Sparagna (che ringraziamo anche per l’idea del titolo di que-
aver contribuito a organizzarlo, interviene a un conve- sto libro, ispirato a una iniziativa della sua rivista “Frigidaire”),
gno internazionale sulle esperienze di lotta armata in Toni Negri”.
Europa (Rote Fabrik, Zurigo, maggio 1997), collabo- 6. “Nei primi anni Novanta, tra le prime in Italia, nacque un’e-
rando poi alla cura redazionale degli atti. sperienza di libera università, nella quale il termine “università” ri-
Muore il 30 marzo 1998, nella casa che divide con acquistava l’originario senso etimologico di luogo e comunità uni-
versale di studio e di trasmissione delle conoscenze. Il suo nome
Anna e la piccola Chiara. era LUMHi, Libera Università di Milano e del suo Hinterland. Fu
pensata da Sergio Bologna e animata da un gruppo di intellettuali
di prestigio” (Chi siamo, http://www.lumhi.net/).
Note
Per chi volesse approfondire la conoscenza di Primo Moroni si
segnalano queste posteriori pubblicazioni: John N. Martin, Primo
Moroni, La luna sotto casa. Milano tra rivolta esistenziale e movi-
menti politici, a cura di Matteo Schianchi, Milano, ShaKe edizio-
ni, 2007; Ca’ Lusca. Scritti e interventi di Primo Moroni, Archivio

102
Il cocktail ‘Lenta Ginestra’

come un cantore epico ed era un bagno di vita nel-


la vecchia Milano, dentro quella ‘naturale’ conviven-
za tra proletari piccoli commercianti bottegai e la ma-
lavita locale, prima del boom economico, dell’indu-
stria, del consumismo, delle lotte operaie. Quando
un codice morale mai scritto ma ugualmente cogen-
te metteva paletti tra comportamenti extralegali e una
violenza che non conosceva l’uso delle armi, almeno
fino all’arrivo dei marsigliesi e dei meridionali non
solo italiani all’inizio dei sessanta. Il Ticinese, il Bot-
tonuto, la ligera, la casbah di porta Genova, quello era
il territorio nel quale era cresciuto. Lì nel racconto ci
si infilava anche la mia memoria. Dal terzo piano ve-
devo arrivare saettanti gliuliette che scaricavano per
strada cartoni di marlboro, ci pensavano donne e ra-
gazzetti a nascondere le stecche nei tombini, nei cessi
Giugno 1992, Primo Moroni, Karl Heinz Roth e Sergio Bologna nel delle case di ringhiera. Talvolta invece erano le mac-
cortile di Conchetta a Milano (fotografia di Raf “Valvola” Scelsi). chine della polizia che bloccavano l’entrata e l’usci-
ta di Cicco Simonetta e Gaudenzio Ferrari e faceva-
Poi intorno al ’92, ’93, non ricordo di preciso, ci no una retata. Ai meridionali, dai quali andavo a com-
prendemmo una pausa, abbiamo improvvisamente prare sigarette per mia madre, grande fumatrice, la
smesso di parlare delle trasformazioni del lavoro (da faccenda costava qualche giorno a San Vittore ma poi
qualche parte in casa devo avere ancora qualche vec- tutti erano di nuovo al loro posto.
chia cassetta registrata nelle serate dedicate ai camal- “Mi sa che tua madre io l’ho conosciuta...”
li). Ma non era possibile. Lui, nei panni di Slim, anda-
Di sicuro era il mese di luglio. Io tornavo dal “Gior- va fuori dall’Olimpia in largo Cairoli, dove oggi c’è
gi”, un istituto industriale sulla circonvallazione dove il Decathlon, a fine spettacolo a conoscere ballerine.
facevo il commissario esterno per gli esami di matu- Ma quelle erano le ballerine degli spettacoli di varie-
rità. Andavamo a pranzo in trattoria in via Torricelli. tà. Mia madre aveva fatto sì la ballerina di fila, ma di-
Di sicuro a parlare era più bravo lui. Quando ci verso tempo prima, nella compagnia di operette in cui
prendeva bene la memoria andava agli anni cinquan- c’era anche mio padre tenore e che all’Olimpia tene-
ta, quelli che lui racconta nel film Malamilano, dalla va il cartellone per brevi periodi d’estate, un ambien-
liggera alla criminalità organizzata, di Tonino Cu- te diverso da quello del varietà e dell’avanspettacolo,
ragi e Anna Gorio (una copia la si trova ovviamen- con pretesi quarti di nobiltà per la prossimità col me-
te in Cox 18). Scoprivamo di avere qualcosa in più lodramma, un ambiente sussiegoso, piccolo borghe-
in comune. Arrivato a Milano agli inizi dei secondi se, molto fascista.
cinquanta, a sedici anni, a quell’epoca ero di casa in “Belli i tuoi versi...” mi dice un giorno a brucia-
via Codara, proprio sul terminale della darsena, nel- pelo. Deve essermi rimasto il boccone a metà perché
la casbah. quella non me l’aspettavo. Avevo da poco deciso a
Ci metteva ovviamente del suo, prestiaffabulava più di cinquant’anni di tirare fuori dal cassetto qual-
103
che verso (chi ha conservato a lungo questa abitudi- né tendono la mano, solo a volte alzano lo sguardo
ne prima o poi deve farlo, così poi perlopiù gli passa poco dopo che hai stornato il tuo,
la voglia) e l’amica e compagna Tiziana Villani me li in Unter den Linden o nella quarantottesima
aveva pubblicati su “Millepiani” (anche qui devo ave- a Manhattan. Proletari di mezzo mondo
re delle cassette registrate). difficili, la storia li cataloga tra portici
Primo si riferiva evidentemente a quelli. e sfiati candidi di viscere palatine,
Così abbiamo cominciato a parlare di poesia italia- occorre un verso informatore, lanciaponti
na e americana (e ovviamente di Ferlinghetti). tra idea e memoria, dica che la mutazione
Gli dico che stavo finendo un lavoro su Leopardi. prende avvio dal desiderio, prima che diventi
Gli racconto che per liberarsi di famiglia e Recanati codice nel corpo fissato e fatto standard
tutto in un colpo era riuscito a diventare una specie di articolante posture, sguardi e zigomi diversi
consulente editoriale alla Calvino per la casa editrice sempre uguali, prima che finiscano nei quaderni
Antonio Stella e figli di Milano. Che il lavoro lo ave- di sociologi (o nei serialtv di Oriente e Occidente)
va emancipato ma che lo soffocava e che nei due anni classificati natural born da visitare una
che aveva lavorato per lo Stella standosene a Bologna tantum. Qui si vuole dire che il tempo non manca
era riuscito a scrivere solo un poemetto, bruttissimo (lo e tra una leggenda e l’altra, sistemata l’identità
aveva letto a un casino dei nobili nel silenzio gelido di negli spazi lirici trasumananti, si può
tutti). A mala pena era riuscito a ottenere la pubblica- misurare lo scarto se c’è tra vecchie e nuove periferie.
zione dallo Stella delle Operette morali (già scritte da
tempo) ma alla fine si congedò, che stesse tranquillo Hi Hobo! Parte presto come sempre
lo Stella, si sarebbe rifatto vivo. Ma era una bugia, alla da Grand Central Station il treno per i deserti
sorella scriveva che sarebbe tornato a morire nella not- a Ovest ovunque (visiteresti il gran raduno annuale
te di Recanati. Però, lontano dall’oppressione alienan- degli hoboes a Britt?). Precario di grandi e piccole
te del lavoro, scriverà in realtà i suoi Canti più belli. depressioni non c’è più posto per te alla catena
A Primo questa storia del rifiuto del lavoro del con- di grandi città dove contendi comando
te Leopardi, nobile spiantato, piacque molto. Mi mise sul lavoro, ti spettano periferie e cinture
a disposizione il cortile della Calusca e con Joe Fal- della ruggine da Detroit al Minnesota.
lisi che recitava e io che commentavo abbiamo mes- Ma dico deserti e non troverai una sola
so su una bellissima serata. Il cortile era pieno. Primo Maggie’s farm dove fare per pochi dollari
era felice e per l’occasione s’inventò il cocktail ‘Len- lo schiavo per un giorno con la guardia nazionale
ta ginestra’. sulla porta, di sicuro non ti avverrà di incontrare
Seguirono ancora altre serate. La più interessante sulla strada per Duluth il bardo che cantava
fu quella dedicata alla relazione d’amore tra Campa- sul punto di cambiare il nostro tempo. Né
na e Aleramo, anche qui Fallisi recitava, io commen- sicuramente potrai cavalcare tronchi di rosse
tavo e la brava e bella Ginevra recitava le poesie della sequoie sui merci scoperti col rischio che un Jeff
scrittrice e del poeta. Carr qualsiasi ti tiri giù a scoppiettate. Nè rischierai
Poi lui è morto e io non ho avuto più voglia di stare di affumicarti sulla pensilina del Wabash
in Calusca, anche se l’amico e compagno Sergio – fu [Cannonball
lui a farmi conoscere Primo nel ’71 all’apertura del- il treno che fiammeggiava nelle praterie.
la prima Calusca – mi ci riporta ogni tanto con le sue
iniziative, i suoi libri. Oh, listen to the jingle, the rumble and the roar
Invece ho continuato a pubblicare versi. Nei qua- As she glides along the woodland, over hills
li perlopiù parlo del lavoro. L’ultimo poemetto scritto [and by the shore
non è ancora pubblicato. Lo propongo qui interamen- Hear the mighty rush of the engine, hear
te in anteprima. Credo che a Primo non sarebbe di- [the lonesome hobo’s call
spiaciuto. Anche perché si conclude proprio con uno travelling through the jungles on the Wabash
sguardo sulla darsena. [Cannonball

Paolo Rabissi Hi Hobo! Nomade di binari, ci credi se


ti dico che nel lontano Est nelle pianure
• dello Jilin c’è la stessa cintura di ruggine,
fabbriche morte deserti affanni di uomini e donne
Di signoria e servitù, per avenue povere dove bisogna
la mutazione che prende avvio dal desiderio essere disgraziati e forti, fratelli e nemici
di cani, attorno a bracieri di strada?
Poveri di città imperiali non sostengono Calma, il promoter dice che occorre guardare
davanti a cittadini che attraversano strade da sotto, dalla parte dell’erba che cresce,
la propria indigenza, si alleano con l’inverno, laggiù come qui sfoltiscono ma poi spenderanno
alle luci dell’inverno si riparano con sottomissione tutti di più. Vedi? Il desiderio
104
è sempre quello – attento ora – la remissione meno l’IVA e il contributo di solidarietà
empatica dei tuoi bollori desideranti per le alluvioni, i proverbi millenari ereditati
dentro uno spaziotempo di orologi fermi, dai campi non servono più ma non si recrimina,
di stomaci vuoti, l’increspatura dell’orizzonte pur di tagliare i ponti con albe maiali e vanghe
finché lo sguardo scavalca la luce e ti ritrovi non c’è storia, si mette una firma o una croce
a succhiare foglie di coca o a squadrare quanto e si entra in fabbrica. Se i vecchi non ti guardano
resta dell’orto. Insomma vuoi che tutto torni come in faccia pazienza. Qui non si scherza. Soldi in tasca
prima? E che mutazione è quella che rinvia in archivio tutte le settimane, soldi in tasca tutti i giorni
le nano tecnologie o le sfumature dei cristalli per pagarsi da bere con signorilità, soldi
nei tramonti del Connecticut o della vecchia in tasca per zittire le puttane. Tutta un’altra storia.
[Manciuria? Aperta la strada al Novecento l’hanno sepolto
quanto è rimasto dall’abbuffata di lavoro
Non so che perfezione fanno le ibis rosse quando è un pianeta malandato, velenoso
striano il cielo e perfezionano il volo come e luccicante. Tu, Assunta, grazia di lavoro
fosse un lavoro da consegnarci sempre uguale, mattutino, infornavi pane in cantina alle cinque,
la sagoma acuta riflessa nel mare quando tu, Candida, incapace di giorni feriali, sban-
sazie abbandonano le rive dei rossi molluschi data di quelli festivi, tu, Regina, dagli occhi
coperte dall’alta marea. Non so che perfezione golosi di gelosie, tu, Mara, cipiglio di
fanno i castori del loro ingegno a costruire dighe sogno d’amore mancato, che vicenda narravate se
come fosse un lavoro simile al nostro. tutte avete dapprima sepolto i vostri uomini?
Non so se animali si congratulano fra loro Prendi Angelo e Tonino, premorti di lavoro.
dei propri manufatti, hai mai visto un’ape ferma Uno intossicato d’alto forno al Nord, l’altro da fumi
sulla soglia dell’alveare di un’altra a dire del petrolio al Sud. Morti industriali. Rigidi e austeri,
brava bel lavoro? o una talpa della tana del con quella postura fuori tempo da patriarchi
vicino? Il riconoscimento fra sapientes neanche davvero governassero mondi i due
è desiderio, desiderio materiale come il cibo.
Dispone a mutazione il lavoro servile si portavano la morte addosso come un tatuaggio,
apre spazi al desiderio fino al rischio della vita una nota spillata sulla spalla, esercizio
vinta la paura ancestrale del bisogno. loro precipuo disilludere noi, non c’era
di che godere in quel dopoguerra affollato
Non che Tonino e Angelo non conoscessero da fascisti e comunisti tutti sconfitti dalla storia,
i tempi di lavoro quando zappavano e seminavano perduta la guerra gli uni mancata la rivoluzione gli altri.
ma quella era la condanna che li teneva vicini Si limitavano a dirci non bevete durante il pasto,
al dio arcaico delle vendette bevete dopo, poi d’estate sistemavano un
che ignorava il tempo freccia dell’orologio tavolino fuori casa e sterminavano ore
e ispirava ab aeterno regole e mansioni. giocando a briscola. A volte indicavano la strada
L’ora giusta è sempre quella e per la sveglia basta del sublime come fosse cosa pura e incontaminata.
l’alba, necessità e bisogno si prendevano La sconfitta li deprimeva come da storia
il meglio tallonando le stagioni e il calare della luna. di sempre, la novità era che le donne
Potrai dire che non si fa gran poesia non portavano più reggicalze ma collant.
se non usi metafora e allegoria, ma da quando Ne parlavano in fabbrica, alle giovani operaie
il lavoro è una scelta libera (prendere o lasciare) mostravano le fiche. In altre parole uno dei due
metafore e allegorie confondono le cose ti avrebbe stuprato non fosse che lo tenevo d’occhio.
i poeti le usano poco se mai dicono bene il non senso.
Si battevano ancora per un lavoro ben fatto
(tralascio Gaetano figlio di un dio abbandonato ma gli attrezzi nuovi davano all’ultimo arrivato
nei campi occhio chiaro e l’altro scuro, in poche ore abilità e competenze. La luce
capelli bianchi e molli, sfrondava mandorli e olivi cangiante del Novecento li confondeva, sparigliava
– occorre fare luce tra i rami anche a costo le carte e non contavano più su di noi.
della nidiata – col suo sorriso greco, E tu Assunta, Candida, Regina e Mara
metteva piantine di pomodoro nella buca vedove esaltanti i vostri morti non ce la fate più
non so dire l’eleganza della mano a conca a festeggiare i santi, i figli distorcono le vostre
a sotterrare le radici, puoi se mai accovacciarti memorie e non ne vogliono sapere più di ruoli
dietro di lui e accorgerti che la fila è dritta così fino millenari spacciati per leggi naturali.
[al mare)
Scivolavano alte le chiatte silenziose
Nè Tonino né Angelo hanno bisogno di metafore sulla darsena e una gru sulla sponda le aiutava
per dire l’orario di lavoro, leggere la busta a sgravarsi della sabbia portata dal pavese,
paga, un tot di trattenute, un tot di gratifica come giganti senza cappello ancheggiavano
105
in darsena prima di accomodarsi nell’attracco, reazione, i potentati mettevano in conto
venivano solo stridii nelle ore senza vento qualcosa in più tra tinello frigorifero e TV
tra porta Genova e Cantore, padri anziani ma non soggetti desideranti fra strade e scuole.
venuti dal Sud accoglievano spalloni con grida
soffocate d’avvertimento, il tempo di scaricare
scatoloni di marlboro e seminare le stecche Note
tra una casa e l’altra, ci pensavano le donne
a insaccarle nei tombini nelle borse nei gabinetti - Lo hobo per tranquillità borghese è qualificato come un mendi-
comuni della ringhiera, quelli alla turca. cante, è invece il classico lavoratore migrante da sempre nel panora-
ma americano espulso dalla fabbrica per via del suo amore per la li-
bertà. Nomade ribelle per eccellenza ha riempito le cronache soprat-
I giovani radunatisi in Cantore salivano tutto nei periodi di depressione. Negli anni trenta e poi nei cinquan-
al Duomo ma prima era un complottare sordo ta era un’icona del rifiuto del lavoro e quindi considerato pericoloso
di voci trattenute, l’ora sottratta alla catena per la comunità tanto che gli si sparava a vista (e spesso una ugua-
le risposta non mancava). Gli hoboes hanno reso leggendario il tre-
e già scontato il recupero di nuova lena, no. Nelle infinite versioni di musica country il Wabash Cannonball
ma a chi sostava ai margini di strada (qualcosa di simile è La locomotiva di Guccini) attraversa rombando
con gesti come di conforto per la loro solitudine le praterie e va così veloce che arriva un’ora prima di quando è par-
tito (un gioco verosimile per via dei fusi orari diversi tra i vari sta-
rispondevano soffiando nelle trombe ti americani distesi tra Est e Ovest)! Impossibilitato a frenare è dera-
incalzavano coi fischietti e i bidoni di latta, tamburi gliato nello spazio dove viaggia tuttora lanciando sulla notte del pia-
per il conflitto necessario a misurare i ritmi di vita. neta il suo fischio che tutte le stazioni d’America sentono.
Tra loro qualcuno presentiva ferocia dalla - Duluth è la cittadina dove è nato Bob Dylan.

106
In ricordo di Lapo Berti

suoi coetanei grazie alle amicizie familiari con i Fran-


covich, i Detti, i Codignola: insomma, era un rampol-
lo del Partito d’Azione.
A introdurlo presso quelli che poi diventarono
i suoi compagni fiorentini fu soprattutto Giovanni
Francovich, che ce lo presentò in un momento per noi
decisivo nell’esperienza politica “operaista”: la rivi-
sta Classe operaia aveva cominciato le pubblicazio-
ni nel gennaio del 64, e fra i redattori comparivano in
tutti i numeri diversi “fiorentini” come lo stesso Gio-
vanni, Luciano Arrighetti, Pietro Bianconi, Guido De
Masi oltre a me e al grafico-pittore Mario Mariotti. Il
nome di Lapo compare per la prima volta nel numero
11-12, sempre nel 64, dedicato al rapporto classe-par-
tito. Si scrissero a sei-otto mani gli articoli che riguar-
davano la storia del Pci, dopo aver passato giornate a
La rivista “Primo Maggio” ebbe tra i suoi colla- consultare pacchi di giornali in Biblioteca Nazionale.
boratori più importanti Lapo Berti, che sarebbe stato A quel tempo le riunioni si tenevano tutte in via Pan-
presente anche in questo numero, se una morte cru- dolfini 21, presso la Lega studenti-architetti: un grup-
dele non lo avesse strappato all’affetto dei suoi cari po che si era formato due anni prima con un architet-
proprio mentre stava scrivendo per noi. Il 12 dicem- to (Di Pietro) e una banda di studenti aperti alle novità
bre 2017 al cimitero acattolico di Roma lo abbiamo politiche. Tra Architettura e Lettere – intese come fa-
salutato portando le nostre testimonianze di vita in coltà – c’era sempre stata una certa affinità di vedute,
comune. Ne abbiamo riportato tre, di Claudio Grep- maturata nel corso delle frequenti occupazioni (1961,
pi, di Andrea Pezzoli e di Sergio Bologna. Di Lapo 1963), per cui era naturale che Giovanni, Lapo, Guido
Berti ha scritto anche Andrea Fumagalli (http://ef- e altri frequentassero un gruppo di studenti di architet-
fimera.org/ricordo-lapo-berti-effimera/) e Riccardo tura come il nostro. Era lì che si tenevano anche, ogni
Bellofiore ha integrato e discusso il suo scritto sulla mese, le riunioni di redazione della rivista: la posizio-
sua pagina Facebook. ne centrale di Firenze favoriva la presenza dei romani
(Tronti, Asor Rosa, Di Leo) insieme a quella dei tori-
• nesi (Alquati, Gobbi), dei milanesi (Bologna, Gobbini,
Brunatto) e dei padovani (Bianchini, Negri).
Claudio Greppi Così per tutto il 1965 continuò un lavoro politico
Già professore ordinario di Geografia all’Università di Siena di tipo nuovo, fatto di riunioni e discorsi teorici ma
anche di volantinaggi e presenza sulle fabbriche, non
Lapo capitò a Firenze nel 1964, alla morte improv- solo di Firenze ma di tutta la Toscana. Con due uniche
visa di suo padre Luigi (Gigi) scrittore e poeta elbano macchine a disposizione (la mia VW e la 500 di Gio-
che dopo la guerra aveva lavorato fra Firenze e Mila- vanni) ci spostavamo a Prato, a Lucca, a Rosignano e
no. Lapo veniva appunto da Milano, si iscriveva alla soprattutto a Piombino, la grande fabbrica per eccel-
Facoltà di Lettere di Firenze, e veniva introdotto fra i lenza, per noi. Luciano Arrighetti, l’unico operaio nel
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gruppo che però sembrava un professore, ci mise in zionale che si teneva presso il convento de La Tourette
contatto con l’anarchico Pietro Bianconi, che a quel vicino a Lione, opera di Le Corbusier per me molto in-
tempo si era ritirato in campagna sulle colline pisane, teressante. Del convegno ricordo solo che con noi erano
ma che aveva molta voglia di tornare a occuparsi del- venuti alcuni compagni del Petrolchimico di Portomar-
la grande acciaieria, che allora era di Stato. ghera. Che Lapo fosse molto impegnato nei contatti in-
Credo che in quegli anni con Lapo ci si vedesse pra- ternazionali lo prova anche il convegno che si fece allo
ticamente tutti i giorni. Nel 65 sono anche nate le figlie, Stensen, a Firenze: in casa dei gesuiti! Non mi ricordo
e quindi Sveva. Era normale frequentarci anche come quando si svolse, ma di certo l’organizzatore era Lapo,
famiglie, anche se Giovanni Francovich, scapolo, re- e le presenze molto varie, dagli USA all’Irlanda, a tutta
stava un po’ tagliato fuori, una specie di “zio”. Purtrop- Europa e perfino Israele (me lo ricordo).
po la svolta drammatica in questo periodo così costrut- E poi niente, le nostre strade si sono separate, e an-
tivo fu proprio la morte di Giovanni, nel gennaio 1966, che le rispettive famiglie. La comunicazione digitale
in un assurdo incidente d’auto sulla strada ghiacciata ci ha consentito lo scorso anno di condividere un ri-
del Muraglione. Ci trovammo spiazzati perché Giovan- cordo di Luciano Arrighetti, e pochi mesi fa la confer-
ni era quello che aveva più di tutti il dono della comu- ma che il libro di cui sto scrivendo la recensione era
nicazione e della simpatia: con Lapo ci siamo trovati a stato tradotto proprio da Lapo.
gestire la sua eredità ma non era facile.
Pochi mesi dopo, grazie a cospicui fondi donati dai •
tanti amici di famiglia e all’ospitalità del Circolo fra-
telli Rosselli in piazza della Libertà 15, mettemmo Andrea Pezzoli
insieme il “Centro Giovanni Francovich, per la sto- Direttore Generale Concorrenza, Autorità Garante
ria della classe operaia”, del quale io ero presidente della Concorrenza e del Mercato
e Lapo una sorta di segretario. Tutte le sere, fra le 7 e
le 8, eravamo lì, insieme ai tanti amici che passavano Ho conosciuto Lapo oltre 20 anni fa. Quando, con
anche solo per salutare. La prima iniziativa fu la pub- un curriculum anomalo, era entrato in Autorità, di fat-
blicazione di quel poco che Giovanni aveva prodotto to insieme a me. È nel corso di questi 20 anni che ci
della sua tesi di laurea, che avrebbe dovuto essere de- si è frequentati in contesti diversi. Innanzitutto come
dicata alla storia delle lotte all’acciaieria di Piombino. amico con il quale si poteva discutere di politica (spes-
Curioso: anche Lapo non finì mai la sua tesi di lau- so non andando d’accordo... ma sempre in grado di of-
rea, che se non mi sbaglio era dedicata ad Aristotele... frirmi una lettura non scontata); poi in qualità di sinda-
Dal Centro Francovich a Potere Operaio. La sede ri- calista (in un’istituzione dove si è ben pagati, protetti,
mase la stessa, con la presenza fissa di Lapo, al qua- dove, tutto sommato, si fa un bel lavoro... e dove, dun-
le toccava ormai ricevere ogni sorta di strani personag- que, l’attività sindacale non può che essere assai pecu-
gi che ruotavano intorno al 68. Non era più possibile liare)... E con lui sindacalista (non solo io ma anche altri
gestire un luogo che era nato con l’ambizione di uni- numerosi colleghi) abbiamo “sragionato” di CGIL, Si-
re ricerca e lavoro politico, quando anche l’esistenza di nistra e Meritocrazia... a volte persino con qualche buon
una biblioteca discretamente ricca era messa in perico- risultato apprezzato da molti in Autorità. Ancora, insie-
lo dal sistematico saccheggio da parte dei “compagni”. me a lui (e Marcello Messori e tanti altri) abbiamo pri-
Così decidemmo di chiudere il Centro, trasferendo tut- ma dato vita a un gruppo di discussione, un “cantiere”,
ti i documenti all’Istituto storico della Resistenza, allo- che evocando le “Città Invisibili” di Calvino, si chiama-
ra diretto da Carlo Francovich, dove si trovano tuttora. va Tecla, poi abbiamo cercato di far discutere la Fonda-
Quindi con Lapo e tutto il gruppo fiorentino, salvo zione Di Vittorio di temi non sempre familiari per la tra-
qualche defezione, ci troviamo catapultati in un’espe- dizione della CGIL. Infine e soprattutto, visto che insie-
rienza diversa almeno in quanto a dimensione. In con- me avevamo di fatto condiviso “da dentro” tutte le “sta-
fronto, al tempo di Classe operaia eravamo quattro ami- gioni” dell’Autorità antitrust (ben 4 diversi Presidenti)
ci che potevano condividere quasi tutto. Poi no. Ma al- abbiamo deciso di scrivere un librettino, “Le Stagioni
meno fino al 71-72 con Lapo abbiamo mantenuto con- dell’Antitrust” appunto. Persino con un sottotitolo mu-
tatti abbastanza stretti. Lapo dentro Potere operaio si oc- tuato da un film coreano (più radical-chic di così...). Ed
cupava dei rapporti internazionali: conosceva bene il te- è stato proprio in quel periodo (ormai più di 7 anni fa)
desco, era affidabile. Così nell’inverno 71 (credo) par- che ho avuto modo di conoscerlo meglio: intellettual-
timmo con la sua R4 rossa alla volta di Francoforte per mente vivace ma pigro, per molti versi coraggioso ma
assistere al congresso di scioglimento della SDS (Sozia- spesso inconcludente, bisognoso di essere incalzato di
listische Deutsche Studentenbund): un episodio squalli- continuo... la data della consegna all’editore si avvici-
do, fatto solo di spartizione dei beni (ciclostili, macchi- nava e si era ancora lontani... eppure devo dire che gra-
ne da scrivere). I contatti con Cohn-Bendit non portaro- zie a quel librettino ho avuto la fortuna di conoscere un
no a nulla. Un po’meglio a Parigi, in un’atmosfera sur- amico, con più di una contradizione ma intriso di cultu-
reale di sconquasso dell’Università di Nanterre, dove i ra e intellettualmente stimolante. Soprattutto una perso-
nostri contatti erano portoghesi. Un’altra volta, forse nel na sempre curiosa del nuovo, mai prigioniero del passa-
72, andammo insieme a un convegno operaista interna- to (e quello di Lapo era a dir poco ricco...).
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Non sarà un caso che era nato il 13 luglio, lo stesso pi. Anche in questo ruolo Lapo non interruppe la sua
giorno del mio miglior amico e della mia compagna: attività internazionale. Informato della sua scompar-
un gemello diverso, molto molto speciale! sa, Karl Heinz Roth mi ha scritto un breve messaggio
in cui dice: “non potrò mai dimenticare quando Lapo
• venne a trovarmi in carcere. Io non sapevo chi avrei
incontrato quando mi avvertirono che una persona mi
Sergio Bologna stava aspettando nel parlatorio. Lapo war souverän
und voller Zuversicht – sembrava padroneggiare la
Dicono che i vecchi ricordano molto meglio fat- situazione ed era pieno di fiducia”. L’opera di Lapo
ti accaduti decenni prima che quelli accaduti il gior- come traduttore di classici (“Das Wesen des Geldes”
no o la settimana prima. In un’amicizia durata più di Schumpeter, per esempio) non è meno importante
di mezzo secolo io non riesco a staccare la figu- della sua opera di economista monetario. A questa at-
ra di Lapo dalle stanze fiorentine dove si discute- tività di ricerca e di riflessione era tornato negli ultimi
va e si progettava “Classe Operaia”. Non riesco a di- tempi, mi aveva segnalato dei suoi lavori alcuni mesi
menticare lo smarrimento che esprimeva il suo vol- fa, forse un anno fa. Per questo, agli inizi di settembre
to dopo la morte di Giovanni Francovich, qualco- 2017, gli avevo chiesto di scrivermi qualcosa sul tema
sa di più complesso e profondo del dolore, un senti- per il progetto di “Primo Maggio” dedicato a Moro-
mento in cui c’era la consapevolezza che gli toccava ni, che avevo in mente. L’11 settembre mi ha rispo-
gestire un’eredità importante. Firenze è stata – si di- sto: “D’accordo, provo a scrivere qualcosa sulla fi-
rebbe oggi – un hub logistico dell’operaismo e Lapo nanza. Ne ho scritto molto, negli ultimi tempi, ma ho
ne è stato uno degli amministratori. A Firenze Ma- pubblicato poco, perché non ci sono editori per i ma-
rio Tronti ha presentato alcuni dei suoi pensieri poli- verick. Una cosa uscirà prossimamente su ‘aut-aut’,
tici più importanti, a Firenze ci siamo trovati per de- nell’ambito di una riflessione su Foucault e il neolibe-
cidere, dopo l’estate calda della Fiat, la fondazione ralismo. Ci risentiamo più avanti.” Quando, il 20 no-
di “Potere Operaio” giornale, a Firenze nel genna- vembre, gli ho riscritto per aggiornarlo su come an-
io 70 abbiamo costituito la prima segreteria di Pote- dava avanti quel progetto, mi ha risposto Rossella, la
re Operaio come gruppo politico, a Firenze avevamo sua compagna.
convocato la redazione di “Primo Maggio” quell’8 Ha lasciato un segno, un segno profondo, in quel-
aprile 1979, quando ciascuno di noi arrivò alla riu- la che è stata la “nostra” cultura, una cultura che sem-
nione con i giornali del mattino che riportavano a ti- bra suscitare interesse e passione in tanti giovani, in
toli cubitali l’arresto di Toni Negri e degli altri com- Italia e all’estero, con nostra grande – e lieta – sorpre-
pagni come presunti capi delle Brigate Rosse. 1964- sa. Ma come dimenticare quel suo stile umano? Non
1980, sedici anni in cui si snoda la storia dell’ope- l’ho mai visto alterarsi, non l’ho mai visto compiere
raismo e inizia quella del post-operaismo, Lapo è un gesto d’impazienza, di rabbia, d’insofferenza, non
al centro di questo vortice, dentro il quale abbiamo l’ho mai sentito alzare la voce. Questo suo stile era un
consumato forse i nostri anni migliori. balsamo in un ambiente dove i nevrotici – mi ci metto
La nostra collaborazione più stretta fu dentro “Pri- io per primo – o i prevaricatori abbondavano. Ma alla
mo Maggio”, dove io chiamai Lapo ed altri compa- fine riuscivamo a perdonarci. Quel vincolo che ave-
gni ex Potere Operaio, tra cui alcuni fiorentini, a rico- vamo stretto agli inizi degli anni ’60, pur andando poi
stituire una redazione che si era praticamente dissolta ciascuno di noi in una propria direzione, forse solo la
dopo i primi due numeri. E in “Primo Maggio” Lapo morte potrà sciogliere.
assunse quel ruolo centrale di coordinatore del grup-
po di ricerca sulla moneta che si era guadagnato con •
quel suo articolo Denaro come capitale, che avreb-
be inaugurato un filone di studi al quale si associaro- Riccardo Bellofiore
no anche illustri economisti come Augusto Graziani Professore ordinario di Scienze aziendali, economiche
e Suzanne de Brunhoff. Nel variegato e – a quei tem- e metodi quantitativi, Università di Bergamo
pi – popolatissimo mondo che si muoveva nella so-
cietà civile “alla sinistra” del PCI, nessuno aveva af- Sul “manifesto” del 6 dicembre 2017 ho letto della
frontato con uno sguardo così innovatore e così pe- morte di Lapo Berti, studioso e amico conosciuto or-
netrante i problemi dell’essenza del denaro e della fi- mai quasi quarant’anni fa: lo ha ricordato Andrea Fu-
nanza. Rimasticature di Hilferding, letture ortodosse magalli. Lo sapevo da alcuni giorni, ma a mia cono-
di Marx, non soddisfacevano il bisogno di cogliere un scenza la famiglia non aveva inteso comunicare anco-
passaggio epocale dell’economia capitalistica, quel- ra la notizia.
lo verso la finanziarizzazione dell’economia. Il grup- Riporto di seguito l’utile articolo di Andrea. Dopo
po di ricerca sulla moneta di “Primo Maggio”, coor- l’articolo segnalo alcune correzioni fattuali al pezzo,
dinato da Lapo (Andrea Battinelli, Serena di Gaspa- su alcuni punti che a me risultano diversamente - poco
re, Franco Gori, Christian Marazzi, Marcello Mes- male, ma nell’epoca di internet le cose scritte divengo-
sori, Helmut Reiche, Mario Zanzani) anticipò i tem- no verità a prescindere, e magari può essere utile ricor-
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darlo anche con precisione. E, spero, con i tempi giu- bito che vengono sviluppate le prime analisi critiche
sti, che sia possibile da parte di tutti di tornare a di- da parte del pensiero dell’Autonomous marxism sul
scorrere sull’itinerario complesso di Lapo con più pro- processo di costruzione dell’Unione Monetaria Euro-
fondità. pea, riflessione che vedono la luce, oltre che sul n. 2 di
Altreragioni, nel volume collettaneo L’Antieuropa del-
Lapo Berti fa parte dei tanti militanti che hanno le monete (Manifestolibri, 1992).
dedicato la propria vita alla ricerca della verità (nel
senso di “parresia”) – una compagine oramai rara ai Precisazioni e integrazioni:
giorni nostri, così presi della performatività dell’ap- - Non ho avuto l’onore di far parte del gruppo sulla
parire. Ha partecipato ai principali avvenimenti del- moneta di “Primo Maggio” (anche se ne seguii da vi-
la rottura culturale degli anni Sessanta in Classe cino l’elaborazione grazie a Marcello Messori, che co-
Operaia e in Potere Operaio, dopo) fino gli anni No- nobbi a metà degli anni Settanta). Fui poi parte della
vanta. È stato uno degli animatori della rivista “Pri- redazione torinese di “Primo Maggio” nei primi anni
mo Maggio”, ha partecipato al gruppo di studio sul- Ottanta, ma Lapo era già andato via, e Sergio Bologna
la Moneta, con Christian Marazzi, Roberto Convene- era all’estero. Ne fu invece parte essenziale, appunto,
vole, Franco Gori e Sergio Bologna e più avanti Ric- Messori. Vero è che la mia riflessione si lega a quel lato
cardo Bellofiore. Ha prodotto analisi sull’idea che la della riflessione del gruppo sulla moneta che manten-
creazione di moneta – come moneta credito – fosse ne saldo il rapporto con la teoria del valore marxiana (è
in ultima analisi, nonostante il monopolio di emis- questo il caso, fino a metà degli anni Ottanta, di Mes-
sione della Banca Centrale, un fattore endogeno alla sori), a differenza, in tempi e modi diversi, di Lapo e
dinamica dell’economia capitalistica. Ha partecipa- Christian Marazzi, che invece se ne distaccarono. Non
to al seminario sulla Moneta animato nei tardi anni credo (ma potrei sbagliarmi) che Roberto Convenevole
Settanta da Augusto Graziani con Marcello Messori, ne abbia fatto parte, mentre ne ha fatto parte Serena di
Roberto Convenevole, Riccardo Farina, Lilia Consta- Gaspare di Torino, che studiava proprio quella Suzan-
bile, contribuendo allo sviluppo della Teoria del cir- ne de Brunhoff che prese molto seriamente e interlo-
cuito monetario (insieme alla teoria de la régulation quì con la riflessione di Lapo. Il gruppo sulla moneta
francese, le uniche capaci di creare una teoria econo- di “Primo Maggio” fu una esperienza articolata e com-
mica in grado di essere un antidoto all’egemonia mo- plessa e finì con l’assumere connotazioni diverse, e in
netarista dell’epoca). qualche misura dividersi, anche in conseguenza dei di-
È stato uno studioso dei classici, in primo luogo versi modi di rapportarsi al 1977. È ovviamente falso
Marx, e poi Schumpeter. Dal primo ha divulgato l’i- che in Marx “la moneta non è altro che un rapporto so-
dea che la moneta non è altro che un rapporto socia- ciale, ovvero strumento di dominio sul capitale“. È an-
le, ovvero strumento del dominio del capitale sul la- che quello, ovviamente, ma non solo quello, e molto si
voro. Dal secondo, ci ha tramandato (oltre alla tra- gioca su quell’“anche”.
duzione di Teoria dello sviluppo economico – Sanso- - Il Seminario di economia monetaria che si riunì at-
ni, 1971 (nuova edizione 2013 per Rizzoli), la semina- torno a Graziani è certo in rapporto con il gruppo sul-
le, ma parziale, traduzione dell’opera schumpeteria- la moneta di “Primo Maggio” (in quel caso ne feci par-
na più misconosciuta – Das Wesen des Geldes (L’es- te dall’inizio, e c’erano anche Marcello e Serena), ma
senza del denaro) il ruolo di discriminazione che è in- è una soltanto delle influenze, e ai miei occhi una in-
sito nel potere del denaro. Concetti che oggi, nell’era fluenza che appunto si divide in due per le ragioni det-
del capitalismo cognitivo finanziarizzato, sono più che te. Il Seminario non iniziò alla fine degli anni Settan-
mai confermati. Ha inoltre curato l’edizione di Teoria ta. È semmai della seconda metà degli anni Settanta, in
della moneta e dei mezzi di circolazione di Ludwig von particolare dal 1975-77, l’inizio della svolta circuiti-
Mises, L’equilibrio monetario di Gunnar Myrdal e ha sta di Graziani (ne parlo al convegno di Grenoble fra 2
tradotto la Teoria economica del credito di L. Albert giorni). Ma il Seminario vero e proprio iniziò nel 1981,
Hahn, tutti testi che contribuirono negli anni Ottan- per la precisione il 2 gennaio (anche se vi fu, credo,
ta alla discussione sulle teorie monetarie eterodosse. un incontro più ristretto su Marx, con Graziella Cafa-
Ha lavorato poi all’Antitrust, denunciando le stor- ro, nel 1980).
ture del mercato come luogo di concentrazione del po- - Il Seminario di economia monetaria cui parteci-
tere economico, in controtendenza con l’idea neo-libe- pai ebbe, per così dire, una preistoria, che può vale-
rale del mercato come luogo di pari opportunità. Negli re la pena di ricordare. Mi avvalgo qui dei ricordi di
anni Novanta si è interessato alle trasformazioni del Marcello Messori, che nel 1979 stava ripetendo un
processo di valorizzazione nella fase del capitalismo periodo di insegnamento di due mesi a Portici, dopo
post-fordista. È stato membro della redazione di Altre- una esperienza analoga del 1978. Prime riunioni in-
ragioni, primo ambito di rivitalizzazione del pensie- formali si svolsero a Portici e alla Facoltà di Econo-
ro economico operaista di fronte alle nuove forme di mia di Napoli nella tarda primavera del 1979 per com-
organizzazione del lavoro e della globalizzazione, un mentare due introduzioni di Graziani, non solo quel-
passaggio cruciale per cogliere lo sviluppo dell’Ita- la al libro di Convenevole per Einaudi ma anche quel-
lian thought di oggi. Non è un caso che è in quell’am- la all’edizione ridotta di Business Cycles di Schum-
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peter in italiano (ambedue del 1977). I partecipanti lone post-operaista l’uso di questi termini è evo-
erano allora, oltre Graziani, soltanto Franca Meloni, cativo e non strettamente analitico. Sul percor-
Adriano Giannola, Salvatore Vinci e lo stesso Messo- so di Lapo successivo al 1980 ho un giudizio diver-
ri. Poi, fra la fine del 1979 e il 1980 Graziani concepì so da Andrea Fumagalli. Certo, la dignitosa espe-
e scrisse il primo articolo sulla supremazia analitica rienza all’Antitrust per me (non certo nella autori-
del Trattato sulla moneta rispetto alla Teoria genera- flessione di Lapo!) si configura come parte della ri-
le e Messori scrisse un articolo sul concetto di finan- flessione social-liberista, che non condivido affatto.
ce negli scritti di Keynes post Teoria generale. An- - Fui in Altreragioni nel numero 1, ne uscii con il nu-
che Meloni, Giannola e Vinci scrissero articoli di am- mero 2 in polemica proprio con Lapo e Andrea, per
bito keynesiano. Tutti questi lavori uscirono su un li- ragioni opposte. I due autori dell’Antieuropea delle
bro sul keynesismo del 1981, curato da Graziani, Jos- monete dicevano cose ben diverse: Lapo non era af-
sa e Imbriani. Prima della loro uscita vennero discussi fatto contrario all’unificazione monetaria, mentre An-
in questo gruppetto di persone (di cui Lapo, come chi drea lo era perché vi vedeva l'ennesima arma contro
scrive, non fece parte); a un certo punto, Vinci si stac- il mondo del lavoro. Contestai entrambi (ritenevo la
cò. A quel punto, si decise di costruire il gruppo che posizione di Lapo sbagliata e quella di Andrea pove-
costituì il Seminario di economia monetaria. ra di contenuti di analisi del nuovo capitalismo), e le
- Il gruppo di studiosi che partecipò al Seminario ragioni sono espresse nella mia recensione sull’Indi-
era alquanto variegato: comunque, ai miei occhi, que- ce dei libri del mese al volume della manifestolibri
sto circuitismo fu abbastanza diverso dal più giovane che riprendeva i loro saggi sul numero 2. Anche Ser-
circuitismo anni Novanta e seguenti. Alcune altre pic- gio uscì - se ricordo bene in polemica dura con Va-
cole correzioni. Non è Riccardo Farina, ma Francesco lerio Marchetti, che già era stato oggetto delle criti-
Farina, e ovviamente non Constabile ma Lilia Costabi- che nei primi anni Ottanta della redazione torinese di
le. Vanno almeno ricordati Adriano Giannola e Mari- “Primo Maggio”. Altreragioni proseguì talora con ot-
na Colonna. Il Seminario si chiuse nel 1985. Dopo, fu timi articoli, soprattutto quelle del gruppo coordina-
un’altra storia (a parte Graziani), anche qui. La prima to da Ferruccio Gambino, ma fu altra cosa dal glorio-
teoria del circuito monetario non si definì tanto in po- so primo numero (che contiene un mio saggio su Pia-
lemica con il monetarismo e la nuova macroeconomia no, capitale, democrazia. I termini di una discussione,
classica, e neanche con la teoria keynesiana tradizio- 1992, che fu tradotto anche in tedesco). Anche Lapo,
nale: nacque piuttosto anche, in modo cruciale, dalla a mia memoria, uscì non molto dopo il numero 2 (ma
critica a un marxismo senza denaro, al neoricardismo, non essendo più dentro qui potrei essere impreciso).
ai limiti del postkeynesismo inglese e americano. Non userei il termine Italian thought, ma certo la mia
- La teoria della moneta e dei mezzi di circolazione di è una opinione contestabile; e credo si dica Autono-
Ludwig von Mises l’ho curata io, ma certo non avrei mist Marxism e non Autonomous Marxism. Direi che
potuto farlo senza la traduzione eccellente di Lapo: la riflessione di molti dei partecipanti alle esperien-
ci mise molto, ma arrivò con un capolavoro. La teo- ze di “Primo Maggio” non sia incasellabile nel mar-
ria economica del credito di Ludwig Albert Hahn, in- xismo autonomo (e si basava anzi su una forte presa
vece, non si limitò a tradurla, ma la curò, e vi appose di distanza non asolo da Tronti ma anche da Negri).
una introduzione. Una storia ricca e complessa, da ricostruire in
- Sinceramente non so se Lapo avrebbe impiega- futuro con attenzione, rispetto, e distacco critico.
to l’espressione “processo di valorizzazione del ca- Ciao, Lapo, avrei voluto avere molto più tempo per
pitalismo postfordista”, ma capisco che per il fi- continuare a discutere con te.

111
Gli approdi mancati
dell’Italia industriale

L’Approdo mancato indaga quelli che vengono in- diffusa trasformazione sociale dei primi decenni suc-
dicati come gli elementi di debolezza dell’economia cessivi alla seconda guerra mondiale e il rallentamen-
italiana nella seconda metà del Novecento e in parti- to che caratterizza gli anni che seguono, fino a quel-
colare le occasioni perdute dell’Italia industriale, le lo che appare come il declino nel periodo più recente.
congiunture che hanno impedito l’ingresso del Paese Nel saggio che apre il volume l’autore attribuisce
nella cerchia ristretta delle potenze economiche mon- il fallimento dei propositi riformisti degli anni Ses-
diali, ovvero che ne hanno causato la fuoriuscita dopo santa, tra l’altro, alle debolezze dei partiti, di gover-
un breve approdo negli anni Sessanta. no e di opposizione. Si potrebbe osservare come, non
L’Italia potrebbe essere oggi tra i potenti, scrive il diversamente dal principale partito operaio, anche la
curatore Franco Amatori, nei luoghi dove si “decido- Dc faticò a comprendere le richieste di un livello più
no i destini collettivi” (p. 343), al posto di quei ban- dignitoso di vita che provenivano dalle giovani gene-
chieri francesi e tedeschi che esprimono giudizi sui razioni e dai giovani operai delle regioni bianche sul-
risultati economici nostrani. Il confronto con la Ger- la via della rapida industrializzazione, né le vertenze
mania riguarda in particolare le politiche economiche sindacali della metà del decennio e almeno fino alla
degli anni Settanta, a cui è dedicato il saggio di Pier- rottura della Cgil sulle pensioni, forzavano le compa-
luigi Ciocca, mentre la comparazione con il Giappo- tibilità con i modelli dell’accumulazione.
ne, altro paese ritenuto simile per vari aspetti, compa- Per venire agli altri soggetti economici, gli esem-
re nell’introduzione e nel testo dell’economista Mi- pi della débacle delle grandi imprese, private e pub-
chele Salvati, rispettivamente per i modelli della rela- bliche, trattati nel testo sono numerosi, ricondotti a
zione tra stato e imprese e per l’evoluzione del siste- fenomeni di spessore storico, come nel caso della
ma politico. mancata riforma della burocrazia, alle decisioni del-
Sullo slancio del miracolo economico “eravamo la Banca d’Italia nella nazionalizzazione delle impre-
lì, lì per farcela”, afferma Amatori nelle conclusioni se elettriche, al mancato sostegno all’elettronica e ai
(p. 343), senza tralasciare i limiti strutturali del siste- settori di punta, alla fusione tra Montecatini e Edison,
ma economico nostrano che emergono fin dai primi il ‘grande pasticcio’ della storia industriale italiana,
decenni del dopoguerra. L’espansione economica so- come scrive il curatore. I saggi di Perugini, di Comei
stenuta degli anni Cinquanta e Sessanta, la cosiddet- e di Colli evidenziano alcuni dei limiti importanti ma-
ta ‘età dell’oro’ (p. 6) avviene nel segno della gran- nifestati in quegli anni dall’Italia industriale.
de impresa. Insieme alle grandi aziende pubbliche, e Una tradizione storiografica consolidata, richia-
il contributo dello stato imprenditore è ritenuto essen- mata nel testo, il cui sottotitolo recita “Economia, po-
ziale, protagoniste sono state le grandi imprese priva- litica e società in Italia dopo il miracolo economi-
te, sorte tra la fine dell’Ottocento e la prima parte del co”, considera gli anni Sessanta decisivi per le sorti
Novecento e altre forze simili, completamente nuove. dell’Italia industriale. Alla fine di quel decennio, se-
Cosa è mancato ? Le diagnosi sono diverse, gli condo l’opinione degli autori citati, l’Italia non ha sa-
autori dell’Annale passano in rassegna mezzo seco- puto adattare istituzioni, mercati finanziari, formazio-
lo della storia economica e politica della repubblica ne, ricerca e intervento pubblico alle caratteristiche
e propongono importanti approfondimenti di alcuni di un’economia che non era più arretrata. I fallimen-
degli aspetti ritenuti determinanti. Le tesi esposte nei ti dei progetti di riforma del centro-sinistra, gli esiti
saggi del volume sottolineano il divario che si è venu- poco brillanti delle strategie che vengono adottate e
to a creare tra la forte crescita economica, unita alla perseguite dalle maggiori imprese, la contemporanea
112
e insufficiente evoluzione delle forme della regolazio- mente e stabilmente sbilanciato a favore delle impre-
ne politica in campo economico favoriscono lo spreco se. La precarietà occupazionale e i bassi salari, po-
delle risorse accumulate nel periodo precedente e ipo- sti di lavoro stabilmente peggiori dei livelli medi eu-
tecano lo sviluppo futuro. ropei, emergono come elementi strutturali e costanti,
Di approdi mancati o di occasioni perdute, addi- salvo brevi parentesi, dello sviluppo economico no-
rittura di un paese mancato, hanno scritto in questi strano.
anni vari autori, storici ed economisti, come sottoli- Nel libro sono sottoposti ad analisi le scelte e i
nea anche il curatore nel richiamare alcune delle ope- comportamenti dei soggetti economici, le famiglie
re che hanno trattato del tema (p. 343). Nel momento capitaliste, lo stato imprenditore, la banca centrale o
in cui considera l’andamento storico di alcune macro- quelli del sistema politico, al massimo si guarda al
grandezze e di fattori che ritiene significativi, il de- sindacato. Le relazioni tra il capitale e il lavoro resta-
clino economico riguarda prospettive di lungo perio- no abbastanza sfumate, in genere tenute sullo sfondo
do e appare difficile individuare il momento e le cir- e limitate considerazioni sono dedicate alle comples-
costanze in cui l’economia italiana ha mancato l’op- se soggettività dei lavoratori che spesso sono appiatti-
portunità di agganciare o consolidare il ruolo di pro- te entro le coordinate fissate dalle organizzazioni sin-
tagonista mondiale. dacali o politiche. La questione appare significativa
D’altra parte, alcune delle carenze evidenziate nei nel momento in cui si sottolineano le storture nella se-
saggi del libro rinviano a quelle che appaiono come lezione politica e si intende dar conto di fenomeni ri-
caratteristiche strutturali dello sviluppo economico correnti nell’Italia industriale, quali l’accentramento
italiano, determinanti anche nei decenni successivi. di proprietà e controllo, la crisi della grande dimen-
Ad esempio, l’incapacità delle imprese a collocarsi sione e lo sviluppo del decentramento, che con altri
nei settori tecnologici di frontiera (p. 42, 44), richia- rinviano alle condizioni generali del mondo del lavo-
ma l’inadeguatezza, a tutt’oggi insuperata, a investire ro e ai rapporti tra i lavoratori e le imprese.
in ricerca e sviluppo e a riconoscere le professionalità Il saggio di Sergio Bologna configura una lettu-
impiegate, mentre la necessità di raggiungere deter- ra, diversa dalle altre, che connette l’avvio del de-
minate economie di scala ha spesso incontrato dei li- clino dell’industria italiana alla fase in cui i vantag-
miti nella insofferenza per la grande dimensione pro- gi dell’offerta “illimitata” di lavoro vengono meno.
duttiva, il rapporto con i manager e con la forza lavo- Quindi, ai profondi rivolgimenti dell’ordine produtti-
ro. Anche le insufficienze dimostrate dai gruppi no- vo e della società determinati dalla discesa in campo
strani nel penetrare i mercati stranieri risaltano come del movimento operaio organizzato e dall’esplosione
limiti insuperati, caratteristici dei capitalisti naziona- della conflittualità nelle fabbriche, che mettono in cri-
li, che in varie occasioni si sono mostrati più interes- si il governo della produzione e le impostazioni tradi-
sati alla contrattazione di condizioni di quasi mono- zionali di politica economica.
polio sul mercato interno (p. 349). La conflittualità espressa dalle lotte operaie ita-
Molte delle tesi esposte nel volume considerano liane tocca livelli particolarmente elevati, superiori a
l’Italia un caso di modernizzazione bloccata e di svi- quelli pure notevoli di altri paesi, e produce un avvi-
luppo senza guida (p. 323), soprattutto per le incapa- cinamento ma non una parificazione tra le condizio-
cità dimostrate dal ceto politico di controllare le ten- ni normative ed economiche dei lavoratori italiani che
sioni economiche e sociali senza frenare lo svilup- restano peggiori di quelle dei loro colleghi di altri pa-
po (p. 337). Non si è potuta intravvedere una politi- esi europei, diretti concorrenti delle imprese italiane.
ca alta, che facendo leva sui successi economici di- Si deve lottare di più per ottenere di meno ed è uno
segnasse i grandi obiettivi della nazione e impostas- degli elementi che spiegano la ‘lunghezza’ dell’au-
se un modo universalistico di fare (p. XIX). È manca- tunno caldo (p. 127). In quegli anni, le tensioni sono
ta una classe dirigente di livello elevato, scrive il cu- esasperate dalle divisioni e dalle forti contrapposizio-
ratore nelle conclusioni, tanto più necessaria a fron- ni che interessano la società e il sistema politico ita-
te delle carenze proprie dell’imprenditoria nostrana e liani, penetrano fin nel cuore dello stato, contribuen-
a un’economia riluttante a investire e rinnovare, una do alla distorsione prospettica che riduce il conflitto
élite politica capace di dettare gli obiettivi, indicare sindacale a una questione di ordine pubblico (p. 116).
il cammino e di intermediare con il fare della socie- Poteva quel lungo conflitto costituire l’occasione
tà (p. 353). per mettere in campo un nuovo sistema di relazioni
L’unità nazionale, evocata più volte nei momen- industriali ? Forse non lo voleva nessuno, scrive Ser-
ti cruciali del secondo Novecento, e richiamata nel gio Bologna (p. 124), non il sindacato, non il padro-
libro, presume il superamento delle differenze e dei nato, né la politica. Non vuol dire che non ci siano
conflitti esistenti nei posti di lavoro e nella società, stati dei riconoscimenti reciproci e degli accordi tra
configurando una universalità naturale che, all’oppo- le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e
sto, rappresenta la mancanza costitutiva di ogni eco- le controparti imprenditoriali, in particolare delle im-
nomia capitalista. Non pare eccessivo chiedersi quale prese private, che sfociavano in importanti intese di
unità di intenti e d’azione può conseguire dall’impo- carattere nazionale come il patto tra Agnelli e Lama
sizione di un rapporto di subordinazione sostanzial- del 1975 sul punto unico di contingenza o il cosiddet-
113
to accordo dell’Eur, tre anni dopo. Il processo di isti- lia, la quota del reddito da lavoro dipendente sul Pil
tuzionalizzazione degli organismi sindacali e il pro- scende dal 50,6 al 40,6 per cento (Gallino, 2006, p.
gressivo isolamento dei lavoratori, tra l’altro, rende- 35) e nel corso degli anni Novanta fa la sua ricompar-
vano faticoso il ruolo dei delegati di linea che spes- sa nelle rilevazioni statistiche la categoria dei lavora-
so lasciarono l’impegno, non raramente anche la fab- tori poveri, che sfiorano il 15 per cento nel comples-
brica. so dei lavoratori dipendenti. D’altra parte, nello stes-
Nel corso degli anni Settanta, le imprese avviaro- so decennio, le retribuzioni reali crescono appena un
no la ristrutturazione interna per ridurre il monte sa- quarto dell’aumento registrato in media in paesi della
lari, accrescere la mobilità dei lavoratori e la produt- Ue quali Francia, Germania o Gran Bretagna.
tività del lavoro e intrapresero la pratica del decentra-
mento, trasferendo all’esterno tutti i processi che tec- Graziano Merotto
nicamente potevano essere resi autonomi, in partico-
lare le fasi intermedie tra quelle dei reparti a monte e •
i montaggi finali. Le trasformazioni intese a ridurre il
potere dei lavoratori attraverso una nuova manovra di Approdo mancato: espressione ad effetto, conia-
precarizzazione della forza lavoro, modificavano pro- ta da Mario Pirani, un brillante giornalista con lun-
fondamente la struttura dell’economia italiana e del ga esperienza delle cose economiche, di cui è faci-
mercato del lavoro, con il crescente impiego di don- le innamorarsi e che sembra trovare conferme ex post
ne, giovani e figure delle fasce marginali. Il costo del nel progressivo avvitarsi su se stessa dell’economia
lavoro veniva ridotto per un ritorno di forme di lavoro di un paese che ha smarrito la fiducia nelle possibili-
irregolare e precario, che poneva termine al ciclo del- tà di una solida ripresa e guarda con timore al futuro.
la regolarizzazione dei rapporti lavorativi iniziata ne- In questo senso trovo più attuale il titolo di un vecchio
gli anni Sessanta. libro di Alberto Arbasino, Un paese senza. Senza Sta-
A rendere ‘turbolenti’ gli anni Settanta (p. 211) to, pensava Arbasino; senza speranze, senza giovani
contribuirono le crisi internazionali che interessarono e di conseguenza senza futuro, aggiungerei oggi. Un
l’Italia e gli altri paesi industriali dell’area Ocse. Alla paese le cui vicende, anche quando le cose sembrano
fine del periodo, i vincoli monetari dello Sme veniva- andare un po’ meglio rispetto agli anni peggiori del-
no adottati e affermati come strumento di limitazione la crisi, ci rimandano comunque una diversità di pas-
della sovranità politica nazionale, la via per una svol- so rispetto a quelli con i quali abbiamo sempre avuto
ta radicale delle politiche economiche italiane e per la l’ambizione di confrontarci, come del resto attestano
chiusura alle domande che provenivano dalla società. i più recenti dati sulla crescita che vedono l’Italia re-
La politica valutaria come politica industriale, mentre golarmente staccata di un punto di Pil dalla media dei
l’occupazione passava in seconda linea. paesi dell’eurozona.
La svolta degli anni successivi, l’introduzione del- Gli autori, quattordici per la precisione, di questo
la politica dei redditi, con il protocollo Scotti del 1983 denso volume curato da Franco Amatori si interroga-
e il blocco della scala mobile dell’anno dopo, segna- no appunto sulle ragioni profonde di questa situazio-
rono la conclusione definitiva del lungo ciclo aperto ne e lo fanno partendo dall’ipotesi che sarebbe sta-
dall’autunno caldo. La crescita economica si arresta- to possibile un approdo differente solo che... nel cor-
va tra il 1980 e il 1983 e riprendeva a ritmo sostenu- so degli anni Sessanta si fosse imboccata una stra-
to nel resto del decennio. Ma nel corso degli anni Ot- da diversa. Una ipotesi ripresa nel contributo di Mar-
tanta, si palesavano tutti i guasti della politica dei tas- co Magnani, posto non a caso in apertura del volu-
si elevati e numerosi fattori sia reali sia monetari con- me. Ma era davvero così? Alla fine lo stesso curato-
tribuivano a rendere sempre più fragile la posizione re arriverà a dubitarne. Ma non anticipiamo. La do-
italiana. manda originaria, diversamente declinata ha avuto in
I risultati complessivi dell’economia italiana negli anni recenti ampia circolazione. Mi vengono in men-
anni Settanta sono stati definiti sorprendentemente te i titoli di alcuni volumi usciti nell’ultimo decennio.
buoni (Toniolo, 2013). Nell’arco dell’intero decennio Mi sembrano tutti indicativi. Andando a memoria ri-
il Pil cresce a un tasso del tutto rispettabile del 3,4 per cordo i lavori di Michele Salvati (Occasioni manca-
cento l’anno, anche se il 1975 segna il primo anno di te. Economia e politica in Italia dagli anni Sessanta
recessione dalla fine della guerra. Fino alla metà degli a oggi, 2000), Guido Crainz (Il paese mancato. Dal
anni Novanta, le grandezze macro indicano che l’eco- miracolo economico agli anni ottanta, 2003), Gian-
nomia italiana continua a convergere verso le princi- franco Nardozzi (Miracolo e declino. L’Italia tra con-
pali economie. Il Pil pro capite, assunto come indica- correnza e protezione, 2004), Massimo Pivato (Il mi-
tore della produttività, aumenta a una media del 2,3 racolo scippato. Le quattro occasioni sprecate dal-
per cento annuo, tra il 1973 e il 1992, passando dal 65 la scienza italiana negli anni Sessanta, 2010), Giu-
al 76 per cento di quello degli Stati Uniti e raggiun- liano Amato e Andrea Graziosi (Grandi illusioni. Ra-
gendo quello della Germania. gionando sull’Italia, 2013). Al fondo pare di intrave-
Se il Pil è cresciuto, sono aumentati i profitti e le dere l’idea di uno sviluppo in larga parte dovuto a
rendite, non certo i salari. Tra il 1972 e il 2000, in Ita- circostanze fortunose e irripetibili, legate allo scena-
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rio internazionale. Aver mancato l’approdo, dirò poi Il fallimento di progetti industriali alla frontiera
il senso di questa espressione, in fondo appare coe- tecnologica, ovvero la liquidazione dell’elettronica
rente con un percorso di sviluppo di indubbio succes- italiana dopo i pionieristici avvii con la cessione del-
so se rapportato alle condizione di partenza ma sem- la divisione elettronica Olivetti alla General Electric,
pre vissuto come provvisorio e sul punto di svaporare. la messa in mora dell’ambizioso disegno di una rete
Un sentimento che traspare plasticamente nel titolo di di centrali nucleari, i fallimenti della chimica (Mario
due contributi apparsi a dieci anni di distanza, mentre Perugini).
nel frattempo il declino del paese si era fatto eviden- L’occasione mancata della nazionalizzazione elet-
te, tanto che nel caso del secondo libro il punto di do- trica che ci si era illusi potesse essere una leva di svi-
manda era venuto meno: Pierluigi Ciocca, Ricchi per luppo per un settore in promettente crescita come
sempre? Una storia economica d’Italia (2007), Paolo quello chimico (Marina Comei). La scelta di Guido
Di Martino e Michelangelo Vasta, Ricchi per caso. La Carli, governatore della Banca d’Italia, di indenniz-
parabola dello sviluppo economico italiano (2017). zare le società ex elettriche e non i loro azionisti nella
Se ne ricava insomma l’impressione che quanto più speranza si potesse ripetere quanto avvenuto a inizio
incerta appare la realtà dell’economia italiana e in- Novecento quando le società ferroviarie nazionaliz-
combente lo spettro di un irreversibile declino, tanto zate investirono i capitali “soprattutto nell’emergente
più si torni a guardare agli anni del “miracolo”, una industria elettrica” si rivelò fallimentare. La fusione
stagione felice in cui il paese pareva aver risolto mol- tra la Edison e la Montecatini generò un colosso in-
ti dei suoi antichi problemi. Oggi sappiamo che que- dustriale acefalo, dissipando enormi risorse e finendo
sto era vero solo in parte. per aprire una stagione di intrecci tra pubblico e pri-
Di approdo mancato in realtà Franco Amatori ave- vato che arricchì più le cronache giudiziarie che il pa-
va cominciato a parlare fin dal lontano 1999 intitolan- ese. Le cose non andarono meglio neppure alle altre
do così uno dei capitoli del volume scritto insieme ad società elettriche.
Andrea Colli, Impresa e industria in Italia dall’Uni- Il permanere di assetti proprietari e forme di go-
tà ad oggi. Storico dai forti convincimenti (Stubborn vernance delle imprese inadeguate a guidare la for-
Chandlerian, come egli stesso si è definito), ha conti- mazione di un robusto nucleo di grandi imprese in
nuato ad arrovellarsi attorno a quella che gli appariva grado di reggere la concorrenza internazionale e di
una delle questioni di fondo della recente storia eco- competere sui mercati internazionali (Andrea Colli).
nomica del paese. Lo ha fatto attraverso una produ- Infine, ultimo dei fattori che hanno frenato un pie-
zione scientifica che negli anni si è caratterizzata per no approdo alla modernità industriale, l’incapacità di
la capacità di indagare la storia di impresa, i suoi at- costruire forme di regolazione del conflitto sindaca-
tori, imprenditori e manager, il rapporto tra le impre- le in grado di rispondere alle richieste di maggiori re-
se e la politica e di farlo coinvolgendo schiere di stu- tribuzioni, di spazi di libertà e di migliori servizi den-
diosi in iniziative collettive di ampio respiro dal Di- tro e fuori dalle mura delle fabbriche in un quadro
zionario degli imprenditori italiani, rimasto incom- di compatibilità economiche. Una prospettiva che si
piuto per la miopia dell’Istituto dell’Enciclopedia ita- scontra da un parte con il radicalismo di chi, ritenen-
liana, a una Storia dell’Iri in sei volumi e ora a questo do il salario una variabile indipendente, come allo-
Annale della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, la ra si diceva, rifiutava ogni ipotesi di una politica dei
cui armatura aveva delineato giusto dieci anni fa nel redditi, dall’altra con l’ottusità di molta parte di un
saggio Grande e piccola impresa nella storia dell’in- ceto imprenditoriale che non mostrava di compren-
dustria italiana. A conferma di una mancata maturi- dere che non era pensabile continuare a gestire le re-
tà del sistema economico e dell’incapacità di com- lazioni industriali come se fossimo ancora negli anni
piere quel salto che l’avrebbe allineata ai paesi come cinquanta. Su questo punto si registra una evidente di-
appunto il Giappone (paese con il quale l’Italia, nel- versità di vedute tra l’impostazione del curatore, che
la radicale diversità, condivide alcuni non secondari vede nella deriva estremista di molti delegati sinda-
elementi nel processo di industrializzazione) Amatori cali il freno a una normalizzazione delle relazioni in-
individuava allora cinque passaggi. Li richiamo per- dustriali in linea con altri paesi europei, e Sergio Bo-
ché si ritroveranno nell’Annale, sia pure declinati in logna che di tale snodo propone nell’Annale una di-
una diversa gerarchia. versa lettura, esaltando proprio la spontaneità e la ca-
La degenerazione dello Stato imprenditore a causa pacità di imporre parole d’ordine radicali (egualitari-
del prevalere delle logiche politiche rispetto a quelle smo) e forme di lotta destinate poi ad estendersi a set-
del profitto, del criterio dell’appartenenza partitica in- tori del mondo impiegatizio e della pubblica ammi-
vece del merito nella scelta dei manager a cui affidare nistrazione. Una situazione a cui gli imprenditori ri-
la guida delle maggiori imprese pubbliche (Luciano sponderanno con il decentramento, la flessibilità, una
Segreto). Nella “fase di globalizzazione neoliberale”, svalorizzazione del lavoro e il ricorso alla cassa inte-
in cui il capitalismo è entrato dopo i trent’anni glorio- grazione, ammortizzatore sociale a carico della fisca-
si del dopoguerra, tutto questo avrebbe portato alla li- lità generale usata, consenziente governo e sindacati,
quidazione dell’impresa pubblica, uno dei driver di come “arma di pacificazione di massa” nelle fase di
quella grande stagione di sviluppo (Fabio Lavista). più acuta ristrutturazione degli impianti.
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L’Annale affronta molti altri nodi di una transizio- lato ne evidenzia l’onestà intellettuale e la capacità di
ne che non ha trovato l’approdo sperato, pur consen- mettere in discussione i propri convincimenti, dall’al-
tendo al paese di raggiungere una moderna struttura tro però non può essere la sola risposta a un proble-
dei consumi (Paolo Capuzzo) e di figurare nel ristret- ma reale, e come si è visto avvertito da diversi studio-
to novero degli ammessi al club dei ricchi (Francesco si. La risposta forse può venire solo da uno sguardo
Daveri). Antichi e irrisolti problemi – il Mezzogior- capace di includere prospettive diverse, facendo dia-
no (Leandra D’Antone) e il debito pubblico (Giando- logare la storia con le diverse scienze sociali. Ama-
menico Piluso, fra gli altri –, e l’incapacità di scelte tori ha buon gioco nel dire ai suoi tre commentatori,
coraggiose da parte delle sue classi dirigenti (Pierlui- Alberto Martinelli, Michele Salvati e Giuseppe Ber-
gi Ciocca, Filippo Cavazzuti), frenano le potenzialità ta, che il suo libro è un libro e non il Libro, ossia fuo-
del paese, la cui tenuta economica è oggi affidata a un ri di metafora che non si può pretendere di trovarvi ri-
ristretto nucleo di medie imprese fortemente interna- sposta a tutto. Ciò detto credo che un’attenzione più
zionalizzate e alla resilienza dei distretti e della pic- marcata al contesto internazionale avrebbe aiutato a
cola impresa (Gianfranco Viesti). rendere più chiari i contorni del problema. Due que-
Dopo aver letto il volume è inevitabile chiedersi stioni importanti, naturalmente ben presenti agli au-
se la domanda da cui la ricerca era partita ha trovato tori del volume e talvolta evocate in alcuni dei saggi,
una risposta. Del resto lo stesso curatore, che, come non mi sembra abbiano trovato lo spazio che avreb-
ho detto, si arrovella attorno al problema del manca- bero meritato nell’orditura del volume. Mi riferisco
to approdo da molti anni, alla fine trova che vi sia una in particolare alla chiusura del ciclo fordista (sined-
correlazione stringente tra razionale e reale, ovvero doche dell’industrialismo novecentesco), che è feno-
che l’Italia sia arrivata dove poteva ragionevolmen- meno che ha interessato tutti i paesi industrializzati,
te arrivare. La citazione di una battuta, tra il cinico e con effetti diversi in relazione alla diversa capacità di
lo scettico, attribuita a Donato Menichella, cheste so’ innovazione, di ricezione delle innovazioni e di posi-
i carte e so’ cheste da iogà, sembra appunto indica- zionamento all’interno delle catene del valore. Effet-
re che non esistevano alternative per un paese come ti diversi che hanno però un elemento in comune nel-
il nostro, con la sua storia, i suoi caratteri, fortemen- la deindustrializzazione di estesi territori, dalla Rust
te esposto al variare degli scenari geopolitici interna- Belt americana al nord dell’Inghilterra, dalle Asturie
zionali, con classi dirigenti incapaci di grandi progetti alla Ruhr e ai paesi dell’Europa dell’Est. Io credo che
(fatte salve luminose eccezioni puntualmente richia- una parte del mancato approdo abbia qualche relazio-
mate nelle conclusioni di Amatori) e più a loro agio ne con questo fenomeno a sua volta legato, non mec-
con la dimensione domestica, e dimensioni di impre- canicamente, allo spostamento del baricentro produt-
sa medie e piccole, anche quando fortemente proiet- tivo verso paesi come la Cina e in generale l’Oriente.
tate sui mercati internazionali. Un destino che sem- Sono questioni che ritengo avrebbero meritato mag-
bra rispecchiarsi, limitandoci al settore manifatturie- giore attenzione nel volume. Ma un libro è un libro...
ro, nella cessione di pezzi importanti del nostro appa- E questo ritengo possa essere un punto di riferimento
rato produttivo ad acquirenti stranieri nei diversi set- per studi ulteriori, cosa di cui va dato merito al cura-
tori, dal lusso ai trasporti, dalla chimica alla meccani- tore e a quanti lo hanno affiancato nell’impresa.
ca, dall’alimentare al settore dei cementi.
La conclusione a cui approda Amatori se da un Giorgio Bigatti

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