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Inga Dunbar

La Bambola di Porcellana
Titolo originale
CANDLEMAKER ROW
© 1992
Indice
1 _________________________________________________ 3
2 _________________________________________________ 9
3 ________________________________________________ 17
4 ________________________________________________ 25
5 ________________________________________________ 36
6 ________________________________________________ 46
7 ________________________________________________ 55
8 ________________________________________________ 60
9 ________________________________________________ 72
10 _______________________________________________ 81
1

Rose si affacciò sulle scale, frastornata. Era sabato 7 settembre 1787 e in


Longcakes Lane era una mattina come tutte le altre. I rumori e gli odori erano quelli
di sempre, eppure qualcosa era profondamente cambiato.
In cima al vecchio campanile di Newhaven le campane suonarono le sette. Meno di
un’ora prima si era verificato un incidente che aveva scosso dalle fondamenta la
tranquilla esistenza di Rose.
Zia Bea le diceva sempre che si muoveva troppo in fretta, e aveva ragione.
Nell’alzarsi dal letto, Rose aveva scostato bruscamente le coperte e aveva fatto cadere
Poo Pay, la sua bambola.
Per nessuna ragazza di quasi diciotto anni la perdita di una bambola può costituire
una tragedia, ma Poo Pay rappresentava per Rose qualcosa di più di un pupazzo con
il volto di porcellana. Per lei era l’ultimo legame con sua madre e con un’infanzia
dimenticata.
Con gli occhi pieni di lacrime Rose si era vestita, ma mentre stava per uscire dalla
stanza aveva notato un luccichio in mezzo ai poveri resti della bambola.
Si era chinata e aveva scorto una catenina d’oro alla quale era appeso un ciondolo a
forma di gabbietta per gli uccellini. Mentre la raccoglieva era rotolata per terra una
monetina d’oro. Senza guardarla. Rose l’aveva presa e se l’era messa in tasca, dove
c’era già lo scellino d’argento di zia Bea.
La sera prima, seduta davanti al fuoco, Mrs Barbour aveva letto sul Caledonian
Mercury che sabato sarebbero iniziate le corse a Leith e aveva deciso di scommettere
su un cavallo chiamato The Moroccan. Aveva dato a Rose uno scellino e l’aveva
pregata di recarsi l’indomani mattina dallo zio George alla Locanda dell’Ippica.
Rose aveva sorriso e le aveva promesso che ci sarebbe andata. Quella delle
scommesse sui cavalli era l’unica debolezza di zia Bea, l’infermiera più famosa e
rispettata di Edimburgo e dintorni. Ogni venerdì sera si svolgeva lo stesso rituale.
Mrs Barbour studiava l’elenco dei cavalli che avrebbero partecipato alle corse e
sceglieva un nome che avesse qualche relazione con lei, seppure molto alla lontana.
Naturalmente vinceva di rado, ma tutte le domeniche, quando arrivava per cena,
George Abercromby le restituiva con qualche scusa il suo scellino.
Mentre scendeva di corsa le scale, Rose si augurò che The Moroccan vincesse.
Non certo per il denaro, perché quello a sua zia non mancava.
Beattie Barbour aveva sposato un capitano di marina che morendo l’aveva lasciata
abbastanza ricca. In più, il suo lavoro di infermiera era assai ben retribuito,
soprattutto quando si prendeva cura di qualche membro delle famiglie più in vista di
Edimburgo. Rimasta vedova, avrebbe potuto trasferirsi nella capitale, ma aveva
preferito restare nel villaggio di pescatori dove era sempre vissuta. Lì aveva tutti i
suoi amici, la bambina che aveva adottato, e George Abercromby, per il quale nutriva
sentimenti molto profondi.
No, pensò Rose con affetto, a zia Bea piaceva l’atmosfera di eccitazione che si
respirava durante le corse. Come tutti quelli che avevano qualche motivo per esserle
riconoscenti, anche lei sperava di poter prima o poi ripagare zia Bea della sua
generosità.
Pensando al futuro. Rose si morse un labbro. Quell’esistenza felice non sarebbe
potuta durare per sempre. Presto avrebbe dovuto cominciare a lavorare per
contribuire al proprio mantenimento, anche se zia Bea non aveva mai fatto cenno a
una cosa del genere.
Beattie continuava a ripeterle che lei era una signora, e anziché avviarla a qualche
mestiere le aveva insegnato a leggere, a scrivere e a far di conto, pregandola però di
non farlo sapere in giro a Newhaven, e di non parlare dei vestiti eleganti e della
biancheria fine che riempivano i suoi armadi.
Perciò Rose indossava ogni giorno i coloratissimi costumi delle mogli dei
pescatori.
Mentre attraversava il villaggio e si avviava verso Leith, dove si trovava la locanda
dello zio George, ripensò alla bambola.
Ricordava ancora il giorno in cui sua madre gliel’aveva regalata e l’aveva chiamata
Poo Pay. Rivedeva la stanza nella quale si trovavano, dove un uomo pallido stava
sdraiato su un divano. Forse si trattava di suo padre, ma non ne era certa.
L’unico altro ricordo che aveva della propria primissima infanzia si riferiva a un
viaggio in nave con sua madre e la bambola, e poi più niente fino a quella corsa in
carrozza.
Forse non avrebbe ricordato nulla di quel terribile viaggio se non fosse stato così
lungo e noioso, e se sua madre non fosse stata così triste. Era ormai calata la sera e si
trovavano ancora sulla carrozza quando Rose era stata svegliata da un terribile
fracasso e da un dolore lancinante alla gamba.
Rose aveva l’impressione di essere sempre vissuta con gli zingari che le avevano
soccorse e assistite. Era stato un periodo felice per tutte e due. Madre e figlia avevano
vissuto con i capi di quella tribù, il re Nathan e la regina Maddy. Il loro carrozzone
era il più bello e il più grande di tutti, sgargiante di colori e di fregi.
Ma sua madre non era rimasta a lungo nel carrozzone reale.
Appena era guarita era andata a vivere con lo zio Leon, il figlio maggiore di
Maddy e di Nathan. Leon era bellissimo e fiero, con i capelli color dell’ebano e un
sorriso smagliante.
Le cose erano andate avanti così per alcuni anni, fino a quella drammatica notte.
Gli zingari stavano festeggiando l’arrivo di una tribù amica ed erano tutti radunati
intorno al fuoco, all’interno del cerchio formato dai carrozzoni. Rose era stata
svegliata dalla musica e si era seduta sui gradini del carrozzone per guardare le danze.
Aveva cercato con gli occhi sua madre, e l’aveva vista in mezzo a un gruppo di
donne, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e il ventre ingrossato. Rose si era
accorta che le zingare stavano cercando di proteggere sua madre da qualcosa,
qualcosa che non doveva vedere. Poi aveva notato che Leon si stava allontanando
verso il bosco in compagnia di Katina, la più bella della tribù. Dopo quella notte sua
madre aveva pianto per giorni interi, finché, una sera, le aveva detto che dovevano
partire immediatamente. Aveva preso la bambola e aveva cominciato a cucirla, anche
se non c’erano buchi nell’abito o nel corpo imbottito di stracci.
«Tieni da conto la povera Poo Pay, cherry. È tutto quello che ti resta» le aveva
detto. Sua madre la chiamava spesso cherry.
Dopodiché c’era stata un lunga corsa in diligenza, e improvvisamente sua madre si
era messa a gemere forte. «Dove siamo?» aveva chiesto al vetturino, e quando
l’uomo le aveva detto che si trovavano a Edimburgo lo aveva pregato di portarla
subito da una levatrice.
Rose ricordava sua madre distesa su delle lenzuola bianche, e una donna grassoccia
che correva avanti e indietro portando pentoloni pieni d’acqua calda.
Rose doveva essersi addormentata, perché quando si era svegliata la stanza era
silenziosa.
Con gli occhi pieni di lacrime, la donna l’aveva presa in braccio. «Povero tesoro»
aveva detto, «tutta sola in questo mondo terribile.» Poi l’aveva portata in un’altra
stanza e l’aveva adagiata su un letto caldo.
Anni dopo, quando aveva cominciato a capire certe cose, Rose aveva chiesto
spiegazioni a sua zia.
«Zia Bea, mia mamma era venuta da te per partorire?»
«L’ho aiutata a partorire» aveva risposto Beattie, piena di tristezza, «ma il bambino
era già morto. Tua madre era piccola e delicata, e il bambino era troppo grosso. Non
ce l’ha fatta. Povero piccino, aveva un ciuffo di capelli neri.»
«Lo immaginavo...»
«Rose, non te l’ho mai chiesto prima... Tuo padre aveva i capelli neri?»
«Penso che mio padre sia morto quando ero molto piccola. La mamma chiuse le
tende della casa dove stavamo... erano lunghe e celesti, con degli strani fiori sul
bordo, e mi fece fare un viaggio. La carrozza ebbe un incidente, e fummo salvate
dagli zingari. La mamma si mise a vivere con Leon. Lui aveva i capelli neri.»
«Dove stavate andando, Rose?»
«Non lo so. La mamma non me l’aveva detto.»
«Tua madre era così bella e fragile, Rose. Tu le assomigli molto, ma per fortuna sei
più robusta. Sei stata felice con me, bambina mia?»
Rose l’aveva abbracciata forte. «Che domande sono, zia? Sai bene che tu e lo zio
George siete per me le persone più importanti!»
«Tua madre mi disse il tuo cognome e il suo» continuò Beattie, «ma era così
debole che non riuscii a capire. Mi dispiace...»
«Non ti preoccupare, zia. Rose Barbour è un bellissimo nome.»
«Forse gli zingari potrebbero aiutarti» aveva detto Beattie. «Ti ricordi che tribù
era?»
«No» ammise Rose. «Ma se sentissi il nome lo riconoscerei.»
Nel frattempo si era alzata una brezza fresca. Rose si tolse il fazzoletto dalle spalle
e se lo mise in testa. Non voleva che il vento le scompigliasse i bei riccioli biondo
ramato che erano la sua sola vanità.
Oltre le dune si poteva già scorgere la Locanda dell’Ippica. Il sentiero si snodava
adesso fra i cespugli di ginestre e l’erba corta e dura. Poco più avanti c’era una
carrozza ferma e un gentiluomo era appoggiato al muretto che circondava il recinto
dei cavalli.
Avvicinandosi, Rose poté ammirare il fisico atletico dell’uomo, gli abiti dal taglio
perfetto e i capelli biondi legati in un codino.
L’uomo non si voltò quando lei gli fu accanto, e continuò a fissare un magnifico
baio chiaro con la criniera e la coda bionde. Non era un cavallo molto grosso, ma i
suoi movimenti erano estremamente aggraziati e correva velocissimo. Rose non
riusciva a distogliere lo sguardo da quell’animale.
«Che bello!» esclamò involontariamente.
L’uomo non sobbalzò e non si voltò verso di lei. Rose si rese conto che doveva
averla vista arrivare.
«Quale cavallo?»
«Oh, il baio. Non è splendido?»
«Sì, è splendida.»
Rose lo guardò in faccia. «Sapete il suo nome?» Gli occhi blu dell’uomo la
lasciarono senza fiato. Poi lui aggrottò leggermente la fronte, come a esprimere la
propria disapprovazione, e Rose si rese conto che non avrebbe dovuto rivolgere la
parola a uno sconosciuto.
Arrossì leggermente e strinse le labbra. In fin dei conti gli aveva solo chiesto il
nome del cavallo! Come osava pensare che lei stesse tentando un approccio? «Vi
prego di scusarmi, signore» disse con voce gelida.
Lui le lanciò una breve occhiata e trasalì, poi la guardò meglio e un lieve sorriso gli
sfiorò le labbra. «E di che cosa?» chiese con distacco. «Mi avete chiesto il nome della
puledra. Questo mi dice che ci vuole una dama di alto lignaggio per riconoscerne
un’altra.»
Che cosa stava dicendo? Stava forse cercando di lusingarla?
Rose alzò gli occhi e vide che l’uomo stava sorridendo apertamente.
«Dovete perdonarmi, signore» ripeté voltandosi per andarsene.
«Aspettate!» Lui le toccò il braccio. «Non andatevene! Non volevate sapere il
nome del cavallo? Si chiama Rose Royale.»
«Grazie» disse lei, allontanando la sua mano. «Addio.»
«Cameron!» chiamò una voce femminile strascicata, e Rose vide due dame
scendere dalla carrozza e avvicinarsi a loro. «Abbiamo pensato di venire a vedere da
vicino una pescivendola, perché non ci capita spesso. Di solito trattano con la
servitù.»
Aveva parlato la più piccola delle due. I suoi riccioli scuri erano sistemati sotto uno
splendido cappello piumato e portava un abito di broccato rosso. Sembrava un
uccello del paradiso. Rose la guardò fisso. L’ira le aveva colorito le guance e i bei
capelli biondo rame spuntavano dal fazzoletto che portava sul capo, incorniciandole
le guance.
«Oh» intervenne l’altra, alta e bionda, vestita più semplicemente, «trovo che il
costume di Newhaven vi stia benissimo, cara. Quelle fuori posto siamo noi, Cornelia.
Abitate a Newhaven o qui a Leith?»
La bionda aveva parlato gentilmente e i suoi occhi blu erano molto simili a quelli
dell’uomo. Rose pensò che dovevano essere parenti.
«Abito a Newhaven» disse, asciutta.
«E allora cosa ci fa a Leith, davanti ai cavalli?» Cornelia fece una risatina maligna.
«Che cosa ne capisce di cavalli una pescivendola? Non trovate che la cosa puzzi un
po’?» E scoppiò di nuovo a ridere per la propria battuta.
Rose ebbe l’impressione che la bruna non volesse vederla in compagnia del
giovanotto.
«Oh, Cornelia!» protestò la bionda.
«Mia cara Cornelia, la signorina se ne intende parecchio di cavalli» intervenne lui.
Rose guardò le piume di Cornelia, che nell’aria umida si erano tutte afflosciate.
«C’è parecchia differenza fra le oneste pescivendole di Newhaven e quelle che, a
quanto pare, si trovano in tutti gli strati della società.»
«Touché!» esclamò il giovanotto mettendosi a ridere. «Mi piacciono le femmine di
spirito, sia su due gambe che su quattro!» I suoi occhi erano adesso pieni
d’ammirazione.
Rose fece un rapido inchino. «Adesso vi prego di scusarmi...» E si allontanò.
«Ma dove state andando?» la chiamò lui. «Vi possiamo dare un passaggio in
carrozza!»
Rose fece finta di non sentire e si mise a correre.
Arrivò alla Locanda dell’Ippica un poco più calma, ma con il fiato corto.
«Rose! Rose!» la salutarono gli avventori.
«Adesso basta, signori!» esclamò George Abercromby lanciando loro un’occhiata
severa. «Oggi qual è il cavallo vincente, Rose?» le chiese quando si fu avvicinata al
banco.
Lei posò lo scellino. «The Moroccan.»
«Oh, oh! The Moroccan, eh?» tuonò lui. «L’ho sempre detto che Beattie Barbour
prima o poi avrebbe scelto un vincente. È un buon cavallo.»
«Puoi puntare il denaro alle tre, zio George?»
«Certo, bambina. Vuoi una tazza di tè?» le chiese accennando al tavolino in un
angolo riservato ai suoi amici.
«Sì, grazie» rispose Rose.
La porta si aprì di nuovo e lei alzò gli occhi. Davanti alla locanda era ferma la
carrozza che aveva visto poco prima e ne stavano scendendo tre persone. George
Abercromby andò a salutare i nuovi arrivati, e mentre passava posò una tazza di tè
davanti a Rose.
«Ah, Mr Kyle!» disse con calore. «È un piacere vedervi di nuovo qui. Cosa posso
servirvi?»
«Le signore vogliono il caffè, George.»
Udendo la voce di Mr Kyle, Rose si fece ancora più piccola.
«Vada per il caffè.» George abbassò il tono. «Il vostro lo farò un po’ più forte.»
Poi chiese: «E cosa mi dite dei cavalli, Mr Kyle? Ne avete qualcuno che corre oggi?».
«Oggi nessuno, George. È sempre la solita storia, mancano i terreni dove allevarli.
Così ne ho solo uno, una puledra che farò correre sabato prossimo.»
«Sabato prossimo? Volete dire per la Caledonian Hunt Cup»
Mr Kyle fece una risata. «Pensate che sia un po’ ambizioso, George? Ma corre
forte, e salta.»
«Ci sarà parecchia competizione, signore» disse George, dubbioso. «Ah, ecco le
vostre ordinazioni. Le porto al vostro tavolo?»
«Portatelo alle signore. Il mio lo bevo qui.»
Rose avrebbe voluto approfittarne per fuggire, ma George tornò subito indietro.
«Sì, George» continuò Mr Kyle. «Ho fra le mani un vero fenomeno. Nessuno sa
niente di lei, eccetto me e un’altra persona. Una signora che ho incontrato questa
mattina vicino ai recinti.»
«Mmm, staremo a vedere» disse George pensoso, poi si rivolse a Rose. «Vuoi
ancora del tè, mia cara?»
Gli occhi di Mr Kyle si posarono su di lei. «Eccola là! È la signora che ho
incontrato questa mattina! Chi è?»
«Volete che vi presenti?» chiese George, e condusse Mr Kyle al tavolo di Rose.
«Rose, mia cara, posso presentarti Mr Cameron Kyle? Questa è Miss Rose Barbour,
signore. La conosco da quando aveva sette anni.»
«Bene, adesso siamo stati presentati, Miss Barbour» disse Mr Kyle prendendole la
mano. «Così non avrete più scuse per scappare via.»
«Felice di conoscervi, signore» disse Rose con freddezza.
Lui continuò a tenerle la mano. «Non dovreste coprire dei capelli così belli.»
«Grazie, signore» rispose lei arrossendo, «ma non avrei dovuto rivolgervi la parola
senza che fossimo stati presentati. È contrario all’educazione che ho ricevuto.» Senza
osare guardarlo negli occhi, riuscì finalmente a liberare la mano.
«Com’è che hai parlato a Mr Kyle, Rose?» chiese George, sorpreso. «Tua zia non
ti permette simili indiscrezioni. Cos’hai combinato?»
«Non ho potuto fare a meno di fare un commento sulla puledra. Questo è tutto.»
«Bene, io non lo racconterò a vostra zia se non glielo racconterete voi» disse Mr
Kyle. «E sono sicuro che Mr Abercromby non parlerà, se glielo chiedo. Va bene
così?»
«Naturalmente, signore, comunque non è probabile che voi incontriate mia zia.»
«Sono accadute cose anche più strane, Miss Rose Barbour. Per esempio il fatto che
abbia incontrato proprio voi, non credete?»
Rose vide nei suoi occhi uno sguardo strano, per metà di apprezzamento e per metà
di sfida.
Quegli occhi blu sembravano avere il potere di ipnotizzarla.
Scuotendo leggermente il capo, si ricompose e fece un piccolo inchino. «È stato un
piacere fare la vostra conoscenza, Mr Kyle» disse senza sorridere.
Lui la guardò fisso per un momento, poi inclinò la testa e fece un piccolo sorriso
obliquo. «Oh, sì, ci incontreremo ancora, Miss Barbour, perché fare la vostra
conoscenza è stato più che un piacere.»
Mr Kyle andò a prendere le signore e con loro uscì dalla locanda.
2

«Allora, Rose, che cosa è successo?» chiese Mr Abercromby.


«Vieni nel retro con me, zio George» sussurrò Rose. «C’è qualcosa di cui ti devo
parlare.»
«E allora?» disse lui quando si furono seduti davanti al fuoco.
«Quel cavallo... Chiunque dopo averlo visto avrebbe fatto lo stesso commento!»
«È tutto? Io e Mr Kyle abbiamo deciso di dimenticare l’incidente, Rose. Il
problema è che tu non hai mai avuto contatti con degli sconosciuti, mia cara. Sono
certo che non ripeterai lo stesso errore.»
«Sì, zio George. Ma non è di questo che ti volevo parlare.» Così dicendo tolse di
tasca la monetina d’oro e gliela mise in mano.
«Dove l’hai presa?» chiese George. «Voglio sperare che non te l’abbia data
qualcuno.»
«In un certo senso sì. Forse mia mamma. È rotolata fuori della mia bambola
quando si è rotta, questa mattina.»
«Fuori della tua bambola? Una sovrana?»
«C’era anche una collana. Forse era tutto quello che le restava.»
«Ma non è una sovrana. Rose» disse George guardando meglio la monetina. «È un
louis d’or, una moneta francese dello stesso valore.»
«E io che avevo deciso di puntarla su un cavallo!»
«Rose!» George Abercromby era scandalizzato. «Sai bene con non devi neppure
pensare una cosa simile. Le signore non giocano d’azzardo! Anche se tu credi il
contrario» aggiunse con un sospiro.
«Pensi che io non sappia di zia Bea? È sempre lo stesso scellino che va avanti e
indietro, non è vero? So che è solo un gioco innocente.»
«Certo. Ma per lei è diverso.»
«Anche per me è diverso, zio George. Un caso speciale, visto che la moneta era
della mamma. Sento che devo usarla così. Manterrai il segreto? E punterai per me la
moneta su un cavallo? Su un campione?»
«Intendi il cavallo di Mr Kyle? Ma non mi ha detto come si chiama!»
«Io lo so. Si chiama Rose Royale. Non credi che sia una coincidenza fortunata?»
George Abercromby guardò il visetto colorito di Rose e seppe che non avrebbe
potuto rifiutarle nulla. Paradossalmente, quella ragazzina era stata il motivo per cui
lui e Beattie non si erano sposati, ma nello stesso tempo era diventata per loro la
figlia che avrebbero potuto avere insieme.
«Parli proprio come Beattie Barbour» osservò ridendo. «La chiami una
coincidenza fortunata, e probabilmente lo danno cento a uno a sfavore! D’accordo, lo
farò. Ma non possiamo dirlo a tua zia.»
«Oh, grazie, zio George! Vorrei che Rose Royale corresse oggi!» esclamò Rose.
Poi chiese: «Zio, chi è Mr Kyle?».
«Il nipote di Lady Susanna Kyle, che è morta di recente. La giovane signora
bionda è sua sorella, Alison.»
Rose avrebbe voluto chiedere chi fosse l’altra, ma non lo fece. «Bene, adesso devo
andare» disse. «Zia Bea si starà chiedendo che cosa è successo.»
«Dille che ci vedremo domani alla solita ora» si commiatò George Abercromby.
Quando Rose arrivò in Longcakes Lane trovò zia Beattie in stato di agitazione.
«Rose!» esclamò. «Dove sei stata? Non ti ricordavi della processione? Partiva da
Edimburgo alle dieci e sarà a Leith per le undici. Se non ci sbrighiamo perderemo il
posto.»
«Devo solo lavarmi il viso e le mani e sistemarmi i capelli, zia Bea.»
Dieci minuti dopo si unirono alla processione che scendeva da Leith Walk e si
dirigeva verso l’ippodromo aprendo la settimana delle corse.
A mezzogiorno giunsero all’ippodromo, che era già affollato di spettatori. In attesa
dell’inizio delle corse passeggiarono un po’ e fecero un picnic sull’erba, e ben prima
delle tre giunsero accanto alle palizzate per assistere alla partenza dei cavalli. La folla
era al colmo dell’eccitazione. Finalmente si udì lo sparo d’inizio e i cavalli partirono.
Al primo giro erano ancora tutti insieme, ma al secondo alcuni cominciarono a
distaccarsi finché non rimasero in testa che due soli cavalli, e poi The Moroccan
tagliò per primo il traguardo. La corsa era finita.
«Hai vinto! hai vinto!» Rose abbracciò sua zia.
Quando giunse il momento di tornare a casa Rose si guardò intorno cercando in
mezzo alla folla l’alta figura di Cameron Kyle, ma lui non c’era. Chissà perché, ci
rimase male.
«Oggi è l’ultimo giorno delle corse di Leith» disse Rose a sua zia il sabato
successivo.
«Sì, tesoro» rispose Mrs Barbour. «Si corre per la Caledonian Hunt Cup.»
«E non vai a vedere?»
«No. Non c’è gusto se non si fa il tifo per un cavallo. E io non ho scommesso su
nessuno. No, mia cara» continuò Mrs Barbour, «oggi staremo a casa e aiuteremo
Pansy Paris a fare le pulizie. Sabato scorso non abbiamo fatto quasi nulla.»
Rose pensò con rammarico che avrebbe dovuto aspettare fino all’indomani per
sapere se Rose Royale aveva vinto. Avrebbe resistito fino al giorno dopo?
L’indomani Rose e zia Bea tornarono dal servizio religioso pomeridiano e si
prepararono per ricevere George Abercromby. George arrivava tutte le domeniche nel
tardo pomeriggio e si fermava per cena.
«Eccolo! Sta salendo le scale, zia Bea» disse Rose correndo ad aprire la porta.
«Salve, George, ti stavamo aspettando» lo salutò Mrs Barbour. «La cena è quasi
pronta. Fra mezz’ora ci mettiamo a tavola.»
«Nel frattempo io e Rose facciamo quattro passi. Vieni, mia cara?» chiese George
strizzandole l’occhio.
«Mettiti il mantello, Rose. Fuori fa freddo» disse zia Bea. «Non più di mezz’ora,
mi raccomando!»
Quando furono usciti da Longcakes Lane, Rose prese il braccio di Mr
Abercromby. «Zio George, se non me lo dici subito scoppio. Cos’ha fatto Rose
Royale?»
«Preparati a uno shock, cara.»
«Oh» mormorò lei. «Allora ha perso?»
«Ha vinto, Rose, e la davano veramente a cento contro uno, perciò tu hai
guadagnato cento sterline, più il louis d’or che avevi puntato.»
Rose afferrò il braccio di Mr Abercromby e si sedette sul muretto del porto. «Oh,
zio George, ma è una cifra enorme! Che cosa ne farò?»
«Be’, mia cara» disse Mr Abercromby facendola rialzare, «dovrai pensarci con
calma. Con un centinaio di sterline si possono fare moltissime cose. Potrebbero
cambiare la tua vita. Sì, forse Rose Royale ha cambiato la tua vita. In ogni caso, ecco
qui il tuo denaro. Nascondi questa piccola borsa sotto il mantello e pensaci su.»
Per il resto della passeggiata rimasero in silenzio.
Quando giunsero all’entrata di Longcake Lane Rose si fermò. «Zio George.»
«Sì, mia cara?»
«Lascia che sia io a dirlo a zia Bea.»
«Speravo che lo facessi» rispose lui con un sorriso.
Finito di cenare, sedettero tutti e tre davanti al fuoco. Di solito a Rose piacevano le
conversazioni della domenica sera, quando zio George raccontava le avventure della
sua giovinezza e zia Bea riferiva i racconti dei viaggi del suo defunto marito. Ma
quella sera era molto quieta.
«Stai bene, bambina? Sei pensierosa e hai mangiato poco» disse Mrs Barbour.
«Sì, sto bene» la rassicurò Rose. «Stavo solo pensando.»
«Mi sembra che tu sia preoccupata. Che cosa c’è?»
«Ho sempre sentito dire che troppo denaro può dare delle preoccupazioni, e adesso
ci credo» rispose Rose sospirando. «Nell’ultima ora e mezza non ho fatto che pensare
ai soldi che ho guadagnato. Guarda!»
Prese la piccola borsa e ne rovesciò il contenuto in grembo a Mrs Barbour.
«Santo cielo! Oh, George!» urlò lei.
«Beattie, calma, calma» disse Mr Abercromby.
«Oh, zia Bea, non volevo spaventarti» disse Rose notando che sua zia era diventata
pallida.
George Abercromby raccontò con molta calma la storia del louis d’or. Quando il
racconto fu terminato Beattie si era ripresa.
«Rose Barbour!» esclamò. «Come hai potuto fare una cosa del genere? Una
giovane signora come te che gioca d’azzardo! E perché voi due state ridacchiando?
Oh, santo cielo, è un sacco di denaro! Quante sterline sono?»
«Cento e una sterline, zia, e sono tutte tue. Anche così sono troppo poche in
confronto a quello che ti è costato mantenermi per tutti questi anni. Non potrò mai
ripagarti. Prendile, zia Bea, te le regalo.»
«Non potrei mai accettare denaro da te. Rose! E comunque è denaro che ti ha
regalato la sorte, e sarebbe di cattivo augurio darlo via. Naturalmente lo conserverò
per te» disse apparendo improvvisamente triste e stanca, «finché non decideremo che
cosa farne. Dovremo pensare anche a questo. Ultimamente ho avuto parecchie
preoccupazioni.»
«Tutti e due le abbiamo avute» disse George Abercromby.
«Per che cosa?» chiese Rose.
«Per il tuo futuro, cara. Il mese prossimo avrai diciotto anni, un’età critica per una
giovinetta. Devi darmi il tempo di pensarci con zio George. Lui prende sempre
decisioni sensate.»
L’argomento venne discusso di nuovo il venti ottobre, una domenica sera. Rose,
nel frattempo, aveva quasi dimenticato il suo denaro.
Avevano finito di cenare da un pezzo e zio George era ritornato alla Locanda
dell’Ippica.
«E così adesso hai diciotto anni, mia piccola Rose» disse zia Bea con un fondo di
tristezza nella voce. «Questi dieci anni sono trascorsi così in fretta!»
Improvvisamente Rose sentì una stretta al cuore. Zia Bea non parlava mai così
seriamente. Che cosa stava accadendo?
«Tuo zio George e io ne abbiamo parlato spesso, in questo ultimo periodo.
Abbiamo pensato che cosa sarebbe meglio per te e per il tuo futuro, Rose.»
Rose non disse nulla e ripensò alla mattina in cui si era rotta la bambola. Tutto era
cominciato allora.
«Anche se preferirei tenerti per sempre qui con me» continuò sua zia, «mi sono
resa conto che non sarebbe giusto nei tuoi confronti. Newhaven è troppo piccola per
te, Rose.»
«Ma qui sono stata felice, zia Bea! E non mi pare che sia troppo piccola.»
«Forse no, mia cara, ma non conosci nient’altro. È giunto il momento che io ti lasci
spiccare il volo.»
«Non voglio andarmene e non voglio lasciarti!»
«Lo so, bambina, lo so... Sarà difficile per tutte e due. Ma dobbiamo farlo. Devo
darti la possibilità di una vita migliore. Per me sei come una figlia, e una madre
farebbe la stessa cosa.»
Una volta presa una decisione, niente avrebbe fatto cambiare idea a Mrs Barbour, e
Rose lo sapeva.
«Bene. E che cosa hai deciso?» le chiese.
«Come sai, ho degli amici a Edimburgo. Molti appartengono a famiglie altolocate
presso le quali ho lavorato. Una di loro è Margaret Scott, la moglie di uno dei più alti
funzionari del tribunale. Ho assistito il loro figlio Walter durante una grave malattia.
Sabato prossimo andrai a casa sua, e lei mi ha promesso di trovarti una buona
posizione. Mrs Scott è degna della massima fiducia.»
«Che genere di posizione? Io non so fare nulla!»
«Non è vero. Rose. Innanzitutto tu vieni da una buona famiglia, come si capisce
chiaramente dal tuo aspetto. Sai leggere, scrivere e far di conto, sai cucire e
dipingere, e hai imparato anche a cantare e a ballare. Inoltre ti ho dato le conoscenze
basilari di igiene e di assistenza agli infermi. Ma, soprattutto, la tua compagnia è
piacevole e interessante. Mrs Scott ti troverà una posizione come dama di compagnia
presso qualche signora della buona società.»
«Quale signora?»
«Lo saprai sabato prossimo, quando incontrerai Mrs Scott.»
«E tu non verrai, zia Bea?»
«Vorrei poterti accompagnare, ma ho promesso a Mrs Balfour di assisterla durante
il parto, che potrebbe avvenire sabato o domenica prossima. Non posso deluderla.»
«No» mormorò Rose con aria afflitta.
«Non è eccitante cominciare una nuova vita?» chiese Mrs Barbour con gli occhi
scintillanti.
«Sei incorreggibile, zia Bea!» esclamò Rose, contagiata dal buonumore di Beattie.
«Sicuramente hai scommesso su di me con zio George. Probabilmente hai ragione tu.
Devo cogliere quest’occasione.»
«La vita è fatta di occasioni. Rose, e bisogna cogliere quelle che ci si presentano.
Non voglio che quando sarai vecchia tu possa rimpiangerle.»
«Ma se la mia bambola non si fosse rotta io sarei potuta restare qui con te, zia.»
«Ti sbagli, mia cara. Come ti ho già detto, saresti partita lo stesso. La fine della tua
bambola è stata in realtà la fine di qualcosa di molto più importante, non è vero?»

Rose annuì. Sua zia aveva capito esattamente come si sentiva. Entrambe
rabbrividirono. Nel camino non erano rimaste che le braci. Mrs Barbour si alzò e
accese le candele. Rose notò che sua zia aveva di nuovo un’espressione triste.
«Capisco i tuoi sentimenti per la bambola, Rose, e spero di averti sempre capita.
Non devi sentirti sola al mondo. George e io ti vorremo sempre bene.»
«Lo so, zia Bea.»
Mrs Barbour prese le mani di Rose. «Tesoro, hai il futuro davanti a te. Oh, come
vorrei essere al tuo posto! Naturalmente il mio spirito è sempre giovane, altrimenti
come farei a pensare a un nuovo matrimonio a quasi cinquant’anni?» esclamò
scoppiando a ridere.
«Zia Bea, non prendi mai sul serio la vita?»
«La prendo sul serio, tesoro. Non per niente l’ho trascorsa aiutando chi nasce e chi
muore. Ma non posso fare a meno di vederne i lati divertenti, grazie al cielo.» Poi
continuò: «Qualsiasi cosa accada, questa sarà sempre la tua casa. Abbiamo una
settimana per preparare le tue cose, e in questa settimana saremo felici, non è vero.
Rose? Niente lacrime e niente addii, mia cara. E adesso veniamo al denaro».
«Lo lascerò qui da te.»
«Ci avevo pensato anch’io, ma questa, casa rimarrà spesso incustodita. Inoltre, a
Edimburgo potresti averne bisogno, perciò lo porterai con te e lo depositerai alla
Banca di Scozia. È la cosa migliore.»
Nei giorni successivi Pansy Paris tirò fuori il vecchio baule del defunto marito di
Mrs Barbour e lo pulì con cura. Tutti gli abiti di Rose furono lavati e stirati alla
perfezione.
«E adesso tocca a te» disse Mrs Barbour il venerdì sera. «L’acqua è calda. Lavati
bene.»
Rose sorrise e si chiese cosa avrebbe fatto sua zia quando non avrebbe avuto più
nessuno a cui badare.
Alle nove, esauste, andarono tutte e due a dormire, ma Rose fece fatica a prendere
sonno.
La mattina dopo indossò l’abito buono della domenica e alle due, dopo aver chiuso
il baule, prese il tè con la zia.
«Ecco i tuoi soldi, Rose» disse Mrs Barbour porgendole un piccolo involto.
«Mettili in fondo alla borsetta. Qui c’è una lettera per Mrs Scott. Non ho menzionato
il denaro, perché la cosa riguarda solo te. Non aprire la borsetta finché non sarai
arrivata, mia cara.»
Alle due e mezza arrivarono i facchini a prendere il baule e un quarto d’ora dopo
Rose e sua zia raggiunsero la diligenza per Edimburgo.
«Al tuo arrivo troverai le portantine e ti farai condurre a casa di Mrs Scott.
Prometti di scrivermi appena arrivi.»
Quando il campanile suonò le tre la diligenza si mise in moto.
«Addio, zia Bea» disse Rose sventolando il fazzoletto affacciata al finestrino. A
poco a poco la figuretta di Mrs Barbour si fece sempre più piccola finché non
scomparve del tutto.
Sola nella diligenza, Rose si appoggiò allo schienale e guardò fuori, pensando che
ogni nuova fase della sua vita cominciava con un viaggio in carrozza. Era un tiepido
pomeriggio d’ottobre, ma lei fu colta da un brivido e si alzò per chiudere il finestrino.
All’improvviso ebbe il terribile presentimento che non sarebbe mai più tornata a
vivere a Newhaven. Il futuro le riservava parecchi guai, ne era certa.
Con un tremendo sforzo cercò di calmarsi, dicendosi che, come nelle due
precedenti occasioni, qualcuno l’avrebbe aiutata.
La diligenza era nel frattempo arrivata a Edimburgo e stava percorrendo Royal
Mile, la via principale della città. Quando giunse in una piccola piazza si fermò.
Rose attese che il vetturino le aprisse la porta e scaricasse il suo baule, poi si
guardò intorno e fu circondata da ogni parte da una folla di uomini vocianti.
Dovevano essere i portantini, ma il loro aspetto la spaventò e la lingua che parlavano
era incomprensibile. Improvvisamente udì una voce maschile secca come una frustata
sovrastare tutte le altre.
«Ve l’avevo detto che ci saremmo rincontrati!» esclamò Cameron Kyle.
Rose gli sorrise timidamente.
«Non dovete avere paura di loro» continuò lui. «Possono sembrare sporchi e
stracciati, ma sono uomini onesti e orgogliosi, congedati dal reggimento delle
Highland. Parlano il gaelico e conoscono poco l’inglese. La prossima volta che avrete
bisogno di una portantina, fate un cenno a uno di loro e dite dove volete andare.»
«Grazie, Mr Kyle» disse Rose con le labbra che le tremavano. «Adesso ne
chiamerò uno.»
«Per questa volta non ne avrete bisogno. Ho detto loro che la mia carrozza è a
vostra disposizione. Vi accompagnerò alla vostra destinazione, Miss Barbour.»
«Non voglio incomodarvi, signore» disse Rose sollevando orgogliosamente il
mento e sfuggendo il suo sguardo. «Comunque, siete stato molto gentile.»
«Insisto. E in ogni caso, Rose Barbour, voi mi avete tormentato per queste ultime
sei settimane» disse con aria cupa. «Andiamo. Dove volete che vi porti?»
Lei abbassò gli occhi. «Al venticinque di George Square, signore.»
«Dagli Scott?» Per un attimo gli brillarono gli occhi. Intanto Rose si accomodò in
carrozza. «Ecco, copritevi le ginocchia con questa coperta» disse lui.
«Non vi avrei riconosciuta se non fosse stato per i vostri capelli» continuò. «Ho
sempre pensato a voi con il costume di Newhaven.»
Lei lo guardò e si pentì di avere accettato il passaggio. «Allora voi e vostra moglie
siete uguali» rispose. «Giudicate le cose da come appaiono.»
«Che cosa volete dire, Miss Barbour?»
«Voglio dire che mi avete presa per una pescivendola, proprio come ha fatto lei.
Ma adesso che mi vedete con un abito diverso avete cambiato l’opinione che vi
eravate fatto di me. Per voi l’abito fa il monaco.»
Mr Kyle le fece un sorriso accattivante. «Dunque, il vostro carattere si accorda ai
vostri capelli, Miss Barbour! Molto interessante. E, comunque, non sono sposato.
Non ancora.»
«Ah» disse Rose. Chi era Cornelia, allora? «Vi chiedo scusa, Mr Kyle. Sono stata
ancora una volta scortese.»
«Voi non potreste essere scortese. Siete troppo distinta.»
«Adesso state di nuovo prendendomi in giro. Distinta?»
«No, non vi sto prendendo in giro. Tutto in voi è distinto. I vostri capelli, il vostro
aspetto e perfino il vostro modo di parlare. Non vi esprimete come una pescivendola
di Newhaven, comunque siate vestita. Ma non avevo bisogno di sentirvi parlare per
capire che siete una signora. E molto bella, oltretutto.»
Rose lo fissò senza riuscire a dire nulla.
«Troppo bella e troppo innocente per essere lasciata priva di scorta accanto ai
recinti dei cavalli alle sette di mattina» aggiunse con severità.
Ecco perché quel mattino lui aveva aggrottato la fronte! Per la prima volta, Rose
gli sorrise.
Vedendo la sua bellezza radiosa, Mr Kyle trattenne il fiato. «Così va meglio»
disse. «E adesso incominciamo da capo. Non pensate di dovermi una spiegazione?
Credevo che viveste a Newhaven.»
«Infatti» mormorò Rose. «Fino a stamattina.»
«E oggi?»
«Oggi sono venuta a vivere a Edimburgo... credo.»
«Con Mrs Scott?» chiese lui dopo una breve pausa.
«No. Ma Mrs Scott mi dirà dove devo andare. Mi ha trovato una posizione come
dama di compagnia.»
«Così non sapete ancora presso quale signora sarete collocata?» chiese lui
aggrottando la fronte.
«No, signore.» Rose tacque, improvvisamente in apprensione.
«Bene» disse lui, «fra poco saremo arrivati. Conosco bene George Square. Ci ho
vissuto fino a poco tempo fa.»
Rose sorrise. Aveva capito che lui stava cercando di farle coraggio.
La carrozza si fermò e il cocchiere scaricò il baule di Rose. Mr Kyle scese e le
tenne aperta la portiera. Salirono insieme i gradini che conducevano al portone e lui
suonò il campanello.
Rose gli tese la mano. «Addio, Mr Kyle. Siete stato molto gentile.»
«Niente addii, Miss Barbour. Adesso so dove ritrovarvi.» Mentre lui parlava la
porta si aprì e apparve una cameriera.
«Mr Kyle!» esclamò. E aggiunse: «Miss Barbour?».
«Sì, Agnes» rispose lui. «Mrs Scott la sta aspettando.»
Udendo le loro voci, una signora con un abito di seta marrone ornato di fiocchi
color avorio arrivò nell’atrio. Aveva un’aria severa e molto elegante.
«Rose! Beattie Barbour mi ha parlato così tanto di voi. Benvenuta, mia cara.
Cameron! Che sorpresa!»
«Ho visto arrivare la diligenza di Miss Barbour e l’ho salvata dai portantini.»
«Così vi conoscete già?»
«Naturalmente.» Mr Kyle sorrise amabilmente a Mrs Scott e nello stesso tempo
lanciò a Rose un’occhiata d’avvertimento. «Ci conosciamo da qualche tempo, anche
se l’incontro di oggi è stato fortuito. Ma non voglio intromettermi, Mrs Margaret. Vi
ho portato Miss Rose e adesso me ne vado.»
«Assolutamente no, Cameron Kyle» disse Mrs Scott. «A meno che non abbiate da
fare.»
«Nulla di urgente» ammise Mr Kyle.
«Allora vi fermerete per il tè. Vi vediamo così raramente! Come sta Alison?»
«Si sta rimettendo, grazie. Mi permettete di dire una parola al mio cocchiere? Il
poveretto mi sta aspettando.»
«Fate pure, caro.»
Mrs Scott si rivolse a Rose.
«Un giovanotto così attraente e di buone maniere! Come l’avete conosciuto, mia
cara?»
«Attraverso mia zia e Mr Abercromby, a Newhaven» rispose Rose.
«Una cosa assolutamente conveniente, ne sono certa.»
Rose si ripromise di menzionare Mr Kyle nella prima lettera che avrebbe scritto a
sua zia.
«Gli ho detto di tornare fra un’ora» disse Mr Kyle rientrando in casa.
«Venite in salotto, Cameron» disse Mrs Scott. «Mentre io scambio due parole con
Rose vi potrete intrattenere con mio figlio Walter. Non ci metteremo molto.»
«Non ho fretta, Mrs Scott, e sarà un vero piacere rivedere il giovane Walter.»
Mrs Scott chiuse la porta del salotto e condusse Rose in una stanza più piccola.
3

«Ho scelto questa stanza perché è meno formale del salotto, mia cara. Qui vi
sentirete a vostro agio.»
Il salottino era davvero molto piccolo, ma aveva un’aria calda e accogliente.
«Accomodatevi pure» disse Mrs Scott.
Rose ignorò le due poltrone ai lati del caminetto e si sedette su una sedia di fronte
alla scrivania, tenendo la schiena dritta e nascondendo i piedi sotto la gonna.
Mrs Scott la guardò con approvazione e si accomodò davanti a lei.
«Spero che stiate bene, Rose.»
«Molto bene, grazie.»
«E la cara Beattie Barbour?»
«Sta bene anche lei, Mrs Scott» rispose Rose aprendo la borsetta. «Vi manda
questa lettera.» Si alzò in piedi e la posò sulla scrivania, poi fece due passi indietro.
«Sì» disse Mrs Scott dopo che ebbe letto la lettera, «è davvero una persona
eccezionale. La cara Beattie è molto dispiaciuta di non avervi potuta accompagnare.»
Rose sorrise con un po’ di tristezza.
«Ma dice che verrà a Edimburgo non appena Mrs Balfour avrà avuto il suo
bambino. Non vuole trascurare nessuno.»
«Oh, lo so, Mrs Scott.»
«Naturalmente non ho bisogno di dirvi nulla di vostra zia, anzi, della vostra zia
adottiva. E lei mi ha parlato parecchio di voi. Vedete, ci conosciamo da quasi sedici
anni. Mio figlio fu colpito da una paralisi infantile quando aveva un anno, e lei riuscì
a guarirlo. Gli raccontava tantissime storie e lo faceva ridere fino alle lacrime.»
«Ci sa fare con i bambini, anche se non ne ha avuti di suoi. Sono stata molto
fortunata» disse Rose.
«Anche vostra zia lo è stata, e per lei è stato doloroso separarsi da voi. Beattie
Barbour merita solo il meglio, e la stessa cosa vale per voi, mia cara. Appena hanno
saputo che sareste giunta a Edimburgo molte dame hanno richiesto la vostra
compagnia, ma io ho scelto quella con le credenziali più impeccabili.»
«Sì, Mrs Scott?»
«Si tratta di Miss Jean Brodie, la sorella del nostro decano Brodie, che in città gode
di grande stima. Nessuno dei due si è mai sposato, anche se lui deve avere
quarantacinque anni e lei quasi trenta. Miss Jean gli fa da padrona di casa.»
«Oh, ma allora Miss Brodie è giovane!» esclamò Rose illuminandosi.
«S... sì, naturalmente, mia cara. È proprio giovane.»
Rose si chiese perché Mrs Scott avesse avuto una breve esitazione. «E dove
vivono?»
«Vivono in Brodie’s Close. La loro famiglia è così importante da avere meritato
che le venisse intitolata una strada. L’attuale decano ha seguito le orme di suo padre,
che era ebanista e carpentiere, e la casa naturalmente è bellissima. Sono sicura che vi
ci troverete bene.»
Rose capì che la conversazione era giunta al termine. «Mrs Scott, vi ringrazio per il
disturbo che vi siete presa.»
«Miss Jean vi aspetta questa sera. Penso che quando l’avrete conosciuta vi piacerà.
È... molto vivace.» Di nuovo le parole di Mrs Scott lasciarono trapelare qualcosa.
«Ma ricordate, cara, che siete libera di consultarmi per qualsiasi difficoltà possiate
incontrare.»
«Siete molto gentile» disse Rose mentre veniva condotta in salotto. Dopo quel
colloquio si sentiva più tranquilla, anche se le esitazioni di Mrs Scott l’avevano
lasciata un po’ perplessa.
«Non avete ancora conosciuto mio figlio» disse in quel momento la padrona di
casa. «Questo è il signorino Walter.»
Il figlio di Mrs Scott non dimostrava più di tredici, quattordici anni, anche se in
realtà doveva averne circa diciassette, aveva un viso infantile ed era alto all’incirca
come Rose. Nei suoi occhi brillava però un’intelligenza straordinaria.
Mr Kyle, che quando erano entrate nella stanza avevano trovato comodamente
seduto su un divano, con le gambe allungate sul tappeto, si raddrizzò
immediatamente e cominciò una conversazione molto formale.
Rose si accorse che cercava di evitare in tutti i modi di accennare alle circostanze
del loro incontro, e arrossì leggermente pensando a come avrebbe reagito Mrs Scott
se avesse saputo come si erano conosciuti in realtà.
Intanto Mrs Scott e Mr Kyle stavano chiacchierando degli ultimi scandali.
«È inconcepibile dover leggere tutte le sere di un nuovo furto con scasso. Mi
chiedo che cosa ne sarà di questa città. Non possiamo più dormire tranquilli»
commentò Mrs Scott.
«Suvvia, mamma» disse suo figlio ridendo, «gli scassinatori non verranno certo in
George Square. Sono più interessati ai negozi e agli stabili di Royal Mile. Quello che
cercano è il denaro.»
«Non dategli retta, Rose. Mio figlio adora inventarsi delle storie. È la sua
principale debolezza.»
«Forse c’è una banda guidata da un capo scassinatore» continuò il giovane Walter.
«Probabilmente si riuniscono nel cuore della notte per organizzare il prossimo
colpo.»
«Che cosa vi ho detto? Vive con la testa nelle nuvole. Sarebbe molto meglio che si
mettesse a studiare se intende fare l’avvocato.»
La pendola nell’atrio batté le ore e dalle finestre si udì il rumore di una carrozza
che procedeva sull’acciottolato e poi si fermava.
Mr Kyle si alzò in piedi. «Temo di dover andare, Mrs Margaret.»
«Dovete per caso attraversare la città, Cameron?»
«Sì, e accompagnerò Rose a destinazione. Il suo baule è ancora sulla mia
carrozza.»
«Oh, benissimo! È una fortuna che vi siate incontrati questo pomeriggio, mio caro
Cameron.»
«Una vera fortuna» confermò Mr Kyle sorridendo e guardando Rose negli occhi.
«Rose, avete tutte le vostre cose? I guanti? La borsetta? Dovete dire a Miss Jean
che le farò visita la prossima settimana.»
«Grazie, Mrs Scott. Riferirò il vostro messaggio.»
Fuori era già buio. Mr Kyle fece accomodare Rose sulla carrozza e le mise di
nuovo la coperta sulle ginocchia, poi respirò profondamente. «L’aria fresca è
piacevole» osservò.
«Molto piacevole» disse Rose.
«Ve la siete cavata assai bene, mi pare.»
«Non tanto quanto voi, Mr Kyle. Devo ringraziarvi per avermi messo subito
sull’avviso.» Rose ripensò con imbarazzo all’infelice incontro sulla strada per Leith.
«Sono rimasta molto colpita dal giovane Walter.»
«Già. Mi pare che abbia più o meno la vostra età.» Mr Kyle sorrise.
Rose si sentì piccata dal suo tono ironico. «Naturalmente preferisco gli uomini più
vecchi» disse.
«È una confessione che mi dà sollievo. Così, vi piacciono gli uomini più vecchi.
Ma di quanto... più vecchi?»
«Voi quanti anni avete, Mr Kyle?»
«Non ho mai incontrato una signora diretta come voi!» Scoppiò a ridere. «Quasi
trenta. Vi basta?»
«Oh, no» rispose Rose pensando allo zio George. «Molto più vecchi! Ho notato
che più vecchi diventano, più gli uomini diventano gentili. Più sono giovani, più sono
crudeli.»
«Comunque sto andando nella direzione giusta non credete?»
Rose lo guardò in volto. «Voi siete stato gentile con me.»
«In cambio mi chiamerete Cameron? E mi permetterete di chiamarvi Rose?»
In effetti lui era abbastanza vecchio, pensò Rose, e per tutto il pomeriggio si era
preso cura di lei. Improvvisamente gli occhi le si riempirono di lacrime di gratitudine.
«Sì» rispose. «Cameron è un bel nome. È deciso, ed è scozzese.»
«Un giorno o l’altro vi dirò quali sensazioni evoca in me il vostro nome.
Purtroppo, ogni volta che iniziamo una conversazione interessante dobbiamo
interromperla. Dove dovete andare, precisamente?»
«In Brodie’s Close, a casa del decano Brodie.»
Ci fu un attimo di silenzio, poi Mr Kyle ripeté lentamente: «A casa del decano
Brodie».
«Sì, da Miss Brodie. Sarò la sua dama di compagnia.»
Nessuno dei due parlò mentre la carrozza si fermava e il cocchiere scaricava il
baule. Scendendo dalla carrozza Rose chiese: «Perché, c’è qualcosa che non va?»
«No, non c’è niente che non va, Rose.» Cameron le sorrise, ma quel sorriso la
insospettì. Lui stava pensando a qualcosa, ne era sicura.
Poi, però, Mr Kyle scosse la testa e disse: «Naturalmente no, Rose. Stavo solo
pensando ad Alison. Quando saprà come ho trascorso il pomeriggio insisterà per
venire a farvi visita».
Rose era certa che lui non stesse affatto pensando a sua sorella. «Allora dovete
riferirle che sarà la benvenuta» disse automaticamente. «È questa l’entrata?»
«Sì, è questa, ma vi accompagnerò fino alla porta.»
Salirono insieme i gradini della scalinata e quando furono davanti al massiccio
portone Mr Kyle tirò il cordone del campanello. Intanto il cocchiere li seguiva
portando il baule, che depositò ai piedi di Rose. Dall’interno della casa si udì un
rumore di passi.
«Sta arrivando qualcuno alla porta. Buonanotte, Rose.»
I passi si fecero sempre più vicini, accompagnati da voci basse. Rose si voltò e
vide Mr Kyle sparire nell’oscurità. Improvvisamente fu assalita da una forte nostalgia
di casa. Finché lui era stato al suo fianco non si era sentita tanto sola.
Qualcuno girò la chiave nella serratura e tirò dei pesanti catenacci, poi finalmente
la porta si aprì. Rose fu accecata dalla luce di una lampada.
«Miss Barbour?» disse la ragazza che teneva aperta la porta.
«Sì. Miss Brodie mi aspetta.»
«Entrate, Miss Barbour. Jessie, levale quella luce dagli occhi. Quello è il vostro
baule?»
«Sì.» Rose sorrise. Davanti a lei c’erano due cameriere.
«Jessie, sorveglia il baule finché non torno ad aiutarti a trasportarlo. Da questa
parte, Miss Barbour. Datemi il mantello, annuncerò che siete arrivata.»
La cameriera aprì la porta di una stanza e Rose rimase a bocca aperta. Era una sala
enorme con il soffitto a volta e i muri rivestiti di legno. Sulla mensola del camino
erano posati due candelabri d’argento e sulla cappa c’era uno splendido dipinto a
soggetto religioso. Il centro della sala era occupato da un grande tavolo circondato da
sedie.
«Miss Jean è pronta a ricevervi» disse la cameriera tornando.
Condusse Rose in un corridoio in fondo al quale c’era una porta chiusa.
Prima di aprirla si fermò e sussurrò: «Non preoccupatevi, signorina. Miss Jean è
un’anima buona, quando si comincia a conoscerla». Poi aprì la porta e la fece entrare.
Non appena Rose vide Miss Brodie seppe che non l’avrebbe dimenticata mai più.
Una figura piccola ed esile si alzò in piedi e la esaminò da capo a piedi, poi cominciò
ad avanzare a passettini incerti.
Indossava un abito da ballo di broccato di un viola molto acceso, con la gonna
esageratamente ampia. La sopragonna era rossa e le scarpine di un bel verde brillante.
Le maniche dell’abito erano adorne di rosette di passamaneria dei colori più svariati e
intorno al collo le pendevano veli e piume. I capelli, tenuti sollevati da un
impalcatura di filo di metallo, erano incipriati e ornati da altre piume, e sempre di
piume era il ventaglio che teneva in mano.
Rose la fissò attonita. Con quell’abbigliamento assolutamente insolito, Miss Jean
assomigliava più a una vecchietta un po’ matta che a una signora di quasi trent’anni.
«Miss Rose Barbour!» Miss Jean prese le mani di Rose fra le proprie e la scrutò in
volto. «Sono così contenta di vedervi! Adesso potete andare, Bilie» disse alla
cameriera, «e chiudete la porta.»
«Grazie, Miss Brodie» disse Rose, «sono contenta di essere qui.»
«Mia cara, dovete chiamarmi Miss Jean e io vi chiamerò Rose. Che bel vestito!
Voltatevi e lasciate che vi guardi.»
Rose si voltò lentamente e sentì le manine di Miss Jean sfiorare con delicatezza la
stoffa dell’abito.
«Ma non portate ornamenti oltre a quella collana d’oro? Che cosa c’è appeso?»
«Me lo sono chiesta spesso, Miss Jean, ma temo di non saperlo. Me l’ha lasciata la
mia mamma.»
Il visino di Miss Jean, così simile al musetto di un gatto, si raggrinzì
improvvisamente. «Anch’io ho perduto la mia cara mamma, Rose. So come dovete
sentirvi. Adesso che lei non c’è più e mio fratello è quasi sempre fuori per i suoi
affari mi sento molto sola.» Fece uno sforzo per calmarsi e sorrise, sistemandosi i
capelli con un gesto patetico. «Ma adesso sarà diverso, non è vero? Potremo
chiacchierare e io vi insegnerò l’arte di vestirsi perché, come potete vedere con i
vostri occhi, sono una grande esperta di moda.»
Rose soffocò una risata. «Sì, Miss Jean.»
Mentre Miss Jean spiegava a Rose i propri segreti, si udirono dei passi nel
corridoio. Poi la porta si aprì e apparve il decano Brodie, completamente vestito di
bianco.
Giacca, camicia, pantaloni e calze erano candidi, e persino i suoi capelli erano
abbondantemente incipriati. Solo le scarpe erano nere. Come la sorella, anche lui era
piccolo ed esile.
Rose non aveva mai visto nessuno che curasse in maniera così ossessiva il proprio
abbigliamento, ottenendo il solo risultato di scadere nel ridicolo.
«Voi dovete essere Miss Barbour!» esclamò. «Io sono il decano Brodie, mia cara,
ma a conoscermi bene sono un tipo gioviale. Non lasciatevi ingannare
dall’imbiancatura dei miei abiti.»
Le sorrise, e nei suoi occhi di un colore indefinito brillò una luce assai inquietante.
Rose si chiese come mai il decano Brodie avesse usato il termine imbiancatura per
descrivere il proprio aspetto.
Quella parola suggeriva inganno e mascheramento, come i sepolcri imbiancati.
Poco dopo cenarono, seduti a un capo del grande tavolo della sala. Il cibo era
squisito, ma Rose lo assaggiò soltanto.
«Voi non state mangiando» osservò Miss Jean.
«È colpa delle emozioni di oggi» disse Rose sorridendo. «Era tutto squisito. Chi ha
cucinato?»
«La nostra cara Mattie» rispose il decano Brodie. «Ormai è anziana, ma mia sorella
non vuole separarsene. È la sua cameriera personale. E la cuoca.»
Quell’uomo emanava un’aura di sicurezza e d’allegria condita con un pizzico di
malizia.
Rose dovette ammettere che benché i due fratelli Brodie fossero decisamente
bizzarri, nondimeno erano divertenti e stimolanti.
«Dovete essere stanca» disse Miss Brodie quando il decano ebbe lasciato la stanza.
«Adesso chiamo Ellie, che vi mostrerà la vostra stanza.» Suonò un campanello
d’argento e pochi attimi dopo la giovane cameriera apparve sulla soglia. «Occupatevi
di Miss Rose, Ellie. E mandatemi Mattie. Sono stanca e penso che andrò a dormire.»
Ellie fece un inchino. «Mattie verrà subito, Miss Jean. Vado a prendere le
candele.»
«E il decano Brodie?» chiese Rose quando Ellie se ne fu andata. «Va a letto anche
lui alle dieci?»
«Quasi mai» rispose Miss Jean con un sospiro. «Spesso comincia a lavorare a
quell’ora e rincasa solo all’alba. Sono contenta che abbiate affrontato l’argomento,
Rose.»
«Sì, Miss Jean?»
«Altrimenti mi sarei dimenticata di avvertirvi che potreste sentire porte che si
aprono e rumore di passi nel cuore della notte. Non vi spaventate, è solo mio fratello
che torna dal suo lavoro notturno. Io non me ne accorgo più.»
«Allora vi auguro la buonanotte. Miss Jean» disse Rose quando Ellie tornò seguita
da una donna anziana.
«Non abbiamo avuto molto tempo per parlare, mia cara» disse Miss Brodie, «ma
domani sarà tutta un’altra cosa. Resterete, non è vero?»
Rose le sorrise. «Sì, resterò, Miss Jean.»
«Dormite bene. Buonanotte, Rose.»
Ellie la condusse su per una piccola scala. «Tenetevi al corrimano, Miss Rose. I
gradini sono ripidi.»
Giunsero su un pianerottolo buio ed Ellie aprì una porta. All’interno della stanza
c’era il baule di Rose.
La cameriera accese altre candele e la camera s’illuminò. «Quando Miss Jean mi
ha dato ordine di preparare una stanza per voi ho scelto questa, Miss Rose. Vi piace
la finestra? Dà sulla strada e c’è una bella vista. Vi abituerete presto ai rumori.»
«Mi piace, Ellie.»
«L’ho pulita e ho fatto prendere aria al letto. Mi sono permessa di tirare fuori la
vostra camicia da notte, visto che era in cima al baule. Al resto dei vostri abiti
penserò domani. Desiderate dell’acqua calda per lavarvi?»
«Oh grazie» disse Rose, un po’ sorpresa che non fosse già pronta.
«Vedete, Miss Rose, il decano e sua sorella non si lavano prima di andare a letto,
ma appena vi ho vista ho messo l’acqua a scaldare.»
Mentre Rose aspettava che la cameriera tornasse, si affacciò alla finestra e guardò
la strada.
Improvvisamente, comparve sul marciapiede una sagoma interamente vestita di
nero.
Se non fosse stato per l’abbigliamento, Rose avrebbe potuto giurare che si trattasse
del decano Brodie.
In quel momento tornò Ellie. «Per cominciare vi aiuterò a spogliarvi, Miss Rose.»
«Sei stata addestrata come cameriera personale, Ellie?»
«Purtroppo no, ma mi piacerebbe. Sono appena stata presa a servizio, e Miss Jean
non addestra la servitù. Ma la vecchia Mattie mi ha insegnato a servire in tavola.»
«Devi avere imparato molto in fretta, perché te la sei cavata bene.»
«Grazie, Miss Rose.» Ellie sorrise mentre strofinava il collo di Rose con una
pezzuola bagnata e poi lo asciugava.
«Mentre ti aspettavo ho creduto di vedere in strada il decano Brodie. Naturalmente
mi sono sbagliata, perché l’uomo era vestito tutto di nero.»
«Oh, allora era lui» disse Ellie arricciando il naso. «Prima di uscire la sera si
cambia sempre.»
«Non è un po’ strano?»
«Volete che vi spazzoli i capelli? Ho sempre desiderato prendermi cura dei capelli
di una signora, e i vostri sono bellissimi.»
«Sì» disse Rose ridendo. «Fa’ pure pratica su di me.» Si sedette davanti allo
specchio e la guardò mentre le spazzolava i capelli.
Ellie era una ragazza alta e abbastanza robusta, con gli occhi azzurri e i capelli neri
tagliati piuttosto corti.
«Tu non porti i capelli lunghi, Ellie?»
«Oh, no, signorina. Siamo undici fratelli, e mia madre taglia i capelli a tutti, così è
più facile tenerli puliti.»
«E tuo padre?»
«È morto tre anni fa, quando avevo quattordici anni. Mia madre ci ha messo un
anno per trovarmi questo lavoro. Devo darmi da fare perché ha bisogno di denaro...
Avete ragione, è strano che il decano si cambi d’abito quando esce di sera. E non è
che tema di sporcarsi, perché ha altri tre o quattro abiti bianchi, e i domestici
continuano a lavarli. La servitù non manca.»
«Perché? In quanti siete?»
«Cinque cameriere fisse. Oltre alla vecchia Mattie e alla piccola Jessie, altre tre
ragazze compresa me. Dormiamo nell’attico qui sopra.»
«Ma che bisogno c’è di tutto questo personale?»
Ellie si mise a ridere. «E oltre a noi cinque ci sono due sarte che vengono due o tre
volte alla settimana.»
«Ah. E sono loro che fanno i vestiti di Miss Jean?»
Ellie annuì e le si formarono due fossette sulle guance, ma non fece commenti.
«Ecco fatto» disse la ragazza ammirando la propria opera. «I vostri capelli
sembrano una cascata di rame.»
Rose rabbrividì. Le era venuta in mente sua madre.
«Ma voi avete freddo! E sicuramente siete molto stanca. Andate a letto, adesso,
Miss Rose. Ma prima mettete il catenaccio alla porta, anche se c’è la chiave, così i
rumori della notte non vi spaventeranno.»
«Sì, so dei rumori» disse Rose chiedendosi come mai Ellie insistesse su quel
punto.
«Allora buonanotte, Miss Rose. Mettete il catenaccio, e domani mattina verrò a
svegliarvi.»
Il letto era tiepido e accogliente, ma Rose non riuscì a prendere sonno. Quella
giornata era stata così piena di emozioni e di esperienze nuove! In particolare era
rimasta colpita dal decano Brodie. Era un uomo così enigmatico e inquietante! E la
povera Miss Jean, attentissima all’abbigliamento eppure vestita in maniera così
assurda, una specie di caricatura...
Tutti i rumori provenienti dalla strada erano cessati e Rose fu innervosita da quel
silenzio. Improvvisamente ricordò che era tutta sola lassù. Se qualcuno fosse riuscito
ad aprire la porta della sua camera nessuno se ne sarebbe accorto, e nessuno l’avrebbe
sentita urlare. Ma la porta era chiusa a chiave e i massicci catenacci erano stati tirati.
Poi pensò al suo denaro. Era ancora nascosto sotto il letto dove lei lo aveva riposto.
L’indomani sarebbe dovuta andare a depositarlo in banca. Tutti quei discorsi sui furti
a casa di Mrs Scott le avevano fatto una certa impressione.
Rose rimase immobile e tese l’orecchio, ma non udì alcun rumore sospetto. Proprio
mentre stava per addormentarsi fu colta da un pensiero che la ridestò completamente.
Cameron Kyle aveva detto che sua sorella Alison sarebbe andata a trovarla. E lui?
Probabilmente non l’avrebbe visto mai più. Non sapeva nulla di lui, se non che
possedeva quella splendida cavalla, Rose Royale, e che sua sorella si chiamava
Alison. Ma in che rapporti era con Miss Cornelia? E dove abitava? Se almeno fossero
diventati amici! Quando finalmente si addormentò, Rose aveva le ciglia bagnate di
lacrime.
4

Rose fu svegliata dall’abbaiare dei cani, dalle urla di un uomo e dal rumore di
porte che sbattevano. Doveva essere molto presto, perché attraverso i vetri filtravano
le prime luci dell’alba. La città si stava svegliando.
Dopo un po’ si alzò e aprì le finestre. I rumori che provenivano dalla strada le
tennero compagnia e la fecero sentire meno sola, ma quando tornò a letto si
ripresentarono i quesiti del giorno precedente.
Quando fu completamente chiaro, Rose poté guardarsi intorno e notò i bei mobili
che arredavano la camera che le era stata assegnata. Poi vide il baule posato ai piedi
del letto, col coperchio ancora sollevato, e pensò che in fin dei conti non era costretta
a rimanere in quella casa. Avrebbe potuto alzarsi, vestirsi, riporre le proprie cose e
prendere la diligenza che l’avrebbe riportata a Newhaven. Più ci pensava più si
convinceva che quella era la soluzione. Era sul punto di scendere dal letto quando udì
bussare alla porta.
«Miss Rose, sono Ellie.»
Con un sospiro Rose si alzò e andò ad aprire.
Ellie teneva fra le mani una brocca piena d’acqua calda. «Voi non avete dormito»
disse non appena la vide.
«No. Colpa di tutte queste novità, Ellie.»
«Colpa delle novità e della solitudine, proprio come vi avevo detto» disse la
cameriera con una punta di trionfo nella voce. «Ma presto rimedieremo, non vi
preoccupate, Miss Rose. Quando vi sarete lavata e vestita e avrete fatto colazione vi
sentirete molto meglio.»
«Forse» mormorò Rose lanciando un’occhiata al baule.
Ellie notò quello sguardo e nei suoi occhi passò un lampo di determinazione.
«Vado a prendervi la colazione, Miss Rose. Ci metterò mezz’ora circa. Nel frattempo
lavatevi e cominciate a vestirvi.»
Quando la cameriera se ne fu andata, nella stanza calò di nuovo il silenzio.
Nonostante i rumori provenienti dalla strada, il sole che splendeva e il fuoco nel
caminetto, Rose si sentiva sola e depressa. Se fosse rimasta di quell’umore non
avrebbe potuto certo fare la dama di compagnia...
Aveva a malapena finito di vestirsi che ritornò Ellie con un vassoio.
«Miss Rose, è tutto a posto! Ho incontrato il decano mentre stava uscendo. Ha
approvato la mia idea e mi ha mandata da Miss Jean.» La ragazza sorrise. «Era il
momento migliore per chiederglielo, perché era mezza addormentata. Comunque ha
detto di sì!» Mise una tovaglietta sul tavolino accanto al letto e vi posò sopra una
brocca di latte, una ciotola di porridge, la teiera, il pane e il burro. «Va bene così?»
«È quello che mangiavo sempre a casa» rispose Rose. «Ma quale sarebbe la tua
idea?»
Ellie esitò e abbassò lo sguardo. Sembrava nervosa e confusa. «Ieri sera mi sono
ricordata di come mi sono sentita io la prima notte che ho trascorso fuori casa, Miss
Rose. Ho pensato che anche voi vi sentiste sola e piena di nostalgia.»
«Oh, Ellie, che cosa hai fatto?»
«Avrei dovuto chiedervelo prima, non è vero?» La ragazza era tutta rossa e gli
occhi le si erano riempiti di lacrime. «Dovete perdonarmi, ma ho ottenuto il permesso
di essere la vostra cameriera personale una volta terminati i lavori che mi spettano, e
mi è stato concesso di dormire nella stanzetta accanto alla vostra.»
Rose si sentì subito meglio. «Oh, Ellie!» esclamò di nuovo, e poi si mise a ridere.
«Se non avessi avuto un’idea così brillante ti assicuro che non avrei avuto il coraggio
di restare!»
Ellie sorrise e si asciugò gli occhi. «Ho visto come avete guardato il baule.»
Rose si rese conto di essere affamata. Il porridge era salato al punto giusto, e il
latte proprio come piaceva a lei, appena munto e ben freddo.
«Chi l’ha preparato?»
«Io, miss Rose. Sono la prima ad alzarmi la mattina e servo la colazione al decano
in sala da pranzo.»
«Da domani non disturbarti, Ellie. Suppongo di dover fare colazione col resto della
famiglia. A che ora mangiano?»
«Il signorino Will, come vuole essere chiamato in casa il decano Brodie, fa
colazione alle otto in punto... indipendentemente dall’ora in cui è rincasato dopo il
lavoro notturno» aggiunse dopo una breve esitazione.
«Oh... e Miss Jean?»
«Miss Jean non si vede mai prima di mezzogiorno. Perciò voi non siete tenuta a
scendere per la colazione. Ve la porterò io.»
La sera prima Ellie aveva insistito perché tirasse il catenaccio e quella mattina
stava cercando di convincerla a non scendere alla mattina presto. Per quale motivo?
Quella casa era piena di misteri.
«Grazie, Ellie» disse Rose dopo una lieve esitazione. «Hai detto che Miss Jean non
appare prima di mezzogiorno?»
«Mai» rispose Ellie con sussiego, come se avesse potuto dire molto di più ma
preferisse non farlo. «Perciò non dovete avere fretta. Abbiamo tutto il tempo per
disfare il vostro bagaglio. Dovete solo dirmi dove volete che metta le cose. Poi
porterò via il baule, e spero che non me lo richiederete molto presto.»
«Oh, Ellie, sono così contenta che tu sia stata la prima persona che ho incontrato
questa mattina, altrimenti non so cosa avrei fatto!»
«Presto prenderemo le nostre abitudini» disse Ellie sorridendo, «e credo che
diventerò esperta con i vostri riccioli.»
Rose ripensò a quello che le aveva appena detto la cameriera e la guardò nello
specchio mentre la pettinava ma i suoi occhi azzurri erano seri e imperscrutabili.
Com’era possibile che il decano Brodie lavorasse fino alle prime ore del mattino?
E Miss Jean andava a letto prestissimo e si alzava molto tardi... Come mai la sorella
aveva tanto bisogno di dormire e il fratello non ne aveva affatto?
Ci volle un bei po’ di tempo per svuotare il baule e sistemare i vestiti di Rose.
«Bisogna stirare tutte le pieghe. Miss Rose. Lasciate fare a me. Adesso vado a
prendere Jessie, che mi aiuterà a portare via il baule, e quando tornerò indietro sarà
ora di andare da Miss Jean.»
Appena le due cameriere se ne furono andate con il baule, Rose colse l’opportunità
per controllare la borsetta col denaro. Quel giorno non avrebbe avuto il tempo di
portarlo alla Banca di Scozia, perciò doveva trovare un posto dove nasconderlo.
Esplorando la scrivania si accorse che aveva dei cassetti segreti e decise di riporre lì
le sovrane. Ma quando aprì la borsetta si accorse che ve n’erano ben più di cento. Lo
zio George e la zia Bea dovevano avere raddoppiato il suo piccolo tesoro.
Prima che tornasse la cameriera, Rose chiuse a chiave il cassetto segreto e fissò la
chiave alla fodera della borsetta.
Quando il campanile di St. Giles suonò le undici Ellie disse: «Adesso dovrebbe
essere sveglia. Vi accompagno giù».
«Troverò la strada da sola» rispose Rose. «Tu hai già abbastanza da fare. Questa
sera sarà tutto diverso.»
Si avviò giù per le scale senza notare lo sguardo ansioso della cameriera.
Quando Rose bussò alla porta del salottino di Miss Brodie il cuore le batteva forte.
«Entrate» disse una voce acuta e lamentosa, e Rose si trovò faccia a faccia con la
vecchia Mattie.
«Sì?» La donna la guardò con diffidenza. «Che cosa volete?»
«Miss Jean desidera vedermi?» chiese Rose, intimidita da quell’accoglienza.
«Aspettate lì» borbottò Mattie. «Vado a vedere.» Entrò nella camera da letto di
Miss Jean e sbatté la porta in faccia a Rose.
Gli abitanti di quella casa erano veramente strani, si disse lei. Mattie, per esempio,
sembrava gelosa, ma perché mai?
Nella stanza, che sapeva di chiuso, aleggiava sopra tutti gli altri un odore
dolciastro. Rose si stava chiedendo di che cosa si potesse trattare quando la porta
della camera da letto si riaprì.
«La mia padrona vi riceverà subito» annunciò Mattie.
«Grazie.» Rose sorrise ed entrò nella stanza di Miss Jean. Lì quello strano odore
dolciastro era ancora più forte.
«Buongiorno, Miss Jean. Spero che stiate bene.»
«Molto bene, mia cara. Alla mattina mi ci vuole un po’ di tempo per rimettermi in
sesto, tutto qui. Sbaglio o prima è venuta Ellie?»
«Le avete dato il permesso di dormire nella stanza vicino alla mia, Miss Jean. È
stato molto gentile da parte vostra.»
«È vero, mia cara. L’avevo dimenticato. In realtà stavo pensando ai guanti.»
«Ai guanti?»
«Sì, cara, oggi sono i guanti. Tutti i giorni con qualsiasi tempo, vado a fare qualche
commissione. Oggi devo comprare una camicia bianca per il decano e dei guanti per
il mio vestito nuovo. Ve l’ho mostrato?»
«Credo di no, Miss Jean.»
Rose non avrebbe creduto che i vestiti da giorno di Miss Brodie potessero essere
ancora peggio di quelli da sera. Quella mattina indossava uno sgargiante abito rosso e
arancione che enfatizzava il colorito rossastro delle guance.
«Vi piace, Rose?»
Se non altro il vestito nuovo era tutto dello stesso colore, un marrone spento.
«Una volta decorato sarà un abito da giorno veramente utile» rispose Rose con
molto tatto.
«Oh, che cosa vi avevo detto? Io non sbaglio mai con la moda!» esclamò Miss
Brodie. «E le decorazioni sono così divertenti, non è vero? Come le sistemeremo?»
«Forse sarebbe meglio incominciare con i guanti, come avete detto voi. Magari di
un bell’azzurro?»
«È quello che pensavo anch’io, mia cara. Staranno molto bene con quest’abito
grigio chiaro.»
Rose la fissò sconcertata. L’abito era marrone.
«Sì, andremo a comprare dei guanti azzurri. Siete pronta, Rose?» Miss Brodie non
attese risposta e si avviò alla porta d’ingresso. Prima di uscire prese un bastone da
passeggio con il pomo d’argento. «E adesso andiamo» disse. «È una bellissima
giornata.»
Con la sua gonna larghissima e il suo bastone, Miss Brodie occupava quasi tutto il
marciapiede, costringendo i passanti a farsi da parte per lasciarla passare.
La gente si voltava a guardarla e sorrideva di commiserazione, e Rose si accorse di
provare un forte istinto di protezione nei confronti di quella ragazza così eccentrica.
In quel momento decise che avrebbe provato ad aiutarla.
«Per prima cosa facciamo un intervallo» disse Miss Brodie dirigendosi verso un
caffè. «A Edimburgo tutti quelli che contano a mezzogiorno fanno un intervallo. I
gentiluomini bevono un bicchiere di brandy e noi signore una tazza di caffè.»
Rose non poté fare a meno di notare che la bevanda di Miss Brodie aveva un
aroma diverso dalla sua, un aroma che le ricordava il caffè corretto col brandy che
Cameron Kyle aveva bevuto alla Locanda dell’Ippica. Comunque, le fece un effetto
benefico e la mise di buon umore.
«Ecco la bancarella di cui vi ho parlato» disse Miss Brodie poco dopo. «Guardate
quanti guanti!»
Ne scelse un paio e li pagò una somma esorbitante senza battere ciglio, poi li
mostrò a Rose mentre si allontanavano.
«Ma voi li volevate azzurri, Miss Jean. Uno di questi è verde e l’altro grigio!»
«Sul serio, cara? Ha importanza?»
«Sì, ne ha.»
«Bene, tornate indietro e cambiatemeli, per favore. Io devo andare in High Street
per comprare la camicia per mio fratello.»
Miss Brodie si allontanò velocemente, lasciando Rose con i guanti in mano.
Tornata alla bancarella, lei li mostrò alla venditrice. «Be’?» disse la donna. «Tanto
non si accorge della differenza.»
Dunque, tutti sapevano che Miss Brodie era daltonica e tutti se ne approfittavano.
«Forse lei non se ne accorge» rispose Rose guardando fisso negli occhi la
venditrice, «ma io sì.»
La donna sbuffò irritata.
«E anch’io» disse una profonda voce maschile alle spalle di Rose. Lei non ebbe
bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenesse quella voce e sentì un brivido lungo
la schiena.
L’espressione di Cameron Kyle era gelida. «Anch’io mi accorgo della differenza,
Mollie Simpson. Che cosa pensate di fare?»
«Oh!» esclamò la donna. «Non vi avevo visto.»
«No?» Lui sorrise minacciosamente. «Vi dico io che cosa farete. Permetterete a
Miss Barbour di scegliere i guanti che desidera.»
«Prego, signorina. E se voi dimenticherete il mio errore, io dimenticherò il prezzo,
visto che siete voi, signore.»
Rose scelse un paio di guanti azzurri e Cameron lasciò cadere una moneta sul
banco.
«Non dimenticherò proprio niente, Molile Sirnpson. E soprattutto non mi
dimenticherò di dire alle signore della mia famiglia e alle loro amiche di non venire
più a fare acquisti da voi.»
Furibondo, si allontanò con Rose mentre Molile Simpson continuava a protestare
con voce stridula la propria innocenza.
«Perché non siete in compagnia di una delle cameriere?» domandò a Rose con
severità.
«Oh, Miss Brodie non è lontana. Mentre io cambiavo i guanti è andata in High
Street.»
«Allora permettetemi di accompagnarvi. Non dovreste andare in giro da sola, avete
capito, Rose? Le signore non vanno mai da sole.»
Rose si sentì prendere dallo scoraggiamento. «Se non fossi stata da sola, quel
giorno, non mi avreste mai conosciuta» disse piena d’indignazione.
«Penso che abbiate capito che non approvavo neppure allora.»
«Ma vi ho dimostrato di sapere badare a me stessa, e posso farlo anche adesso.
Non siete il mio guardiano.»
«Almeno per il momento lo sono» le assicurò lui.
«Quel giorno avreste potuto incontrare qualche malintenzionato. E, comunque,
quella venditrice non aveva alcuna intenzione di cambiarvi i guanti né di rendervi il
denaro. Edimburgo non è come Newhaven, Rose. Qui può capitare di tutto.»
Rose dovette ammettere che lui aveva ragione. In fin dei conti Mr Kyle stava solo
cercando di prendersi cura di lei. «Siete veramente gentile a preoccuparvi così per
me» mormorò.
Nel frattempo si erano incamminati lungo High Street.
«Non è un problema.» Lui sorrise guardandola negli occhi. «Continuo a cercare di
dimostrarvi che è solo un piacere, per me. Le cose cambieranno quando finalmente
sarà un piacere anche per voi. Nel frattempo, mentre voi vi decidete, vorrei portarvi a
vedere un negozietto qui vicino.»
Mr Kyle la condusse in un locale molto scuro che sembrava una cantina. Mentre
Rose si abituava all’oscurità percepì dei profumi paradisiaci, fra i quali riuscì a
distinguere la rosa e il garofano, il limone e la lavanda.
«Oh, che meraviglia!» esclamò.
«James, siamo venuti a cercare del profumo da inserire nel piccolo ciondolo d’oro
della signora» disse Mr Kyle all’uomo dietro il banco.
Un intero vassoio pieno di palline di cera dai profumi più diversi venne subito
mostrato a Rose.
«Per il mio ciondolo d’oro?» chiese lei.
«Quella piccola gabbietta per gli uccellini che portate sempre appesa al collo è
stata disegnata per contenere una pallina profumata. Era molto di moda a Parigi,
anche se a Edimburgo non ne ho mai viste prima. E voi, James?»
«Oggi non se ne vedono quasi più» disse una voce roca.
«Era di mia madre» spiegò Rose, e subito dopo si pentì di avere parlato. Non
voleva che qualcuno sapesse di sua madre o del suo passato.
«Scegliete una pallina, Rose» disse Mr Kyle.
«Non posso. Mi piacciono tutte.»
«Allora prenderemo quella col profumo di rosa» disse Cameron. «La rosa rossa è il
fiore più appassionato, e si adatta bene alla signora che lo indosserà.»
Lo sguardo di Mr Kyle era ardente, ma lo fu ancora di più il tocco leggero delle
sue dita mentre apriva la gabbietta e vi collocava la pallina profumata.
Quando uscirono dal negozio Rose era ancora scossa. «Come sapevate della
gabbietta?» gli chiese per nascondere il proprio imbarazzo.
«Vado in Francia per affari, e le ho viste lì.»
«In Francia? E ci andate spesso?»
«Tutte le volte che posso, con ogni pretesto.»
«Oh... e avete amici laggiù?»
«Sto ancora cercando qualcuno... e qualcosa... che ho perso. Il problema è che non
so da dove cominciare.»
Rose stava ancora pensando a quello che lui aveva detto quando Miss Brodie
apparve sulla soglia di un negozio. Non riusciva a piegare i cerchi della gonna e a
reggere i pacchetti contemporaneamente, così era rimasta prigioniera.
A un certo punto il suo bastone da passeggio le sfuggì di mano e cadde a terra.
«Permettetemi di prendere i vostri pacchetti, signora» disse Mr Kyle mentre Rose
l’aiutava con la gonna.
«Grazie, signore. Rose, mia cara, cosa possiamo fare?»
«Dobbiamo inserire nei vostri abiti dei cerchi più stretti e più leggeri, Miss Jean.
Questi sono troppo grandi per voi.»
«E voi, signore... Mi avete detto come vi chiamate?»
«Questo è Cameron Kyle, Miss Brodie» disse Rose.
«Dovete avere pensato che fossi la mia povera mamma, signore, se mi avete
chiamata signora.»
«Vi chiedo perdono, ma vedete, il vostro bastone da passeggio mi ha indotto in
confusione. Di solito li usano le signore anziane, non è vero? Ma adesso vedo che
siete giovane e anche carina» aggiunse con galanteria. «Posso scortarvi a casa?»
Mr Kyle aveva fatto un’altra conquista.
Rose era certa che Miss Jean Brodie non avrebbe mai più usato il suo bastone da
passeggio.
La passeggiata fino a Brodie’s Close fu molto piacevole.
«Sbaglio o Mrs Scott verrà da voi per il tè sabato pomeriggio, Miss Brodie?»
chiese Cameron.
«Oh, sì» rispose lei, tutta eccitata. «È così gentile! Ma come fate a saperlo,
signore?»
«Mia sorella Alison è una sua amica, e sarebbe onorata se potesse accompagnare
Mrs Scott. Ha conosciuto Rose e vorrebbe rivederla.»
«Dovete dire a Miss Kyle che l’onore sarà tutto mio» rispose Miss Brodie.
«Naturalmente mi farà molto piacere ricevere gli amici di Rose.» Il suo volto
s’illuminò. «Accompagnerete voi le signore?»
«Temo che le signore la considererebbero un’intrusione maschile» rispose lui
ridendo. «A meno che non siano presenti anche altri gentiluomini.»
«Oh, no, Mr Kyle, non ci sarà neppure il mio caro fratello. Ma noi signore
gradiremmo molto la vostra compagnia.»
«Allora il mio cocchiere le condurrà qui, e io farò in modo di venirle a prendere.»
«In tal caso servirò il tè alle quattro e mezzo e ci sarà una tazza anche per voi, Mr
Kyle.»
«Ho mandato a chiamare le sarte, Rose» disse Miss Brodie un paio di giorni dopo,
«e ho chiesto di portare dei cerchi più stretti.»
«Sono sicura che vi staranno molto meglio, Miss Jean.»
«Ho pensato parecchio a quello che ha detto Mr Kyle, e ha proprio ragione. Finora
mi sono sempre vestita nello stile che si usava ai tempi della mia mamma.»
«Sì, Miss Jean.»
«Ho anche notato che le signore non portano acconciature così alte né i capelli
incipriati.»
«No» disse Rose con molta cautela. Non voleva rischiare di offendere Miss Brodie.
«Forse per colpa della nuova tassa sulla cipria.»
«Può darsi. E ho visto pochissime signore col bastone da passeggio. Ho pensato
che è ora di fare alcuni cambiamenti, ma ho paura di non farcela da sola.»
«Posso aiutarvi in qualche modo?»
«Vedete, mia cara, da qualche anno mi chiedo se vedo i colori come sono
veramente. Io credo di no. Credo di non vederli come li vedono gli altri, anche se per
il resto ho un’ottima vista.»
«Non c’è niente di cui preoccuparsi, proprio niente, finché ci vedete bene. Le
vostre preoccupazioni sono tutte qui? O c’è dell’altro?»
Miss Brodie arrossì e distolse lo sguardo. «Ho paura che i miei abiti non vadano
bene.»
Rose non poteva credere alle proprie orecchie. Miss Brodie era sempre stata
orgogliosa del proprio gusto. Ci doveva essere qualcos’altro, ma di qualsiasi cosa si
trattasse, non era ancora pronta a parlarne.
«Allora togliamo dagli armadi tutti i vostri abiti e mettiamoli sul letto. Quando
arriveranno le sarte vedremo cosa si può fare per modificarli. Pensate come
resteranno quando vedranno questa montagna di vestiti!» Rose si mise a ridere.
«Oh, mia cara Rose, resterete con me, vero?»
«Naturalmente resterò con voi, cara Miss Jean. Non avrete paura di loro, per
caso?»
«Un pochino» ammise Miss Brodie.
Povera ragazza!, pensò Rose guardandola. A dire il vero neppure lei era ansiosa di
affrontare le due sarte.
Quando queste ultime arrivarono restarono di sasso nel vedere tutti gli abiti di Miss
Brodie ammucchiati sul letto.
«State partendo? Avete bisogno di un altro abito?» chiese la più vecchia appena si
fu ripresa.
«No» rispose Rose. «Miss Brodie ha la sensazione che ci sia qualcosa che non va
in questi vestiti. Voi lo sapete, io lo so, e adesso lo sa anche lei. Miss Brodie non
distingue determinati colori, il che è una cosa abbastanza comune, soprattutto in una
donna. È un peccato che non ve ne siate accorte subito.»
«Oh, ma noi...» disse la più giovane delle due, e la più anziana la mise a tacere con
un’occhiata.
«Ma voi ve ne siete accorte» continuò Rose. «Bene, adesso bisogna rimediare.»
Con calma spiegò quello che non andava.
«Non saprei» disse la sarta più anziana, a disagio.
«Il lavoro è ben fatto» osservò Rose sollevando due dei vestiti. «Voi siete molto
abili. Non si potrebbe unire il corpetto di un abito alla gonna di un altro in modo che i
colori si armonizzino?»
Le due sarte si scambiarono un’occhiata.
«Be’, potremmo ricavare un abito azzurro unendo varie parti» disse la più anziana.
«Molto bene!» esclamò Rose. «Non è vero, Miss Jean?»
«Potremmo fare la stessa cosa per tutti gli altri vestiti» aggiunse la sarta più
giovane.
«Davvero?» chiese Miss Brodie. «E potreste inserire dei cerchi più piccoli?»
«E magari stringere un poco il punto vita?» aggiunse Rose.
«Torneremo venerdì con due o tre abiti rimessi a modello» dissero le due donne a
Miss Brodie.
«Quanti anni pensate che abbia?» chiese Miss Brodie appena le sarte se ne furono
andate.
«Non molti, Miss Jean. Dovete essere la più giovane della famiglia. Credo che non
siate molto più vecchia di me.»
«Non dovete cercare di compiacermi» disse Miss Brodie con un sorriso triste. «Ma
è vero che non ho ancora trent’anni. Ho sempre voluto sembrare più vecchia.»
«Ma perché?» chiese Rose.
«Per essere come la mia mamma. Era una donna molto buona, ma nello stesso
tempo molto severa. Non permetteva sconsideratezze, discorsi sconvenienti o idee
balzane. Naturalmente queste cose sono nella natura degli uomini, e lei diceva che
noi donne dobbiamo aspettarcele. Sì, Rose, finché c’era la mamma questa è stata una
casa felice.»
A chi si stava riferendo? Non poteva trattarsi del decano, uno degli uomini più
stimati in città. C’era qualche altro uomo nella sua vita?
«Ma io non sono fatta della stessa stoffa, mia cara, perciò è inutile cercare di
prendere il suo posto. Adesso desidero essere di nuovo me stessa, e dimostrare la mia
età.»
«Potremmo cominciare domani lavandovi i capelli per eliminare la cipria, Miss
Jean. Poi li spazzoleremo finché non brilleranno. Mattie sarà in grado di realizzare
qualche acconciatura alla moda?»
«Ne dubito. Mi ha sempre pettinato come la mamma.»
«Ellie è molto brava, Miss Jean. Forse Mattie accetterà da lei qualche consiglio.»
Ci volle tutto il mercoledì pomeriggio e parte della serata per lavare alla perfezione
i capelli di Miss Brodie e pettinarli. Alle sette Rose decise che si sarebbe vestita da
sola per la cena e chiese a Ellie di restare ad aiutare Miss Brodie, che nel frattempo
aveva ricevuto uno degli abiti rimessi a modello.
Rose scelse un abito verde pallido ornato di nastri di velluto rosa. Era uno dei suoi
preferiti, ma quando l’ebbe indossato si rese conto che le era diventato piccolo e che
la scollatura mostrava più del dovuto. Ormai, però, era troppo tardi per cambiarsi di
nuovo, e scese in sala da pranzo vestita così.
Il decano Brodie stava aspettando davanti al caminetto, e quando la vide gli
brillarono gli occhi. «Un bicchiere di vino, mia cara?»
«Non ho mai bevuto vino, signore. A casa beviamo limonata.»
«Questo è un vino molto leggero, e un bicchierino non vi farà male. Chiamatemi
Will, Rose. Solo gli estranei mi chiamano signore e decano.»
«Allora vi chiamerò signorino Will.»
Rose sorseggiò il vino e lo trovò molto piacevole, ma quando l’ebbe finito
cominciò a sentirsi la testa leggera e fu invasa da una strana sensazione di felicità.
Miss Brodie entrò proprio in quel momento. Era talmente cambiata, così giovane e
raffinata, che non sembrava più la stessa persona.
Rose guardò il decano Brodie. Sul suo volto si alternarono in rapida successione
meraviglia, incredulità e sgomento. Poi guardò di nuovo sua sorella per ammirare
l’abito che indossava.
Le sarte avevano unito il corpetto azzurro chiaro di un vestito alla gonna e alle
maniche azzurro più scuro di un altro abito e avevano decorato il tutto con del
broccato color argento.
I capelli di Miss Brodie erano stati raccolti sul davanti con dei nastri blu e argento
e le ricadevano sulle spalle.
«Oh Miss Jean!» esclamò Rose. «Come state bene!»
«Grazie, mia cara. Ti piace, Will?»
Ma il decano Brodie stava sudando, e quando parlò la sua voce fu come un colpo
di frusta. «I conti delle sarte mi rovineranno! Quanto è costato quel vestito? E dove
dovrei prendere il denaro?»
Miss Brodie sembrò essere sul punto di crollare.
«Non è costato nulla, signorino Will» disse subito Rose. «Le sarte devono
modificare gli abiti di Miss Jean per rimediare agli errori che hanno fatto, e non
verranno pagate.»
«Oh, be’... allora è un’altra storia, Jeannie» disse lui asciugandosi il volto con un
fazzoletto. «È delizioso. Di chi è stata l’idea?»
«Di Rose» rispose Miss Brodie. «Io non ci sarei riuscita.»
«Oh, ma allora oltre che bella è intelligente!» esclamò il decano Brodie cercando
di riguadagnare il terreno perduto. «Devo ammettere che ti fa sembrare più giovane
di dieci anni.»
Rose si sedette a tavola con un certo disagio. La reazione del decano l’aveva
sconcertata e aveva rivelato, sotto i panni del dandy raffinato, un uomo violento.
Lui però riprese a comportarsi in modo accattivante e mise di buon umore le due
commensali scherzando e facendo loro complimenti. Ben presto Rose dimenticò i
propri dubbi. Quando Ellie portò il cosciotto di montone lui lo tagliò con maestria.
«È molto tenero» disse sorridendo a Rose, «e in questa casa abbiamo sempre
appetito. Anche voi, mia cara, con quel vitino così sottile, avete un sano appetito?»
Rose si rese conto che il decano non si stava affatto riferendo al cibo e decise di
fare finta di nulla.
«Mi pare di sì, anche se mia zia si lamentava sempre.»
«Ma forse il vostro palato non è stato stimolato a dovere» commentò lui con gli
occhi fissi sulla sua scollatura.
Rose rabbrividì e cercò di farsi più piccola. «È vero, signorino Will.»
«Bene, vedremo che cosa si può fare.»
Ellie ritirò i piatti. Quello di Rose era ancora quasi pieno. C’era qualcosa,
nell’atmosfera, che le rendeva impossibile mangiare.
«E adesso le pesche alle spezie, il mio dessert favorito» annunciò il decano Brodie.
Con un leggerissimo tonfo, Ellie appoggiò sul tavolo il piatto di Rose.
«Una pesca per una pesca» disse il decano sorridendo e guardando Rose negli
occhi.
Ellie intanto si muoveva nervosamente intorno alla tavola.
Rose si sentì eccitata e non poté fare a meno di rispondere allo sguardo scintillante
del decano.
«Oh ma voi siete intelligente, Rose, e molto sveglia! Magari tutte le donne di
Edimburgo avessero la metà del vostro spirito! Mia sorella ha trovato un vero
tesoro!»
Miss Brodie, che per tutta la cena aveva continuato a bere, fece un sorriso vacuo.
Ellie se n’era andata all’improvviso biascicando qualcosa a proposito di Mattie e
delle candele.
Tutt’a un tratto la mano del decano Brodie coprì quella di Rose. Lei la fissò per un
attimo e poi cominciò a sentirsi incredibilmente delicata eppure immensamente forte.
Per la prima volta nella sua vita seppe cosa vuole dire essere una donna.
5

Rose avrebbe potuto rimanere ad ascoltarlo per tutta la notte. Il decano Brodie era
così affascinante, così convincente quando parlava, e in breve cominciò a raccontarle
la storia della propria vita.
Aveva fatto l’ebanista solo perché suo padre l’aveva costretto, ma il suo sogno era
sempre stato quello di andare per mare. La sua esistenza era stata un abisso di
tetraggine finché non era arrivata in città una compagnia teatrale che aveva messo in
scena la Beggar’s Opera.
«La conoscete, Rose?»
Lei scosse la testa. «Com’è la storia?»
«Quello che mi affascinò non fu tanto la storia di Polly Peachum, una ragazza dei
bassifondi londinesi, e di Macheath, un pericoloso criminale, quanto il meraviglioso
mondo alla rovescia che la commedia dischiude, dove ogni valore è capovolto, ogni
uomo e ogni donna hanno un prezzo, e le prigioni e le autorità servono solo per essere
aggirate. Oh, Rose, che eccitazione! Che contrasto con la monotonia di Edimburgo,
dove si è fin troppo conosciuti e troppo poco apprezzati!»
«E la musica?»
Il decano Brodie si mise a ridere e cominciò a cantare tenendo gli occhi fissi in
quelli di lei.
Rose rimase totalmente conquistata dalla sua bella voce baritonale, dal suo fascino
e dal suo calore.
«Oh, Rose, non è incantevole?» esclamò il decano Brodie quando ebbe finito di
cantare.
L’arrivo di Ellie e di Mattie giunse come una doccia fredda.
L’anziana cameriera fece alzare Miss Brodie, che era già mezza addormentata e
barcollava un po’.
Il decano si mise a ridere quando sua sorella uscì dalla stanza, e se Rose non fosse
stata così presa da lui si sarebbe accorta che la sua risata era maligna e anche un po’
crudele.
«E adesso, mia cara, devo andarmene anch’io, perché comincia il mio lavoro
notturno» le disse mentre gli occhi gli brillavano di una luce esaltata.
Quello non era lo sguardo di una persona che sta per andare al lavoro, ma piuttosto
di un uomo che si appresta a un appuntamento illecito ed estremamente piacevole.
Rose si chiese con chi.
Il venerdì Rose non vide il decano Brodie e non riuscì a spiegarsi la propria
desolazione né la freddezza di Ellie. Nel pomeriggio arrivarono le sarte con altri due
abiti per Miss Brodie e la casa si riempì nuovamente di eccitazione.
Il sabato, alle quattro, arrivò Mrs Scott accompagnata da Alison Kyle, ma Cameron
non si fece vedere.
Il decano fece una breve apparizione in salotto e portò una ventata d’allegria.
«Dunque, siete venuta a trovare la nostra piccola dama di compagnia! Non posso
biasimarvi! Anzi, devo ringraziarvi per la vostra ispirazione, Mrs Scott!»
Mrs Scott chinò graziosamente la testa, ma Rose si accorse che aggrottava le
sopracciglia.
Miss Kyle si era seduta su un divanetto ed era un po’ pallida.
«Sì, siamo felici di avere Rose qui con noi» disse miss Brodie. «E ci fa molto
piacere che voi siate venuta a trovarci. Dovete perdonare mio fratello, ma gli piace
scherzare. Will, questo è un tè fra donne!»
«Vi trovo davvero benissimo, Jean» disse Mrs Scott per cambiare discorso. «Avete
un aspetto così giovanile! Con quell’acconciatura dimostrate dieci anni di meno.»
«Ho fatto qualche piccolo cambiamento, Mrs Scott. Dobbiamo adeguarci ai
tempi.»
«Naturalmente» intervenne il decano Brodie con un sorrisetto malizioso. «E sono
tempi perversi, non è vero?»
Mentre parlava guardava Rose, e lei non poté fare a meno di sorridergli. Era un
vero peccato che Mrs Scott e Miss Kyle non comprendessero il suo spirito pungente!
Mrs Scott non lo comprendeva di certo. Prese quelle parole alla lettera e si lanciò
nel suo argomento di conversazione preferito, la corruzione dei tempi. Tutti sedettero
un po’ più rigidi e assunsero un’espressione grave mentre lei parlava. Tutti tranne il
decano Brodie, che sembrava ridere sotto i baffi.
«Segnatevi le mie parole» concluse Mrs Scott. «Non è ancora finita! Da un
momento all’altro avremo un altro di quei terribili furti! E a dire la verità comincio a
pensarla come mio figlio Walter. Ci deve essere una mente unica dietro ogni colpo.»
Il decano si mise a ridere e a tossire contemporaneamente. «Perdonatemi, signore»
disse senza fiato, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto orlato di pizzo.
«Santo cielo, Will, hai preso il raffreddore?» chiese Miss Brodie.
«Niente affatto, mia cara. Se fossimo a tavola direi che qualcosa mi è andato di
traverso» rispose lui con un’espressione sincera. «È stato un piacere chiacchierare
con voi, davvero, signore, ma adesso dovete scusarmi. Gli affari mi aspettano.»
«Ci hai fatto una bella sorpresa, Will, ma devi proprio andare?»
«Sì, Jeannie. Il consiglio cittadino non aspetta.»
«E di che cosa discuterete oggi, decano?» chiese Mrs Scott.
«Dobbiamo prendere in considerazione una mia piccola invenzione» rispose lui
con modestia, «ma non è opportuno parlarne con le signore.»
«Sciocchezze» disse Mrs Scott, «siamo donne, non fiori.»
«Allora, per quanto mi dispiaccia menzionare una cosa simile, si tratta delle nuove
forche, signora, con una botola nel pavimento, cosicché la pena che i condannati
devono scontare sia più veloce e più umana.»
Un lugubre silenzio calò nella stanza. Rose non osò alzare gli occhi.
«Ah... be’, siete un uomo generoso, decano Brodie» disse Mrs Scott. «Edimburgo è
stata fortunata ad avere nel consiglio persone attente ai suoi interessi. Ma devo
confessare di non avere mai pensato a quest’aspetto del crimine.»
Il decano Brodie baciò la mano a Mrs Scott e poi si rivolse a Miss Kyle, che fino a
quel momento non aveva detto una parola. «È stato un piacere conoscerla, Miss
Kyle.»
Miss Alison Kyle sorrise dolcemente. «Ho sentito parlare parecchio di voi, decano
Brodie.»
«Spero che ne abbiate sentito parlare bene» disse lui sorridendole.
Miss Kyle non rispose, e Rose notò che la mano che gli tendeva era volutamente
inerte.
«E adesso, carissime, veniamo allo scopo della nostra visita» disse Mrs Scott
quando il decano se ne fu andato. «Volevo invitarvi al teatro regio per il ventidue di
novembre. Recita Mrs Sarah Siddons, la nostra migliore attrice.»
«Che bello!» esclamò Rose.
«Avete detto il ventidue?» disse Miss Brodie prendendo il libretto degli
appuntamenti. «Ma oggi non può essere già il due! Il tempo passa così in fretta!»
Mrs Scott e Miss Kyle si scambiarono un’occhiata. Rose, intanto, era sulle spine
mentre aspettava la risposta di Miss Brodie.
«Sì» disse finalmente quest’ultima. «Rose è compresa nell’invito?»
«È compresa» rispose Mrs Scott sorridendo.
«Ed è compresa in un altro invito, questa volta da parte mia» disse Miss Kyle con
il suo tono gentile. «Spero che accetterà» aggiunse guardando Rose con quegli occhi
azzurri che le ricordavano così tanto Cameron Kyle.
Per quale motivo, pensando a Mr Kyle, Rose sentiva un leggero senso di colpa?
«Anche mio fratello spera che voi veniate, Rose» continuò Miss Kyle. «Vi
aspettiamo nella nostra casa di Queen Street mercoledì mattina. Prenderemo il caffè e
guarderemo l’ascensione in mongolfiera di Mr Vincenzo Lunardi.»
«Oh, io non accetto mai inviti di mattina» disse subito Miss Brodie.
«Questa è una delusione!» esclamò Miss Kyle. «Mi spiace davvero, Miss Brodie.»
Sembrava così mortificata che Miss Brodie ci restò male. «Comunque, non ho
bisogno di Rose fino a mezzogiorno» disse dopo averci pensato un po’.
«Oh, se le permetterete di venire farò in modo che sia di ritorno per quell’ora» le
assicurò Miss Kyle.
«Allora non c’è ragione perché non possa venire senza di me. Vi farebbe piacere
andare, Rose?»
«Sarei interessata a vedere Lunardi, naturalmente, perché ho sentito parlare molto
di lui. Grazie, Miss Kyle. E grazie anche a voi, Mrs Scott.»
«Allora siamo d’accordo, mia cara» disse Mrs Scott. «Naturalmente non avete
ancora avuto notizie da vostra zia Beattie?»
«No, non ancora.»
In quel momento arrivarono Ellie e Jessie con i vassoi per il tè. Rose notò che
c’erano cinque tazze.
«Temo che Cameron non riuscirà a venire a prenderci» disse Miss Kyle, «ma
manderà la carrozza per le cinque.»
«Mi dispiace, speravo di vederlo di nuovo. Sono rimasta molto colpita da vostro
fratello» commentò Jean Brodie.
Chissà perché, Rose ebbe improvvisamente l’impressione che i dolcetti preparati
da Mattie non avessero più alcun sapore.
In quel momento Miss Kyle le si avvicinò e si sedette accanto a lei. «Vi trovate
bene a Edimburgo, Rose?»
«Oh... adesso sì, Miss Kyle.»
«Adesso? Questo significa che all’inizio non vi siete trovata bene?»
«Newhaven mi è mancata molto» ammise lei.
«Ma è facile innamorarsi di Edimburgo. È una città così bella! Ho viaggiato
parecchio con Cameron, ma tutte le volte che torno indietro mi pare che sia il posto
più bello del mondo. E lo sarà, quando la città nuova sarà terminata. Mercoledì ve ne
renderete conto.»
«Ma ci potrà essere un’altra strada così maestosa come Royal Mile, Miss Kyle?»
«Naturalmente no. Ma chiamatemi Alison, mia cara. Ho la sensazione che
diverremo grandi amiche. Cameron era davvero spiacente di non potere venire qui
oggi e mi ha pregato di porgervi le sue scuse. Credo che dovesse andare fuori città.»
«Oh» disse Rose. «E quando tornerà?»
«Forse lunedì. Al più tardi martedì. Ma ci sarà sicuramente mercoledì mattina.»
Si udì bussare alla porta ed Ellie annunciò che la carrozza era arrivata.
«Vi accompagnamo» disse Miss Brodie alle due ospiti.
«Il tempo regge» osservò Mrs Scott quando fu sulla soglia. «Notevole, in questa
stagione dell’anno. Bene, ci vediamo il ventidue.»
«Vi aspettiamo mercoledì per le nove e mezzo» disse Alison a Rose. «È un po’
presto, ma Mr Lunardi farà il suo tentativo alle dieci. Sarete pronta per le nove?
Manderò una carrozza a prendervi.»
«Sarò pronta, Alison.»
Mentre guardava la carrozza che partiva, Rose scorse in fondo a Royal Mile una
figura alta e robusta. Anche da quella distanza riconobbe Cameron Kyle. Ma non
avrebbe dovuto essere fuori città?
Perché non era venuto per il tè? E perché lui e la sorella si erano accordati per
raccontare quella bugia così complicata? Era chiaro che non stavano cercando di
evitare lei, ma sicuramente volevano evitare qualcuno. Ma chi? E perché?
Rose era ancora pensierosa quando tornarono nel salottino di Miss Brodie.
«Allora, Rose, vi siete divertita?» chiese la sorella del decano. «E che cosa
indosserò a teatro?»
«Abbiamo parecchio tempo per pensarci, Miss Jean. Vogliamo cominciare
domani?»
«Sì. Adesso sono un po’ stanca. Vorreste leggermi qualcosa? Sono pigra, lo so, ma
avete una voce così bella!»
Rose prese il giornale e cominciò a scorrerlo per trovare qualcosa che avrebbe
potuto interessare Miss Brodie.
A un certo punto le cadde l’occhio su un fatto di cronaca che lesse ad alta voce.
Nella notte fra il 29 e il 30 ottobre qualcuno si era introdotto nella biblioteca
dell’università di Edimburgo e aveva rubato il sigillo. Sulla testa dei responsabili del
furto c’era una taglia di dieci ghinee.
Quando Rose si fermò per prendere fiato non udì alcun commento. Alzò gli occhi e
rimase di sasso.
Miss Brodie aveva un’espressione terrorizzata. Sul suo volto esangue gli occhi
erano spalancati e cerchiati di scuro.
«Miss Jean, santo cielo! Che cosa succede?» Rose saltò in piedi gettando a terra il
giornale.
Ma Miss Brodie non poteva parlare. Stava rantolando ed era diventata blu.
Rose si mise a cercare freneticamente fra gli oggetti ammucchiati sul tavolino
finché non trovò una bottiglietta di sali. L’aprì e la fece annusare a Miss Brodie, che
tossendo e lacrimando si riprese.
«Potete parlare adesso? State meglio? Che cosa c’è che non va?» le chiese Rose
dopo qualche minuto.
Miss Brodie gemette e scosse la testa tenendo gli occhi chiusi. Quando finalmente
li riaprì mormorò: «Rose non parlatemi mai più di queste cose terribili».
«Naturalmente non ve ne parlerò più, Miss Jean. Se l’avessi saputo non l’avrei
fatto.»
Miss Brodie cominciò a piangere. «Mi è bastato dover ascoltare Mrs Scott questo
pomeriggio. In questo periodo non parla d’altro.»
«In effetti sembra un po’ fissata.»
«Be’, io non voglio sapere!» disse con foga Mrs Brodie. «Quelle cose non hanno
nulla a che vedere con noi, assolutamente nulla! E lei continua a parlarne con noi!»
«Ne ha parlato anche con me quando voi non eravate presente. Temo che lo faccia
con tutti» disse Rose con un tono di voce tranquillizzante. «Non intendeva certo
rivolgersi direttamente a voi, Miss Jean.»
Miss Brodie cominciò a calmarsi un po’. «È proprio vero, Rose?»
«Sì. E per quanto riguarda i giornali, devono riportare tutto perché la gente li
compri. Ma in futuro starò più attenta.»
«Non è colpa vostra, Rose. Non potevate sapere che queste cose mi turbano» disse
Miss Brodie con la voce stanca.
«Adesso vado in cucina a prepararvi un’altra tazza di tè, d’accordo? Vi farà sentire
meglio.»
«No. Dite a Mattie di venire qui. Lei sa cosa portarmi.»
Rose andò subito a cercare la vecchia cameriera. La reazione appassionata di Miss
Brodie l’aveva stupita. Fino a quel momento non l’aveva ritenuta capace di emozioni
così forti.
Quando Mattie ricevette il messaggio annuì e strinse le labbra. «Vengo subito»
disse pulendosi le mani sporche di farina.
Rose tornò da Miss Brodie, ma quando si affacciò sulla soglia del salottino rimase
di sasso. Miss Brodie era in piedi davanti alla finestra e stava leggendo l’articolo sul
furto alla biblioteca. Mentre teneva il giornale le sue mani tremavano un po’.
Rose si allontanò silenziosamente e in sala da pranzo incrociò Mattie. La vecchia
domestica teneva qualcosa nascosto fra le pieghe della gonna.
«E adesso cosa avete combinato?» sibilò mentre passava. «Ho capito subito che
avreste portato solo guai.»
Rose rimase per un attimo sconcertata, poi si precipitò in camera sua e si gettò sul
letto. Che cosa aveva combinato? Non le pareva di avere fatto qualcosa di sbagliato,
eppure intorno a lei si era creato un grande scompiglio. Miss Brodie era isterica.
Mattie la incolpava per lo stato della sua padrona. Ellie era arrabbiata con lei per
qualche motivo ed era diventata scostante. Alison Kyle le aveva raccontato una vera e
propria bugia. Quanto a Cameron Kyle, il suo comportamento era stato ancora più
biasimevole, perché aveva convinto la sorella a mentire. Rose era certa che Alison,
normalmente, non raccontasse bugie.
L’unico che aveva sempre lo stesso atteggiamento nei suoi confronti era il decano
Brodie.
L’indomani Rose si rese conto che gli incidenti del giorno precedente erano stati
dimenticati. A mezzogiorno Miss Brodie si era rimessa perfettamente e dopo
l’intervallo in un caffè di High Street ripresero a passeggiare per il centro. Nella
libreria di Mr Creech erano radunati come al solito i principali intellettuali della città.
«Sono i letterati.» sussurrò Miss Brodie. «C’è anche Adam Smith.»
«Vengono qui tutte le mattine?» chiese Rose.
«Credo che si ritrovino per delle colazioni letterarie. Pochi mesi fa ho visto Robert
Burns.»
«C’è anche Walter Scott» osservò Rose.
«Dove?»
«Là. È quel ragazzo che sta parlando con Mr Creech.»
Anche a casa tutto sembrava andare bene. Ellie era ritornata del solito umore e
Rose decise di ignorare gli eventi degli ultimi giorni, ma nello stesso tempo si fece
molto cauta. Non voleva sollevare vespai.
Alle nove di mercoledì mattina, davanti alla casa del decano Brodie arrivò la
carrozza.
«La mia cuffia è a posto, Ellie?» chiese Rose per la decima volta.
«Ve l’ho già detto, Miss Rose. E vi ho già detto che quell’abito color lavanda vi sta
benissimo. Adesso mettetevi la mantellina. Le giornate si stanno rinfrescando.»
Quando Cameron Kyle l’aiutò a salire in carrozza Rose si sentì nervosa. Lui era
sempre lo stesso, ma lei stava cambiando, e adesso si sentiva a disagio in sua
compagnia.
«Che cosa avete combinato questa volta, Rose?»
Colta di sorpresa, lei rimase per un attimo in silenzio, poi arrossì ed esclamò:
«Niente!»
Cameron fece un sorriso sardonico ma non disse nulla.
«No, non è vero» si corresse Rose, indignata. «Ho fatto conoscenza con i miei
datori di lavoro.»
«Credevo che foste alle dipendenze di Miss Brodie.»
«Be’... ma la cosa riguarda anche il decano Brodie.»
«Me lo aspettavo» commentò Cameron sorridendo.
Rose era furibonda. «Abbiamo parlato a lungo una volta sola, a cena» si difese, «ed
è una persona interessante.»
«Può essere un tipetto simpatico, questo è vero.»
Rose si pentì di avere parlato liberamente con Cameron e cercò qualcosa da dire a
favore del decano.
«Il vino migliore è nelle botti piccole.»
«E non c’è rosa senza spine» disse Cameron scoppiando in una fragorosa risata.
«Stiamo attraversando North Bridge» aggiunse poi. «Dall’altra parte comincia la città
nuova.»
«Come mai avete scelto di vivere lì?»
«Non l’ho scelto io, l’ha fatto Alison. È lei che vive in Queen Street. Io non ho una
casa, per ora.»
Le ultime parole vennero pronunciate con molta intensità ed erano cariche di
significati che Rose non poteva afferrare.
Nel frattempo erano giunti davanti alla splendida casa dove abitava Alison.
La prima cosa che Rose vide non appena furono entrati nell’atrio fu Miss Cornelia
Forbes che scendeva lo scalone di marmo reggendosi con una mano l’orlo dell’abito
color miele. Sulle sue labbra era dipinto un dolce sorriso, ma il suo sguardo era
gelido.
«Oh!» esclamò. «È la piccola...»
«La piccola Rose Barbour, ed è qui come mia ospite» disse Cameron, secco.
«Permettetemi di presentarvela formalmente. Miss Cornelia Forbes, Miss Rose
Barbour.»
Il tono con cui aveva pronunciato quelle parole era stato talmente minaccioso e
perentorio che Miss Cornelia sembrò per un attimo disorientata.
«È proprio vero che i ricevimenti sono divertenti perché non si sa mai chi si
incontrerà» disse poi con una punta d’acidità.
«Allora questo sarà per voi un vero successo, Cornelia. Avete avuto l’onore di
essere la prima a cui Rose è stata presentata. Oggi ve ne saranno molti altri»
commentò Cameron. Poi accompagnò Rose in salotto.
Ma Miss Cornelia non aveva intenzione di arrendersi facilmente e dopo poco li
raggiunse. «Alison mi ha mandata a dire di raggiungerla immediatamente» disse con
aria imbronciata. «Al piano di sopra ci sono dei problemi.»
«Accidenti!» imprecò Cameron fra i denti. «Molto bene, Cornelia. Precedetemi e
ditele che arrivo subito.»
Detto ciò condusse Rose a un divano dove era seduto un anziano signore.
«Lord Braxfield» gli disse, «sareste così gentile da occuparvi di Miss Rose
Barbour al mio posto? Tornerò fra poco.»
Lord Braxfield? Il celebre magistrato! In Scozia lo conoscevano tutti.
«Non preoccupatevi, Kyle. State via quanto volete» rispose lui sorridendo. «E voi
chi siete, bambina?»
«La nipote di Mrs Beattie Barbour, signore, di Newhaven.»
«Ah! Beattie Barbour, eh? In tutta Edimburgo non esiste un’infermiera migliore di
Beattie Barbour.»
«No, signore.»
«Avevo sentito che aveva adottato una bambina. Sareste voi?»
«Sì, signore.»
«E non avete mai scoperto chi fosse vostra madre?»
«No» ammise Rose con le labbra che le tremavano. «Non l’ho mai scoperto, anche
se mi ricordo bene di lei.»
«Non vi corrucciate, bambina» disse Lord Braxfield dandole un colpetto sulla
mano. «È evidente che deve essere stata una signora, se ha avuto una bella ragazza
come voi. Mi fa piacere conoscervi, Rose Barbour.»
Rose fu commossa dalla gentilezza del giudice e gli sorrise piena di riconoscenza.
«Grazie, Lord Braxfield. Anche per me è un onore conoscervi.»
«Vedo che Beattie Barbour vi ha educata bene. E siete venuta a vedere quel
Lunardi che tenta di spiccare il volo con il suo congegno?»
Rose si mise a ridere. «Oh, spero che ci riesca, signore!»
«Santo cielo, siete proprio graziosa. Kyle non è certo uno stupido, è solo
sfortunato.»
«Sfortunato? E perché mai?»
«Non lo sapete? Ha ereditato una fortuna, ma non può provarlo in tribunale. Ah, la
legge è una cosa troppo importante, mia cara!»
«Ma da quanto ho sentito da quando sono arrivata a Edimburgo, la legge continua
a essere violata, Lord Braxfield.»
«Ah, sì, vi riferite ai furti con scasso. È vero, bambina. La legge procede
lentamente ma inesorabilmente, prima o poi i responsabili saranno puniti.»
Rose guardò il giudice.
Il suo volto era dominato da un naso lungo e bulboso, ma i suoi occhi scuri erano
vivi e intelligentissimi.
«So che siete un uomo brillante e che non vi manca il cuore, Lord Braxfield. Con
voi la Scozia è in buone mani.»
Il giudice non finse modestia. «È vero, bambina... Ma ecco che ritorna Kyle.
Cameron, avete risolto i problemi?»
«Che il cielo mi salvi dalle donne isteriche!» rispose Cameron.
«Spero che non vi riferiate alla mia piccola Alison!» esclamò il giudice.
«No, non si tratta di Alison. È Mrs Ballantyne che ha avuto una crisi. Teme la
morte imminente di Mr Lunardi.»
«È una vecchia stupida» osservò il giudice con una risata asmatica.
«Ancora un bicchierino?» gli chiese Cameron versandogli del brandy. «Lunardi
ormai dovrebbe essere partito dai giardini. Andiamo a vedere?»
«Andateci voi, e portate questa fanciulla. Io starò qui e lo guarderò dalla finestra.»
Cameron prese il braccio di Rose e la condusse fuori. «Il vecchio è astuto come
una volpe, ed è scozzese fino al midollo. Che cosa vi stava dicendo?»
Intanto avevano attraversato la strada ed erano entrati nei giardini, dove gli altri
invitati erano già con il naso per aria.
Quel giorno Cameron era vestito di blu scuro ed era particolarmente affascinante.
All’inizio Rose si era sentita sopraffatta dalla sua presenza, ma adesso cominciò a
rilassarsi e ripensò al decano Brodie facendo un paragone fra i due uomini. Cameron
le piaceva molto, ma non poteva negare di essere attratta dal decano, con la sua
personalità contorta e misteriosa...
«Lord Braxfield mi ha detto che dovreste ereditare un grosso patrimonio, ma che
siete sfortunato.»
Cameron sorrise. «Ride bene chi ride ultimo, Rose. Conoscete questo proverbio?»
«Certo che lo conosco. Ma perché siete sfortunato?» insistette lei.
«Volete saperlo davvero? Vi importa sul serio, Rose?»
Il suo tono era così triste che Rose si sentì rimordere la coscienza.
«Naturalmente. Siete stato molto gentile con me. Forse un giorno potrei aiutarvi, se
sapessi di cosa si tratta.»
«Lo spero» disse lui, chinando la testa e sfiorandole la guancia con la propria. «Per
me sarebbe un giorno felice.»
Quel gesto le provocò una specie di vertigine e Rose dovette aggrapparsi al suo
braccio. «Allora ditemi.»
«Vedete, poco dopo esserci trasferiti in Queen Street siamo stati derubati. Sono
stati portati via alcuni dei gioielli di Alison e un bel po’ di denaro. Ma sono spariti
anche alcuni documenti, uno dei quali è per me più prezioso di qualsiasi tesoro.»
«Lord Braxfield ha detto che era la vostra eredità.»
«Si trattava del testamento di mia nonna, che mi ha lasciato una proprietà. Ed è
l’unico posto dove io desideri trascorrere la mia vita.»
«Allora l’avete vista?»
«Ci ho vissuto per parecchio tempo con mia nonna e mia sorella. Ma quando mia
nonna è morta siamo stati costretti ad andarcene.»
«Ma perché, se c’era il testamento?»
«Perché vi era nominato un coerede. Qualcuno che vive in Francia. E finché non lo
trovo e non compro la sua parte, non posso trasferirmi.»
«Allora la casa è vuota?»
«Sì, è vuota e sta andando in rovina.»
In quel momento si udirono delle grida. «Lunardi! Lunardi!»
Sopra le loro teste stava galleggiando qualcosa che sembrava un enorme e
grottesco uccello.
Al pallone era appesa una ridicola cesta dentro la quale c’era un uomo con una
giacchetta rossa e un paio di pantaloni a righe rosse e blu.
L’uomo stava urlando e salutando con il braccio, più simile a un assurdo
bambolotto che a un essere umano.
Mentre guardava in alto, Rose sperimentò una strana sensazione di vuoto, il cielo
si fece nero e lei si rivide con la regina Maddy ed ebbe una terribile premonizione...
«Rose! Rose!» La voce di Cameron pareva provenire da distanze infinite e le sue
braccia la sorressero.
Rose lo guardò, pallida in volto. Cercò di concentrarsi, ma quella spiacevole
sensazione persisteva. Cameron la strinse più forte.
Finalmente il volto di Cameron divenne nitido davanti ai suoi occhi.
«Siete terrorizzata, Rose, ma non per il pallone. Appoggiatevi a me.»
Lei gli appoggiò la testa sulla spalla finché il panico che l’aveva attanagliata non si
fu dileguato.
«Oh» mormorò, «è stato meraviglioso e terribile al tempo stesso. Non credo che mi
sia piaciuto. Vorrei che non si fosse sollevato in aria. Gli uomini che volano
moriranno. È quello che ho visto.»
«Forse, Rose. Certamente avete avuto una premonizione di morte. Vi è mai
capitato prima?»
«Non a me. A una persona che un tempo mi era molto vicina.»
Per poco non si era tradita. All’improvviso Rose tornò in sé e si rese conto di
trovarsi in una situazione assolutamente sconveniente, anche se fra le braccia di
Cameron si sentiva in paradiso.
Si mosse e sollevò il viso verso quello di lui, senza quasi riuscire a guardare in
quegli occhi così incredibilmente blu...
«Rose, Rose...» mormorò Cameron.
«Eccovi, carissimo Cameron!» disse una voce squillante, e loro due si separarono
bruscamente.
«Cornelia.» La voce di Cameron era piatta.
«Mi piacciono i ricevimenti originali, e questo è stato molto originale... un vero
successo! Non era divertente quell’ometto con il suo pallone? Dove sarà adesso?»
Cornelia ignorò completamente Rose, e Cameron ignorò la sua domanda.
«Sì» disse. «Ma adesso si è fatto tardi. Ho promesso di riportare a casa Miss
Barbour per mezzogiorno. Volete scusarci, Cornelia?»
«No» rispose Miss Forbes. Rose notò che i suoi occhi erano diventati due fessure.
«Non vi scuserò, Cameron, a meno che non prendiate anche il mio braccio.»
Rose si chiese quanto avesse visto di ciò che era accaduto poco prima.
Quando giunsero in Queen Street la carrozza era già pronta. «Sono le dodici meno
un quarto» disse Cameron. «Arriverete in tempo.»
«Rose!» chiamò Alison correndo giù per le scale. «Volevo parlarvi. Vorreste
seguire delle lezioni di francese con me? Cominciano lunedì e si tengono tutti i giorni
dalle nove alle undici. Per favore, dite che verrete!»
«Chiederò» rispose Rose, e sorridendo salutò con la mano mentre la carrozza si
allontanava.
Il volto di Cornelia, in piedi accanto a Cameron e ad Alison, era una maschera
d’odio. Dunque, aveva visto tutto! E Cameron, che avrebbe dovuto accompagnarla a
casa, aveva preferito restare con sua sorella e con quella donna che sputava veleno.
Ancora una volta Rose pensò al decano Brodie. Lui sì che era un vero gentiluomo!
«Vi siete divertita?» chiese Ellie quando la vide scendere dalla carrozza.
«È stato meraviglioso» rispose lei con calma, «ma tornare a casa è molto meglio.»
6

Ogni mattina, fra le nove e le undici, Miss Jean Brodie viveva in un mondo di
orrori e di atrocità di cui Rose non avrebbe neppure immaginato l’esistenza. Quel
giorno, quando Rose andò a trovarla, non si era ancora ripresa dai suoi incubi.
«Sì, andate pure alle lezioni di francese» disse appoggiandosi esausta alla spalliera
della poltrona. «Tornerete in tempo per occuparvi di me.»
Era forse malata?, si chiedeva Rose. Miss Brodie non era più uno spaventapasseri
come all’inizio, ma c’era comunque qualcosa che non andava. Qualcosa che la stava
consumando lentamente.
Rose era molto preoccupata per lei. Nei giorni peggiori non c’era modo di alleviare
la sua depressione, e in quelli migliori si riprendeva un poco solo dopo l’intervallo di
mezzogiorno.
Sabato pomeriggio Miss Brodie e Rose tornarono a casa cariche di pacchetti dopo
la solita passeggiata. Miss Brodie era abbastanza di buon umore. «Sono solo le
quattro» disse. «Siamo in tempo per il tè.»
In quel momento Ellie bussò alla porta del salottino. «Avete una visita, Miss
Brodie.»
«Ma non aspettavo nessuno! Mia sorella e mio cognato arriveranno domani. Non si
saranno mica sbagliati?»
«Non si tratta dei signori Sheriffs. È un signore giovane che chiede di voi. Non ha
voluto dirmi il suo nome perché vuole farvi una sorpresa.»
«Davvero? Oh, be’» disse lei sistemandosi i capelli con un gesto allo stesso tempo
frivolo e noncurante, «allora fatelo entrare.»
«Subito, signorina.» Un attimo dopo Ellie introdusse il visitatore.
«Oh!» esclamò Miss Brodie. «Ma siete voi, Jamie! Pensavo che non vi avremmo
più rivisto! Rose, questo è un nostro caro amico, Mr James Leslie.»
Mr Leslie era alto e allampanato, e aveva una lunga barba scura. Strinse la mano a
Rose e sorrise timidamente.
«Ho appena portato a termine l’incarico ad Aberdeen e sono tornato per riprendere
a lavorare con Matthew Sheriffs» spiegò.
«Portate tre tazze invece che due» disse Miss Brodie a Ellie, che era rimasta sulla
soglia. «Prenderete il tè con noi, Jamie?»
«Speravo di arrivare in tempo per il tè, Jean. Per fortuna la diligenza non ha avuto
ritardi.»
«Ah... Così questo è il vostro primo scalo?»
«Dopo sei mesi, una settimana e quattro giorni. Sapevate che lo sarebbe stato.»
Guardò negli occhi Miss Brodie e lei arrossì leggermente. «A parte il fatto che faceva
un freddo cane, mi sono sentito molto solo, su al nord.»
«Nel frattempo Miss Rose Barbour è venuta a farmi da dama di compagnia.»
«Ah, capisco.»
«Non posso sopportare la solitudine, non adesso» continuò Miss Brodie mentre
serviva il tè.
Rose prese la tazza dalle sue mani tremanti e la porse a Mr Leslie.
«Quando siete partito non avevo nessuno con cui parlare, anche se Rose mi è stata
molto utile in queste ultime settimane. Ma immagino che presto partirete per un altro
lavoro» disse incerta Miss Brodie.
Rose offrì un dolcetto a Mr Leslie.
«Non potete immaginare quanto abbia aspettato questo momento, Jean» disse lui.
«No, non dovrò ripartire, non nell’immediato futuro, comunque. Mia zia, Mrs Scott,
mi ha invitato a teatro il ventidue, e io ho accettato senza esitazione.»
«Oh, naturalmente. Così siete andato prima da lei.» Miss Brodie sembrava delusa.
«No» disse lui sorridendo. «L’ho incontrata mentre venivo qui. Ma che cosa vi
succede, Jeannie? Non siete mai stata così suscettibile. Adesso sono qui e possiamo
riprendere a parlare, mia cara.»
Rose posò la sua tazza e si alzò in piedi. «Volete scusarmi, Miss Jean? Dirò a Ellie
di lasciare qui tutto finché non la chiamerete.»
«Molto bene, cara» rispose distrattamente Miss Brodie.
Mr Leslie si alzò e la salutò, troppo educato per mostrare il proprio sollievo.
«Verrà a cena domani con gli Sheriffs» le disse Ellie quella sera.
«Ma chi è Mr Leslie?» chiese Rose.
«Non l’ho mai visto prima, ma sono qui solo da sei mesi. Ha la fama di essere il
migliore tappezziere della Scozia, ancora più bravo di Mr Sheriffs. Lavora in tutte le
più belle case del paese.»
«E Mr Sheriffs è il cognato dei Brodie?»
«Sì. È il marito di Jacobina Brodie. Vivono nella città nuova, Miss Rose, Vengono
a cena una volta al mese, ma il padrone e Miss Jean non ricambiano mai le visite.
Dicono che è perché ai Brodie non piace la città nuova, se non per gli affari che vi si
fanno.»
Alle nove meno un quarto di lunedì mattina Rose era già pronta. Quando arrivò la
carrozza dei Kyle si accorse con sgomento che era guidata dallo stesso Cameron, che
saltò subito giù e l’aiutò a salire.
«Avete portato un quaderno e delle matite. Rose?» le chiese Alison appena Rose si
fu accomodata.
«No» rispose lei mortificata.
«Ci ho pensato io per voi» la rassicurò Alison sorridendo.
Quando giunsero a destinazione Cameron le salutò e disse che sarebbe passato a
riprenderle alle undici.
«Alison può resistere così tanto» osservò Rose, «ma non credo che io ce la farò.»
«Oh, voi siete molto più forte di Alison!» rispose Cameron ridendo. «Resisterete di
sicuro.»
Con uno schiocco di frusta se ne andò. Sicuramente si sarebbe precipitato da Miss
Cornelia, pensò Rose. Mentre entrava nell’aula dove si sarebbero tenute le lezioni il
suo umore era decisamente nero.
L’aula era molto grande, ma in breve si riempì di studenti, uomini e donne di tutte
le età che cominciarono a chiacchierare a bassa voce fra di loro. Il mormorio cessò
immediatamente quando entrò in aula Madame Buzonnière, l’insegnante.
Madame Buzonnière era la donna più elegante che Rose avesse mai visto,
naturalmente dopo sua madre. Era vestita interamente di nero, ma con uno stile che
metteva in ombra ogni altra signora presente. Sui capelli biondissimi portava un
minuscolo cappello nero dal quale pendeva una veletta di pizzo nero.
Si tolse molto lentamente i lunghi guanti neri e poi con un gesto teatrale sollevò la
veletta rivelando un volto sapientemente truccato. Il suo piccolo pubblico era ormai
prigioniero del suo fascino.
«Bonjour, mes enfants» disse con un sorriso.
«Bonjour, madame» rispose Rose automaticamente.
«Non sapevo che parlaste già il francese» sussurrò Alison.
«Infatti non lo parlo» rispose Rose.
«Spero che non parlerà francese per tutto il tempo» continuò Alison. «Io non
capisco nulla.»
Madame Buzonnière spiegò con il suo inglese approssimativo che quel giorno
avrebbe dettato un elenco di vocaboli e ne avrebbe insegnato la pronuncia.
Le due ore trascorsero in un lampo e Rose si divertì moltissimo.
«Oh, Alison, non è stato meraviglioso?» chiese quando uscirono dall’aula.
«Avete le guance colorite e gli occhi scintillanti» disse Cameron Kyle andandole
incontro. «Siete più che mai una rosa. A quanto pare la lezione vi è piaciuta!»
«Oh, sì!» esclamò Rose. Aveva completamente dimenticato Miss Cornelia Forbes.
«Sì, ci è piaciuta» disse Alison sorridendo, e nel guardare il fratello sollevò le
sopracciglia. «Continuerete a frequentare il corso con me, Rose? Tornerete anche
domani?»
Rose annuì. «Prima imparerò tutti quei vocaboli» disse, e si chiese come mai
Cameron e Alison fossero scoppiati a ridere.
Quella sera Rose attese con impazienza l’ora di ritirarsi nella propria camera.
Finalmente, alla luce della candela, aprì il quaderno e rilesse tutti i vocaboli
pronunciandoli ad alta voce. Nessuna di quelle parole le suonava estranea. A mano a
mano che le leggeva e le ripeteva si rese conto che non aveva bisogno di impararle. In
realtà, le stava semplicemente ricordando. Quando la candela si fu consumata del
tutto, Rose continuò a ripeterle nella propria mente.
Due di quelle parole tornavano con più insistenza, e non certo perché fossero
difficili, anzi. Erano parole che avrebbe potuto usare un bambino.
D’un tratto Rose si mise a sedere sul letto, col cuore che le batteva forte. Poupée
significava bambola, e chéri voleva dire cara. Il nome della sua bambola era Poo Pay
e maman la chiamava sempre cherry.
Maman? Anche quella parola le era venuta in mente naturalmente, e Rose ricordò
la grande casa della sua prima infanzia, la casa con le tende ornate di fiori blu a tre
petali.
Naturalmente erano gigli, e Madame aveva detto che erano i simboli della Francia.
E dalle grandi finestre si poteva sentire il passo cadenzato dei cavalli che tiravano le
eleganti carrozze lungo Place... Place de la... Rose non riusciva a ricordare il nome
della piazza.
E poi lei e maman erano salite en bateau. Rose era sicura che fossero partite da
Parigi.
Era il primo indizio sulle proprie origini. Quella notte Rose dormì un sonno
agitato.
Alla fine della settimana Rose era in grado di capire ogni parola dei racconti che
Madame Buzonnière leggeva ai suoi allievi per abituarli al suono della lingua
francese.
La domenica successiva arrivò in visita zia Bea.
Rose la condusse in camera sua ed Ellie portò loro il tè.
«Pensavo che non saresti più venuta, zia Bea!»
«Dopo il parto c’è stata un’epidemia di varicella a Newhaven.» Mrs Barbour
sorrise stancamente. «Adesso credo che il peggio sia passato. Mi fa piacere che tu
abbia un caminetto in camera» aggiunse rabbrividendo. «Comincia a fare davvero
freddo.»
«Mi sembri stanca. Stai bene, zia Bea?»
«Naturalmente, cara. Ma mi è spiaciuto non poter venire prima.»
«E zio George?»
«È sempre lo stesso.»
Entrambe scoppiarono a ridere.
«Zia Bea, sto frequentando un corso di francese con Miss Alison Kyle.»
«La sorella di Mr Cameron Kyle?»
«Sì. Le lezioni sono molto facili. Ho scoperto perché chiamavo la mia bambola
Poo Pay. Stava per poupée, che vuol dire bambola in francese.»
«Davvero, cara? E Mr Kyle lo vedi spesso?»
«Oh, viene tutti i giorni» rispose Rose. «Zia, ti ricordi se mia mamma fosse
francese?»
Mrs Barbour aggrottò le sopracciglia. «Rose, non saprei. Francese?» La sua
espressione si fece perplessa. «Potrebbe essere stata straniera» disse dopo una lieve
esitazione. «Forse per questo non capivo bene quello che diceva.»
«Non ti ha detto se si chiamava Madame qualchecosa?»
«Forse l’ha fatto, mia cara.»
Rose si accorse che sua zia aveva gli occhi lucidi ed era molto pallida.
«Lasciamo perdere queste cose, zia. Non ne parliamo più. Adesso ti racconto del
decano e di Miss Brodie.»
«Sì, cara. Ma fa’ in fretta, perché fra mezz’ora devo scappare.»
Quando Mrs Barbour se ne fu andata, Rose si sentì triste e preoccupata. Non aveva
mai visto sua zia in quello stato.
Delusa per il fatto che Mrs Barbour non avesse saputo dirle nulla di sua madre, per
tutta la settimana successiva Rose continuò ad arrovellarsi sulla questione delle
proprie origini.
Giunti a metà del breve corso di francese, Madame Buzonnière fece un colloquio
con ciascuno degli studenti per verificare quello che avevano imparato. Rose le
rispose senza alcuna difficoltà e di fronte allo stupore dell’insegnante spiegò di essere
nata in Francia ma di avere perduto tutte le tracce dei suoi genitori.
«Io sono parigina» le disse Madame Buzonnière. «Se mi diceste dove abitavate
forse potrei aiutarvi.»
Ma Rose scosse la testa. «Non me lo ricordo, madame. Ero una bambina.»
Il ventidue di novembre nella casa del decano Brodie l’eccitazione era palpabile.
Mr James Leslie, che doveva scortare Miss Jean e Rose a teatro, arrivò molto in
anticipo e senza troppe cerimonie fu fatto accomodare in salotto da Ellie.
«Cosa ne dici, Mattie sarà in grado di vestire Miss Jean?» chiese Rose, un po’
preoccupata.
«Ho tirato fuori il suo vestito. Mattie può almeno incominciare» rispose Ellie,
spazientita, mentre aiutava Rose a infilarsi l’abito di seta color pesca. «E adesso vi
intreccerò i nastri nei capelli. Sedetevi e state ferma.»
«Ellie, stai diventando una strega.»
«Ce ne sarebbe bisogno, in questa casa» rispose la ragazza, imperturbata.
Non appena Rose fu pronta Ellie disse: «Ora vado a finire la toilette di Miss Jean.
State attenta a non inciampare nell’orlo del vestito mentre scendete le scale».
Quando Rose entrò in salotto vi trovò il decano Brodie, che andò subito a baciarle
la mano e le strofinò il palmo con le dita in un modo che la fece arrossire
d’imbarazzo.
«Rose, stasera vorrei poter venire con voi.»
«E perché non venite, signorino Will?»
«Oh, voi mi conoscete, Rose! O la Beggar’s Opera o niente del tutto. Ma vorrei
poter stare con voi, stasera.»
I suoi occhi erano ipnotici e le sue dita le stavano accarezzando febbrilmente il
palmo della mano. Rose, presa da una strana eccitazione, si piegò verso di lui. Il
decano le si avvicinò ancora di più, le mise un braccio attorno alla vita e le posò una
mano sul seno. «Magari più tardi?» sussurrò sorridendo con le labbra umide.
In quel momento entrò Ellie, che con una sola occhiata capì quello che stava
succedendo. «La carrozza sta aspettando» annunciò con un’espressione severa. I suoi
occhi erano gelidi. «Per l’amor del cielo, Miss Rose» disse sottovoce mentre
l’accompagnava fuori, «state lontana dal decano Brodie. E ricordatevi di mettere il
catenaccio alla porta, questa notte!»
Rose decise che avrebbe dovuto parlare alla sua cameriera. Ellie stava
cominciando a esagerare.
Ma quando arrivò a teatro dimenticò tutto. L’atmosfera era allegra ed eccitata. Gli
spettatori ridevano e chiacchieravano. Qualcuno gridava e tirava bucce d’arancia. A
teatro tutto era possibile.
Rose si sedette fra Alison e Walter Scott. Guardandosi in giro si accorse che
Cameron Kyle non era presente. «Alison, non c’è vostro fratello?»
«Non è potuto venire mia cara. È dovuto partire di nuovo.»
In quel momento si alzò il sipario e cominciò la commedia.
«Oh, Mrs Sarah Siddons è meravigliosa!» esclamò Rose nell’intervallo. Alison non
rispose perché stava chiacchierando con Mrs Scott.
«È davvero meravigliosa» disse Walter Scott, «e ha saputo rendere viva una trama
piuttosto debole.»
«Debole?»
«Fin dall’inizio si è capito che cosa succederà;, non è vero? Ma Mrs Siddon recita
così bene da mettere in secondo piano la trama. Quello che conta è la loro
l’interpretazione. Ecco perché la commedia è stata messa nuovamente in scena.»
«L’avevate già vista?»
«Sì, due anni fa. Già allora la trama mi parve talmente scontata che decisi di
mettermi a scrivere io stesso delle storie.» A quel punto abbassò la voce. «Non voglio
che la mamma mi senta. Non approva che io scriva racconti.»
Rose non faceva fatica a credergli. «Adesso nessuno ci può sentire» gli disse.
«Raccontatemi una delle vostre storie.»
Lui le parlò brevemente di un racconto che aveva fra i protagonisti una zingara, e
Rose rimase affascinata da quel personaggio.
«Avete mai conosciuto una vera zingara?» gli chiese. «Tanto tempo fa io ne ho
conosciuta una simile al vostro personaggio, signorino Walter!»
«Parlatemi di questa zingara, Rose.»
Rose e Walter Scott divennero buoni amici.
Al termine della commedia andarono tutti insieme a mangiare le ostriche in una
taverna celebre per essere frequentata dagli uomini più brillanti di Edimburgo.
Roese rimase perciò molto stupita quando si accorse che il locale era buio e
squallido. Gli avventori erano seduti tutti insieme intorno a un grande tavolo rotondo
coperto di piatti di ostriche e di caraffe di birra scura.
Dopo un po’ alcuni violinisti cominciarono a suonare una danza scozzese e Walter
Scott invitò Rose a ballare.
Molto più tardi le cameriere cominciarono a ripulire il tavolo e a servire brandy e
punch al rum.
«È ora di andare» disse Mrs Scott appena se ne accorse. «Oltretutto è molto tardi.»
Mentre si avviavano verso la carrozza, Rose si accorse di avere lasciato la borsetta
sotto la sedia e tornò indietro di corsa. Nell’uscire dalla taverna per la seconda volta,
vide emergere dall’ombra la sagoma alta e massiccia di un uomo interamente vestito
di nero e con il volto coperto. Terrorizzata, raggiunse immediatamente i suoi amici.
«State tremando, mia cara» disse Mrs Scott quando Rose le si sedette accanto.
«Avete trovato la borsetta?»
«L’ho trovata» rispose lei, sovrappensiero. Non poteva essersi sbagliata, l’uomo
che aveva incontrato nel vicolo buio appena fuori la taverna era Cameron Kyle.
E Alison le aveva detto che lui era partito.
Che cosa stava succedendo? Rose cominciava ad averne abbastanza dei misteri di
Edimburgo.
Le lezioni di francese continuarono fino alla fine della prima settimana di
dicembre, e ogni mattina Cameron accompagnava Rose e Alison e le andava a
riprendere.
Rose cercava di parlare con lui il meno possibile, senza che ciò compromettesse la
sua amicizia con Alison.
L’ultimo giorno Madame Buzonnière salutò gli allievi e diede a Rose un bigliettino
con il proprio indirizzo di Parigi.
«Alison, Miss Brodie non sarà in casa al mio ritorno» disse Rose al termine della
lezione.
Ultimamente Mrs Brodie aveva ripreso a fare spese pazze e a comprarsi
improponibili capi d’abbigliamento. L’ultima follia era stato un cappellino alla
Lunardi, a forma di mongolfiera. Rose era preoccupata, ma Ellie era convinta che
l’unica cosa importante fosse che la sua padrona piacesse a Mr Leslie, il quale
sembrava innamorato cotto di lei.
«Finché loro due sono felici non c’è problema» aveva detto Ellie. «Ci sono cose
ben più serie di cui preoccuparsi» aveva aggiunto con un tono di voce cupo.
Ellie aveva l’abitudine di borbottare frasi oscure e misteriose, come se avesse
avuto da raccontare qualcosa di molto grave. Rose si era ormai abituata a
quell’atteggiamento e faceva finta di nulla. Aveva altri pensieri per la testa.
«Miss Brodie non ha più tanto bisogno di me, adesso che c’è Mr Leslie» disse
Rose.
«Meglio così» rispose Alison. «Stavo aspettando un’occasione come questa per
portarvi di nuovo in Queen Street. C’è qualcosa che voglio mostrarvi. Vorrei che mi
deste la vostra opinione.»
Rose pensò che si trattasse di qualche mobile nuovo, ma quando arrivarono in
Queen Street Alison la portò in salotto, dove troneggiava un grande quadro coperto
da un lenzuolo.
«È una sorpresa, Rose» disse Alison sorridendo. «Allontanatevi un poco. Ecco...
La riconoscete?»
Il quadro, appoggiato su un cavalletto e non ancora terminato, rappresentava una
dama con gli occhi azzurri vestita con un abito di seta blu.
«Oh, Alison!» esclamò Rose. «Siete proprio voi! È stupefacente. Chi l’ha
dipinto?»
«Un giovane pittore di nome Henry Raeburn, mia cara. Un giorno o l’altro ve lo
farò conoscere. Vi piace? Allora vi lascio in contemplazione mentre vado a vedere
come procedono i preparativi per il pranzo. Naturalmente resterete con noi.»
Rose passeggiò avanti e indietro per il salotto, ma ovunque andasse gli occhi del
ritratto la seguivano.
«Un vero artista è capace di dare vita agli occhi» disse una voce maschile alle sue
spalle. «Gli occhi sono il tratto più importante del volto. Sono lo specchio
dell’anima.»
«Eppure c’è un uomo che conosco i cui occhi azzurri sono tanto falsi quanto
azzurri.»
«Che cosa volete dire, Rose?»
«È molto semplice. Non ci si può fidare di voi. Il ventidue novembre avete fatto
comunicare che vi sareste assentato, ma quella notte vi ho visto vestito di nero fuori
della locanda.»
«E come fate a essere così sicura che si trattasse di me? Credo che ogni notte ci
siano tanti uomini vestiti di nero in Royal Mile. E potrei nominarne uno in
particolare.»
Rose guardò Cameron Kyle con sdegno. «Se vi state riferendo al decano Brodie, di
notte va a lavorare in abiti scuri per non sporcare quelli bianchi che usa di giorno.»
«Potrebbe essere una ragione, naturalmente» ribatté Cameron con un sorriso
indisponente. «Un’altra ragione potrebbe essere che il nero lo rende meno visibile,
qualsiasi cosa stia facendo.»
«Allora siete in due a sgattaiolare furtivamente in High Street nel cuore della
notte» disse Rose, indignata. «E in ogni caso non si trattava del decano Brodie. So
come siete fatto e vi riconosco anche al buio.»
Cameron scoppiò a ridere. «Allora mi avete studiato bene!»
«Mi sto perdendo qualcosa?» disse una vocina sdolcinata che proveniva dalla
soglia. «Sembra interessante. La nostra piccola... signora si è di nuovo arrabbiata,
Cameron? È tutta rossa e ha la voce stridula.»
Rose era furibonda con Cameron, ma soprattutto con se stessa per essersi scoperta
in quel modo. Da quanto tempo Miss Cornelia stava origliando?
«Miss Rose Barbour e io stavamo discutendo di una questione molto interessante»
disse Cameron scandendo bene le parole, «ma ogni volta che accade una cosa del
genere qualcuno ci interrompe. Ho già avuto modo di lamentarmene.»
«Oh, Cornelia!» esclamò Alison «Ho sentito tutto! La voce di Rose non potrebbe
essere stridula nemmeno se si sforzasse. Cerca di comportarti bene, mia cara.» Le
aveva parlato come a un bambino cattivo. «E adesso vogliamo accomodarci? Sarà un
pasto molto leggero.»
Per Rose fu davvero un pasto molto leggero, perché non mangiò quasi nulla.
Miss Cornelia flirtò per tutto il tempo con Cameron e contemporaneamente non
smise un attimo di lanciare frecciatine avvelenate contro Rose.
Rose si pentì di avere accettato quell’invito e alla fine del pranzo aveva i nervi a
fior di pelle. Come mai i Kyle continuavano a invitarla e poi la lasciavano fra gli
artigli di Miss Cornelia?
E perché mai due settimane prima Cameron se ne era andato in giro di notte tutto
vestito di nero? Anche quel mistero rimaneva irrisolto.
Rose non sarebbe riuscita a resistere un minuto di più in quella casa.
«Perdonatemi, Alison, ma devo proprio scappare. Miss Brodie potrebbe essere
tornata e avere bisogno di me» disse quando furono di nuovo in salotto.
«Oh, dovete già andarvene. Rose?» Alison era sinceramente dispiaciuta.«Mi ha
fatto piacere avervi qui, mia cara, ma se dovete proprio andare Cameron vi
accompagnerà.»
Rose non voleva avere più nulla a che fare con Cameron. Tutti la stavano
prendendo in giro, lui, Alison e Cornelia.
«Siete molto gentile, ma sapete che cosa mi piacerebbe, Alison? Non sono mai
salita su una portantina, e la vostra è così elegante!»
Vide la smorfia che apparve sul volto di Cameron ed ebbe una sensazione di
trionfo.
«Cameron» disse Alison, «per favore, chiama i portantini. Verrò con te.»
Quando i Kyle furono usciti, nella stanza calò un silenzio molto teso.
«Come mai non siete venuta a vedere Mrs Siddons, Miss Forbes?» chiese Rose a
un certo punto. «Pensavo che vi piacesse tutto ciò che è teatrale.»
«Oh, no» rispose Miss Cornelia con un sorriso malizioso, «quella sera avevo un
impegno molto più romantico con Cameron. Sto per sposarlo, lo sapevate?»
In quel momento fu annunciato che la portantina era pronta. Rose vi salì e salutò
Alison, poi tirò le tendine.
Forse fu per colpa dell’ondeggiare ritmico della portantina, fatto sta che Rose si
sentì poco bene e pianse per tutto il tragitto fino alla casa dei Brodie.
Poi se ne andò subito in camera sua e si buttò sul letto rifiutando di scendere per la
cena.
Alle prime luci dell’alba era ancora sveglia. Certa che ormai non sarebbe più
riuscita ad addormentarsi, si preparò ad affrontare una nuova giornata.
Improvvisamente si udirono delle urla e dei singhiozzi disperati provenire dal
piano di sotto, interrotti di tanto in tanto dalla voce terrorizzata di Miss Brodie.
Rose s’infilò la vestaglia e si precipitò fuori della sua stanza. In corridoio incontrò
Ellie. «Cosa succede?» gridò mentre le urla proseguivano.
Ellie scosse la testa e insieme si precipitarono giù dalle scale.
In sala da pranzo si presentò ai loro occhi uno spettacolo orribile. Miss Brodie era
china sul decano, che giaceva per terra in una pozza di sangue.
7

Cameron lo condusse fuori della stanza e Rose si voltò verso l’infermiera. «Ma
siete voi, Pansy! Non vi avevo riconosciuta!»
«Sì, sono io, Rosie. Quando George si è messo a cercare un’infermiera io sono
stata la prima ad arrivare. Naturalmente non sono un’infermiera, ma voglio bene a
Beattie Barbour. E poi i miei bambini sono stati gli ultimi che ha curato.»
«Perché nessuno mi ha avvertito?»
«Non l’abbiamo lasciata sola neppure un minuto, cara.»
«Bene, adesso potete dormire qualche ora, Pansy. Starò io con lei, questa notte.»
«Dormirò nella stanza accanto, in caso abbiate bisogno di me» disse Pansy Paris
con voce stanca.
Finalmente giunse l’alba. Rose aveva parlato con sua zia per tutta la notte e aveva
continuato a tamponarle il viso con una pezza bagnata.
Quando la prima luce filtrò nella stanza Mrs Barbour aprì gli occhi e sorrise a
Rose, poi cadde in un sonno profondo.
«È troppo presto per dire se ce la farà» disse Rose dopo che Pansy Paris le ebbe
dato il cambio, «ma per lo meno sta lottando. Starò con lei per tutto il tempo che sarà
necessario. Adesso vi conviene andare, Cameron.» Anche lui aveva gli occhi stanchi.
Probabilmente era stato sveglio tutta la notte con George Abercromby. «Dite ai
Brodie che tornerò appena zia Bea starà meglio.»
Rose assistette sua zia per un’altra settimana, e alla fine la crisi fu superata.
Una mattina Mrs Barbour si svegliò e parlò.
«Il fuoco di Sant’Antonio è molto pericoloso» disse. «Può anche uccidere.»
«Ma questa volta non l’ha fatto» rispose Rose, e appena Pansy Paris la sostituì si
buttò sul letto e si addormentò profondamente.
Fu svegliata il mattino dopo da un delizioso profumo di uova e pancetta.
Quando scese in cucina trovò George Abercromby davanti ai fornelli.
«Ti senti meglio» disse lui dopo averle dato un’occhiata, «e ti sei rimessa il
costume di Newhaven.»
«Non c’era nient’altro che mi andasse bene.»
George sorrise. «Sei cresciuta, Rose. Dopo essere stata a Edimburgo a trovarti, tua
zia si è ammalata, e io ho chiuso la casa di Longcakes Lane.»
Quando salirono in camera zia Bea era seduta con la schiena appoggiata ai cuscini
e aveva l’aria molto stanca, ma mangiò di gusto la colazione.
«Rose, ci sposeremo appena tua zia riuscirà a stare in piedi davanti al sacerdote»
annunciò George.
«Sì» gli fece eco zia Bea. «Che cosa ne pensi, cara?»
«Penso che siete una coppia di adorabili matti! Ma perché non l’avete fatto anni
fa?»
«Tu sai perché, Rose. Ma adesso che sei sistemata rimanderemo le nozze fino al
giorno del tuo matrimonio, così potremo festeggiare tutti insieme.»
«Il mio matrimonio? Ho paura che per me non ci siano matrimoni in vista.»
«Sciocchezze, Rose! Tu sposerai Mr Kyle. Io e George l’abbiamo sempre
pensato.»
«Vuoi dire che hai fatto una scommessa con zio George? Comunque, l’hai già
persa, perché lui è fidanzato con un’altra» disse Rose.
«Non ci credo» ribatté zia Bea. «Tu ti sposerai nella vecchia chiesa di Newhaven,
insisto. E il tuo ricevimento di nozze si terrà qui, alla Locanda dell’Ippica. Vedo già
le carrozze e tutti gli invitati. Sarà una festa grandiosa!»
«Grazie al cielo tua zia sta meglio» disse George Abercromby.
«Grazie al cielo» rispose Rose. Poi aggiunse con un po’ di tristezza: «Questo
significa che io dovrò tornare a Edimburgo appena possibile, zio George, e qui non
ho vestiti. Puoi fare avere un messaggio a Miss Brodie? Lei mi manderà Ellie con
qualche abito.»
«Naturalmente, bambina. Ma non c’è fretta. Rimani con noi un giorno o due,
finché Beattie non si alzerà dal letto. Sarà come ai vecchi tempi.»
Rose ed Ellie tornarono a Edimburgo il nove gennaio 1788 con la diligenza
pomeridiana da Leith.
«Mi ha fatto piacere venire via stamane per portarvi gli abiti, Miss Rose. La casa
sembra un campo di battaglia. Questa sera c’è una cena importante, ma il signorino
Will l’ha annunciato solo questa mattina.»
«Santo cielo! E Miss Jean?»
«Noterete in lei dei cambiamenti, e non in meglio.»
«Non sarà tornata alle vecchie abitudini» chiese Rose con il cuore in gola.
«Proprio così, Miss Rose. È stata colpa dell’ultimo furto.»
«Che cosa è successo? Non ho più letto i giornali.»
«Hanno derubato Inglis e Horner, i mercanti di sete. C’è una taglia di cento
sterline.»
«Oh, Ellie, vorrei tanto che prendessero i responsabili e che tutta questa storia
finisse!»
«Davvero, Miss Rose?» chiese la ragazza a voce bassa, così bassa che Rose le
lanciò un’occhiata.
«E adesso cosa c’è, Ellie?»
«Questa sera c’è una cena di famiglia, parleranno d’affari. Ci saranno i signori
Sheriffs, Mr Leslie e altre persone che non avete conosciuto. Dovete partecipare
anche voi?»
«No, perché?»
«Allora sarete libera tutta la sera. E dopo che avrò servito la cena sarò libera
anch’io. Vorreste venire con me, Miss Rose? C’è qualcosa che penso che dovreste
vedere.»
Rose non ne poteva più dei misteri di Brodie’s Close, ma Ellie aveva risvegliato la
sua curiosità!
«Dovremo uscire dalla porta della cucina con dei mantelli scuri» continuò Ellie, «e
ricordate di indossare scarpe pesanti. Scendete alle dieci. Per quell’ora avranno
finito.»
«Dove andiamo?» sussurrò Rose mentre sgattaiolavano fuori della porta della
cucina.
«Nel deposito di legname e nell’officina.»
«Ma saranno chiusi a chiave.»
«Siamo nella casa dei duplicati, Miss Rose. Non c’è serratura che non possa essere
forzata, e il signorino Will è un fabbro eccellente. In ogni caso, John Robertson mi ha
dato una chiave di scorta. E adesso, Miss Rose, smettiamola di parlare. Seguitemi.»
Rose la seguì silenziosamente, tenendosi vicina ai muri in modo da restare
nell’ombra.
Faceva molto freddo e la città era spazzata da un vento artico.
D’un tratto si udirono un grido roco e un violento battito d’ali e Rose si sentì gelare
il sangue nelle vene.
«È il gallo da combattimento del decano, chiuso nella sua gabbia» sussurrò Ellie.
«Ve l’avevo detto che il signorino Will è un appassionato di galli oltre che un
giocatore d’azzardo.»
«Ma, Ellie...»
«Shh» fece Ellie. «Parleremo quando saremo dentro.» Così dicendo aprì la porta
dell’officina.
Le due donne entrarono nel locale e si trovarono nell’oscurità più totale. L’aria
però era tiepida e profumava di segatura, di colla e di vernice.
Ellie accese una candela e tenendola sollevata fece strada fino ai banchi da lavoro e
agli armadietti con le ante a vetri che erano appesi ai muri. «Guardate» sussurrò, e le
indicò gli enormi mazzi di chiavi che erano appesi all’interno. Ogni chiave portava
un cartellino.
Ellie sollevò alcuni dei mazzi. «Leggete le etichette» disse.
Thomson, tabaccaio; Royal Exchange; Wemyss, orafo; Bruce, ferramenta;
Carnegie, droghiere; Biblioteca, Università; Tapp’s; Inglis e Homer, seteria.
Rose era piena d’orrore. «Sono stati tutti derubati!»
«Sì. Queste chiavi sono dei duplicati, alcuni di negozi e officine, altri di case
private. Qui a Edimburgo hanno tutti la pericolosa abitudine di appendere le chiavi a
un gancio dietro la porta d’ingresso.»
Rose intanto stava leggendo le etichette appese ad altre chiavi. Su una c’era scritto
Kyle, 29 Queen Street. Come mai il decano aveva la chiave della casa di Miss
Alison?
«Venite qui, Miss Rose.» Ellie indicò una scatoletta laccata di nero. Quando
sollevarono il coperchio videro che era piena di mastice nel quale era stata schiacciata
una chiave. Rose aveva visto molte volte quella scatoletta fra le mani del decano, che
la portava sempre in tasca, e aveva creduto che fosse una tabacchiera. «Vedete» disse
Ellie, «sta prendendo l’impronta di una chiave.» Poi aggiunse. «Qui c’è qualcosa per
aprire le serrature delle quali non ha le chiavi.» E indicò un pezzo di metallo lungo e
sottile, piegato come se qualcuno l’avesse utilizzato stringendolo in una morsa.
«Cos’è?» chiese Rose.
«Un grimaldello, Miss Rose.»
«E come fai a saperlo, Ellie?»
Ellie fece un sorriso misterioso. «Sono molto amica di John Robertson» ammise.
«E questo cos’è?» Rose stava guardando un piccolo attrezzo molto appuntito.
«Ah, questo non c’entra nulla con le chiavi. È uno sperone per il gallo. Viene
legato alla zampa dell’animale al posto di quello naturale, che è stato tagliato.»
«Ma è crudele!»
«Oh, sì, Miss Rose. I galli combattono fino alla morte. Domani il gallo del decano
combatterà nell’arena di Michael Henderson.»
«Ellie, non posso credere che un uomo rispettabile come il decano partecipi a uno
sport così cruento.»
Ellie arricciò il naso e richiuse la porta dell’officina, poi entrambe si avviarono
verso casa.
Rose ci mise tutta la notte e il giorno successivo per riprendersi da quell’avventura
notturna. A questo si aggiunse il fatto che Miss Brodie era precipitata di nuovo nella
solita depressione.
Fortunatamente, Mr Leslie arrivò nel tardo pomeriggio e Rose fu lasciata libera per
il resto della giornata.
Fuori del salottino di Miss Brodie incontrò Jesse. «Jessie, di’ a Ellie di
raggiungermi subito nella mia camera.»
«Sì, Miss Rose.» La ragazza fece un piccolo inchino e si allontanò.
Rose aveva meditato parecchio dalla notte precedente. Fin da quando era arrivata
Brodie’s Close, Ellie non aveva fatto altro che fare insinuazioni, e adesso lei non
poteva più ignorarle. Aveva deciso di scoprire cosa si nascondesse dietro tutti i
traffici che si svolgevano nella casa e nell’officina del decano.
«Ieri sera abbiamo seguito il tuo piano, Ellie» disse alla ragazza, «questa sera
seguiremo il mio. Immagino che le signore non possano entrare nell’arena dove
combattono i galli.»
«No» rispose Ellie con gli occhi pieni di orrore.
«Allora ci travestiremo da uomini. Portami uno degli abiti scuri del signorino Will.
Credo che mi andrà bene. Ma tu sei più alta e dovrai farti prestare qualcosa dal tuo
amico John Robertson.»
Poco prima delle undici Ellie tornò con una bracciata di abiti scuri e le soprascarpe
di Miss Jean.
«Quelle non mi servono, Ellie» disse Rose mentre si infilava i pantaloni del
decano, e tirò fuori dal fondo dell’armadio un paio di robuste scarpe di cuoio. «Sono
quelle che usavo a Newhaven, e sono proprio come le tue.»
«John Robertson si è arrabbiato, Miss Rose. Dice che quello che stiamo per fare è
troppo rischioso.»
«Staremo molto attente» disse Rose con determinazione. «Adesso mettiamoci i
mantelli e usciamo.»
Quando entrarono furtivamente nel vecchio granaio di Michael Henderson non
riuscirono a vedere nulla, ma udirono le voci roche degli uomini che urlavano
oscenità con tutto il fiato che avevano in gola.
Poi si abituarono all’oscurità e videro che gli spettatori erano tutti radunati intorno
all’arena, una piccola buca quadrata.
Due uomini erano accovacciati per terra ai lati opposti dell’arena e dietro a ognuno
c’era una gabbia coperta con del tessuto. Uno dei due uomini era il decano Brodie.
Poi le urla cessarono e gli uomini cominciarono a scommettere. Il combattimento
stava per iniziare. I galli furono tirati fuori dalle gabbie e ci fu un nuovo scoppio di
urla. Le scommesse piovevano da tutte le parti. A un certo punto il decano si alzò in
piedi. Aveva il volto paonazzo e gli occhi luccicanti. Dimenticata ogni decenza,
cominciò a urlare e a inveire con la bava alla bocca e una bottiglia in mano.
Terrorizzata, Rose afferrò il braccio di Ellie mentre i galli venivano liberati e si
scagliavano l’uno contro l’altro e il sangue cominciava a scorrere.
Rose fu presa dalla nausea e si voltò. Fu allora che scorse la sagoma di un uomo
alto e massiccio tutto vestito di nero. Era lo stesso uomo che aveva visto la sera che
erano andati a mangiare le ostriche. Anche lui stava guardando il decano ed era in
piedi davanti alla porta.
Rose si calcò sulla fronte il cappello, alzò il colletto del mantello e tenendo la testa
china trascinò Ellie verso l’uscita. Avevano appena oltrepassato l’uomo quando Rose
si sentì afferrare la spalla in una morsa d’acciaio.
«Santo cielo» sibilò Cameron Kyle, «che cosa succede?» Rose non l’aveva mai
visto così arrabbiato. «Che cosa credete di fare. Rose Barbour? E voi, Ellie, come
avete potuto permettere alla vostra padrona di venire in un posto simile? Lo sapete
che potevate essere calpestate a morte? O addirittura violentate da quella marmaglia?
Sono come degli animali selvaggi!»
Continuando a strepitare, Cameron le trascinò fino a casa.
E mentre lui non cessava di rimproverarle, Rose si rese conto che lo amava. Lo
aveva amato fin dal primo momento che lo aveva visto, e adesso lo amava più che
mai. Cameron era così arrabbiato perché teneva a lei.
«Allora eravate proprio voi quella sera, fuori della locanda!» lo accusò. «E non
siete migliore di loro, se eravate nell’arena!»
Troppo arrabbiato per risponderle, lui le spinse in cucina e sbatté loro la porta in
faccia.
«Oh, mio Dio, Miss Rose» gemette Ellie sull’orlo delle lacrime. «Si è arrabbiato...
E adesso che cosa facciamo?»
8

Febbraio fu un mese freddissimo. Nevicava ogni giorno, e ogni notte la neve


caduta si trasformava in ghiaccio. Le strade di Edimburgo erano deserte.
Con molta fatica Rose cercava di risollevare l’umore di Miss Brodie.
Fortunatamente i giornali riportavano solo notizie di portata generale. Le colonie
americane avevano dichiarato l’indipendenza. Nel castello di Windsor il re Giorgio
III governava la sua numerosa e infelice famiglia. In Francia stava per scoppiare la
rivoluzione.
A Edimburgo cominciarono a circolare strane voci. Si mormorava di un uomo
mascherato che poteva passare attraverso le porte chiuse a chiave come per magia. Si
sussurrava di case abitate dai fantasmi.
Perfino Rose cominciò ad avere dei dubbi. Il decano Brodie andava e veniva per i
suoi soliti affari. Dopo la cena di famiglia che si era tenuta la sera successiva al furto
nel negozio di Inglis e Horner, durante la quale lui era stato terribilmente esaltato,
Rose non aveva più sentito la sua terribile risata. Perché quando era eccitato, il
signorino Will faceva una risata simile a un raglio, e il suono stridulo di quel verso
suscitava la perplessità nei presenti e talvolta faceva rabbrividire.
Adesso Rose sapeva che lui giocava d’azzardo e che frequentava troppo spesso le
taverne. Inoltre, quando nessuno lo vedeva, beveva smodatamente. E naturalmente
c’era la sua passione per i combattimenti dei galli. Ma quelli erano i vizi degli
uomini. Le signore dovevano fare finta di nulla e ricordarsi che gli uomini hanno
delle necessità che loro non possono capire.
Quando il decano fu scelto come giurato in un processo per omicidio i timori di
Rose furono messi definitivamente a tacere.
Miss Brodie fu incredibilmente sollevata da quella notizia.
«Carissimo fratello» disse quando lui rincasò per la cena, «che onore!»
«Sul banco dei giurati ci sono quindici uomini giusti e onesti, Jeannie! E tutti
ricchi!»
Pieni di allegria, i Brodie si sedettero a tavola e per quella sera Miss Jean bevve
molto poco.
«Dove si terrà il processo, Will?» chiese a suo fratello.
«Nell’alta corte del palazzo del parlamento, la prossima settimana.»
«E chi è accusato di omicidio?»
«Non una persona di Edimburgo, grazie al cielo» disse il decano. «Si tratta di un
soldato che ha sparato sulla folla in un villaggio.»
«Poveretto» commentò Rose. «Forse pensava di fare il suo dovere.»
«Occhio per occhio» rispose il decano con severità. «Il crimine non deve restare
impunito.»
Rose pensò che gli altri consiglieri cittadini e il giudice dell’alta corte dovevano
fidarsi di lui. Forse era stata troppo sospettosa, troppo pronta a pensare subito il
peggio, e si ammorbidì un poco nei confronti del padrone di casa.
Il decano ed Ellie se ne accorsero subito. Lui le fece un sorriso di complicità e nei
suoi occhi c’era una promessa che le fece venire i brividi.
Miss Jean, tutta contenta e orgogliosa, non si accorse di nulla.
Ma Ellie lanciò un’occhiataccia prima al suo padrone e poi a Rose e la rabbia le
imporporò le guance.
Quella notte Rose andò a letto determinata a non lasciarsi sviare dai pregiudizi e si
addormentò subito. Ma nel cuore della notte si svegliò sentendo i rintocchi della
vicina cattedrale di St. Giles. Subito dopo udì delle voci maschili non molto lontane.
Cercò di capire da dove provenissero, e intanto fu assalita dal terrore.
Un lieve colpo alla porta la fece sobbalzare. Nell’oscurità i suoi occhi si
spalancarono per la paura. Ci fu un colpo un poco più forte e qualcuno sussurrò
qualcosa appena fuori della stanza. Con mani tremanti Rose si mise la vestaglia e in
punta di piedi si diresse alla porta.
«Miss Rose! Miss Rose! Lasciatemi entrare, ma fate piano!»
Rose aprì la porta e vide il volto di Ellie illuminato da una candela. Le voci degli
uomini adesso arrivavano più forti. Chiunque fossero, dovevano trovarsi in casa. Ellie
entrò nella stanza e richiuse silenziosamente la porta.
«Li sentite, Miss Rose? Finora non ha mai portato i suoi amici in casa. Di solito li
incontra nell’officina. Forse stasera fa troppo freddo.»
«Chi sono?»
«Il signorino Will e altri tre. Smith, Ainslie e Brown.»
«Cosa stanno dicendo, Ellie? Vorrei poterli sentire.»
«Vi ho svegliato per questo. È un po’ che busso alla vostra porta. Riuscite a
seguirmi al buio?»
Rose annuì. Aveva lo stomaco stretto in una morsa.
«Non ci conviene andare oltre la curva delle scale. Prendete la mia mano, Miss
Rose, e ricordatevi che non dobbiamo fare il minimo rumore, neppure uno
scricchiolio.»
Avanzarono lungo il corridoio e poi raggiunsero le scale.
Da sotto proveniva una debole luce. Quella era la parte più pericolosa della loro
impresa. Rose sapeva che alcuni dei gradini scricchiolavano, ma non si ricordava
quali.
Ellie la guidò giù per gli scalini e a un tratto si sedette. Rose fece altrettanto.
La scena che si svolgeva sotto di loro suggeriva indubbiamente corruzione e
cospirazione.
Bottiglie di brandy erano sparpagliate sul bel tavolo della sala da pranzo. Molte
erano vuote e in una era stata infilata una candela. Quattro uomini erano piegati
intorno a quel lume improvvisato, e visti dall’alto i loro volti sembravano dei teschi,
con grandi buchi neri al posto degli occhi.
«Adesso che avete finito di lamentarvi della neve» stava dicendo il decano con
sarcasmo, «immagino che avrete preso il coltro. Siete riuscito a staccarlo dall’aratro,
Ainslie?»
«E ha fatto anche un bel po’ di rumore. Avevamo solo una pietra e le mani
congelate, come vi può dire anche Brown» si lamentò Ainslie.
Rose guardò Brown, un tipo alto ed elegante, se non fosse stato per un buco nella
manica della giacca che cercava invano di nascondere.
«Già» disse Brown, «è strano che non siate riuscito a fare una delle vostre copie,
visto che siete così bravo.»
«L’ho fatta, Mr Brown» ribatté il decano con voce bassa e minacciosa. «Ho fatto
una chiave per la porta esterna. La chiave della porta interna è attaccata alla vita del
commesso. Ecco perché dovremo forzarla. Ed è per questo che abbiamo bisogno di
una lama robusta... come quella del coltro.»
«E voi non avevate nulla che servisse allo scopo?»
«I miei strumenti sono tutti di acciaio temperato e si spezzerebbero. Abbiamo
bisogno di acciaio lavorato a freddo, del coltro.» Le pazienti spiegazioni del decano
erano pronunciate con un tono dal quale traspariva chiaramente la furia repressa. «Ma
se siete nervoso, Mr Brown, forse non dovreste unirvi a noi.»
L’uomo alto lanciò al decano un’occhiata furibonda. «Io? Io non ho paura!» disse
con una smorfia.
«Signori, signori!» Il quarto uomo, che aveva un forte accento inglese, li richiamò
all’ordine. «Che dire allora della taglia? Centocinquanta sterline, e per di più la grazia
se l’informatore è un criminale evaso. Per Dio, è enorme!»
Quelle parole agghiacciarono gli astanti e nella stanza cadde un lungo silenzio.
Chiaramente il decano Brodie non aveva letto sul giornale le ultime novità riguardo al
furto da Inglis e Horner. Dopo avere lasciato cadere la sua bomba, Smith guardò fisso
Brown. Brown si sforzò di assumere un’espressione indifferente, ma il decano Brodie
strinse gli occhi.
«Già» commentò Ainslie mettendosi improvvisamente a tossicchiare per il
nervosismo. «Non è male.»
«E voi, Mr Brown?» sussurrò il decano. «Voi ricadreste nella categoria dei
criminali evasi, non è vero?»
«A che cosa serve il denaro?» gridò Brown. «La grazia sarebbe una faccenda
diversa per uno come me, destinato alla colonia penale. Sto ancora scappando, e voi
lo sapete. Ma pensate che mi fiderei di loro e delle loro promesse? Se mi costituissi
mi impiccherebbero subito. Non ho nessuna voglia di penzolare da una corda. No,
grazie.»
«Sì» disse il decano Brodie. «È proprio quello che vi capiterebbe, Brown. Sareste
uno stupido a illudervi. Soprattutto dal momento che vi toccherebbero le nuove
forche, progettate da me. Non potreste cavarvela, ve lo assicuro.»
Gli altri tre lo guardarono senza parlare.
«No» continuò il decano, «non vi sarebbe alcuna speranza per nessuno di voi, e
non dimenticatevelo. Naturalmente, le forche potrebbero essere truccate. Sono il
miglior carpentiere di Edimburgo e potete stare sicuri che quando le ho inventate ho
trovato anche il modo di truccarle.»
Smith era cinereo. «Parlate come se voleste provarle, Will. Per l’amor del cielo,
lasciate perdere.»
«Bene. Signori, beviamo e torniamo ai nostri affari» disse il decano. Adesso che
aveva capito di averli in pugno si era fatto allegro. «Nell’ufficio delle imposte
dovrebbero esserci fra le cinquecento e le mille sterline. Il colpo deve essere
pianificato fino al minimo dettaglio e abbiamo già perduto abbastanza tempo. Mi
seguite?» Si guardò attorno. «Ho fatto una mappa dell’edificio.»
Si chinarono tutti su una cartina che il decano spiegò sul tavolo. La guardia
dell’ufficio delle imposte era vecchia, disse, perciò non avrebbe costituito un
problema. Avrebbero portato una corda per legarla. Tutti avrebbero indossato le
maschere.
Il decano andò avanti a spiegare per filo e per segno il suo piano e quando ebbe
finito brindarono al successo. Rose ed Ellie aspettarono di sentire quando avrebbero
tentato il colpo, ma nessuno menzionò una data. Evidentemente, era già stata decisa
in precedenza. In silenzio se ne tornarono ciascuna nella propria camera.
Rose si mise a letto, ma era terrorizzata per la scena alla quale aveva appena
assistito. Non avrebbe mai potuto immaginare che si sarebbe trovata in un simile
pasticcio, e non aveva nessuno a cui chiedere consiglio. Avrebbe desiderato parlarne
con Cameron Kyle, ma non osava coinvolgerlo in quella vicenda alla vigilia del suo
matrimonio con Miss Cornelia Forbes.
Non aveva mai sentito la mancanza di una persona fidata come in quel momento.
Nascose la faccia nel cuscino e pianse.
«Siete sicura di stare bene, mia cara?» le chiese Miss Brodie una settimana dopo.
«Da qualche giorno sembrate strana.»
Rose fece un sorriso assente. Si sentiva malissimo. Da quando aveva assistito alla
terribile scena nella sala da pranzo non era più riuscita a dormire.
E quella mattina il decano Brodie aveva avuto l’ardire di fare parte di una giuria
che avrebbe dovuto decidere della condanna a morte di una persona.
«Chiederò di mettere qualcosa nel vostro caffè» disse ansiosamente Miss Brodie.
«Fa meraviglie quando mi sento giù.»
Rose era troppo debole per protestare. Il caffè bollente e il brandy le bruciarono la
gola, ma la fecero sentire un po’ meglio.
«Mr Leslie mi porterà di nuovo fuori questo pomeriggio.» Miss Brodie strinse più
forte il braccio di Rose mentre camminavano per il centro. «Sento che fra poco mi
farà una domanda importante, mia cara.»
Sorrise, tutta colorita per l’eccitazione, e a Rose si strinse il cuore. Miss Jean non
doveva scoprire quello che stava accadendo.
«Tireremo fuori la vostra cuffia più bella, Miss Jean» disse con un po’ di tristezza.
«E sapete, già cosa risponderete?»
«Oh, Rose! Lui mi rende così felice! Che cosa dovrei rispondere?»
«Dite di sì e decidete il giorno» disse Rose con serietà.
Se almeno si fosse sposata e se ne fosse andata da quella casa!, pensò Rose. Ma
certo non avrebbe potuto farlo abbastanza in fretta.
«Un po’ d’aria fresca vi farebbe bene, Miss Rose» disse Ellie quando Miss Brodie
se ne fu andata con Mr Leslie. «Vi aiuterebbe a fare un sonnellino prima di cena.»
«Dove vuoi andare, Ellie?» chiese Rose poco dopo mentre percorrevano Royal
Mile.
«Non avete ancora esplorato tutte le stradine qui intorno, Miss Rose.»
«No.»
«Pensavo di mostrarvene due. Non sono lontane da qui.»
Rose lanciò un’occhiata alla sua cameriera.
Ormai conosceva Ellie abbastanza bene da sapere che non faceva mai nulla senza
una buona ragione, per quanto fosse una gran chiacchierona.
«Oh?» disse sospettosamente.
«Questa è la prima» annunciò Ellie facendole strada. «Cant’s Close.»
Cant’s Close non aveva nulla di particolare. Era lunga e stretta, fiancheggiata da
edifici altissimi e abbastanza buia.
Rose si guardò intorno e si chiese come mai la sua cameriera l’avesse condotta lì.
«Entriamo in questo portone» disse Ellie in quel momento. «Si sente la voce di una
bambina. Forse vorrà parlare con noi.»
Sul primo gradino della scala era seduta una bambinetta ben vestita che teneva fra
le mani una trottola.
«Che bella trottola» disse Ellie. «È nuova, Jean?»
«Me l’ha data mio padre, e mi ha dato anche una bella spilla. A Cecil ha regalato
un medaglione.»
«E che cosa ha regalato a Mrs Grant?»
«Alla mamma? Ha regalato una collana con una pietra rossa. Credo che sia un
rubino, e ha intorno delle piccole perle. La mamma si è messa a piangere. Ma io non
ho pianto, e neanche Cecil.»
«E come si chiama tuo padre, Jean?»
La bambina si mise a ridere. «Tu lo sai, Ellie! Lavori per lui. È il decano Brodie, e
la mamma dice che è molto ricco e molto famoso.»
Una ragazzina di circa undici anni arrivò correndo giù dalle scale.
«Vieni, Jean, la mamma ti vuole.»
«Oh, no, Cecil, sto giocando con la trottola!»
«Vieni subito!» disse Cecil trascinandola su per le scale.
Rose rimase a guardarle senza riuscire a credere a quello che aveva visto. Quelle
due ragazzine avevano gli stessi capelli scuri e lo stesso volto felino del decano
Brodie.
«C’è anche il piccolo Jamie» le disse Ellie mentre la riconduceva verso Royal
Mile. «Ha solo due anni.»
«Non è possibile!» gemette Rose.
«Ancora un’ultima cosa, Miss Rose. Già che ci siamo, tanto vale esaurire la
faccenda. Mi spiace se vi sembro crudele, ma devo proprio farlo.»
Ellie la condusse in Libberton’s Wynd, un vicolo ancora più stretto e soffocante di
Cant’s Close.
«Qui vivono le belle di notte» annunciò.
Rose notò che sui gradini delle case erano sedute parecchie donne pesantemente
truccate e vestite in maniera molto vistosa. Una di loro stava avanzando nella
direzione opposta e a giudicare dal suo aspetto doveva essere la regina di quel vicolo.
Indossava abiti così sgargianti e privi di gusto da non poter passare inosservati e al
suo fianco trotterellava una miniatura del decano Brodie che poteva avere forse dieci
anni.
«Ma guarda un po’ chi si vede, Willie Brodie!» esclamò la donna con voce stridula
rivolgendosi al bambino. «Quella vive in casa di tuo padre e ha la faccia tosta di farsi
vedere qui!»
Le altre donne si alzarono in piedi e lanciarono occhiatacce a Rose. Ellie allora la
prese per un braccio e insieme si diressero correndo verso Royal Mile.
«Adesso sapete tutto» disse Ellie quando furono a casa. «Era la cosa migliore.»
«Sei una brava ragazza, Ellie» le disse Rose, «e so che stai facendo tutto questo per
proteggermi, ma adesso non ce la faccio più. Andrò a sdraiarmi.»
Rose dormì come un sasso e quando Miss Brodie tornò le tenne compagnia e poi
cenò con lei. In realtà non riuscì a mangiare nulla, ma Miss Brodie era troppo eccitata
per accorgersene. Mr Leslie, però, non si era ancora dichiarato.
Il pomeriggio successivo Ellie entrò nella camera di Rose reggendo una grande
scatola piatta.
«È arrivato un signore» annunciò.
«Mr Leslie?»
«Miss Jean è uscita con Mr Leslie un’ora fa. Questo signore è venuto a trovare voi,
Miss Rose.»
«Smettila di fare la misteriosa, Ellie. Chi è questo signore?»
«Mr Cameron Kyle vi invita a fare un giro in carrozza con lui e vi chiede di fargli
l’onore di accettare il suo dono.»
«Ellie, non scherzare! Se è davvero qui, di che umore è?»
«È in salotto e non è più arrabbiato.» Ellie si mise a ridere. «Mi ha perfino sorriso.
Quando sorride è molto bello, Miss Rose!»
«Mmm» rispose Rose, e cominciò ad aprire la scatola. «Oh, Ellie!»
Ellie ne tirò fuori una pelliccia candida e con mani tremanti la distese sul letto. Era
una magnifica mantella con il cappuccio e perfino un manicotto.
«Non potete rifiutarla, Miss Rose.»
«Mr Kyle ha l’abitudine di fare offerte che non si possono rifiutare.»
«In realtà vuole solo invitarvi ad andare con lui a Leith per vedere come sta Mrs
Barbour» la informò Ellie ridendo. «E ha detto di mettervi qualcosa di caldo.»
«Oh... be’, allora è diverso. Va’ a dirgli che scenderò fra un attimo.»
Rose si mise la mantella, prese la borsetta e il manicotto e raggiunse Cameron in
salotto.
«Bene» disse lui non appena la vide, afferrandola per un braccio. «Siete pronta.
Andiamo.»
Cameron si precipitò giù dalle scale. La sua fretta doveva essere dettata dal
desiderio di evitare d’incontrare qualcuno.
«Ho lasciato la carrozza poco distante da qui» la informò. «In questa città non
conviene far sapere in giro dove si sta andando.»
Quando ebbero raggiunto la carrozza Cameron fece accomodare Rose e poi diede
le istruzioni al cocchiere.
«Sapevo che l’idea della mantella era buona» disse quando si fu seduto accanto a
lei. «Sembrate una rosa di Natale.»
«Devo ringraziarvi» rispose lei, un po’ imbarazzata. «Anche se non sono sicura di
poterla accettare... soprattutto in circostanze come queste. Le signore possono
accettare doni solo dall’uomo che hanno sposato. Sono sicura che me l’ha detto zia
Bea.»
«Mi sembra ragionevole» rispose lui con calma. «Dobbiamo chiederglielo. Se è
così, allora le diremo che la mantella è un regalo di Alison, che io ho solo pagato. E
comunque lei è venuta con me per sceglierla.»
Rose si sentì venire le lacrime agli occhi. Cameron riusciva sempre a fare apparire
tutto nella giusta luce. Non esisteva problema che lui non fosse capace di risolvere.
«E adesso, Rose» proseguì lui, «mi direte come mai siete così terribilmente
infelice.» Le prese una mano e gliela strinse. «Siete pallida come un fantasma e avete
degli aloni scuri intorno agli occhi.»
Lei si voltò dall’altra parte e desiderò potergli dire la verità, cioè che quello stato
d’animo aveva a che fare solo con lui. Aveva voglia di appoggiargli la testa sulla
spalla e confessargli che il vero problema era Miss Cornelia Forbes.
Rose non osava guardarlo in faccia e non poteva dirgli assolutamente nulla di ciò
che la assillava, così gli raccontò la prima cosa che le venne in mente.
«Ho sentito il decano Brodie e i suoi complici preparare una rapina all’ufficio delle
imposte» disse, e poi cominciò a piangere a dirotto.
Cameron sospirò. «Allora lo sapete» disse. «Grazie a Dio. Mi sono preoccupato
per tanto tempo, chiedendomi fin quando avreste ignorato la verità. Finché non
sapevate nulla eravate al sicuro, ma adesso siete in pericolo. Non potete più tornare
nella casa dei Brodie.»
Rose gli sottrasse la propria mano. Era vissuta fino ad allora in quella casa, perché
non poteva più farlo? Era per quello che lui aveva deciso di portarla a Leith?
Quando arrivarono alla Locanda dell’Ippica George li fece entrare e li condusse in
salotto.
«Venite, venite» disse. «Vi presento Mrs Abercromby!»
Zia Bea era seduta su una poltrona acanto al fuoco.
«Oh, zia Bea! Perché non me l’hai detto?» esclamò Rose.
«L’abbiamo fatto la scorsa settimana, Rose. Ti avevo detto che non ci sarebbero
stati festeggiamenti. Li faremo in un secondo momento. Caro Cameron, come state?
Venite a sedervi accanto a me.»
Caro Cameron? Come faceva zia Bea a conoscere Cameron Kyle?
Mezz’ora dopo George Abercromby riuscì finalmente a intervenire nella
conversazione. «Vado a fare il tè» disse. «Tu sta’ lì, Beattie. Rose verrà con me in
cucina.»
«Non sapevo che zia Bea conoscesse Cameron» disse Rose mentre tirava fuori dal
forno i pasticcini. «E questi chi li ha preparati?»
«Tua zia. Se non la tenessi d’occhio farebbe molto di più. Ma si sta rimettendo
bene, Rose, non ti pare?»
«Sì, sta molto meglio.»
«Vedi, Beattie ha curato Miss Alison Kyle quando vivevano ancora in George
Square, mia cara» disse lui mentre versava l’acqua bollente nella teiera. «Mentre era
all’estero con il fratello, Miss Alison si è presa un’infezione ed è stata molto malata.
Sai anche tu che è un po’ delicata. Ecco, lasciamo il tè in infusione. Qui c’è anche
della marmellata di fragole.»
«Caro zio George» disse Rose buttandogli le braccia al collo, «spero che sarete
felici insieme per almeno cent’anni!»
«Cent’anni è un po’ troppo» rispose lui ridendo, «ma siamo stati felici, Rose, e lo
saremo ancora. Vorremmo solo vederti sistemata, cara, così non avremmo più alcuna
preoccupazione. Ma a proposito di preoccupazioni, quando Miss Alison era
convalescente, è arrivata Miss Cornelia Forbes, presumibilmente per tenerle
compagnia, e da allora non si è più mossa. Penso che non riescano a liberarsene.»
«Forse non vogliono farlo. Miss Cornelia mi ha detto che sposerà Cameron Kyle.»
George Abercromby gettò indietro la testa e fece una sonora risata. «Ci crederò
quando lo vedrò, Rose. No, bambina mia, il fatto è che Miss Alison non offenderebbe
mai qualcuno chiedendogli di andarsene. Non è nel suo carattere. E poi Miss Cornelia
è sua cugina.»
«Cugina prima?» chiese Rose piena di speranza.
«No, è una parentela più distante. Bene, il tè è pronto. Portiamo di là i vassoi, mia
cara.»
«Cosa ve ne pare del suo nuovo mantello, Beattie?» stava dicendo Cameron
quando entrarono in salotto.
«Non ho mai visto nulla che le stesse così bene» rispose zia Bea.
«Gliel’ho comprato io» annunciò lui con un sorriso irresistibile.
«L’avevo pensato, caro. Solo un uomo avrebbe potuto scegliere una cosa del
genere per lei.»
George Abercromby si mise a ridere vedendo l’espressione di Rose. «Il
matrimonio ha fatto molto bene a tua zia» osservò.
Mentre bevevano il tè continuarono a scherzare, poi Cameron posò la propria tazza
e si alzò in piedi.
«Adesso dobbiamo andare» annunciò. «Il tempo non promette nulla di buono.»
Dunque la stava riportando a casa. Rose rinunciò a capirci qualcosa e dopo avere
salutato zia Bea e zio George si accomodò in carrozza.
«Ma dove stiamo andando?» chiese a Cameron quando furono a Edimburgo.
«In Queen Street» rispose lui. «Ve l’ho già detto, non dormirete un’altra notte in
casa dei Brodie.»
In Queen Street! Dove ci sarebbe stata anche Miss Cornelia. Mai e poi mai!
«Fermate la carrozza!» gridò Rose. «Devo tornare indietro! Non posso lasciare
sola Miss Jean proprio adesso!»
Lui l’osservò con uno sguardo cupo. «Non c’è rosa senza spine.» mormorò.
«Molto bene. Allora io verrò con voi.»
«Ma non potete!» esclamò lei.
«Posso, e lo farò. Tornate indietro!» gridò al cocchiere. «E voi, appena sarete a
casa, mandatemi Ellie.»
Rose non seppe che cosa si fossero detti Cameron e la sua cameriera, ma quella
sera, quando fu l’ora di andare a dormire, Ellie entrò nella sua camera e si chiuse la
porta alle spalle.
«Dormirò sul divano, Miss Rose» annunciò. «Mr Kyle è entrato di soppiatto nella
mia stanza. Dice che dormirà lì per tutto il tempo che sarà necessario.»
Trascorsero dieci giorni, durante i quali Cameron continuò a passare le notti nella
stanzetta di Ellie, prima che i giornali pubblicassero la notizia che tutti e tre stavano
aspettando.
L’ufficio delle imposte era stato rapinato. Il giornale riportava fedelmente tutti i
dettagli. I ladri erano stati sorpresi e non erano riusciti a portare via tutto il denaro che
era depositato nella cassaforte.
Il giorno successivo ci fu un altro colpo di scena. Brown era andato dallo sceriffo e
aveva parlato. Ma che cosa aveva detto esattamente? In Royal Mile le voci si
rincorrevano.
Nessuno sapeva con certezza come stessero le cose, ma il decano Brodie rimaneva
calmo e impassibile. Era convinto di avere superato la tempesta e andò a controllare i
progressi dei suoi galli da combattimento.
Rose ed Ellie li videro allontanarsi fischiettando.
Un’ora dopo il decano tornò con un’espressione molto diversa. Ellie, che era alla
finestra, chiamò Rose.
«Ma perché si sta dirigendo verso le carceri?» chiese Rose.
«John Robertson dice che pare che Smith e Ainslie siano stati arrestati e rinchiusi
là dentro. Forse sta andando a trovarli.»
Ma poco dopo il decano tornò indietro di corsa e si diresse verso casa con
un’espressione turbata.
«Non l’hanno lasciato parlare con Smith e Ainslie» disse Ellie. «Adesso non sa più
a che punto sta. Non sa che cosa può avere detto Brown, o se ha raccontato tutto.»
«Ma dov’è Brown?»
«È libero. A quest’ora sarà già lontano.»
Ellie se ne andò e Rose rimase sola in camera. Dopo avere riordinato le proprie
cose decise di andare a vedere la stanzetta di Ellie, dove non era mai stata.
Si avvicinò al lettino dove Cameron aveva dormito per tante notti e si sedette, poi
affondò il volto nel cuscino e percepì il leggero profumo della brillantina che lui
usava e l’odore inebriante del suo corpo.
Le pareva quasi che lui fosse presente e la stesse abbracciando e baciando come
aveva fatto quella notte nel cortile di Longcakes Lane.
Rose udì un leggero fruscio nella stanza e il cuore cominciò a batterle forte. Lui era
lì e adesso si era piegato sopra di lei. Poteva sentire il calore del suo corpo...
Aprì gli occhi e si trovò faccia a faccia con il decano Brodie.
Per un attimo Rose rimase paralizzata per lo stupore e fissò l’orribile cicatrice che
sfigurava il volto del decano. Poi, con un movimento repentino, si alzò dal letto e si
allontanò da lui.
«Che cosa ci fate qui, Rose? Pensavo che questa fosse la stanza della cameriera.»
Lei oltrepassò la soglia e lui la seguì.
«Non andatevene, Rose. Ho qualcosa da dirvi.»
«Sarebbe meglio che lo faceste in modo più formale, decano Brodie» disse lei in
tono gelido.
Lui esitò poi parlò con impazienza. «Oh molto bene. Siccome quello che ho da
dirvi è molto personale, avete ragione. Andiamo in salotto.»
Nel salotto c’era un’atmosfera di desolazione.
Rose ebbe paura e si sedette sulla sedia più vicina alla porta.
Per un po’ il decano camminò avanti e indietro e quando finalmente parlò a lei
parve di avere già vissuto quella scena.
«Ho una confessione da fare, mia cara. Ho preso parte alla rapina all’ufficio delle
imposte.»
Nei suoi occhi non c’era ombra di vergogna né di rimorso. Il decano era molto
soddisfatto di sé.
«Sì.» Rose sospirò.
«Sono stato fuorviato. È stato solo un passo falso. Non avevo l’intenzione di
rubare, Rose.»
«No?»
«No. Avevo bevuto, e quando bevo credo di essere uno dei personaggi della
Beggar’s Opera. Sono andato con altri, trascinato dall’eccitazione. Voi sapete come
perdo il controllo, Rose! Vi ricordate che ve l’ho detto?»
«Me lo ricordo »
«Allora vi ricorderete anche che sognavo di andare per mare. Alla fine tutto torna.
Quello era il mio destino. Finalmente sono libero, Rose!»
«Libero, signorino Will?»
«Libero di andare in Olanda, e da lì in America per cominciare una nuova vita!» Il
decano sorrise felice.
«Ma perché mi state raccontando tutto ciò? Che cosa ha a che fare con me?»
Sul suo volto apparve un’espressione da ragazzino viziato. «Ma voi lo sapete, mia
cara. Non dovete prendervi gioco del vostro Will» disse piagnucolando. «Voi verrete
con me, Rose. Fra noi c’è un’intesa che non ho mai sperimentato con nessun’altra
donna.»
Rose si sentì gelare al pensiero delle due donne e... dei quattro figli del decano
Brodie.
Lui notò la sua espressione d’incredulità e fece una risatina. «Oh, state pensando a
quelle due donne? Lo sa tutta Edimburgo, non è vero? Be’ io non ho sposato nessuna
delle due. Voi siete l’unica alla quale abbia chiesto di diventare mia moglie. L’unica
ad avere un tale onore.»
Rose era completamente sconvolta, e non tanto per le sue rivelazioni, perché
sapeva già tutto, quanto perché si rendeva conto solo in quel momento che il decano
non era sano di mente. Adesso capiva per quale motivo Cameron era stato in pensiero
per lei. Per un attimo pensò di fuggire, ma poi cambiò idea. Finché era in quella casa
il decano doveva credere di averla dalla sua parte.
«Mi darete un po’ di tempo per pensare alla vostra proposta, signorino Will?» gli
chiese sorridendo.
«Non rimane molto tempo. Al massimo ventiquattr’ore.»
«Allora ci vedremo qui domani a quest’ora, e io vi darò la mia risposta.
Naturalmente l’avete detto a Miss Jean?»
Per la prima volta sul volto del decano apparve una espressione di autentica
sofferenza. «Sì... E temo che l’abbia presa molto male.» Poi si avviò alla porta.
«Adesso ho tante cose da fare, Rose. Vorreste andare da mia sorella?»
Il giorno dopo, domenica, Rose fu svegliata da Ellie. «Miss Rose! Miss Rose! Se
n’è andato!»
Per un attimo Rose non riuscì a capire, poi ricordò gli avvenimenti del giorno
precedente.
«Come fate a sapere che se n’è andato?»
«Non lo si trova da nessuna parte e c’è un bando contro di lui. Me l’ha detto John
Robertson.»
«Oh, Ellie... E Miss Jean lo sa?»
«Non lo sa. Mattie non permette a nessuno di andare a trovarla. Dice che Miss Jean
è molto malata.»
«E Mr Kyle?»
«Gliel’ho detto. È già vestito e vi sta aspettando. Qui c’è la vostra acqua calda,
Miss Rose. Ci conviene sbrigarci.»
Rose indossò la vestaglia. «Gli parlerò subito, Ellie.»
«Ma non siete nemmeno pettinata!»
«Non penso che Mr Kyle rimarrà turbato» rispose Rose sorridendo tristemente.
Contrariamente alle sue previsioni, Cameron rimase molto turbato vedendola in
quello stato, e dopo averla guardata con un’espressione di ardente desiderio la prese
per le spalle come se volesse baciarla.
Lei si sottrasse alla sua stretta e gli chiese: «Avete visto il bando?»
Cameron annuì. «Il primo problema è Miss Brodie. Deve essere allontanata
immediatamente, prima che arrivino qui gli uomini dello sceriffo.»
«Mandiamo a dire a sua sorella e a suo cognato di venire subito a prenderla. Voi ed
Ellie preparate i vostri bagagli più in fretta che potete.»
Mentre Rose si vestiva Ellie andò a prendere il baule.
«Ellie» disse Rose, «vai a preparare le tue cose. Io me la cavo da sola.»
I signori Sheriffs arrivarono e dopo essersi occupati della servitù andarono a
prendere Miss Jean.
Quando Rose ebbe messo nel baule tutte le proprie cose si ricordò
improvvisamente del denaro che aveva nascosto nella scrivania.
Ma era troppo tardi. Quando aprì il cassetto si accorse che era vuoto.
In quel momento arrivarono Cameron ed Ellie. «Che cosa succede?» chiese lui.
«Il mio denaro! È sparito.»
«Quanto era?»
«Non l’ho mai contato. Duecento, forse trecento sterline d’oro. Mi sono
completamente dimenticata di depositarlo in banca.»
«Probabilmente non sarebbe stato al sicuro nemmeno lì» disse Cameron con
amarezza. «Come mai avevate così tanti soldi, Rose?»
«È una storia lunga, e riguarda Rose Royale. In ogni caso, adesso non ho più
nulla.»
«Non dovete preoccuparvi» disse lui. «Lo riavrete. Siete pronta, adesso?»
«Sì. Ma tu, Ellie? Che cosa è successo? Avevi del denaro in camera?»
«No, Miss Rose.»
«L’avevi già mandato a tua madre?»
«No, non avevo nulla da mandarle.»
«Che cosa volete dire?» domandò Cameron. «Non avevate il vostro stipendio?»
«In questi sei mesi non mi hanno mai pagata, signore» rispose Ellie. «Mia madre
pensava che le avrei mandato i soldi tutti in una volta alla fine dell’anno.»
«Oh, santo cielo!» esclamò Rose. «E che cosa ha detto Mrs Jacobina Sheriffs?»
«Niente, Miss Rose. Ci ha licenziati tutti tranne Mattie, che è stata la loro balia.»
«E adesso che cosa farai, Ellie?»
«Non lo so» rispose la ragazza piangendo. «Penso che tornerò a casa.»
«Non è necessario» disse Cameron. «Perché non venite con noi in Queen Street?
Miss Rose viene a stare da me. Potrete occuparvi di lei. Siete molto brava ad
acconciarle i capelli.»
«Io preferirei che tu venissi con me, Ellie» aggiunse Rose.
«E naturalmente sarete pagata» continuò Cameron.
«Non lo farei per i soldi» singhiozzò Ellie, «ma per Miss Rose.»
«Allora verrete?»
«Sì, signore. Molto volentieri.»
«Farò in modo che vostra madre venga informata» disse Cameron. «Ho assunto
come tuttofare anche un giovane apprendista. Dice di chiamarsi John Robertson»
aggiunse con un lampo di malizia negli occhi.
In quel momento si udì il rumore di una carrozza che si allontanava. Dunque Miss
Jean se n’era andata.
Cameron ed Ellie trasportarono il baule fino alla porta d’ingresso. «La nostra
carrozza dovrebbe arrivare a momenti» disse Cameron.
Si guardarono e sorrisero. Il sole splendeva e quegli ultimi giorni in Brodie’s Close
sembravano essersi dissolti come un brutto sogno. Mentre erano lì che aspettavano
videro un uomo arrivare di corsa.
«Dov’è? Dov’è Miss Jean?» Mr Leslie sembrava disperato.
Cameron gli spiegò tutto e quando lui se ne fu andato arrivò la carrozza. Rose ed
Ellie si accomodarono, mentre Cameron tornava per chiudere la porta.
«Non preoccupatevi, Miss Rose» disse Ellie prendendole la mano. «Adesso andrà
tutto bene. Mr Cameron penserà a tutto.»
Rose sorrise, ma il suo cuore era pieno di dubbi.
9

Non appena giunsero in Queen Street Alison affidò Ellie a una delle sue cameriere.
«Prenditi cura di lei, Ruby» ordinò. «Mostrale la sua stanza e spiegale cosa dovrà
fare. Le ci vorranno un giorno o due per ambientarsi. Nel frattempo mi occuperò io
stessa di Miss Rose. Venite, cara» disse rivolta a Rose, «andiamo subito di sopra.»
Alison la condusse nella stanza che le era stata destinata e Rose rimase a bocca
aperta.
«La chiamo camera rosa» spiegò Alison con un sorriso pieno di sollecitudine.
«Pensavo che fosse adatta a voi. Spero che vi ci troverete bene, mia cara.»
La stanza era tutta bianca e ravvivata da pennellate rosa e oro nelle tappezzerie e
nei tessuti delle sedie e delle poltrone.
«È bellissima!» esclamò Rose «Ma non posso stare a casa vostra, Alison,
soprattutto in un momento come questo.»
«E perché no, mia cara? Io desidero che voi vi fermiate, Rose. Ma se questa
camera non vi piace ve ne sono molte altre.»
«Oh, no, Alison! E la più bella camera da letto che abbia mai visto!»
«Bene, allora io e Cameron vi invitiamo a fermarvi finché ne avrete voglia.
Abbiamo informato vostra zia, e Mrs Barbour è d’accordo, ma vi manda a dire che
sarete sempre la benvenuta alla Locanda dell’Ippica.
A quella notizia Rose si sentì un po’ più tranquilla.
«Ma per il momento starete con noi, non è vero, Rose?» continuò Alison. «Non ci
siamo quasi più viste dopo le lezioni di francese, e mi piace molto chiacchierare con
voi.»
Rose si abituò ben presto alla camera rosa e cominciò a sentirsi a casa propria in
Queen Street. Martedì Ellie tornò da lei in tempo per vestirla per la cena.
«Eccomi qui, Miss Rose. Che cosa volete indossare questa sera?»
«Non saprei... qualsiasi cosa» rispose lei.
«Mmm... Siete ancora scossa per la faccenda del decano Brodie?» chiese Ellie.
«No.»
«Per Miss Jean?»
«No.» Rose sospirò. «È solo che... mi sento in imbarazzo.»
La presenza di Miss Cornelia la disturbava, le dava l’impressione di essere
un’intrusa. Non poteva continuare a vivere sotto lo stesso tetto con l’uomo del quale
era innamorata e con la donna che lui avrebbe sposato. Doveva andarsene da quella
casa al più presto, possibilmente senza ferire i sentimenti di Alison. Ma la cosa non
sarebbe stata facile.
«Se continuate a fare il broncio lo perderete di sicuro» commentò Ellie.
«Che cosa stai cercando di dire, Ellen MacDonald?»
«Esattamente quello che ho detto» rispose Ellie mentre le spazzolava i capelli. «E
lo sapete benissimo.»
I loro occhi s’incontrarono nello specchio.
«Stai tirando troppo, Ellie.»
«Devono essere lisci, Miss Rose. A Mr Cameron piacciono così.»
«E lui cosa c’entra?»
«C’entra...» rispose Ellie tranquillamente. «Non vedevo l’ora di rimettere le mani
sui vostri capelli.»
E in effetti quando Ellie ebbe finito di pettinarla Rose si sentiva già molto meglio.
Quella ragazza aveva il dono di darle la carica.
«Indosserò l’abito rosso. Stasera è adatto al mio umore. Ti ringrazio, carissima
Ellie, anche se sei una gran prepotente.»
«Molte persone fanno assegnamento su di voi, Miss Rose, anche se non lo sapete.
Io sono una di quelle. Non voglio essere sgarbata, ma mi comporto così perché tengo
a voi.»
«Lo so, Ellie.»
Quando Rose scese in sala da pranzo c’erano solo Cameron e Alison. Il fuoco
scoppiettava nel grande camino e le candele illuminavano la tavola apparecchiata.
Alison indossava un abito grigio argento ornato di fiorellini rosa e celeste e aveva
un’aria serena. Cameron anche lui in grigio, era austero e immacolato.
Quando lo vide, Rose arrossì leggermente, ma nessuno dei due parlò.
Dopo qualche minuto Cameron ruppe il silenzio. «Conoscete le opere di Robert
Burns, Rose? C’è quella ballata sulla rosa...»
«La conosco» disse lei.
«Oh Rose, ce la cantereste dopo cena?» chiese Alison. «Cameron è un grande
ammiratore di Mr Burns, e l’ha anche incontrato, non è vero, caro?»
«Sì, l’ho incontrato una sera che stavo seguendo il decano e in quell’occasione ho
scoperto aspetti sconosciuti di questa città» rispose Cameron fissando Rose.
Lei arrossì leggermente. «Allora eravate proprio voi quella sera fuori della
taverna» disse ad alta voce.
«Sì, adesso posso dirvelo. Ma è una storia lunga e intanto la cena si sta
raffreddando. Andiamo a tavola.»
Quando si furono accomodati Alison chiese a suo fratello quali fossero le ultime
novità.
«Smith ha parlato e ha accompagnato gli uomini dello sceriffo in Brodie’s Close
per fare un sopralluogo.»
«E il decano?»
«Di lui non c’è traccia.»
«È scappato?»
«Potrebbe essere ancora in città» rispose Cameron con aria cupa. «Lo stanno
cercando dappertutto.»
Rose si chiese se dovesse riferire il progetto del decano di andarsene in America,
ma proprio in quel momento arrivò Miss Cornelia Forbes.
«Fa freddissimo questa sera!» esclamò. «Non sono troppo in ritardo, vero?» Poi si
sedette di fronte a Rose.
«Cornelia» disse Alison con una punta di rimprovero nella voce, «molto presto
dovrete sedere a capotavola in casa vostra, e allora dovrete arrivare puntuale, mia
cara.»
Era esattamente quello che Rose temeva. Stavano parlando dell’imminente
matrimonio di Miss Cornelia.
Cameron espresse molto più apertamente il proprio disappunto. «Cornelia, nessun
marito accetterebbe un comportamento del genere. Spero che ve lo ricorderete.»
Ma Miss Forbes rimase del tutto imperturbata e continuò a ridere e a scherzare.
Cameron non rideva e pareva irritato. Intorno alla tavola la tensione aumentava
sempre più.
«Ci accomodiamo in salotto?» propose Alison quando ebbero finito di mangiare.
«Perdonatemi, Alison» disse Rose «andrò a sdraiarmi in camera mia. Mi duole la
testa.»
«È colpa di tutti quei discorsi sul decano» commentò Alison, preoccupata, mentre
l’accompagnava su per le scale.
«No, non è quello. Ormai è acqua passata, Alison.»
«E allora di cosa si tratta, mia cara? Non potete dirmelo?»
Entrarono in camera di Rose e si sedettero davanti al fuoco. Per un attimo Rose fu
tentata di raccontare tutto ad Alison, ma poi ebbe paura di ferirla. «Temo di essere di
troppo nella vostra casa, Alison. Resterò solo finché non avrò trovato un altro
impiego.»
«Allora non dovete cercare, perché l’avete già trovato. Quando Cornelia se ne
andrà io rimarrò sola per lunghi periodi di tempo mentre Cameron è via per lavoro.
Per favore, Rose, prendete in considerazione la mia proposta!»
Rose non ebbe il coraggio di rifiutare. Nel frattempo avrebbe cercato di evitare il
più possibile Cameron e Cornelia.
«Non ce la faccio ad alzarmi» disse Rose a Ellie la mattina dopo. «Va’ da Miss
Alison e dille che ho ancora mal di testa. Per oggi non scenderò neppure a mangiare.»
Un quarto d’ora dopo Alison entrò nella camera di Rose con un vassoio. «Non
state bene, mia cara? Dovete assolutamente mangiare qualcosa, altrimenti chiamerò
un dottore.»
«Alison!» sospirò Rose. «Naturalmente non sono malata. E non avreste dovuto
portarmi il vassoio. Poteva farlo Ellie.»
«Infatti l’ha portato fin qui ma l’ho lasciata fuori. Volevo parlarvi in privato.
Adesso mangiate quelle uova mentre io vi racconto. Ieri sera non avete quasi toccato
cibo.»
Rose si sforzò di mangiare.
«Mrs Scott è molto dispiaciuta per avervi messa involontariamente in quel
pasticcio. Verrà a trovarvi oggi pomeriggio intorno alle quattro.»
«Oh, no!» La faccenda si faceva sempre più complicata.
«Se per quell’ora non starete meglio non potreste riceverla qui?» chiese Alison.
«Per le quattro riuscirò a venire in salotto, ve lo assicuro, Alison» rispose Rose,
che non voleva assolutamente un colloquio a quattr’occhi con Mrs Scott.
«Adesso riposate» disse Alison. «Ellie vi porterà il pranzo. Nel frattempo vi lascio
gli ultimi numeri del giornale.»
Appena Alison fu uscita Rose mise da parte i giornali e si sdraiò, troppo stanca per
pensare. Come chiuse gli occhi si addormentò profondamente.
Fu svegliata da un colpetto alla porta ed Ellie entrò portando un vassoio con una
tazza di brodo. «È mezzogiorno, Miss Rose. E avete una visita.» Ellie posò il vassoio
sul tavolino accanto al letto e sistemò il guanciale. «Mettetevi questa liseuse. Ecco,
lasciatemi annodare i nastri. Dovrei sistemarvi i capelli, ma pazienza. Mr Cameron ha
fretta.»
«Mr Cameron?»
«Sì, è qui fuori. E vi conviene bere quel brodo perché ha promesso a Miss Alison
che avrebbe controllato che voi lo faceste» sussurrò Ellie.
Prima che Rose avesse il tempo di protestare Ellie se n’era andata e Cameron si era
seduto sulla poltroncina accanto al letto.
«Che cosa succede?» le domandò.
«Che cosa volete dire?» ribatté Rose. «Ho mal di testa.»
«Sciocchezze! Non ho mai visto una donna più sana di voi. Voi non avete mal di
testa, Rose. Voi state cercando di evitare qualcosa. O qualcuno.»
«Naturalmente non è vero.» Rose si strinse addosso la liseuse e inghiottì un’altra
cucchiaiata di brodo. «E comunque mi alzerò presto. Non c’è nessuno che desideri
evitare.»
«Certo che c’è. Vi ho osservata. È Miss Cornelia.»
«E perché dovrei preoccuparmi di Miss Cornelia?»
«Chi lo sa? È quello che mi sono chiesto anch’io.»
Rose notò che lui era perplesso. «Vi posso assicurare che Miss Cornelia Forbes è
l’ultima delle mie preoccupazioni» affermò.
«E allora cos’è? Chi è? Sono io?» ripeté Cameron chinandosi su di lei e
allontanando il vassoio.
Rose lo guardò negli occhi e non si rese conto che la liseuse si era aperta,
scoprendole le spalle. Tese le braccia per allontanarlo da sé, ma, senza neanche
rendersene conto, gliele strinse al collo quando lui la baciò appassionatamente.
«No!» esclamò lei a un certo punto, ansimante. «Perché proprio voi? Oh, Cameron,
non voi! Non voi!»
«Allora che cos’è?» Cameron si raddrizzò. «Dovete dirmelo prima che io me ne
vada!» Il suo tono era concitato.
«Andarvene? E dove andate?»
«Fra un’ora partirò per andare a cercare il decano Brodie e assicurarlo alla
giustizia.»
Rose sospirò e si abbandonò sui cuscini. «Perché proprio voi?»
«Perché ho i cavalli e interesse ad acciuffarlo. Il decano ha qualcosa che mi
appartiene. E qualcosa che appartiene a voi.»
«E cosa ne dice Miss Cornelia?» chiese Rose con amarezza.
«Cornelia? E che cosa me ne importa di Cornelia?»
Rose lo fissò sconcertata. «Allora è così, Cameron Kyle! La povera Miss Cornelia
non vi conosce come vi conosco io, questo è ovvio.»
«Forse siete veramente malata» commentò Cameron, preoccupato. «Manderò su
Alison. Adesso purtroppo devo andare. Non posso trattenermi oltre.»
«Allora andatevene!» ribatté Rose. «Io non sarò più qui quando tornerete.»
Lui si avvicinò di nuovo al letto e si chinò a baciarla. «Spero di no, mia cara,
perché possono passare dei mesi prima che io ritorni. Pensate a me, Rose.»
Mesi? Rose guardò incredula la porta che lui si era chiuso alle spalle e cominciò a
piangere.
Un’ora dopo aveva esaurito tutte le lacrime. Esausta, prese il giornale e cominciò a
sfogliarlo. Non si parlava d’altro che del decano Brodie e dei suoi misfatti. Poi
l’occhio le cadde su una notizia che si era sempre aspettata di trovare, prima o poi.
Dovette leggerla due o tre volte prima che il significato delle parole le penetrasse nel
cervello.
La tribù zingara degli Sheridan aveva ottenuto dal consiglio comunale uno speciale
permesso per rimanere accampata nei pressi della città, a causa dell’imminente morte
del re Nathan e della regina Maddy.
Rose tirò immediatamente il cordone del campanello accanto al suo letto. «Devo
alzarmi» disse non appena Ellie fu arrivata.
«Sì, Miss Rose. Vi sentite meglio?»
«Non sento niente del tutto, Ellie, ma questo non ha importanza. Quello che conta
adesso è il mio aspetto. Per favore, fa’ del tuo meglio per farmi apparire normale.
Mrs Scott ha la vista di un’aquila.»
«Allora cominceremo con degli impacchi d’acqua fredda sugli occhi. Mr Cameron
se n’è andato?»
«È andato a prendere il decano, Ellie. E la cosa può durare parecchio.»
Mrs Scott arrivò in compagnia di suo figlio Walter e per un mezz’eretta recitò il
mea culpa per aver messo Rose in una situazione così imbarazzante.
«Se non ci possiamo fidare dei nostri consiglieri di chi ci dobbiamo fidare?»
domandò fra le lacrime.
Per fortuna Alison propose di prendere il tè interrompendo così le lagnanze di Mrs
Scott. «Adesso dimenticheremo tutta questa storia» aggiunse mentre si dava da fare
con le tazze e la teiera.
Mentre Alison e Mrs Scott parlavano di ricette Rose si avvicinò a Walter Scott.
«Walter» sussurrò, «avete letto il giornale?»
«Da cima a fondo.»
«Avete letto anche degli zingari?»
«Sì.»
«Sono proprio quelli che conoscevo io. Devo andare subito da loro.
Assolutamente. Come posso fare?»
«La mia ultima lezione finisce alle dieci» le mormorò lui all’orecchio. «La salterò.
Fatevi trovare pronta per le otto.»
Per una coincidenza fortunata Alison quella sera decise di cenare alle sette.
Cornelia non si presentò a tavola e Rose chiese spiegazioni.
«Più si avvicina il matrimonio e meno la vedremo qui» spiegò la padrona di casa.
«Ma voi vi state occupando della cerimonia, non è vero?»
«Naturalmente. Glielo devo, visto che lei si è presa cura di me quando ne ho avuto
bisogno. Cameron dice che sua madre è una donna troppo frivola per occuparsi di
queste cose. Comunque, preferirei che lui fosse al mio fianco» concluse Alison con
un sospiro.
Rose non ci capiva più nulla. «Ma tornerà in tempo?»
«Lo spero proprio.»
«Quando sarà il matrimonio?» chiese Rose tenendo la testa bassa.
«Il venticinque di maggio.»
Ancora nove, dieci settimane di agonia, pensò Rose.
«Ma passerà anche questa» disse Alison. «La mia principale preoccupazione è
Cameron. Dove sarà adesso?»
E a chi starà pensando?, si chiese Rose. «Miss Cornelia sarà una sposa molto bella
» disse in tono piatto.
«Sarà la più bella sposa che Edimburgo abbia mai visto... Rose, spero che voi mi
darete una mano.»
Rose rimase per un attimo senza fiato. Le pareva di avere ricevuto una pugnalata al
cuore. «Naturalmente vi aiuterò, Alison» rispose con calma quando riuscì a parlare di
nuovo. «Dovete solo dirmi cosa devo fare.»
«Non credo proprio che abbia già pensato al vestito» disse Alison. «Trascorre tutto
il suo tempo giocando a golf e in quel castello deprimente.»
«Un castello?»
«Oh, è solo un piccolo castello, ma lei ha perso la testa. In realtà sperava in un
titolo, ma si accontenterà. E Alexander Laing ha un sacco di soldi. Sì, spero proprio
che Cameron torni in tempo.»
«Ma la cerimonia non può tenersi senza di lui!»
«Certo che sì, mia cara. Parecchi dei nostri amici sono pronti a prendere il posto di
Cameron. C’è sempre qualcuno disposto a fare da testimone a un matrimonio.»
«Oh... Allora Cameron non sarà lo sposo?»
«Lo sposo?» Alison scoppiò a ridere. «Chi vi ha dato quest’idea?»
«Miss Cornelia.»
«A volte sa essere veramente maligna. No, Rose, ha soltanto sperato. Ma lui non
era interessato.»
«E allora chi è lo sposo?» chiese Rose con il cuore che le scoppiava di felicità.
«Alexander Laing. Dovreste averlo visto al ballo di Santo Stefano. Forse sono
vittima di un pregiudizio ma non mi pare che sia bello come mio fratello.»
«Non lo è certamente! Cameron è l’uomo più bello che abbia mai visto! Oh,
Alison, improvvisamente mi sento felice!»
«Sembra che vi sia stato levato un bel peso dal cuore. Rose» commentò Alison
sorridendo. «Ma vi consiglio di andare a dormire presto questa sera, così domani
sarete in piena forma. Andrò a letto anch’io. È stata una giornata lunga, e Mrs Scott
l’ha resa ancora più lunga.»
Alle otto la casa era silenziosa.
«Ellie, adesso sto bene e mi preparerò da sola per andare a letto» disse Rose alla
sua cameriera. «Che cosa farai questa sera?»
«Non preoccupatevi per me, Miss Rose» rispose Ellie con un sorriso malizioso.
«John Robertson mi aspetta. Andremo a fare una passeggiata.»
Rose attese che la ragazza fosse uscita, poi si mise un mantello scuro e si diresse in
punta di piedi alla porta d’ingresso. La carrozza la stava già aspettando e Walter Scott
saltò giù per aiutarla a salire.
Rose sperò che nessuno li avesse visti. Le spiaceva avere ingannato Alison, ma era
l’unica maniera per attuare il suo piano.
Walter Scott era terribilmente eccitato. «Rose, quanto tempo è passato da quando li
avete visti per l’ultima volta?» le chiese.
«Ormai sono quasi undici anni.»
«Siete sicura di poterli riconoscere?»
«Non preoccupatevi, Walter, li riconoscerò» rispose Rose, perfettamente
tranquilla.
La carrozza, intanto, si stava dirigendo a tutta velocità verso nord. A un certo punto
la strada sterrata terminò e Rose e Walter dovettero scendere. Davanti a loro c’era
solo erba, e più avanti si vedevano i fuochi dell’accampamento degli zingari.
Mentre procedevano a piedi verso l’accampamento, Rose fu assalita dai ricordi. Gli
zingari intanto li avevano avvistati e i cani cominciarono ad abbaiare. Alcuni degli
uomini uscirono dalle carovane e andarono loro incontro. Erano guidati da un tipo
alto e piuttosto grasso, con i capelli neri e un’espressione minacciosa. Quando fu più
vicino, Rose lo riconobbe.
«Zio Leon!» chiamò. «Sono venuta a trovare il nonno Nathan e la nonna Maddy!»
Leon si fermò, incerto sul da farsi.
Rose prese la mano di Walter e lo spinse avanti. «Questo è Walter Scott, un mio
amico che mi ha aiutata a venire qui. Ho letto le notizie sul giornale.»
«Allora farai meglio a sbrigarti» borbottò Leon. «Ma non fermarti a lungo. Sono
tutti e due molto stanchi e forse domani non si risveglieranno.»
Mentre si avvicinavano alle carovane Rose pensò che Leon sembrava desiderare la
morte dei suoi genitori. Gli zingari, intanto, facevano capannello intorno a loro.
Impaurita, Rose strinse la mano di Walter. Fra tutti quei volti non ce n’era nessuno
che conoscesse.
Quando raggiunsero il carrozzone reale apparve sulla soglia una donna appesantita
dall’età, ma ancora bella.
«Albina!» esclamò Rose sollevata.
«Rosie! Come l’hai saputo?» domandò la donna. «Hanno chiesto di te così tante
volte, nelle ultime settimane! Credo che abbiano qualcosa di importante da dirti. Ma
chi è questo?»
«Un mio amico, Walter Scott.»
«Bene, può restare seduto sugli scalini. Tu devi entrare. Sono molto deboli, Rose.»
Ma Leon non intendeva venire ignorato. «Deciderò io se può vederli oppure no.
Dopotutto sono il re.»
«No, non lo sei» rispose Albina facendo a Leon un gesto minaccioso. «Fuori di
qui! Tu non ti sei mai curato di loro. Non sei ancora il re, Leon Sheridan!»
Leon si ritirò.
Rose entrò nel carrozzone e appena vide i due vecchi zingari sdraiati nella grande
cuccetta capì che la loro fine non era lontana. Erano pallidissimi ed esausti. Nathan
aveva gli occhi chiusi e respirava appena. Maddy, invece, aveva gli occhi aperti che
sembravano sorridere mentre lei cercava di parlare.
«Sei proprio tu, Rosie? Finalmente! Sapevo che saresti venuta... Brava bambina...»
la sua voce si affievolì.
Rose si inginocchiò accanto alla cuccetta. «Come sta nonno Nathan?» chiese.
«Sta solo... aspettando me. Non se ne andrà da solo...»
«Oh, nonna» mormorò Rose con gli occhi pieni di lacrime, «non mi ricordavo il
nome della tribù. Nessuno poteva aiutarmi.»
«Eri troppo giovane... tua mamma è scappata con te... Leon le aveva fatto del
male.» Gli occhi della vecchia zingara lampeggiarono d’ira. «Nathan!» La sua voce
aveva riacquistato un po’ di forza. «È giunto il momento!» disse, e lui annuì
impercettibilmente. «Albina, porta qui Benny.»
Albina lasciò il carrozzone senza dire una parola, mentre le lacrime le bagnavano
le guance.
«Nathan deciderà» sussurrò Maddy. «È il re, è suo diritto.»
Poi chiuse gli occhi e rimase immobile. Rose continuò a stringerle la mano.
«Tua mamma» riprese a sussurrare Maddy, «Caroline... ha avuto un bambino?»
«Sì» rispose Rose, «ma non è sopravvissuto, e la mamma è morta nel darlo alla
luce. Io sono stata allevata da un’infermiera, a Newhaven, ma lei non ha mai saputo i
nostri nomi. La mamma stava troppo male per dirglieli. Così mi ha chiamata Rose,
perché io le avevo detto che mi chiamavo Rosie. Ma qual era il mio vero nome,
nonna?»
«Rose de Brus» disse a fatica la vecchia zingara. «Tua mamma si chiamava
Caroline de Brus.»
In quel momento entrò Benjamin Sheridan con sua moglie Albina.
«Zio Benny!» singhiozzò Rose gettandosi fra le sue braccia. «Mi dispiace!»
«Bisogna portare fuori mio padre» disse Benjamin. «Deve fare conoscere alla tribù
le sue ultime volontà. Questa è la nostra legge. Li ho radunati tutti qui fuori.»
Il vecchio venne sollevato e posto sul primo gradino del carrozzone reale.
Nathan riuscì a parlare alla sua gente con voce ferma, come se avesse risparmiato
le ultime energie per quel momento.
«Leon non sarà mai il re degli Sheridan» proclamò il vecchio. «Mai. Lui sa perché.
Tutti noi sappiamo perché. Dieci anni fa ha violato le nostre leggi. Adesso se ne
andrà e porterà via la sua gente. Il mio secondo figlio, Benjamin, sarà il vostro re.
Così ho deciso. Questa è la legge degli zingari.»
Poi Nathan fu fatto di nuovo sdraiare nella sua cuccetta. Prese la mano della
moglie e chiuse gli occhi. La sua espressione era serena.
«Rosie» disse Maddy, «apri l’armadietto. C’è un foglio piegato. L’ha lasciato la
tua mamma, e io l’ho conservato tutto questo tempo. È tuo.» Si guardò intorno e
sorrise. «Adesso ho fatto tutto quello che dovevo fare. Possiamo andarcene in pace.
Lasciateci soli. Vogliamo andarcene insieme.»
«Addio.» Rose baciò i due zingari e lasciò il carrozzone.
Pianse per tutto il viaggio di ritorno. Adesso sapeva chi era, ma Nathan e Maddy
stavano morendo, e Cameron se n’era andato.
Fu solo qualche giorno dopo, quando lesse sul giornale che Nathan e Maddy se
n’erano andati insieme, a un’ora di distanza l’uno dall’altro, che Rose si ricordò del
foglietto che aveva lasciato nella tasca del mantello. Lo tirò fuori e lo aprì sul
tavolino della sua camera. Il margine sinistro era perfettamente diritto e squadrato,
ma quello destro era stato strappato. Rose provò a leggere cosa vi era scritto, ma non
si capiva nulla. Evidentemente, doveva trattarsi di un documento legale, forse della
metà di un testamento. Le parole Parigi e Caroline le facevano sospettare che fosse
stato inviato a sua madre.
Più ci pensava, più Rose si convinceva che quel documento doveva essere stato
inviato a sua madre da qualcuno che viveva a Edimburgo e che lei conosceva bene,
visto che si era diretta in quella città.
Decise di mostrare quel documento a Walter Scott e lo raggiunse nella libreria di
Mr Creech.
«Che cosa c’è Rose?» chiese lui non appena si accorse della sua presenza.
«Si tratta di quel foglio che mi ha dato Maddy l’altra sera. Eccolo. Non riesco a
capirci nulla.»
Walter lo aprì e aggrottò la fronte mentre lo esaminava. «Così a prima vista
neanch’io. Sembra essere una parte di un testamento. Dov’è l’altra metà?»
Rose scosse la testa. «C’era solo questa.»
«Lasciatemelo, Rose, e vedrò cosa riesco a scoprire. Ma non dovete avere fretta.»
Lei ebbe improvvisamente un’ispirazione. Lord Braxfield si stava occupando del
testamento di Cameron. Perché non chiedere aiuto a lui?
«Provate con Lord Braxfield» suggerì.
«Lord Braxfield? Rose, ma avete idea di che cosa state chiedendo?»
«Per favore, Walter, non posso aspettare!»
Qualche giorno dopo Walter andò a trovare Rose. «Sono riuscito a parlare con
Lord Braxfield, che stava partendo da Edimburgo» le disse. «Ha preso il documento e
ha detto che gli ricordava qualcosa. Se ne occuperà quando ritornerà in città.»
«Ma passerà molto tempo!» protestò lei.
«Meglio tardi che mai, Rose» la consolò Walter. «Ha detto anche che non se ne
sarebbe occupato affatto se non fosse stato per una bella ragazza che gli ricordava
qualcuno che ha conosciuto tempo fa.»
Rose dovette accontentarsi.
Poco tempo dopo arrivò una lettera per Alison. Era da parte di Cameron, che la
informava che non era ancora riuscito a rintracciare il decano Brodie. Aveva perciò
deciso di andare un’altra volta in Francia per tentare di trovare l’altro erede senza il
quale non avrebbe potuto entrare in possesso della proprietà alla quale aspirava.
10

I giardini di Queen Street erano tutti fioriti. Faceva caldo, e le giornate si erano
allungate parecchio.
Cameron Kyle era partito ormai da quattro mesi. Dov’era finito? Rose si
consumava nell’attesa e diventava ogni giorno più magra e preoccupata.
«Questa sera non vado a letto, Ellie. Chiamami dei portantini» disse alla sua
cameriera.
«A quest’ora. Miss Rose? Sono le dieci.»
«Sì, e vado da sola, Ellie.»
«Molto bene, Miss Rose... Andate lontano?»
«Tre o quattro miglia, probabilmente.»
«Così lontano?» Ellie spalancò gli occhi. «Perché non mi lasciate venire con voi?»
«No, devo farlo da sola, Ellie. Per favore, mentre sarò via potresti stare di guardia?
Anche tutta la notte, se è necessario. Ho degli affari importanti. Se Miss Alison mi
chiamasse o chiedesse di me, ditele che non mi sento bene. È inutile metterla in
allarme. Avete capito?»
«Sì, Miss Rose, anche se la cosa non mi piace» rispose Ellie nell’uscire.
Finalmente la cameriera tornò con i portantini.
«Dove volete andare?» le chiese uno degli uomini.
«A Thistle Courts» ordinò lei.
«Ci vorrà almeno un’ora.»
«Non importa. Pagherò quello che vorrete.»
Quando la portantina si mosse, Rose non chiuse le tendine e guardando fuori
ripensò agli avvenimenti degli ultimi mesi. Miss Cornelia si era finalmente sposata.
Rose era stata immortalata in un ritratto da Henry Raeburn. Alison era stata
impegnata ad arredare la sua nuova casa in Charlotte Square. Miss Jean si stava
lentamente riprendendo dal duro colpo subito grazie alle costanti attenzioni di Mr
James Leslie. Quest’ultimo le aveva finalmente chiesto di sposarlo ma date le
circostanze la cerimonia sarebbe stata molto intima e privata. In giugno si era sparsa
la voce che il decano Brodie era stato rintracciato ad Amsterdam. Intanto era arrivato
luglio, ma Cameron ancora non era tornato.
E poi, il giorno prima, Walter Scott era andato a trovare Rose e aveva portato con
sé il famoso documento.
«Lord Braxfield si è messo a ridere» le disse.
«A ridere?» Per poco Rose non scoppiò in lacrime. «E perché dovrebbe ridere?»
«Ha detto che alla fin fine era tutto così semplice, e che non è la prima volta che
vede che la mano destra non sa cosa sta facendo la sinistra. Ha detto anche che a
Lady Susanna è sempre piaciuto scherzare.»
«Non ci capisco nulla, Walter.»
«Neppure io» confessò lui. «Ma non importa. Crede di avere trovato un indizio e vi
suggerisce di provare ad andare a Thistle Courts.»
«E cos’è?»
«Una grande casa, tre o quattro miglia a sud di Edimburgo.»
Nel frattempo si era fatto buio ed era scesa una leggera nebbiolina. Poi,
improvvisamente, la luna apparve nel cielo in tutto il suo splendore.
I portantini attraversarono un cancello di ferro battuto e si inoltrarono per un lungo
sentiero che serpeggiava fra gli alberi.
Tutt’intorno c’era un grande silenzio e i raggi della luna non penetravano,
attraverso il denso fogliame.
A un certo punto gli alberi cominciarono a diradarsi e il sentiero si fece più ampio.
Dopo l’ultima curva si aprì davanti a loro una grande radura, al centro della quale
sorgeva Thistle Courts.
La portantina si fermò. «Siamo arrivati» disse uno dei due uomini aprendo la porta
per Rose. «Ma la casa sembra deserta.»
Rose guardò la facciata imponente. «Devo entrare ugualmente.»
L’uomo allora prese la lanterna e le fece strada. «Ci sarà sicuramente una finestra
aperta.»
E infatti una delle finestre al pianterreno era aperta. Rose entrò.
«Volete che venga con voi?» chiese l’uomo.
«No, grazie, me la caverò da sola.»
«Prendete la lanterna?»
«Non ne avrò bisogno. La luna è molto luminosa, stanotte.»
«Allora vi aspetteremo.»
Rose ebbe di nuovo una strana sensazione di déja vu. Era come se la casa le aprisse
le braccia per accoglierla. Il suo silenzio non la impauriva.
Cominciò a girare per le stanze. Le pareva di essere ritornata dopo una lunghissima
assenza. A un certo punto la luce lunare che filtrava attraverso le finestre si posò su
un ritratto e Rose sobbalzò.
Era sua madre! Non potevano esserci dubbi. L’abito che portava era di un’altra
epoca e gli occhi erano più scuri e animati di come Rose li ricordava, ma era
indubbiamente sua madre. «Mamma...» sussurrò.
«Lady Susanna Kyle, Rose» disse una voce profonda alle sue spalle.
Rose si voltò e vide il fantasma di Cameron Kyle. Poi la vista le si oscurò e sentì
uno strano ronzio nelle orecchie.
Quando rinvenne era sdraiata su un divano. Qualcuno le diede da bere dell’acqua e
davanti a sé vide Cameron in carne e ossa.
«Pensavo che foste un fantasma» mormorò.
«Mi dispiace. Rose, non avrei dovuto sorprendervi in quel modo.»
«Non è quello. In genere non svengo, ma avevo appena visto un altro fantasma.»
Rose guardò il ritratto. «Quello di mia madre.»
«Forse è stato uno scherzo del chiaro di luna» disse Cameron porgendole il
bicchiere. «Non è vostra madre, Rose. È Lady Susanna Kyle.»
Rose lo osservò meglio e notò delle piccole differenze. Gli occhi della donna erano
scuri, mentre quelli di sua madre erano stati celesti, e l’espressione era più audace.
«È mia nonna. Quella che da vecchia è diventata eccentrica. Il ritratto fu dipinto
quando si sposò con mio nonno» le spiegò Kyle.
«Sì...» disse Rose. «Ma a prima vista la somiglianza con mia madre è
stupefacente.»
«E voi assomigliate a vostra madre, Rose? Forse è stato questo ad attrarmi.»
«Oh.» Rose arrossì leggermente e si rese conto che non avrebbe dovuto rimanere
in quella posizione sconveniente, e per di più in una casa deserta, soprattutto dati i
sentimenti che nutriva per Cameron. Cercò di alzarsi, ma lui le posò una mano sulla
spalla per trattenerla. Quel contatto la fece tremare.
«Oh, Cameron, siete veramente voi? Siete finalmente tornato?»
Lui l’abbracciò. «Sì, sono veramente io. Mi siete mancata tantissimo. No,
aspettate, non alzatevi. È una splendida notte. Accenderò il fuoco nel camino.»
«Ma non posso stare qui! I portantini stanno aspettando!»
«No, Rose. Quando sono arrivato li ho pagati e li ho mandati via.»
Cameron si allontanò. Rose chiuse gli occhi e nel giro di pochi minuti si
addormentò profondamente.
Fu risvegliata dal crepitio delle fiamme. Cameron era di nuovo nella stanza.
«Per quanto tempo ho dormito?»
«Una mezz’ora. Come vi sentite, Rose?»
«Meglio. Molto meglio.»
«Siete più magra di quando sono partito» osservò lui. «Quand’è stata l’ultima volta
che avete mangiato?»
Rose ci pensò. «Non me lo ricordo» ammise.
«Lo sospettavo. Aspettate, ho portato con me delle provviste.» Aprì una delle
bisacce e ne trasse un involto dal quale proveniva un profumo assai invitante. Poi
cominciarono a mangiare.
«Come sapevate che ero qui?» chiese lei.
«Ho visto la portantina e l’ho seguita.»
«Siete abituato a seguire le portantine?»
«Solo di notte, e se sono di mia proprietà.»
«Avete riportato indietro il decano?»
«Sì Adesso è in catene.»
A Rose salirono le lacrime agli occhi. «Oh, Cameron, che ne sarà di lui adesso?»
«Verrà incarcerato in attesa del processo» rispose Cameron con calma. «Non
angosciatevi, Rose.» Aprì di nuovo la bisaccia e ne trasse un piccolo involto. «È
vostro?»
«Oh, sì! Sono le mie sovrane.»
«Erano nel suo baule assieme a molte altre cose che aveva rubato.»
«Ma cosa accadrà se il decano sarà giudicato colpevole?»
«Non c’è alcuna possibilità che possa essere giudicato innocente, Rose» rispose
Cameron «Ci sono le prove, e i testimoni. Sa già che verrà impiccato sulle forche
disegnate da lui stesso. Sembra che la cosa lo rallegri.»
«Oh, povera Miss Jean!» Rose scoppiò a piangere. «Adesso non potrà più
sposarsi!»
«Non credo che Mr Leslie sia dello stesso avviso.»
Cameron prese Rose fra le braccia e le coprì il volto di piccoli baci. «Rose, questo
non è il momento di piangere. Stiamo parlando di matrimoni! A proposito, com’è
andato quello di Cornelia?»
«Oh, è stato meraviglioso... No, è stato orribile! Non vorrei mai un matrimonio del
genere.»
«Interessante. E che genere di matrimonio vi piacerebbe?»
«Voi mi state prendendo in giro, Cameron. Uno in cui si mangi e si beva, si suoni e
si balli.»
«Il mio matrimonio ideale!»
Rose si mise a ridere e a piangere allo stesso tempo. «Non è il caso di pensarci,
Cameron, non per me. Tutto è così confuso!»
«Allora siete nella stessa situazione nella quale mi trovo io. Dopo quattro lunghi
mesi di ricerche, non sono ancora riuscito a rintracciare il mio coerede.»
«E non avete neppure trovato il vostro documento?»
«Ho trovato anche quello, nel baule del decano, anche se non capisco perché non
l’abbia gettato via. Non ha l’aspetto di una cosa di valore e, così com’è, non serve a
nulla.»
Cameron aveva aperto una delle finestre e il profumo delle rose aveva riempito la
stanza. Rose tremò quando lui le prese le mani nelle proprie. La sua espressione era
seria e triste.
«Tutto questo sarebbe potuto durare per sempre, mia cara Rose. Le cene al chiaro
di luna, le rose, questa piccola stanza che ho sempre amato, nella casa che non avrei
mai voluto lasciare.»
Lei rimase sbalordita. «Questa casa?» chiese. «Questa è la casa che avete aspettato
per tutto questo tempo?»
«Oh, Rose, avevo deciso di non chiedertelo finché non avessi potuto offrirti Thistle
Courts, ma adesso» le disse stringendola fra le braccia, «adesso non posso più
aspettare a dirti quanto ti amo, e quanto mi sei mancata. Mi sposerai lo stesso,
amore?»
«Oh, Cameron» rispose lei, «ti amo anch’io tanto!»
«Sei felice? So che sei felice! I tuoi occhi splendono. Dammi la tua risposta.»
«E come potrei essere più felice? Non mi importerebbe di dove vivremmo, purché
fosse con te. Ma non posso darti una risposta finché non conoscerai tutta la storia che
mi sono sforzata di non far sapere a nessuno e soprattutto a te. Potresti cambiare
idea.» Sospirò e aggiunse: «È una lunga storia».
«È una lunga notte» rispose Cameron, «e non cambierò idea, qualsiasi cosa tu mi
racconti. Siediti vicino a me e ricordati che ti amo.»
E così Rose cominciò a raccontare tutta la sua storia, dall’infanzia a Parigi fino ai
suggerimenti che le aveva dato Lord Braxfield. Quando finì di parlare gli occhi di
Cameron luccicavano.
«E così si è messo a ridere, quella vecchia volpe? Era molto di più di un semplice
amico per mia nonna, ne sono certo. Ed era anche il suo avvocato. Non è strano,
Rose, che siamo tutti e due qui seduti a preoccuparci per un testamento? Hai portato
il tuo, per caso?» La sua domanda lasciava trasparire una grande eccitazione.
«Eccolo qui.» Rose tolse dalla borsetta il pezzo di carta e lo aprì. Cameron lo prese
e l’osservò con incredulità per un lungo momento. Poi cominciò a ridere. Le sue
risate echeggiarono nella stanza, contagiando anche Rose, finché tutti e due si
abbandonarono sul divano, esausti.
«Ma perché stai ridendo?» gli chiese Rose asciugandosi le lacrime.
«Oh, che maniera di cominciare un matrimonio!» Cameron rise di nuovo. «Ho
qualcosa nel portafoglio che farà ridere anche te.»
«Sei pronto?» chiese lei, coprendosi gli occhi.
«Quasi.» Ci fu un fruscio di carta. «Ma non puoi guardare finché non mi avrai
risposto. Ti amo, Rose. Lo farò fino alla fine dei miei giorni. Mi sposerai?»
«Sei sicuro di voler sposare una ragazza che è stata allevata dagli zingari, che non
aveva un posto nella società e che ha conosciuto il proprio nome solo pochi giorni
fa?»
«Questo non cambia le cose, mia cara.»
«Allora ti sposerò.»
Cameron la baciò sulle mani e poi sugli occhi. «Adesso puoi guardare.»
Rose vide che lui aveva posato per terra il suo documento e accanto ne aveva
messo un altro. I due pezzi di carta formavano insieme una pagina completa, erano
come due valve della stessa conchiglia.
«Vedi, Rose? Questa è la mia metà» le disse indicando il pezzo di carta a destra.
«È il documento che il decano mi aveva rubato. Senza la tua metà è inutile, ma
insieme formano un’unità. Come te e me.»
Cameron prese i due pezzi di carta e si avvicinò alla finestra per leggerglieli.

Io, Lady Susanna Kyle, già di James’s Court e adesso di Thistle Courts, a
Edimburgo, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, tenuto conto degli
imprevisti e delle follie di questa vita e con la certezza della morte, nonché
l’opportunità di disporre dell’ultimo dei miei possedimenti, lo faccio con il presente
testamento, tutti i miei altri beni essendo già stati equamente suddivisi fra mio nipote
Cameron Kyle e sua sorella Alison Kyle, essendo io stata preceduta dal loro padre e
mio figlio ed erede Gregor Scott Kyle.
Lascio la casa e i terreni di Thistle Courts al suddetto Cameron Kyle, insieme al
titolo ereditario, a una condizione. La spiegazione della condizione è la seguente: a
Parigi, nell’anno 1744, precedentemente al mio matrimonio con Sir John Kyle, in
seguito a una relazione extra-matrimoniale con Jean-Jacques Christophe Pascal, ho
dato alla luce una bambina alla quale è stato dato il nome di Caroline Susanna
Jeanne Pascal. La suddetta bambina si è sposata a Parigi con Henri de Brus nel
gennaio 1766, e da quell’unione, per quanto mi risulta, è nato un solo figlio.
Cameron Kyle deve rintracciare questo figlio, maschio o femmina che sia, ed
ereditare congiuntamente con lui la casa e i terreni di Thistle Courts.

Lady Susanna Kyle, 1 giugno 1775.


Ci fu un lungo silenzio. «Adesso so che Caroline Susanna Jeanne Pascal era mia
madre, ed è nata fuori del vincolo matrimoniale.»
Come poteva Cameron ereditare un titolo e quella magnifica casa e sposare la
figlia di una donna nata al di fuori del matrimonio?
Ma Cameron l’abbracciò e la tenne stretta. «So cosa stai pensando, ma non è stata
colpa di tua madre. E mia nonna era assolutamente incorreggibile, te lo posso
garantire. Comunque, tua madre è stata allevata come si conviene e sposando tuo
padre ha fatto un buon matrimonio. Questo l’ho saputo a Parigi grazie all’aiuto di
madame Buzonnière, anche se qualcosa me l’aveva già detta zia Bea.»
«Hai incontrato Madame Buzonnière?»
«Era rimasta molto colpita dalla tua storia e quando è tornata a Parigi ha fatto
qualche ricerca. Pare che tuo padre e tua madre abbiano avuto un matrimonio da
favola. Tua madre era bellissima, e tuo padre era molto ricco. Purtroppo la storia non
ha un lieto fine, perché tuo padre morì in un incidente. Tu dovevi essere piccolissima,
Rosalie de Brus.»
«Rosalie?»
«A quanto pare ti battezzarono così. Madame Buzonnière non ha saputo altro, a
parte pettegolezzi senza consistenza. Tua madre sparì semplicemente dalla scena.»
«Ma non da Parigi, Cameron. Abbiamo lasciato la Francia quando io avevo sei o
sette anni. E l’uomo sdraiato sul divano che ricordo era scuro di capelli. Non poteva
certo essere mio padre. Cosa dicono i pettegolezzi?»
«Che tua madre si mise con un mascalzone, un uomo che perse al gioco tutto il suo
denaro e morì di tubercolosi.»
«Non mi stupisce che fosse così triste quando lasciammo Parigi. E poi fu tradita da
Leon... Povera mamma!»
«Almeno ti portò a Edimburgo, Rose. Sicuramente aveva intenzione di raggiungere
la sua casa e sua madre. La casa che ora appartiene anche a tè, che tu mi sposi o no.»
«E tu sei Sir Cameron Kyle, che tu mi sposi o no» rispose lei sorridendo. «Dunque
mi sposi solo per la casa?»
«E tu sarai Lady Rose Kyle. Dunque mi sposi solo per il titolo?»
«Naturalmente!»
Lui la guardò teneramente negli occhi. «Vuoi decidere la data?» sussurrò.
«Che giorno è oggi?»
«Il diciassette di luglio.»
«Va bene il diciassette di agosto?»
«Un mese intero! E va bene. Ma adesso vieni a vedere il tuo regalo di nozze,
Rose.»
Uscirono dalla stessa finestra attraverso la quale erano entrati e poco distante Rose
vide Rose Royale. «La faremo figliare, e tu diventerai la proprietaria di una
discendenza di cavalli da corsa» disse Cameron. «Pensa al divertimento di zia Bea!»
Rose sorrise al futuro marito. «Tutto ciò non sarebbe accaduto se non fosse stato
per Rose Royale.»
Il sole sorgeva. Era l’alba della loro nuova vita.

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