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Progettazione di Veicoli Elettrici

Prof. Federico Caricchi

Libri di testo: Alberto Morelli, Progetto dell’autoveicolo


Ehsani, Modern Electric and Hybrid Electric and Fuel Cell Vehicles
Pollone, Il veicolo (“La Bibbia”)

Modalità di esame: orale (?)

Indice degli appunti

25 Ottobre 2010 ................................................................................................................................... 2


26 Ottobre 2010 ................................................................................................................................... 9
28 Ottobre 2010 ................................................................................................................................. 12
2 Novembre 2010............................................................................................................................... 16
4 Novembre 2010............................................................................................................................... 21
8 Novembre 2010............................................................................................................................... 23
9 Novembre 2010............................................................................................................................... 29
11 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 36
15 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 41
18 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 44
23 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 50
25 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 54
30 Novembre 2010 ............................................................................................................................ 62
2 Dicembre 2010 ................................................................................................................................ 65
7 Dicembre 2010 ................................................................................................................................ 71
9 Dicembre 2010 ................................................................................................................................ 76
14 Dicembre 2010 .............................................................................................................................. 79
18 Gennaio 2011 .............................................................................................................................. 109
25 Ottobre 2010

Ruote

Fig. 1.2 – schema a blocchi di un autoveicolo. In questo schema sono evidenziati i componenti
essenziali di un autoveicolo: Cassa, Ruote, Motore. Questi tre elementi sono interconnessi tra loro
mediante altri organi: tra la cassa e le ruote vi sono le sospensioni, lo sterzo (nel caso di ruote
sterzanti) e i freni; tra le ruote ed il motore vi è la trasmissione (nel caso di ruote motrici. In alcune
applicazioni tra il motore e la trasmissione vi potrebbe essere inserito un ritardatore); tra il motore
e la cassa vi è la sospensione del motore.

Nella nostra trattazione ci


occuperemo inizialmente delle
ruote.

Accelerazione centripeta
Il moto rettilineo uniforme è un moto dotato di
accelerazione perché la direzione della sua
velocità
cambia punto per punto. Vediamo ora come si
calcola questa accelerazione e le sue
caratteristiche.
Consideriamo i vettori velocità nei punti A e B e

chiamiamoli rispettivamente e :

Per accelerazione si intende la variazione della


velocità nell'unità di tempo. Chiamiamo

con
("delta v") la variazione di velocità fra
ipunti A e B per cui si ha :
L'accelerazione risulta allora : . dove ∆   ∙ ∆ ; essendo l’angolo assai piccolo visto che
devo fare la derivata del tempo che tende a zero  possiamo confondere il seno con l’angolo ∆   ∙ ∆


  
∆ ∆
  ∙  ∙ ma ricordando che   ∙ 
∆ ∆ 

Fig. 2.1 – Schema per il calcolo dell’accelerazione del centro c di una ruota rigida.
rigida In questa figura è
rappresentata una ruota che percorre un dosso. Se  è la velocità lineare della ruota, in presenza
di una cunetta vi sarà un’accelerazione centripeta pari a





Perr non compromettere il comfort del passeggero tale accelerazione non può essere
eccessivamente elevata (minore di 2-3g
2 ovvero 20-30
30 m/s²). Fissato tale valore, quindi, si ha una
velocità limite:

  


Se supponiamo
 3 ,  4  si ha una velocità di circa 11 /".. Se si supera questa velocità le
accelerazioni risultano elevati. Per andare a velocità superiori è necessario che la ruota sia
deformabile. Di qui la necessità di adottare uno pneumatico.

Fig. 2.2 - Semisezione […] mozzo.. In questa figura


figura si osservano le dimensioni principali di un
pneumatico. Il rapporto / è il cosiddetto rapporto di forma (che si trova anche sui pneumatici
tipo 110/70 ovvero S è il 70% di C=110 mm). Il diametro di calettamento del tallone D è
tipicamente espresso in n pollici. Quindi il diametro esterno è calcolabile come:

#$  # % 2

Dove     con  rapporto to di forma. La parte che contiene lo pneumatico (altezza B) viene
chiamato bancata. Nel cerchio è presente una gola G, necessaria per inserire il pneumatico nel
cerchio.. È interessante osservare che la coppia motrice è applicata al cerchio, mentre la
trasmissione con la strada è operata dal pneumatico. In corrispondenza del tallone, quindi,
quin
sorgono delle forze di attrito tali da rendere il pneumatico ed il cerchio solidali. Queste forze,
tipicamente, esistono grazie alla geometria troncoconica. Per ruote più grandi non si ricorre alla
gola per montare il pneumatico ma si utilizzano bancate
bancat rimovibili.
Fig.re 2.5,2.6. In queste figure
sono rappresentati due
pneumatici. Nella sezione si
possono osservare i vari strati di
cui è costituito uno pneumatico:
fascia telata, cintura di
contenimento (per evitare la
deformazione centrifuga).

Fig. 2.9 – Pneumatico […]


rispettivamente. In questo
grafico è graficato il rapporto
tra la forza verticale e lo
schiacciamento dello
pneumatico.

La deformabilità, utile per il


comfort, è anche il principale
responsabile di attriti, perdite,
ed in generale il rendimento
della ruota
Fig. 2.11. In questa figura si ipotizza la ruota costituita da una parte rigida, ed una serie di molle al
posto dello pneumatico. Anche considerando una ruota in folle le “molle equivalenti” sono
continuamente sottoposte a compressione e distensioni. La deformazione della gomma possiede
una intrinseca isteresi: ciò che viene immagazzinato durante la compressione non è restituito
durante la distensione. Si ha quindi una forza resistente provocata dalla deformazione del
pneumatico. Minore è la deformazione e inferiore è l’energia persa. Se invece di una ruota folle si
considera una ruota motrice o frenante, la ruota scambia con il suolo sia una forza verticale, sia
una forza orizzontale che è quella che, moltiplicata per il raggio della ruota, equilibra la coppia
motrice o frenante applicata. Questa forza è quella che consente l’avanzamento del veicolo. Le
due forze si compongono tra loro e deformano la “molla equivalente” non solo in direzione
radiale, ma anche in direzione tangenziale. Il battistrada, quindi, si deforma anche in modo
tangenziale.
Fig. ?.? – pressioni sul
pneumatico. Le pressioni
associate a queste forze non
sono simmetriche rispetto
all’asse verticale quando la
ruota è in movimento (quando
ad essa è applicata una coppia
motrice o frenante). La
risultante di queste pressioni '
non passa più per la verticale
passante per il centro della
ruota, ma è traslata
anteriormente (verso la
direzione del moto).

Il rotolamento di un pneumatico deformabile, quindi, presenta delle perdite e questo viene


quantificato tramite un coefficiente di rotolamento che tiene conto sia della deformazione ciclica
prodotta dal peso, sia della deformazione dovuta alla coppia motrice o frenante. Il fattore più
critico nell’ambito delle prestazioni ambientali dei pneumatici è il coefficiente di resistenza al
rotolamento. Questo fenomeno si verifica in seguito alla deformazione del pneumatico durante la
rotazione, che provoca la dispersione di energia sotto forma di calore.
Maggiore è la deformazione e superiore è la resistenza al rotolamento del pneumatico e, di
conseguenza, più grande la quantità di carburante necessario per far muovere il veicolo. Questo
coefficiente di rotolamento è espresso come rapporto tra la forza propulsiva necessaria per far
avanzare in piano il veicolo(kg f) ed il peso del veicolo(tonnellata). In fig. 2.15. sono riportati alcuni
coefficienti di rotolamento in funzione delle velocità di crociera in folle. L’ordine di grandezza è tra
i 7-12 kgf/t che rappresenta circa l’1% del peso. (espressa in Kg/tonn o meglio in “per mille”)  in per
cento 1%.

In fisica classica la forza peso (o più semplicemente peso) agente su un corpo è la forza che il campo
gravitazionale esercita su una massa. F=mg [N]

La RR è una forza che agisce in direzione contraria al senso di marcia quando il pneumatico sta rotolando. A causa del carico
del veicolo, il pneumatico si deforma nell’area di contatto con la superficie della strada. Tale deformazione provoca perdite
interne, analogamente a quanto accade quando una palla di gomma in caduta non rimbalza alla stessa altezza dalla quale è
stata lanciata.
La RR del pneumatico può essere espressa come Forza (Newton) o come Coefficiente (RRC). Il coefficiente di resistenza al
rotolamento è definito come forza di RR (N) divisa per il carico del pneumatico. Il vantaggio del coefficiente è che facilita il
confronto tra pneumatici progettati per essere montati su autovetture differenti.

espressa in Kg/Kg.
,-./-012345 :;
<
A 100 )/ℎ = 28 /", per un veicolo di 1 ton, questo coefficiente = 10 9=>?? @
64738/1/
quindi se il veicolo pesa 1  ABC>BDEFGH = 10 )  ci consente di calcolare una forza propulsiva
necessaria di circa 10 ) I = 100 J (ho moltiplicato per 9,8).

A questa forza è associata una potenza pari a K = A ∙  = 100J ⋅ 28 = 2800 N. Questi 2,8 kW
M
sono dissipati solo per l’effetto del rotolamento delle ruote! Sono ovviamente ripartiti su tutta la
superficie dei 4 pneumatici. Tale potenza deve essere dissipata per evitare surriscaldamenti.

Il grafico sopra mi dice che all’inizio il coefficiente è un po’ alto poiché devo vincere l’attrito
statico della ruota; poi all’aumentare della velocità essendo la massa del veicolo sempre la stessa,
aumenta il coefficiente IC ossia aumenta la resistenza di rotolamento mi serve più forza
propulsiva  il pneumatico dissipa più energia.
Fig. 2.18, 2.19. Coefficiente di
rotolamento in funzione del tipo
di tragitto. In figura 2.19 è
rappresentato un ciclo urbano. In
corrispondenza a questo ciclo, in
fig. 2.18, sono rappresentati i
valori del coefficiente di
rotolamento.

Tabella 2.1. Alcuni valori di attrito al rotolamento in varie condizioni di utilizzo.


26 Ottobre 2010

Le ruote sono connesse al


veicolo attraverso un
elemento che deve essere in
grado di trasmettere coppie
e consentire rotazioni.
(mozzo).

Fig. 3.1. in questa slide è


riportata una sezione del
pneumatico riferita all’asse di
rotazione, e le tre forze e
momenti rispetto a
quest’asse. La ruota scambia
forze col terreno attraverso il
pneumatico. Tali forze generano dei momenti rispetto all’asse di rotazione.

Fig. 3.4. Il collegamento della ruota al mozzo (è la parte in cui si fissa il cerchione alla macchina) è
mediato attraverso altri componenti. Il mozzo fa parte della sospensione(3), e per accoppiare
cerchio e mozzo si utilizza una flangia. In questa figura è rappresentato schematicamente un tipo
di accoppiamento in cui sono visibili mozzo(1), disco freno, una’altra piastra e cerchio. Il cerchio è
montato attraverso alcuni bulloni.(i braccetti sono (2)) La superficie di contatto tra cerchio e
piastra è un’area anulare. La forza di contatto si raggiunge grazie al serraggio degli O bulloni che
provoca un forte attrito tra cerchio e flangia. In questo modo i bulloni sono soggetti solo a forza
assiale e non devono poter trasmettere la rotazione (altrimenti si romperebbero facilmente: i
bulloni sono fatti per essere caricati assialmente). Ma quale deve essere il serraggio minimo dei
bulloni per evitare slittamento tra ruota e mozzo? Supponiamo di avere una ruota in folle
sottoposta ad un peso di 500 ) , ed una energica azione frenante. Supponiamo anche il
coefficiente di attrito tra ruota e asfalto circa pari a Q  1. Nel caso in cui ci sia il blocco della ruota
(a causa della frenata), nel punto di contatto tra ruota e asfalto si trasmette una forza (di attrito) di
500 ⋅ 1 = 500 ) . Se il raggio della ruota è di 300 , questa forza tangenziale esercita sul
cerchione una coppia di 5000 J ⋅ 0,3  = 1500 J.

Nota: il momento è il prodotto di una forza per il braccio S = A × U ma diciamo che è


l’equivalente della coppia.

Se consideriamo che il raggio di accoppiamento del cerchione (r, in figura) è circa 1/3 del raggio
totale della ruota, questa coppia genera delle forze tangenziali tra cerchione e flangia pari a
15000 J.
V XYZZ
Nota: abbiamo detto che la coppia vale S = A × U  A = W
=
Z,X
= 15000

Il coefficiente di attrito tra metallo e metallo è tipicamente intorno a Q = 0,2. Per trasmettere
15000 J, quindi, è necessario comprimere le due superfici tra loro con una forza pari a
XYZZZ
Z,
= 75000 J = 7500 ) . Se avessimo 4 bulloni, ogni bullone dovrebbe garantire circa
2000 ) di serraggio. Con un bullone di circa 10  di diametro corrisponde ad uno sforzo di
\;
circa 4000 ] ! Per evitare lo svitamento del bullone si utilizza un cerchione con una particolare
sagomatura, che si comporta come “una molla” (fig. 3.4b) e consente di mantenere il bullone in
^
posizione. Infatti si può scrivere K = , dove J è il carico del bullone e c è l’angolo di svasatura
_`a b
del bullone. Questa forza K moltiplicata per il raggio del bullone d /2 e per l’attrito metallo-
^ e
metallo, diventa una coppia di blocco per il bullone pari a  = _`a b Q  . Un altro aspetto riguarda il
passo di filettatura. Maggiore è il numero di giri necessario per avvitare il bullone (ovvero tanto
minore è il passo di filettatura) e tanto più difficilmente il bullone tenderà a svitarsi.

Fig. 3.6. In questa figura è rappresentato un mozzo di due ruote gemellate non sterzanti e motrici.
Si può osservare l’assale tubolare che contiene il semiasse proveniente dal differenziale che
trasmette il moto. In questa soluzione il semiasse non sopporta i carichi verticali dovuti al peso
(che invece è portato dall’assale).

In entrambe le soluzioni viste in precedenza il cerchio è connesso tramite un cuscinetto. Questo


organo deve poter sopportare vari tipi di carichi: verticali e assiali. Ci sono anche dei momenti che
tendono a “scampanare” la ruota. Per risolvere questo problema del momento si ricorre ad una
coppia di cuscinetti (fig. 3.5).
Fig. 3.7,3.8. In queste soluzioni più evolute si può osservare il mozzo che ha già la sede per
alloggiare i cuscinetti. Il mozzo, in caso di ruota motrice o sterzante, alloggia anche altri organi. Si
può osservare il giunto omocinetico che consente di trasmettere la coppia anche in presenza di
una inclinazione tra l’asse della ruota e il semiasse. Giunto omocinetico: la velocità di rotazione dei
due assi è identica a qualsiasi inclinazione relativa dei due assi. Giunto cardanico: la velocità di
rotazione dei due assi quando non sono allineati è diversa.

Fig. 3.9. Quando si utilizzano cuscinetti appaiati si possono montare in due modi diversi. In questa
figura ce n’è un esempio con cuscinetti a rulli conici. Due montaggi: montaggio “ad X” e montaggio
“ad O”. Nella disposizione ad X la distanza tra le forze (convergenti) esercitate dai due cuscinetti è
d’. Nella disposizione ad O la distanza fra le forze (convergenti) è d gg > d′. A parità di forza ,
quindi, il momento è maggiore nella disposizione ad X (???). A parità di momenti esercitati dalla
ruota sul mozzo, invece, la diposizione ad O si presta meglio, in quando la forza sui cuscinetti è
minore.

28 Ottobre 2010

Freni

Fig. 7.1. Nei veicoli tradizionali la


frenatura è esercitata attraverso uno
strisciamento di superfici fisse
rispetto ad altre in rotazione. Le
forze generate danno origine a delle
azioni frenanti. I freni meccanici più
diffusi sono i freni a disco. In questo
tipo di freni l’attrito si esercita per
effetto della compressione operata
dalla pinza sulle pastiglie del freno.
Una configurazione molto diffusa è
quella ad un singolo cilindro
idraulico che opera su una sola
pastiglia. In tale configurazione è
necessario montare la pinza in maniera flottante per garantire la frenatura da parte di ambo le
pastiglie. In passato si utilizzava una pinza non flottante ma rigida e le due pastiglie erano azionate
da due pistoni sottoposti alla medesima pressione su ambo i pistoni. La cosa importante,
comunque, è che sul disco non vi siano forze assiali risultanti dall’effetto della frenatura.

Fig. 7.2. Un altro tipo di freno è il cosiddetto freno a ganascia o a tamburo. In questo tipo di freni
le ganasce sono incernierate ad una estremità e l’altra estremità è connessa ad una coppia di
pistoni che, scorrendo, permettono di divaricare le ganasce e far si che queste, strisciando sul
tamburo, generino le forze necessarie per la frenatura.

Un'altra tipologia di freno (fig. 7.3c) diffuso soprattutto nei veicoli agricoli, è il cosiddetto freno a
nastro. In questo freno un nastro di acciaio flessibile (al cui interno è posta la guarnizione
frenante) è posto intorno ad un tamburo, fissato ad una estremità e nell’altra viene tirato
consentendo di “stringere” il tamburo ed esercitare l’azione frenante. Il problema di questi
dispositivi risiede nello smaltimento del calore. Tuttavia ha dei vantaggi dal punti di vista
cinematico.
Fig. 7.3.Confronto tra i tre tipi di freno. Questi tre freni sono tipicamente azionati da un comando
a pedale. La corsa di questo pedale può essere suddivisa in varie porzioni. La prima porzione è una
corsa di tipo “folle”, che serve a recuperare i vari giochi e laschi meccanici. Successivamente inizia
la corsa nr. 2 alla quale corrisponde un movimento degli organi di attrito. Oltre la corsa nr. 2 inizia
una corsa nr. 3 necessaria per compensare le deformazioni elastiche dei componenti. L’ultima
corsa nr. 4 consente di avere un certo margine “di sicurezza”.

Tabella 7.2. È importante trovare una relazione tra la forza che il conducente può esercitare e la
forza che si esercita sul freno. In questa tabella sono riportati vari dati tra cui la dimensione delle
varie corse nei tre tipi di freno e la forza frenante.

La riga j$ è una sorta di rapporto moltiplicativo tra corsa del pedale e corsa del freno.

Si può notare come i tre sistemi siano molto diversi tra loro: il freno a disco consente la maggiore
forza frenante.

Un altro effetto importante è l’effetto servofreno (!non il dispositivo servofreno‼). Questo effetto
kM è definito come il momento generato del pedale, diviso il momento frenante:

S
kM 
AQl
Dove F è la forza esercitata sul freno. Questo momento non si conserva. Ecco perché si ha un
“effetto servofreno”. Perché accade ciò? Consideriamo ad esempio un freno a tamburo. Quando la
ganascia si espande nascono delle forze tra ganascia e tamburo. Analizzando tali forze di attrito si
trova che la risultante di queste forze è una forza che ha la direzione che segue la corda massima
della ganascia ed è applicata un po’ all’interno dello spicchio. Tale forza tende a far “avvolgere”
maggiormente la ganascia sul tamburo. Questo effetto servofreno è molto sentito nei freni a
nastro (kM  15) perché, le forze di attrito tendono a far avvolgere il nastro sul tamburo
amplificando così l’azione frenante. Nel freno a disco non c’è azione servofreno perché le forze di
attrito agiscono in direzione ortogonale alle forze applicate. Tenendo conto sia dell’effetto
moltiplicativo sia dell’effetto servofreno è possibili calcolare la forza frenante in funzione della
forza applicata dal conducente. In tabella è rappresentata l’azione frenante per una energica
frenata (circa 50 ) !). Attenzione: queste forze sono le forze alla periferia della ruota (non quella
esercitata sul freno).

La corsa di ripresa del gioco è lo spessore, es. nel freno a disco, tra la pastiglia e il disco, che vale
0,2mm.

Attraverso i freni, quindi, si esercita una azione frenante che può essere utilizzata in varie
situazioni. Questa azione frenante, ovviamente, produce della potenza, del calore. Sotto il punto di
vista dello smaltimento del calore i freni a disco sono avvantaggiati. Vediamo quali sono le potenze
in gioco durante la frenata. Consideriamo un veicolo con una massa di 1000 ) , che viaggia a
velocità  = 100 )/ℎ = 28 /" , e che si voglia fermare esclusivamente grazie all’azione
frenante.

1
km =   ≈ 400˙000 p
2
Supponiamo che il tempo di frenata sia di circa q = 7 " (a cu corrisponde un’accelerazione di circa
0,4 ). La potenza frenante media è pari a

km
K= ≈ 60˙000 N
q

Consideriamo ora il medesimo veicolo, che viaggia alla stessa velocità che si vuole mantenere
costante in discesa di pendenza 20%. Per trattenerlo a velocità costante su una tale pendenza
occorrono 1000 ) ⋅ 20% = 200 ) = 2000 J. La potenza frenante necessaria è quindi pari a:

K = A = 2000 J ⋅ 28 ≈ 50˙000 N

Tale potenza è dissipata per un tempo molto lungo e un freno meccanico non è in grado di
dissipare l’energia associata a questa frenatura. Per questo motivo bisogna utilizzare altri metodi
come i retarder o i freni elettrici (elettromagnetici) (usati per veicoli industriali come caminon).

Ad ogni modo, durante la frenata, il disco (o tamburo) si scalda in quando deve assorbire una
grande energia in poco tempo in modo quasi adiabatico (senza scambio di calore). L’acciaio ha un
t
calore specifico circa pari ad 1/10 di quello dell’acqua quindi pari a circa 0,5 ; :. Considerando 4
dischi da 1 ) ,, quando si devono dissipare quei 400 )p della frenata si innalza la temperatura dei
singoli dischi a 200 °.
v
Calore specifico acciaio 502 (ossia si dissipano 502j innalzando di un grado K la temperatura
:;∙∙:
yZZ XZZ\
dell’acciaio  per dissipare 400 )p
400 con 4 dischi da un chilo   100 )p
)p   200|
y YZ
ossia 200 gradi.

2 Novembre 2010

Fig. 7.5. In questo diagramma sono riportate le temperature di un disco lungo il suo spessore. Nei
primi istanti nelle zone CD per effetto dell’attrito tra il disco e la pinza la temperatura cresce
rapidamente. Successivamente la temperatura si distribuisce più uniformemente
uniformemente nella zona interna.
Ad ogni modo le sovratemperature sono nell’ordine dei 500 °C. per effetto di queste temperature il
disco si deforma. La deformazione del disco avviene lungo i vari assi. Il coefficiente di dilatazione
w
lineare dell’acciaio 12 °x . Un disco spesso 10  che subisce un Δ{  600° si dilata (in
spessore) di circa 0,072 . Nella dilatazione lineare, l'aumento della lunghezza del corpo Δl è
direttamente proporzionale alla lunghezza iniziale l1 e l'incremento di temperatura
Δl = λl1ΔT dove λ è il coefficiente di dilatazione lineare.
Nella tab. 7.2 avevamo visto che la corsa delle guarnizioni era circa 0,2 . Con questa
dilatazione, quindi, questa corsa si riduce parecchio (circa il 60%). Se avessimo fatto lo stesso
calcolo per un freno a tamburo, avremmo trovato che su un tamburo l’incremento del raggio era
comunque confrontabile con la corsa delle guarnizioni (stessa cosa).

Il disco ha anche un’altra deformazione: da una forma piana, il disco tende a diventare di forma
troncoconica (ampiezza
in figura). Per questo motivo si usa la pinza flottante: si può posizionare
correttamente anche in presenza di una deformazione di questo genere. Tornando all’aumento di
spessore possiamo osservare che l’aumento di spessore è positivo, in quanto riduce la corsa
necessaria delle pastiglie. Tuttavia a frenata terminata potrebbe aumentare il gioco. Nel tamburo,
invece, la dilatazione aumenta la corsa delle ganasce.

Fig. 7.6. Qui è rappresentata una pinza con due cilindri contrapposti. Per evitare alterazioni della
geometria ci sono sistemi che permettono di recuperare il gioco iniziale. In questo schema, ad
esempio, ci sono delle molle che tendono ad avvicinare le guarnizioni al disco. Tuttavia queste
molle non producono un’azione frenante per via di tutta una serie di fattori (irregolarità del disco,
etc…). Questa molla, però, fa in modo di mantenere sempre la pasticca vicina al disco, anche
quando questa si usura.
Fig. 7.7. Un altro dispositivo di questo tipo si usa sui freni a tamburo. Si inserisce nella parte
superiore della ganascia un dispositivo ad attrito che funziona così: un perno (P) è solidale alla
parte fissa di un tamburo. Questo perno si trova in una boccola più grande (B) solidale al pattino.
Questa boccola ha un gioco rispetto all’asola (F), ma questo gioco è leggermente impedito da una
guarnizione (r) stretta da una molla (M). Impostando la differenza tra i diametri boccola-perno pari
al gioco massimo concesso tra guarnizione e tamburo si fa in modo che, ad ogni frenata, si riporti
la ganascia in posizione corretta in ogni stato di usura o dilatazione del tamburo.

Fig. 7.8. I freni vengono azionati da un sistema idraulico.

Fig. 7.9. Qui vediamo una pompa idraulica in cui si vedono: le camere (dove sono le molle), il
serbatoio, e lo stantuffo (p) del pedale. Le camere sono connesse con i freni (connessione non
rappresentata).
Fig. 7.10. Configurazione ad X del sistema frenante. In questo modo si aumenta la sicurezza in caso
di bloccaggio delle ruote. In questa figura si può anche vedere un altro dispositivo (C) chiamato
correttore di frenata. In generale il carico ripartito sugli assali non è lo stesso (ad esempio se c’è un
solo conducente, oppure 5 persone più bagagli. Ci sono anche effetti dinamici, ad esempio in
frenata il peso si sposta in avanti e le ruote posteriori “perdono” molto carico). Per questo motivo
si inseriscono questi correttori di frenata, che ripartiscono l’azione frenante in funzione dello stato
di carico sulle ruote, in modo da mantenere sempre l’aderenza. (corregge la frenata tra avantreno
e retrotreno; anteriore e posteriore).

Fig. 7.13. Lo schema di principio di questo ripartitore è semplice, ed è rappresentato qui. Il


correttore di frenata è costituito da due camere divise da un pistone, che assume una posizione
che è funzione della posizione dell’asse rispetto al telaio. In assenza di carico aggiuntivo il
correttore di frenata è bypassato ed è come se non ci fosse. Quando si carica maggiormente
l’assale posteriore, il pistone del correttore di frenata chiude la luce del bypass. In queste
condizioni nella camera di sinistra si ha una certa pressione dovuta al fluido frenante. Sulla camera
di destra (e quindi sulla ruota) si ha un effetto di amplificazione, in quando la pressione sul pistone
del correttore è pari alla somma dell’azione del freno e della molla M.

Fig. 7.12. Con questi dispositivi si può dosare molto bene la ripartizione delle pressioni sui freni.

Se le pressioni all’avantreno PF e al retrotreno PR sono uguali  la caratteristica è una bisettrice


y=x in realtà non sono mai uguali  ci metto il correttore di frenata che manda più o meno azione
frenante. Il risultato è come se si frenasse con un carico distribuito uniformemente (x=y).

Abbiamo visto (fig. 7.2) come la massima azione frenante con i freni a disco è, , di circa 4
tonnellate. Pertanto con questo sistema diretto si possono frenare al più veicoli di 4 tonnellate.
Per sistemi più grandi si devono utilizzare dei servofreni.
Fig. 7.14. Schema di principio del servofreno. All’azione del pedale (insufficiente ad azionare al
pinza) si deve aggiungere un altro contributo. Questo contributo deriva dal servofreno. Un cilindro
(S) diviso in due camere da una membrana (A). Su queste due camere possono agire pressioni
diverse. Nella camera di sinistra si può tenere la pressione ambiente, mentre nella camera di
destra si crea una depressione “prelevata” dai condotti di aspirazione del motore in queste
condizioni sulla membrana agisce una pressione differenziale che può spostare la membrana e
quindi lo stantuffo che aziona il freno. Questo sistema, dipendendo dal motore termico, non può
essere utilizzato in veicoli elettrici!

Il servofreno è un dispositivo che agisce sulla pompa del sistema frenante, quando si preme sul
pedale del freno, questo sistema amplifica la forza esercitata dal conducente.

Nella vetture moderne si utilizzano servofreni a depressione, che sono composti da una valvola
che mette in comunicazione la camera stagna del servofreno con il collettore d'aspirazione in
modo da poter sfruttare la depressione dell'aspirazione per azionare il freno.

Quando il pedale è rilasciato, la valvola che permette di generare la depressione è chiusa, e ai due lati del pistone
abbiamo la stessa pressione, perché con il pedale rilasciato, il perno governato dal pedale e che agisce sul pistone
ritorna in posizione di riposo tramite una molla, aprendo un foro sul pistone e permettendo il reflusso dell'aria dalla
camera in comunicazione con l'esterno con la camera stagna, quindi il pistone viene tenuto o riportato in posizione di
riposo (nessun azione frenante) tramite una molla.
Quando si preme il pedale, la valvola si apre e genera una depressione nella camera stagna del cilindro ed esercita la
sua forza sul pistone, mentre dall'altra abbiamo un'altra camera che è perennemente in comunicazione con l'esterno
e la pressione atmosferica preme sul pistone ampliando l'azione della depressione dell'altra stanza.
Quando il pedale viene rilasciato, i due lati del disco tornano in comunicazione, perché il perno che spinge sul pistone
ritorna in posizione di riposo e apre un foro che mette in comunicazione le due stanze, annullando la differenza di
pressioni, in modo che il pistone possa ritornare in posizione di riposo tramite una molla, quindi l'effetto del
servofreno torna ad essere nullo.

4 Novembre 2010

(riepilogo sul servofreno, fig. 7.14)

Fig. 7.15. Schema costruttivo di un servofreno. In questo schema si può osservare la realizzazione
pratica del servofreno.
Fig. 7.17. Queste curve riportano il coefficiente di aderenza μx (una specie di coefficiente di attrito)
in varie condizioni di suolo stradale, ed in funzione dello scorrimento. Lo scorrimento rappresenta
la differenza di velocità gomma e suolo. A ruota bloccata lo scorrimento è unitario. Il coefficiente
μy è quello che tiene conto delle forze in direzione perpendicolari al moto della ruota. Questo
coefficiente risente molto dello scorrimento. Per questo motivo una ruota bloccata non consente
di sterzare. Il bloccaggio delle ruote, quindi, influenza molto di più il controllo del veicolo,
piuttosto che la forza frenante. Per evitare il bloccaggio delle ruote, quindi, è necessario prevedere
un sistema anti bloccaggio. Per fare ciò è necessario prevedere un sensore di velocità delle ruote.
Fig. 7.21. Schema di un ABS. Degli attuatori controllati elettronicamente sono in grado di ridurre
l’azione frenante del pedale.

8 Novembre 2010

L’ultima parte sui sistemi di frenatura riguarda i retarder,


ovvero quei dispositivi in grado di dissipare l’energia
frenante per tempi lunghi.

Fig. 7.25. Questo diagramma riporta la potenza


necessaria per mantenere ad una certa velocità un
veicolo di 44 t su diverse pendenze (negative, ossia in
discesa). Come si può vedere queste potenze sono molto
grandi (centinaia di kW), anche superiori alla potenza del
veicolo.

Per far fronte a tali azioni frenanti occorrono altri


dispositivi.
Fig. 7.26. Un effetto frenante dei MCI è il cosiddetto freno motore. Dal momento che in discesa (in
assenza di apertura della farfalla) il motore è trascinato dalle ruote, pertanto esercita un’azione
frenante sulle ruote stesse. La curva di un sistema tipo freno motore è la curva (M). La potenza
frenante ottenibile col solo effetto motore è circa pari al 20% della potenza nominale del motore.
Le spezzate stanno a rappresentare le marce innestabili nel motore. Questo effetto di freno
motore può essere migliorato (curva G) intervenendo sulle luci di scarico (chiudendo le luci di
scarico). Questo effetto si aumenta ulteriormente (curva P, pari a circa l’80% della potenza
nominale) se si riesce a trasformare il MCI in un compressore, intervenendo sulla fasatura delle
valvole. Esistono altre tecniche che non si basano sull’effetto del freno motore. Si può frenare
sull’albero di trasmissione attraverso un freno ad attrito (curva F). La differenza tra questo freno e
quello sulle ruote è che il freno sull’albero di trasmissione può essere più complesso (ad esempio
freni in bagno d’olio a circolazione forzata). In questo sistema, tuttavia, la potenza che si riesce a
dissipare è proporzionale alla velocità delle ruote (e quindi della velocità di rotazione dell’albero di
trasmissione). Lo stesso principio appena descritto, si può applicare per via elettromagnetica
invece che meccanica. Un freno elettromagnetico (è sempre un retarted) utilizza come coppia
frenante la coppia che si origina per effetto di correnti parassite in un disco che si muove alla
velocità di rotazione dell’asse di trasmissione (curva E). Queste correnti parassite sono prodotte da
due espansioni polari percorse da corrente continua. L’intensità della frenata è dosata variando il
campo induttore, ovvero variando la corrente che percorre le bobine che generano il campo.
Ovviamente è necessaria tutta una componentistica elettrica per alimentare queste bobine.
Sempre restando nella frenata di tipo elettromagnetica si può pensare di utilizzare una macchina
elettrica che funziona da generatore e che è in grado anche di recuperare l’energia in frenata. La
curva (H) si riferisce ad un sistema di rallentamento idraulico.
Fig. 7.27. Il dispositivo P è un dispositivo in grado di sottrarre potenza motrice alla linea di
trasmissione immediatamente a valle del cambio con un sistema di pompa – turbina (con rotore
fermo!) che trasferisce l’energia al fluido che viene successivamente raffreddato.

Sospensioni

Fig. 4.1. Il sistema di collegamento della ruota al telaio del veicolo prende il nome di sospensione.
Una sospensione è un collegamento ad un grado di libertà realizzato con un collegamento elastico
(chiamato molleggio) ed un dispositivo di smorzamento (ammortizzatore).

Fig. 4.2. Se avessimo una sospensione composta dal solo molleggio si potrebbero innescare delle
oscillazioni permanenti. Per questo motivo il sistema è dotato di uno smorzatore.

Il dispositivo di molleggio può essere composto da molle elicoidali, barre di torsione … per queste
molle il legame A − ~ è praticamente lineare e si può individuare una costante elastica. Tuttavia si
cerca di dimensionare il sistema di molleggio in modo da farlo oscillare con certe frequenze
tollerabili dal punto di vista umano e dal punto di vista tecnico. Per mantenere costante la
frequenza di oscillazione al variare del carico (della massa sulla ruota) bisognerebbe fare in modo
che la costante elastica della molla vari al variare del carico (la frequenza di oscillazione è pari a
\
I   ). Le molle, in genere, non hanno questa caratteristica.


Fig. 4.13. Per ovviare a questo problema si adottano alcuni cinematismi che consentono di
aumentare ) all’aumentare di , come quello rappresentato in figura. In questo schema il
diagramma A − ~ non segue una legge lineare, ma è molto più ripida e non lineare. Variando le
geometrie del sistema, quindi, si può ottenere una frequenza di oscillazione fissa.

Fig. 4.15. Si possono utilizzare anche molle di tipo pneumatico (specialmente su veicoli industriali).
Bitubo (sinistra):
(sinistra): quando si preme dall’alto il fluido della camera
E va nella camera B.

Monotubo (destra):
(destra) Un pistone flottante separa il gas dall’olio,
impedendo che si mescolino.
In fase di compressione, il pistone spostando l’olio(C) all'interno del
cilindro, comprime l’azoto (F) attraverso il pistone flottante (E).. L'Azoto,
subendo variazioni di volume agisce da molla, mantenendo l'olio in
pressione. Questa sinergia tra olio e Azoto garantisce una risposta
immediataa e un’azione più silenziosa delle valvole del pistone, senza il
pericolo che si manifesti il fenomeno dell'aerazione influenzando
negativamente
lo
smorzamento.

Fig. 4.17.
Schema ideale di un ammortizzatore. Questo elemento reagisce
con una forza proporzionale alla velocità di spostamento. Lo
spostamento dello stantuffo è associato al passaggio del fluido
nella luci praticata nello stantuffo stesso. Ad uno spostamento
veloce corrispondono delle velocità elevate nel fluido nella luce e quindi ad una dissipazione di
energia.

Fig. 4.16. Ammortizzatore reale. Si può vedere la risoluzione del problema dell’inserimento dello
stelo. In fig. a), la camera superiore ha una parete deformabile, in modo che lo stantuffo possa
essere spostato verso l’alto. In fig. b), invece, la camera superiore ha delle valvole comunicanti con
un serbatoio ausiliario.

Fig. 4.19. Ammortizzatore attivo. In questo ammortizzatore, attraverso un intervento esterno, si


possono modificare le caratteristiche idrauliche delle luci di passaggio, rendendo regolabile
l’ammortizzatore in modo da adattarlo alle condizioni di utilizzo.
Per capire come funzionano i dampers, bisogna prima ricordarsi che le molle, responsabili per assorbire le asperità
dell'asfalto nonchè per contenere rollio e beccheggio delle masse sospese, sono comunque mezzi elastici, il che
significa che dopo un cambiamento di compressione, cominciano ad oscillare, con risultati disastrosi sul comportamento
dell'auto. Questa oscillazione delle molle, del tutto indesiderata, viene frenata dai dampers Inoltre i dampers, frenando il
movimento delle molle, possono influenzare con i loro settaggi anche il rollio ed il beccheggio dell'auto, di conseguenza
anche il suo comportamento dinamico. Il damper perciò altro non fa che frenare il movimento delle molle, sia in
compressione bump, che in estensione rebound per evitare l'oscillamento incontrollato di esse, questa forza frenante si
misura in N*m/sec.

Se l'azione frenante del damper è molto forte (damper rigido in compressione), il risultato sarà una modesta
compressione della molla e della sospensione mentre se il damper ha poca forza frenante (damper morbido) la molla e
la sospensione saranno molto più compresse.
Fig. 4.20. Si può anche associare il sistema precedente con un sistema di livellamento automatico.

In passato qualche matto come me ha pensato ad un modo di recuperare l’energia dagli


ammortizzatori. Tuttavia se si fa un conto delle energie in gioco ci si rende conto che sono molto
basse.

9 Novembre 2010

Sterzo

Fig. 5.1. Il veicolo sterza mediante le ruote sterzanti. In questa figura sono rappresentate le ruote
e per ciascuna ruota è indicato il vettore velocità (non è detto che coincida con la mezzeria della
ruota): tracciando la perpendicolare a due vettori velocità si trova (all’incrocio tra esse) il centro di
rotazione e il raggio di sterzata R.
Fig. 5.2. Se consideriamo una sterzatura “cinematica” si ha questa rappresentazione della
sterzata. In questa figura si vede che in assenza di angoli di deriva, si determina un angolo di
sterzata differente tra le due ruote anteriori: la ruota interna è sterzata di un angolo c maggiore
rispetto alla ruota esterna, affinché si incontrino nello stesso punto. Si può vedere che esiste un
legame tra c, €,  ed ‚. Come si realizza un cinematismo che realizza angolazioni diverse per
effettuare la sterzatura delle ruote in questo modo?

Per permettere alle ruote anteriori di spostarsi in base al principio di Ackermann, i bracci dello sterzo
delle ruote anteriori sono inclinati in modo che due rette immaginarie passanti per essi si incontrino al
centro dell'assale posteriore.

Fig. 5.3. Il meccanismo che realizza questo cinematismo è rappresentato in figura. In alto a sinistra
vi è il cinematismo ideale, che, però, risulta eccessivamente complesso da realizzare in pratica. In
fig. in alto a destra, invece, vi è una soluzione applicata nella realtà.
Fig. 5.8. In questo schema si considera una macchina con solo due ruote (si semplifica). Le due
ruote giacciono su di un asse (l’asse di mezzeria). Per α = 0 (deriva nulla) sterzando di un angolo δ
la ruota anteriore si ha il centro di istantanea rotazione in O (intersezioni degli assi perpendicolari
agli assi delle ruote). In questa situazione la velocità del baricentro assume una direzione diversa
rispetto all’asse del veicolo (€Z %). Questo angolo viene chiamato angolo di assetto. In presenza di
una deriva (α ≠ 0) si può trovare, a esempio, un diverso angolo di rotazione O’. In corrispondenza
di questo angolo si ha un altro angolo di assetto (€Z −) in questo caso opposto rispetto al
precedente. In funzione di questi angoli di assetto si parla di veicoli sovrasterzanti o sottosterzanti.
http://www.lautoscuola.it/consigli/sottosovra.asp

In curva l’auto tende ad uscire. In sottosterzo la parte anteriore (trazione anteriore); in sovrasterzo
la parte posteriore tende ad uscire (trazione posteriore).

Fig. 5.12. Meccanismo di sterzo integrale. Anche l’assale posteriore può essere curvato per
migliorare l’angolo di assetto.

Ci sono anche altri angoli caratteristici che hanno influenza sulla sterzatura. L’asse di sterzatura
della ruota non è perpendicolare rispetto al suolo, ma inclinato sia nella direzione del senso di
marcia (angolo di incidenza), sia verso l’interno della vettura (inclinazione laterale):

CASTER (o Incidenza, o Avancorsa): è l'angolo fra la perpendicolare al terreno, e l'asse del mozzo su cui fa perno la ruota
in curva
Fig. 5.13. Angolo di incidenza o angolo di Caster (i) e angolo di inclinazione laterale (γ) del fusello

Aumentando questo angolo, lo sterzo diventa piu’ pesante e si perde un po’ sensibilità e precisione, cosa che aiuta e
non poco, nelle curve veloci, migliora invece l’auto direzionalità e aumenta al contempo la forza raddrizzante delle
ruote anteriori in fase di uscita dalle curve.

Convergenza: Questa produce una maggior stabilità in rettilineo (le ruote producono due forze
uguali e contrastanti, verso l'interno) e una maggior velocità di "riallineamento" in uscita di
curva, visto che la ruota esterna, più carica, tende a riportare l'auto dritta, spingendo verso
l'interno (se non avesse convergenza, tenderebbe a seguire la tangente alla curva)

L'inclinazione delle ruota rispetto all'asse verticale è chiamata campanatura o angolo di camber (o più
semplicemente camber); Un angolo negativo è necessario perchè, quando la macchina percorre una curva,
il telaio s'inclina tendendo così ad aumentare il grado di campanatura stesso: se l'angolo non fosse
leggermente negativo, il pneumatico toccherebbe terra solo con la parte esterna, con riduzione della
trazione.
Fig. 5.14. Rappresentazione dei due angoli descritti in precedenza. L’angolo tra l’asse di sterzata e
l’asse di mezzeria della ruota è molto importante ai fini della sterzatura. La distanza che intercorre
tra il prolungamento a terra dell’asse di sterzata e l’asse di mezzeria viene chiamato braccio a terra
(in questa particolare figura il braccio a terra è nullo). Quando il braccio a terra è molto elevato la
sterzata risulta molto difficoltosa. Infatti se il braccio è elevato per sterzare la ruota si fa strisciare
il pneumatico al suolo. Invece con il braccio a terra nullo o quasi nullo si fa quasi ruotare su sé
stessa la ruota, consentendo una sterzatura più agevole.

Fig. 5.15. Cinematismo di sterzo di ruote sterzanti connesse ad un assale rigido (senza
sospensione). Il comando della sterzatura viene impresso su una ruota e inviato attraverso un
leveraggio
all’altra ruota.
Nel caso in cui il
molleggio delle
ruote possa
essere
differente l’una
dall’altra è
necessario
prevedere un
qualche
sistema che
consenta
comunque la
sterzata.
Fig. 5.16. Nello schema in alto a sinistra il quadrilatero ƒ − Uƒ − UM − M è fisso al telaio. La
sterzatura è operata dal volante che agisce su una vite senza fine e un settore (un pezzo di
ingranaggio). Nello schema in alto a destra, al posto della vite senza fine e il settore si utilizza un
pignone ed una cremagliera.

Le ruote anteriori durante una sterzata non rimangono parallele tra di loro, ma la ruota interna
alla curva assume progressivamente
un angolo maggiore di sterzata rispetto quella esterna, in quanto il quadrilatero di sterzo, in
posizione di guida rettilinea,
è un trapezio isoscele, denominato quadrilatero di Ackerman.

La base maggiore è la distanza tra i fuselli, la base minore quella tra gli estremi delle staffe saldate
ai fuselli ed i lati obliqui sono le staffe stesse.
Se fosse un rettangolo le ruote rimarrebbero parallele anche durante le svolte.
Il trapezio è una configurazione voluta, in quanto le ruote esterne percorrono una traiettoria con
un raggio di curvatura più ampio e ad una velocità maggiore rispetto a quanto avviene per quelle
interne.
Le ruote anteriori devono adeguare due parametri alla traiettoria, la velocità e la direzione.
Adattano automaticamente le velocità alla differenza di raggio, in quanto sono libere di ruotare
intorno al proprio perno, mentre le direzioni corrette sono imposte dal cinematismo a forma di
trapezio isoscele.
Entrando più nel dettaglio, affinché non si verifichino strisciamenti laterali dei pneumatici rispetto
al terreno, occorre che le perpendicolari alle ruote anteriori, in pratica il prolungamento dei perni
ruota verso l'interno della curva, intersechino la linea dell'assale nello stesso punto, definito
centro istantaneo di rotazione. Si vede che in curva il quadrilatero di Ackerman le perpendicolari
alla mezzadria delle ruote si incontrano nel punto voluto. Se invece avessimo il rettangolo le
perpendicolari sarebbero parallele e non si incontrerebbero mai.
Fig. 5.18. Sospensione Mac
Pherson. In questo tipo di
cinematismo
l’ammortizzatore ha anche
funzione portante per il
mozzo ruota. Si può notare
che, in questo caso, il
braccio a terra non è nullo,
ma comunque piuttosto
piccolo.

Fig. 5.21. Scatola dello sterzo del tipo settore dentato / vite senza fine.

Fig. 5.22. L’evoluzione del sistema a vite senza fine che non comporta l’usura, si realizza con
questo schema a vite globoidale. Questa vite non ha il diametro costante ma ha un profilo che
prima si restringe (al centro) poi si riallarga (tipo clessidra). L’elemento in presa non è un settore
ma un rullo. Queste due viti rotolano una sull’altra (non c’è strisciamento come in precedenza).
Quando si comanda una rotazione con il volante, il rullo rotola e ruota l’asse su cui è montato.
Sia la vite che la ruota si avviluppano reciprocamente. Si viene così a realizzare una
zona di contatto
fra dente e filetto
molto estesa, con
conseguente
diminuzione della
pressione
specifica.
Fig. 5.23. Sistema di sterzo del tipo pignone / cremagliera

Nel servo sterzo ci sono due camere divise da


un pistone mobile; quando giriamo si apre la
luce in una camera che permette l’entrata
dell’olio e la differenza di pressione aiuta
nella sterzata.

Fig. 5.26. Servosterzo. Ad un moto rettilineo


della cremagliera 2 corrisponde un rotazione
del settore 4. Il moto della cremagliera è dettato dal piantone dello sterzo 3 e la vite a ricircolo di
sfere 5. Tuttavia questo movimento viene assistito idraulicamente.

11 Novembre 2010

Sospensioni – parte 2

Fig. 4.29. Sospensione a


semiasse oscillante. Una
soluzione di sospensione
applicata su veicoli a trazione
posteriore (tipo Ape).
Essenzialmente è un semiasse
(è la connessione tra motore e
ruota) incernierato in un punto;
oppure due semiassi
incernierati su due punti, e
molleggiati. In questo secondo
caso, durante il rollio in curva,
un semiasse si inclina rispetto
all’altro, e quindi anche le ruote
assumono due inclinazioni
diverse.
Fig. 4.31. Sospensione a bracci longitudinali. Questa soluzione evita che la campanatura della
ruota cambi in funzione del carico (come avviene per la sospensione vista in precedenza). Questo
tipo di sospensione può essere molleggiata in vari modi: con una molla elicoidale o con una
torsionale.

Campanatura: Nei veicoli dotati di pneumatici la campanatura (indicata talvolta col termine
anglosassone camber, da cui anche camberaggio) è la misura dell'angolo compreso tra la verticale e il
piano di mezzeria della ruota, osservando il veicolo davanti e con due ruote in posizione di marcia rettilinea.
Se le ruote hanno la parte superiore inclinata verso l'esterno la campanatura si dice positiva, verso l'interno è
detta invece negativa.

Fig. 4.33. Sospensione posteriore a barre di torsione e barre antirollio. È una barra che attraversa
il veicolo da ruota a ruota e quando si prende una cunetta (solo una ruota) è sottoposto ad una
coppia torcente; operando come una molla torna alla posizione di riposo. Le barre di torsione
possono anche essere utilizzate per accoppiare la parte posteriore con la parte anteriore.
Fig. 4.34. Sospensione a
quadrilatero trasversale.
Questa sospensione riduce
il problema della
variazione di camber
(campanatura) delle ruote
durante il movimento della
sospensione.

Fig. 4.39. Dallo schema della


sospensione a quadrilatero trasversale
è stata derivata la sospensione di tipo
Mac Pherson. In questo tipo di
sospensione si elimina il braccio
superiore, in modo da ottimizzare gli
ingombri. Si realizza un braccio a tre
cerniere con un lato deformabile e
molleggiato.

Fig. 4.41. Nella sospensione Mac Pherson


l’ammortizzatore è strutturale. Si può osservare che
l’asse dell’ammortizzatore non coincide con l’asse
geometrico del triangolo deformabile. La molla, invece,
è disposta lungo l’asse geometrico. Questo per evitare i
problemi schematizzati in Fig. 4.42.

Barra antirollio: Organo meccanico composto da un asta che


collega i due bracci della sospensione dello stesso asse,
agisce per torsione e serve a contrastare il rollio della vettura
in curva. fig. destra.
Fig. 4.43. Sospensione a bracci obliqui. Questa struttura è un compromesso tra quella bracci
longitudinali e quella a semiasse oscillante.

Fig. 4.44. Realizzazione di una sospensione a bracci obliqui.

Fig. 4.45. Sospensione ad assale rigido. Poco usato negli autoveicoli, molto usato nei veicoli
industriali.

Fig. 4.48. Il vincolo longitudinale all’assale rigido è dato da delle barre longitudinali (BI), mentre il
vincolo trasversale è dato da un punto (Fw) che può oscillare grazie alla cerniera BS.
la sospensione ad assale rigido è
composta da un unico assale, rigido,
alle quali sono collegate le
sospensioni;

L'assale rigido è la configurazione


sospensiva più semplice che esista.
Consiste nel collegare le ruote di
ogni lato con un semplice assale,
che a sua volta viene collegato con
il telaio. Ricordiamo che l'assale rigido contiene nel suo interno anche il differenziale e i
semiassi!

Fig. 4.49. Realizzazione pratica di una


sospensione ad assale rigido.

Fig. 4.50. Altra realizzazione di


sospensione con assale rigido.

Fig. 4.54. Sospensione “ibrida” tra quella a


bracci tirati e quella ad assale rigido.
L’assale “rigido” che collega le ruote è un
tubo spaccato (Fig. 4.55) che funziona
come barra antirollio.

Fig. 4.64. Sospensione “multilink”. Questo tipo di sospensione è derivata da quella a quadrilatero
trasversale. Ci sono vari bracci, ognuno dei quali incernierato con una sfera, (ognuno che blocca un
grado di libertà). Usando 5 bracci si può assicurare un solo grado di libertà alla ruota. Con
opportune
geometrie si può
dare alla
sospensione una
caratteristica angolo-
camber come si
vuole. È molto più
complessa.
Fig. 4.69. Schema dinamico longitudinale
del veicolo in frenatura. L’effetto di
beccheggio durante le accelerazioni o
frenate si può mitigare disponendo
opportunamente i punti di vincolo delle
sospensioni per ridurre il braccio durante
il beccheggio (b).

L’interazione fra i vari gruppi sospensivi,


genera una serie di moti della scocca rispetto
alla ruote che sono di particolare interesse
per la definizione del comportamento del
veicolo. I più importanti di questi movimenti
per il comportamento dinamico del veicolo
sono il rollio e il beccheggio.

15 Novembre 2010

Trasmissione

La trasmissione è quel sistema atto a trasmettere il movimento dal motore alle ruote. È
tipicamente composto da varie parti: una frizione, una scatola del cambio, un riduttore e un
differenziale.

Fig. 6.1. La forza propulsiva massima che un veicolo può erogare dipende dall’aderenza e dal peso
del veicolo:

AB  Q„

Con Q coeff. di aderenza; z è un componente perpendicolare alla strada del peso del veicolo. Il
prodotto della forza propulsiva per la velocità di traslazione da la potenza propulsiva:

KB  AB ⋅   Q„

Questa è la massima potenza che si può trasmettere, dato il coefficiente di aderenza. In questo
grafico sono rappresentate le potenze necessarie a mantenere una vettura ad una certa velocità in
piano e rettilineo. La velocità massima è limitata dal pneumatico! =) Velocità massime per veicoli
tradizionali sono nell’ordine dei 60 m/s. a queste velocità la potenza richiesta è di circa 100 kW.

Fig. 6.2. A 60 m/s la quasi totalità della potenza resistente è di tipo aerodinamico. In piano (…  0),
la potenza richiesta (alle ruote) per mantenere una certa velocità varia sostanzialmente con
andamento quadratico J?Z . Con una pendenza maggiore (e.g. …  40%) la potenza del motore
primo può spingere il veicolo a velocità massime di circa 50 km/h (mentre prima la velocità era di
circa 200 km/h). Le curve P-n del motore le vediamo in fig. dopo. Si può notare che, in questa
figura, la 5° è a presa diretta (non con ingranaggio 1:1) quindi sparisce il rendimento del cambio.

Fig. 6.3. Il punto numero 1 è il punto di


minimo del motore termico. Il punto numero 2 è il punto di coppia massima. Il punto 3 è il punto
di massima potenza. Il punto 4 è la velocità massima di rotazione (limitato dal sistema di controllo
della velocità).
I quattro organi che abbiamo elencato hanno una disposizione nel veicolo variabile da veicolo a
veicolo. Vediamo alcuni schemi ricorrenti.

Fig. 6.4. Schema di trasmissione di tipo trazione posteriore, motore anteriore.

Fig. 6.5. Schema di trasmissione di tipo trazione anteriore, motore anteriore.

Fig. 6.6. Schema di trasmissione di tipo trazione posteriore, motore posteriore.

Fig. 6.7. Schema di un motore trasversale. L’albero a gomiti è parallelo all’asse delle ruote.

Fig. 6.8. Altri schemi di disposizione del motore.

Fig. 6.10. La frizione. L’albero motore termina con un volano (E) che viene utilizzato anche come
superficie di attrito per poter azionare la frizione. La frizione è costituita dal volano, da uno spingi
disco (una specie di altro volano che si affaccia sul volano del motore), e tra i due un disco di
materiale di attrito. Sulla parte interna del disco della frizione si ricava una scanalatura che
consente l’accoppiamento con l’albero di trasmissione che va al cambio. Attraverso la pressione
sul pedale della frizione si può aprire lo spingi disco, facendo ruotare il disco della frizione rispetto
all’albero motore, in quanto non sussistono più le forze che ne garantivano l’attrito. Durante il
transitorio in cui le velocità dei due alberi non sono uguali, la potenza non trasmessa alle ruote
viene dissipata nella frizione. La compressione dello spingi disco può avvenire tramite varie molle.
In questa realizzazione è utilizzata una molla a diaframma

Fig. 6.14. Altri sistemi di compressione prevedono delle molle elicoidali. Il comando prevede
l’azionamento di levette.

Fig. 6.17. Rappresentazione


reale di un disco della
frizione. Non sempre vi è un
collegamento meccanico tra il
mozzo e i materiale di attrito.
Spesso al mozzo viene
affidata la funzione di
parastrappi.
Fig. 6.19. Per evitare i gradini di coppia che porterebbero ad una
usura degli organi di trasmissione, il collegamento tra il mozzo
scanalato e la parte di attrito della frizione non è rigido, ma
avviene attraverso una serie di dischi con alcune molle. La
caratteristica di parastrappi può essere modellata adottando delle
molle con caratteristiche elastiche differenti.

18 Novembre 2010

N.B: manca la
lezione
precedente (16
Novembre).

Alcune volte la frizione può essere comandata attraverso un comando idraulico (e non per forza
con il filo)
Fig. 6.24. Cambio a 6 marce.

Il manicotto può andare a destra e a sinistra  permette il cambio di 2 marce  servono 3


manicotti (1-2) (3-4)(5-R).

Quando vogliamo cambiare agiamo sul cambio; spostando la leva del cambio spostiamo la forcella
selettore la quale sposta il manicotto che è un anello che trasla il quale dovrà andare a connettersi
con l’ingranaggio in questione; tra il manicotto e l’ingranaggio è posto il sincronizzatore il quale
permette l’accoppiamento manicotto ingranaggio , è come una sorta di frizione;
Sto in folle l’ingranaggio gira poiché è collegato all’albero motore; l’albero che porta li moto alle
ruote è fermo poiché il manicotto sta in folle . Spingo la frizione e muovo il manicotto (verso
destra nella fig.) l’ingranaggio gira e attraverso il sincronizzatore allinea la velocità dell’albero che
va alle ruote in modo che il manicotto si posiziona sull’altra marcia e quella trasmissione porterà la
coppia  alzo la frizione e gira tutto.
http://www.youtube.com/watch?v=vq11CusULlk&feature=related

Sincronizzatore
Consente di inserire agevolmente le marce senza provocare urti fra i denti dei vari ingranaggi (la tipica
«grattata»). In pratica gli anelli sincronizzatori del cambio* lavorano come frizioni che durante il primo
contatto fra ingranaggio «folle» e manicotto scanalato (detto selettore, che deve rendere solidali all’albero
secondario del cambio le ruote dentate «folli») si assumono il compito di portare le due parti alla stessa
velocità impedendone il contatto diretto.
Fig. 6.31. Per evitare l’intervallo di tempo che intercorre per cambiare marcia, nei veicoli si
inseriscono degli organi chiamati preselettori. Attraverso degli attuatori si realizza l’inserimento
del sincronizzatore e si frena l’albero “folle”, in modo da realizzare una cambiata molto veloce.

Fig. 6.34. Il meccanismo che frena l’albero folle per permettere la sincronizzazione dei due alberi
(quello che va alle ruote e quello folle).

Cambio automatico: Struttura e funzionamento: Una trasmissione con cambio a rotismi epicicloidali
idraulico è solitamente costituito dalle seguenti parti:

- Convertitore di coppia: è un dispositivo interposto tra il motore ed il cambio che sostituisce la tradizionale
frizione. Produce una variazione della coppia alle basse velocità e durante le accelerazioni, ma soprattutto
azionato "al minimo" (ossia al minimo regime del motore) non trasmette momento torcente, se non di entità
minima e comunque sempre vincibile da una minima azione dei freni. Un veicolo con convertitore di coppia
ha quindi (salvo casi particolari) solo due pedali: acceleratore e freno. Tale organo meccanico è diffuso anche
su veicoli su cui non è presente una trasmissione a cambio automatico, come in molte macchine operatrici, e
in alcuni veicoli ferroviari. Il convertitore di coppia svolge anche una limitata regolazione continua del
rapporto, in aggiunta al rapporto fisso del cambio.

- Cambio a rotismi epicicloidali: costituisce la parte principale di un cambio automatico. Il rapporto di


trasmissione è determinato, da un sistema di freni e frizioni agenti su sistemi epicicloidali.

- Attuatore: è il centro di controllo di tutto il sistema. Tradizionalmente è costituito da un sistema idraulico in


cui un fluido in pressione giunge da una pompa azionata dall'albero di ingresso, e qui viene regolato da un
sistema di valvole premute da molle. Il sistema di valvole elabora la pressione della pompa e la pressione di
un rivelatore centrifugo (oltre ad un segnale idraulico determinato dalla posizione della leva di selezione e
della valvola a farfalla (che controlla li vol. di carburante da inserire nel motore)) per determinare il rapporto
da inserire. La differenza di pressione tra due cavità determina l'apertura o la chiusura di una valvola di
comando, consentendo o meno il passaggio del fluido che aziona gli attuatori di frizioni e freni. Si tratta di un
vero e proprio calcolatore idraulico, e infatti in molti cambi moderni è un microprocessore ad azionare le
valvole con l'aiuto di attuatori elettromeccanici. La complessità e il notevole numero di componenti
costituenti il corpo valvole rendevano in passato il cambio automatico molto costoso rispetto al manuale.
Oggi la produzione di massa ha ridotto la differenza di prezzo di questo optional.

Come in una trasmissione manuale, la frizione trasferisce il moto al cambio, qui il convertitore di coppia trasferisce il moto al
complesso dei rotismi epicicloidali.

Per “rotismo epicicloidale” si intende un sistema di ruote dentate composto da tre elementi: i satelliti, il sole e la corona.

Il rotismo epicicloidale è un dispositivo ingegnoso: il sole è a contatto solo con i satelliti i quali ingranano solo con la corona, mentre
non vi è ingranamento tra sole e corona. Ognuno dei componenti può essere sia quello di ingresso del moto (collegato al motore
attraverso il convertitore di coppia), sia quello di uscita (collegato alle ruote tramite il differenziale), o essere mantenuto fermo: la
scelta di un ruolo per ciascuno di essi determina, in ultimo, il rapporto di trasmissione adottato durante il funzionamento da un
cambio automatico.

Tale scelta è affidata ad un sistema di freni che agiscono, a seconda dei casi, sulla corona, sul sole o sul planetario, e talvolta anche
mediante l'uso di frizioni (di solito multidisco) che rendono solidali tra loro due di questi tre elementi: infatti, bloccando la corona
esterna con l’ingresso applicato al pignone e l’uscita sul planetario si ottiene un rapporto di riduzione (velocità di uscita minore di
quella di entrata, in pratica un marcia “corta”), mentre bloccando il pignone, con l’ingresso al planetario e l’uscita alla corona, si ha
un rapporto di moltiplicazione (una marcia “lunga”, detta anche overdrive); infine, con il planetario fermo, l’ingresso al pignone e
l’uscita sulla corona, si ottiene una riduzione ma con una rotazione invertita, cioè la retromarcia.
Nella configurazione più semplice, con un rotismo epicicloidale si possono avere due rapporti in avanti e uno indietro, ma sappiamo
che i moderni cambi automatici hanno un numero di marce che va da 4 a 7, più la retro. Ciò è possibile collegando in serie più
rotismi, con ogni planetario solidale al pignone successivo, realizzando un gruppo compatto, capace di molti rapporti di
trasmissione e con gli assi di ingresso e uscita allineati.

Tutte queste situazioni sono gestite da un complesso sistema idraulico formato da diversi componenti, detto attuatore. Il “cervello”
è costituito da una scatola metallica in cui sono ricavati dei canali, come a formare un intricato labirinto; realizzare lo stesso sistema
con dei tubi, avrebbe richiesto molto più spazio e un gran numero di connessioni. Una apposita pompa, collegata la motore, aspira
un olio (lo stesso del convertitore di coppia) e lo spinge in questo circuito. L’immissione è controllata da una valvola
detta regolatore, la cui apertura è direttamente proporzionale alla velocità di rotazione della trasmissione. Per poter funzionare
correttamente, un cambio automatico necessita però di conoscere le condizioni in cui lavora il motore: ciò si ottiene o misurando
semplicemente la posizione dell’acceleratore oppure, in maniera più accurata, valutando la depressione che si viene a formare nel
collettore di aspirazione (più è alta, maggiore è il carico richiesto al motore).

La fase di cambio di rapporto è demandata ad un gioco di pressioni che ha luogo in apposite valvole a pistoni che da un lato sono
messe in comunicazione con l’olio del regolatore, dall’altro con l’aria dell’impianto di aspirazione: il pistone si sposterà in una
direzione o nell’altra a seconda della pressione (e quindi della forza) agente sulle sue facce, permettendo il passaggio dell’olio solo
in alcuni canali dell’attuatore. L’olio in pressione, guidato lungo predeterminati canali, andrà ad agire sui freni e le frizioni presenti
nei rotismi epicicloidali determinando il rapporto di trasmissione.

Fig. 6.37. Schema di cambio automatico. Sia la frizione che il cambio sono automatizzati in questo
schema. La frizione si può utilizzare tramite giunti idrodinamici. Il rapporto di trasmissione può
essere scelto tramite l’utilizzo di ingranaggi epicicloidali, scegliendo quale dei tre alberi tenere
fermo. Disponendo più di un ingranaggio di questo tipo in cascata, con un sistema di frizioni e freni
per decidere chi sta fermo e chi gira, si può realizzare un cambio automatico.

Convertitore di coppia (è come la frizione per i cambi automatici): Esprimendo il concetto con una semplificazione
esagerata, pensiamo di avere una ventola di un ventilatore collegata al motore nella sua parte posteriore che gira
insieme all’albero motore. Questa ventola “spinge” aria contro un altro ipotetico ventilatore posizionato all’input shaft
della trasmissione. In pratica i due ventilatori si guardano l’un l’altro. Col motore che gira al minimo anche le pale del
ventilatore gireranno piano e quindi anche quelle della trasmissione gireranno piano, tanto piano che basterà tenere
premuto il pedale del freno per non far avanzare la nostra Vette.

In pratica gireranno solo le pale attaccate al motore. Se acceleriamo di più, le pale di entrambi i sistemi gireranno più
velocemente rendendo sempre più difficile la funzione dei freni che ad un certo punto (con giri motore aumentati)
non riusciranno più a frenare le ruote motrici.
Quindi “mollando” il freno e accelerando diamo via libera alla trasmissione per scaricare l’input del motore sulla
trasmissione fino a che (in condizioni di velocità di crociera) il numero di giri del ventilatore sulla trasmissione sarà
molto simile al numero di giri delle pale del ventilatore posto dietro al motore. Il ventilatore del motore girerà sempre
un po’ più forte del ventilatore della trasmissione. Da questo si evince che il convertitore di coppia ha sempre un certo
slittamento come prima accennato. Ovviamente tra motore e cambio non c’è aria come supposto nell’esempio, ma
bensì il fluido rosso della trasmissione e i “ventilatori” sono racchiusi in una scatola rotonda. Il fluido ovviamente non
è aria ma il concetto è lo stesso

Fig. 6.42. Il sistema pompa-turbina in una frizione idraulica si può utilizzare come convertitore di
coppia. In realtà questo dispositivo presenta tre palettature, di cui una può essere variata.

Fig. 6.44. Altro schema di cambio automatico. Questo schema si rifà molto di più ad un cambio
manuale classico. In questo cambio ci sono due frizioni che comandano due alberi (coassiali, uno
interno ed uno esterno). Le ruote di questi due alberi sono tutte in presa. Però la 1° sta sull’albero
interno, e la 2° sull’albero esterno, la 3° sull’albero interno, e così via… in questo modo si utilizzano
alternativamente i due alberi, eliminando il vuoto di potenza che c’è in un cambio manuale
classico.

Fig. 6.45. Cambio automatico continuo. La trasmissione prevede delle pulegge troncoconiche con
una cinghia. Tipo variatore di un motorino.
23 Novembre 2010

Fig. 6.47. Rinvio fisso. È un rapporto “finale” di trasmissione. In questa figura si può vedere il
cambio (sulla destra) il cui albero di uscita si innesta tramite pignone su una corona. Il rapporto di
trasmissione di questa coppia conica, negli autoveicoli, è nell’ordine di 2-3. In questa disposizione
il rinvio fisso contiene anche il differenziale (che vedremo più in là). In questo caso, gli alberi di
ingresso e uscita sono perpendicolari tra loro ed incidenti. Si realizzano anche disposizioni con assi
sghembi tra loro, le cosiddette coppie coniche ipoidali come in Fig. 6.48. In questa struttura si ha
una configurazione di tipo assale rigido e semiassi portanti.

Fig. 6.49. Per i veicoli industriali, dove serve una maggiore riduzione, il rinvio fisso può essere
costituito da più di un rapporto.

In uscita dal rinvio fisso è presente l’ultimo organo della trasmissione che si chiama differenziale.
Nel percorrere una curva, le ruote (sia motrici che folli) ruotano con velocità angolari diverse, in
quanto si trovano a raggi di curvatura diversi. Per le ruote folli è il suolo che imprime la rotazione.
Per le ruote motrici, invece, è necessario utilizzare qualcosa che permetta di trasmettere la stessa
coppia alle due ruote, ma con velocità di rotazione diverse. Questa funzione è svolta dal
differenziale.

Fig. 6.50. Principio meccanico di funzionamento del differenziale. Come accade nel giogo per la
trazione animale (la trave che congiunge i due buoi permette di trasferire la forza di traino in
modo equo tra i due animali.! Lo stesso sistema si può vedere come in figura. Una puleggia su cui
,]
agisce una forza A . Per equilibrare il carico è sufficiente disporre di due pesi pari a 
per
equilibrare il carico, anche in presenza di velocità diverse.

Fig. 6.48. Il differenziale è composto da una scatola che riceve il moto da una corona (solidale ad
essa). Questa scatola deve trasmettere la coppia alle ruote, attraverso un meccanismo che
consenta diverse velocità. Da questa scatola, attraverso due perni solidali ad essa, vengono
supportati due satelliti che sono folli rispetto alla scatola. Il loro asse di rotazione è perpendicolare
a quello della scatola. Lateralmente (in linea con l’asse di rotazione della scatola stessa), vi sono i
due semiassi che terminano con due planetari (ingranaggi) in presa con i satelliti. Nel moto
rettilineo, i due semiassi ruotano alla stessa velocità angolare della scatola. Quando si entra in
curva i due semiassi sono costretti a ruotare a velocità diversa. I satelliti, allora, iniziano a ruotare
su sé stessi per consentire di avere velocità diverse ai due planetari. Tuttavia, se la coppia
impressa sulla scatola rimane costante, la coppia trasmessa rimane costante. I satelliti possono
essere visti come “il giogo dei buoi”. Tutto questo discorso, ovviamente, è fatto in condizioni di
rendimento unitario.

Può accadere, che per asperità della strada o ripartizioni non eque di carico, l’aderenza delle due
ruote sia diversa. Se, ad esempio, abbiamo una ruota sul ghiaccio ed una ruota no, il limite di
coppia che possiamo trasmettere è dettato dall’aderenza della ruota sul ghiaccio. Se si supera il
limite di aderenza su una ruota, l’altra ruota si blocca (la coppia trasmessa alle due ruote è uguale,
ma una pattina e gira molto veloce e l’altra, quindi, è ferma). In presenza di aderenza, la differenza
di velocità dei due semiassi non è molto alta. Quando una ruota si blocca, però, la ruota che
pattina assume una velocità angolare doppia rispetto alla velocità della scatola del differenziale. In
presenza di mancanza di aderenza su una ruota, per evitare di bloccare anche l’altra, è necessario
ricorrere a dei dispositivi di blocco del differenziale (per evitare così la ripartizione di velocità tra le
ruote, e rendere rigido l’asse di trasmissione). Questi dispositivi di blocco possono essere manuali
(ma sono una cagata: vanno inseriti a veicolo fermo) oppure automatici.

Fig. 6.52. Dispositivo di blocco manuale. In questa configurazione si vincola un semiasse alla
scatola. In questo modo anche i satelliti sono fermi e, automaticamente, anche l’altro semiasse è
un corpo unico con la scatola. Il semiasse è inserito in un manicotto che, quando viene fatto
scorrere attraverso un leveraggio manuale, si impegna sulla scatola del differenziale attraverso
una serie di denti dritti posti frontalmente al manicotto stesso. Questo manicotto non può ruotare
rispetto al semiasse, quindi una volta impegnato sulla scatola blocca tutto il meccanismo.

un apposito manicotto scorrevole può rendere solidale un semiasse con la scatola del differenziale escludendone così
la funzionalità. L’intero cinematismo si trasforma allora in un semplice ripartitore che trasferisce, in ugual misura,la
coppia ai due alberi di uscita .Il comando può essere meccanico o elettropneumatico. Nel primo caso si agisce, tramite
una leva , direttamente sul manicotto provocandone lo scorrimento. I sistemi più moderni utilizzano invece un
compressore elettrico per comandare dei pistoncini pneumatici che svolgono la medesima funzione della leva vista
prima. Un fuoristrada con i differenziali bloccati acquista sì mobilità, ma perde contemporaneamente capacità
direzionale .Quindi si dovrà procedere solo a bassa velocità e per brevi tratti. Inoltre se si aziona il manicotto mentre
gli ingranaggi ruotano velocemente, possono provocarsi dei danni alle parti in movimento. Per questi motivi è
essenziale bloccare i differenziali dei ponti solo a bassissima velocità e non in curva.

Fig. 6.53. Differenziale autobloccante. Dobbiamo evitare che la trasmissione della coppia “fugga”
dove non serve (ossia la coppia va tutta verso la ruota che slitta). In questo dispositivo sono
presenti delle frizioni che permettono di trasmettere coppia dalla scatola ai semiassi attraverso
strisciamento. Dietro ai planetari dei semiassi è posta una superficie conica che viene premuta
sulla scatola per mezzo di due piattelli con molle di spinta posti nella parte più interna del
differenziale. Se togliessimo le ruote dentate avremmo una coppia trasmessa alle ruote
esclusivamente per attrito. Queste frizioni consentono di trasmettere coppie anche in presenza di
strisciamento tra coni e scatola. Questo dispositivo potrebbe essere sufficiente anche da solo.
Tuttavia servirebbero molle molto precaricate, ed, inoltre, in curva questo dispositivo è
dissipativo. Quindi si realizza un differenziale che contiene sia le frizioni sia i satelliti. Le frizioni
sono tarate per un 15-20% della coppia totale trasmissibile alle ruote. In caso di blocco di una
ruota non perdo completamente la coppia sull’altra ruota per effetto di queste frizioni.
L’inconveniente di questo dispositivo è che, anche quando non c’è pattinamento di una ruota, ma
in normale curva, i coni strisciano e dissipano energia per attrito. Per ovviare a questo problema si
può ricorrere ai giunti viscosi.

I differenziali autobloccanti sfruttano la differenza di coppia (torque sensing) o di velocità (speed


sensing) tra le ruote dell’asse per compattare una serie di lamelle su dischi che lavorano a frizione.
Questo è il caso del tradizionale autobloccante ZF a lamelle. In questi ultimi anni però gli si sono
affiancati altri dispositivi che sfruttano altri modi di bloccaggio: meccanico (differenziale Torsen)
oppure con ingranaggi immersi in un olio a densità controllata (giunto viscoso) o addirittura con
una gestione elettronica che fa intervenire i freni e poi agisce sull’alimentazione del motore per
impedire lo slittamento. Vediamo adesso alcune tipologie di LSD:

Differenziale a Giunto viscoso

blocco per attrito tra dischi, tramite fluido a densità controllata e variabile a seconda della
temperatura (con l’aumentare dello slittamento tra le parti, la temperatura del fluido aumenta al
punto da renderlo quasi solido e quindi irrigidire il collegamento tra il corpo conduttore e il
condotto) o tramite meccaniche molto complesse, come il differenziale di tipo "Torsen". Oggi,
molti differenziali autobloccanti sono a totale controllo elettronico.

Il differenziale a giunto viscoso (viscous coupling), che si trova spesso in veicoli a quattro ruote
motrici, permette di collegare due alberi ma li lascia liberi di avere piccoli slittamenti relativi
cosicché possano ruotare a velocità leggermente differenti. Il giunto viscoso, detto anche
Ferguson, è costituito da una scatola piena di uno speciale liquido siliconico che diventa gelatinoso
e sempre più denso all’aumentare della sua temperatura. Questa viscosità limita, fino a impedire
del tutto, lo slittamento reciproco fra un gioco di piatti metallici molto vicini e collegati
alternativamente all’albero d’entrata e a quello d’uscita. Quando termina lo slittamento la
temperatura del liquido diminuisce, così come la sua densità, ed esso consente nuovamente
movimenti relativi fra gli alberi. Il giunto viscoso è spesso utilizzato per il bloccaggio automatico
del differenziale o anche al posto del differenziale centrale in alcune vetture a trazione integrale
ad inserimento automatico.

Fig. 6.55. Differenziale con giunto viscoso. Rimangono sempre i planetari. Il giunto viscoso va ad
agire esercitando una coppia tra scatola ed un semiasse. L’azione del giunto è proporzionale alla
velocità. Una serie di dischi è solidale al semiasse ed un’altra serie di dischi è solidale alla scatola.
In presenza di velocità relative basse l’attrito viscoso tra le due schiere di dischi è basso. Quando
c’è una velocità relativa alta (pattinamento di una ruota), l’attrito diventa predominante e viene
trasmessa una coppia tra scatola e semiasse per effetto di questo attrito. Nello schema (b) lo
schema è analogo, ma il giunto non è sensibile alla differenza di velocità tra scatola e un semiasse,
bensì alla differenza di velocità tra i due semiassi.

25 Novembre 2010

Fig. 6.57. Differenziale autobloccante di tipo progressivo (LSD). Il perno di giunzione dei satelliti è
in grado di esercitare una coppia sulle frizioni interne al differenziale nel momento in cui si è in
presenza di slittamento. Gli autobloccanti vengono anche indicati come Limited Slip Differential
(LSD) - Differenziale a Slittamento Limitato, a volte chiamato anche positraction. Gli LSD,
qualunque meccanismo adottino, permettono un azione normale del differenziale in curva, ma
quando una ruota inizia a slittare, trasferiscono più coppia alla ruota che non slitta.
Fig. 6.61. Differenziale a basso rendimento interno. Avere un differenziale a basso rendimento
consente, in situazioni di slittamento, di poter trasmettere una coppia (che è quella di attrito che
abbassa il rendimento) alla ruota in presa. Tuttavia il basso rendimento influenza negativamente le
fasi del moto in assenza di slittamento. Quindi deve essere possibile inserire una perdita di
rendimento solo in caso di elevate velocità relative. Questa perdita si può inserire frenando i
satelliti, ad esempio. In questa soluzione non ce se capisce niente =P.

Fig. 6.63. Un dispositivo di tipo differenziale può essere richiesto anche per trasmettere il moto sia
all’assale posteriore che all’assale anteriore nelle vetture 4WD. Questo è necessario perché le
velocità dei due assi di trasmissione potrebbe non dover essere uguali (per esempio in curva…).
Nei veicoli a trazione integrale permanente vi sono tre differenziali: uno centrale che ripartisce la
coppia motrice ai due assi anteriore e posteriore, e uno per ogni asse che ripartisce a sua volta la
coppia motrice alla ruota destra e alla ruota sinistra. Inoltre potrebbe non essere opportuno
dividere la coppia equamente tra i due alberi di trasmissione, bisogna cioè ripartire diversamente
la coppia tra anteriore e posteriore. In questa figura si può osservare l’albero motore (2) che entra
nel differenziale, l’uscita verso l’asse posteriore (1) e quella verso l’asse anteriore (3). L’asse (1) si
impegna su un ingranaggio simile ad un epicicloidale che si impegna su ulteriori due semiassi, uno
solidale all’asse (1) ed uno che è solidale all’asse (3) attraverso una puleggia. Anche questo sistema
è dotato di un giunto viscoso che consente di evitare la perdita di aderenza totale in caso di
slittamento dell’avantreno o del retrotreno.

La presenza di un differenziale anti bloccante provoca la comparsa di un fenomeno sottosterzante


il curva, in quanto il meccanismo tende a trasferire la potenza sulla ruota che gira meno
velocemente (quella interna alla curva, quindi), producendo un momento opposto a quello che si
vorrebbe in curva.

Fig. 6.64. Per ovviare al problema descritto poc’anzi, si utilizzano differenziali “attivi”. Il
differenziale attivo è un sistema che consente di (variare continuamente) la distribuzione della
coppia, tra i due semiassi in uscita dal differenziale, in base alle informazioni ricevute dai vari
sensori. In pratica due frizioni a comando elettroidraulico a gestione elettronica (Haldex) variano la
distribuzione della coppia (fino a un 0% da un lato e 100% dall'altro, e viceversa) in funzione di
quanto segnalato dai vari sensori dei sistemi di sicurezza.

Questo sistema di differenziale attivo si può fare MOLTO più facilmente attraverso la trazione
elettrica indipendente delle ruote.

Forze sul veicolo

La mia AC (forza resistente dovuta al rotolamento) è pari a:

AC  S cos c ⋅ I

Dove tan c  …Œ%. Il coefficiente I varia


a seconda delle condizioni dell’asfalto:
Un’altra forza che deve essere vinta dal veicolo è la resistenza aerodinamica:

Tale forza è calcolabile


come:

1
A  Ž ⋅  
2
Il coefficiente  è tabulato:

 è l’area frontale del


veicolo. Ž è la densità
dell’aria. La velocità  è la
velocità relativa del veicolo
rispetto all’aria. Tale forza
è trascurabile a bassa
velocità, mentre assume
una importanza rilevante
ad alte velocità.

Altra forza resistente è la componente della forza peso legata alle pendenze.

In questo caso abbiamo una componente della forza peso proiettata lungo la direzione del moto:

AG = S sin c
In genere, la forza dovuta al rotolamento e la forza dovuta alla pendenza si considerano insieme:

AC % AG  S I cos c % S sin c  S ŒI cos c % sin c  S cos c ŒI % tan c

Ovvero:

AC % AG  S cos c ŒI % …

Se la pendenza non eccessiva si può scrivere:

AC % AG ≈ S ŒI % …

Questo evidenzia che la forza deriva dal contributo di due fattori: attrito (I) e pendenze (…).

La forza propulsiva totale da applicare per superare queste tre forze è pari a:

1
AB  A % AC % AG  S ŒI % … % Ž 
2
Il contatto tra pneumatico e suolo è caratterizzato dal coefficiente di aderenza che tiene conto
della natura del suolo:

NB: è diverso dal coefficiente di attrito. Quel coefficiente si associano le perdite per isteresi del
pneumatico. Questo coefficiente mi indica quali forze posso scambiare tra pneumatico e suolo.
Come si esercita la forza propulsiva?
Questo è lo schema di un gruppo motore-trasmissione-ruote.
motore ruote. La mia coppia alla ruota di raggio è
pari a:

{”  AB ⋅

Se indichiamo con j il rapporto complessivo di riduzione motore-ruota


motore ruota e con ‘’ il rendimento
complessivo di trasmissione, la coppia che il motore a comb. interna {x˜ deve fornire è pari a:


{x˜ 
j‘’

Il rendimento globale della trasmissione deriva dal prodotto deidei rendimenti di tutti gli elementi.
Tipicamente gli alberi di trasmissione hanno rendimenti dell’ordine del 99%. Due ruote in presa
hanno rendimento dell’ordine di 97-98%,
97 , il rapporto fisso (coppia conica) ha rendimento di circa
86%, il giunto omocinetico dell’assale ha rendimento circa del 99%.

Nota: Un giunto omocinetico è un qualunque dispositivo, scollegabile, di trasmissione del moto


rotatorio tra due alberi (o altri elementi rotanti) che mantenga
mantenga costante nel tempo e pari a 1
il rapporto di trasmissione. Il rapporto di trasmissione è definito come:

dove ω1 e ω2 sono, rispettivamente, la velocità angolare in uscita e quella in ingresso. In


pratica, la velocità angolare dei due alberi collegati risulta uguale istante per istante. È
l’organo
o che trasmette il moto tra il semiasse e la ruota. Se il giunto fosse cardanico le
velocità sarebbero diverse in funzione dell’angolazione assunta. Il giunto cardanico non è omocinetico,
non permette cioè di trasmettere la stessa velocità angolare tra i due
ue alberi, ma ciò può essere ottenuto utilizzando
due giunti cardanici in serie tra loro.

Globalmente ‘’ vale 80-83%.

Tornando alla mia AB :

{x˜ j‘’
AB 

La velocità del veicolo  è pari a

  “”

La velocità angolare della ruota è pari a:


•–—
“”  ’
dove tau è il rapporto di trasmissione (es. 2°, 3°,ecc.)

Per cui

“x˜

j
Il prodotto della forza applicata al veicolo per la velocità è la potenza applicata:
{x˜ j‘’ “x˜
KB  ⋅  {x˜ “x˜ ‘’
j
La caratteristica ideale (sia di coppia che di potenza) per un veicolo sarebbe a potenza costante in
tutto il range di velocità del veicolo:

La prima parte della caratteristica è diversa in quanto, anche se avessimo a disposizione grandi
coppie dal motore primo, non si potrebbero utilizzare in quanto si supererebbe l’aderenza della
ruota, con conseguente slittamento. Quindi la coppia iniziale è limitata dalla coppia massima
applicabile alla ruota per evitare lo slittamento. Queste solo le curve lato veicolo.

Cosa accade se il propulsore è un MCI?

La curva è ricavata a piena ammissione di carburante (farfalla completamente aperta). Il punto di


potenza massima è al di sotto della velocità di rotazione massima del motore.

Con un unico rapporto 1:1 la coppia a basse velocità è bassina  mettendo un cambio a basse
velocità riesco ad aumentare la coppia e a far partire il veicolo (anche in salita).
Per conciliare questa coppia del MCI con quella ideale che vorremmo, è necessario usare il cambio
dove la caratteristica di coppia diventa proprio come quella voluta:

Si può vedere come, cambiando marcia, si riesce in qualche modo a far coincidere le due curve di
coppia, quella reale del MCI e quella ideale.

Se invece andiamo ad utilizzare un motore elettrico, abbiamo delle curve tipo:

Nella prima parte il flusso è mantenuto costante, pari a quello nominale. Tale coppia, in teoria,
potrei averla a qualsiasi velocità. Il tratto in deflussaggio da luogo ad una coppia tale che il
prodotto “ corrisponde ad una potenza costante. Un punto caratteristico è quello denominato
velocità base, che è il punto oltre il quale si inizia a deflussare la macchina.

Con un singolo ingranaggio, accoppiando il motore elettrico alla ruota avremmo un andamento
della forza propulsiva alla ruota come il seguente:
30 Novembre 2010

Data la caratteristica di un motore e relativa trasmissione, in funzione della curva caratteristica del
percorso su cui ci si trova è possibile visualizzare immediatamente il punto di velocità massima del
veicolo. A spanne questo veicolo dovrebbe avere circa 60 kW e 1400 kg. Se equipaggiassi questo
veicolo con un motore da (per esempio) 100 kW, tutte le curve di coppia sarebbero più alte. Mi
accorgerei che la velocità massima del motore è determinata dal limite di giri del motore e non
dall’equilibrio con una coppia resistente (linea rossa a tratteggio) poiché
•–— ™
= e la Vmax è per tau=1, R è costante e il limite è dato dalla velocità angolare del motore a
’
combustione. L’altra caratteristica che si può leggere dalla figura è la massima pendenza
superabile (57,7% in questo caso). (tau modifica sia le ascisse che le ordinate)
le curve di carico sono costruite con coefficienti di pendenza i diversi. Si vede che in prima la curva
di carico è assai alta e il veicolo può partire anche con una pendenza di 57,7%.

Alla partenza es. curva 0% si vede che per V=0 la curva di carico non parte da zero poiché quel
valore è proprio la resistenza offerta dal coefficiente di rotolamento.
Invece all’aumentare della pendenza  per velocità basse  una curva di carico elevata
all’equilibrio AB = AC ossia nel punto di intersezione che equivale al punto di funzionamento della
macchina la AC vale praticamente tutta come S ∙ … poiché il rotolamento è basso e la resistenza
aerodinamica è bassissima. Mentre al limite massimo di velocità in piano  che AC è quasi tutta
resistenza aerodinamica.

Ora supponiamo di prendere lo stesso veicolo e di metterci un veicolo elettrico con un rapporto di
riduzione opportuno si ha un’altra caratteristica:

In generale abbiamo che la forza propulsiva è la somma di due termini AB = AC + S


dove note
AB e AC e conoscendo M  l’accelerazione che imprimiamo sul veicolo; ossia se acceleriamo
risulta che AB > AC  acceleriamo anche le masse rotanti  una nuova km =
X

S“ + ‚O‚l …

""‚ lšq
Oq… ossia l’energia associata agli organi di trasmissione, volano ecc.

La massima accelerazione imprimibile al veicolo è pari a:

AB − AC


S$›

Dove la massa S$› deve tener conto del fatto che all’interno del veicolo ci sono masse rotanti. La
massa equivalente deve tener conto della maggiore energia richiesta per far accelerare il veicolo
dovuto proprio al fatto di dover portare ad una superiore velocità angolare le parti in movimento.
Possiamo graficare le accelerazioni disponibili in funzione delle velocità:
Questo grafico deriva direttamente dal precedente considerando il percorso in piano. Si può
notare che in prima si riesce ad applicare una accelerazione al più di 0,4 . Potremmo fare di
meglio? Se supponiamo il coefficiente di aderenza Q = 1 (senza attrito) potremmo imprimere
un’accelerazione massima pari a . Es. se avessimo che la forza resistente è nulla  AB = S$›

Q  S$› ∙ Q e se la massa fosse unitaria e se Q = 1  AB 

Se al posto delle ruote si avesse una ruota dentata e al posto dell’asfalto una cremagliera  il
coefficiente di aderenza sarebbe maggiore di 1.

La stessa caratteristica accelerazione-velocità si può fare per il motore elettrico


Per integrazione di queste curve si possono ottenere dei grafici tempo – spazio – velocità (ovvero:
lo spazio e il tempo richiesti per raggiungere una certa velocità):

Fissata la velocità del veicolo e il tracciato, è determinata la potenza motrice. Tale potenza motrice
il motore può offrirla a più di un regime di rotazione (con differenti marce). Sono equivalenti
questi punti di funzionamento? No; Cambia il consumo specifico di combustibile:

Tale curva è il luogo dei punti a egual consumo specifico di combustibile. Sulle ordinate c’è la
percentuale di potenza erogabile dal motore. I dati relativi alla curva di consumo specifico si
trovano sui cataloghi dei MCI.

2 Dicembre 2010

La potenza del MCI è esprimibile come:

1 1
 ⋅ AB  œS; … + S; I + 2 Ž + S;
ž “C œS; … + S; I + 2 Ž + S;
ž
 
KVx˜ = = =
‘’ ‘’ j ⋅ ‘’

Moltiplicando la potenza per il consumo specifico si ottiene il consumo orario:


;
Ÿ ⋅ KVx˜ = 9  ℎ@ poiché il consumo specifico Ÿ 9\¡¢@ .
es. se stiamo a 100km/h e consumiamo 12Kg/100km  consumiamo 14l/100km
; ¢ ; E
Dividendo ulteriormente per la velocità otteniamo il consumo chilometrico 9¢ ∙ \ = \ ≡ \@.

Nella figura di sopra si può confrontare il diverso consumo in funzione della marcia innestata.

Per non riferirsi ad un consumo specifico ad una sola velocità esistono dei cicli di riferimento
riferiti a percorsi urbani ed extraurbani come in figura. Nei due cicli (urbano ed extraurbano, i
punti di funzionamento tipici sono i seguenti:
Vediamo dove si può intervenire per migliorare i consumi del veicolo. Il primo fattore è
certamente ridurre la massa. Si può agire sul coefficiente I legato all’attrito e all’isteresi dei
pneumatici. SI può agire sul motore per ottenere dei rendimenti maggiori. Si può agire sul numero
dei rapporti e sul rapporto stesso. Infine si può agire aggiungendo al MCI un motore elettrico in
modo da agire sulle curve per ottimizzare i consumi.

Motori a combustione interna

(descrizione del motore 4 tempi, con relative fasi. Non riporto perché ne ho le balle piene)

1. Aspirazione: si ha l'introduzione di aria o di una miscela aria-combustibile.


2. Compressione: la miscela aria o aria-combustibile addotta viene compressa volumetricamente, generalmente
durante questa fase si ha l'inizio della combustione.
3. Espansione: si ha l'espansione volumetrica dei gas combusti, generalmente durante le prime fasi
d'espansione si ha la fine della combustione.
4. Scarico: si ha l'espulsione dei gas combusti dal motore.

Per un ciclo si hanno due giri dell’albero motore.


Il ciclo di riferimento è:

Il volume X è quello relativo al PMS (punto morto superiore (il pistone sta su TDC)) , il  è quello
relativo al PMI (punto di morto inferiore (il pistone sta giù BCD)). Partendo dal punto e
spostandoci verso il punto
siamo nella fase di aspirazione e le valvole di aspirazione sono aperte.
Da
a  c’è la fase di compressione. Nel punto U avviene l’accensione. Dopo l’accensione si ha un
forte incremento di pressione dovuto alla combustione. Da  ad ‚ lungo il percorso d si ha
l’espansione. In ‚ si ha l’apertura delle valvole di scarico e la salita del pistone dal PMI al PMS
consente di espellere il gas di scarico. Il lavoro è l’integrale della pressione nel volume, ovvero
l’area sottesa alle curve in particolare l’area  meno l’area ¤:

N = ¥ K d   − ¤

Mediamente nell’arco di due giri, a questo lavoro deve corrispondere il lavoro all’albero:

N   − ¤  { ⋅ 2 ⋅ 2¦

Dove { è la coppia media che si ha da un MCI. Lo stesso lavoro si può esprimere come:

N = K ⋅ mGE

Dove K è la pressione media e mGE è il volume del cilindro. La coppia, quindi è direttamente
proporzionale alla cilindrata e alla pressione media effettiva:

K mGE
{=

Per aumentare la coppia, quindi, si potrebbe agire sulla pressione che però è abbastanza costante
entro certi limiti per i MCI e non può essere variato molto. Tipicamente questa pressione è intorno
alle 10 − 11
q. In definitiva la coppia dipende essenzialmente dalla cilindrata.

La potenza effettivamente prelevabile (brake power, in figura), però deve essere decurtata della
parte necessaria alla movimentazione di altri organi (distribuzione e lubrificazione) e della parte
relativa agli attriti:

La caratteristica di coppia varia a seconda dell’apertura della valvola a farfalla e quindi variare più
o meno la potenza e la coppia: la valvola a farfalla regola l’immissione del carburante

\mE \v
Potere calorifero del combustibile ≈ 10.000 \;
che equivalgono a 42.000 \; ora ricordando
\v \¡¢
che 3.600)¨ = 1|©ℎ  a 42.000 \; = 11,67 si vede che partendo dal potere calorifero si
:;
tirerebbe fuori un energia di 11,6 kWh; il MCI nella migliore delle ipotesi consuma
; :;
250 = 0,25  con un kg (0,25*4) tiro fuori 4kWh  il rendimento è
\¡¢ \¡¢
y
‘= = 34% dove la restante percentuale se ne và in calore.
XX,ª«

Possiamo anche tracciare delle curve di rendimento e consumo specifico del motore:

Come avviene l’ottimizzazione del funzionamento del MCI? Le grandezze importanti su cui
interviene sono l’angolo di accensione, gli angoli di apertura e chiusura delle valvole.

In figura è riportato l’andamento delle pressioni all’interno del cilindro per tre diversi angoli di
anticipo dell’accensione. Nel primo caso (50°) se accendo quando gli manca ancora molto al
pistone ad arrivare al PMS l’accensione causa una pressione che può essere frenante sul pistone
stesso non utile alla coppia motrice. Inoltre la pressione raggiunge un picco assai elevato. Se
invece, per eccesso, l’accensione fosse anticipata di soli 10°, avremmo delle pressioni molto basse
perché nel momento in cui la miscela si accende il pistone sta già discendendo. Un valore
intermedio (30°) consente di avere sia pressioni elevate, sia di evitare l’effetto frenante
Questo angolo si può ottimizzare in funzione della coppia e della velocità di rotazione:

controllo del sistema di accensione:

Per la sincronizzazione (es. 4 cilindri) si usava lo spinterogeno ossia un contatto rotante a velocità
“mG con rapporto 2:1 per tener conto del giro completo che porta la tensione alla candela
necessaria.

L’anticipo invece era regolato con un gioco di masse rotanti le quali si espandono con “mG e
riescono ad anticipare l’angolo di accensione (caratteristica lineare in funzione di “mG come fig
sopra BTC)

7 Dicembre 2010

La scelta del rapporto stechiometrico influenza le


prestazioni del motore (rapporto aria/benzina):

La …‚¬ è la pressione indicata, il ‘,G è il


rendimento complessivo del motore, la …"I sono i
consumi specifici. Come si può vedere il rendimento
cresce in presenza di miscele povere (eccesso
d’aria), mentre la …‚¬ cresce in presenza di
miscele ricche. I consumi specifici sono inferiori per
miscele povere. Dalla pressione coppia
La stechiometria influenza anche l’emissione allo scarico:

Come si interviene se si vogliono migliorare le prestazioni, ridurre i consumi e ottimizzare la


produzione di gas di scarico?

Esistono vari provvedimenti per incrementare le prestazioni a pari cilindrata:

- aumentare l’aria che entra nel motore si può studiare la forma dei condotti in modo da
ridurre le resistenze aerodinamiche dell’aria in aspirazione
- aumentare il numero di valvole.
- immettere in modo forzata da un compressore volumetrico o turbocompressore (azionato
dai gas di scarico).
- utilizzare l’iniezione di combustibile direttamente dentro la camera di combustione: in
questo modo il combustibile vaporizza e brucia meglio anche in presenza di miscele molto
povere.
- utilizzare degli attuatori per azionare le valvole in modo da poter variare la fasatura in
funzione del regime di rotazione del motore (o cmq come mi pare).
MCI a 2 tempi

Entra il carburante, il pistone si abbassa e viene compresso; nella camera superiore si genera una
depressione che permette la fuoriuscita dei gas; quando il pistone sta giù si apre un’altra luce (nel
carter) che permette il passaggio della miscela compressa; qui c’è il pericolo che la miscela esca
dalla luce aperta dei gas di scarico; il pistone torna su comprime nuovamente e si accende la
miscela.

Il motore a 2 tempi è caratterizzato da una densità di potenza maggiore del 4T. Nella versione
semplificata di questi motori l’immissione e lo scarico della miscela avvengono attraverso delle luci
sul cilindro. Rispetto al 4T si ha una accensione della candela per ogni rotazione dell’albero.
L’assenza di valvole, tuttavia, fa si che i diagrammi di aspirazione e scarico siano simmetrici
rispetto al pms. Per ovviare a questi problemi si possono adottare soluzioni con valvole:
Con queste soluzioni oltre a poter intervenire sulla fasatura, si può evitare il problema della
fuoriuscita di combustibile dalla luce di scarico durante il periodo in cui entrambe le luci sono
aperte.

Anche essendo di più facile realizzazione e il carter comprime la miscela (senza turbo) ha lo
svantaggio di non avere le valvole e quindi non possiamo ottimizzare l’aperture-chiusura delle
valvole; oltretutto nasce il problema della lubrificazione  una miscela aria/olio/benzina.

Diesel: comprimiamo l’aria (se si comprime che si riscalda) e poi immettiamo il combustibile
accensione.

Motore Wankel

Il motore Wankel assume una certa rilevanza nei veicoli ibridi. A differenza del classico MCI il
pistone ha una forma “triangolare” che rotola attorno ad un perno a cui trasmette la coppia. Le
camere A, B e C sono i volumi variabili che venivano creati nel MCI attraverso la traslazione del
pistone. Questo motore è semplice, compatto e leggero. Tuttavia la lavorazione deve essere molto
precisa (spigoli) per garantire la tenuta del pistone nella camera. La camera di combustione è
ovale (tre camere stagne), la rotazione provoca una depressione che mette in comunicazione con
l’esterno la camera di combustione.

Motore Stirling

In questo motore (a combustine esterna) il


fluido effettua un ciclo termodinamico: sono
presenti scambiatori di calore che riscaldano
e raffreddano il fluido vettore. Il
funzionamento si basa sul seguente schema:

Si avvia da solo; il regeneratore è un organo


che fa passare il fluido senza trasmettere il
calore.

Lo svantaggio sta nei transitori lunghi.


1-2 il fluido a Tmin viene compresso (senza scambio
di calore S=cost)  il volume si riduce e la pressione
aumenta;

2-3 il pistone si muove simultaneamente e il fluido si


trasferisce attraverso il rigeneratore; con una
sorgente di calore esterna la T aumenta  a parità
di volume la pressione aumenta.

3-4 a Tmax costante la pressione provoca


l’aumento di volume (la pressione scende)

4-1 il lavoro viene trasferito all’altro pistone (si


muovono simultaneamente); la temperatura
decresce (c’è heat sink (rigeneratore)) il volume
resta costante ma essendo diminuita la temp. anche
la pressione diminuisce.

Lo stirling presenta rendimenti elevati, ed ha la seguente curva di coppia e consumo specifico:


Si può osservare che la differenza di consumi tra le zone a basse e quelle alte non è molto elevata.
Inoltre questo motore si avvia da solo. Lo svantaggio di questo motore è che la risposta è molto
lenta, per via dell’inerzia termica. Per un ibrido può andar bene.

Turbine a gas:

le velocità di rotazione dipendono dalla taglia e sono decine di migliaia di giri es.

9 Dicembre 2010

Veicoli elettrici

In una prima soluzione


potrei lasciare tutti gli
organi della trasmissione e
basterebbe sostituire il
motore termico con quello
elettrico (+ le batterie).

Storicamente i veicoli
elettrici hanno subito una
evoluzione per quanto
riguarda la struttura della
macchina stessa:
a) utilizzo il motore
elettrico al posto del termico
(stessa curva di coppia del
termico con le marce) poiché
c’è pure la frizione.
b) Senza frizione poiché
il motore elettrico non ha
problemi ha funzionare a
velocità <“G? .
c) Non c’è il cambio ma
un rapporto fisso;
d) Senza differenziale,
con due motori accoppiati
sulle ruote (tramite giunto
cardanico) + rapporto fisso;
e) Riduttore
direttamente nella ruota
f) Moto - ruota

Nel passaggio dallo schema “e” allo schema “f” si ha un motore elettrico completamente diverso:
la coppia nominale deve aumentare. Se il riduttore in “e” era 1:3, la coppia nominale del motore
“f” deve essere 3 volte quella del motore “e”.

Es. con riduttore 1:3  es. “C = 1500  con riduttore “C = 500 ; ma a parità di potenza
•.
K= ∙ 3{  una coppia*3. Se non avessi il riduttore mi serve direttamente una coppia
­
elevata per far partire la macchina  un motore più grande poiché se mi serve un motore che
deve fornire più coppia più corrente  più rame  più grande.

In una macchina elettrica il rapporto di


deflussaggio è il rapporto tra velocità
•®
massima e velocità base
•¯5°

Questo valore definisce con quale


macchina stiamo lavorando

Ordini di grandezza del rapporto di


deflussaggio (~):
a parità di potenza nominale
con macchine diverse i range
cambiano.

~ = 6 sono macchine asincrone

~ = 4 sincrona con eccitazione


indipendente (sul deflussaggio
non ho problemi)

~ = 2 sono motori a magneti


permanenti a montaggio
superficiale (SPM) (per
deflussare induco una corrente
che smagnetizza i MP)

Passaggio da coppia a forza e da velocità angolare a velocità lineare:


(MmGMM$)
Se il rapporto di trasmissione è 10  XZ
e (šld…O
q‚) ∙ 10

dove {” è la coppia alle ruote; …; è il rapporto di trasmissione; …> è il rapporto di trasmissione


finale; ‘= è il rendimento della trasmissione; {B è la coppia all’albero.

La forza propulsiva può essere espressa come:

ossia come dove le è il raggio della ruota

JB è la velocità angolare dell’albero motore;

ossia
14 Dicembre 2010

Motore elettrico con riduttore di velocità:

Quando il motore elettrico non gode di un elevato rapporto di deflussaggio (come nel caso in
figura, in cui x=2) lo si accoppia tramite un riduttore. In questo caso si utilizza un riduttore a tre
velocità. Nel tratto di iperbole e-c si ha la sovrapposizione tra prima e seconda marcia.
H¯5° X±Z
In questo caso con il riduttore a 3 marca  = = 6 come se avessi un asincrono.
H® ­Z

Il rapporto di deflussaggio ~ = 4 è piuttosto comune nei motori elettrici. Con un tale motore è
possibile pensare solamente a due rapporti, uno per le pendenze elevate. Consideriamo un
motore da 60 )N, con “WM$  1500 l¬ e “  6000 l¬. In questo caso la
sovrapposizione dei campi di funzionamento con le due marce (e-c) è assai maggiore.

L’ultima possibilità è il motore con ~  6, in cui non sono necessari più di 1 rapporto di
trasmissione. Quando la velocità angolare massima del motore coincide con quella massima alle
ruote, non sono necessari riduttori.

Fissate le specifiche del veicolo, il motore deve essere sovradimensionato in funzione del suo
range di deflussaggio nel seguente modo:
Si può osservare come all’aumentare del range di deflussaggio il sovradimensionamento si riduce.

Dimensionamento es: dati di targa

Motore 60kW;

“ = 6000l¬
ªZZZ
“G? = 1500l¬  rapporto di deflussaggio ~  XYZZ  4

So che a “G? A = 4400J e per superare una pendenza del 40% mi servono 6600J
ªªZZ •¯3²
 Mi serve un rapporto basso: = 1,5  a pari potenza K = {“  = 1000
yyZZ X,Y

•¯5°
Quindi il nuovo range avrà anche una = 4000 in generale è come se avessi una macchina
X,Y
•¯5° ªZZZ
con un rapporto di deflussaggio totale di • = XZZZ = 6
¯3²

Supponiamo ora di avere un motore con ~ = 4, e


per coprire il tratto di funzionamento a-b-c, si può
anche non ricorrere ad un ingranaggio, scegliendo
un motore elettrico sovradimensionato per il
veicolo. Se il veicolo a 60 kW arriva a darmi 4400N,
se lo sovradimensiono e lo prendo da 90kW magari
il motore arriva a darmi 6600N. e quindi ho risolto
anche se il motore è più grosso e costa di più.
I cicli urbano ed extraurbano sono rappresentati di seguito:

Si nota che a velocità costante la forza propulsiva (kN) AB = 0 )J

Mentre quando accelero AB > 0 )J

Quando decelero AB < 0 )J


Energia:

il consumo energetico può essere valutato integrando (rispetto al tempo) la potenza associata
all’uscita della batteria, dove la potenza della batteria vale
(,. µ,3 µ,57./ µV)
KW´>D= =  ∙ A =  ∙ =

dove se l’accelerazione è negativa la potenza entra nella batteria (KW´G? ).

Rendimenti del motore elettrico

a basse velocià di rotazione le perdite


vanno con …  e quindi con {   a
basse velocità quando il veicolo
richiede coppia  perdite.

A alte velocità le perdite sono dovute


dall’attrito e dalla frequenza (visto
che le perdite sono proporzionali alla
frequenza).

Veicoli ibridi

Un veicolo ibrido è un veicolo in cui


siano presenti due sorgenti di energia e
due dispositivi atti a convertire
l’energia in moto del veicolo:

es. il sistema 1 è quello tradizionale


(unidirezionale) ; e il 2 es. elettrico è
bidirezionale.

Essendo un sistema parallelo ho più


funzionamenti: solo elettrico, solo
termico ecc.
In generale è possibile avere un ibrido in cui la potenza media viene fornita dal termico, mentre la
potenza alternata (con valor medio nullo) viene fornita dalla batteria:

Più dettagliatamente sono possibili i seguenti schemi:

a) ibrido serie (accoppiamento elettrico)


b) ibrido parallelo (accoppiamento meccanico)
c) ibrido serie-parallelo (accoppiamento meccanico ed elettrico)
d) complesso (accoppiamento meccanico ed elettrico)

a) Ibrido serie : le ruote ricevono coppia solo dalla macchina elettrica (il termico è un gruppo
elettrogeno); viene utilizzato il convertitore come un nodo di energia. Qui il motore elettrico deve
essere dimensionato per soddisfare tutta la caratteristica del carico desiderata. Utilizzi:

-solo elettrico; solo accumulo termico; da entrambe le sorgenti; inversione del flusso dal carico alla
batteria; ricarica della batteria tramite motore termico (con o senza carico) .
b) Ibrido parallelo: le ruote ricevono la coppia sia dal termico che dall’elettrico; il nodo è un
apparato meccanico. È possibile avere a parità di prestazioni due curve per raggiungere un punto
di funzionamento. Utilizzo: solo elettrico (molte perdite, metto una frizione per liberare la parte
meccanica); solo termico; entrambi; rigenerazione dal carico (col termico attivo e non) ossia
mentre il termico da la coppia, quindi muovo il veicolo, mi va anche a ricaricare la batteria;
rigenerazione senza interessare il carico (frizione sul carico).

Sub-Categorie

c) Serie - parallelo: il nodo è sempre il generatore. In più ho un flusso di potenza che dal carico si
trasferisce all’accoppiatore meccanico e va alla batteria (poco conveniente); il vantaggio sta nelle
due caratteristiche dei motori per raggiungere un punto di funzionamento desiderato.

d)complesso: ho due convertitori e il generatore può funzionare anche come motore.

Ibrido serie (più semplice):

Se tutta l’energia che serve è prodotta dal termico  posso omettere l’alimentazione (ricarica)
dalla rete.

Se il motore termico fornisce la potenza media in urbano  le batterie, che dovranno soddisfare
la potenza istantanea, assorbiranno o erogheranno una potenza rilevante.

Se il profilo è extraurbano  K$eG rilevante (soddisfatta dal termico) mentre la Ke·?Gm poco
repentina (batteria o condensatori con pochi flussi di energia)

La batteria ha un elevata energia ma il suo rilascio non è repentino come quello dei condensatori, i
quali però non hanno un elevato accumulo di energia.

Vantaggi (serie): svincolo del motore termico dalle ruote; punto di funzionamento del termico
ottimizzato (risparmio carburante).
Svantaggi: doppia conversione; motore elettrico grande (100% della potenza richiesta);
generatore.

Se eliminassimo le batterie il motore termico deve fornire la potenza istantanea al motore


elettrico  non è un ibrido (non ho una doppia sorgente) ma si chiama diesel elettrico.

Configurazione parallelo:

Accoppiatori meccanici: si distinguono due tipi di accoppiatori meccanici: Integratore di coppia:

le due potenze in qualche modo vengono sommate:

in trazione si ha

dove “X e “ possono essere espresse come “X  )X “­ e “  ) “­


da cui risulta:

• •
e quindi il rapporto di velocità )X  •¸ ; )  •]
¹ ¹
Prendendo una ingranaggio con tre alberi dove Z sono i denti 

Se “­ è la velocità voluta (è quella dettata dalle


ruote)  essendo )X e ) imposte visto che il
numero di denti sono fissi  le velocità “X e “ .

•]
Se volessi ad esempio che = 1  è come se avessi due
•¹
alberi;  {­ = )X {X + { dove se per esempio { è la coppia
dell’elettrico  che la coppia totale sarà la coppia dell’elettrico +
un contributo (poiché c’è )X ) del termico.

Se al posto delle ruote dentate mettessi delle pulegge e delle


cinghie  i rapporti sarebbero in funzione dei diametri delle
pulegge e non dei denti.

L’accoppiamento può essere fatto anche per via


elettromagnetica, quando abbiamo solo due alnberi. Es. se
ponessimo tutto alla stessa velocità .

Ora posso mettere a valle


(o a monte) il sistema (o sistemi)
di trasmissione.
Ora se avessimo due sistemi di trasmissione, uno per il termico e uno per l’elettrico, con 3
rapporti ciascuno  9 combinazioni (es. 1°elettrico, 1° termico; 1° elettrico, 2° termico; ecc)

 in uscita su grafico {­ /“­ avremmo la somma delle caratteristiche considerate

es. se avessi solo un rapporto avrei le caratteristiche seguenti:

Ora facendo la somma verrebbe una cosa del genere:

In generale potrei
avere:
Se invece la trasmissione sta a valle dell’integratore di coppia:

La caratteristica della
macchina sarebbe
termica + elettrica
(fig.(d) sopra) e poi
questa caratteristica
viene amplificata
nella coppia e ridotta
nella velocità.

In questa configurazione il motore


elettrico è accoppiato direttamente
all’albero del motore termico
(statore fisso); e poi c’è la
trasmissione ; )X = ) = 1

 {­ = {X + {
 “X = “ = “­

Altra configurazione.
anteriore termico e
posteriore elettrico; il
legame è il suolo,
come una cinghia
essendo i diametri
delle ruote uguali 
stessa velocità. Qui
non ho i k ma è la
stessa cosa.

Integratore di velocità

Velocità fissa e coppia variabile. Eq. Di potenza è la stessa ma ora considero la velocità:

º¸ º]
)X = e ) =
º¹ º¹

È un planetario:

Basterebbe un satellite ma per


l’equilibrio delle forze ce ne due tre.

Sul porta – satelliti abbiamo un albero;

sul pignone abbiamo un altro albero;

sulla corona esterna un altro albero.

Al pignone {X , “X , X ; X  “X X

Alla corona { , “ ,  ;   “ 

porta satelliti {­ , “­ , ­ ; ­  “­ ­
(•¸ ™¸ µ•] ™] )
si vede grafitando che ­ = “­ ­ = (media)


™¸ µ™]
dove le velocità sono riferite ad un punto relativo all’organo. Fissato X ed   ­ =


H (•¸ ™¸ µ•] ™] )  (•¸ ™¸ µ•] ™] )


ora  “­ = ™¹ = 
∙™ = ora dividendo tutto per X risulta:
¹ ¸ µ™] ™¸ µ™]

»
•¸ µ•] ] ™] •¸ µ•] \ •¸ • \
“­   ) (chiamato ratio sul libro )  “­   % Xµ\
»¸ ]
»] e ponendo
Xµ ™¸ Xµ\ Xµ\
»¸

Ora potrei sostituire “­ in {­ “­  {X “X % { “ e risolvere rispetto a {­ .

Con un gioco di freni e frizioni potrei andare a porre o “X  0 e ne deriva il rispettivo 


•
“­  Xµ\
¸
e la potenza sarà fornita solo da una sorgente ;

• \
ugualmente frenando “  0  “­  Xµ\
]

Se pongo )X  )  1  “­  “X % “ e {­  {X  { questo è possibile farlo con un


integratore elettromeccanico:

Dove sia il rotore che lo statore ruotano (ci sono delle spazzole per portare la tensione agli
avvolgimenti rotorici. Con questa configurazione potrei anche allineare lo statore al rotore
(inducendo una corrente continua)  “­  “X poiché la velocità del rotore “  0.
Anche con questa tipologia di
motore è possibile erogare
potenza da solo una sorgente
applicando sempre dei freni
e delle frizioni:

È possibile anche avere a bordo sia l’integratore di coppia che di velocità


Tempo fa per la trazione si usava la macchina in c.c., ora si usa l’asincrono, il sincrono a MP (che ha
una densità di potenza maggiore rispetto agli altri), il motore switched related (passo passo);

in rigenerazione (in frenata) con il motore asincrono o con il passo-passo serve un convertitore in
grado da sostenere il flusso magnetico (come nell’auto eccitazione stessa curva);  basta
accoppare al raddrizzatore (possibilmente con transistor controllabili in modo da variare la
tensione continua di uscita) un condensatore che sostiene il flusso.

NB. Il condensatore non fornisce la potenza reattiva, ma la scambia; nel condensatore circolano
correnti alla frequenza di commutazione (a valor medio nullo); es. 30Hz  serve una corrente in
quadratura a 30Hz. Il convertitore può erogare o risucchiare potenza reattiva.

Vedere su azionamenti i principali controlli dei motori. Sotto es. di PWM.

Andare a vedere anche i funzionamenti dei convertitori step-up e step-down.


Ibrido – serie

Ho due sorgenti: termico + generatore + batteria (power peaking source);

la trazione è data solo dal motore elettrico; tipi di funzionamento: ibrido (la potenza arriva dalle
due sorgenti), solo termico, solo elettrico, rigenerazione, in trazione è possibile che la potenza
termica sia maggiore di quella richiesta alle ruote -> ricarico le batterie.

1° strategia (PPS SOC): mantenimento di un buon stato di carica delle batterie, in modo da far
fronte ad un percorso discontinuo (es. urbano); si utilizza prevalentemente la potenza termica ma
quand
o il
termic
o non
ce la
fa più
intervi
ene
l’elett
rico;
In A la potenza è fornita il max dal termico e il surplus dalla batteria. Dove la K$/; è la max
potenza fornita dal termico;

in B solo termico e il surplus va a caricare le batterie;

in C ho la rigenerazione fino a quando sto sulla curva dell’elettrico, poi freno.

2° strategia: si ottimizza l’efficienza; è indicato per i cicli extraurbani (pianeggianti); metto il


termico nel punto di funzionamento in modo da consumare il meno possibile  la trazione è data
solo dal termico e la parte elettrica da solo picchi di potenza. Il motore termico funziona on/off.

Ll primo grafico si riferisce


all’elettrico e il secondo al termico
(on –off);

i cui in un ciclo urbano piuttosto


che far funzionare sul valore
medio il termico (consumo di più)
 fornisco solo la potenza a
efficienza ottimale.

Bisogna essere in grado di controllare la tensione della generazione termica in modo da avere una
tensione pari alla tensione della batteria a vuoto (PPS power peaking source); es. se la batteria è a
12 volt  per tenerla come batteia tempone il mantenimento sarà a 13,4V. se la tensione
rettificata em = BBM  la batterie non eroga e non assorbe potenza.
In rigenerazione visto che il motore si comporta come generatore sarebbe opportuno svincolare la
tensione generata dalla batteria con un apposito inverter. Es. se la tensione di frenata è bassa la
batteria non si ricarica.

Se ci metto il DC/DC . con


funzionamento termico
em > BBM .

Quando sto in rigenerazione


faccio in modo che
em > BBM .

Es. se la batteria è a bassa


tensione e ipotizzando solo
un funzionamento elettrico  il convertitore (bidirezionale) in trazione sarà elevatore; mentre in
rigenerazione abbassatore;

Batterie serie: si somma la tensione ma l’energia è quella relativa ad un singolo modulo.

Batterie parallelo: la tensione è quella ma l’energia si somma.

Potrei inserire un buck/boost. Il boost è usato in trazione come elevatore; mentre il buck (step-
down) è utilizzato per ricaricare le batterie tramite il motore termico o tramite la frenata
rigenerativa (se la tensione è abbastanza alta).
ES. di funzionamento dello step-up durante la trazione  scaricando la batteria:

S1 rimane sempre aperto per il boost. Mentre S2 funziona a intermittenza in modo da indurre
una tensione sull’induttore dovuta dalla intermittenza della corrente.  una tensione su C che
sarà maggiore della tensione della batteria. La batteria si scarica.

Step –down

S2 rimane sempre aperto; mentre S1 funziona a intermittenza. Il senso della corrente questa volta
viene dal motore.

In the PPS charging mode from the engine/generator or traction motor in regenerative braking, the DC/DC converter
bucks the high voltage of the DC bus to the low voltage of the PPS
Può capitare che però in rigenerazione la tensione risulta minore della tensione necessaria  che
per ricaricare la batteria dovremmo andare non ad abbassarma ma a elevarla! In modo che risulti
sempre em > BBM . Questo è possibile farlo con un contertitore bidirezionale DC/DC.

Con un DC/DC bidirezionale posso permettermi in rigenerazione di elevare la tensione di link in


modo da essere sicuro di ricaricare la tensione sulle batterie em > BBM .

Quindi per funsionare come un buck-boost basta tenere S1 sempre chiuso e S2 sempre aperto
(torna tutto come prima); ora se voglio andare ad elevare la tensione in ingresso dal motore basta
tener chiuso S3 , aperto S4; S1 chiuso e S2 modulato.

Dimensionamento dei Componenti

In funzione delle caratteristiche prestazionali del veicolo e di come è fatto, si procede al


dimensionamento dei componenti dal carico verso le sorgenti. Dobbiamo conoscere le
caratteristiche funzionali del veicolo da realizzare es:

-massima pendenza superabile;

- max velocità in piano;

- accelerazione da 0 a 100 km/h;


- max velocità raggiunta ad una determinata pendensa;

- caratteristiche funzionali del veicolo in base alla destinazione;

poi si determina la caratteristica sforzo/velocità [kN / km/h ] per soddisfare tali criteri. Questa
sarebbe la caratteristica della potenza nominale alle ruote. Ricordando la formula della forza
propulsiva dove AB = AC + S
dove AC è la forza resistente (che dipende dalla pendenza dalle
condizioni dell’asfalto e dall’aereodinamica del veicolo e dalla massa del veicolo)  che dalla
forza propulsiva posso arrivare alla coppia necessaria. In realtà potrei usare questa formula

dove: where M is the total


vehicle mass in kg, ta is the expected acceleration time in s, Vb is the vehicle speed in m/s,
corresponding to the motor-based speed (see Figure 7.14), Vf is the final speed of the vehicle
during acceleration in m/s, g is the gravity acceleration in 9.80 m/s2, fr is the tire rolling resistance
coefficient, ρa is the air
density in 1.202 kg/m3, Af is
the front area of the vehicle
in m2, and CD is the
aerodynamic drag coefficient.

Dove A¡ è la forza alle


ruote (wheel) e AC è la forza
resistente.

Trasformata in una curva T/omega dove sono funzione del raggio della ruota che scegliamo noi
 poi definisco in funzione dei rendimenti e dei rapporti di trasmissione la caratteristica all’albero
motore {/“ . ora posso decidere la K? del motore elettrico e scelgo la tipologia del motore con il
suo rapporto di deflussaggio. Una volta scelto il motore elettrico  l’inverter la cui potenza è
6
funzione del motore scelto Km>?H$C=G=>C$ = ²¼¯/½/.7 scelgo ovviamente anche i livelli di tensione;
¶ ¯/½/.7
noto il rendimento del convertitore  la potenza in ingresso e quindi posso decidere di come
ripartire la potenza derivante dalle sorgenti. Questo passaggio è fondamentale in funzione del
tipo di veicolo e funzione del ciclo di riferimento.
 Decido la potenza media K$eG e la potenza istantanea KGM= .
Se la potenza accelerante e decelerante (KGM= ) la voglio a valor medio nullo  che decidiamo di
recuperare tutta l’energia della frenatura. Se la Kmm − Ke$m$ > 0  non recuperiamo tutta
l’energia. Questo determina la taglia del sistema di accumulo.
È utile riferirsi ad un ciclo di riferimento nota la potenza propulsiva di un determinato veicolo. In
modo da graficare la potenza propulsiva in funzione del tempo e quindi andare a determinare la
K$eG . e poi così determino la potenza alternativa (dinamica) e valuto i picchi di potenza in
funzione del ciclo di riferimento (tenendo conto dei rendimenti).
 la K$eG deve essere soddisfatta dal motore termico (dimensionato volendo a ridurre al
minimo il consumo di carburante) ovviamente quella P media tiene conto di tutti i
rendimenti ‘=$CGm> + ‘;$?$C=>C$ + ‘m>?H$C=G=>C$  K$eG´EW$C> del termico.

Fissata la K$eG del termico e la potenza richiesta alle ruote  la potenza della sorgente
(batteria) facendo la differenza. Es. K? = 60)N e K=$CGm> = 25)N
 KM>C;$?=$ = 60 − 25 = 35)N

Ora dobbiamo anche dimensionare l’energia della sorgente. In riferimento ai cicli faccio la
differenza tra K$eG − KGM=  KED==D?=$ (funzione del tempo) integrando questa potenza in
funzione del tempo ho l’energia associata al ciclo della potenza fluttuante.

Es. se Δk  1)Nℎ posso decidere di erogarli e assorbirli tra il 30% e il 70% dello stato di carica
della batteria. In un ciclo urbano si ha una elevata potenza di picco KGM= ed una bassa potenza
media K$eG  per il sistema d’accumulo bisognerebbe avere Energie basse ma potenze elevate
(le batterie non andrebbero bene).
Ibrido – Parallelo

Qui non ho più il generatore e quindi non effettuo più la doppia conversione meccanica elettrica
meccanica; il componente integratore di coppia non è possibile controllarlo  il controllo è fatto
nel progetto + il controllo delle sorgenti; le strategie sono simili a quelle che abbiamo già visto:

ne funzionamento
nel punto A servono
entrambe le potenze.
Stabilita la velocità
alla ruota, tramite
l’integratore  la
velocità del termico
e la velocità
dell’elettrico; però
posso ripartire la
potenza meccanica
agendo sulla coppia
sia
dell’elettrico(attraver
so la corrente) che
del termico
(attraverso il cambio).La filosofia del controllo è quella di mantenere un buon stato di carica quindi
utilizzeremo al max il termico.

In B usiamo solo il termico e il surplus lo mandiamo alle batterie.

La seconda srategia è quella on/off :  in B se utilizzassi solo il termico avrei consumi elevati 
on –off (con il surplus ricarico)

Si vede dalla figura che il


mantenimento dello stato di carica sta
in un range prestabilito.

Per il dimensionamento di questo sistema si affronta prima la part termica poiché l’elettrico entra
in gioco solo in urbano per piccoli periodi di tempo.

Il termico lo decido in funzione del ciclo extraurbano ricordando che


¾ X
KCD>=$ = ¶ (S I + S … +  Ž  ) (a velocità costante e in piano) dove eta tiene conto dei
½

rendimenti fino all’albero motore. Se volessi anche l’accelerazione devo tener conto anche di Ma.

Es. S = 1500) I = 0,01 , Ž = 1,2 (densità aria) ,  = 2 (superficie frontale) ,  = 0,3(tipo
auto)

Dalla figura si vede


la potenza resistente
calcolata allo 0% di
pendenza e al 5% di
pendenza.

Es. se abbiamo una


specifica di velocità
massima a 160km/h
in piano dobbiamo
prendere un motore
da 40kW; il cambio
ci serve per
rispettare il vincolo
sulla coppia per
superare le pendenza all’avviamento.

Ora devo valutare se il motore scelto va bene pure per il ciclo urbano; calcolo la potenza media in
un ciclo urbano e verifico: se il motore scelto ha una potenza maggiore alla K$eG calcolata; e
poiché “ è stabilito per il motore termico  se a quella velocità (discontinua) eroga potenza
diversa.

Calcolo della P media dal ciclo: Dalla curva del ciclo urbano km/h su t (sec) costruisco la curva “
su t conoscendo il raggio della ruota. Ora avendo scelto una determinata curva di potenza (in
funzione di un determinato rapporto) del termico  che ad una certa “ avrò una determinata P
 posso costruire una curva P su t che sarebbe la potenza erogabile dal termico a vincolo della
velocità. Ora posso calcolare la potenza media di questa curva assicurarmi che la potenza del
motore scelto sia maggiore di questa potenza media.

Dalla figura si vede che se tengo conto della frenata rigenerativa la potenza media è minore.

Taglia del motore elettrico:

è funzione della componente alternativa riferita al ciclo urbano; deve coprire le accelerazioni
repentine (es. se volessi superare o a basse velocità) es. con un termico con K=$CGm> = 45)N 
un elettrico con avvolte potenza maggiore del termico es. 50-55 kW.

Gli apparati di conversione si dimensionano tenendo conto dei rendimenti.

La potenza del sistema di accumulo è legata alla potenza del motore elettrico

(es. K$E$==CGm>  55)N + 2 ÷ )N di perdite (convertitore, motore ecc.) 


KmmDDE> = 60)N)
Dimensionamento energetico: si nota sulla curva di un motore elettrico che prima della velocità
base la potenza cresce linearmente. In accelerazione la potenza cresce e se facciamo una media
es. con un motore da 50kW diciamo che se partiamo da fermi in 10sec sviluppiamo 25kW 
XZ
25000 ∙ = 70Nℎ ≈ 0,1)Nℎ ossia le energie in gioco sono bassine. Ovviamente non potrei
­ªZZ
dimensionare per questo valore poiché per allungare la vita delle batterie la carica – scarica sarà
tra il 70% e il 30%  dovrò sovradimensionare.

Un altro tipo di verifica è sul ciclo di riferimento :

Vedo la curva relativa alla K$E$==CGm> sul tempo + K=$CGm> sul tempo  integrando ho l’energia.
Questa figura mostra sulle ordinate la percentuale delle autovetture che giornalmente effettuano
tot km. La curva rappresenta il cumulativo, ossia è la percentuale di veicoli che compiono tot km.
Es. prendo un punto a buffo sulla curva es. corrisponde a 192km vedo la percentuale 80%  che
l’80% delle autovetture percorrono giornalmente meno di 192km.

Facendo una media si vede che il 50% dei veicoli, giornalmente, percorrono 64km  potrei avere
solo un veicolo elettrico (o con un ciclo interno senza accesso alla carica o con accesso alla carica
dove l’energia la prelevo dalla rete e non dal combustibile).  un sistema di accumulo più grande.

Prendiamo un ciclo standard di 10km (se facessi 100km  prenderei 10 di questi cicli) il ciclo si
riferisce a kW alle ruote sulla distanza percorsa.

Si vede dalla simulazione che la potenza di picco del ciclo è circa 25kW ma tenendo conto delle
perdite  28kW. Scelta la potenza del motore devo andare la potenza del PPS tenendo conto

delle perdite del motore e dell’elettronica es. 85% e 95%  KBBM = = 34,7)N .
Z,±Y∙Z,ÀY

nella figura si vede che


utilizzando altri cicli a potenze
maggiori (extraurbano ) la
taglia K>=>C$ e KBBM è maggiore.
Integrando la potenza rispetto al tempo del ciclo di riferimento  l’energia associata al ciclo.

è possibile anche
associare l’energia
rispetto ai km percorsi.

E l’energia calcolata
può essere quella
prendendo in
considerazione la
frenata rigenerativa o
meno; e anche tenendo
conto dello stato di
carica – scarica della
batteria.

Es. per percorrere 50km (urbano) ci servono 6kWh, questa è l’energia alle ruote; ora devo tener
ª
conto dei rendimenti dalle ruote fino al sistema di accumulo es. k = Z,±Y∙Z,À = 8)Nℎ ora devo
tener conto della carica – scarica 70% - 40% quindi se durante il processo di scarica voglio che
nella batteria resti un 40%  all’energia ci devo aggiungere un 40%  k = 8 ∙ 1,4 = 11)Nℎ

Questa energia calcolata, ovviamente non è solo per far fronte ai picchi ma è calcolata per
affrontare l’intero ciclo.

1° strategia: partiamo con le batterie cariche e affrontiamo il ciclo tutto in elettrico (senza
scaricarla tutta (40%)) e se dobbiamo continuare attiviamo il termico.

Es. in questo grafico affrontiamo i primi 40km solo con l’elettrico consumando 7kWh
(considerando sempre un 40%) e poi attiviamo il termico consumando 3,5l per percorrere i
restanti 60km.
A parità di veicolo e di sistema di accumulo si vede che se affrontiamo un ciclo extraurbano dove
le potenze in gioco sono maggiori  a parità di energia con l’elettrico farò meno km. Es.
7kWh+5,5l per percorrere i soliti 100km.

2° strategia: con stesso veicolo e stesso sistema di accumulo; faccio lavorare sia il termico che
l’elettrico ponendo il termico a funzionare a efficienza maggiore:

Es. 7kWh + 2,5l  ho consumato di meno. Stesso discorso vale se cambio ciclo e vado in
extraurbano  7kWh + 5l. anche qui consumo meno.
Caratteristica di vita delle batterie utilizzate in funzione della profondità di scarica ossia aumento
la vita delle batterie se la profondità di scarica è bassa (es. 10% vuol dire che mantengo un 90% di
carica). Di solito la profondità di scarica vale circa un 70% lasciando un 30% nella batteria.

Il ratio è un coefficiente dato dal rapporto di energia/potenza [h] ossia quanto dura la scarica a
quella determinata potenza (es. alla max potenza). Es. se ratio=0,2 con una P=50kW  con il
litio per volere una durata di scarica di 0,2  la densità di potenza vale 1  che se volessi 50kW
 50kg di batterie al litio; mentre se metto le NiMH avrei 50/0,4=125kg di batterie.
18 Gennaio 2011

Mild hybrid parallelo

Le architetture dei veicoli ibridi richiedono tipicamente pesi e ingombri maggiori rispetto a veicoli
tradizionali. È possibile ipotizzare dei veicoli cosiddetti “mild, hybrid” (mite, leggero) in cui il
motore elettrico serve giusto a coprire le punte, avviare il motore, e rigenerare un po’ di energia in
frenata, ma non è dimensionato per la trazione. Può risultare utile nel traffico a basse velocità,
dove il termico funzionerebbe consumando tanto. Il motore elettrico, quindi, risulta essere molto
piccolo e facilmente integrabile in un drivetrain:

In fig. si vede che tra la frizione e il cambio è posto il motore elettrico. Si può accoppiare il motore
con il volano visto che abbiamo un po’ di spazio, il motore elettrico avrà il diametro pari al volano
e lo spessore dipenderà dal tipo di potenza;si utilizzano sincroni a MP. Le potenza del motore
elettrico sono circa il 10% della potenza dl
motore termico. Nelle macchine americane
va di moda il cambio automatico (che utilizza
un fluido) il quale è un convertitore di coppia
idraulico dove si vede che a T elevate il
rendimento di questo accoppiatore è assai
basso e viceversa. Si vede con questo
componente che in un percorso urbano il
valor medio delle perdite è basso. A velocità
nulle si nota che la macchina continua ad
avanzare e quindi per tener ferma la macchina dissipiamo una certa energia. Andando a sostituire
il convertitore di coppia idraulico con il nostro motore elettrico  andiamo a ridurre le perdite
introdotte dal convertitore di coppia idraulico andando ad aumentare l’efficienza.

Il maild hybrid introduce nuovi gradi di libertà di funzionamento: solo termico (il rotore è
trascinato), solo elettrico (frizione aperta; ho anche i rapporti del cambio), funzionamento ibrido
(stesso “ ), ricarica andando con il termico, frenata rigenerativa.

Caratteristica del maild


hybrid con 4 rapporti di
velocità. Si vede che si
modifica sia la
caratteristica del termico
che dell’elettrico
all’usicta poiché ho il
cambio; facendo la
somma ho sta roba dove
a passe velocità ho
(prima di 10kmh) ho solo
il funzionamento
dell’elettrico  posso
partire con il solo
elettrico.

Ora se andiamo a vedere in riferimento ad un ciclo urbano il funzionamento del termico ci


accorgiamo che il motore lavora a velocità basse con coppie alte ossia intorno all’efficienza ottima.

Ho avuto un risparmio di
carburante.

con un ciclo extraurbano


avrei potenze maggiori e
l’elettrico interviene poco
anche perché non ho
rigenerazione quindi a
livello di consumi consumo
uguale (forse anche di più
poiché le batterie
appesantiscono il veicolo).
È possibile avere anche una configurazione mild hybrid con un epicicloidale per avere un sistema
di tipo serie – parallelo .

Dove l’elettrico è accoppiato al pignone; e il termico tramite una frizione è accoppiato al porta
satelliti; e l’accoppiamento alle ruote avviene sulla corona esterna;

questo schema permette più gradi di libertà posso andare a ripartire la coppia diversamente.

Questo schema permette sia di avere sia un integratore di velocità che un integratore di coppia.

Gradi di libertà:

- Solo termico: pignone centrale fermo lock1  diventa un riduttore;


- Solo elettrico: frizione 1 aperta e vengono tenuti fermi i satelliti;
- Ibrido: è
- possibile sommare le velocità (integratore di velocità): facendo girare il pignone con
l’elettrico es. in direzione oraria, e interveniamo con una rotazione antioraria da parte del
termico sul porta satelliti  sommiamo le velocità sulla corona esterna;
- in bassa velocità (della corona esterna) imprimiamo la velocità del termico in modo da
poter funzionare ad elevata efficienza, e imprimiamo la velocità dell’elettrico; es. se la
corona è ferma e data una “=$CGm> e una {=$CGm>  una K=$CGm>  una “$E$==CGm> ed
una potenza che entra nell’elettrico (a velocità nulle ricarico le batterie).
- È possibile anche sommare la coppia (integratore di coppia) per velocità più alte. Dove la
velocità del termico e la velocità dell’elettrico sono le stesse.
La versione senza epicicloidale è quella elettromeccanica, in cui girano sia statore che rotore;
es. il termico sta a 2000 giri e l’elettrico sta a 2000 giri in senso contrario  “ ruote=0 e
ricarico la batteria;

volendo poteri avere il termico a 2000 giri e l’elettrico in senso contrario a 1800 giri  la
macchina si muove a 200 giri e la batteria si ricarica;

potrei sommare le velocità se il termico sta a 2000 giri e l’elettrico sta a 1000 giri  l’uscita
sarà a 3000 giri dove K> = K= + K$ . ;

per fare l’integratore di coppia blocco lo statore della macchina elettrica ed essendo l’albero
del termico accoppiato al rotore dell’elettrico avranno imposta la stessa velocità  la coppia si
somma.

È possibile un funzionamento solo con l’elettrico.


Batteria

si vede che la tensione della batteria in


scarica della piombo acido, non è
costante.

Qui possiamo vedere come la tensione


decresca linearmente in funzione della
corrente di scarica; mentre la potenza
che è V*I ha un andamento particolare.

Es. nella 36V si vede che ha 500A e 16V


c’è l’intersezione (8kW) K
dopodiché la potenza decresce.
Batterie: la tensione varia in funzione del tempo di scarica e in funzione della corrente di sacrica

un veicolo di 1000kg consuma circa 100Wh


al km. Es se ho una batteria da 100Ah e sto a 12V  ho 1,2kWh.

Un elevata densità di energia comporta a parità di energia un peso minore.


dove > = W==$CG

e  = mCGm

dalla figura si vede che per un


ciclo di carica scarica tra 0,4 e
0,7 il rendimento generale è
più alto della batteria.

Super condensatori

Grandi superfici  grandi capacità circa 2000 farad

X
L’energia del condensatore vale k =    dove di solito le tensioni sono bassine: circa 2 V  un
Wh/kg molto basso circa 2-3 però hanno una densità di potenza assai elevata (circa 3000) poiché
possono essere scaricati con grandi quantità di corrente.
 Ci dà energia in caso di correnti elevate. Il problema nel condensatore è che la tensione si
scarica a rampa (al contrario della batteria che resta costante per un determinato periodo
e poi si abbatte); es. se lo scarichiamo al 50%  V al 50%  un energia residua di ¼ poiché
va col quadrato della tensione.  non dobbiamo applicare una scarica troppo profonda.

Conteniamo la tensione al 50% per facilitare il convertitore (che è un elevatore) poiché se la


tensione in ingresso è al di sotto di una determinata soglia funziona male.

Volano
X
l’energia è accumulata nel volano k =  ¨“  porto il volano a velocità di rotazione assai
elevate. È accoppiato ad una macchina elettrica. Gi genera il vuoto all’interno per eliminare
l’attrito e quindi aumentare la velocità; aspetti sulla sicurezza il rotore va alla stessa velocità del
volano  motori passo o MP. Ovviamente si utilizzano volani con materiali ultra resistenti poiché
sono rilevanti gli sforzi; velocità di circa 50.000
giri al minuto. Qui sia la densità di energia Wh/kg
che la potenza W/kg sono assai elevati.
È possibile implementare due sorgenti complementari : es. condensatori più batteria

La rigenerazione può essere


controllata  in caso di una frenata
lenta l’energia và tutta alla batteria;
in caso di frenata impulsiva l’energia
và al condensatore.

risposta della corrente e


della tensione ad un gradino
di corrente.

Consente al condensatore di
variare la tensione e quindi
regoliamo il prelievo di
energia dal condensatore. Il
DC/DC è bidirezionale ed è
dimensionato sui picchi di
potenza.
Esempio: con un motore termico da 50kW un elettrico da 45kW e un veicolo di massa 1500kg; per
un ciclo urbano è stato calcolato che serve un energia totale di 3,5kWh.  i diversi pesi mettendo
batterie o condensatori differenti:

Uso contemporaneo di batterie differenti accoppiate a condensatori.

20 Gennaio 2011

Celle a combustibile

Le celle a combustibile sono dei


dispositivi in grado di produrre energia
elettrica a partire da due reagenti (ad
esempio idrogeno-ossigeno) ed un
elettrolita.
La tensione a vuoto di una cella di tipo
idrogeno ossigeno, si aggira intorno ai 1,1
V, ma scende intorno ai 0,8 e anche più
all’aumentare della corrente erogata:

Per movimentare i reagenti sono


necessari degli ausiliari,
alimentati con la stessa energia
prodotta dalla cella. Ad esempio
l’aria viene immessa con una
lieve sovra-pressione, pertanto è
necessario utilizzare un
compressore. La curva di
rendimento subisce quindi una
variazione: a bassi carichi è
molto bassa perché per
alimentare gli ausiliari l’energia
effettivamente prodotta è molto
bassa: quindi nella figura
seguente si vede come si modifica la nuova curva di rendimento.
La cella a combustibile più diffusa è del tipo a
elettrolita solido (PEMFC). Per stoccare
l’idrogeno ci sono alcuni problemi. La densità
dell’idrogeno in condizioni standard è molto
bassa. 1 m³ di idrogeno pesa circa 90 g. Il
potere calorifico, invece, è molto alto. Se il
metano ha un potere calorifico dell’ordine
dei 10 kWh/kg. L’idrogeno di oltre 22 kWh/kg
per stoccare l’idrogeno è necessario
pressurizzarlo o raffreddarlo. Con livelli di
pressione a 700 atmosfere, in un litro di
idrogeno si raggiungono i 2 kWh mentre con un litro di benzina si raggiungono i 10kWh. Rispetto
ad un combustibili liquido, quindi, è inferiore (densità bassa). Inoltre per comprimere l’idrogeno a
700 bar sono necessari circa 400 Wh.

L’altro modo di stoccare l’idrogeno è raffreddarlo fino a liquefarlo, alla temperatura di -260 °C.
Tuttavia in questo modo non si aumenta considerevolmente l’energia per unità di volume e
sorgono comunque problemi di mantenimento della temperatura.

Esiste un’altra soluzione che utilizza degli idruri metallici per immagazzinare l’idrogeno sotto forma
di idruro metallico, con dei risultati migliori in termini di densità di energia, ma con un peso
maggiore. Riepilogo grafico:
In questo grafico è la massa e volume necessario per stoccare 6 kg di idrogeno (equivalente a 22
litri di benzina), in funzione delle diverse tecniche di stoccaggio.

Un tipico schema che utilizza celle a combustibile è rappresentato in figura:

Per coprire i picchi è necessari affiancare alle Fuel Cell qualcosa tipo supercondensatori, che, tra
l’altro , consentono la frenatura a recupero.

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