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(1767), in: Id., Oeuvres, t. III Mémoires et rapports sur divers sujets de chimie et de physique
pures, Paris: Imprimerie Imperiale 1865, pp. 1 - 9 0 .
6 Ivi, pp. 1 8 - 1 9 ; aile pagine seguenti tratta i vari tipi di riflettore.
7 Lavoisier, „Mémoire sur la manière d'éclairer les salles de spectacle" (1781), in Id., Oeuvres,
t. III, cit., pp. 9 1 - 1 0 2 .
mesi prima della presentazione al pubblico. Daguerre poté applicare qui le ricerche
che consacrava alle illusioni ottiche. Dai bozzetti rimasti prendiamo ad esempio
il „Palazzo d'Aladino" nell'atto III 8 : mostra una prospettiva d'angolo modulata
dall'ombra e dalla luce; una zona in ombra contorna l'arco in primo piano, oltre
il quale una luce chiara si fa più intensa in lontananza: due lampade poligonali
scendono oltre le volte, in un impianto d'insieme asimmetrico. La luce concentrata
nella parte mediana e sul fondo della scena produce un effetto ,atmosferico' che
avvolge la scena infondendo l'impressione di un quadro unitario.
Gli scenografi di Aladin non sono comuni,pittori di scene': entrambi nelle loro
esperienze dedicano un'attenzione particolare alla luce. Louis-Jacques-Mandé Da-
guerre ha già creato per i mélodrames dell'Ambigu-Comique raffinate scenografie,
apprezzate per gli effetti luministici e ottici (dal 1816 al 1822). Dal 1804 è a Parigi,
presso l'atelier di Degotti (scenografo capo all'Opéra); probabilmente dal 1807 al
1815 è assistente di Pierre Prévost (pittore specializzato in paesaggi e vedute di città)
e diventa pittore di panorami 9 . Attraverso lo studio della luce approda alla nuova
forma spettacolare del diorama. Colpisce i contemporanei il gusto di Daguerre per
i fenomeni naturali (eruzioni di vulcani, incendi, trasparenza dell'acqua), oltre alla
ricerca sul movimento, ottenuto grazie ad effetti di luce e impiego di vedute pano-
ramiche. Utilizzando tessuti colorati di spessori diversi come filtri luminosi al fine
di ottenere effetti inediti, facendo dell'atmosfera e del paesaggio la proiezione di
stati d'animo 10 , rivoluziona il linguaggio della luce in senso romantico.
Pierre-Luc-Charles Ciceri collabora come violinista al teatro d'ombre di
Séraphin in una delle gallerie di Palais Royal. Dopo il conservatorio (forse nel
1804), viene ingaggiato all'Opéra come operaio. Dedica studi al disegno e alla sce-
nografia, e nel 1805 è assunto come pittore di paesaggi nell'atelier di pittura del-
l'Opéra.
8 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque de l'Opéra, Esq. 19 (13), atto III, qua-
dro I, Palais d'Aladin (attribuito a Daguerre). Sul diorama di Daguerre e sulla messinscena
di Aladin cfr. Cristina Grazioli, Luce e ombra. Storia, teorie e pratiche dell'illuminazione
teatrale, Roma-Bari: Laterza 2008, capitoli IV e V.
9 Cfr. Nicole Wild, Décors et costumes du XIX siècle, t. II Théâtres et décorateurs, Paris: Bi-
bliothèque Nationale 1993, p. 305.
10 Su questa concezione della scenografia romantica cfr. Elena Randi, „L',Otello' di Vigny: il
traduttore-weiiear en scène si fa procuratore dell'autore", in: Il Castello di Elsinore, X X I ,
2008,56, pp. 71-106.
11 Cfr. Elena Tamburini, Il luogo teatrale nella trattatistica italiana dell' 800. Dall'utopia giaco-
bina alla prassi borghese, Roma: Bulzoni 1984, p. 9.
12 Molte informazioni in merito all'organizzazione luministica presso l'istituzione parigina e
alle figure preposte (lustrier, chandelier, garçons de théâtre, moucheurs) sono in Jules B o n -
nassies, La Comédie-Française. Histoire administratif, 1658-1757, Paris: Didier 1874, pp.
321-354.
13 Charles Nicolas Cochin, Projet d'une salle de spectacle pour un théâtre de comédie, Paris:
in sala, proponendo sistemi che consentano una luce morbida e naturale, che non
incida sull'illuminazione della scena; chiedono di modificare o di eliminare la ri-
balta, che sfigura i tratti degli attori, oltre a provocare fumo e ad abbagliare la vi-
sta.
Il 1781 segna la pubblicazione di tre opere che trattano della luce a teatro. Gli
autori sono Lavoisier, Cochin e Noverre, tutti da circa vent'anni alle prese con
progetti di riforma della concezione dello spazio teatrale. Lavoisier tiene il di-
scorso all'Accademia, Noverre pubblica le Observations sur la construction d'une
salle d'opéra et programmes de ballets, Cochin le Lettres sur l'Opéra.
Meritano un'attenzione prioritaria le Observations14 di Jean Georges Noverre.
A differenza di altri trattatisti, esperto della prassi scenica, il maître de ballet15, che
nel 1759 aveva pubblicato le Lettres sur la danse et sur les ballets16, entra ora nel
merito di cambiamenti tecnici del sistema luminotecnico esistente. Forte della sua
esperienza di viaggiatore in Italia, Inghilterra, Francia, Germania, considera il pro-
blema dello spazio teatrale nella sua complessità: dalla sicurezza contro gli incendi,
all'esigenza di locali per laboratorio e magazzino di scenografia, alla necessità di
ampi ingressi laterali per le entrate degli attori e per operazioni scenotecniche17.
Secondo Noverre il pubblico non dovrebbe percepire luce dalle quinte, ma so-
prattutto andrebbero eliminate le luci di ribalta: nuocciono al fascino della rappre-
sentazione e affaticano sia attori che spettatori. Deplora l'effetto assolutamente
falso della luce che colpisce l'attore dal basso verso l'alto, contrariamente all'ordine
naturale delle cose: la fisionomia ne viene distrutta, privata dell'espressione e delle
sfumature interpretative, i suoi tratti divengono smorfie. Il proscenio va invece
illuminato dall'alto e dai lati: le colonne dell'avanscena avranno sezione curvilinea,
cave verso il centro della scena, in modo che le zone vuote del semicerchio possano
contenere sorgenti di luce riflesse da un corpo liscio e lucido; le parti laterali della
scena andranno illuminate con masse di luce ineguali, distribuite dalla perizia di un
pittore, che potrà garantire un bell'effetto luministico18.
Vicine a Noverre per posizioni e intenti sono le Lettres sur l'Opéra di Cochin.
La sua proposta di riforma spinge nella direzione della verosimiglianza e dell'il-
chez Charles-Antoine Jombert 1765; rist. anast. Minkoff, Genève 1974, sull'illuminazione
pp. 34-39 ; André Jacob Roubo, Traité de la construction des théâtres et des machines théâ-
trales, Paris: chez Cellot & Jombert 1777, pp. 39-65.
14 Jean George Noverre, Observations sur la construction d'une salle d'Opéra et programmes de
ballets, [Amsterdam 1781] St. Petersbourg: Jean Charles Schnoor 1804.
15 Su Noverre si veda Elena Randi, Pittura vivente. Jean Georges Noverre e il balletto d'action,
Venezia: Corbo e Fiore 1989, per notizie biografiche e bibliografia relativa, cfr. pp. 11-12.
16 Jean George Noverre, Lettres sur la danse et sur le ballet, [Lione 1759 ma 1760] Wien: chez
Jean Thomas de Trattnern 1767; sulle varianti delle edizioni cfr. Elena Randi, Pittura vivente,
cit., pp. 39-42.
17 Noverre, Observations, cit., p. 15.
18 Ivi, pp. 24-25.
19 Charles Nicolas Cochin, Lettres sur l'Opéra, Paris: Cellot 1781, pp. 57-63, 82-83.
20 Ivi, pp. 27-39.
21 Cfr. Lavoisier, Mémoires sur la manière d'éclairer les salles des spectacles cit., pp. 93-94.
22 Ivi, pp. 95—96.
23 Cfr. Pierre Patte, Essai sur l'architecture théâtrale ou de l'Ordonnance la plus avantageuse à
une Salle de Spectacles, relativement aux principes de l'Optique & de l'Acoustique, Paris: chez
Moutard 1782, pp. 194-195.
24 Ivi, pp. 195-196. La proposta di luce dall'alto ritorna negli stessi termini in A Treatise on
Theatres di George Saunder, pubblicato a Londra nel 1790, cfr. Bergman, Lighting in the
Theatre, cit., p. 219; Carl Friedrich Baumann, Licht im Theater Von der Argand-Lampe bis
zum Glühlampen-Scheinwerfer, Stuttgart: Steiner 1988, p. 70.
file verticali di riflettori e dall'alto con due file di riflettori appese orizzontalmente.
Si concentrerebbe così quanta più luce possibile al centro della scena. A coadiuvare
la soluzione, propone un palcoscenico dalla profondità ridotta con ampio fondale,
così da evitare quinte 25 .
Ogni uomo di teatro è profondamente cosciente della convenzionalità della di-
mensione scenica; tuttavia si ripropone lungo quasi due secoli la necessità di farla
coincidere con la verità, garantita da una sorta di continuità con le leggi della Na-
tura. Si legga al proposito un dialogo di Goethe del 1798, Über Wahrheit und Wahr-
scheinlichkeit der Kunstwerke26: il problema della dialettica tra Verità e Natura è
affrontato nella forma del dialogo tra l'Avvocato dell'artista e lo Spettatore. Senza
esitazione il primo, portavoce dell'autore, dichiara che la verità interiore è diversa
dall'imitazione della natura: a verità corrisponde il tratto che conferisce all'opera
d'arte armonia e coerenza; essa deve essere fedele a se stessa più che alla Natura.
Lo spettatore è appagato se „alles wohl zusammenstimmt" 27 : quando l'opera è di
valore costituisce un piccolo mondo a sé, dove ogni cosa accade secondo quelle leggi.
La perfetta opera d'arte è creazione della natura nel senso che coincide con la sua mi-
gliore essenza, perché è „übernatürlich" e non „aussernatürlich", „ein Werk des men-
schlichen Geistes, und in diesem Sinne auch ein Werk der Natur" 28 . La Natura offre
insomma un modello di organicità e di armonia, ma ne va imitato solo il principio.
In tale contesto si fa strada la riproduzione pittorica' degli ambienti, immersi
nella luce atmosferica, che culminerà nel XIX secolo. Entro questo nuovo concetto
di illusione il quadro scenico necessita di luce ed ombra, in accordo con le sfuma-
ture dipinte sulla tela, che favoriscano l'immedesimazione dello spettatore.
L'esigenza di luce mobile e dall'intensità variabile, in grado di creare atmosfera
e illusione nel quadro, richiede una luce colorata, capace di accordarsi alla pittura
e di tradurre in scena le cromie della natura: il rosso del tramonto e dell'alba, il blu
della luce lunare. Tale istanza troverà risposta esauriente nel Romanticismo, dove
il quadro della natura viene investito dei moti del sentimento; la sperimentazione
dell'epoca di transizione tra Sette e Ottocento avvia questo processo.
Al fine di creare un'„atmosfera" che avvolga tutti gli elementi della scena,
Schinkel nel Projekt eines Reformhauses (1817) propone un fondale unico, simile
ad un panorama 29 . La luce vi giunge dall'alto in modo naturale. Assimilabile al
Moreau. Entdeckung der Abstraktion, Schirn Kunsthalle, Frankfurt, München: Hirmer Ver-
lag 2007.
34 L'edizione che qui interessa è quella del 1763. Per le varie edizioni cfr. Annalisa Bini, Intro-
duzione, in Francesco Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica. Le edizioni di Venezia (1755)
e di Livorno (1763), Lucca: Libreria Musicale Italiana 1989, pp. 7-47.
35 Ivi, γ. 68.
36 II passo che si riferisce ai pittori è praticamente identico.
37 Francesco Milizia, „Trattato completo, formale e materiale del teatro (1772)" in: Id., Opere
complete di Francesco Milizia riguardanti le Belle Arti, 1.1, Bologna: Cardinali e Frulli 1826,
pp. 1-172:115.
38 Ivi, p. 114.
39 Ivi, pp. 115-116.
40 Algarotti, Saggio sopra l'opera in musica, cit., pp. 68-69. Presso il teatro di Goethe a Weimar
Illuminationen, cioè particolari effetti cromatici, si potevano ottenere tirando di fronte alle
luci di quinta telai con carta oliata colorata; cfr. Bruno Th. Satori-Neumann, Die Frühzeit
des Weimarischen Hoftheaters unter Goethes Leitung (1791-1798), Berlin: Gesellschaft für
Theatergeschichte 1922, p. 152.
traverso di certe carte oliate poste ne' lunettoni" 41 . Il riferimento va letto nel senso
dell'esigenza di conferire unità al quadro visivo: l'uso di carta oliata per ottenere
colori sfumati sottolinea la necessità di manipolare la luce, di plasmarla, proprio
come il pittore agisce sul colore e sui volumi. La luce si fa strumento nelle mani
di un creatore; non solo, ma si delinea anche l'esigenza di orchestrarla secondo un
principio armonico. Si noti che la pittura viene „smorzata": cioè si adegua al con-
testo scenico dell'insieme, procedimento a cui il metteur en scène sottoporrà tutti
gli elementi della scena.
Anche Noverre, nelle citate Lettere sulla danza (1760), lamenta la mancanza
di unità nella concezione dello spettacolo, nella fattispecie del balletto, dove i vari
artisti sembrano evitarsi accuratamente. Il macchinista dovrebbe presentare i qua-
dri del pittore-scenografo nella prospettiva e con le luci adeguate, componendo i
frammenti di scenografia in modo che formino un unico elemento armonioso. Se
non è dotato dell'„arte di distribuire convenientemente le luci, indebolisce l'opera
del pittore e deforma l'effetto della scenografia. La parte del quadro che deve es-
sere illuminata diventa nera e scura; un'altra che dovrebbe essere privata della luce
risulterà chiara e brillante" 42 . Non si tratta di dotare la scena di una grande quan-
tità di lumi bensì di saper distribuire le luci in parti o masse ineguali, sottolineando
i luoghi che hanno bisogno di molta luce, dosandole in quelle che ne esigono poca,
non illuminando le zone che non lo richiedono. Dato che il pittore di scena deve
utilizzare sfumature e gradazioni per la prospettiva, colui che la illumina dovrebbe,
secondo Noverre, consultarlo per mantenere le stesse sfumature e le stesse grada-
zioni. Una scenografia dipinta su di un'unica tonalità di colore impedisce l'effetto
di lontananza e di prospettiva; lo stesso accade se i frammenti vengono illuminati
con la medesima intensità: „Non vi sarà più intesa, non vi sarà più massa, né con-
trasto, e il quadro sarà senza effetto" 43 .
Pittore-scenografo, macchinista, costumista, maître de ballet, maître de mu-
sique, devono contribuire ugualmente alla perfezione e alla bellezza dell'opera,
seguendo esattamente l'idea originaria del poeta (cioè, nel caso del balletto, del-
l'autore del libretto), che a sua volta deve vegliare scrupolosamente sulla composi-
zione d'insieme. Il suo sguardo deve considerare tutti i dettagli, essenziali dato che,
se non curati, possono rovinare il tutto 44 .
Noverre argomenta accuratamente e a più riprese la convinzione che la luce
vada modellata secondo le leggi della pittura 45 . La scena è paragonata ad un grande
quadro preparato ad accogliere le figure: dunque non solo la coreografia, anche i
costumi devono seguire la composizione prospettica d'insieme: nelle zone più il-
luminate andranno quelli più scuri, nelle parti arretrate, più in ombra, risalteranno
quelli chiari 46 .
Il quadro pittorico funziona da modello di composizione unitaria; la luce
quindi dovrà essere usata in modo unitario e armonico. È possibile pensare a que-
sta istanza come legata o addirittura assimilabile ad un principio di regia? Se riper-
corriamo i momenti della storia del teatro in cui ci si è posti il problema della luce
in scena dal punto di vista .artistico', ci rendiamo conto che tali tappe coincidono
con quelle che vengono considerate .proto-registiche', anticipatrici del principio
di mise en scène. Il rapporto tra principio unitario, evoluzione della scenografia ed
evoluzione dell'illuminotecnica conosce una stazione fondamentale nei decenni di
passaggio tra Sette e Ottocento.
Laddove vi è esigenza di un elemento coesivo nella rappresentazione, necessa-
riamente l'attenzione è posta anche sulla luce. Le poetiche in merito la mettono
al servizio della verosimiglianza, che passa attraverso il modello della Natura. E
anche alla fine dell'Ottocento la verosimiglianza (nella sua declinazione e ,fisio-
logica' evoluzione entro il Naturalismo) appare come condizione per l'unità della
rappresentazione.
Si chiariscono così i nessi tra paesaggio e atmosfera (oggetto della ricerca pitto-
rica tardo settecentesca e romantica) e le riflessioni di rinnovamento della scena,
che in modo sempre più stretto si saldano all'affermazione di Hugo del teatro
come visione, „luogo ottico" 47 .
Vogliamo infine richiamare un interessante dibattito, registrato dalla „Gazette
des Tribunaux" 48 nel 1838, avvenuto nel contesto parigino, fondamentale a que-
st'epoca per le innovazioni nella concezione luministica. Il caso registra il divieto
agli scenografi di accedere al palcoscenico, dato che solo autori e compositori vi
erano autorizzati. L'avvocato Bethmont prende le loro difese: i pittori di scene
hanno il massimo interesse dal punto di vista artistico a sorvegliare il buon uso
delle loro tele, sono ,autori' delle scenografie. In particolare l'accento viene posto
sulla necessità di vegliare su di una adeguata illuminazione delle proprie opere: così
come l'autore ha il diritto di entrare in scena quando si rappresenta la sua opera per
vegliare sull'esecuzione, come il musicista ha lo stesso diritto per far cantare la sua
musica, come il coreografo sorveglia l'esecuzione della concatenazione dei passi
che ha creato, perché lo scenografo non dovrebbe avere lo stesso interesse? Come
può il macchinista, senza le prove necessarie, calcolare gli effetti della luce? Si tratta
di un diritto acquisito: „Mai si è allestita un'opera senza chiedere allo scenografo: il
sole deve passare di qui? Che dite della luna?" 49 .
Gli scenografi perdono la causa, ma fanno ricorso, e nel verbale relativo al-
l'udienza del 9 marzo 1839 50 Bethmont ribadisce che essi devono essere conside-
rati alle stregua di autori; la loro è una creazione come qualsiasi altra opera d'arte, e
chiama in causa Daguerre: il suo diorama „non esisterebbe se non fosse illuminato
tramite i suoi procedimenti. Le sue scenografie per il teatro non potrebbero che
essere illuminate secondo le disposizioni che lui impartisce e sotto la sua speciale
ispezione". Daguerre prende le difese degli scenografi e comunica loro la propria
opinione: Daguerre chiede che lo statuto di „autore" sia riconosciuto anche al pit-
tore-scenografo. Afferma che „la scenografia si comincia nell'atelier e si compie
sulla scena tramite la luce. A teatro la luce è fittizia. N o n parte da un'unica sor-
gente, è prodotta da corpi luminosi di cui l'artista deve determinare il numero, la
collocazione e l'intensità. N e consegue che l'artista comincia la sua opera dal pen-
siero, la completa con l'intervento degli effetti di luce, e in anticipo calcola quel che
la luce aggiungerà agli effetti dati dal suo pennello; dunque quando arriva in scena,
è come fosse ancora nel suo atelier, ed è solo lì che può terminare il suo lavoro.
Consegnare al macchinista la disposizione dell'illuminazione, significa sacrificare
la scenografia; non sa e non può sapere in quale posizione deve fissare le lampade,
come se ne possano fare convergere i raggi per aumentare la luce, come farli diver-
gere per creare le ombre, come le si deve incrociare per ottenere altri risultati" 51 .
Osservazioni che dimostrano la necessità dello scenografo in scena: a colpo
d'occhio vede se le luci sono ben piazzate, se il macchinista ha omesso di accen-
derne alcune, se hanno la giusta intensità. Alle dichiarazioni di Daguerre ade-
riscono molte altre voci e nella stessa seduta si chiamano in causa „uomini più
competenti in materia", gli autori drammatici, e se ne presenta una petizione.
Drammaturghi come Victor Hugo, Alboise, Ferd. Langlé, Alex. De Longpré,
Lockroy, Anicet-Bourgeois, Giacomo Meyerbeer, firmano un documento in cui
rivendicano la presenza degli artisti scenografi sulla scena, „un diritto per loro e
una necessità per l'arte". Nell'allestimento di un'opera drammatica, è sulla scena
che l'autore e lo scenografo prendono le loro decisioni; lì lo scenografo può ,con-
certare' con il macchinista il gioco della scenografia e la disposizione dell'illumina-
zione. La presenza dello scenografo è necessaria per la buona esecuzione della sua
opera nel corso regolare delle rappresentazioni; il pittore è chiamato ad esaminare
se i quadri e gli accessori che compongono la sua scenografia sono piazzati come
devono, se le luci sono in quantità sufficiente, se hanno il grado d'intensità che
esigono i diversi effetti di luce. L'opera drammatica esige il concorso di diverse arti
Gazette des Tribunaux (Journal de Jurisprudence et des débats judiciaires. Feuilles d'annon-
ces légales), 7 , 8 décembre 1838, audience du 5 décembre.
50 „Justice Civile, C o u r royale de Paris, 1 e r chambre. Les peintres- décorateurs de l'Opéra
contre M. Duponchel - Droit d'entrée dans les coulisses", in: Gazette des Tribunaux, 10
mars 1839, Audience du 9 mars, pp. 475-476.
51 Ivi.
e conseguentemente la presenza in scena di tutti gli artisti che si sono riuniti per
eseguirla. La necessità di autori e scenografi di incontrarsi in scena fa parte delle
loro abitudini e della tradizione del teatro.
Certamente anche grazie a questa intercessione di alcuni tra i nomi più noti del
teatro francese, gli scenografi vincono la causa (la sentenza ritiene che la prassi
abbia conferito loro diritto d'accesso alle quinte e che all'Académie Royale de Mu-
sique le scenografie sono considerate parte essenziale dello spettacolo).
La vicenda è di estremo interesse: sia perché legata all'introduzione della luce a
gas, e alle conseguenze di questa innovazione sulla scenografia, sia perché marca
il peso di un evento in cui sono coinvolti artisti particolarmente sensibili alle que-
stioni luministiche. Pone in evidenza così la grande questione del rapporto tra
scenografia e illuminazione, stringendo i nessi con la rivendicazione di un'azione
concomitante degli artisti, posta sul terreno a partire da Noverre e sempre più in-
vocata fino alla metà dell'Ottocento.