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Luce e illuminotecnica a teatro tra XVIII e X I X secolo

CRISTINA GRAZIOLI (PADUA)

I. Sperimentazione e avanzamenti tecnici in scena tra fine


Settecento e primo Ottocento
Se tradizionalmente la rivoluzione* della luce in scena viene fatta coincidere con
le grandi innovazioni della luce a gas e poi della luce elettrica (rispettivamente nel
secondo decennio dell'Ottocento e intorno al 1880), è nella seconda metà del Set-
tecento che vanno cercate le premesse e i momenti d'avvio, sia dal punto di vista
teorico che tecnico, ad un nuovo modo di concepire l'illuminazione teatrale.
L a transizione tra X V I I I e X I X secolo delinea a nostro avviso un momento
della storia del teatro che può essere letto come crocevia di molte linee di una sto-
ria per così dire ,culturale' della luce, tante e tali si rivelano le implicazioni e le
declinazioni del problema, così da connotare il,secolo dei lumi' come il periodo in
cui la luce in tutte le sue manifestazioni conosce massima espressione.
L'attenzione che il pensiero settecentesco presta alla sensibilità mette in moto
un interesse per i fenomeni della fruizione non presente in altre epoche. N e deriva
una varietà di studi e sperimentazioni che implicano il fattore della percezione; ba-
sti pensare alla riflessione sui colori elaborata da Goethe, basata sul principio che
fenomeni luminosi e cromatici non trovino il loro terreno d'indagine nello spazio,
bensì nello strumento predisposto a percepirli, l'occhio.
A partire dalla seconda metà del Settecento fenomeni e metafore legati alla luce
si articolano nel modo più vario; contemporaneamente ad una tendenza che, come
per gli altri elementi della scena (incluso il testo), muove in direzione della ve-
rosimiglianza che porterà al realismo, un ruolo importante ha anche l'accezione
simbolica della luce. Nello stesso secolo si compiono significativi avanzamenti
tecnici in materia di illuminazione; nel campo della scienza ottica si moltiplicano
gli esperimenti che mirano a produrre fonti di luce dall'intensità maggiore, ad uso
pubblico e domestico. Sulla scena prendono avvio quei mutamenti che rinnovano
profondamente la prassi consolidata dello spettacolo barocco.
L e necessità che si pongono sono le medesime che in ogni epoca: una luce
chiara, un mezzo combustibile economico, accorgimenti efficaci per limitare il
fumo. Ma si fa sempre più percepibile la richiesta di fonti illuminotecniche mobili
e orientabili, adatte all'interazione con gli altri fattori scenici. Oltre che efficace
e funzionale, la luce, sulla quale si sperimenta per usi pubblici e privati, inizia ad
essere concepita artisticamente.
Negli anni Settanta del secolo si pongono due innovazioni determinanti per co-

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minciare a soddisfare la richiesta di una maggior quantità di luce: le invenzioni di


Quinquet, Léger, Lange, Argand, che fanno progredire le potenzialità della lam-
pada ad olio, e la teoria della combustione elaborata da Lavoisier. Il fisico francese
osserva per primo che l'ossigeno contenuto nell'aria è necessario tanto quanto il
carbonio della materia combustibile 1 . Per la prima volta appare un fattore, l'aria,
di cui si può tenere conto e su cui si può sperimentare al fine di modificare gli stru-
menti di illuminazione.
In quest'epoca si attuano vari tentativi per modificare lo stoppino: è sulle in-
venzioni intorno a questo importante dettaglio che sembra evolversi la storia del-
l'illuminazione, nel modo più elementare, ma anche più carico di conseguenze
per l'epoca successiva. Nel 1773 lo scienziato Léger rende le lampade ad olio più
efficaci introducendo l'uso degli stoppini ritorti, simili a nastri, che producono
maggior luce. L'invenzione più rilevante è però la lampada di Argand, ,a doppia
corrente d'aria', pietra miliare nella storia dell'illuminazione teatrale. Diversi scien-
ziati vi lavorano nel corso del 1783: François Ami Argand presenta al pubblico la
sua invenzione, esito dell'applicazione delle scoperte di Lavoisier 2 . La peculiarità
è appunto la conformazione dello stoppino: grosso e a sezione circolare, provvisto
di un canale nel mezzo per la fornitura d'aria, consente alla fiamma di assumere
una forma cilindrica. La lampada, che ha il deposito di carburante ad un livello
superiore rispetto alla fiamma, viene dotata di un cilindro di vetro, che aumenta
l'accelerazione della corrente d'aria e la protegge dai movimenti, evitando il tre-
molio. Un ulteriore dettaglio è il dispositivo che consente di abbassare o alzare lo
stoppino, permettendo di regolare l'adduzione dell'olio e quindi l'intensità della
fiamma. Se ne loda la luce bianca, „molto viva e quasi abbagliante" 3 , che supera
di gran lunga la luminosità delle altre lampade (è pari a circa dieci candele di cera),
non produce fumo e non sprigiona odore.
Per un utilizzo più congruo si impone la necessità di poter orientare la luce, e a
maggior ragione a teatro, dove il palcoscenico pone dei limiti alla posizione delle
fonti luminose: si ricorre così al riflettore. Nel 1744 Bourgeois de Châteaublanc
presenta all'Accademia delle scienze le lanternes a reverberes4. Nel 1764 si tiene
una gara sul modo migliore di illuminare una grande città; uno dei concorrenti è
Lavoisier, e propone il riflettore ellittico, che richiede meno lampade5.

1 Lavoisier dimostra che la combustione è fenomeno di ossidazione in cui l'ossigeno funziona


da comburente.
2 Per la storia della lampada, chiamata anche quinquet o argante (il cui combustibile è olio di
trementina o petrolio), cfr. Michael Schroder, The Argand Burner. Its origin and development
in France and England, 1780-1800, Odense: Univ. Press 1969.
3 B. Thompson Rumford, „Beschreibung einer Methode, die comparativen Intensitäten des
Lichtes leuchtender Körper zu messen", in: Neues Journal der Physik, 1795,2; citato in Gösta
M. Bergman, Lighting in the theatre, Stockholm: Almqvist & Wiksell 1977, p. 393.
4 Ivi,p. 183.
5 Lavoisier, „Sur les différents moyens qu'on peut employer pour éclairer une grande ville"

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Luce e illuminotecnica a teatro tra XVIII e XIX secolo 53

Tale dispositivo diventa un elemento essenziale sia nell'illuminazione stradale


che in quella teatrale. Anche precedentemente si erano escogitati sistemi di rifles-
sione della luce (orpelli, vetri e specchi), ma la novità del riflettore settecentesco
sta nella forma concava, grazie alla quale la luce viene raccolta e concentrata in un
fascio. Lavoisier lo definisce „un miroir concave de métal, de figure quelconque,
disposé de manière à recuellir une portion de la lumière, qui, sans lui, aurait été
perdue, à le diriger vers le plan, ou en général vers l'objet qu'on veut éclairer, de
sorte que tous les rayons qui partent du point lumineux tournent au profit de cet
objet, qu'il n'y en ait aucun qui se dissipe ou qui se porte vers un autre" 6 .
L'osservazione è gravida di conseguenze: a partire da questo momento si delinea
la possibilità di dirigere la luce, di farne uno strumento tra gli altri nelle mani del
creatore della scena. Poiché, se questa prima definizione compare in uno scritto
sull'illuminazione urbana, il fisico la riprenderà nella sua proposta di perfeziona-
mento dell'illuminazione teatrale7. La lampada è ad olio, ma il principio rimarrà lo
stesso quando il riflettore verrà realizzato con il gas e poi con la luce elettrica. Lo
strumento costituisce la risposta alla maggior parte delle istanze avanzate a partire
dagli anni Sessanta del secolo negli scritti teorici sulla luce.
Queste innovazioni permettono un avanzamento nella prassi e nella concezione
della luce che nel primo decennio dell'Ottocento conduce alla luce a gas. La rivo-
luzione per la scenotecnica consiste principalmente nel fatto che il nuovo sistema
consente una regolazione dell'intensità luminosa a distanza: per la prima volta la
luce può essere gestita da un unico luogo non visibile allo spettatore. Sue caratteri-
stiche fondamentali sono la regolazione d'intensità, una fiamma stabile e la possi-
bilità di essere orientabile, oltre ad una emissione più forte.
A partire dal 1815 il gas comincia ad essere installato nei teatri europei ed ameri-
cani. Nell'ottobre di quell'anno sono i teatri londinesi ad introdurne l'uso, quando
vengono illuminati esterno e sala dell'Olympic Theatre; il Lyceum è il primo tea-
tro a rischiarare a gas la scena, nell'agosto 1817. Nei dieci anni successivi seguono
l'esempio altri teatri, nella capitale e in provincia.
A Parigi apre la strada l'Odèon, nel 1821, ma con scarso successo: i tubi del gas
perdono e un odore sgradevole invade sala, palcoscenico e camerini. Così si torna
al vecchio sistema. L'anno seguente l'impianto a gas viene installato all'Opéra per
la rappresentazione di Aladin ou la Lampe merveilleuse. La scelta non è casuale: la
drammaturgia dell 'opéra-féerie, sostanziata di motivi legati alla luce, viene a coin-
cidere con le potenzialità del nuovo mezzo. Alla produzione dello spettacolo viene
dedicato un impegno economico straordinario e l'inizio delle prove data ben otto

(1767), in: Id., Oeuvres, t. III Mémoires et rapports sur divers sujets de chimie et de physique
pures, Paris: Imprimerie Imperiale 1865, pp. 1 - 9 0 .
6 Ivi, pp. 1 8 - 1 9 ; aile pagine seguenti tratta i vari tipi di riflettore.
7 Lavoisier, „Mémoire sur la manière d'éclairer les salles de spectacle" (1781), in Id., Oeuvres,
t. III, cit., pp. 9 1 - 1 0 2 .

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mesi prima della presentazione al pubblico. Daguerre poté applicare qui le ricerche
che consacrava alle illusioni ottiche. Dai bozzetti rimasti prendiamo ad esempio
il „Palazzo d'Aladino" nell'atto III 8 : mostra una prospettiva d'angolo modulata
dall'ombra e dalla luce; una zona in ombra contorna l'arco in primo piano, oltre
il quale una luce chiara si fa più intensa in lontananza: due lampade poligonali
scendono oltre le volte, in un impianto d'insieme asimmetrico. La luce concentrata
nella parte mediana e sul fondo della scena produce un effetto ,atmosferico' che
avvolge la scena infondendo l'impressione di un quadro unitario.
Gli scenografi di Aladin non sono comuni,pittori di scene': entrambi nelle loro
esperienze dedicano un'attenzione particolare alla luce. Louis-Jacques-Mandé Da-
guerre ha già creato per i mélodrames dell'Ambigu-Comique raffinate scenografie,
apprezzate per gli effetti luministici e ottici (dal 1816 al 1822). Dal 1804 è a Parigi,
presso l'atelier di Degotti (scenografo capo all'Opéra); probabilmente dal 1807 al
1815 è assistente di Pierre Prévost (pittore specializzato in paesaggi e vedute di città)
e diventa pittore di panorami 9 . Attraverso lo studio della luce approda alla nuova
forma spettacolare del diorama. Colpisce i contemporanei il gusto di Daguerre per
i fenomeni naturali (eruzioni di vulcani, incendi, trasparenza dell'acqua), oltre alla
ricerca sul movimento, ottenuto grazie ad effetti di luce e impiego di vedute pano-
ramiche. Utilizzando tessuti colorati di spessori diversi come filtri luminosi al fine
di ottenere effetti inediti, facendo dell'atmosfera e del paesaggio la proiezione di
stati d'animo 10 , rivoluziona il linguaggio della luce in senso romantico.
Pierre-Luc-Charles Ciceri collabora come violinista al teatro d'ombre di
Séraphin in una delle gallerie di Palais Royal. Dopo il conservatorio (forse nel
1804), viene ingaggiato all'Opéra come operaio. Dedica studi al disegno e alla sce-
nografia, e nel 1805 è assunto come pittore di paesaggi nell'atelier di pittura del-
l'Opéra.

II. La riflessione sull'illuminotecnica e le riforme dello spazio teatrale

Il problema della luce è intrinsecamente connesso al dibattito di fine Settecento


intorno al rinnovamento dell'edificio teatrale, concepito in relazione allo spetta-

8 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque de l'Opéra, Esq. 19 (13), atto III, qua-
dro I, Palais d'Aladin (attribuito a Daguerre). Sul diorama di Daguerre e sulla messinscena
di Aladin cfr. Cristina Grazioli, Luce e ombra. Storia, teorie e pratiche dell'illuminazione
teatrale, Roma-Bari: Laterza 2008, capitoli IV e V.
9 Cfr. Nicole Wild, Décors et costumes du XIX siècle, t. II Théâtres et décorateurs, Paris: Bi-
bliothèque Nationale 1993, p. 305.
10 Su questa concezione della scenografia romantica cfr. Elena Randi, „L',Otello' di Vigny: il
traduttore-weiiear en scène si fa procuratore dell'autore", in: Il Castello di Elsinore, X X I ,
2008,56, pp. 71-106.

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colo 11 . Le riflessioni sono motivate in primo luogo da un ripensamento legato alle


nuove poetiche, ma contemporaneamente anche da urgenze più materiali, come la
grande quantità di incendi che colpisce i teatri un po' in tutta Europa nel corso del
XVIII secolo. Contestualmente prendono forma le prime riflessioni di un certo re-
spiro che si interrogano sulla possibilità di un impiego artistico della luce a teatro.
Le implicazioni delle riflessioni teoriche sono senza dubbio di enorme portata
rispetto all'effettivo cambiamento sulle scene dell'impiego illuminotecnico. Le ra-
gioni per cui il grande dibattito porta a risultati pratici relativamente scarsi sono
molteplici. Per esempio, il fatto che in generale le proposte di riforma dell'edifìcio
teatrale rimangano sulla carta; inoltre le nuove idee si scontrano con le consuetu-
dini di una prassi attorica consolidata: è nota (fin da apparire uno stereotipo) la po-
sizione degli attori a favore delle luci di ribalta, che garantiscono loro la massima
visibilità. Infine molte rivendicazioni teoriche non possono concretizzarsi perché
oggettivamente le condizioni della tecnica di illuminazione non lo consentono.
Dalla considerazione delle riflessioni sulla riforma dell'edificio teatrale emer-
gono i tratti che hanno implicazioni con il fattore luminoso: la discussione sembra
concentrarsi intorno agli elementi che gravitano nell'area del boccascena (ribalta,
palchi di proscenio e lampadari pendenti sull'avanscena). Tale attenzione alla zona
dell'arcoscenico rivela uno dei punti nodali del dibattito: il rapporto (di separa-
zione o di continuità) tra scena e sala, con conseguenze decisive sul versante del-
l'allusione scenica'.
Dalla metà del Settecento la luce in sala diminuisce notevolmente rispetto ai
decenni precedenti e viene invece incrementato il flusso delle luci di ribalta 12 ; la
differenziazione della luce incide nel rapporto tra scena e sala, portando alla defi-
nizione più nitida del quadro scenico. Se da un lato la più netta separazione scena/
sala si oppone alla concezione festiva del Barocco, dall'altro ne prosegue l'intento
illusionistico; ma in condizioni mutate: dalla celebrazione della corte si passa al
rispecchiamento della borghesia, dall'evento festivo al consumo privato, dall'al-
legoria mitologica alla poetica del verosimile. E il concetto di verosimiglianza in
questo frangente viene a coincidere con quello di illusione, aprendo la strada al
realismo ottocentesco.
Vanno ricordati i trattati di Charles Nicolas Cochin, Le projet d'une salle de
spectacle (1765), e quello di Roubo, il Traité de la construction des théâtres et des
machines théâtrales (1777) 13 . Entrambi affrontano il problema dell'illuminazione

11 Cfr. Elena Tamburini, Il luogo teatrale nella trattatistica italiana dell' 800. Dall'utopia giaco-
bina alla prassi borghese, Roma: Bulzoni 1984, p. 9.
12 Molte informazioni in merito all'organizzazione luministica presso l'istituzione parigina e
alle figure preposte (lustrier, chandelier, garçons de théâtre, moucheurs) sono in Jules B o n -
nassies, La Comédie-Française. Histoire administratif, 1658-1757, Paris: Didier 1874, pp.
321-354.
13 Charles Nicolas Cochin, Projet d'une salle de spectacle pour un théâtre de comédie, Paris:

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in sala, proponendo sistemi che consentano una luce morbida e naturale, che non
incida sull'illuminazione della scena; chiedono di modificare o di eliminare la ri-
balta, che sfigura i tratti degli attori, oltre a provocare fumo e ad abbagliare la vi-
sta.
Il 1781 segna la pubblicazione di tre opere che trattano della luce a teatro. Gli
autori sono Lavoisier, Cochin e Noverre, tutti da circa vent'anni alle prese con
progetti di riforma della concezione dello spazio teatrale. Lavoisier tiene il di-
scorso all'Accademia, Noverre pubblica le Observations sur la construction d'une
salle d'opéra et programmes de ballets, Cochin le Lettres sur l'Opéra.
Meritano un'attenzione prioritaria le Observations14 di Jean Georges Noverre.
A differenza di altri trattatisti, esperto della prassi scenica, il maître de ballet15, che
nel 1759 aveva pubblicato le Lettres sur la danse et sur les ballets16, entra ora nel
merito di cambiamenti tecnici del sistema luminotecnico esistente. Forte della sua
esperienza di viaggiatore in Italia, Inghilterra, Francia, Germania, considera il pro-
blema dello spazio teatrale nella sua complessità: dalla sicurezza contro gli incendi,
all'esigenza di locali per laboratorio e magazzino di scenografia, alla necessità di
ampi ingressi laterali per le entrate degli attori e per operazioni scenotecniche17.
Secondo Noverre il pubblico non dovrebbe percepire luce dalle quinte, ma so-
prattutto andrebbero eliminate le luci di ribalta: nuocciono al fascino della rappre-
sentazione e affaticano sia attori che spettatori. Deplora l'effetto assolutamente
falso della luce che colpisce l'attore dal basso verso l'alto, contrariamente all'ordine
naturale delle cose: la fisionomia ne viene distrutta, privata dell'espressione e delle
sfumature interpretative, i suoi tratti divengono smorfie. Il proscenio va invece
illuminato dall'alto e dai lati: le colonne dell'avanscena avranno sezione curvilinea,
cave verso il centro della scena, in modo che le zone vuote del semicerchio possano
contenere sorgenti di luce riflesse da un corpo liscio e lucido; le parti laterali della
scena andranno illuminate con masse di luce ineguali, distribuite dalla perizia di un
pittore, che potrà garantire un bell'effetto luministico18.
Vicine a Noverre per posizioni e intenti sono le Lettres sur l'Opéra di Cochin.
La sua proposta di riforma spinge nella direzione della verosimiglianza e dell'il-

chez Charles-Antoine Jombert 1765; rist. anast. Minkoff, Genève 1974, sull'illuminazione
pp. 34-39 ; André Jacob Roubo, Traité de la construction des théâtres et des machines théâ-
trales, Paris: chez Cellot & Jombert 1777, pp. 39-65.
14 Jean George Noverre, Observations sur la construction d'une salle d'Opéra et programmes de
ballets, [Amsterdam 1781] St. Petersbourg: Jean Charles Schnoor 1804.
15 Su Noverre si veda Elena Randi, Pittura vivente. Jean Georges Noverre e il balletto d'action,
Venezia: Corbo e Fiore 1989, per notizie biografiche e bibliografia relativa, cfr. pp. 11-12.
16 Jean George Noverre, Lettres sur la danse et sur le ballet, [Lione 1759 ma 1760] Wien: chez
Jean Thomas de Trattnern 1767; sulle varianti delle edizioni cfr. Elena Randi, Pittura vivente,
cit., pp. 39-42.
17 Noverre, Observations, cit., p. 15.
18 Ivi, pp. 24-25.

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lusione realistica. Peculiare è la proposta di un diverso materiale per i costumi ri-


spetto alla seta lucente ancora in voga 19 . La forma ovale per la sala offre un'indi-
cazione indirettamente collegata all'illuminazione: rispetto a quella circolare, gli
spettatori saranno più vicini alla scena e gli attori non saranno costretti ad avanzare
sul proscenio, evitando di rimanere troppo lontano dalle scenografie, che altri-
menti parrebbero essere loro estranee; la conseguenza implicita è che si terranno
meno prossimi alle luci di ribalta. Critica le regole prospettiche che non tengono
conto delle proporzioni tra attori e scenografie. La trattazione di Cochin risponde
principalmente ad esigenze di sicurezza, proponendo strutture in pietra anziché in
legno e luci di quinta fissate a sostegni in materiali non infiammabili 20 .
Lavoisier dedica all'illuminazione teatrale il discorso tenuto all'Accademia delle
Scienze di Parigi nel 1781. Lavoisier osserva con chiarezza sistematica che l'illumi-
nazione a teatro deve illuminare il palcoscenico e le scenografie, l'attore, lo spet-
tatore.
Avanza diverse proposte di riforma, ponendo il problema della mobilità della
luce. Sarebbe possibile sfruttarla in modo migliore se si installassero riflettori mo-
bili dotati di specchi, in modo da poterla orientare su diverse parti della scena.
Senza di essi la metà del flusso luminoso cadrebbe sulla parte posteriore della sce-
nografia a cui la lampada è appesa, e così andrebbe persa 21 . Osserva poi che il fon-
dale raramente è sufficientemente illuminato, in particolare nella parte centrale,
mentre proprio la veduta prospettica in lontananza è determinante per l'illusione:
solo così si potrà rendere la verità dei diversi fenomeni atmosferici, un temporale,
un tramonto, un chiaro di luna. Propone la soluzione del problema grazie a „riflet-
tori parabolici", posti sopra l'avanscena all'interno, in soffitta. Anch'essi mobili,
in grado di orientare la luce dove necessario, muniti di garze più o meno spesse,
anche colorate, o di tele chiare da abbassare sul davanti per intercettare più o meno
luce, fornendo il grado di oscuramento voluto.
Degna di nota è l'affermazione circa la necessità di illuminare l'attore, anima
della scena: dato che dal minimo movimento, dalla minima alterazione dei tratti
dipende la perfezione della rappresentazione, l'interprete va illuminato frontal-
mente. Le luci di ribalta, alle quali è contrario in linea di principio, sono ancora le
uniche che assolvono allo scopo, se opportunamente schermate 22 . Suggerisce che
anch'esse vengano corredate di un materiale riflettente, lucido, così da concentrare
la luce interamente sulla scena, evitando di abbagliare il pubblico. Fa osservare che
senza tale accorgimento solo un terzo del flusso luminoso viene utilizzato.
U n importante compendio delle proposte di riforma sull'edificio teatrale è

19 Charles Nicolas Cochin, Lettres sur l'Opéra, Paris: Cellot 1781, pp. 57-63, 82-83.
20 Ivi, pp. 27-39.
21 Cfr. Lavoisier, Mémoires sur la manière d'éclairer les salles des spectacles cit., pp. 93-94.
22 Ivi, pp. 95—96.

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offerto àaW'Essai sur l'architecture théâtrale (1782) di Pierre Patte 23 , architetto e


teorico gravitante intorno alla cerchia dell' Encyclopédie. Il punto più rimarche-
vole riguarda l'illuminazione del proscenio. Le luci di ribalta andrebbero sostituite
con riflettori posti di fronte all'avanscena, montati sulle file di palchi prossimi alla
scena, che illuminerebbero il proscenio in tutta la sua ampiezza e altezza; si go-
drebbe della luce senza vedere le fonti luminose: è la prima volta che si configura
l'idea di un'illuminazione della scena simile ai dispositivi che si sarebbero affermati
solo alla fine dell'Ottocento, resi possibili dalla luce elettrica24.

III. La luce come principio unitario della messinscena: teatro e pittura

La discussione intorno al miglioramento delle condizioni luministiche si defini-


sce sempre più nella tendenza a rendere il quadro scenico in modo illusionistico,
nettamente delimitato rispetto allo spazio della sala. Il processo implica una serie
di fattori, tra cui sono determinanti l'oscuramento della sala e la conformazione
dell'arcoscenico; se concepito come cornice al quadro visivo, quest'ultimo offrirà
un'immagine unitaria, di cui gli attori sono parte integrante.
Dalla metà del Settecento le ostilità verso le luci di ribalta diventano più severe,
sia perché l'intensità della luce dal basso è aumentata (e non vi è più l'effetto com-
pensatorio dei lampadari di proscenio), sia perché la si considera sempre più una
mostruosità incompatibile con l'illusione della natura e con la luce atmosferica. Se
la voce più autorevole e argomentata a tal proposito è quella di Noverre, la lotta
contro la ribalta si fa compatta sul fronte dei riformatori.
Illuminati dal basso i volti degli attori si distorcono in smorfie, tanto più che
essi rimangono volentieri appiccicati alla buca del suggeritore, come scrive E.T.A.
Hoffmann nelle Curiose pene di un capocomico (1810), pamphlet polemico in
forma narrativa.
La richiesta di un'illuminazione dall'alto e .naturale' si estende anche al fon-
dale, che dall'inizio dell'Ottocento tende sempre più ad inserirsi entro un quadro
unitario. Assieme alla luce più omogenea si auspica che la scenografia superi la
frammentazione delle quinte e dei cieli. L'architetto Louis Catel nei Vorschläge zur
Verbesserung der Schauspielhäuser (Berlino, 1802) critica la divisione della scena
in una quantità di superfici separate, proponendo un'illuminazione laterale con sei

23 Cfr. Pierre Patte, Essai sur l'architecture théâtrale ou de l'Ordonnance la plus avantageuse à
une Salle de Spectacles, relativement aux principes de l'Optique & de l'Acoustique, Paris: chez
Moutard 1782, pp. 194-195.
24 Ivi, pp. 195-196. La proposta di luce dall'alto ritorna negli stessi termini in A Treatise on
Theatres di George Saunder, pubblicato a Londra nel 1790, cfr. Bergman, Lighting in the
Theatre, cit., p. 219; Carl Friedrich Baumann, Licht im Theater Von der Argand-Lampe bis
zum Glühlampen-Scheinwerfer, Stuttgart: Steiner 1988, p. 70.

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file verticali di riflettori e dall'alto con due file di riflettori appese orizzontalmente.
Si concentrerebbe così quanta più luce possibile al centro della scena. A coadiuvare
la soluzione, propone un palcoscenico dalla profondità ridotta con ampio fondale,
così da evitare quinte 25 .
Ogni uomo di teatro è profondamente cosciente della convenzionalità della di-
mensione scenica; tuttavia si ripropone lungo quasi due secoli la necessità di farla
coincidere con la verità, garantita da una sorta di continuità con le leggi della Na-
tura. Si legga al proposito un dialogo di Goethe del 1798, Über Wahrheit und Wahr-
scheinlichkeit der Kunstwerke26: il problema della dialettica tra Verità e Natura è
affrontato nella forma del dialogo tra l'Avvocato dell'artista e lo Spettatore. Senza
esitazione il primo, portavoce dell'autore, dichiara che la verità interiore è diversa
dall'imitazione della natura: a verità corrisponde il tratto che conferisce all'opera
d'arte armonia e coerenza; essa deve essere fedele a se stessa più che alla Natura.
Lo spettatore è appagato se „alles wohl zusammenstimmt" 27 : quando l'opera è di
valore costituisce un piccolo mondo a sé, dove ogni cosa accade secondo quelle leggi.
La perfetta opera d'arte è creazione della natura nel senso che coincide con la sua mi-
gliore essenza, perché è „übernatürlich" e non „aussernatürlich", „ein Werk des men-
schlichen Geistes, und in diesem Sinne auch ein Werk der Natur" 28 . La Natura offre
insomma un modello di organicità e di armonia, ma ne va imitato solo il principio.
In tale contesto si fa strada la riproduzione pittorica' degli ambienti, immersi
nella luce atmosferica, che culminerà nel XIX secolo. Entro questo nuovo concetto
di illusione il quadro scenico necessita di luce ed ombra, in accordo con le sfuma-
ture dipinte sulla tela, che favoriscano l'immedesimazione dello spettatore.
L'esigenza di luce mobile e dall'intensità variabile, in grado di creare atmosfera
e illusione nel quadro, richiede una luce colorata, capace di accordarsi alla pittura
e di tradurre in scena le cromie della natura: il rosso del tramonto e dell'alba, il blu
della luce lunare. Tale istanza troverà risposta esauriente nel Romanticismo, dove
il quadro della natura viene investito dei moti del sentimento; la sperimentazione
dell'epoca di transizione tra Sette e Ottocento avvia questo processo.
Al fine di creare un'„atmosfera" che avvolga tutti gli elementi della scena,
Schinkel nel Projekt eines Reformhauses (1817) propone un fondale unico, simile
ad un panorama 29 . La luce vi giunge dall'alto in modo naturale. Assimilabile al

25 Cfr. Bergman, Lighting in the Theatre, cit., pp. 211-212.


26 Johann Wolfgang Goethe, „Uber Wahrheit und Wahrscheinlichkeit der Kunstwerke. Ein
Gespräch", in: Sämtliche Werke nach Epochen seines Schaffens, Bd. 4 Wirkungen der Franzö-
sischen Revolution 1791-1797, Hg. K.H. Kiefer, H.J. Becker, G.H. Müller, J. Neubauer und
P. Schmidt, München: Carl Hanser 1982, pp. 89-95.
27 Ivi, p. 91.
28 Ivi, p. 94.
29 Cfr. Franz Benedikt Biermann, Die Pläne für Reform des Theaterbaues bei Karl Friedrich
Schinkel und Gottfried Semper, Berlin: Gesellschaft für Theatergeschichte 1928, pp. 34-35.

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60 Cristina Grazioli

concetto di „unbegrenztes Szenenbild" elaborato da Catel, quello di „symboli-


scher Hintergrund" di Schinkel implica un palcoscenico senza quinte né soffitta:
oltre a favorire il compito del pittore scenografo, la scena ne guadagnerebbe in
luminosità, dato che in uno spazio libero dall'inutile movimento delle macchine la
luce può essere diffusa con libertà, in particolare dall'alto, presentando una scena
chiara e luminosa.
La sensibilità per l'atmosfera assume importanza centrale nella ricerca di Phi-
lippe Jacques De Loutherbourg30, alleato di Garrick al Drury Lane (dal 1772):
negli allestimenti dello scenografo d'origine tedesca, che aveva esposto al Salon
parigino paesaggi nello stile di Salvator Rosa, i giochi di luce dipinti investono
quinte, elementi della scenografia e fondali. L'interesse romantico per la natura, la
ricostruzione dei luoghi, il fascino per l'allusione etnografica invocano una nuova
scenotecnica. De Loutherbourg in una lettera a Garrick del 1772 scrive che intende
inventare scenografie che susciteranno „una nuova sensazione nel pubblico": do-
vrà „mutare la maniera di illuminare la scena, al fine di aiutare gli effetti della pit-
tura"31.
Un episodio singolare dell'avventura visionaria' affidata alla proiezione lu-
minosa è il,teatro in miniatura' di De Loutherbourg, l'Eidophusikon, che apre
i battenti nel 1781; grazie ad un sapiente uso dell'illuminotecnica, a vetri colorati
e a fonti di luce invisibili al pubblico, l'Eidophusikon ricrea il dinamismo della
luce e dei colori nei diversi fenomeni atmosferici e naturali. Una delle soluzioni
più apprezzate è il cielo con nuvole dipinte in colore semitrasparente su tele di
lino, fluttuanti grazie ad un sistema di rulli che fanno scorrere una ventina di metri
di tela tinta d'azzurro e bianco, illuminato dal retro con lampade di Argand (al-
meno nel 1786). Il primo programma, accompagnato da musica, prevede cinque
numeri, ai quali corrispondono cinque momenti del giorno e altrettanti paesaggi
in differenti contesti geografici32. L'Eidophusikon fa a meno di azione e interpreti
umani, lasciando intrawedere la possibilità di un teatro astratto. Tutta la ricerca di
De Loutherbourg è in stretta relazione con le ricerche sulla pittura di paesaggio
ed è interessante notare la vicinanza della sua poetica con gli esiti della pittura di
Turner, leggibile come anticipatore di una rappresentazione della natura che tende
all'astrazione (dove la luce svolge un ruolo essenziale)33.

30 Di origine tedesca (Philipp J a k o b Lutherburg), cresciuto a Parigi e poi trasferitosi a Londra,


rappresenta un caso interessante di mescidazione di influssi recepiti nei diversi ambiti nazio-
nali; per la biografia cfr. R . Joppien, Die Szenenbilder Philippe Jacques de Loutherbourgs.
Eine Untersuchung zu ihrer Stellung zwischen Malerei und Theater, Köln: Dissertation 1972,
pp. 1 - 1 7 .
31 Lettera del 2 6 dicembre 1772, riportata ivi, p. 398.
32 Per una diffusa trattazione dell'Eidophusikon cfr. Joppien, Die Szenenbilder Philippe Jacques
de Loutherbourgs, cit., pp. 3 4 2 - 3 6 6 .
33 In m o d o simile a quanto avverrà qualche decennio d o p o per M o n e t . Su questo aspetto di
Turner cfr. il catalogo della mostra: Raphael Rosenberg, M a x Hollein, ( H g . ) , Turner Hugo

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Luce e illuminotecnica a teatro tra X V I I I e X I X secolo 61

De Loutherbourg a Parigi aveva probabilmente conosciuto il Théâtre d'optique


di Servandoni; sembra trasporre il genere entro la nuova sensibilità preromantica
e contemporaneamente preludere alla tendenza che, privilegiando l'elemento della
visione, produrrà l'immensa schiera dei generi ottocenteschi come diorama, pano-
rama, diaphanorama, neorama e simili.
L'attenzione per il paesaggio e la cura degli effetti atmosferici sono anche indice
dell'inclinazione a creare un'immagine unitaria del quadro scenico. In questo senso
va letto l'utilizzo di trasparenti', nello specifico elementi di stoffa trasparente uti-
lizzati, insieme ad effetti illuminotecnici o proiezioni, per ottenere un rapido mu-
tamento di scena, oppure per realizzare un'atmosfera particolare, sovrapponendo
immagini o colori. In genere il materiale può essere tela sottilissima, garza, carta se-
mitrasparente, oliata o, più raramente, cristallo. Se nel Barocco il fine era quello di
ottenere effetti ottici o illusionistici (le prospettive,all'infinito'), ora l'espediente è
al servizio di un'unità ,più naturale' del quadro scenico, in accordo con le richieste
di verosimiglianza nel senso della trasfigurazione della natura in poesia: uniformità
che le fonti di luce in sé non sono in grado di garantire.
Il modello della Natura funziona così da ideale riferimento che garantisce l'unità
della rappresentazione e la sperimentazione sulla luce in questo senso ne diventa
fattore essenziale. In tale contesto il parallelo tra scena e pittura, presente da secoli
nella riflessione teatrale, acquista alla fine del Settecento nuovo spessore.
Premesso che l'elemento naturale della scena è lo spazio, si può dire che così
come la scenografia tridimensionale contribuisce all'affermazione di una scena
concepita unitariamente, in quanto elimina la contraddizione tra plasticità del
corpo dell'attore e bidimensionalità del quadro, la luce realmente presente sulla
scena è in grado di unificarne gli elementi in quanto abolisce le discrepanze create
dalla luce artificiale, che cozza contro la luce,fittizia' della pittura. È chiaro che un
effetto unitario difficilmente può essere raggiunto fino a che si è obbligati a uti-
lizzare la luce secondo criteri e misure diverse (le leggi della pittura e quelle dello
spazio). Quindi la pittura, che funziona come,modello' ideale nella composizione
scenica (potremmo dire tanto quanto la natura per Goethe deve essere modello di
armonia, ma non venire imitata pedissequamente), d'altro canto viene sempre più
riconosciuta come espressione regolata da coordinate diverse rispetto a quelle della
scena.
Le riflessioni in cui ci si appella alla pittura si possono considerare le più signi-
ficative del XVIII secolo. Il Saggio sopra l'opera in musica di Francesco Algarotti,
pubblicato in diverse edizioni34, oltre che scritto fondamentale per un ripensa-

Moreau. Entdeckung der Abstraktion, Schirn Kunsthalle, Frankfurt, München: Hirmer Ver-
lag 2007.
34 L'edizione che qui interessa è quella del 1763. Per le varie edizioni cfr. Annalisa Bini, Intro-
duzione, in Francesco Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica. Le edizioni di Venezia (1755)
e di Livorno (1763), Lucca: Libreria Musicale Italiana 1989, pp. 7-47.

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62 Cristina Grazioli

mento dell'opera come concezione armonica di poesia e musica (testo, musica,


cantanti, scenografia, luce devono cooperare ad un tutto armonico), contiene una
delle istanze più celebri sul rinnovamento dell'impiego della luce in scena. La pro-
testa contro l'uniformità dell'illuminazione in voga viene avanzata insieme alla ri-
chiesta di un uso della luce contrastato dai forti chiaroscuri: „Mirabili cose farebbe
il lume quando non fosse compartito sempre con quella uguaglianza, e così alla
spicciolata come ora si costuma. Distribuendolo artificiosamente, mandandolo
come in massa sopra alcune parti della scena, e quasi privandone alcune altre, non
è egli da credere che producesse anche nel teatro quegli effetti di forza e quella vi-
vacità di chiaroscuro che a mettere nei suoi intagli è giunto il Rembrante? E quella
amenità di lumi e d'ombre che hanno i quadri di Giorgione o di Tiziano, non saria
forse anche impossibile trasferirla nelle scene" 35 .
La citazione è celebre, perché esemplare, capofila di molte dichiarazioni a ve-
nire: il lume va distribuito e „artificiosamente". Qualche anno dopo Milizia (Trat-
tato formale a materiale del teatro, 1772-1794) segue le orme di Algarotti 36 nel
riferirsi ai grandi pittori che hanno orchestrato luce ed ombra raggiungendo effetti
grandiosi di chiaroscuro: ritornano le espressioni „effetti di forza", „vivacità di
chiaroscuro", „amenità di lumi e di ombre", come nei „quadri del Tiziano e del
Giorgione" 37 . Più esplicitamente di Algarotti difende la coerenza illusionistica: gli
attori non si devono trovare nel fondo della scena, per evitare la sproporzione tra
scenografia dipinta in prospettiva e figura umana 38 . Va abolita la „tripla o quadru-
pla" fila di lumi del boccascena, invenzione che Milizia definisce „barbara", che
abbacina e deforma gli attori 39 .
Significativo in Algarotti anche il richiamo alle vues d'optique: „que' teatrini,
che vanno sotto il nome di vedute Ottico Matematiche; e sogliono rappresentar
porti di mare, combattimenti tra armate navali, e simili altre cose. Il lume vi è in-
trodotto a traverso di carte oliate, che ne smorzano il troppo acuto; e la pittura ne
viene a ricevere un tale sfumamento, un tale accordo, che nulla più" 40 .
Ricorda poi i „Sepolcri" visti a Bologna, dove pitture e rilievi ricevono luce „a

35 Ivi, γ. 68.
36 II passo che si riferisce ai pittori è praticamente identico.
37 Francesco Milizia, „Trattato completo, formale e materiale del teatro (1772)" in: Id., Opere
complete di Francesco Milizia riguardanti le Belle Arti, 1.1, Bologna: Cardinali e Frulli 1826,
pp. 1-172:115.
38 Ivi, p. 114.
39 Ivi, pp. 115-116.
40 Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica, cit., pp. 68-69. Presso il teatro di Goethe a Weimar
Illuminationen, cioè particolari effetti cromatici, si potevano ottenere tirando di fronte alle
luci di quinta telai con carta oliata colorata; cfr. Bruno Th. Satori-Neumann, Die Frühzeit
des Weimarischen Hoftheaters unter Goethes Leitung (1791-1798), Berlin: Gesellschaft für
Theatergeschichte 1922, p. 152.

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Luce e illuminotecnica a teatro tra XVIII e XIX secolo 63

traverso di certe carte oliate poste ne' lunettoni" 41 . Il riferimento va letto nel senso
dell'esigenza di conferire unità al quadro visivo: l'uso di carta oliata per ottenere
colori sfumati sottolinea la necessità di manipolare la luce, di plasmarla, proprio
come il pittore agisce sul colore e sui volumi. La luce si fa strumento nelle mani
di un creatore; non solo, ma si delinea anche l'esigenza di orchestrarla secondo un
principio armonico. Si noti che la pittura viene „smorzata": cioè si adegua al con-
testo scenico dell'insieme, procedimento a cui il metteur en scène sottoporrà tutti
gli elementi della scena.
Anche Noverre, nelle citate Lettere sulla danza (1760), lamenta la mancanza
di unità nella concezione dello spettacolo, nella fattispecie del balletto, dove i vari
artisti sembrano evitarsi accuratamente. Il macchinista dovrebbe presentare i qua-
dri del pittore-scenografo nella prospettiva e con le luci adeguate, componendo i
frammenti di scenografia in modo che formino un unico elemento armonioso. Se
non è dotato dell'„arte di distribuire convenientemente le luci, indebolisce l'opera
del pittore e deforma l'effetto della scenografia. La parte del quadro che deve es-
sere illuminata diventa nera e scura; un'altra che dovrebbe essere privata della luce
risulterà chiara e brillante" 42 . Non si tratta di dotare la scena di una grande quan-
tità di lumi bensì di saper distribuire le luci in parti o masse ineguali, sottolineando
i luoghi che hanno bisogno di molta luce, dosandole in quelle che ne esigono poca,
non illuminando le zone che non lo richiedono. Dato che il pittore di scena deve
utilizzare sfumature e gradazioni per la prospettiva, colui che la illumina dovrebbe,
secondo Noverre, consultarlo per mantenere le stesse sfumature e le stesse grada-
zioni. Una scenografia dipinta su di un'unica tonalità di colore impedisce l'effetto
di lontananza e di prospettiva; lo stesso accade se i frammenti vengono illuminati
con la medesima intensità: „Non vi sarà più intesa, non vi sarà più massa, né con-
trasto, e il quadro sarà senza effetto" 43 .
Pittore-scenografo, macchinista, costumista, maître de ballet, maître de mu-
sique, devono contribuire ugualmente alla perfezione e alla bellezza dell'opera,
seguendo esattamente l'idea originaria del poeta (cioè, nel caso del balletto, del-
l'autore del libretto), che a sua volta deve vegliare scrupolosamente sulla composi-
zione d'insieme. Il suo sguardo deve considerare tutti i dettagli, essenziali dato che,
se non curati, possono rovinare il tutto 44 .
Noverre argomenta accuratamente e a più riprese la convinzione che la luce
vada modellata secondo le leggi della pittura 45 . La scena è paragonata ad un grande
quadro preparato ad accogliere le figure: dunque non solo la coreografia, anche i
costumi devono seguire la composizione prospettica d'insieme: nelle zone più il-

41 Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica, cit., pp. 81-82.


42 Noverre, Lettres, cit., p. 138 (lettera Vili).
43 Ivi, p. 139.
44 Ivi, p. 146.
45 L'analogia ricorre nelle Lettres, soprattutto nell'edizione del 1807.

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64 Cristina Grazioli

luminate andranno quelli più scuri, nelle parti arretrate, più in ombra, risalteranno
quelli chiari 46 .
Il quadro pittorico funziona da modello di composizione unitaria; la luce
quindi dovrà essere usata in modo unitario e armonico. È possibile pensare a que-
sta istanza come legata o addirittura assimilabile ad un principio di regia? Se riper-
corriamo i momenti della storia del teatro in cui ci si è posti il problema della luce
in scena dal punto di vista .artistico', ci rendiamo conto che tali tappe coincidono
con quelle che vengono considerate .proto-registiche', anticipatrici del principio
di mise en scène. Il rapporto tra principio unitario, evoluzione della scenografia ed
evoluzione dell'illuminotecnica conosce una stazione fondamentale nei decenni di
passaggio tra Sette e Ottocento.
Laddove vi è esigenza di un elemento coesivo nella rappresentazione, necessa-
riamente l'attenzione è posta anche sulla luce. Le poetiche in merito la mettono
al servizio della verosimiglianza, che passa attraverso il modello della Natura. E
anche alla fine dell'Ottocento la verosimiglianza (nella sua declinazione e ,fisio-
logica' evoluzione entro il Naturalismo) appare come condizione per l'unità della
rappresentazione.
Si chiariscono così i nessi tra paesaggio e atmosfera (oggetto della ricerca pitto-
rica tardo settecentesca e romantica) e le riflessioni di rinnovamento della scena,
che in modo sempre più stretto si saldano all'affermazione di Hugo del teatro
come visione, „luogo ottico" 47 .
Vogliamo infine richiamare un interessante dibattito, registrato dalla „Gazette
des Tribunaux" 48 nel 1838, avvenuto nel contesto parigino, fondamentale a que-
st'epoca per le innovazioni nella concezione luministica. Il caso registra il divieto
agli scenografi di accedere al palcoscenico, dato che solo autori e compositori vi
erano autorizzati. L'avvocato Bethmont prende le loro difese: i pittori di scene
hanno il massimo interesse dal punto di vista artistico a sorvegliare il buon uso
delle loro tele, sono ,autori' delle scenografie. In particolare l'accento viene posto
sulla necessità di vegliare su di una adeguata illuminazione delle proprie opere: così
come l'autore ha il diritto di entrare in scena quando si rappresenta la sua opera per
vegliare sull'esecuzione, come il musicista ha lo stesso diritto per far cantare la sua
musica, come il coreografo sorveglia l'esecuzione della concatenazione dei passi
che ha creato, perché lo scenografo non dovrebbe avere lo stesso interesse? Come
può il macchinista, senza le prove necessarie, calcolare gli effetti della luce? Si tratta
di un diritto acquisito: „Mai si è allestita un'opera senza chiedere allo scenografo: il
sole deve passare di qui? Che dite della luna?" 49 .

46 Cfr. ivi, pp. 99—100 (VI lettera).


47 Cfr. Umberto Artioli, Teorie della scena dal Naturalismo al Surrealismo. I. Dai Meininger a
Craig, Sansoni, Firenze 1972, pp. 41-65.
48 Cfr. Wild, Décors et costumes du XIX siècle, t. II, cit., p. 307.
49 „Justice civile, Tribunal de commerce de la Seine. Entrées dans les coulisses de l'Opéra", in:

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Luce e illuminotecnica a teatro tra XVIII e X I X secolo 65

Gli scenografi perdono la causa, ma fanno ricorso, e nel verbale relativo al-
l'udienza del 9 marzo 1839 50 Bethmont ribadisce che essi devono essere conside-
rati alle stregua di autori; la loro è una creazione come qualsiasi altra opera d'arte, e
chiama in causa Daguerre: il suo diorama „non esisterebbe se non fosse illuminato
tramite i suoi procedimenti. Le sue scenografie per il teatro non potrebbero che
essere illuminate secondo le disposizioni che lui impartisce e sotto la sua speciale
ispezione". Daguerre prende le difese degli scenografi e comunica loro la propria
opinione: Daguerre chiede che lo statuto di „autore" sia riconosciuto anche al pit-
tore-scenografo. Afferma che „la scenografia si comincia nell'atelier e si compie
sulla scena tramite la luce. A teatro la luce è fittizia. N o n parte da un'unica sor-
gente, è prodotta da corpi luminosi di cui l'artista deve determinare il numero, la
collocazione e l'intensità. N e consegue che l'artista comincia la sua opera dal pen-
siero, la completa con l'intervento degli effetti di luce, e in anticipo calcola quel che
la luce aggiungerà agli effetti dati dal suo pennello; dunque quando arriva in scena,
è come fosse ancora nel suo atelier, ed è solo lì che può terminare il suo lavoro.
Consegnare al macchinista la disposizione dell'illuminazione, significa sacrificare
la scenografia; non sa e non può sapere in quale posizione deve fissare le lampade,
come se ne possano fare convergere i raggi per aumentare la luce, come farli diver-
gere per creare le ombre, come le si deve incrociare per ottenere altri risultati" 51 .
Osservazioni che dimostrano la necessità dello scenografo in scena: a colpo
d'occhio vede se le luci sono ben piazzate, se il macchinista ha omesso di accen-
derne alcune, se hanno la giusta intensità. Alle dichiarazioni di Daguerre ade-
riscono molte altre voci e nella stessa seduta si chiamano in causa „uomini più
competenti in materia", gli autori drammatici, e se ne presenta una petizione.
Drammaturghi come Victor Hugo, Alboise, Ferd. Langlé, Alex. De Longpré,
Lockroy, Anicet-Bourgeois, Giacomo Meyerbeer, firmano un documento in cui
rivendicano la presenza degli artisti scenografi sulla scena, „un diritto per loro e
una necessità per l'arte". Nell'allestimento di un'opera drammatica, è sulla scena
che l'autore e lo scenografo prendono le loro decisioni; lì lo scenografo può ,con-
certare' con il macchinista il gioco della scenografia e la disposizione dell'illumina-
zione. La presenza dello scenografo è necessaria per la buona esecuzione della sua
opera nel corso regolare delle rappresentazioni; il pittore è chiamato ad esaminare
se i quadri e gli accessori che compongono la sua scenografia sono piazzati come
devono, se le luci sono in quantità sufficiente, se hanno il grado d'intensità che
esigono i diversi effetti di luce. L'opera drammatica esige il concorso di diverse arti

Gazette des Tribunaux (Journal de Jurisprudence et des débats judiciaires. Feuilles d'annon-
ces légales), 7 , 8 décembre 1838, audience du 5 décembre.
50 „Justice Civile, C o u r royale de Paris, 1 e r chambre. Les peintres- décorateurs de l'Opéra
contre M. Duponchel - Droit d'entrée dans les coulisses", in: Gazette des Tribunaux, 10
mars 1839, Audience du 9 mars, pp. 475-476.
51 Ivi.

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e conseguentemente la presenza in scena di tutti gli artisti che si sono riuniti per
eseguirla. La necessità di autori e scenografi di incontrarsi in scena fa parte delle
loro abitudini e della tradizione del teatro.
Certamente anche grazie a questa intercessione di alcuni tra i nomi più noti del
teatro francese, gli scenografi vincono la causa (la sentenza ritiene che la prassi
abbia conferito loro diritto d'accesso alle quinte e che all'Académie Royale de Mu-
sique le scenografie sono considerate parte essenziale dello spettacolo).
La vicenda è di estremo interesse: sia perché legata all'introduzione della luce a
gas, e alle conseguenze di questa innovazione sulla scenografia, sia perché marca
il peso di un evento in cui sono coinvolti artisti particolarmente sensibili alle que-
stioni luministiche. Pone in evidenza così la grande questione del rapporto tra
scenografia e illuminazione, stringendo i nessi con la rivendicazione di un'azione
concomitante degli artisti, posta sul terreno a partire da Noverre e sempre più in-
vocata fino alla metà dell'Ottocento.

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