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Condizioni che provocano il rimodellamento del cuore e ne causano atrofia o iper-trofia.

A seconda dei casi


il rimodellamento può essere normale o patologico. Il ri-modellamento patologico si associa alla tendenza
allo scompenso, alla dilatazione ventricolare, alla disfun-zione sistolica e a modifi-cazioni elettrofisiologiche
che provocano aritmie ventricolari maligne.

Limiti dell’atrofia e della ipertrofia cardiaca: il cuore può andare incontro ad au-mento o riduzione
considere-vole del volume, con un ambito dinamico del 100%

L’ipertrofia di un organo è caratterizzata da un aumento delle dimensioni delle cellule. Nell’accrescimento


del cuore provocato dall’esercizio o dalla gravidanza, la struttura e la funzione sono normali e non vi è
associazione con l’insufficienza cardiaca.

Nell’ipertrofia che si verifica nell’ipertensione, nell’obesità, nelle malattie valvolari, dopo un infarto o in
seguito ad alterazioni geniche delle proteine contrattili, vi sono alla base alterazioni metaboliche, strutturali
e funzionali: il metabolismo vira verso la glicolisi (nor-malmente prevale il consumo di acidi grassi), i
sarcomeri si disor-ganizzano, le correnti di calcio sono alterate, si riduce la contrattilità, si perdono miociti
che vengono sostituiti da fibroblasti, compare disfunzione sistolica e/o diastolica e un “rimodellamento
elettrico” (es. alterazioni dell’espressione e/o della funzione delle pompe ioniche). Tutto ciò rappresenta
una serie di condizioni derivanti dalla plasticità miocardica.

L’accrescimento del cuore segue, classicamente, tre modelli morfologici:

Rimodellamento concentrico: aumento dello spessore (relativo) delle pareti senza aumento della massa;

Ipertrofia concentrica: aumento dello spessore (relativo) e della massa con scarso aumento di volume;
aggiunta di sarcomeri in parallelo e accrescimento laterale delle cellule: causa frequente l’ipertensione
arteriosa e l’esercizio isometrico;

Ipertrofia eccentrica: aumento della massa e del volume delle camere; lo spessore (relativo) può essere
normale, aumentato o diminuito: cause esercizio isotonico, sovraccarico di volume, perdita di tessuto
funzionante per infarto; aggiunta di sarcomeri in serie e allungamento dei miocardiociti.

Fra gli atleti, quelli che hanno il cuore più grande sono i rematori, i ciclisti e gli sciatori di fondo; lo spessore
di parete in genere non supera 1,3 cm (limite superiore per sedentari 1,1 cm). Gli allenamenti stagionali
provocano variazioni stagionali delle dimensioni del cuore.

Al contrario delle modificazioni fisiologiche del cuore, l’ipertrofia patologica è stimolata da attivazione
neuroumorale, da un sovraccarico emodinamico cronico o altri fattori di stress per il cuore. Anche il
rimodellamento patologico può essere intenso e rapido: la sintesi di MHC (myosin heavy chain) aumenta
del 35% poche ore dopo l’esposizione ad un sovraccarico; l’iperespressione di un particolare gene (Akt1) fa
aumentare la massa cardiaca del 60% in sole 2 settimane.

Nell’ipertrofia cardiaca, le dimensioni dei miocardiociti aumentano e i sarcomeri sono fortemente


organizzati (grosse banda al microscopio ottico). L’ipertrofia da esercizio tipicamente non comporta anche
un aumento del collagene miocardico. Confrontando l’ipertrofia da esercizio con quella indotta
dall’ipertensione i recettori dell’ormone tiroideo e le diverse isoforme della catena pesante della miosina
sono regolati in maniera opposta. Le isoforme della miosina sono diverse, e questo può contribuire a
ridurre la contrattilità nelle forme patologiche. In ratti sacrificati dopo un allenamento fisico i markers
dell’ipertrofia (geni che caratterizzano il fenotipo ipertrofico) sono inibiti.

Gli stimoli di pressione e volume (aumentati) inducono un’espressione diversa di beta-miosina, actina alfa
scheletrica e ATPasi del Ca2+ del reticolo sarcoplasmico, anche con simili livelli di ipertrofia. Si è inoltre
dimostrato che quello che determina il fenotipo ipertrofico è la natura dello stimolo, non il fatto che sia
continuo o intermittente.
Visto che l’accrescimento del cuore ad un certo punto si arresta anche se gli stimoli persistono e che
regredisce quando gli stimoli vengono rimossi, vi devono essere anche dei meccanismi che si oppongono
all’aumento di volume delle cellule. È improbabile che si tratti semplicemente della rimozione degli stimoli.
Nel muscolo scheletrico e cardiaco l’attivazione della cascata di segnali che attivano la crescita è
accompagnata dall’inibizione di vie che promuovono la proteolisi e il contrario accade nelle condizioni che
portano all’atrofia. La plasticità dei miocardiociti è spesso accompagnata dalla reinduzione di un
“programma genetico fetale”, nel quale l’espressione genica assomiglia a quella che caratterizza lo sviluppo
embrionale.

Quando il cuore si scompensa, le pareti ventricolari si assottigliano a causa di una combinazione di


proteolisi e morte cellulare. Si era pensato che l’irrorazione sanguigna fosse insufficiente per il miocardio
iper-trofico e quindi si sviluppassero condizioni di ischemia, ma questa ipo-tesi non è stata confermata da
tutti gli studi. Si pensa anche alla alterazione delle proteine contrattili, rimodellamento della matrice
extracellulare e fibrosi e variazioni dell’attivazione dei recettori beta adrenergici. Più recentemente si è
parlato di autofagia, un fatto che riguarda il riciclo delle proteine e degli organelli intracellulari, nella
risposta dei miocardiociti allo stress e nella transizione verso l’insufficienza.

Diminuzioni della massa cardiaca a livelli ben inferiori al normale si verificano in condizioni di assenza di
gravità, nell’allettamento prolungato ed in altre condizioni di scarico ventricolare. In uno studio su soggetti
sani allettati per 12 settimane la massa del ventricolo sinistro diminuiva del 15%; in un altro studio, che
probabilmente ha raggiunto il limite minimo di atrofia cardiaca, si è documentata una riduzione del 25%
della massa in pazienti con lesioni spinali che non potevano muoversi

Lo stress meccanico induce segnali paracrini e autocrini regolando la sintesi e la secrezioni di potenti fattori
di crescita, fra cui il fattore insulino simile 1 (IGF 1), angiotensina II ed endotelina 1, sia in colture cellulari,
sia in pazienti con stenosi aortica. Lo stress meccanico stimola direttamente i recettori per l’angiotensina II,
senza che vi sia un aumento della stessa.

Risposte cellulari alle alterazioni del carico.

Una complessa sequenza di risposte allo stress neuroumorale e biochimico termina nella regolazione di
geni dell’ipertrofia e della crescita cellulare

Segnali extracellulari che scatenano risposte intracellulari nel miocardiocita. Questi segnali attivano e
sbloccano la trascrizione di geni che presiedono alla crescita cellulare e al rimodellamento. Nonostante la
complessità, vi sono dei nodi comuni, sulla superficie cellulare, nel citoplasma e nel nucleo, che potrebbero
essere oggetto di interventi terapeutici

L’ipertensione è il più importante fattore di rischio di insufficienza cardiaca, a causa del ruolo fondamentale
dell’accrescimento miocardico ipertrofico nello sviluppo dell’insufficienza cardiaca. Lo schema prevalente
della malattia cardiaca ipertensiva vede prima l’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, seguita da
dilatazione ventricolare e insufficienza contrattile. Vi è una relazione fra l’aumento quantitativo della massa
cardiaca e il manifestarsi di situazioni cliniche negative. Oltre alla massa, è importante il tipo di
rimodellamento cardiaco: con il rimodellamento concentrico compare una lieve disfunzione sistolica,
mentre il malfunzionamento è più rilevante nell’ipertrofia eccentrica.

L’ipertrofia dei miocardiociti è la risposta cellulare allo stress bio-meccanico, sia esso intrinseco come
nell’ipertensione e nei vizi valvolari, o estrinseco come nella cardiomiopatia ipertrofica familiare.
L’ipertrofia cardiaca ha l’effetto di normalizzare l’aumento della tensione di parete eliminando lo stimolo
iniziale. Gli aspetti caratteristici sono un aumento delle dimensioni dei miocardiociti, un aumento della
sintesi proteica e una migliore organizzazione dei sarcomeri. Queste modificazioni del fenotipo cellulare
sono precedute e accompagnate dalla reintroduzione del cosiddetto programma genetico fetale.
L’ipertrofia in risposta a segnali patologici è di tipo adattativo per mantenere la gettata cardiaca a fronte
delle condizioni alterate, ma alla lunga si associa ad un aumento significativo del rischio di morte
improvvisa e ad una progressione verso l’insufficienza cardiaca.

Il processo ipertrofico non è completamente benefico. Si solleva il problema se l’ipertrofia da stress


miocardico sia un bene oppure se sia di tipo adattativo soltanto in principio ma porti alla perdita funzionale
del cuore nel lungo periodo. Altrettanto importante è la differenza fra ipertrofia fisiologica, quella che
accompagna lo sviluppo post natale e quella indotta dall’esercizio, e l’ipertrofia patologica. Interventi per
favorire la prima ed inibire la seconda potrebbero avere un ovvio valore terapeutico.

VIE MOLECOLARI DELL’IPERTROFIA MIOCARDICA

Il sistema calcineurina-NFAT. La calcineurina è una fosfatasi serina-treonina, espressa in numerosi tessuti e


composta da una subunità catalitica A e una regolatrice B. La calcineurina defosforila fattori di trascrizione
della famiglia dei NFAT (nuclear factor of activated T cells), provocando la traslocazione del NFAT nei nuclei
e l’attivazione dei geni della risposta immunitaria. Sembra accertato che questa via stia alla base anche
dell’ipertrofia cardiaca. Il ruolo della calcineurina nell’ipertrofia dovuta alle cause più comuni sembra
accertato. Inoltre, questa via si intreccia con altri importanti segnali che provocano ipertrofia, come quelli
controllati dalla glicogeno sintetasi e dal MAPK.

Il fatto che la calcineurina sia coinvolta in molti, se non tutti, i processi ipertrofici patologici del cuore ne fa
un ovvio bersaglio terapeutico, ma non è chiaro se sia necessario un livello minimo di calcineurina per
evitare l’atrofia, dato che essa è implicata anche nell’ipertrofia fisiologica da esercizio.

PI3K/Akt/GSK-3-Dependent Signaling. PI3Ks = fosfoinositide 3 chinasi. È una famiglia di enzimi che attivano
chinasi proteiche e lipidiche e sono importanti nell’accrescimento, nella sopravvivenza e nella
proliferazione delle cellule.
Il PI3K regola la risposta ipertrofica dei miociti piuttosto che la loro proliferazione. Non ha effetti negativi
sulla contrattilità. Numerosi studi basati su ratti transgenici che esprimono in eccesso o in difetto questi
enzimi. Uno dei bersagli principali di PI3K è la chinasi serina/treonina Akt, che è attivata attraverso vari
stadi di fosforilazione. L’ipertrofia regolata da questi fattori è mediata da GSK-3 e dal “mammalian target of
rapamycine (mTor). La rapamicina è un immunosoppressore e quando si lega a mTor blocca la sintesi
proteica. Nell’insieme, risulta che GSK-3 integra i segnali di diverse vie ipertrofiche e dev’essere disattivata
per la comparsa dell’ipertrofia.

Controllo trascrizionale dell’ipertrofia cardiaca mediante MEF2/HDAC. Molte molecole calcio dipendenti,
comprese calcineurina, protein chinasi calcio/calmodulina dipendente (CaMK), e MAPKs bastano per
produrre ipertrofia e riprogrammare l’espressione genica. Dato che vie diverse evocano simili risposte
molecolari, è probabile che le vie ipertrofiche convergano su punti finali comuni. Un candidato probabile è
MEF2 (myocyte enhancer factor-2), che rimane a livelli basali di attività trascrizionale nel miocardio adulto
ma viene attivato su stimolazione. L’attività MEF2 è controllata dall’associazione diretta con un’istone
deacetilasi (HDAC). Stimoli ipertrofici (sovraccarico di pressione) e l’attivazione della calcineurina attivano
HDAC, che regola MEF2. Si può concludere che molti, se non tutti, gli stimoli ipertrofici convergono sul
nucleo e che le HDAC insieme a MEF2 e forse altri fattori di trascrizione che interagiscono con MEF2, come
GATA e NFAT, costituiscono gli integratori di questi segnali.

Segnali ipertrofici via G Protein–Coupled Receptors (GPCRs) giocano un ruolo importante nella regolazione
della funzione cardiaca e negli adattamenti ai carichi emodinamici. I più importanti GPCRs sono i recettori
adrenergici e muscarinici. Questi recettori a sette eliche si accoppiano a tre classi principali di proteine
eterotrimetriche che legano GTP, che trasducono il segnale agonista o antagonista ad effettori intracellulari
(enzimi e canali ionici). Le subunità dei recettori GTP, una volta attivate, si dissociano e attivano segnali
intracellulari indipendenti.

I recettori di AngII, ET1, alfa-adrenergici si accoppiano all’unità Gq/11 (che a sua volta attiva la fosfolipasi C) e
sono tutti sufficienti a provocare ipertrofia.

Il recettore adrenergico più abbondante nel cuore è il beta-1, accoppiato a Gs, che attiva l’adenilciclasi,
provocando i noti effetti sul cuore (cronotropo, inotropo, lusitropo). La PKA (attivata dalla catena
precedente) media le conseguenze negative dell’aumento cronico della stimolazione beta adrenergica,
mentre l’adenilciclasi di per se può avere altri effetti protettivi. È stato recentemente dimostrato che il trat-
tamento con beta bloccanti nell’insufficienza cardiaca congestizia è accompagnato anche da un salvataggio
del fenotipo dei miocardiociti, con sottoregolazione dei geni dell’ipertrofia e sovraregolazione di geni che
erano stati inibiti.

Piccole proteine G costituiscono un passaggio critico fra i recettori di membrana e diverse vie di
segnalazione. Vi sono molti membri, che regolano diverse funzioni cellulari, fra cui la crescita, la divisione e
la sopravvivenza, l’organizzazione del citoscheletro, i traffici trans-mem-brana e la motilità cellulare. Hanno
una massa molecolare simile (21 kDa) e si attivano legando il GTP che si idrolizza a GDP e viene disattivato.

La via MAPK. È un legame importante fra gli stimoli esterni e il nucleo mediante fosforilazione e regolazione
di molteplici fattori di trascrizione. Le MAPKs si dividono in 3 sottofamiglie principali: extracellularly
responsive kinases (ERKs), c-Jun N-terminal kinases (JNKs), e p38 MAPKs. Gli ultimi due gruppi sono anche
chiamati MAPKs che rispondono agli stress perché sono attivati non solo da stimoli anabolici e dagli agonisti
delle GPCRs, ma anche da stress patologici come l’ischemia e gli agenti citotossici.
PKC e ipertrofia cardiaca: è una chinasi serina/treonina ubiquitaria attivata da recettori accoppiati a
proteine G. Varie isoforme sono coinvolte nella patogenesi dell’ipertrofia. L’attività PKC dipende dalla
dislocazione spaziale e dall’associazione con proteine del citoscheletro (RACK e AKAPs).

Gp130/STAT3 Signaling: è un recettore promiscuo per diverse citochine fra cui interleukin 6/11, leukemia
inhibitory factor (LIF), e cardiotrophin-1 (CT-1). CT-1 induce ipertrofia in vitro; ANG II aumenta LIF, CT-1 e IL-
6.

Metabolismo lipidico e ipertrofia cardiaca. La generazione di combustibile nel cuore adulto si basa
sull’ossidazione mitocondriale di acidi grassi a catena lunga per produrre ATP. L’ipertrofia invece si associa
alla soppressione dell’ossidazione degli acidi grassi e alla deviazione verso il metabolismo glucidico, che
caratterizza il cuore fetale. Questa deviazione si può interpretare come un adattamento perché diminuisce
il consumo di ossigeno per mole di ATP generata. Non è però chiaro quali conseguenze metaboliche, come
l’accumulo di acidi grassi nel cuore, comporti la soppressione cronica del metabolismo lipidico cardiaco.

I geni dell’ossidazione degli acidi grassi sono in primo luogo regolati da una famiglia di fattori di trascrizione
chiamata peroxisome proliferator-activated receptors (PPARs). I meccanismi della modulazione dipendente
da PPAR dell’ipertrofia cardiaca non sono chiari; si indicano due possibilità: a) le alterazioni del
metabolismo lipidico nel cuore sono un epifenomeno secondario alle cause della crescita del miocardio; b)
le anomalie del metabolismo lipidico precedono e in qualche modo causano l’ipertrofia. La seconda ipotesi
è sostenuta dall’osservazione che molte alterazioni ereditarie dell’ossidazione degli acidi grassi si
accompagnano ad ipertrofia del ventricolo sinistro.

ALTRE VIA DELL’IPERTROFIA CARDIACA

Il segnale MMP/TNF. Le MMPs sono enzimi della matrice extracellulare e aumentano nell’ipertrofia post
infarto; l’aumento della loro attività contribuisce alla dilatazione progressiva del cuore scompensato,
mentre l’inibizione farmacologica migliora l’ipertrofia sperimentale, compresa la funzione contrattile.
CHAMP and Cardiomyocyte Hypertrophy. Si tratta di un’elicasi dell’RNA specifica per il cuore, attivata da
MEF2. Contribuisce all’ipertrofia.

Inibizione dello scambiatore Na+/H+ (NHE). La sua attività aumenta in numerosi modelli di ipertrofia
cardiaca e comporta un aumento della concentrazione intracellulare del sodio e, di conseguenza, del calcio
perché rallenta lo scambiatorie Na+/Ca+. L’aumento del calcio intracellulare stimola molte cascate che
producono ipertrofia come calcineurin-, CaMK-, PKC- and MAPK-dependent pathways. Quindi l’inibizione di
NHE può migliorare molte forme di ipertrofia.

CARDIAC HYPERTROPHY: COMPENSATORY RESPONSE VERSUS MALADAPTATION

Is Cardiac Hypertrophy Good, Bad, or Ugly?

Si ritiene in genere che l’ipertrofia cardiaca possa essere adattativa in alcune situazioni, in particolare negli
atleti. È però meno chiaro se la risposta ipertrofica a situazioni patologiche croniche, come l’iper-tensione o
l’infarto, inizi come risposta compensatoria (che diventa maladattativa solo in seguito) o se questo tipo di
accrescimento del miocardio sia dannoso fin dall’inizio. In questo caso le vie molecolari alla base dei due
tipi di ipertrofia dovrebbero essere diverse e in effetti ci sono differenze sia morfologiche sia a livello
molecolare: l’ipertrofia da esercizio non è accompagnata da accumulo di collagene nel miocardio e in
genere l’aumento dello spessore della parete ventricolare sinistra è di grado modesto. Nel confronto fra
ratti spontaneamente ipertesi e ratti sottoposti ad esercizio, sono diversi alcuni geni ipertrofici come BNP e
ET-1 e l’espressione delle MHCs.
In conclusione, l’ipertrofia buona (esercizio) cattiva (patologica) e pessima (scompensata) sono diverse a
livello molecolare ma non è escluso che alcune vie ipertrofiche partecipino a tutti i tipi di ipertrofia.

INIBIZIONE DELL’IPERTROFIA. Sono stati descritti diversi fattori genetici o esogeni che inibiscono l’ipertrofia:
l’inizio e l’inibizione dell’ipertrofia cardiaca coinvolgono segnali multipli formando una specie di rete che si
integra e modula una quantità di stimoli. Alcuni modelli di topi transgenici attenuano la risposta ipertrofica
al sovraccarico di pressione mantenendo una funzione sistolica normale, mentre modelli diversi sono
ugualmente protetti dall’ipertrofia ma hanno una funzione sistolica depressa e un aumento della mortalità.
Quindi la risposta ipertrofica può essere dissociata dalla regolazione della contrattilità

Molti lavori sostengono che l’inibizione dell’ipertrofia cardiaca patologica possa avere effetti benefici anche
se lo stimolo originale (aumento dello stress di parete) persiste, ma si tratta di osservazioni a breve
termine, mentre è probabile che alla lunga l’inibizione dell’ipertrofia sfoci ugualmente nello scompenso.

Qualunque sia l’efficacia di un intervento antiipertrofico, esso deve essere sostenuto nel tempo e non deve
compromettere la contrattilità. Bisognerà anche associare strategie complementari, modulando il ciclo del
calcio per sostenere la funzione contrattile e inibire le risposte neuroumorali, al fine di trattare con
successo e prevenire lo scompenso cardiaco.

Antiremodeling Effect of Long-Term Exercise Training in Patients With Stable Chronic Heart Failure

Results of the Exercise in Left Ventricular Dysfunction and Chronic Heart Failure (ELVD-CHF) Trial

Pantaleo Giannuzzi, MD; Pier Luigi Temporelli, MD; Ugo Corrà, MD; Luigi Tavazzi, MD;

for the ELVD-CHF Study Group

(Circulation. 2003;108:554-559.)

I volumi telesistolico e telediastolico erano aumentati del 6% e del 7% rispettivamente nel gruppo di
controllo, mentre erano diminuiti del 5% e del 9% nel gruppo allenato, nel quale anche la frazione di
eiezione era aumentata del 16%. Il tempo di esercizio aumentava nel gruppo allenato di 2,1 min (29%), la
capacità di lavoro di 18 W (24%) e il consumo d’ossigeno alla soglia ventilatoria di 2 ml/kg/min (17%).
Frequenza cardiaca, pressione sistolica e il prodotto pressione frequenza non cambiavano nei soggetti di
controllo ma diminuivano significativamente negli allenati.

L’esercizio moderato a lungo termine in pazienti CHF con disfunzione diastolica grave ha un effetto
antirimodellamento documentato da una riduzione modesta ma significativa dei volumi del ventricolo
sinistro e da un miglioramento della frazione di eiezione.

Meccanismi: riduzione della frequenza e della pressione a riposo e a parità di esercizio sottomassimale.
Ridotta produzione di ROS nel muscolo scheletrico. Aumento del flusso coronarico nel cuore sano e intorno
all’infarto; controllo dell’infiammazione

Molecular remodeling of cardiac contractile function

JEANNE JAMES AND JEFFREY ROBBINS

Am. J. Physiol. 273 (Heart Circ. Physiol. 42): H2105–H2118, 1997

Le proteine dell’apparato contrattile determinano e rispecchiano diverse esigenze fisiologiche per ogni tipo
di muscolo. Tutti i muscoli striati hanno un insieme di proteine comuni che sono molto conservate, ma
diverse fibre si caratterizzano per particolari e spesso uniche isoforme proteiche complementari. L’esempio
più tipico è la catena pesante della miosina (MHC), che appunto esiste in diverse isoforme, caratteristiche di
varie fibre muscolari. Esistono isoforme anche della catena leggera della miosina (MLC), dell’actina, del
complesso delle troponine, della proteina C che lega la miosina, della titina, della nebulina e della
tropomiosina.

Nel cuore di mammifero, le diverse isoforme delle proteine contrattili possono essere espresse in risposta a
stimoli esterni ed interni e si ritiene che siano responsabili di diversi aspetti funzionali. Per esempio vi sono
due isoforme di actina alfa (scheletrica e cardiaca), prodotte da geni simili in cromosomi diversi e presenti
entrambe nel cuore. La forma scheletrica è abbondante nel feto ma è sottoregolata nella vita adulta,
quando viene sopraregolata l’actina cardiaca. Una forma di topo geneticamente modificato iperesprime
l’actina scheletrica nel cuore da adulto e ha un cuore ipercontrattile.

La più evidente correlazione fra le proprietà contrattili e le proteine riguarda le MHC: ve ne sono tre
isoforme cardiache (V1, V2, V3), in cui cambia la velocità dell’ATPasi e della contrazione.

Sono stati studiati diversi tipi di topo transgenico per individuare la correlazione fra caratteristiche
funzionali e profilo isomiosinico.

Il resto dell’articolo riguarda le diverse tecniche dell’ingegneria genetica, più che i risultati ottenuti. Si va
dall’ablazione di geni specifici alla trasfettazione di porzioni di DNA anche diversi (es Drosofila) e si
ottengono topi (tutte le ricerche di questo genere sono state effettuate su topi, per ragioni pratiche anche
se sarebbero teoricamente estensibili ad altri animali) che esprimono in quantità aumentata le proteine di
cui si vogliono studiare gli effetti. I pezzetti di DNA sono caricati su virus con i quali si infettano le cellule,
che poi vengono iniettate su topi genitori, la cui prole sarà portatrice della mutazione.

Particolarmente interessante la possibilità di produrre dei topi transgenici nei quali la proteina da studiare
viene attivata in un momento voluto, per es tramite tetraciclina e può anche essere disattivata.

Per molti anni i cardiologi hanno sostenuto la necessità del riposo prolungato per i pazienti con malattia
cardiaca ischemica. Negli ultimi trent’anni, invece, c’è stata una vera rivoluzione e oggi esercizio leggero o
moderato è prescritto non solo per la prevenzione ma anche come trattamento fondamentale della
malattia.

In questa rassegna ci interessiamo del rimodellamento cellulare e molecolare che ha luogo nel cuore in
seguito ad allenamento di endurance. Ci riferiamo in particolare alle crescenti dimostrazioni del potenziale
rigenerativo del cuore adulto, costituito da una riserva endogena di cellule staminali o progenitrici
cardiache.

L’accrescimento del cuore (ipertrofia) è in genere definito come fisiologico (normale) o patologico (cattivo).
L’ipertrofia cardiaca da eser-cizio è il prototipo dell’accrescimento fisiologico e si può grossol-anamente
distinguere in concentrico o eccentrico; la struttura cardiaca è normale e la funzione è normale o
migliorata. L’ipertrofia patologica invece si associa alla perdita di miocardiociti (apoptosi e necrosi),
sostituzione fibrosa, disfunzione cardiaca e aumento del rischio di insufficienza cardiaca e morte
improvvisa.

La struttura miocardica è riformata dall’esercizio attraverso un aumento bilanciato della massa miocardica,
che comprende l’ipertrofia e la neo angiogenesi (cuore d’atleta). Per esempio, 2 ore al giorno di esercizio su
treadmill ad alta intensità (85-90% VO2max) per 5 giorni alla settimana per 8 settimane aumenta del 20-32%
e del 17-23% la massa dei miocardiociti. rispettivamente in topi maschi e femmine.

In genere, gli atleti di endurance (corridori, nuotatori) hanno un aumento di spessore e una notevole
dilatazione del ventricolo sinistro (ipertrofia eccentrica), quelli di resistenza (pesisti, lottatori) un aumento
notevole dello spessore e una modesta dilatazione (ipertrofia concentrica), mentre quelli “combinati”, che
fanno allenamento di resistenza e di endurance (ciclisti, canoisti, rematori) hanno la maggiore ipertrofia.
Nonostante i comprovati effetti dell’allenamento nella riduzione del rischio cardiovascolare, in seguito ad
episodi di esercizio intenso è stato documentato un aumento della troponina cardiaca, che indica danni
miocardici, anche in soggetti sani. Un allenamento di endurance prolungato di alto livello può aumentare il
rischio di aritmie e arresto cardiaco.

Per molto tempo si è considerato il cuore un organo post mitotico, privo di capacità rigenerativa, per cui i
miocardiociti hanno la stessa età del loro proprietario. Questo non vale per il cuore dei neonati e dei
bambini prepuberi: questi cuori giovani hanno una robusta capacità di crescere e di rigenerarsi attraverso la
moltiplicazione delle cellule, l’ipertrofia cellulare e dei vasi. Si può raddoppiare la massa ventricolare nel
neonato in circa una settimana aumentando il postcarico.

Ancora più interessante è il fatto che infarti massivi in soggetti giovani, come quelli che capitano quando
una coronaria ha l’origine sbagliata nell’arteria polmonare, dopo correzione chirurgica, rigenerano un
miocardio normale con segni minimi o assenti di cicatrice.

Negli ultimi dieci anni, fortunatamente, è sorta una nuova era della biologia miocardica e si è fatto spazio il
concetto di un cuore di rimpiazzo nell’adulto. Il cuore adulto contiene una riserva di cellule staminali e
progenitrici cardiache endogene (eCSC). Queste cellule si riconoscono in base ad uno specifico marcatore
(c-kit) e si distinguono da quelle di origine emopoietica (identificate da CD45); hanno le proprietà delle
cellule staminali (clonogeniche, auto rinnovanti e multipotenti) sia in vitro sia in vivo. Nell’uomo queste
cellule sono attivate e indirizzate verso la linea miocardiocitica in risposta ad aumenti del carico. Utilizzando
carbonio radioattivo, un gruppo di ricerca ha dimostrato che almeno metà dei miocardiociti si rigenerano
nel corso della vita.

Nel ratto, abbiamo riscontrato un aumento della proliferazione, del numero e della differenziazione
cardiogenica di eCSC con carichi fisiologici come nuoto o corsa.

Cellule staminali car-diache endogene e for-mazione di nuovi mio-cardiociti. (A) cellule sta-minali cardiache
isolate da cuore di ratto adulto. (B) un piccolo miocar-diocita neoformato (ver-de, freccia; in rosso acti-na
sarcomerica; nucleo in blu). Aumento del nu-mero di cellule staminali cardaiche in animali alle-nati al nuoto

Allenamento di endurance provoca anche adattamenti del letto coronarico, con aumento della
distribuzione di ossigeno, dell’estrazione, del flusso coronarico, del diametro e del numero delle arterie e
miglioramento della funzione endoteliale. I segnali che inducono questi adattamenti sono l’ischemia, fattori
di crescita (VEGF e FGF-2) e forze fisiche ed emodinamiche. Inoltre, l’allenamento modifica il numero e le
caratteristiche di cellule progenitrici dell’endotelio di origine midollare che contribuiscono alla neo
vascolarizzazione. Infine, l’allenamento prolungato migliora la contrattilità dei miocardiociti influendo sul
ciclo del calcio.

Si ritiene comunemente che stimoli e segnali che conducono alla ipertrofia patologica siano specifici: c’è la
riattivazione o sopra-regolazione del programma genico di tipo fetale dei cardiomiociti, che comprende
aumento di ANP, BNP, actina scheletrica, MLC-1 atriale e b-MHC e diminuzione di geni normalmente
espressi nell’adulto, come a-MHC e sarcoplasmic reticulum Ca2+ ATPase (SERCA2a).

Tutto questo non avviene in modelli di ipertrofia fisiologica, nella quale agisce una complessa rete di fattori
di attivazione, compresi GATA4, GATA6, Csx/Nkx2.5, MEF2, c-jun, c-fos, c-myc, nuclear factor k B and NFAT.
La via IGF-1-fosfoinositide 3-chinasi (PI3K) è quella più accreditata per la crescita fisiologica del cuore,
mentre recettori accoppiati a proteine G stanno alla base dell’ipertrofia patologica.

Con iniezioni intracoronariche di IGF-1 e HGF si è riusciti ad attivare le eCSC e a rigenerare miociti e vasi in
una zona infartuata nel maiale, la cui morfologia cardiaca è particolarmente simile a quella dell’uomo. La
rigenerazione ha migliorato la sopravvivenza delle cellule, ha ridotto la fibrosi e ha migliorato i parametri
funzionali.
I miocardiociti sono le cellule principali del cuore e anche se sono solo il 20% della popolazione totale di
cellule cardiache, costituiscono più del 90% della massa del cuore. Pertanto, la maggior parte delle
modificazioni indotte nel cuore dall’allenamento (aerobico) deriva da adattamenti dei miocardiociti e
questa plasticità del sistema è alla base di effetti dipendenti dall’intensità (dell’esercizio).

I miocardiociti rispondono all’esercizio in molti modi, cioè regolando le proprie dimensioni e la contrattilità
e la risposta dipende dall’intensità: maggiore intensità, maggiore adattamento.

La crescita adattativa delle cellule in risposta all’esercizio, chiamata ipertrofia fisiologica, si esprime con un
aumento proporzionale della sezione e della lunghezza delle cellule, e porta ad un aumento del peso e delle
dimensioni dei ventricoli.

Con allenamento ad alta intensità (80-90% VO2max) abbiamo ottenuto una risposta ipertrofica
proporzionale, già dopo poche settimane di esercizio, che raggiunge un limite dopo due mesi. Sono
coinvolti fattori sia trascrizionali sia traslazionali. Queste vie possono avere diversi andamenti temporali e
una diversa importanza biologica.

L’attivazione della via phosphoinositide-3-kinase (PI3K)/protein kinase B (Akt)/mammalian target of


rapamycin (mTOR) è cruciale per l’induzione dell’ipertrofia fisiologica. Tutto questo aumenta la biogenesi e
l’attività dei ribosomi e porta ad un aumento di mRNA e di sintesi proteica. È dimostrato che l’attivazione di
questa via fa la differenza fra l’ipertrofia fisiologica e quella patologica.

Allenamento aerobico di alta intensità (90% VO2max) per periodi prolungati aumenta la contrattilità di
miocardiociti scarichi, con un aumento della frazione di accorciamento del 40-50% e della velocità di
contrazione/rilasciamento del 20-40%. La potenza aumenta fino al 60%. L’effetto dipende dall’intensità
dell’esercizio. Questi miglioramenti sono indipendenti dall’ipertrofia perché la risposta contrattile dipende
da meccanismi subcellulari, come l’idrolisi dell’ATP e la formazione di ponti laterali stimolata dal calcio. La
curva tensione/lunghezza diventa più ripida.

Dato che la gestione del calcio intracellulare controlla la contrazione, non meraviglia che l’allenamento
modifichi soprattutto questa funzione. In effetti, il parallelismo fra le più rapide fasi di salita e di discesa del
transiente di calcio e le fasi della contrazione e del rilasciamento suggerisce che vi sia un legame causale.
Oltre ad accelerare il ciclo del calcio, l’esercizio diminuisce la concentrazione intracellulare di calcio in
diastole, riducendo il rischio di aritmie e la pressione di riempimento. Gli effetti smettono di aumentare
dopo circa due mesi di allenamento (o per saturazione o perché bisognerebbe aumentare l’intensità) e si
invertono in 2-4 settimane dopo che l’allenamento è terminato.

Molti studi dimostrano che l’allenamento aumenta l’mRNA e l’espressione proteica di SERCA2, ma non di
fosfolambano (PLB). Quindi aumenta il rapporto SERCA2/PLB lasciando più attiva la pompa sarcoplasmica
del calcio. Aumenta anche lo stato di fosforilazione e quindi l’attivazione cronica di CaMKII, che mantiene lo
stato di fosforilazione di PLB, che non inibisce più SERCA2. Quindi il calcio sarcoplasmatico viene rimosso
più rapidamente e questo spiega la variazione delle cinetiche descritta prima.

RICHIAMO DELLA FISIOLOGIA:

SERCA2 - è la pompa che trasporta il calcio dal sarcoplasma al reticolo sarcoplasmatico: responsabile della
circolazione di calcio: cisterne terminali > sarcoplasma > (troponina C) > tubuli longitudinali del reticolo SP >
cisterne terminali. La circolazione inizia quando vengono attivati i recettori alla rianodina dalla corrente di
calcio che attraversa la membrana (canali calcio L) durante il potenziale d’azione e termina quando la
cellula si ripolarizza. I SERCA sono particolarmente importanti per la velocità del rilasciamento (effetto
lusitropo)
(fosfo)lambano (PLB) – è una proteina che blocca i SERCA quando è defosforilata e li libera quando è
fosforilata. Per esempio la stimolazione del simpatico aumenta la fosforilazione del PLB

L’esercizio aumenta anche il ciclo intracellulare del calcio, che attiva CaMKII (Ca2+/calmodulin-dependent
kinase II), che contribuisce a mante-nere l’attivazione della sintesi proteica e dell’ipertrofia.

Molti passaggi dell’accoppiamento ec-citazione-contrazione possono essere influenzati dall’esercizio, sia in


condi-zioni normali che patologiche.

Al contrario, non c’è una chiara spiegazione dell’aumento della velocità di salita del calcio sarcoplasmatico
durante l’attivazione. È possi-bile che l’allenamento porti ad un prolunga-mento cronico del potenziale
d’azione e quindi dello stato di eccitamento, almeno in alcune parti del cuore oppure che aumenti la sensi-
bilità dei recettori alla rianodina alla corrente di calcio attraverso i canali L, attivati dal potenziale di azione.
In ogni caso, più che la quantità di calcio durante l’attivazione, cambia la forma della curva della
concentrazione, che diventa più stretta. Si suppone che questo indirizzi più efficacemente il calcio verso la
troponina, aumentando la sincronizzazione dell’attivazione dei sarcomeri. E questa è una spiegazione più
credibile dell’aumento di contrattilità. Vi è anche un miglior controllo del pH intracellulare e una
trasformazione verso isoforme delle proteine contrattili più efficienti

Il modello animale più usato per studiare l’ipertrofia patologica è il ratto post infarto. Viene chiusa
permanentemente una coronaria e a questo segue un infarto di dimensioni ripetibili, con conseguente
perdita della funzione di pompa, ipertrofia e dilatazione.

I miocardiociti del ratto infartuato hanno le caratteristiche opposte a quelle dell’ipertrofia da esercizio.
Minore velocità di accorciamento e rilasciamento, minore forza contrattile, alterata gestione del calcio
intracellulare e aumento del calcio libero in diastole. Tutte queste alterazioni sono suscettibili di
miglioramento in seguito all’allenamento.

Innanzitutto, è invertita la disfunzione arteriosa grazie al ripristino della produzione di NO da parte


dell’endotelio, una modificazione facilitata da alterazioni adattative dell’eNOS, attivato da Akt e da una
riduzione delle specie reattive dell’ossigeno, generate dalla NADPH ossidasi. Questo avviene nelle arterie,
ma riduce il carico sul cuore e ne migliora la funzione. Ma ancora più importante è l’attenuazione della
disfunzione cardiaca intrinseca. Nell’insieme, questi effetti riducono l’ipertrofia patologica. Giocano un
effetto positivo tutti i meccanismi visti per l’ipertrofia fisiologica, dall’aumento della contrattilità e della
fase di rilasciamento alla migliore gestione del calcio intracellulare. Infine, l’esercizio corregge i diversi
difetti metabolici del cuore dilatato

Sono stati escogitati diversi modelli animali per simulare disfunzioni miocardiche non dipendenti dal post
infarto. In particolare, un tipo di diabete e la sindrome metabolica. L’allenamento modula positivamen-te le
funzioni contrattili intrinseche, riconducendole a livelli quasi nor-mali. Il principale meccanismo è una
normalizzazione del ciclo del calcio.

Tutti gli studi descritti indicano che la capacità di rispondere all’allenamento è mantenuta anche durante lo
sviluppo di miopatie cardiache e insufficienza dovute all’infarto, al diabete o alla sindrome metabolica e che
i meccanismi coinvolti restano simili a quelli del cuore normale. È importante notare che l’esercizio
corregge i difetti di inotropismo e lusitropismo direttamente nei miocardiociti e che questo non dipende da
fattori esterni alle cellule.

In realtà, le alterazioni geniche indotte da diversi tipi di malattia che portano all’ipertrofia patologica sono
molteplici e diverse da quelle che stanno alla base della risposta fisiologica. Probabilmente è proprio per
questo che tale risposta è conservata anche in condizioni patologiche.

IMPLICAZIONI CLINICHE
Recentemente è stato dimostrato che programmi d’esercizio ad alta intensità (90% VO2 max) possono essere
adeguati per pazienti con ipertrofia post infarto, malattia coronarica o aumentato rischio cardiovascolare.
Tutti questi programmi si basavano su una frequenza cardiaca pari al 95% del massimo teorico e hanno
ottenuto effetti molto superiori a quelli di esercizi moderati, che aumentano la capacità d’esercizio ma
fanno poco sul cuore.

Cardiac remodeling and failure From molecules to man (Part II)

Paul W.M. Fedak T , Subodh Verma, Richard D. Weisel, Ren-Ke Li

Division of Cardiac Surgery, University of Toronto, Toronto General Hospital, 14EN-215, 200 Elizabeth
Street, Toronto ON, Canada M5G 2C4

Cardiovascular Pathology 14 (2005) 49 – 60

La matrice extracellulare (ECM) della maggior parte dei tessuti consiste di una complessa rete di collagene
fibrillare, elastina, proteine miofibrillari, proteoglicani e protene di adesione, come la laminina e la
fibronectina. L’ECM costituisce l’impalcatura fisica dell’organizzazione tridimensionale delle cellule e
determina le proprietà fisiche dei tessuti: è un tessuto dinamico che modifica composizione e disposizione
in risposta a stimoli ambientali o a lesioni. I tessuti metabolicamente attivi, compresi miocardio e vasi,
ricambiano in continuazione il loro ECM.

L’ECM non si limita a fornire un supporto strutturale alle cellule, ma è un microambiente dinamico che
trasmette segnali alle cellule dallo spazio interstiziale e pertanto contribuisce alla regolazione delle funzioni
cellulari. Quindi, l’interazione delle cellule con la matrice circostante condiziona in vario modo il
rimodellamento cardiovascolare, regolando anche la differenziazione, la proliferazione, la crescita e la
sopravvivenza dei miocardiociti.

Se gli elementi della matrice sono insufficienti, l’abbattimento delle interazioni ECM-cellule porta alla loro
morte per apoptosi. Queste osservazioni significano che la composizione, l’orientamento e l’abbondanza
degli elementi della matrice del cuore possono avere un’influenza preponderante sulla struttura e la
funzione del miocardio.

I fibroblasti sono le cellule principali del miocardio e hanno lo scopo di sintetizzare e regolare la
composizione dell’ECM. L’elevato numero di fibroblasti nel cuore indica che l’ECM è regolato
dinamicamente e suggerisce che esso debba avere importanti effetti sulla funzione cardiaca.

Il collagene fibrillare nel cuore è organizzato in strati che circondano gruppi di miocardiociti e li collegano
fra loro. Lo strato più esterno, l’epimisio circonda tutti i gruppi di miocardiociti del cuore. L’onnipresente
perimisio descrive lo strato di tessuto connettivo che circonda e collega gruppi di miocardiociti in una
particolare direzione; si può studiare in microscopia ottica o confocale. L’endomisio è la parte di matrice più
interna che avvolge le singole cellule cardiache di un gruppo; si vede solo al microscopio elettronico.
L’epimiso e il perimisio sono costituiti soprattutto da connettivo fibrillare, mentre l’endomisio è un
complesso agglomerato di collagene ed elastina. È chiaro che il contenuto totale e la disposizione di questi
elementi della matrice, soprattutto la rete di collagene fibrillare, controllano la forma e la distensibilità
dell’intero miocardio.

L’orientamento spaziale del perimisio si modifica a seconda delle condizioni di carico del cuore, assumendo
una struttura a spirale quando è rilasciato e lineare quando è stirato passivamente. Le fibre del perimisio si
orientano secondo l’asse lungo dei gruppi di miociti che avvolgono, ma forniscono anche estese
ramificazioni e interconnessioni che legano insieme i miocardiociti in tutto il miocardio, formando una rete
organizzata di fibrille connettive.
È evidente che le capacità contrattili del miocardio rappresentano un importante esempio di ingegneria
biologica, realizzato dalla sua struttura tridimensionale che è largamente basata sul contenuto e
l’organizzazione della rete di fibrille collagene.

Rimodellamento del collagene in CHF.

Molte malattie cardiovascolari, compreso l’infarto miocardico, l’ipertensione e l’insufficienza cardiaca, si


associano ad alterazioni della quantità, del tipo, della stabilità e dell’organizzazione del collagene fibrillare.
Oltre alle modificazioni cellulari, anche la ristrutturazione della matrice extracellulare gioca un ruolo
centrale nel rimodellamento del cuore insufficiente e nella transizione finale verso lo scompenso.

La deposizione di nuovo collagene (aumento della quantità totale) è una risposta classica al danno tessutale
e serve come supporto strutturale e rinforzo delle zone danneggiate e indebolite. Sotto questo punto di
vista, all’interno di una zona di intensa necrosi cellulare, l’aumento del collagene rappresenta un
meccanismo adattativo. Il collagene non aumenta con un sovraccarico puro di volume.

Se la quantità di collagene è certamente importante, altrettanto lo sono la sua composizione e qualità. Il


cuore umano contiene soprattutto collagene di tipi I e III: il primo ha la resistenza alla tensione dell’acciaio
e costituisce l’85% del totale. La sua presenza aumenta lo spessore del perimisio e questo è in relazione con
la capacità del collagene fibrillare di sostenere lo stiramento e di coordinare la contrazione globale
dell’organo. Il collagene di tipo III è meno rigido e conferisce elasticità al miocardio.

In tutti i tessuti e organi, compreso il cuore, le fibre collagene si stabilizzano maturando, con la formazione
di legami crociati biochimici: il grado di interconnessione del collagene è probabilmente più importante
della quantità e del rapporto fra le diverse isoforme, per il rimodellamento cardiaco.

Nel miocardio normale la maglia di collagene fibrillare è molto confluente, ampia e distribuita
omogeneamente. Ogni fibra del perimisio è abbondante e relativamente spessa. È dimostrato che nel cuore
insufficiente la maglia collagene è alterata e degradata e le fibre del perimisio sono di meno e più sottili.

Turnover del collagene

L’ECM del cuore ha una notevole plasticità: si stima che gli elementi delle diverse componenti del collagene
siano degradati e rimpiazzati al ritmo dello 0,6% al giorno, con una semivita delle proteine compresa fra 80
e 120 giorni. Quindi, le componenti dell’ECM sono continuamente sintetizzate e degradate, anche se
lentamente, nel cuore normale

Le MMPs sono un’importante famiglia di enzimi endogeni dipendenti dallo zinco che degradano l’ECM di
quasi tutti i tessuti biologici: sono coinvolte nel rimodellamento fisiologico dei tessuti nello sviluppo, la
morfogenesi, la riproduzione e l’infiammazione, così come nel rimodellamento patologico. Se ne conoscono
più di 20 specie, che degradano la maggior parte delle proteine dell’ECM, ma ognuna ha una speciale
affinità per singole componenti della matrice ed agiscono in maniera organizzata e coordinata durante il
processo di rimodellamento.

Le MMPs sono classificate in 4 gruppi a seconda della loro specificità primaria per le componenti della
matrice, cioè: le collagenasi (MMP-1 e MMP-13), le gelatinasi (MMP-2 eMMP-9), le stromolisine (MMP-3), e
le MMPs di membrana (MT1-MMP).

La maggior parte delle MMPs sono costitutive e la loro espressione è altamente inducibile in risposta a
diversi fattori quali lo stiramento meccanico, i fattori di crescita, le citochine e altri peptidi bioattivi che si
trovano nel miocardio, in particolare nel processo dell’insufficienza cardiaca. L’espressione delle MMPs è
iniziata in risposta a segnali ambientali e in effetti la maggior parte di esse si trovano nell’ECM in uno stato
latente di proenzimi (pro-MMP) e sono attivate rapidamente. Pertanto, le MMPs rispondono a stimoli
ambientali in maniera rapida e sostenuta in modo da riorganizzare la struttura e il contenuto dell’ECM nel
tessuto che le contiene.

Si ritiene che nel miocardio sia i fibroblasti sia le mast cellule sintetizzino e secernano quasi tutte le MMPs
nello spazio extracellulare. L’espressione e l’attività delle MMPs aumentano nell’insufficienza cardiaca di
diversa eziologia, perché il rimodellamento cardiaco da parte di questi enzimi costituisce una risposta
deliberata e comune al danno tessutale.

Regolazione dell’attività delle MMPs

Svariati processi regolano l’equilibrio dell’attività delle MMPs: l’espres-sione e la secrezione delle MMPs
nell’ECM, l’attivazione di MMPs latenti e l’inibizione competitiva da parte di inibitori endogeni. Il risultato
netto di tutti questi processi determina l’attività enzimatica complessiva nel compartimento extracellulare
e il destino dell’ECM.

A livello dell’espressione genica delle MMPs e della secrezione nell’ECM, si sa che le citochine e altri fattori
di crescita aumentano nella insufficienza cardiaca, e sono importanti induttori genetici. In particolare le
citochine proinfiammatorie, come il TNF-, sono coinvolte sia nell’espressione delle MMPs, sia nella
riduzione dei loro inibitori specifici, e questo provoca un aumento generalizzato delle MMPs.

TIMPs: presentazione e concetti chiave

Un interessante sviluppo delle conoscenze sulle MMPs è stata la scoperta di una famiglia di 4 inibitori
endogeni delle MMPs, denominati TIMPs, che rappresentano il sistema endogeno primario che contro-
bilancia dinamicamente l’attività delle MMPs e sono probabilmente il punto di regolazione primario nei
mammiferi. Il miocardio umano è in qualche modo unico, nel senso che esprime, quando è sano, tutte e
quattro le specie di TIMPs. Tutte insieme, le diverse TIMPs si legano saldamente a quasi tutte le MMPs e le
inattivano. Si considerano ora le TIMPs proteine multifunzionali dotate di diversi effetti biologici e varie
modalità d’azione. Per esempio, le proteine TIMP sono coinvolte nella crescita, proliferazione e apoptosi
delle cellule, e talvolta i loro effetti non dipendono dalle MMPs.

Il profilo dell’espressione delle TIMPs è alterato nel cuore insufficiente: è stata descritta una riduzione della
metà dell’espressione della TIMP-1 in associazione con il degrado della matrice e con la disfunzione
miocardica in seguito a danno da ischemia-riperfusione. Il controllo del rimodellamento dell’ECM dovrebbe
fornirci l’anello mancante nell’attuale insufficiente armamentario terapeutico nei CHF e una migliore
comprensione del ruolo delle proteine TIMP nel miocardio normale e insufficiente dovrebbe indirizzare la
messa a punto di specifiche strategie anti rimodellamento.

Cardiac remodelling: concentric versus eccentric hypertrophy in strength and endurance athletes

C. Mihl, W.R.M. Dassen, H. Kuipers

Netherlands Heart Journal, Volume 16, Number 4, April 2008

Ci siamo chiesti in che modo l’ipertrofia cardiaca indotta dall’esercizio differisca da quella di origine
patologica.

• il rimodellamento fisiologico è un’alterazione compensatoria sia delle proporzioni sia della funzione del
cuore: si verifica negli atleti;

• il rimodellamento patologico accompagna stati come l’infarto miocardico (sovraccarico da pressione),


infiammazioni miocardiche, la miocardiopatia dilatativa o il sovraccarico da volume.
La distensione provocata dall’aumento del carico emodinamico inizia la risposta ipertrofica del cuore. I
miocardiociti si espandono sintetizzando nuove proteine contrattili e assemblando nuovi sarcomeri in
parallelo, aumentando la forza contrattile della cellula. Questo tipo di rimo-dellamento è omogeneo.
Quando il cuore è sottoposto ad un aumento cronico delle richieste funzionali (come dopo un infarto) ha
luogo un diverso tipo di rimodellamento, che è per lo più irreversibile. Questo tipo di rimodellamento,
dovuto a sovraccarico cronico, si associa ad un contributo sproporzionato e inomogeneo dei fibroblasti che
aumentano il collagene fibrillare nell’interstizio

Questo provoca la perdita di miocardiociti per apoptosi o necrosi e le cellule morte sono sostituite da
fibroblasti e collagene extracellulare. La fibrosi aumenta la rigidità del cuore interferendo con il
riempimento diastolico. La perdita di miocardiociti è un fattore importante per l’insufficienza cardiaca:
l’apoptosi riduce la forza contrattile e assottiglia le pareti, portando alla dilatazione miocardica.

Si distinguono due diverse forme del cuore d’atleta: un cuore allenato alla forza e uno allenato alla
resistenza. Aumenta il diametro del ventricolo sinistro e lo spessore di parete

Nell’allenamento aerobico, il fattore dominante è il sovraccarico di volume e quindi si sviluppa un’ipertrofia


eccentrica.

L’aumento della pressione arteriosa nel sollevamento di pesi può arrivare a 320/250 mmHg. Livelli così
elevati di postcarico e pressione ventricolare aumentano lo sforzo (stress) di parete e questo è il principale
stimolo per l’ipertrofia nel cuore sovraccaricato. Il cuore risponde all’aumento dello sforzo di parete nel
training di forza aggiungendo nuovi sarcomeri in parallelo a quelli già esistenti. Aumenta così lo spessore
della parete e si ha l’ipertrofia concentrica.

Negli sport di endurance, come ciclismo, maratona e triatlon, prevale il rimodellamento eccentrico,
soprattutto nei ciclisti.

Gli effetti del lavoro isometrico dipendono da due fattori, cioè l’intensità dell’esercizio e l’entità delle masse
muscolari coinvolte. Negli atleti di resistenza aumenta lo spessore di parete e anche un poco il volume
ventricolare, ma lo stress di parete rimane invariato.

Una meta analisi della funzione e della struttura cardiaca di ciclisti, corridori e atleti di forza nonché
soggetti di controllo non ha trovato differenze per quanto riguarda la massa ventricolare degli atleti (ma nei
controlli era minore); il diametro ventricolare era diverso nei tre gruppi rispetto ai controlli, mentre lo
spessore relativo di parete era minore negli atleti di endurance che in quelli di forza (0.39 mm vs. 0.44 mm).

CONCLUSIONI:
lo sviluppo di un cuore d’atleta di endurance oppure di resistenza non va considerato obbligatorio. Atleti di
forza, che avrebbero dovuto svilup-pare un’ipertrofia concentrica pura, avevano il diametro ventricolare
au-mentato; atleti di resistenza, per i quali ci si aspettava un’ipertrofia eccentrica pura avevano un
pronunciato aumento dello spessore di parete.

Physiological Society Symposium – The Athlete’s Heart

Exercise-induced cardiac hypertrophy: a substrate for sudden death in athletes?

G. Hart

Experimental Physiology (2003) 88.5, 639–644

Negli studi sperimentali, l’indice più comunemente usato per stabilire la presenza e la gravità dell’ipertrofia
è il rapporto fra il peso del cuore e quello corporeo. Indagini ecocardiografiche nell’uomo hanno dimostrato
che l’aumento dello spessore della parete del ventricolo sinistro è normalmente distribuito in maniera
concentrica attorno alla cavità della camera, benché si possa riscontrare un’ipertrofia asimmetrica negli
atleti fino al 12% dei casi, con un aumento sproporzionato del setto. Finora si considera che l’aumento del
volume del cuore sia dovuto essenzialmente ad ipertrofia, piuttosto che ad iperplasia. Ogni aumento delle
dimensioni dei miocardiociti implica un’alterazione delle carat-teristiche elettriche delle cellule, a causa
della maggiore superficie del doppio strato dielettrico del sarcolemma.

Alterazioni funzionali del miocardiocita

In un’ipertrofia di media entità è stato descritto un aumento modesto, oppure nullo, dell’ampiezza della
contrazione, mentre nell’ipertrofia importante, accompagnata o meno da insufficienza cardiaca, l’ampiezza
della contrazione è normalmente ridotta e la durata è aumentata. Sono state descritte modificazioni a tutti
i livelli nel processo di accop-piamento eccitazione-contrazione nell’ipertrofia. A livello del sarcolem-ma, la
risposta più consistente è un prolungamento della durata del potenziale d’azione (APD), che, all’opposto di
quel che riguarda le proprietà meccaniche, è comune a tutti i tipi di ipertrofia.

Il prolungamento dell’APD dipende da un’alterazione dell’equilibrio delle correnti di membrana nella fase di
plateau, con un aumento delle correnti in ingresso o una riduzione di quelle in uscita, o più fre-
quentemente con entrambi. La variazione più frequente nell’ipertrofia è una riduzione della corrente
transitoria verso l’esterno di potassio (Ito). L’APD dei miociti ventricolari cambia nello spessore del
ventricolo: è più lunga nello strato sub-endocardico: nell’ipertrofia, la durata del poten-ziale d’azione non
cambia, o addirittura diminuisce, nei miociti sub-endocardici, mentre aumenta negli strati intermedi e sub-
epicardici. Comunque, per la maggior parte dei miociti che compongono la massa ventricolare, l’aumento
dell’APD rimane la risposta principale all’ipertrofia.

Meccanismi cellulari alla base delle aritmie nell’ipertrofia cardiaca

Il prolungamento dell’intervallo QT, sia esso dovuto ad una delle sindromi congenite di QT lungo, o alla
somministrazione di particolari farmaci che bloccano le correnti ripolarizzanti, predispone ad un tipo di
tachicardia ventricolare detto «torsade de pointes» e alla morte improvvisa. Oggi si sa che il
prolungamento dell’APD e il blocco delle correnti ripolarizzanti nell’ipertrofia cardiaca possono predisporre
ad aritmie e morte improvvisa, analogamente alla sindrome del QT lungo.

Elettrofisiologia cellulare in seguito ad allenamento

Un esercizio di resistenza regolare induce molte modificazioni adattative nel sistema cardiovascolare, come
l’espansione del volume plasmatico, la bradicardia a riposo, l’aumento del tono vagale, la riduzione del
tono simpatico, l’inibizione dei riflessi barocettivi, l’aumento della gittata sistolica e l’aumento della
circolazione coronarica.

Molte delle risposte adattative positive del cuore degli atleti, che aumentano la contrattilità e la potenza,
hanno luogo a livello del miocardiocita, anche se non mancano importanti contributi del sistema nervoso
autonomo e della circolazione periferica. L’allenamento di resistenza porta ad un aumento della lunghezza
e della capacitanza dei miocardiociti; tuttavia le variazioni morfometriche dei miocardiociti su un modello di
ratto sottoposto ad esercizio volontario non sono risultate uniformi: le dimensioni delle cellule epicardiche
non cambiavano, mentre quelle sub-endocardiche aumentavano di ampiezza e di volume, suggerendo che
le prime modificazioni elettriche dovute all’allenamento abbiano luogo in questo strato.

Alterazioni elettrocardiografiche negli atleti

Le variazioni elettrocardiografiche che si riscontrano nei pazienti con ipertrofia cardiaca da ogni causa
consistono in un aumento di ampiezza delle deflessioni ventricolari (che rappresentano il cosiddetto
criterio del voltaggio per diagnosticare l’ipertrofia ventricolare), alterazioni della onda T, con inversione del
segmento ST, e battiti extrasistolici ventricolari prematuri più frequenti e complessi. L’intervallo QT, che
corrisponde alla durata della depolarizzazione ventricolare, è normale o appena aumentato nel cuore
ipertrofico. Questo richiede una spiegazione, dato che a livello delle cellule il prolungamento dell’APD è
sempre marcato e ben documentato in tutte le forme di ipertrofia: probabilmente dipende dalla
distribuzione alterata della ripolarizza-zione.

Nel cuore normale, l’APD è più lungo negli strati endocardici, mentre invece nell’ipertrofia l’APD dura di più
negli strati intermedi e superficiali e quindi i miocardiociti che danno origine alla parte terminale dell’onda
T sono quelli endocardici nel cuore normale, ma cedono il passo a quelli più superficiali nell’ipertrofia. In
conseguenza di tutto ciò, l’ipertrofia cardiaca può prolungare poco l’intervallo QT elettrocardiografico,
anche se rimane una «sindrome del QT lungo» a livello della maggior parte, ma non di tutti, i miocardiociti.

Importanza clinica dell’ipertrofia cardiaca nell’allenamento

C’è una certa sovrapposizione fra l’ipertrofia dell’atleta e quella dovuta ad ipertensione, sia rispetto
all’entità, sia alla sua reversibilità e alle variazione della geometria ventricolare. Un’ipertrofia moderata da
cause patologiche, come quella da esercizio, può associarsi ad una funzione contrattile aumentata oppure
normale, ma sostanzialmente le caratteristiche elettriche del tessuto e delle cellule dell’ipertrofia da
esercizio sono simili a quelle dell’ipertrofia da altre cause. Nell’ipertrofia da esercizio non siamo in grado di
distinguere variazioni legate ad un aumento delle funzioni normali da quelle associate a condizioni
patologiche che comportano la morte improvvisa. È pertanto opportuno considerare l’ipertrofia da
esercizio nello spettro delle risposte cellulari al sovraccarico cardiaco da qualunque causa e valutare le
possibili conseguenze fisiopatologiche in questo quadro. I dati della ricerca di Framingham e di altri studi
hanno dimostrato chiaramente che la mortalità per cause cardiache è aumentata dall’ipertrofia di
qualunque entità.

La morte improvvisa negli atleti è rara e i dati pubblicati indicano che la maggior parte degli eventi è legata
a malattie cardiache pre-esistenti, gravi ma non diagnosticate e asintomatiche, che possono essere conge-
nite o acquisite, per esempio patologia coronarica, alterazioni specifiche del muscolo cardiaco
(cardiomiopatia) e infiammazione del cuore (mio-cardite). Rimane però il fatto che nel 15% dei casi,
soprattutto nei più giovani, l’unica anomalia riscontrabile è l’ipertrofia. Le aritmie ventri-colari frequenti e
complesse che sono comuni negli atleti allenati si spiegano sulla base di specifiche alterazioni soltanto in un
terzo dei casi.

In conclusione, per la maggior parte degli atleti allenati le conseguenze cardiache della loro attività hanno
caratteristiche adattative, benigne e probabilmente reversibili. Rimane il fatto che allenamenti atletici
inten-sivi sono associati con un piccolo ma evidente aumento del rischio di morte improvvisa, che può
dipendere dalle alterazioni elettriche a livello cellulare che accompagnano l’ipertrofia di grado medio o
moderato.

The athlete’s heart

David Oakley Sheffield, UK

Heart 2001;86:722–726

Sull’argomento del cuore d’atleta, bisogna distinguere fra atleti d’élite, maschi e femmine che fanno attività
ricreazionale, non atleti che desiderano mantenere una buona efficacia cardiovascolare e pazienti atleti con
malattie cardiache diagnosticate.

Un programma di allenamento regolare porta a cambiamenti favorevoli nella performance del muscolo
scheletrico e a due chiari effetti cardiovascolari – cioè l’ingrandimento del cuore e una bassa frequenza a
riposo: queste sono le componenti di un quadro clinico caratteristico, definito «cuore d’atleta».

I canoisti, i ciclisti e gli sciatori di fondo sono quelli che hanno il cuore più grande, ma il grado di ipertrofia
non correla con l’intensità dell’esercizio o con la performance degli atleti. Molti campioni olimpici hanno
dimensioni cardiache normali, quando studenti che fanno sport possono avere un’ipertrofia pronunciata.
Questa osservazione significa che la risposta cardiaca all’allenamento non è dovuta solo allo sforzo
emodinamico durante l’esercizio, mentre entrano in gioco altri fattori, come stimoli ormonali e
predisposizione genetica. È infatti sempre più chiaro che la tendenza all’ipertrofia è in parte determinata
geneti-camente e che l’esercizio è un fattore scatenante. Studi su gemelli identici confermano questa
ipotesi.

Qualunque sia il meccanismo, è evidente che l’ipertrofia è una risposta diretta all’allenamento. Atleti che si
allenano periodicamente hanno variazioni stagionali del volume ventricolare. Dopo disallenamento si
assiste spesso alla regressione dell’ipertrofia, anche dopo molti anni di allenamento. La dilatazione cardiaca
e l’ipertrofia possono essere tali da assomigliare a stati patologici, ma gli indici della funzione ventricolare,
sia sistolica sia diastolica, sono sostanzialmente normali. Non ci sono prove che soggetti sani possano
allenarsi al punto da indursi condizioni patologiche, come fibrosi e disallineamento delle fibre.

La bradicardia a riposo è caratteristica dell’atleta allenato: in casi eccezionali po’ scendere sotto a 40 battiti
al minuto. Se cuori denervati battono più lentamente dopo allenamento, la bradicardia degli atleti è dovuta
soprattutto ad aumento del tono vagale e ad una riduzione di quello simpatico a riposo.

Gli atleti nell’insieme consultano frequentemente il medico lamentando palpitazioni, capogiro,


affaticamento, dolore toracico e dispnea esagerata. La visita può mettere in luce alcuni segni inconsueti,
che non tranquillizzeranno il medico, ben consapevole dei casi clamorosi di morte improvvisa durante le
attività sportive, e il reperto di un ECG apparentemente alterato aumenterà la preoccupazione. Se le
dimen-sioni cardiache sono corrette per la superficie corporea e o per la massa magra, diventa più difficile
dimostrare l’ipertrofia concentrica negli atleti di resistenza. Ci sono molti dati sull’entità di queste variazioni
e su cosa deve essere considerato compreso nei valori normali per un atleta. Anche se le conclusioni sono
svariate, un’utile meta analisi di Fagart sui dati disponibili indica che uno spessore di parete superiore a 1.6
cm è raro per un atleta sano e che per lo più è meno di 1,3 cm.

La bradicardia a riposo può predisporre ad un aumento di attività ectopiche atriali o ventricolari e in alcuni
casi alla fibrillazione atriale.

L’aumentare dell’età può modificare alcuni degli adattamenti di cui abbiamo parlato. Molti atleti si tengono
allenati fino alla mezza età e partecipano a competizioni «master» e «veterani». Ci sono prove che
l’allenamento continuato migliora le funzioni diastoliche negli anziani, ma in uno studio sono stati visti
problemi al ventricolo sinistro in ciclisti giapponesi veterani, anche se non fu possibile stabilire se fossero
dovuti all’allenamento o all’insorgere di altre patologie, per esempio alle coronarie. È stato anche visto che
la bradicardia è più pronunciata negli anziani, in cui è anche ridotta la frequenza massima; tutto questo può
contribuire alla riduzione della performance.

Gli atleti possono riferire sintomi, che in genere hanno una spiegazione benigna – giramenti di testa da
disidratazione o da ipotensione post-esercizio, dolore toracico da tracheite o dolore muscolo scheletrico (in
particolare negli sport di contatto e in allenamenti molto pesanti), palpitazioni da contrazioni premature
benigne e mancanza di fiato per infezioni polmonari o broncospasmo da esercizio. Ciononostante è spesso
necessaria un’indagine approfondita per garantire al paziente e al suo medico la sicurezza di cui hanno
bisogno.

L’ovvia preoccupazione del medico consultato da un atleta è «sto trascurando un problema cardiaco che
potrebbe essere mortale?». In un giovane atleta con ipertrofia o bradicardia eccessivi, la diagnosi
differenziale si pone con la cardiomiopatia dilatativa o con la sindrome da seno patologico (sick sinus
syndrome). Non c’è test che possa garantire la differenza fra cuore d’atleta e miocardiopatia dilatativa,
anche se possono aiutare l’entità e la simmetria dell’ipertrofia all’eco-cardiogramma, la risposta a tre mesi
di riposo, il reperto di ipertrofia non spiegata nei familiari, la risposta pressoria e metabolica all’esercizio e
altre caratteristiche ecocardiografiche, come i profili di riempimento del ventricolo sinistro.

La morte di un giovane atleta ben preparato è estremamente rara, con un’incidenza di 1:200.000, ma
diverse indagini danno esiti molto va-riabili. Le morti sono più frequenti in giocatori dilettanti e di mezza
età, ma anche in questi gruppi il rischio è molto basso, e comunque minore che nella popolazione
sedentaria. I casi di morte sono però più fre-quentemente associati all’esercizio che a periodi di riposo. La
morte può essere non cardiaca – per esempio traumatica, da ipo o iper termia, da disidratazione o da
abuso di droghe. Rimane il fatto che la morte improvvisa è comunque soprattutto cardiovascolare e
un’autopsia ben fatta in genere rivela una causa sottostante. Nei giovani, la cardio-miopatia dilatativa è la
causa più frequente, ma alcuni sostengono che la displasia aritmogena del ventricolo destro sia ancora più
comune. Fra altre cause vi sono l’origine anomala delle coronarie, la stenosi aortica, la miocardite, la
sindrome di Marfan, la sindrome di Wolff-Parkinson-White, la sindrome del QT lungo, il prolasso della
mitrale e malattie coronariche.

Non vi è uno sport che abbia il monopolio delle morti improvvise, anche se lo squash è stato indicato come
particolarmente a rischio, forse a causa della sua natura molto vigorosa e competitiva. Sta crescendo
l’interesse per gli sport estremi (per esempio triatlon, corse di 24 ore, fell running): lo stato di esaurimento
fisico completo di alcuni partecipanti comporta alterazioni metaboliche che influenzano negativamente la
performance cardiaca.

Il fatto che all’autopsia di atleti morti improvvisamente si riscontrino frequentemente alterazioni


patologiche indica che avrebbe potuto essere compiuta una diagnosi precedente delle loro condizioni nel
corso di screening di routine, e che un trattamento appropriato e giusti consigli avrebbero potuto evitare la
morte. In alcune nazioni, come l’Italia, lo screening è obbligatorio ed è dimostrato che il programma è
efficace.

C’è però chi critica questa pratica sostenendo che si cercano malfor-mazioni rare, per le quali mancano
trattamenti risolutivi e gli esami non sono perfetti. Anche se si istituisce un programma di screening, non ci
sono linee guida riconosciute su come debba essere organizzato e con quali esami. Gli esami che abbiamo a
disposizione non sono abbastanza sensibili e specifici, mentre la probabilità che ci siano alterazioni cardia-
che è molto bassa: questo comporta inevitabilmente diagnosi mancate e, ancor peggio, numerosi falsi
positivi. La diagnosi errata di un proble-ma cardiaco in un atleta normale è disastrosa per una persona per
la quale lo stato di salute è, per definizione, della massima importanza. Una volta sollevato il dubbio di un
problema cardiaco, è molto difficile superarlo. Mentre la disputa sui vantaggi dello screening continua, è
evidente che ogni sintomo o segno sospetto in un atleta richiede le indagini più approfondite.

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