Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
EDUCATIVA
Sped. in abbonamento postale - 45% Art. 2 - comma 20/B - Legge 662/96 - Napoli - Nuova serie - Anno 2 - Inserto allegato al n. 8 - Dicembre 2005
Speciale
Educazione musicale nella scuola primaria
EDITRICE
e
IRRE E. R.
ISTITUTO REGIONALE DI RICERCA
EDUCATIVA PER L'EMILIA ROMAGNA
Clicca sul titolo per aprire l'articolo
Sommario
Premessa ........................................................................................................................................ 3
La ricerca sulla formazione musicale degli insegnanti della scuola primaria nella facoltà
di Scienze della Formazione di Bologna ........................................................................................ 17
Anna Rita Addessi
Le radici della via italiana alla didattica musicale: la proposta di Rosa Agazzi ........................... 24
Battista Quinto Borghi
Premessa
Benedetta Toni
——————
1
Si ringraziano particolarmente, oltre agli autori delle relazioni qui presentate, per gli ulteriori preziosi interventi,
gli altri relatori partecipanti al convegno: Alessandra Castelvetri, Antonio Monzino, Annibale Rebaudengo, Mario Baro-
ni, Sonia Simonazzi, Carla Cuomo.
(b) La seconda mission della scuola porta stampate al maiuscolo le cinque lettere della Mente.
Questo, il suo compito formativo. Suggerire a chi la osserva come evitare il naufragio sul mono-
scoglio del pensiero unico. Anche perché il veliero della mente ha la necessità, per potere viaggiare
negli oceani della cultura, di percorrere una «molteplicità» di rotte marine: diverse per fondali, bonac-
ce, ondosità, variabilità climatica, forza dei venti.
La scuola ha il compito di richiamare l’attenzione sull’emergenza teste ben fatte: le sole in grado
di dare ospitalità al pensiero plurale. Sotto metafora, significa aprire le porte al pensiero della dome-
nica. Vale a dire, alla mente meridiana - solare, calda, mediterranea - che non “anticipa” le conoscenze
al sabato, accelerandole: con il mediocre risultato di tingerle diffusamente di mnemonismo e di
nozionismo; ma neppure “posticipa” e rinvia le conoscenze al lunedi, dove si ricoprirebbero di colori
sbiaditi, inattuali e poco attraenti.
Le parole al vento intitolate al pensiero della domenica (di cui è chiamata a farsi carico la scuola)
informano i naviganti-allievi che soltanto autocostruendosi formae mentis (nuclei cognitivi endogeni)
saranno poi in grado di selezionare, interiorizzare e conservare a lungo l’alfabetizzazione primaria e
secondaria. Siamo alla mente riflessiva e alla autonomia intellettuale: capaci di pensare se stesse,
vigili dalla memoria di sè e responsabili verso le azioni cognitive che compiono.
eterogenei di studio, ricerca, creatività. Di più. Hanno il pregio di assicurare alla scuola esperienze che
pongono al centro dell’apprendimento la qualità più che la quantità delle conoscenze.
Dunque, nella morfologia e nella semantica dei laboratori - angoli didattici, centri di interesse, aule
specializzate, atelier/laboratori multidisciplinari, zone attrezzate all’aperto - campeggia la sua macrofinalità
pedagogica e didattica: l’interdisciplinarità. Nel senso che l’interclasse è il regno degli assi culturali trasver-
sali, non rintracciabili dentro agli statuti disciplinari canonici, a canne d’organo, dei Programmi scolastici.
Quindi, lo scopo formativo del laboratorio non può essere l’istruzione materiale (il quanto e il cosa
«sapere»: i contenuti canonici, le nozioni e le sintesi disciplinari), che va cucinata in classe, ma l’istruzio-
ne metacognitiva e fantacognitiva (il come e il perché «sapere»: la capacità di impostare con chiarezza
logica i problemi cognitivi, le strategie di scoperta e di metodo, le pratiche operative di applicazione
delle conoscenze, le procedure di intuizione e di invenzione di soluzioni inedite, impreviste, illogiche).
In altre parole, compito del laboratorio è quello di allenare gli apprendimenti superiori «conver-
genti » (condizione ineludibile per fare-ricerca) e gli apprendimenti superiori «divergenti » (condizio-
ne ineludibile per fare-creatività).
Il laboratorio di musica è un metodo di costruzione del sapere musicale che propone come abito
scientifico il trinomio prassi, teoria, prassi e vede il sapere come conoscenza in azione2.
È il luogo della produzione musicale cui corrisponde una successiva e/o contemporanea osserva-
zione, riflessione e comprensione della musica.
È il punto di incontro tra scuola e università per la conduzione di progetti didattici basati sul
learning by doing, secondo i paradigmi dei metodi musicali attivi del Novecento (Kodaly, Dalcroze,
Orff, Suzuki, Wilhems, Martenot) cui segue necessariamente un tentativo di categorizzazione formale
e di riflessione sui contenuti appresi in situazione per poterne verificare l’interiorizzazione e la
trasferibilità in altri contesti.
Costituisce l’intersezione fra didattica e divulgazione perché fa i conti con bisogni e motivazioni
dei bambini, con le loro idee e con il loro modo di percepirle: “nessuna strategia di insegnamento,
formale o informale, può avere successo se non è basata sulla comprensione di come i bambini gene-
——————
2
Per una trattazione dettagliata dell’idea pedagogica di laboratori si consulti Franco Frabboni, Il laboratorio,
Roma-Bari, Laterza 2004.
rano le loro idee”3 ; “il modo più intimo e spontaneo che i bambini hanno per percepire i concetti e i
ritmi musicali è la loro unicità, l’unità di percezione è intuitiva quando i processi musicali sono strut-
turati significativamente come motivi, figure e frasi” (Jeanne Bamberger).4
——————
3
Cfr. Joanna Glover, Children Composing 4-14, Londra, Routledge/Falmer 2000.
4
Per approfondimenti si veda Jeanne Bamberger, Mind behind the musical ear, how children develop musical
intelligence, Cambridge, Harvard University Press 1991.
5
Per l’approfondimento del concetto di “ascolto attivo” si consulti Jeanne Bamberger, Mind behind the musical ear,
how children develop musical intelligence, Harvard University Press, 1991
6
Per una trattazione specifica si faccia riferimento a Franco Frabboni, Luigi Guerra, Cesare Scurati, Pedagogia.
Realtà e prospettive dell’educazione, Mondadori, Milano 1999
tica laboratoriale produrre musicalmente significa anche possedere una competenza che va ben oltre
l’azione meccanica di imitazione di un’attività musicale e si colloca invece in un’azione di ri-produ-
zione musicale in termini creativi, secondo la propria concezione interpretativo-affettiva, secondo la
propria riflessione.
In particolare cito alcune caratteristiche di un laboratorio di educazione alla pratica strumentale,
alla pratica vocale e alla ritmica strumentale osservato nell’arco di due anni scolastici presso la scuola
primaria Raffaello Sanzio di Bologna nell’ambito del progetto“Su, bambini facciamo i violini”.7
Il laboratorio di produzione musicale in termini di educazione allo strumento, alla voce e al ritmo
presuppone una definizione e sperimentazione di:
• obiettivi in relazione alle abilità tecniche strumentali da acquisire nel breve e nel lungo termine
verificabili anche attraverso verifiche in itinere;
• momenti di pratica individuale di semplici esercizi e successivamente di facili brani di repertorio
consoni alle capacità tecniche e all’estensione vocale dei bambini;
• metodologie attive di didattica musicale infantile;
• pratica di musica individuale e pratica di musica d’insieme;
• sviluppo di competenze cognitive, culturali e relazionali in discenti e docenti.
——————
7
La descrizione completa del progetto potrà essere visionata in Luigi Guerra e Benedetta Toni, L’innovazione della
music performance, in I Diritti della Scuola, De Agostini, n. 7, marzo 2005 e in Benedetta Toni, Laboratorio di didattica
strumentale nella scuola primaria, in Educazione musicale.Riflessioni ed esperienze a cura di Franz Comploi, Weger,
Bressanone 2005.
8
Il laboratorio di formazione e didattica è condotto dalla scrivente con la collaborazione di uno staff di didattica
musicale nella scuola primaria. La descrizione analitica dell’attività è inserita nel volume La divulgazione musicale in
Italia oggi, a cura di Alessandro Rigolli, EDT 2005 nel saggio Opera per le scuole: un laboratorio interdisciplinare per
amare la musica a cura della scrivente.
9
Il progetto è documentato in Larry Scripp e a.v., Journal for Learning through music, 2000 e 2003
Una scuola basata sul Learning through music valuta cinque processi basilari intrinseci sia alla
musica sia alle altre discipline:
• ascoltare/percepire: osservare, discriminare, descrivere
• eseguire/interpretare: interpretare, dimostrare, memorizzare
• creare/trasformare: improvvisare, inventare, produrre, comporre
• investigare/fare indagini: analizzare, scoprire
• riflettere/connettere: rivedere, autovalutarsi
La musica è un tool per l’apprendimento interdisciplinare e vi sono concetti, strategie, contesti, modi
di rappresentazione, metodi di valutazione che vengono condivisi fra la musica e le altre discipline.
Fra i concetti condivisi fra musica e altre discipline si annoverano i seguenti:
• musica e lingua: testo e musica, espressione, carattere, tema, dialogo, lessico
• matematica e musica: proporzione, ordine, sequenza, , gerarchia
• scienze e musica: misura, indagine, osservazione, scoperta, classificazione
• musica e storia: linea del tempo, cambiamenti sociali, cultura
• musica e movimento; imitazione, coordinazione, gesto
• musica e immagine: composizione, colore, disegno grafico
• musica e tecnologia: composizione, studio della tecnica e delle sue applicazioni, arte.
Le strategie cognitive condivise possono essere così elencate: ordinare, classificare, decifrare,
ragionare criticamente e creativamente.
I contesti comuni sono i periodi storici, le prospettive culturali, i generi.
I modi di rappresentazione sono i grafici, i numeri, le parole, le immagini, i disegni.
I metodi di orientamento e di valutazione sono molteplici, in particolare vi è un uso frequente e
ragionato del portfolio delle competenze musicali dell’alunno.
Conclusione
In conclusione la ricerca sulla didattica laboratoriale musicale nella scuola primaria annovera
sperimentazioni interessanti e a livello nazionale e in ambito europeo e internazionale. È importante
dunque valorizzare e diffondere le esperienze significative per costruire modelli utili alla formazione
dei futuri docenti sia per quanto concerne il teacher content (competenze del docente) sia in merito al
teacher approach (metodologia didattica).
capacità critiche, di strategie consapevoli di pensiero: affinché la fruizione non sia solo in apparenza
individuale e autonoma, bisognerà mettere in guardia contro un apprendimento della musica on line
come unico mezzo di acculturazione musicale, in quanto il Web, seppure aggiornato e in continua
evoluzione, pone al centro la fruizione rispetto alla produzione musicale pratica e /o cognitiva e l’ap-
parente semplicità del processo di acquisizione di basi musicali si scontra con la necessità di una
riflessiva interiorizzazione di alfabeti riutilizzabili, riproponibili, trasferibili. Ed è necessario parlare
di alfabeti in quanto la profondità della conoscenza esige tempo, confronto, ripensamento e l’apparen-
te immediatezza sonora inganna e non può corrispondere all’efficacia espressiva di un’abilità conqui-
stata in presenza.
e discussione intorno ai diversi generi musicali e alle relative culture di appartenenza, a quelle, infine,
funzionali alla condivisione, intesa come costruzione sociale delle conoscenze, per cui si sono presi in
considerazione modelli di comprensione musicale che stimolano a superare le barriere culturali fino a
far incontrare le diverse musiche nella sfera della comunicazione di messaggi, significati e valori
appartenenti a tradizioni diverse.
Per quanto riguarda la propedeuticità dei contenuti musicali da analizzare, sono state fornite indica-
zioni su modelli e metodologie per l’attività di ascolto musicale13 e l’attività di produzione musicale14.
Per quanto concerne le attività legate alla comprensione della valenza didattica della multimedialità,
sono stati utilizzati due ipermedia dotati di specifici percorsi al loro interno: il Progetto Muse 200015
e Music Toolkit16.
In particolare, all’interno dell’ipermedia Muse nel percorso Identikit di un brano musicale è stato
possibile comprendere la relazione fra la struttura del brano musicale e lo scopo espressivo-comunica-
tivo della musica in oggetto per spiegare, integrare o aggiungere valore ad una immagine corrispon-
dente all’interno di spot pubblicitari o in sequenze tratte dal cinema.
In supporto a questa sperimentazione e a seguito di una discussione e di un dibattito, sono state
proposte alcune scene tratte da cartoni animati della Disney e si è analizzato il codice musicale secon-
do prototipi di comprensione della musica in relazione, in opposizione o oltre l’immagine a cui è stata
abbinata17. Infine attraverso il software Music Toolkit è stata creata una “propria” sequenza sonora da
abbinare ad un’ipotetica storia o racconto e/o eventualmente ad immagini o illustrazioni che costitui-
vano la scenografia delle storie inventate.
Per quanto riguarda il valore aggiunto che le “musiche” forniscono alla didattica interculturale, si
è partiti dal considerare ninna-nanne e filastrocche della nostra cultura attraverso un duplice percorso:
analisi del testo e analisi della struttura musicale18. Conseguentemente, si sono sperimentati i percorsi
sulle ninna-nanne e sulle filastrocche all’interno dell’ipermedia Muse per un’alfabetizzazione musi-
cale a due livelli:
-vocale e ritmica in relazione alla consapevolezza dei parametri del suono: durata, timbro, dinami-
ca, agogica e altezza
-critica riguardo la coscienza dei tratti pertinenti di analisi di un brano musicale e dei diversi usi,
contesti e funzioni in relazione alla cultura di appartenenza.
Il tutto è stato poi arricchito da un’ascolto critico e attivo di repertori popolari infantili monogra-
fici19 per vagliare e discutere in particolare la simbologia e le funzioni della musica africana, araba e
brasiliana.
Conclusioni
L’integrazione di due discipline quali l’educazione musicale e l’educazione tecnologica è proficua
ed interessante anche per discenti sprovvisti di conoscenze musicali specifiche, in quanto il modello di
e-learning web enhanced consente una significatività dell’apprendimento musicale legata all’espe-
rienza in situazione di produzione e comprensione musicale in continuo raccordo fra attività
monodisciplinari e attività interdisciplinari. Inoltre, la prospettiva adottata ha favorito l’emergere, il
discutere e il riflettere sui diversi punti di vista, processi indispensabili per una qualificata
sperimentazione di un laboratorio di formazione didattico-musicale.
——————
13
In particolare sono stati approfonditi concetti enucleati in Maurizio Della Casa, Educazione musicale e curricolo,
Bologna, Zanichelli ristampa 2002 e in David Bray, Teaching Music in the Secondary School, Heinemann 2000.
14
In particolare sono state realizzate attività di produzione ritmica e vocale in relazione ai Metodi Kodaly e Orff.
15
Lida Branchesi (a cura di), Progetto Muse 2000, volume e CD rom, Milano, Franco Angeli 2001.
16
2 Simple Music Toolkit, Enterpise House, London.
17
Si consultino, per approfondimenti, Lissa Zofia, Ästhetik der Filmmusik. Berlin, Henschelverlag 1965 e gli studi
di Philip Tagg.
18
Sulla valenza interculturale di ninna nanne, filastrocche e fiabe si veda Franca Pinto Minerva, L’intercultura, Roma-
Bari, Laterza 2004.
19
Brani tratti dalle raccolte All’ombra dell’olivo, All’ombra del baobab e All’ombra della papaia, Milano, Mondadori.
La didattica dell’ascolto offre una via privilegiata per la comprensione della musica, ed è dunque
strumento basilare per un’educazione musicale ben strutturata.20 Riferendomi al modello elaborato da
Maurizio Della Casa, definisco in senso generale ‘comprensione musicale’ la capacità di dominare
«dall’alto», magari al semplice ascolto, la struttura di un brano musicale; di riferire la composizione al
contesto di produzione e fruizione, di coglierne le funzioni, intuirne le relazioni con gli altri saperi,
scoprirne il «senso».21 Se la musica è cultura, sapere complesso, reticolare, interdisciplinare, la scuola
dovrà fornire al giovane cittadino gli strumenti per accedervi criticamente. E ciò è tanto più vero per
un Paese come il nostro, per tradizione poco attento alla cultura musicale, un Paese nel quale si consi-
dera “colto” chi sa apprezzare I promessi sposi, il Bauhaus, il Caravaggio, anche senza conoscere la
Passione secondo san Matteo, il Tristano, Il sopravvissuto di Varsavia.
È risaputo che ogni intervento didattico deve prendere le mosse dai prerequisiti cognitivo-affettivi
di chi impara, e che l’apprendimento scolastico promuove il passaggio dalle esperienze frammentate e
casuali della vita d’ogni giorno alle rappresentazioni della realtà attuate secondo le modalità dei vari
sistemi disciplinari. In questo senso la musica configura un caso particolare: se è vero che nella nostra
società i bambini e i ragazzi sono immersi in un mondo sonoro perfin troppo saturo, è raro che trovino
nell’“informale” occasioni di confronto con i capolavori della musica e con la loro esecuzione. In
genere, per molti di loro, la sola musica fruita nell’ambiente d’appartenenza è quella dei mass media,
spesso di qualità artistica discutibile. Il docente sarà dunque costretto a rapportarsi ad un patrimonio di
conoscenze esiguo: dovrà perciò tanto più sollecitare il contatto con una gamma differenziata di “og-
getti musicali” epistemologicamente ed esteticamente rilevanti, secondo criteri di gradualità e
propedeuticità e nel rispetto dei tempi, dei ritmi d’apprendimento, degli stili cognitivi, dei prerequisiti,
nonché delle specificità di genere, di lingua, di cultura sia dei singoli discenti sia dell’intero gruppo-
classe. In pratica, per la musica più che per altre discipline sarà particolarmente importante la compe-
tenza dell’insegnante nell’impostare una didattica musicale che operi nella «zona di sviluppo
prossimale» (alludo allo scaffolding),22 onde promuovere un coerente raccordo, dunque un’effettiva
possibilità di passaggio fra quello che il bambino già ‘sa’ e ‘sa fare’ (probabilmente poco) e quello che
invece ‘può sapere’ e ‘può fare’ (moltissimo).
Ho detto ‘può sapere’ e ‘può fare’, perché l’Educazione musicale comprende attività diverse, spes-
so (anche se non necessariamente) correlate. Da un lato essa implica il ‘fare’, ossia l’attività pratica, la
musica eseguita con lo strumento o con la voce; dall’altro, si riferisce al conoscere, al sapere, ossia alla
‘comprensione’ dell’opera musicale, che si attua in primis attraverso l’ascolto consapevole.23 Tale
comprensione, se ben condotta, comporta una conseguenza ragguardevole: addita concetti portanti,
nuclei tematici, intersezioni fra saperi diversi, e consente di tessere una reale interdisciplinarità. Que-
sto tipo di comprensione trova per l’appunto una chiave d’accesso privilegiata nella didattica del-
l’ascolto.
——————
20
Si pubblica qui la prima parte della relazione presentata nel convegno Educazione musicale nella Scuola primaria
promosso dall’IRRE dell’Emilia Romagna (Bologna, Biblioteca di S. Francesco, 13 novembre 2004). La versione com-
pleta del saggio, arricchita di una specifica proposta operativa (sul Carnaval di Robert Schumann), si legge nel volume
Musikerziehung. Erfahrungen und Reflexionen / Educazione musicale. Riflessioni ed esperienze, a cura di Franz Comploi,
Brixen/Bressanone, Weger, 2005, col titolo Le pedate di Pierrot. Comprensione musicale e Didattica dell’ascolto.
21
Cfr. M. Della Casa, Educazione musicale e curricolo, Bologna, Zanichelli, 1985, 20022, parte II, capitoli V-IX.
22
Per un orientamento introduttivo su questo concetto vigotskiano, basilare nella riflessione psicopedagogica odier-
na, cfr. F. Carugati e P. Selleri, Psicologia dell’educazione, Bologna, Il Mulino, 2001, capitolo II, in particolare pp. 51-78.
23
Su questo argomento, cfr. i miei contributi Musica e cultura a scuola (con Maurizio Della Casa), «Il Saggiatore
musicale», X, 2003, pp. 119-133, e Comprendere la musica: sapere e saper fare, «Innovazione educativa», n.s. I, nn. 3-
4, giugno 2004, pp. 31-35.
La didattica dell’ascolto presenta almeno due difficoltà di partenza, connesse alla natura stessa
della musica: in quanto arte temporale, la musica si svolge e prende “forma” nel tempo, non è dunque
mai simultaneamente presente e non si lascia cogliere in un sol tratto; è inoltre priva di denotazione,
ossia non rinvia in termini referenziali ad una realtà esterna. Per affrontare la prima difficoltà, ossia
per portare lo studente a cogliere lo svolgimento di tutto un brano, lo si indirizzerà verso strategie che
attivino processi attentivi e di memorizzazione, nonché processi mentali di secondo livello, come
“saper analizzare e assortire”, “mettere in relazione”, “cogliere analogie e differenze”. Per superare la
carenza denotativa, nelle prime fasi gioverà magari privilegiare musiche che abbiano un chiaro intento
descrittivo, o si riferiscano a un contesto narrativo, o siano provviste di un testo letterario: pian piano
ci si sposterà verso il territorio della cosiddetta ‘musica assoluta’. Una terza considerazione riguarda
poi la durata del brano musicale e il suo rapporto col “tempo vissuto”: due minuti di musica possono
essere brevissimi per l’intenditore, ma sembrare eterni al neofita. Questo aspetto andrà valutato atten-
tamente, non perché ci si debba precludere la fruizione di musiche lunghe e dal linguaggio elaborato,
bensì perché, anche per esse, bisognerà individuare le strategie idonee alla fruizione. Strategia di base
è la segmentazione della composizione: essa va attuata sulla base delle leggi musicali – melodiche
armoniche metriche ritmiche agogiche dinamiche ecc. – e del principio di ripetizione-variazione. Ciò
impone al docente, è ovvio, il pieno possesso dei contenuti disciplinari e degli strumenti tecnico-
analitici: per dirla nei termini di Yves Chevallard, il docente dovrà possedere un ricco patrimonio di
savoir savant, che declinerà in senso didattico, ossia in savoir enseigné.24
In questi ultimi vent’anni la Psicologia della musica ha chiarito parecchi dei meccanismi che pre-
siedono all’ascolto della musica, ed ha elaborato varie teorie. Personalmente considero molto funzio-
nale, ai fini di una didattica dell’ascolto, la teoria elaborata da Irène Deliège.25 Questa studiosa conce-
pisce l’ascolto musicale come un processo di schematizzazione del materiale sonoro percepito, un
processo di semplificazione e riduzione attuato mediante il ricorso ad elementi còlti dalla superficie
della musica: tali elementi si fissano nella memoria in virtù vuoi della loro rilevanza, vuoi della loro
frequenza, lasciandovi un’“impronta”. Sono questi elementi a rappresentare gli indices, i cues, gli
invarianti del discorso musicale: rispetto ad essi l’ascoltatore, sulla base dei principii di somiglianza e
differenza, valuta e compara gli elementi vecchi e nuovi dell’ascolto e li immagazzina; attorno ad essi
– veri e propri punti di riferimento del percorso musicale – chi ascolta costruisce la rappresentazione
della forma musicale e il suo decorso temporale. Date queste premesse, in una situazione didattica sarà
basilare che il docente indirizzi lo studente ad individuare almeno qualcuno di questi indizi – per
l’appunto un elemento di particolare spicco, o frequentemente ripetuto – attorno al quale organizzare
l’ascolto: ciò consentirà di attivare processi cognitivi di primo e secondo livello, di penetrare nella
struttura musicale, di costruire la conoscenza.
Uno strumento essenziale per la costruzione della conoscenza è il linguaggio: intendo il linguag-
gio verbale adottato per descrivere i processi musicali. Se è vero che l’insegnamento è utile sia quando
svolge funzione di consolidamento delle conoscenze, sia quando si colloca oltre il livello di “sviluppo
attuale” del discente, andranno organizzate attentamente pratiche discorsive che inducano alla consa-
pevolezza e al controllo volontario della conoscenza: in campo musicale, bisogna imparare a verbalizzare
la musica. La verbalizzazione dà forma al sapere che si costruisce, lo consolida, e consente di ricostru-
ire retrospettivamente il percorso mediante il quale a quel sapere si è giunti. (È un punto, questo, in cui
l’Educazione musicale si lega strettamente all’Educazione linguistica.) Ai fini della verbalizzazione, i
prerequisiti dei discenti – siano essi bambini o studenti universitari – vanno tenuti in gran conto; ma
l’obiettivo al quale mirare dev’essere l’acquisizione di un linguaggio che colga con esattezza i tratti
della musica. Tale linguaggio non può essere esclusivamente tecnico, ma deve ricorrere a concetti,
——————
24
Cfr. Y. Chevallard - M.-A. Johsua, La transposition didactique: du savoir savant au savoir enseigné, Grenoble, la
Pensée Sauvage, 1985.
25
Ho sintetizzato gli elementi chiave della teoria di Irène Deliège nel mio lavoro La casa del Mugnaio. Ascolto e
interpretazione della “Schöne Müllerin”, Firenze, Olschki, 2003, in particolare pp. 28-33 e 62-64, con ampi riferimenti
alle sue numerose pubblicazioni, a cominciare da I. Deliège, L’organisation psychologique de l’écoute de la musique.
Des marques de sédimentation – indice et empreinte – dans la représentation mentale de l’œuvre, diss. Université de
Liège, 1990/91.
aggettivazioni, giri di frase che si lascino riferire anche ad ambiti diversi da quello musicale: ad esem-
pio, l’ambito retorico-letterario, quello psicologico, quello scientifico, eccetera. Ne risulterà un lessi-
co tecnico e connotativo insieme, basato da un lato su termini musicali tecnici (croma, sforzando,
ecc.), dall’altro su qualità riferibili all’esperienza sensoriale ed affettiva (dolce, chiaro, cupo, allegro,
malinconico, ecc.), ma anche – gradatamente – su concetti che condensano significati complessi (eroi-
co, epico, narrativo, ecc.). Questa costruzione della conoscenza attuata mediante strumenti linguistici
controllati e pertinenti si colloca agli antipodi di un certo tipo di didattica che in anni passati è andata
di moda nelle nostre scuole, una didattica fondata su un’abitudine irriflessa: chiedere agli studenti,
dopo l’ascolto, quali immagini, sentimenti, emozioni la musica abbia in loro suscitato (“cosa ti viene
in mente all’ascolto di questa musica?”). Attuato cum grano salis, tale procedimento può perfino
servire allo sviluppo della fantasia e delle capacità immaginative; ma applicato come procedura nor-
male può indurre gravi fraintendimenti. Assuefà infatti l’allievo ad una fruizione meramente proiettiva
dell’oggetto musicale e corrobora in lui l’idea che la musica abbia attinenza soltanto alla sfera del
personale, dell’immediato, dell’effimero. Tra l’altro, se la fruizione proiettiva può magari funzionare
su pezzi brevi, anzi brevissimi, risulta del tutto inadeguata per brani più impegnativi, quali una Sinfo-
nia, una Sonata, una Fuga, ossia per musiche complesse nel costrutto, di ampie dimensioni, elaborate
nel linguaggio tecnico, fatalmente condannate a restare fuori dalla portata dello studente, e dunque dal
suo bagaglio culturale. Una vera didattica dell’ascolto porterà invece pian piano gli allievi a cogliere
l’“oggetto musicale” in maniera “obbiettiva”, con una distanza critica che si nutre di conoscenza e
consapevolezza, senza che questo nulla tolga alla partecipazione emotiva, ed anzi esaltandola (così
come avviene per una poesia del Pascoli, per un canto della Divina Commedia, per un dipinto di
Tiziano, per un monologo di Shakespeare). Essa andrà anche organizzata in fasi. Perlomeno tre: l’orien-
tamento; l’ascolto vero e proprio; la rielaborazione. Nella prima si cercherà di stimolare l’interesse
con brevissimi cenni all’argomento e si orienterà l’attenzione su aspetti ben definiti del testo musicale.
Nella seconda si stimolerà l’alunno a collegare, comparare, verificare quel che sta ascoltando. Nella
terza si rielaborerà quanto si è ascoltato, si procederà ad una contestualizzazione ampia, si scopriranno
gli agganci interdisciplinari.
Mi sono riferita al linguaggio verbale, che è basilare per comprendere e costruire le conoscenze
musicali: ma ciò che si è ascoltato potrà essere ricodificato – e questo vale in particolare nella scuola
primaria – anche “teatralizzandolo” ed “eseguendolo” attraverso il gesto e il movimento, o il disegno. È
ovvio che anche qui non si procederà alla cieca, ma rapportandosi alla specificità di ogni disciplina –
disegno, teatro, educazione motoria, ginnastica ritmica, danza –, alle sue metodologie, alle sue tecniche.
La ricerca sulla formazione musicale degli insegnanti della scuola primaria nella Facoltà di
Scienze della Formazione di Bologna
Anna Rita Addessi*
La ricerca sulla formazione degli insegnanti di musica, in Italia come all’estero, è andata di pari passo
con l’evoluzione della ricerca sull’educazione musicale e fino a pochi anni fa i due campi non erano
sempre ben distinti. Negli ultimi decenni si sono sviluppati, soprattutto all’estero, degli studi specifici
sulla formazione e professionalizzazione degli insegnanti di musica, di ogni ordine e grado scolastico.26
Nella mia comunicazione presenterò le attività di ricerca sulla formazione che svolgiamo, nell’am-
bito musicale, nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna.
Tali attività si inseriscono in un contesto coordinato e complesso, unico in Italia, che vede la musica
presente in tutti i corsi di laurea della Facoltà: non solo quindi in Scienze della Formazione primaria, il
corso di laurea che prepara gli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria, ma anche nei corsi di
laurea dell’Area dell’Extra-scuola e nel corso di laurea in Educatore di Nido e Comunità infantile.
Uno dei principali filoni di ricerca condotti riguarda la formazione dei futuri insegnanti della
scuola dell’infanzia e della scuola primaria: le attività finora svolte stanno confluendo in un network
europeo coordinato dall’Università di Göteborg e ad esse sarà dedicato questo articolo. Un altro filone
di ricerca riguarda la formazione degli educatori di nido e l’educazione al sonoro nella prima infanzia:
in questo settore è nato il Gruppo di Ricerca sull’Educazione al Sonoro, dalla collaborazione tra il
corso di laurea in Educatore di nido e l’Unità ZeroSei del Settore Istruzione del Comune di Bologna.
Il gruppo è composto da esperti di educazione musicale, educatrici di nido e studentesse universitarie
ed ha come obiettivo la costruzione di un dialogo tra il mondo accademico e la realtà del nido, per
migliorare la formazione dei nuovi educatori e per valorizzare la ricerca in ambito musicale.27 Infine il
terzo filone di ricerca riguarda la musica e i bambini: un progetto sulle nuove tecnologie e l’educazio-
ne musicale è in corso di realizzazione in collaborazione con SONY-Computer Science Laboratory di
Parigi, che vede la sperimentazione di un particolare sistema musicale interattivo, il Continuator, con
bambini di 3/10 anni.
In questo articolo verranno presentate le attività di ricerca sui futuri insegnanti della scuola dell’in-
fanzia e della scuola primaria, relative in particolare alle seguenti tre problematiche: il profilo profes-
sionale dell’insegnante, il curricolo universitario e il sapere musicale degli studenti/insegnanti.
All’interno di una prospettiva che vede nel sapere, saper essere, saper fare e saper far sapere i binari
principali dell’agire pedagogico, il documento era diviso in due parti: una parte riguardava le discipli-
ne delle scienze dell’educazione (antropologia, pedagogia, psicologia, sociologia), un’altra parte, in-
vece, le discipline specifiche, tra cui l’educazione musicale. L’obiettivo era quello di presentare non
un quadro di saperi frammentati, ma i contributi, anche divergenti e flessibili, che ciascuna disciplina
poteva dare all’educazione del bambino.
Per l’ambito disciplinare abbiamo riadattato, apportando alcuni aggiustamenti, il modello ISFOL
di classificazione delle competenze,29 individuando tre macrocategorie:
- competenze di base, e cioè le conoscenze e le abilità relative al sapere disciplinare
- competenze tecnico-professionali, relative al ruolo professionale e quindi all’insegnamento della
disciplina
- competenze trasversali, riguardanti il comportamento lavorativo dell’insegnante; in particolare ab-
biamo considerato la capacità dell’insegnante di mettersi in relazione con gli altri soggetti professionali.
• Saper capire, e cioè interpretare e analizzare oggetti sonori e musicali, mettendo in relazione i
significati, le funzioni, i contesti, con le strutture musicali. Saper interpretare brani musicali con altri
linguaggi: gestuale-motorio e grafico-pittorico.
• Saper produrre: eseguire, inventare, improvvisare semplici sequenze o brani musicali, con la
voce, il corpo, gli oggetti, gli strumenti, le nuove tecnologie, da soli e in gruppo.
• Saper percepire, e cioè riconoscere, confrontare, classificare: le fonti, le qualità dei suoni le
organizzazioni melodiche, ritmiche, timbriche armoniche, formali, ecc.
• Conoscere differenti repertori musicali: della tradizione colta occidentale, musiche d’intratteni-
mento, musiche etniche europee ed extraeuropee, musiche “popular”, musiche d’avanguardia e speri-
mentali, ecc.
• Conoscere alcuni aspetti della propria identità ed esperienza musicale: (saperi e abilità) attraverso
riflessioni sulle proprie esperienze musicali, vissute dall’infanzia fino all’adolescenza e nell’età attuale.
• Conoscere alcuni aspetti storici, antropologici ed epistemologici del linguaggio musicale: dove,
come quando, perché, sono state composte alcune musiche, con quali significati, funzioni, ruoli, strumenti.
• Conoscere gli elementi principali dello sviluppo psicologico musicale del bambino, da un punto
di vista cognitivo, affettivo e di interazione.
• Conoscere gli elementi principali di pedagogia e della didattica musicale ed essere capaci di
programmare/progettare percorsi di educazione al suono e alla musica e di utilizzare alcuni approcci
metodologici disciplinari.
• Conoscere e saper utilizzare alcuni strumenti della didattica interdisciplinare. Stimolare le com-
petenze che lo studente ha già negli altri campi disciplinari, e in quello delle scienze dell’educazione,
per sfruttarle anche nel campo musicale è una strategia vincente all’interno di un corso di laurea dove
gli studenti non sono musicisti: quindi musica e movimento, musica e arte, musica e storia, musica e
acustica, musica e scienza, ecc.
2. Il curricolo
La bozza del profilo professionale illustrato, è così realizzato nel curricolo dell’attuale corso di
quattro anni.
2.2. Laboratori
Oltre ai due corsi teorici, ogni studente ha l’obbligo di partecipare ad un laboratorio di musica, di
sedici ore. I laboratori rappresentano una novità per le università italiane e una ricchezza inestimabile
per la formazione degli studenti, soprattutto per alcune discipline come la musica, poiché rappresenta-
no gli unici spazi nei quali il sapere e il saper fare possono svilupparsi in maniera complementare.
——————
31
Bibliografia d’esame: Baroni M. , L’orecchio intelligente. Guida all’ascolto di musiche familiari. Lucca, LIM, 2004.
32
I testi utilizzati sono: IMBERTY M., ”Il ruolo della voce materna nello sviluppo musicale del bambino”, Musica
Domani, 2000, XXX/114, pp. 4-10; BARONI M., Suoni e significati. Musica e attività espressive nella scuola, EDT,
Torino, 1997; FRAPAT M., L’invenzione musicale nella scuola dell’infanzia, Junior, Bergamo, 1994. TAFURI J., Educazione
musicale. Teorie, metodi, pratiche, EDT, Torino 1995; Addessi 2005, op.cit.; Mazzoli, F. (cur) Musica per gioco. Torino:
EDT, 1997; Id. C’era una volta un re, un mi, un fa...Nuovi ambienti per l’apprendimento musicale. Torino: EDT, 2001.
Tutti i laboratori sono coordinati da una Commissione composta da docenti e supervisori, che ne
assicura la qualità da un punto di vista disciplinare, all’interno di un progetto pedagogico generale. Per
la realizzazione dei laboratori di musica la Facoltà ha creato durante il corso degli anni una ricca rete
di relazioni professionali, avvalendosi di esperti di pedagogia musicale, i cui nomi vorrei brevemente
citare: Angela Cattelan (docente di Pedagogia musicale in Conservatorio), Franca Mazzoli (pedagogista,
Bologna), Johannella Tafuri (docente di Pedagogia musicale in Conservatorio), Donatella Villa (do-
cente di Propedeutica Musicale, Scuola di Musica “Baroncini”, Imola), e Marina Maffioli (Docente di
Danza educativa, Mousiké, Bologna). I laboratori di musica rappresentano una delle attività più inte-
ressanti per la ricchezza di proposte e il carattere operativo e sperimentale, e sono stati presentati e
discussi in convegni nazionali e internazionali.33
2a 2b
——————
33
Vedi Maffioli M. “Il laboratorio come spazio di formazione tra scuola e università”, in questo volume; Addessi
A.R., Maffioli M. (2002). Segmentation et analyse dans l’éducation à la créativité musicale et motrice. In M. Britta & M.
Mélen (a cura di), Musical Creativity. ESCOM, 10th Anniversry Conference. Proceedings, Université de Liège (in it.:
Musica Domani, XXXIV, n. 124, pp. 7-13).
34
Gastaldelli, R. et al., La musica mediatrice di dimensioni educative. In Biasutti M. (a cura di), International
Symposium Psychology and Music Education. Proceedings. Università di Padova, Italy, 29-30 November 2004 (in
corso di stampa su Musica Domani, 2006).
35
Frabboni, F. , Manuale di didattica generale, Laterza, Bari, 1997.
36
Carlotti S., et al., Suonare con il Continuator è un’”esperienza ottimale”?. In Biasutti M. (a cura di), International
Symposium Psychology and Music Education. Proceedings. Università di Padova, Italy, 29-30 November 2004.
2c 2d
Fig. 1: Formazione alla ricerca: gli studenti di Scienze della Formazione primaria osservano i bambini suonare
(Progetto DiaMuse: Interazioni tra bambini e una macchina musicale, in Carlotti et al. 2004).
differenti gruppi di studenti. Presenterò sinteticamente e a titolo di esempio alcuni risultati ottenuti sul
concetto di “bambino musicale”, che illustrano la complessità dell’argomento e la molteplicità dei
saperi impliciti posseduti dagli studenti.
Le radici della vita italiana alla didattica musicale: la proposta di Rosa Agazzi
Battista Quinto Borghi
Un modello dimenticato
Oggi il ‘Metodo Agazzi’ per la scuola dell’infanzia appare distante, obsoleto, pressoché dimenti-
cato, più il frutto di un retaggio del passato che un’opportunità utile per la scuola di oggi. La lezione
agazziana ci appare un lontano ricordo che tendiamo a localizzare in una ristretta area geografica del
nostro paese ed in un contesto culturale circoscritto. Eppure, basta volgere lo sguardo indietro di una
generazione di insegnanti per richiamare un ricordo vivo ed un’esperienza densa.
Attualmente, sul piano istituzionale ed ‘ufficiale’ esiste una sola scuola dell’infanzia ad indirizzo
agazziano41 , ma il modello messo a punto da Rosa Agazzi ha influenzato fortemente le teorie e le
pratiche dei servizi per l’infanzia per oltre mezzo secolo nella prima metà del Novecento. Ed anche la
particolare proposta agazziana per quanto riguarda l’educazione musicale dei piccolissimi ha avuto
un’influenza tutt’altro che marginale e tutt’altro che effimera nel panorama educativo italiano che ha
coinvolto diverse generazioni di bambini per circa un settantennio.
Per diversi decenni, generazioni di maestri, attraverso la frequenza della scuola magistrale hanno
frequentato le lezioni di canto previste dai programmi e l’educazione musicale per molto tempo è stata
intesa come una componente essenziale della didattica che i futuri maestri avrebbero dovuto svolgere
nel loro lavoro educativo nei confronti dei loro alunni.
Non mancano critiche a tutto questo. Molti autori sono convinti che l’educazione musicale era
fatta male e che gli stessi programmi dei Conservatori (che formavano a loro volta gli insegnanti di
musica) facevano acqua da tutte le parti. Tutto questo è vero: rimane il fatto che, comunque, in passato
qualcosa si faceva, l’educazione musicale, pur con innumerevoli limiti era una pratica diffusa. Ora
invece nella scuola comune semplicemente non esiste più.
Oggi molte ‘chincaglierie’ educative agazziane sono dimenticate anche perché completamente
assorbite dalla pratica quotidiana della scuola dell’infanzia: ne fanno talmente parte da non essere più
visibili. Sono divenute trasparenti a se stesse, non più percepibili. Basti pensare ai principi connessi
con la concettualizzazione della lingua per dimenticare gli insegnamenti a proposito di ‘lingua parlata’
di Rosa Agazzi. Oppure il gioco con le ‘cianfrusaglie’ che si trovavano nelle tasche dei bambini viene
oggi trasferito alla scoperta dell’ambiente circostante e ad alcuni campi di esperienza più di altri.
Se la pedagogia agazziana tradizionale è oggi sostanzialmente dimenticata, non solo per i profondi
cambiamenti culturali avvenuti nel corso di un secolo ma anche perché alcuni suoi valori sono stati
profondamente assimilati e sono nel tempo venuti a costituire una sorta di substrato muto di una prassi
educativa costante, non così è avvenuto a proposito del modello di educazione musicale messo a punto
da Rosa Agazzi.
——————
41
Si tratta della scuola comunale dell’infanzia “Sorelle Agazzi” e della sede staccata “Agazzi-Valotti” di Brescia.
essenzialmente come un oggetto di consumo. Ed al mercato anche i bambini appaiono come un inte-
ressante segmento nella diversificata gamma dei consumatori più o meno consapevoli.
Nella pratica diffusa, anche quando è lastricata delle migliori intenzioni, la musica nella scuola
dell’infanzia non riveste nulla di più di una funzione di sfondo. L’immagine utilizzata da Eric Satie,
per altro quasi contemporaneo di Rosa Agazzi, di ‘musica d’arredamento’ appare quanto mai indovi-
nata ed attuale. La musica è percepita insomma come un oggetto dallo scopo immediatamente
utilitaristico, ossia da consumarsi a piacere e, conseguentemente, la sua produzione vede luoghi depu-
tati ad hoc, centri specializzati.
Tutto questo è molto lontano dall’idea diffusa che ha percorso tutto l’Ottocento e parte del Nove-
cento secondo cui la musica era un oggetto a cui tutti avevano – pur a titolo e con condizioni diverse
– accesso. Da qui la concezione ‘popolare’ (e ‘vocale’) di gran parte della produzione dell’Ottocento
italiano che ha influenzato anche i grandi come ad esempio, per limitarci ad una sola citazione, Giu-
seppe Verdi.
Il terreno di coltura
Per comprendere la relativa fortuna di cui la proposta di Rosa Agazzi, pur nella sua relativa sempli-
cità, ha goduto, occorre volgere uno sguardo indietro.
“Col permesso del signor Zio, io fui avviata allo studio del pianoforte. Contavo allora sette anni.
L’impegno che il maestro poneva nell’insegnarmi era pari alla passione mia nell’apprendere42 ”. Il
signor zio era monsignore e reggeva la parrocchia di Guastalla. La sua dichiarata propensione mazziniana
gli aveva pure creato qualche problema. Rosa Agazzi ancora bambina avrà la possibilità di sedersi
all’organo della chiesa e, come era abbastanza normale in quel tempo, una tastiera è sempre una
tastiera: non si facevano distinzioni troppo sottili fra pianoforte ed organo.
Rosa stessa ama ricordare un episodio della sua infanzia.
“Una volta che l’Arciprete era partito per Guastalla … l’organista espresse a mia madre il deside-
rio di sentirmi eseguire sull’organo una graziosa pastorale che avevo allora allora imparata. Se la
prova fosse riuscita, che gradita sorpresa per il signor Zio! … Dopo la non perfetta esecuzione della
pastorale, il buon uomo ebbe la cattiva idea di esercitarmi in un repertorio in cui mi sentivo più
sicura. Allora è avvenuto … che nella volta della chiesa le mie minuscole mani diffondessero le dolenti
note dell’addio della Traviata. Quando il signor Zio venne a conoscenza del mio infantile concerto nella
casa del Signore, lo disapprovò. Ma disapprovò più il programma che l’intenzione del promotore”43 .
L’episodio citato ci offre non poche informazioni sulla sensibilità musicale dell’epoca. È noto
come, in quel periodo, il melodramma coincidesse essenzialmente con la musica tout court e come
l’opera godesse di una vastissima fama anche popolare. I compositori (e Verdi in particolare) si
avvalevano per le loro composizioni di melodie che si stampassero facilmente nella memoria di tutti,
compresi i più umili. Mai come in quel periodo la musica cosiddetta ‘colta’ era vicina, se non addirit-
tura si identificava, con la musica di consumo (o popolare). L’una prendeva spunti dall’altra ed ognuna
era riferimento costante per l’altra.
Non deve sorprendere perciò se una melodia d’opera fosse suonata in chiesa. Non va dimenticato
che molti compositori (non si tratta, per altro, di un caso solamente italiano, né circoscrivibile esclusi-
vamente a quel periodo) fossero organisti di chiesa o, per lo meno, si fossero in gioventù ripetutamente
seduti sulla panca dell’organo. E, si sa, mai come allora l’organo rappresentava lo strumento dei pove-
ri, costituiva per molti l’unica possibilità per ascoltare musica. E gli organi erano straordinariamente
diffusi in ogni chiesa, dalle solenni cattedrali delle grandi città, fino alle modeste parrocchie rurali. Si
tratta di una tradizione vecchia di secoli che trae origine – nei territori in cui è vissuta Rosa Agazzi –
dagli Antegnati e dai Facchetti per arrivare fino allo splendore dei Serassi. Avviene così che il melo-
dramma ispira la musica per organo e, contemporaneamente, i costruttori d’organo si impegnano in
——————
42
Rosa Agazzi, Francesco Maria Zapparoli, sacerdote e patriota, Milano, 1940, p.32. Si tratta di don Francesco
Maria Zapparoli, zio di parte materna di Rosa e Carolina. Il marito della sorella di don Zapparoli, Ormisda Spedini è il
padre di Angela Spedini, a sua volta madre di Carlo, Rosa e Carolina Agazzi.
43
Rosa Agazzi, Francesco Maria Zapparoli, cit., p. 32.
sonorità brillanti e poderose (caratterizzate soprattutto dalle ance) che a loro volta influenzano, in
certa misura, il melodramma stesso.
Un ulteriore elemento che occorre non dimenticare riguarda la tradizione delle bande cittadine. Le
bande costituivano il versante laico (e quindi ancor più popolare) dei consumi della musica della gente
comune. Non va dimenticato che c’era una banda in ogni paese; in ogni paese c’era quindi anche un
maestro che insegnava musica. E spesso era una personalità, godeva di un riconoscimento sociale
importante. Si trattava, forse, di musiche non sublimi per le raffinate orecchie dei dotti, ma erano pur
sempre musiche che finivano per formare e forgiare l’identità di gruppi appartenenti ad una determi-
nata realtà territoriale. La musica, insomma, come segno di appartenenza, come marcatore sociale e
culturale.
È anche per questo motivo che organo, banda, canto corale e melodramma camminano insieme e
percorrono la stessa strada. Ed è per la medesima ragione che il confronto tardo romantico fra Verdi e
Wagner non ha nessuna ragione d’essere, né sul piano culturale, né su quello storico.
Non crediamo che mancasse cioè un’aggregazione culturale e stilistica o si manifestasse in ritardo
rispetto alla musica d’Oltralpe, né che la produzione musicale di casa nostra si soffermasse troppo
provincialmente su scoperte tardive e su valori altrove già superati44. L’idea culturale che ha caratteriz-
zato il nostro Ottocento era proprio quello di essere vicino al popolo, di farsi riconoscere, di richiama-
re temi, sonorità e ritmi popolari. Si tratta di uno statuto estetico molto lontano rispetto al contesto
culturale che ha generato prima Betthoven e poi via via Schubert, Chopin, Schumann e Liszt. È qual-
cosa di diverso, non di inferiore: è semplicemente un’altra strada.
È sul terreno della concezione popolare ed identitaria della musica che si muove Rosa Agazzi.
Sul piano del metodo, l’assunto che accompagna l’intera proposta della didattica musicale agazziana
si muove alla luce di alcuni assunti fra loro reciprocamente complementari. Rosa richiama, anche in
quest’ambito, il bambino laborioso: il canto richiede dedizione e impegno, e il bambino è in grado di
apprendere solamente attraverso l’acquisizione puntuale e progressiva di un complesso di regole non
immediatamente accessibili alle sue capacità di comprensione. Non basta la buona volontà ed è inef-
ficace ogni tentazione spontaneistica. Per avvalorare questa convinzione, Rosa non esita ad utilizzare
la parola “metodo”, inteso come un sistema di regole che è indispensabile acquisire gradualmente.
La prima regola è di superare la stanchezza e la noia che una situazione di esercizio può creare. “È
assolutamente necessario che l’esercizio del cantare venga accolto dai fanciulli con espressione di
contentezza”50. In altre parole, è importante che il bambino sia motivato, che sia condotto ad apprezza-
re il canto e che tale pratica sia per lui un’occasione di soddisfazione e di godimento.
I punti focali sui quali Rosa Agazzi si muove sono essenzialmente l’educazione all’orecchio e
l’educazione alla voce.
L’orecchio
Per quanto riguarda il primo aspetto, secondo l’Agazzi, l’educazione all’udito51 deve essere messo
in atto, nel giardino d’infanzia, attraverso:
• l’ascolto sistematico di suoni proposti in forma sia diacronica (si tratta di essere in grado di
ascoltare melodie e riguarda la capacità di cogliere tanto il variare delle altezze quanto la dimensione
ritmica) sia sincronica (è la capacità di ascoltare suoni armonici, cioè di cogliere differenze fra più
suoni uditi simultaneamente)52;
• il coinvolgimento, nell’ascolto, sia dei bambini intonati sia di quelli stonati: in altre parole, chi ha
l’orecchio più disorientato e incerto avrà l’opportunità di migliorarsi e di imparare prestando attenzio-
ne agli altri53;
• l’utilizzo, in occasione di attività educative non musicali, della musica come sfondo. Ad esempio
durante certe occupazioni manuali non particolarmente impegnative, l’educatrice può mettersi a can-
tare ed a suonare ed accadrà che molti bambini interromperanno il loro lavoro perché verranno attratti
dai suoni;
• l’ascolto ha lo scopo di favorire la ‘memoria musicale’: dall’udito si passa alla memoria e l’espe-
rienza di un orecchio allenato all’ascolto porta alla capacità di ricordare e di avere sicurezza sia nel-
l’intonazione sia nella pratica degli intervalli. Sarà opportuno, a questo proposito, partire da brevi
gruppi melodici che potranno essere formati da una o poche parole (cantate)54;
• l’ascolto ha lo scopo di aiutare il bambino nella comprensione (e nell’attuazione pratica) dei toni
e degli intervalli fra i suoni. Attraverso l’ascolto e la pratica costante del canto, nel rispetto delle regole
musicali, il bambino dovrà progressivamente maturare una memoria musicale finalizzata all’affina-
mento del gusto.
La voce
Possiamo sintetizzare la proposta metodologica e didattica dell’Agazzi nei seguenti punti55.
• Cantare con il corpo: per potere cantare bene occorre, innanzi tutto, conquistare progressiva-
mente il controllo della respirazione e questo rappresenta una tappa fondamentale del controllo gene-
rale. Occorre una buona ‘armonia’ fra il ritmo respiratorio ed il brano che si deve cantare. In questo
——————
50
Agazzi R., L’abbicì, cit. p. 34.
51
Battista Q. Borghi, Coro di bimbi a Mompiano, cit.
52
Queste cose devono inoltre stare insieme: vi è “chi sa prendere esattamente colla voce qualunque nota in questo
o in quel dato punto della scala e non lo sa poi cogliere diatonicamente; v’ha chi per intonare ha bisogno di cantare
insieme agli altri e chi invece, nel coro, perde la bussola”. R. Agazzi, L’Abbicì, cit., pp. 40-41.
53
Rosa Agazzi non esclude, a questo proposito, l’opportunità di formare due gruppi (gli intonati e gli stonati).
Attenzione però: se vuole, i due gruppi possono essere formati ‘nella mente’ dell’educatrice. L’Abbicì, cit., pp. 45.
54
R. Agazzi, L’Abbicì, cit., pp. 48-49.
55
Battista Q. Borghi, Coro di bimbi a Mompiano, cit.
senso, l’inspirazione deve sempre essere abbondante e calma e l’espirazione misurata. E, da questo
punto di vista, il primo - e immediato - modo di educare la voce rimanda ad una buona educazione fisica.
• La dizione. È un’ottima propedeutica all’utilizzo estetico della voce. La voce, poi, deve essere
come uno strumento perfettamente accordato: è necessaria una voce sempre perfettamente intonata e
‘soave’ (cioè controllata, gradevole e dolce come frutto di un’accurata e paziente educazione).
• La qualità della voce. A volte può trattarsi di un dono naturale, tutti però hanno il dovere di
coltivarla ed esercitarla. La grammatica della qualità della voce umana, su cui effettuare un esercizio
accurato e costante56 , oltre ad una qualità complessiva della vita. Il canto corale educativo, che non ha
nulla a che fare con il canto ‘artistico’ (cioè il cantante d’Opera) che invece tende a forzare la voce, si
muove proprio sull’opposto: sulla leggerezza costante della voce e sulla neutralizzazione delle vocali.
In altre parole, la posizione sempre controllata della bocca, il controllo delle accentazioni, il contenimento
complessivo ottenuto attraverso la ‘rotondità’ della voce costituiscono gli ingredienti necessari del
colore della voce al di fuori di ogni sguaiatezza. Il canto corale educativo consiste, in ultima analisi, in
una forma del controllo di sé.
• Un altro aspetto importante riguarda l’estensione della voce. L’Agazzi padroneggia molto bene i
problemi tecnici connessi. In linea con la tradizione e la manualistica del tempo, ritiene si possano
rintracciare, nei bambini e nelle bambine, due tipi di voce: quella del soprano o quella del contralto.
• Rosa Agazzi attribuisce infine un ruolo del tutto particolare alla scala diatonica di modo maggio-
re. Il bambino è invitato a muoversi con scioltezza nei salti di intervallo più frequenti: di seconda
(ascendente e discendente), poi di terza, di quarta e così via.
Su questa falsariga, la proposta di didattica musicale di Rosa Agazzi ha retto per parecchi decenni
ed ha rappresentato per diverse generazioni di bambini e di insegnanti un punto fermo. Nel bene e nel
male; nei pregi come nei limiti.
E oggi?
A distanza di un secolo, la proposta di Rosa Agazzi non appare, almeno dal punto di vista delle
strategie didattiche, particolarmente innovativa. Riletta oggi mostra anzi i segni di un tempo che è
definitivamente tramontato. Ugualmente vale la pena di interrogarci sulle ragioni di un relativo suc-
cesso, ragioni quanto mai preziose se consideriamo che, oggi, l’educazione musicale è praticamente
del tutto scomparsa dalla scuola, sia primaria che dei gradi successivi. Di fronte al vuoto di oggi, le
esperienze passate rappresentano un interessante punto di riferimento.
Quali sono le ragioni per le quali la proposta agazziana è da considerarsi definitivamente tramon-
tata? Che cosa possiamo trarre, nella prospettiva di una possibile educazione musicale del nostro
tempo, dall’esperienza del modello agazziano?
In sé, la tecnica di educazione alla voce rimane più o meno la stessa: il primo approccio al canto
corale non è molto diverso nemmeno oggi, gli esercizi preliminari rimangono gli stessi. Rosa Agazzi
non ha fatto altro che accogliere una prassi già consolidata ai suoi tempi.
Ai suoi tempi però la musica (ed il canto) faceva parte di una tradizione consolidato, costituiva la
cultura del tempo. La musica era, almeno da noi, in generale, musica popolare, fatte ovviamente le
dovute eccezioni. La produzione musicale (di natura popolare) rappresentava una prassi relativamente
consolidata. La musica si era, insomma, in qualche modo, ‘abbassata’ per divenire accessibile a tutti,
per consentire a tutti di essere, a diversi livelli, protagonista. Non era avvertita, in altre parole, la
necessità di una produzione ‘dotta’, separata, rivolta a pochi addetti ai lavori. Un rappresentante illu-
stre di questa linea di tendenza è rappresentata da Felice Moretti, alias padre Davide da Bergamo.
Conosceva alla perfezione la tecnica di composizione di una fuga; era completamente padrone delle
vette dell’armonia del tempo. Il largo impiego della settima diminuita ha qualcosa di simile all’impie-
go che ne faceva Verdi (anche se la genialità di quest’ultimo va ben oltre). Ugualmente, tutta la produ-
zione di Moretti rimane ‘popolareggiante’: come scelta e non come debolezza.
——————
56
R. Agazzi, L’Abbicì, cit., p. 23.
Non solo. La musica di carattere popolare era in grado di rappresentare sensazioni, sentimenti e
pensieri di un personaggio (rappresentato dal canto) o di un popolo (rappresentato dal coro) ed hanno
costituito un deposito di usi sociali e sentimenti collettivi che rappresentavano il substrato della cultu-
ra dell’epoca. Forse, mai come nel nostro Ottocento, il melodramma ha rappresentato per l’immagina-
rio collettivo, una metafora della condizione sociale e dei sentimenti sociali di una nazione che stava
nascendo e che, in seguito, si accingeva a muovere i primi passi. Mai come in quel periodo la musica
costituiva un marcatore di identità sociale.
Oggi siamo invece nell’epoca della globalizzazione. La musica, non più regionale, non costituisce
più il segno di appartenenza di una comunità locale. L’epoca attuale produce, semmai, musiche gene-
razionali (musiche per i bambini, per gli adolescenti, per i giovani, per coloro che giovani non sono
più): il senso di appartenenza si fa trasversale ed accompagna le età più che i luoghi. La musica è
pronta per essere consumata ed ognuno, appunto, consuma la propria musica. Inoltre, la produzione
della cosiddetta “musica colta” tende ad abbandonare sempre di più la gran massa, per rivolgersi a
pochi intimi. Sarà la nuova strada che, a parte un certo Puccini, caratterizzerà l’intero Novecento.
Non c’è più bisogno, inoltre, di produrre musica, perché la troviamo già pronta, in mille fogge e
mille forme, generalmente perfetta sul piano della riproduzione. Nell’età del mercato, siamo diventati,
insomma, degli esclusivi consumatori. La produzione è affidata alla tecnologia ed a pochi ‘eletti’ (che
a diventano ‘divi’), mentre noi siamo diventati più o meno raffinati consumatori.
In un intervento flash è possibile solo un piccolo assaggio di argomenti con cui confrontarsi.
Premessa
1. L’udito non è semplicemente un organo utile al funzionamento dell’organismo. Proprio come
gli occhi, è uno strumento di costruzione della realtà, dell’esperienza.
Uno psicologo della visione (Rudolph Arnheim) ha dedicato un’opera fondamentale (Il pensiero
visivo) per spiegare come tutto il nostro mondo interiore, anche il mondo degli schemi astratti, della
logica, della razionalità, si forma a partire dall’esperienza visiva che ci facciamo della realtà fin dai
primi giorni di vita. Ma questa è solo una mezza verità, e forse nemmeno mezza. Perché noi costruia-
mo il mondo (cioè gli diamo una struttura, gli diamo un senso) anche con gli altri sensi. E l’udito è
nevralgico. Si pensi solo al ruolo basilare che la percezione uditiva gioca nella strutturazione dei nessi
spaziali e temporali compiuta dal bambino fin dal primo anno di vita. Dai livelli elementari della
prima infanzia, a quelli avanzati delle più complesse creazioni artistiche, agisce in altri termini un
pensiero uditivo, non riducibile ad altri pensieri, non surrogabile da altri sistemi simbolici.
2. I ricercatori della Programmazione Neurolinguistica, la disciplina che studia i canali sensoriali
con i quali ci mettiamo in comunicazione con gli altri, hanno documentato come la grande maggioranza
delle persone privilegia il canale visivo; quello uditivo viene sempre più emarginato. Risultato, che
meriterebbe ricerche sperimentali: perdita di “umanità”. Perdita per esempio della capacità di ascoltare.
Lo sa la maestra, o un genitore, come è difficile farsi ascoltare... Perdite sul piano cognitivo, ma anche su
quello affettivo. L’atrofizzazione delle risorse audiopercettive crea una persona dimezzata, mutilata.
3. La padronanza di una funzione vitale come la vista o l’audizione, passa per una concettualizzazione
e per una verbalizzazione. Il bimbo di tre anni sa cosa sono rosso e giallo, quadrato e rotondo, opaco
e trasparente e così via; e sa che rosso appartiene alla stessa categoria concettuale di giallo; quadrato a
un’altra; opaco a un’altra ancora. A dieci anni possiede concetti ancora più sofisticati, come acuto e
ottuso, retta e curva, verticale e orizzontale e obliquo e così via...
Ora confrontiamo il possesso dei concetti riferiti alla visione con quelli riferiti all’audizione, nel
bambino medio. Scopriamo che quest’ultimo si trova collocato a un livello sorprendentemente più
rudimentale. E non solo a tre anni. Anche a trenta. Un solo esempio, che mi capita normalmente
lavorando con adulti: non solo succede facilmente che uno non sappia riconoscere qual è il più alto di
due suoni; ma facilmente confonde alto con forte; oppure forte con veloce. Sarebbe come se uno
dicesse: questo non è giallo, è rotondo; come se sul terreno visivo uno confondesse colore con forma,
o forma con spazio.
4. Chiudo la premessa. Se vogliamo educare un bambino intero, non mutilato, dobbiamo recupera-
re la dimensione repressa; dobbiamo sviluppare la sua capacità di vivere ai massimi livelli possibili
l’esperienza sonora, nelle sue dimensioni cognitive e affettive. Visto il titolo assegnato a questo inter-
vento (“Grammatica della musica”) continuo concentrandomi sulle prime (che naturalmente non sono
più importanti delle seconde; e che non possono svilupparsi che in stretta connessione con le seconde,
quelle affettive).
Primo scenario
Responsabilità dell’educatore, del genitore, dell’insegnante. Ma anche del sistema che ha formato
l’insegnante. Dunque è chiamata in causa la metodologia didattica. Un sistema didattico ha una forza
inerziale che si protrae anche quando il mondo intorno è cambiato da decenni e decenni.
Il modo di insegnare la grammatica musicale, e il suo braccio scritto, la notazione, trova una
sistemazione nelle leggi ministeriali degli anni Venti e Trenta, dalla riforma Gentile del 1923 che
investiva la scuola dall’elementare al magistrale, all’istituzione del corso di conservatorio per la for-
mazione degli insegnanti, una dozzina d’anni dopo. Una sistemazione: vuol dire che si era fissato
nell’Ottocento. Guardiamo i contenuti: un mucchietto di aride nozioncine teoriche, rallegrate dalla
pratica settimanale del solfeggio parlato e dal canto delle glorie patriottiche. A fare la parte del leone,
il solfeggio parlato. Sentite cosa raccomanda nel 1926 un autorevole didatta:
“Non è forse logico [...] che gli alunni, cui la natura negò di poter acquistare le [...] qualità foniche,
possano aprire la mente alla conoscenza della grafia dei suoni, dei valori, dei ritmi e degli accenti ed
acquistarne la relativa pratica almeno col solfeggio parlato?”
Capite la stortura: la lettura delle note, che non è altro che un sussidio per la pratica, diventa lo
scopo primario, totalmente sganciato dalla pratica. Anzi, ai bambini che hanno problemi d’intonazio-
ne si proibisca il canto. Questa la logica di quel tempo; e la prassi diffusa.
Chi scriveva quelle cose, Michele Pachner, era il responsabile della formazione musicale delle
maestre nella città di Torino. Personaggi come lui si formano in conservatorio. Dal conservatorio alla
scuola elementare, la musica passava per le forche caudine del magistrale. La lettura dei programmi
dovrebbe essere vietata alle anime delicate. Sono stati in vigore fino a poco fa: una sola perla del
diadema: si forniscano agli allievi “cenni sulle musiche dei paesi civili”. Programmi non scritti al tempo
delle leggi razziali, ma nel 1945, firmatario Arangio Ruiz, Ministro della repubblica post-fascista.
Altro che “giocare a improvvisare”, come ho sentito dire, ed è affascinante sentirlo, nel corso del
convegno. Sentite Ildebrando Pizzetti, il deus ex machina delle riforme musicali degli anni Trenta:
sono contento che “l’aria vibrata che ha continuato senza posa a temprare le coscienze di noi italiani
abbia spazzato via del tutto quei concetti - non so se più miserabili o più spregevoli - di musica gioco,
musica passatempo, musica divertimento”.
Flash-back. Il solfeggio in origine non era il feroce guardiano che ci protegge dal rischio di pen-
sare che la musica sia gioco, passatempo, divertimento (aggiungiamo: diletto, amore; aggiungiamolo,
perché la mentalità che ancora vive nelle scuole musicali è che il dilettante e l’amatore siano esseri
spregevoli, da bandire dall’arengo delle persone serie). Il solfeggio era ed è un semplice, efficace
strumento concettuale per chiamare i suoni, per chiamarli correttamente, col loro nome, correttamente
scriverli quando si ascoltano; e per farli venire alla mente, all’udito, quando si nominano (come viene
alla mente un certo colore se dico rosso), e dunque trasferirli dall’udito alla voce.
Così è stato vissuto fino all’inizio dell’Ottocento.
Chi a quel tempo studiava musica mica partiva dalla notazione, partiva dalla pratica, con la voce e
con uno strumento. Sentiamo un maestro, François Couperin (1716): “Si dovrebbe iniziare a insegnare la
notazione ai bambini solo dopo che questi hanno un numero di pezzi nelle dita. È pressoché impossibile
che mentre stanno cercando le note, le dita non vadano fuori posizione, tentennino, o che gli abbellimenti
stessi non vengano falsati. Inoltre, imparando le cose a mente, viene sviluppata la memoria”.
Aggiungo fra parentesi che quando il bambino metteva le mani sullo strumento, una delle prime cose che
faceva era proprio giocare a improvvisare: “Per ben sapere la musica, non basta eseguirla, occorre comporla,
e l’una cosa deve andare insieme all’altra, senza di che non la si sa mai bene” (Jean-Jacques Rousseau, 1760).
Per ragioni che meriterebbero un film a parte, nel corso dell’Ottocento queste sane pratiche spari-
scono. Il solfeggio perde la sua funzione originaria e diventa uno scioglilingua, che arriva a spingersi
a livelli demenziali. È questa pratica che finisce nei programmi degli anni Venti e Trenta.
Erano tutti d’accordo? Macché. Sentite la Commissione Permanente insediata dal Ministro, 110
anni fa (ne facevano parte musicisti illustri, Tebaldini, Boito ecc.): “La Commissione ha deliberato
unanime di proporre a V.E. la soppressione delle scuole di solfeggio parlato, insegnamento inutile,
anzi dannoso, perché abitua l’allievo a considerare il segno musicale come una lettera morta, che non
ha la sua applicazione nel suono, e riduce la lettura della musica ad un’arida sillabazione e null’altro;
per modo che, quando l’allievo si trova obbligato ad interpretare fonicamente gli intervalli rappresen-
tati dalla notazione, s’incontra in una difficoltà nuovissima per lui e riconosce d’aver dedicato invano
il suo tempo ad un esercizio che non ha niente di razionale né di pratico”.
Apriti cielo. Ecco la reazione del Presidente del Conservatorio di Milano. Usa le stesse parole che
userà il buon Pachner che citavo prima:
“Il solfeggio cantato è riserbato ai soli iniziandi allo studio del canto... è per chi sia dotato di un po’
di voce, altrimenti davvero che esso - e non il solfeggio parlato - riuscirebbe un esercizio assolutamen-
te vano, dannoso alla lunga e laceratore degli orecchi anche meno ben costruiti!” Ottobre 1895.
Parlavo di forze inerziali. Queste pratiche continuano oggi. Inerziali per modo di dire: dicevo che
ancora oggi l’insegnante di musica si forma in conservatorio; e i programmi che regolano la vita dei
Conservatori sono ancora quelli del 1930...
Secondo scenario
Oggi sono in molti a suggerire percorsi alternativi efficaci per far sì che la grammatica e la notazio-
ne cessino di essere uno spauracchio e diventino invece una risorsa formativa:
1. recuperare la sempre saggia massima: derivare la grammatica dalla pratica. Pratica in musica
è prima di tutto la voce: la voce cantante ma anche la voce parlante; lo è la pratica strumentale, che sia
il violino o il flauto dolce, o il tamburello o gli oggetti che possono fare suono. Ma pratica è anche
ascolto, riflessione su quel che si ascolta. I concetti si fissano via via che servono a indirizzare e a
facilitare la pratica. Dai concetti derivano facilmente i segni... La routine ottocentesca invece ti dà
prima il segno (diesis), poi te ne dà un definizione da vocabolario (“segno che innalza la nota di un
semitono”), poi te lo fa praticare...
2. sostituire l’approccio aritmetico con un duplice approccio: percettivo e motorio. L’intero che
si divide in due minime, in quattro semiminime, in otto crome, è un’astrazione utile solo dopo che
questi segni vengono fuori “da sé” dalla pratica.
L’approccio percettivo è quello che immerge il bambino nella varietà di moduli musicali, di
cellule ritmiche, di cellule melodiche; gliele fa distinguere fra loro, gliele fa individuare; e a questo
punto gliele può anche far scrivere con la notazione tradizionale.
Un esempio. Un bambino di cinque anni, alle prime armi. Parto dalla pratica: la consapevolezza
del proprio battito cardiaco. Il cuore pulsa. La pulsazione è questa scansione costante che ogni bambi-
no scopre dentro di sé (portiamo la mano al collo). Le può contare. Le può riprodurre con la matita sul
banco. Tanti bambini insieme, ognuno su una superficie diversa. Registriamo il risultato e mettiamogli
il copyright: Cardiomusic.
Anche la musica è scandita da pulsazioni. Provo. Le possiamo contare. Accompagnare col battito
delle mani (come si fa sempre!). Ogni pulsazione sonora si può scrivere. Basta un trattino verticale (che
poi diventa la semiminima, la nera). L’uso del segno semplicemente così dice poco. Lo rendiamo più
interessante se gliene affianchiamo almeno un altro. Questo altro può essere quello che trascrive la pul-
sazione silenziosa. Un gioco: scandisco cinque pulsazioni; una è silenziosa: quale? Scopritelo voi bambini.
È un esempio di approccio percettivo, che può continuare con gli altri segni. Incontriamo la prima
cellula ritmica, lo sdoppiamento della pulsazione. Non più ε ε ε ε ε ma ρρρρρρρρρρ. Stesso quiz di
prima... Ce ne sono altri cento di giochi di questo genere...
Lo stesso approccio per l’altezza dei suoni. La vecchia didattica ti scaraventa subito in faccia il
pentagramma, le chiavi, i nomi delle note, la frazione metrica e via delirando. Non si preoccupa nemme-
no di verificare se prima sai renderti conto se un suono è più alto di un altro; anzi se è diverso da un altro.
Ripeto un suono; ogni tanto ne introduco di diversi? Hai riconosciuto quanti?
Direzione melodica: anche qui dal vissuto, dal missile che parte (direzione melodica ascendente) o
da Wyle Coyote che precipita nel canyon (direzione discendente)...
Arriviamo a isolare due suoni: Sol Mi. Una doppia rotaia, un trenino che ci corre sopra: un bigramma
che ospita le due note. Ci vuole veramente poco per imparare a leggerle e scriverle. Il pentagramma
arriverà poi, perché i suoni non sono solo due...
Parte il missile, precipita il Coyote. Movimento del corpo. Il su e giù associato al corrispondente
spaziale. Gioco d’eco: voce + gesto della mano nell’aria. Ripetete. Altro gioco: ora io intono suoni
senza gesto! Voi ripetete seguendo il suono con il gesto. Chi ripete correttamente ha concettualizzato
la direzione melodica...
Inutile dire che la motricità è ancora più importante per i concetti ritmici. Colleghiamo ogni cellula
ritmica a una corrispondente azione: Va, corre, salta...57
Solo esempi, di una didattica elementare alternativa a quella ottocentesca ancora prevalente nelle
nostre scuole.
——————
57
Questi giochi compaiono in C. Delfrati, MusicAmica, Milano, BMG-Ricordi 2004.
1. Introduzione
Il nostro lavoro prende le mosse da una semplice domanda: è possibile apprendere i fondamenti
del linguaggio musicale, della sua storia, dei differenti strumenti e tecniche attraverso il supporto delle
nuove tecnologie?
Nella nostra ricerca si è tentato di tracciare la sottile linea di demarcazione fra tradizione e innova-
zione, fra spontaneità strumentale e le nuove tecnologie creative del fare musica, avendo sempre pre-
sente il valore formativo e semantico del linguaggio musicale in ogni società. È da queste premesse
che siamo partiti per definire i parametri di una nuova disciplina, la Didattica Multimediale della
Musica, nata all’interno del corso di Drammaturgia Musicale del Professore Paolo Gallarati presso la
Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione dell’Ateneo di Torino.
Laboratorio d’elezione per la nostra ricerca è il progetto FAR (Formazione Aperta in Rete), nato
nel 1999 presso l’Università di Torino e ideato dal Professore Luciano Gallino. Il portale FAR
www.far.unito.it offre un’attenta catalogazione delle risorse didattico musicali della Rete, senza tra-
scurare l’ideazione e l’implementazione di nuove proposte di percorsi didattici on e off line.
www.far.unito.it
Facoltà di scienze della Formazione e dell’Educazione, Università di Torino.
nua trasformazione, dove l’aggiornamento continuo dei dati è fonte ineguagliabile di ricchezza sia da
un punto di vista informativo che formativo. Possiamo quindi affermare che la Rete offre un’ampia
scelta di risorse didattiche attraverso le quali apprendere o affinare gli elementi teorici e pratici del
linguaggio musicale.
I materiali off line hanno dalla loro, il vantaggio di essere sempre disponibili anche laddove non
c’è un collegamento con la Rete, penso alle tante scuole sprovviste di computer collegati alla Rete. Pur
non avendo a disposizione la ricchezza di esempi disponibili in Rete, i software creati per l’educazio-
ne musicale offrono la possibilità di un numero elevato di esempi sonori e interattivi, continuamente
rinnovabili attraverso un sistema di presentazione casuale degli esercizi.
Ma cosa offrono le nuove risorse tecnologiche e il mondo della Rete rispetto all’approccio della
didattica musicale tradizionale? Innanzitutto la possibilità di autoverifica immediata degli esercizi
svolti. Ad esempio i noiosissimi esercizi di solfeggio, la lettura delle note e il riconoscimento delle
altezze dei suoni, sono resi più divertenti attraverso una grafica vettoriale avvincente e coinvolgente e da
una lettura cantata, ascoltata, percepita e sempre disponibile grazie ad uno strumento musicale che ormai
la maggioranza dei nostri studenti ha a casa e che in genere sanno anche usare, il computer appunto.
da La voce dei Suoni ,CD Rom di Educazione Musicale Multimediale, ed. Il Capitello, 2004.
Anche la pratica strumentale esce arricchita dal confronto. I corsi on line di strumento, anche se
impoveriti della spontaneità gestuale ed espressiva dello strumentista, rappresentano un ottimo ap-
proccio di base e metodi alternativi in presenza di handicap fisici, dove la tastiera del computer diven-
ta a tutti gli effetti uno strumento musicale.
da La voce dei Suoni ,CD Rom di Educazione Musicale Multimediale, ed. Il Capitello, 2004.
I software didattici sono spesso scaricabili gratuitamente dalla Rete o se di ultima generazione,
utilizzabili direttamente in Rete con un enorme vantaggio economico per docenti e studenti.
www.far.unito.it/campusone/trovatore/index.html
Significativa la scelta del Teatro Regio di Torino di linkare ai suoi 4.000 iscritti al sito il lavoro in
concomitanza della rappresentazione del Trovatore in cartellone a marzo: quinte virtuali e storiche si
fondono in un’esperienza unica per chi ama la musica.
Alla luce di questa esperienza sono sempre più convinta del ruolo che le nuove tecnologie avranno
all’interno dell’esperienza educativa e formativa. La didattica musicale tradizionale ne esce dal con-
fronto, arricchita e rinnovata.
Raccontare la musica: il progetto LA.DI.MUS. della Casa della Musica di Parma e le sue pro-
spettive di sviluppo
Alessandro Rigolli
——————
58
Giovanni Piana, «Figurazione e movimento nella problematica musicale del continuo», in La percezione musica-
le, a cura di Liliana Albertazzi, Guerini, Milano, 20034, p. 13.
A queste essenziali ma – a mio parere – indicative premesse possiamo aggiungere che questi corsi
La.Di.Mus. sono stati basati sostanzialmente sull’introduzione alla storia della musica e alla guida
all’ascolto. Non abbiamo preso in considerazione l’aspetto della pratica musicale prima di tutto perchè
tale attività non rientra nella vocazione della struttura che promuove questo laboratorio (l’Istituzione
Casa della Musica non è una scuola di musica, ma un centro di ricerca, documentazione e divulgazio-
ne), e in secondo luogo perchè non è di nostro interesse inseguire l’utopia di una popolazione che, in
età adulta o prossima ad essa, inizi a coltivare la pratica attiva su vasta scala e in maniera sistematica
di uno strumento musicale . Questo approccio, a parere di chi scrive, è perseguibile e praticabile –
anche se mi sembra, purtroppo, ancora lontano da venire – nella scuola primaria, in cui professionalità
impegnate in questo ambito pedagogico si stanno dando da fare da tempo per riscattare la musica dal
ruolo di cenerentola di sempre. Ma ai ragazzi delle scuole superiori – licei, istituti tecnici e professioniali
– e a maggior ragione ad un pubblico adulto, non si può, almeno in un contesto come quello rappresen-
tato dalle iniziative promosse dal La.Di.Mus., insegnare a suonare uno strumento, a meno che non
siano essi stessi determinati in questo senso: ma in questo caso hanno già a disposizione un discreto
numero di scuole di musica più o meno affidabili in tutte le città. Ma che si suoni o meno uno strumen-
to, a partire indicativamente dai sedici anni in su siamo tutti potenzialmente consumatori di musica, il
che equivale sostanzialmente, e allo stato attuale delle cose, ad ascoltatori.
Ritornando all’impostazione del La.Di.Mus., due elementi fondamentali e caratterizzanti si posso-
no individuare da un lato nella vocazione “formativa” che contraddistingue l’organizzazione e la ge-
stione degli incontri e dall’altro nell’uso sistematico di materiali multimediali.
Dalle metodologie derivate dell’ambito della formazione abbiamo adottato alcuni elementi
ritracciabili nel sistema di gestione del pubblico (sia esso adulto o in età scolare) e nella struttura stessa
degli incontri. Il primo aspetto si traduce in una offerta di servizio, anche di carattere informativo, il
più possibilie vicino alle esigenze ed alle aspettative degli iscritti. In questo senso si collocano i que-
stionari distribuiti alla fine di ogni percorso e le comunicazioni informative (orari degli incontri, argo-
menti trattati, variazioni, ecc.) dirette agli stessi iscritti. Un approccio che nasce dalla consapevolezza
– se vogliamo ideologicamente disincantata – che, oggi, un servizio offerto al pubblico deve fare i
conti con le aspettative dei fruitori stessi, che vanno visti sempre più spesso quali clienti che devono
essere il più possibile soddisfatti dell’offerta – anche in campo culturale – proposta loro.59 Per quanto
riguarda la metodologia, abbiamo cercato di evitare lezioni puramente frontali, affiancando, come già
accennato, una sorta di coordinatore al relatore, entrambi impegnati a dialogare con gli ascoltatori
stando, nel limite del possibile, in piedi e non seduti dietro una scrivania, intervallando inoltre l’espo-
sizione con brevi ma numerosi esempi audiovisivi.
A questo punto affrontiamo un altro elemento di particolare rilievo nell’ambito al nostro laborato-
rio. È ormai ampiamente risaputo che, in generale, le metodologie di fruizione più efficaci sono quelle
che coinvolgono, in maniera parallela, almeno due sensi (vista e udito, generalmente). A questo propo-
sito Michel Chion, riprendendo una riflessione del filosofo Maurice Merleau-Ponty, ha avuto modo di
sostenere, appunto, che «una cosa esiste, in senso fenomenologico, se interessa almeno due sensi
contemporaneamente».60 Un dato forse scontato, ma non tenuto nella dovuta considerazione, mi pare,
in sede operativo-didattica su larga scala. Quante volte infatti ci siamo trovati ad ascoltare un brano
riprodotto – in sua situazione condivisa e pubblica – guardando il soffitto, o la punta dei nostri piedi
(cioè distratti)? Non si tratta naturalmente di occasioni concertistiche, nelle quali il lato visivo è dirot-
tato sull’osservazione dagli interpreti, che catalizzano il nostro sgaurdo. E non è nemmeno il caso di
quello che possiamo definire “ascolto privato”, che scegliamo in maniera autonoma, creandoci l’am-
biente ottimale (ascoltando i brani in ambito domestico, magari in cuffia e ad occhi chiusi).
Durante i nostri incontri abbiamo dunque cercato di affiancare ai brani musicali proposti la proie-
zione di immagini che contestualizzassero da un punto di vista storico e sociale l’ascolto stesso. Cre-
——————
59
Una significativa riflessione sul concetto di “servizio” al pubblico si trova in: Ken Blanchard, Sheldon Bowles,
Clienti soddisfatti? Non basta!, Franco Angeli, Milano, 1998.
60
AA.VV., Audiofanie. Voci, rumori e musica del cinema, «Cinema & Cinema», n.s., n. 60, anno 18, gennaio-aprile
1991, p.39.
ando insomma quello scambio tra gruppi coerenti di informazioni, sia visive che uditive, che rimanda-
no naturalmente ai valori universali dei «principi gestaltici della percezione».61 Semplificando, in
questo modo abbiamo cercato da un lato di rendere efficace l’ascolto accompagnandolo ad immagini
visive, e dall’altro di creare, per così dire, uno scambio funzionale di informazioni tra l’aspetto sonoro
e quello visivo stesso. Elementi, insomma, in parte già acquisite in ambito didattico. È utile citare a
questo proposito, per esempio, le recenti considerazioni di Elita Maule, la quale rileva «la vistosa
discrepanza tra cultura scolastica e quella extrascolastica. La prima, trasmessa attraverso lezioni
espositive e la forma scritta del libro a stampa, presuppone modalità di apprendimento di tipo digitale
e lineare; la seconda, che rappresenta la forma di comunicazione predominante e, utilizzando più
stimoli contemporaneamente (immagini, suoni, musica, movimenti), cattura i giovani in modo percettivo,
cognitivo ed emotivo molto più che qualsiasi altro linguaggio scolastico, presuppone un apprendi-
mento di tipo analogico.»62
In sostanza la nostra sperimentazione ha cercato, con i metodi tratti da un lato dalla formazione e
dall’altro dall’applicazione del linguaggio audiovisivo in ambito didattico, di fornire al pubblico – in
particolare delle Scuole medie superiori – uno strumento di diffusione della cultura musicale e di
attitudine ad un ascolto consapevole il più possibile efficace e vicino alle modalità di fruizione cultu-
rale affini agli stessi interessati. In questo senso, e a completamento dell’idea di divulgazione propria
del La.Di.Mus., abbiamo cercato di rendere accessibili questi percorsi ad un pubblico il più ampio e
vario possibile, attraverso la completa gratuità dell’iscrizione. Abbiamo inoltre cercato di valorizzare
il circuito che porta dalla “musica raccontata” alla “musica ascoltata” promuovendo accordi con realtà
di produzione cittadine – attive nell’ambito di tutti i generi musicali – proponendo agli iscritti dei
nostri corsi sconti sui concerti segnalati attraverso forme di comunicazione diretta. Questo non vuole
dire, naturalmente, che ciò che abbiamo raggiunto sia la migliore metodologia possibile; al contrario
rappresenta in sostanza un primo materiale sul quale lavorare per sviluppare in maniera più diffusa e
sistematica questa eperienza.
In quest’ottica, uno degli elementi a mio avviso più interessanti, è stato rappresentato dalle osser-
vazioni, indicazioni e valutazioni degli insegnanti coinvolti, che hanno messo in evidenza, per esem-
pio, la necessità di evitare in maniera ancora più marcata l’approccio frontale, o ancora di ridurre il
tempo di durata degli incontri, ritenuto eccessivo per un’attezione partecipata e attiva da parte dei
ragazzi. Elementi che naturalmente sono stati alla base per la progettazione dei corsi avviati per il
2005 i quali, limitandoci al confronto con il bacino d’utenza delle Scuole medie superiori, stanno
facendo registrare un numero di iscritti che si avvia a raddoppiare il riscontro del 2004.
In conclusione, l’esperienza qui sintetizzata rappresenta un primo passo nella direzione di un con-
fronto da un lato con il pubblico adulto in genere, ma anche – e soprattutto – con il mondo della
scuola, alla quale il “Laboratorio per la Divulgazione Musicale” della Casa della Musica di Parma si
offre come strumento progettuale, operativo e accessibile, alla stregua di un tassello facente parte di
un percorso complesso che deve essere naturalmente integrato con altre competenze sempre più mira-
te, di carattere specificamente didattico e pedagogico. Una strada che, auspichiamo, possa aprire fe-
conde occasioni di confronto e nuove prospettive di sviluppo, a partire dalla scuola primaria, vera base
per una progressiva “rivoluzione” della cultura musicale nel nostro Paese, anche partendo, come si
indicava all’inizio, “dal basso”, vale a dire da quelle esperienze e modalità di fruizione comunicativo-
culturali che, inevitabilmente, tutti noi (bambini e ragazzi in età scolare compresi) esperiamo quotidia-
namente, magari in maniera distratta di fronte ad un televisore.
——————
61
Cfr. John A. Sloboda, La mente musicale, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 239-299: 244.
62
Elita Maule, «La musica a scuola tra storia, memoria e identità: per una didattica della storia della musica», in
Prove e saggi sui saperi musicali, ETS, Pisa, pp. 171-217: 211.
Teoria e pratica
Studiare sui libri solamente serve a ben poco per sviluppare le capacità didattiche indispensabili ad
insegnare. È necessario creare una relazione fra teoria e pratica.
Le metodiche, la capacità di creare musica adatta ai bambini, l’utilizzo dei vari strumenti didattici,
la capacità di individuare obiettivi di apprendimento avviene dunque attraverso l’unione della pratica
e della teoria. Gli studenti inizieranno subito con l’esercitazione guidata di attività didattico-musicali
con gruppi di bambini. Questa pratica viene però supportata dalla teoria che è di immediata rilevanza
alla attività stessa; un approccio che permette di imparare operando così che la comprensione -attra-
——————
63
Questa relazione è dedicata alla memoria di Armin Brenner, fondatore ed ex-direttore del Conservatorio della
Svizzera Italiana e creatore dei corsi di formazione EME, scomparso improvvisamente il 2 dicembre 2004
verso il provare, l’errare e il correggere- è immediata. Questo oltre a infondere sicurezza e soddisfazio-
ne, aiuta anche a sviluppare la capacità di affrontare e risolvere le problematiche che si incontrano
operando sul campo.
L’insegnante musicista
Nel corso di formazione è importante continuare a coltivare le materie musicali: uno strumento
melodico e uno strumento armonico, l’educazione della propria voce, esperienza corale, direzione
corale e strumentale, fonetica, improvvisazione.
Un insegnante che suona il proprio strumento in classe e lo usa per accompagnare i bambini, per
giocare con le dinamiche, per esempio con il piano e il forte, con i suoni gravi e acuti, lunghi e corti,
che improvvisa melodie e danze sarà molto più efficace di un insegnante che usa sempre e solo il
registratore. Questo insegnante sarà in grado di far “vivere” la musica. Un insegnante che ha esperien-
za corale su di sé, capisce in prima persona le sensazioni e le forti emozioni che si prova a cantare
insieme. Un insegnante che ha preso lezioni di canto conoscerà lo strumento della voce, così difficile
da spiegare perché interno, perché dentro il nostro corpo. Il bambino impara imitando e se l’insegnan-
te canta con la voce impostata, respirando profondamente, aprendo la bocca in modo corretto, il bam-
bino imiterà. Come d’altro canto imiterà anche un insegnante che canta sforzando la voce. Un inse-
gnante che suona uno strumento melodico e uno strumento armonico sarà in grado di accompagnare
sia il primo che il secondo ciclo. Difatti uno strumento melodico si addice molto bene all’ accompa-
gnare i canti del primo ciclo mentre uno strumento armonico si presta ad accompagnare i canti del
secondo ciclo. Un insegnante che sa improvvisare sul proprio strumento e con la voce, capacità pur-
troppo spesso trascurata negli studi di musica classica, aprirà ai bambini un mondo di creatività ed
espressione non indifferente.
Il musicista educatore
È con queste competenze musicali che affrontiamo le materie pedagogiche e quelle relative alla
formazione stessa.
Ogni età è così diversa nel suo sviluppo cognitivo e motorio che la conoscenza dello sviluppo
infantile è essenziale per potere creare delle lezioni musicali adeguate ed efficaci. Il programma musi-
cale che ogni studente dovrà imparare a strutturare dovrà tenere conto proprio dello sviluppo cognitivo
e motorio delle varie età, come anche del programma scolastico. È nostra convinzione infatti, che la
musica può e deve assolutamente essere usata come supporto per le altre materie. Studiamo dunque le
attività da proporre ai bambini, ma apprendiamo anche come collaborare con l’insegnante di classe
per metterlo in grado di ripetere con i bambini alcune attività svolte dall’insegnante di musica durante
tutta la settimana. È proprio questa ripetizione che permetterà ai bambini di fare grandi progressi e di
acquisire abilità utili per tutta la loro carriera scolastica, come ad esempio l’acquisizione di una mag-
giore attenzione, concentrazione e memoria attraverso giochi musicali di ascolto e cooperazione.
Dobbiamo anche apprendere come affrontare in modi appropriati, nell’ambito della lezione, le
dinamiche in classe, come per esempio far fronte al bambino che attira l’ attenzione su di sé, che
disturba o che chiacchiera di continuo.
ad impartire lezioni intere. Alla pratica seguirà sempre un colloquio in cui chi ha insegnato e chi ha
osservato ( l’insegnante e alcuni studenti) parleranno dell’esperienza, si aiuteranno dando consigli e
suggerimenti. Il primo anno di formazione si farà pratica sui bambini del primo ciclo, mentre il secon-
do anno si passerà ai bambini dai 7 ai 10 anni.
intervalli musicali si potrà presentaglieli visivamente. Il bambino non avrà difficoltà a leggere e canta-
re musica che è già diventata parte di lui attraverso il gioco.
Conclusione
Questo corso di formazione in conclusione, intenso e impegnativo, vuole formare degli insegnanti
con una grande competenza, così che essi possano trarre soddisfazione e gioia dal loro lavoro, e vedere
i bambini crescere nelle loro competenze musicali, scolastiche e di vita e uscire dalle lezioni con la
gioia per la musica nel cuore.
Siamo anche convinti che gli insegnanti di classe senza formazione musicale che verranno a contatto
con i nostri insegnanti di educazione musicale impareranno ad amare la musica insieme ai propri alunni così
che col tempo potranno loro stessi giocare con la musica in classe anche in assenza dell’esperto musicale.
L’esperto musicale potrà poi integrare il lavoro del maestro di classe formato musicalmente insie-
me ai suoi alunni continuando a fornire supporti didattici per le altre materie
Ai nostri bambini auguriamo tanto piacere per la musica. Non per niente si dice “canta che ti
passa”. Speriamo vivamente che un’ educazione musicale adeguata didatticamente e musicalmente
possa essere loro di supporto sia per la carriera scolastica che per affrontare la vita.
Sono un’insegnante di danza, faccio parte dell’associazione Mousiké di Bologna, conduco labora-
tori di danza educativa nella scuola primaria e il laboratorio di Musica e Movimento presso la Facoltà
di Scienze della Formazione Primaria di Bologna, in compresenza con la prof. Angela Cattelan.
Questo duplice contesto di lavoro, scuola e Università, mi ha permesso di verificare e confrontare,
attraverso attività pratiche, i contenuti, la metodologia e la struttura organizzativa degli incontri sia del
laboratorio di educazione alla danza, al movimento creativo e musicale nella scuola primaria, sia del
laboratorio di Musica e Movimento all’Università.
Le caratteristiche che nel tempo sono risultate vincenti in entrambi i contesti, tralasciando riflessioni
riguardanti l’importanza delle competenze degli insegnanti formatori, sono state essenzialmente tre:
1. la metodologia e i contenuti
2. la trasversalità del laboratorio
3. la strutturazione interna degli incontri, grazie alla compresenza di due insegnanti.
1. Scelta metodologica. Per quanto riguarda la metodologia ritengo che si debba partire dalle
competenze motorie e musicali di ciascuno, dove movimento e suono siano considerati materiali da
esplorare e analizzare. Per quanto riguarda il movimento si tratta di rispettare le leggi contenute nel
movimento di ciascuno, di fornire le regole per l’esplorazione e l’osservazione di esso, si tratta di
uscire dagli automatismi e di lasciarsi coinvolgere dal contesto creativo, di mobilizzare l’intelligenza del
corpo e sperimentarne la musicalità. Queste premesse permettono di arrivare agevolmente alla strutturazione
attraverso regole del comporre quali possono essere, per esempio, amplificare il suono e il movimento
oppure ridurlo, creare dei silenzi nella musica che possono corrispondere o meno alle pause del movi-
mento, o ancora comporre per imitazione ( potrebbe essere del movimento o del suono creato da un
compagno o derivante dall’ascolto e dall’osservazione di una danza in video), oppure ancora per contra-
sto, per trasformazione e variazione. Perciò la metodologia scelta non si basa sulla trasmissione di con-
tenuti prestabiliti, bensì utilizza parole chiave come esplorazione, analisi e composizione.
A titolo esemplificativo vedremo, nelle prime immagini del video che seguirà questa relazione,
bambini di una II elementare che a coppie rappresentano col movimento le gocce di pioggia; non ho
insegnato loro dei passi, ma ho suggerito di pensare alla qualità del movimento delle gocce, come
sarebbero potute
cadere se fossero
state grandi o pic-
cole, pesanti o
leggere; ho sug-
gerito di pensare
al rumore delle
gocce nelle poz-
zanghere e di pro-
vare a trasforma-
re quel rumore in
movimento. Do-
po questo primo
momento di es-
plorazione la cop-
pia doveva segui-
re semplici rego-
le del comporre e decidere se eseguire i movimenti all’unisono oppure no, se stare vicini e come (fianco
a fianco, uno dietro l’altro, uno in piedi uno seduto), se muoversi sul posto oppure nello spazio; infine,
ma non per importanza, essere in sincronia con la musica o privilegiare con essa un altro tipo di rapporto.
Una metodologia che contribuisce a creare un contesto educativo motivante, dove sia il bambino
nella scuola sia lo studente universitario si sentono gratificati nel sentire di gestire in prima persona il
processo creativo all’interno di un’esperienza dove con pochi elementi viene data forma a qualcosa di
compiuto. Significa dare la possibilità a ciascuno di entrare nella danza e nella musica da una grande
porta, dove nel tempo sempre limitato di un laboratorio, ci si sente autori di quello che si viene ad
apprendere.
prof. Anna Rita Addessi e dalla prof. Ines Bartolini alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, sia del
laboratorio Musica e Movimento condotto da me e dalla prof Addessi .
Gli studenti futuri insegnanti divengono consapevoli che il percorso trasversale e interdisciplinare
non diminuisce la ricchezza della singola disciplina, ma, al contrario, dando la possibilità di creare
collegamenti fra suoni, gesti, segni, parole, immagini, amplifica il potenziale insito in ognuna di esse.
per poi fare esperienze più specifiche e organizzare attività, nei rispettivi ambiti di competenza, con
gruppi meno numerosi. In questo modo all’Università viene riprodotta “in vitro” una reale situazione
scolastica che si presenta quando io stessa, in qualità di esperta esterna, propongo laboratori di danza
che siano trasversali ad altre discipline. Un laboratorio di “ danza e poesia “ per esempio richiede la
collaborazione dell’insegnante che nella scuola si occupa della lingua italiana, la quale partirà dal-
l’elemento parola per costruire, attraverso procedimenti che appartengono alla scrittura creativa, stro-
fe, rime, poesie utilizzando le regole della composizione che anch’io utilizzerò con la danza. Se poi la
fortuna mi fa incontrare insegnanti con competenze pedagogiche e didattiche nell’area musicale po-
tremo lavorare sui ritmi della poesia e del movimento e rafforzare così le competenze dei bambini. Lo
spazio della danza e lo spazio della classe interagiscono, i due conduttori (insegnante ed esperto) si
intrecciano e si scambiano i risultati del lavoro.
Bibliografia
AA.VV., Centre national de la danse, L’éveil et l’initiation à la danse, Paris, 1999.
Addessi A.R., Maffioli M. (2002). Segmentation et analyse dans l’éducation à la créativité musicale et
motrice. In M. Britta & M. Mélen (Eds), Musical Creativity. ESCOM, 10th Anniversry Conference.
Proceedings , 5-8 aprile 2002, Université de Liège (in it.: Musica Domani, XXXIV, n. 124, pp. 7-13).
Buzzoni P. - Tosto M.I. (a cura di), Gesto, musica, danza, Torino, EDT, 1998
Noisette C., L’enfant, le geste et le son. Une initiation conjointe à la musique et à la danse, Paris, Cité
de la Musique, 2000.
Perez T. - Thomas A., Danser les arts, CRDP, 2000.
Smith-Autard J.M., La dance composition, Roma, Gremese, 2001.
Zagatti F., La danza educativa, Bologna, Mousiké - Progetti educativi, 2004.
Introduzione
Le scuole del IV Circolo Didattico di Parma sono collocate nei quartieri Oltretorrente (parte del
centro storico) e Molinetto (zona sud-ovest della città). Fanno parte del IV Circolo:
• le tre scuole elementare Pietro Cocconi, sede della direzione didattica, Ulisse Corazza e Filippo
Corridoni;
• la Scuola in Ospedale annessa alle cliniche pediatriche;
• il Centro Territoriale Permanente per l’Istruzione e la Formazione in età adulta.
Dal 1999, il IV Circolo Didattico è sede di Laboratorio Musicale per il quale, grazie al finanziamento
ricevuto, è stata attrezzata un’aula didattica e sono stati istituiti corsi strumentali e di canto corale.
Il laboratorio musicale
Il Laboratorio Musicale è posto in un’aula al piano terreno del plesso Cocconi.
Nella realizzazione dell’aula didattica si è cercato di creare uno spazio, attrezzato con strumenti di
fondamentale importanza per la nostra cultura musicale, soprattutto accogliente dove i bambini si
possano trovare a loro agio e desiderino andare volentieri.
La maggior parte dell’attrezzatura è stata posizionata alla loro portata. Le pareti sono abbellite da
alcune testimonianze del lavoro svolto e dalle onorificenze che, in particolari occasioni, sono state
donate al Coro.
Grandi tendoni di velluto bordeaux non solo servono ad attutire il suono, ma danno anche un senso
di raccoglimento e di intimità.
Si è cercato di organizzare l’aula in modo tale da poter gestire lo spazio con coerenza e funziona-
lità cosicché gli elementi presenti possano interagire con ciò che avviene in essa.
In vista sono disposti da una lato il pianoforte elettrico e una tastiera, dall’altro la batteria e la
chitarra elettrica con l’amplificatore. Dall’altro ancora, sono disposte le chitarre classiche e i leggii
che vengono spostati al centro durante le lezioni e le prove.
Nell’armadio sulla parete di fondo sono posizionati, in vista attraverso il vetro, diversi violini, lo
strumentario Orff, e gli strumenti a fiato: flauti traversi, flauti dolci, clarini e sax.
Sulla cattedra è sistemato un impianto HI-FI, il mixer e il computer per la registrazione e l’incisio-
ne di CD. L’aula di musica svolge all’occasione anche la funzione di sala d’incisione.
In questo Laboratorio Musicale possono accedere tutte le classi del Circolo in orario curriculare,
mentre in orario extra scolastico si tengono le lezioni di canto e quelle di strumento.
Anche nei plessi F. Corridoni e U. Corazza sono state attrezzate aule di musica con tastiera, piano-
forte, chitarre, strumentario Orff e impianto audio per l’ascolto.
La scelta di utilizzare il canto popolare nell’insegnamento della musica nella scuola elementare
viene supportato dal pensiero di alcuni musicisti e grandi studiosi della materia. A questo proposito
vorrei ricordare innanzitutto Leonard Berstain che dice: “I canti popolari riflettono i ritmi, gli accenti
e le cadenze del modo di parlare di una determinata popolazione…, in altre parole il suo linguaggio si
realizza in note musicali”, e Bela Bartok quando sostiene che: ”…ognuna delle nostre melodie è un
vero modello delle più alta perfezione artistica”. Kodaly aggiunge: ”…è importante far rivivere il
canto popolare ed immetterlo nel flusso della cultura musicale, nutrirsi e rinnovarsi in esso come da
una sorgente che unisce in sé secoli di tradizione e che porta dentro di sé le tracce di un’antica ed
unitaria lingua musicale nazionale.” Questo grande musicista è convinto che tutto debba partire dalla
primissima infanzia utilizzando il canto che è lo strumento più naturale e immediato, il modo più
appropriato e coinvolgente per fare musica d’insieme. Per lui l’educazione musicale in ogni paese
deve radicarsi nella propria tradizione popolare partendo dalle forme musicali più semplici per giun-
gere, attraverso tappe graduate, alla complessità dei capolavori della letteratura musicale.
“L’utilizzazione educativa delle canzoni infantili e popolari - come afferma Mario Valeri - non ha
solo il significato di “conservare” un patrimonio popolare che potrebbe andare perduto, ma anche, in
un mondo di invadenza di video-giochi, errata funzione dello spettacolo televisivo, scarsità di spazio
e di occasioni di giochi, cattiva organizzazione della vita quotidiana, …di stimolare la dimensione
creativa e sociale della personalità.”
E ancora il ricercatore L. Gandini scrive: ”Varie ninne nanne, cantilene, filastrocche, … sopravvi-
vono perché è un ottimo mezzo di comunicazione tra adulto e bambino e perché adempiono alla
funzione socializzante e di iniziazione di gruppo.
Il M° Giacomo Monica aggiunge e sostiene: “Ritengo sia importantissimo prestare attenzione ai
bambini e ai ragazzi, metterli nella condizione di poter capire con chiarezza il valore di una tradizione
scritta. Per questo è necessario insegnare loro quei dialetti, quei suoni elementari che compongono le
melodie del passato…, melodie che per la loro semplicità e immediatezza risultano sempre vicine a
chi si appresta ad impararle, inoltre non superando mai l’ambito dell’ottava, risultano per l’estensione,
accessibili alla stragrande maggioranza degli alunni sia della materna che delle elementari. Cantare
anche la sola melodia, … non impoverisce il canto che, anzi, è nato così. Proprio ai bambini gran parte
delle filastrocche, cantilene, girotondi, ninne nanne erano destinati.
La scuola ne terrà conto?”
L’attività svolta in questi anni è andata sempre in crescendo: si è istituito un coro multietnico
“Verdi Melodie” il cui repertorio spazia dalla musica popolare parmigiana a quella di tutta il mondo.
Il coro “Verdi Melodie” collabora da anni con gli Enti Locali e le Associazioni Culturali e negli
ultimi due anni, con l’editore Guerra, ha inciso due CD facenti parte del libro di testo di italiano per
bambini stranieri GIROTONDO.
Strumenti proposti
• pianoforte
• tastiera
• chitarra
• flauto traverso e flauto dolce
• violino
• batteria e percussioni
In molti dei loro disegni (di cui si riportano i più significativi) sono evidenti alcuni aspetti grafici
ricorrenti quali
• Presenza di note che si muovono nell’aria.
• Presenza di uno strumento musicale che ac-
compagna il coro: in particolare alcuni rappresen-
tano l’intero pianoforte altri mettono in evidenza
la sola tastiera.
• Presenza di arredi di contorno quali il leggio
del direttore e l’eventuale microfono.
• Presenza del direttore del coro.
Risultati
I risultati ottenuti sono a mio parere positivi sia per quanto riguarda il punto di vista musicale,
come dimostrato dall’intensa attività esterna (nell’anno scolastico 2003-2004 sono stati effettuati 19
concerti con il coro “Verdi Melodie”), sia per quanto riguarda gli obiettivi socio affettivi e d’integra-
zione sociale.
L’attività educativa ha portato a risultati positivi sia per quanto riguarda la gestione dell’emotività
in molti bambini che per la consapevolezza della ricchezza che c’è nel fare le cose insieme non
uniformando, ma esaltando le diversità. Forte è stato l’interesse da parte loro dimostrato nel cantare e
nel suonare insieme, e questo a mio parere è dovuto alla sensibilità che si riesce a scatenare in ciascuno
di loro. In questo modo possono ritrovare infatti una situazione in cui i gesti, gli stati d’animo e il
rapporto con gli altri sono gli stessi di tanto tempo fa e comuni a tutte le razze.
Premessa
Il progetto “Su, Bambini, facciamo i violini”, realizza in una scuola elementare un corso di musica
basato sullo studio di uno strumento e del canto per lettura. L’idea nasce all’inizio del 2001 in un
momento di grande fermento per la scuola italiana. Nel febbraio di quell’anno il Ministero della Pub-
blica Istruzione presentava gli indirizzi per i nuovi programmi del ciclo di base nell’ambito della
riforma Berlinguer - De Mauro, una riforma che si inseriva in una Scuola già molto cambiata con la
legge dell’Autonomia del Marzo 1997. In particolare, per l’insegnamento della musica che, come le
altre discipline artistiche, non aveva mai goduto di una attenzione significativa nella scuola, sembra-
vano profilarsi novità interessanti.
La nuova legge per il riordino della scuola primaria e secondaria introduceva infatti la musica a
pieno titolo nei programmi del settennio del ciclo primario e prevedeva nel ciclo superiore l’indirizzo
artistico-musicale dotato di pari dignità e valore, ai fini del proseguimento degli studi, rispetto agli
altri indirizzi. Vi era poi un manifesto orientamento a introdurre l’educazione musicale, per la prima
volta nella storia della nostra scuola, come disciplina obbligatoria nel biennio della Secondaria in tutti
gli indirizzi (classico/umanistico; sociale/scientifico; tecnologico e ovviamente artistico/musicale),
dunque per tutti i ragazzi e le ragazze fino ai 15 anni. La Musica, questa era la nuova dizione della
materia in luogo di Educazione Musicale, sembrava essersi assicurata un proprio spazio nel percorso
educativo: era previsto che venisse insegnata secondo le linee di un Programma che il Ministero aveva
reso pubblico, e che scandiva in modo preciso ed analitico le competenze da acquisire, la progressione
degli apprendimenti nei vari segmenti del settennio, i contenuti su cui operare.
Ad avviare con grande determinazione questo processo di riconoscimento della Musica all’interno
della scuola era stato il Ministro Berlinguer: nel 1999 aveva varato il «Progetto speciale musica» rivolto
alla generalità degli alunni, per la costituzione, nelle scuole che vi partecipavano, dei «laboratori musica-
li», allo scopo di diffondere una cultura formativa musicale e preparare docenti ad operare con strutture
qualificate. Aveva lanciato l’obiettivo di «un coro in ogni scuola» celebrando il 5 Maggio di ogni anno la
giornata della musica a scuola. Finalmente da lui venivano parole chiare (chiare per tutti: ragazzi e genitori
e non solo per gli addetti ai lavori) su cosa dovesse intendersi per insegnamento della musica nella scuola:
La musica deve entrare nel nuovo curricolo come materia obbligatoria, nel primo e in parte nel
secondo ciclo, e si deve contemporaneamente preparare i formatori. Si tratta di cosa diversa dalla
formazione specialistico-professionale dei Conservatori: parlo della musica per tutti, e dell’appren-
dimento della musica vocale e strumentale in senso pieno. Altra cosa è l’educazione musicale, che è
integrativa e non sostitutiva della prima. Non solo saper ascoltare, ma suonare ( Luigi Berlinguer, Il
Corriere della Sera, 7 febbraio 2001).
Questo era il clima: nulla ancora di effettivamente modificato rispetto alla difficile situazione che
aveva da sempre caratterizzato l’insegnamento di questa espressione artistica, ma un clima comunque
pieno di pensieri nuovi e nuove manifeste volontà, che permetteva di progettare un ruolo diverso della
musica nella scuola.
Ed è in questo contesto che il Centro di Educazione Musicale Infantile e l’Istituto Comprensivo 9
con il sostegno della Regione Emilia Romagna, della Storica Liuteria Tomassone di Bologna e della
Banca Popolare dell’Emilia Romagna davano il via a questa sperimentazione.
Il Progetto
Il progetto introduce nella scuola pubblica, a partire dalla prima elementare, un corso di musica
che si sviluppa attorno allo studio di uno strumento e del canto, avvalendosi di insegnanti con specifi-
ca esperienza nella didattica strumentale e vocale infantile che affiancano i docenti della classe in
qualità di esperti. Sono coinvolte due classi della scuola elementare Raffaello Sanzio dell’Istituto
Comprensivo 9 di Bologna, particolarmente attento all’importanza della musicalità e dell’educazione
musicale nel percorso di sviluppo degli allievi. In queste classi la musica viene insegnata a tutti indi-
stintamente, così come a tutti si insegna l’aritmetica o l’italiano, fissando degli obiettivi minimi che i
bambini dovranno raggiungere. I bambini imparano a cantare in coro, a suonare pianoforte, violino,
violoncello, e appena il “repertorio” lo consentirà faranno musica d’insieme. Uno studio della musica
che passa quindi attraverso l’apprendimento delle regole e della tecnica del linguaggio musicale, così
come in fondo avviene per la lingua italiana o il linguaggio matematico.
Il corso durerà per i cinque anni del ciclo di primario: un periodo che consentirà di sviluppare
appieno l’attività didattica e di trarre conclusioni significative supportate da una esperienza ampia e
completa.
Le finalità
Può essere utile precisare fin da subito ciò che questo esperienza NON SI PROPONE: non si
propone di formare futuri musicisti.
Ha piuttosto una duplice finalità:
1. mettere ancora una volta in rilievo e sfruttare la valenza educativa e formativa della musica.
2. sperimentare la possibilità di un percorso di apprendimento della musica basato sulla didattica
strumentale all’interno della scuola pubblica.
Alla luce di ciò possiamo elencare gli obiettivi relativi ai diversi soggetti coinvolti.
Il metodo
Come già detto la sperimentazione prevede l’insegnamento della musica attraverso lo studio di
uno strumento: violino, violoncello e pianoforte e del canto per lettura.
Per insegnare a bambini così piccoli é necessario che a operare sia personale specializzato: musi-
cisti che sommino alle capacità tecnico-strumentali un’adeguata preparazione pedagogica e didattica.
L’emarginazione per tanti anni della musica dalla Scuola italiana ha determinato una carenza di inse-
gnanti qualificati all’insegnamento strumentale rivolto ad allievi giovanissimi. D’altra parte simili
professionalità sono assenti anche all’interno dei Conservatori che generalmente accolgono bambini a
partire dai dieci anni. Per contro nell’ultimo mezzo secolo, sotto l’influsso di straordinari progressi in
campo scientifico e pedagogico e sull’esempio di grandi didatti, Suzuki, Kodaly, Orff, Willems, Szilvay,
per citarne alcuni, la didattica musicale infantile ha compiuto passi da gigante e sono proprio queste
“nuove” conoscenze che vengono sfruttate in questa esperienza; in particolare si attinge, operando le
opportune mediazioni, ad una metodologia lungamente sperimentata in tutto il mondo, ma raramente
in scuole pubbliche e ad una generalità di allievi: la metodologia Suzuki64.
Questo metodo, detto anche Metodo della lingua madre, fu sviluppato da Shinichi Suzuki intorno
agli anni Trenta. I principi che ne stanno alla base sono in sintesi:
1. La musica non è disciplina d’elite: tutti i bambini possono imparare a suonare perché il talento
è in ognuno, va solo sviluppato attraverso giusti stimoli che devono venire dall’ambiente in cui il
bambino cresce, in particolare dalla famiglia.
2. Il bambino può imparare fin da piccolissimo (3-4 anni) uno strumento così come impara a
parlare: attraverso l’imitazione del maestro e inizialmente anche dei genitori.
3. Il bambino fin dall’inizio suonerà semplici melodie che già conosce e sa cantare per averle
ripetutamente ascoltate.
4. Fin da subito viene dato grande spazio alla musica d’assieme, che contribuisce alla socializzazione
e all’abitudine del “far musica” come fatto normale e frequente, attraverso saggi e concerti dei piccoli
musicisti.
Ovviamente il metodo non può essere portato all’interno della realtà scolastica per due fondamen-
tali ragioni: i bambini che si iscrivono in prima elementare sono più grandi di quelli che normalmente
si iscrivono ad un corso Suzuki. Inoltre i genitori non ci sono a scuola e comunque, vista l’età dei
bambini, il loro ruolo sarebbe comunque diverso.
Del metodo invece si adottano la scelta dei brani proposti ma ciò che è più importante si sfrutta la
professionalità e la competenza degli insegnanti abituati a lavorare con allievi piccolissimi.
Anche per ciò che riguarda il coro, l’insegnante, diplomata in canto, mette a frutto la specifica
preparazione nell’insegnamento del canto e della propedeutica musicale.
supporti didattici e gli strumenti ad arco mentre la scuola mette a disposizione il pianoforte in orari al
di fuori di quello scolastico per coloro che si volessero esercitarsi.
Si sono tenuti anche alcuni incontri con i genitori per sensibilizzarli mettendoli in grado di meglio
comprendere e seguire il percorso musicale del proprio figlio.
Il primo anno è iniziato con un periodo di tre mesi di sole lezioni di gruppo per consentire di
introdurre gli allievi gradualmente all’apprendimento della musica e permettere agli insegnanti di
guidare i bambini nella scelta dello strumento o del canto.
La ripartizione dei bambini nelle classi di strumento e di coro è avvenuta per approssimazioni
successive: la proposta iniziale degli insegnanti di musica si è misurata con le preferenze dei bambini
e dei genitori e ha tenuto conto anche dei suggerimenti degli insegnanti di classe.
Nell’ambito del progetto riveste grande importanza l’attività di musica di insieme che per ora è
inserita all’interno delle due ore settimanali. Fare musica in gruppo ed esibirsi per un pubblico è
altamente formativo: suonando insieme ad altri il bambino impara a rapportarsi al gruppo, a svolgere
il proprio ruolo rispettando gli altri mentre suonare per un pubblico è l’occasione di comunicare ciò
che ha imparato e rappresenta un momento di gratificazione e di crescita della coesione del gruppo.
Dopo i primi due anni gli obiettivi raggiunti si possono così sintetizzare:
Strumento: si è lavorato molto sulla corretta postura strumentale; i bambini hanno imparato ad
eseguire semplici brani cominciando da un famoso tema popolare e sue variazioni ritmiche (fig.1 e 2).
(fig.1)
(fig.2)
Sono state iniziate anche le lezioni di musica d’insieme: prima all’interno di una stessa classe di
strumento e poi assieme: violino, violoncello, pianoforte e coro. I bambini hanno così imparato le
prime regole del suonare con gli altri e sotto la guida di un direttore: l’attacco, la costanza ritmica, la
giusta intonazione, capacità di ascoltarsi e di ascoltare, lo stacco finale.
Coro: I bambini hanno imparato alcuni dei principali requisiti per cantare: postura, respirazione,
pronuncia corretta. Mano a mano che miglioravano le capacità dei singoli, si è lavorato attraverso
appropriati esercizi sulla presa di coscienza del bambino di far parte di un insieme: i bambini hanno
imparato a cantare prima all’unisono e poi a più voci ricercando costantemente la corretta intonazione,
il suono uniforme, l’attacco e la chiusura simultanei, l’attenzione al gesto del direttore ecc.. Per alcuni
canti, hanno inoltre cominciato ad utilizzare la notazione scritta.
Ritmica: i bambini hanno imparato i brani del repertorio strumentale che vengono cantati ed ese-
guiti su coreografie. Per potenziare la memoria sono state studiate alcune filastrocche, tratte dalle
raccolte di Rodari, che ogni bambino a turno recitava di fronte ai compagni. I bambini hanno appreso
alcune nozioni fondamentali della lettura e scrittura musicali: riconoscere le note sul pentagramma
nelle chiavi di violino e basso sino alla prima sopra riga e sotto linea; riconoscere, leggere ed eseguire
schemi ritmici; conoscere e cantare scale e arpeggi maggiori e minori e cadenze; conoscere il tempo la
pulsazione e la battuta.
Documentazione
Per l’originalità dell’approccio scelto, le classi coinvolte rappresentano un “osservatorio” unico
nel loro genere: nel nostro paese un insegnamento della musica nella scuola elementare che passi
attraverso lo studio di uno strumento e del canto per lettura non è né praticato né molto studiato. Uno
dei principali scopi del progetto è proprio quello di arrivare ad una “protocollo” che consenta di
riprodurre l’esperienza. È stata perciò avviata una collaborazione con l’Università di Bologna, in
particolare con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione, per un lavoro di approfondimento e docu-
mentazione sul metodo adottato e sulle sue ricadute a livello pedagogico più generale65.
Tutta l’attività inerente al progetto è inoltre seguita e valutata da un Comitato di esperti del quale
fanno parte, tra gli altri, la Dott.ssa Rosanna Facchini, Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per
l’Emilia Romagna in rappresentanza del MIUR, il M° Antonello Farulli, titolare del corso di viola
presso il Conservatorio G. B. Martini, il Professor Luigi Guerra, Preside del Corso di Laurea in Scien-
ze dell’Educazione dell’Università di Bologna.
Conclusioni
L’insegnamento della musica attraverso la pratica musicale e vocale, nella scuola di base, proposto
col progetto Su, bambini, facciamo i violini!, non è ovviamente inteso in un’ottica di formazione
professionale; ciò che di esso si vuole sottolineare sono gli aspetti di fruizione della musica, dello svi-
luppo della mente e della socialità del bambino. Si è voluto rivolgere tale insegnamento a tutti i bambini
intendendo così rivendicare il diritto ad una cultura musicale generalizzata quale elemento necessario
alla formazione della persona: citando Zoltàn Kodàly “la musica appartiene ad ogni persona”.
Alle ricerche, saggi, comunicazioni scientifiche, che a partire dagli anni settanta, hanno provato la
precocità della percezione e della comprensione del linguaggio musicale, dimostrando quindi la pos-
sibilità di un inizio precoce del suo apprendimento66, si sono aggiunti in questi anni numerosi altri
lavori che hanno evidenziato la valenza educativa e formativa della Musica e in particolare della
pratica musicale. Citiamo per tutti la ricerca del Prof. Hans Bastian condotta a Berlino dal 1992 al
1998, uno studio scientifico molto rigoroso, che mostra come i bambini che studiano uno strumento e
fanno musica d’insieme negli anni delle elementari aumentano le proprie capacità cognitive e soprat-
tutto sono più socievoli e collaborativi67.
——————
65
La ricerca è svolta dalla dott.ssa Benedetta Toni ed è finanziata dalla Fondazione De Musica - Antonio Monzino di
Milano. La descrizione completa del progetto si può visionare in Luigi Guerra e Benedetta Toni, L’innovazione della
music performance, in I Diritti della Scuola, De Agostini, n. 7, marzo 2005 e in Benedetta Toni, Laboratorio di didattica
strumentale nella scuola primaria, in Educazione musicale.Riflessioni ed esperienze a cura di Franz Comploi, Weger,
Bressanone 2005.
66
E. Francescato, La rappresentazione mentale della musica e l’istruzione strumentale in età precoce, L’Autore
Libri, Firenze, 1998.
67
H. G. Bastian, Music (Education) and its Effect, Schott Musik International (2000)
Il canto corale è oggi la pratica musicale più diffusa nella scuola primaria: è la risposta alla doman-
da di cultura musicale, pratica ancor prima che teorica, attraverso un’esperienza formativa spontanea,
coinvolgente e di cui facilmente si può fruire. Non sorprende che alla medesima risposta facciano
riferimento migliaia di persone, anche al di fuori della scuola, che, secondo una stima approssimata
per difetto, si raggruppano in oltre duemila cori operativi in Italia. La nostra riflessione deve dunque
vertere su come rendere più fruttuosa la presenza di infiniti piccoli coretti nelle nostre scuole, asse-
gnando al canto corale sia una funzione educativa, sia il ruolo di strumento gnoseologico principe per
l’osservazione, la conoscenza, la comprensione della cultura musicale nel suo complesso. Fare musica
insieme cantando in coro significa avere a disposizione un cannocchiale agevole ed efficace per osser-
vare forme e fenomeni musicali, facendo scaturire desiderio, necessità, possibilità di indagine diretta-
mente dalla propria esperienza pratica.
Il direttore del coro ha un ruolo fondamentale: deve costruire, mantenere, rinnovare il coro; avere
competenze tecniche e artistiche, ma anche qualità umane, per tenere assieme i componenti del grup-
po, combinandone armonicamente le diverse personalità; spetta a lui la scelta del repertorio; deve
possedere, in modo particolare, ma non limitatamente al nostro campo di analisi, competenze pedago-
giche e didattiche. L’esperienza corale mette dunque a disposizione dei suoi fruitori diretti, coristi e
direttore, cognizione e metacognizione, attraverso l’osservare, il riflettere e l’esprimere; permette di
perseguire e raggiungere, attraverso l’esperienza musicale, una formazione, ottenuta sommando edu-
cazione e istruzione, che regoli il processo educativo senza mai esserne il punto di arrivo.
Come poter formare direttori di coro che possano corrispondere al profilo delineato, cercando di
potenziare quanto già esiste nelle nostre scuole, senza rinunciare a farvi entrare nuove professionalità?
Il nostro Paese vanta una delle personalità di spicco nel panorama mondiale della musica corale per
l’infanzia: Mariele Ventre (1939-1995), nella sua attività di direttrice del Piccolo Coro dell’Antoniano
di Bologna, ha elaborato un vero e proprio metodo didattico per la formazione dei suoi allievi; ha
realizzato un corpus di oltre millequattrocento brani, che costituiscono il repertorio più vasto al mon-
do di canzoni pensate per l’infanzia. Noi siamo convinti, confortati da quanto produsse la Ventre in
vita, e da esperienze assai positive realizzate negli ultimi anni seguendo il modello da ella suggerito,
che il suo metodo e il suo repertorio siano spendibili nelle nostre scuole, e che debbano essere cono-
sciuti e a disposizione di tutti gli operatori della pedagogia e della didattica. La musicista bolognese
non ha lasciato documenti scritti che possano fornire indicazioni sulle sue metodologie didattiche, i
cui frutti sono invece largamente conosciuti. Possiamo quindi attingere a documenti discografici, au-
diovisivi, ed alla testimonianza di suoi allievi per delineare gli aspetti portanti della sua proposta
didattica: eccone una sintesi.
Il coro è un’agenzia formativa permanente dotata di grande flessibilità, sia nello spazio, sia nel
tempo; permette inoltre strategie di individualizzazione e di personalizzazione; le lezioni, in classe,
possono continuare in aule didattiche decentrate69, per esempio in occasione di saggi, esibizioni, con-
——————
68
Ch. A. Overbeck, “Das Kinderspiel”, musica di W.A.Mozart, K598, 1791; in “Lieder, testi originali e traduzioni”,
a cura di Vanna Massarotti Piazza, Vallardi, 1982.
69
Per approfondimenti si può consultare: Frabboni F., La scuola ritrovata, Bari, Laterza, 2002.
certi, tutti momenti di apprendimento e verifica. Infine, come già accennato, è uno strumento di cono-
scenza della cultura musicale. Ogni lezione di canto corale, ogni prova, deve essere dunque un mo-
mento di alta dignità culturale; ciascun corista, pur in giovane età, deve sentirsi parte di un’attività
stimolante e ricca di responsabilità; ne consegue che il direttore deve rivolgersi ai bambini con lo
stesso atteggiamento che avrebbe nel provare con un gruppo di professionisti, e porsi obiettivi disci-
plinari di alto livello qualitativo. Innanzi tutto, il coro va costruito: bisogna conoscere ad uno ad uno i
propri coristi, valutarne le caratteristiche vocali, raggrupparli in conseguenza di quelle. Conosciute le
caratteristiche del gruppo con cui si lavorerà, si può procedere alla scelta di un repertorio minimo con
cui cominciare, e fornire subito ai coristi i testi da analizzare insieme prima di imparare la melodia. In
presenza di bambini che non hanno conoscenze di alfabetizzazione musicale, si rende necessaria una
verbalizzazione dei fenomeni musicali che renda gli allievi in grado di comprendere le richieste del-
l’insegnante; ma la lezione frontale è da evitarsi, se possibile: verrà dato approfondimento ad ogni
particolare che di volta in volta si incontrerà cantando.
L’ascolto è strategia didattica essenziale, accanto alla segmentazione del brano; è attraverso l’ascolto
di un segmento del brano che l’allievo è stimolato alla sua comprensione e ripetizione, scoprendo le
potenzialità del proprio strumento, la voce, e sperimentando spontaneamente alcune caratteristiche del
suono, come l’intensità e l’altezza. Ogni bambino deve eseguire da solo il passo studiato, per valutare
assieme all’insegnante la padronanza del passo stesso, controllare l’intonazione e correggere eventua-
li errori. Per facilitare l’apprendimento e favorire la socializzazione e il confronto, l’insegnante può
proporre a questo punto l’esecuzione a gruppi di due o tre coristi, scegliendo con cura i componenti
dei gruppi, in modo che allievi più deboli siano sempre aiutati nell’apprendimento da compagni a loro
volta stimolati a migliorarsi. In questo modo si favorisce uno scambio di valori all’interno del gruppo-
coro, disincentivando l’emergere di figure predominanti (da distinguere da quelle trainanti, spesso
positive) o, al contrario, non operative. Si favoriscono, inoltre, le relazioni interpersonali, stimolando
armonia fra i componenti del coro, e abituando a voler e saper lavorare, in questo caso fare musica,
con tutti gli altri coristi. Fare musica va benissimo, ma è chiaro che in questo modo si possono rag-
giungere molti obiettivi educativi propri non solo per il gruppo-coro, ma anche per il gruppo-classe.
Infine, segue l’esecuzione in coro. Sintetizzando: conoscenza del testo; segmentazione del brano e
relativo ascolto e comprensione della melodia; esecuzione da parte di ogni bambino del passo studia-
to; esecuzione in gruppi di due o tre bambini; esecuzione in coro.
La Ventre non ha mai lasciato alcunché al caso: nelle fasi sopra descritte possiamo infatti cogliere
chiaramente tre momenti, in sostanza, ben scissi: la lettura, la concertazione e la direzione. La lettura
è dedicata alla comprensione e memorizzazione dei brani, bambino per bambino, poi, se vi è la possi-
bilità, per voci: è in questa fase che l’insegnante-direttore deve sentire gli errori, capire a chi attribuirli,
correggerli; del resto, “la correttezza è l’indispensabile condizione e premessa a ogni interpretazione
musicale che riveli lo spirito dell’opera stessa. Precisione, nitidezza, ordine, cioè precisione delle note
e del tempo, limpidezza sonora e obbedienza alle indicazioni dinamiche e ritmiche sono le esigenze di
tale correttezza: solo da questa base può svolgersi senza ostacoli un’interpretazione ispirata70 ”. Segue
la concertazione, ossia la realizzazione delle dinamiche e del fraseggio: “fra i compiti di primo piano
di un direttore vi è quello di curare la chiarezza delle voci e l’equilibrio dinamico nel suono comples-
sivo..”71 Infine la direzione vera e propria, che consiste nel far eseguire il brano nella sua interezza,
secondo tutti i suggerimenti provati in precedenza. Durante la lezione di musica corale non bisogna
trascurare alcun dettaglio; da un lato è necessario il rispetto dei contenuti, secondo una metodologia
complessa, cui abbiamo appena accennato; complessa perché si fonda su tappe operative che segue
ogni direttore, concertazione e direzione. Dall’altro l’aspetto socio-relazionale, socio-affettivo, con
un continuo stimolo all’apprendimento sia individuale che cooperativo, secondo un confronto reci-
proco costante, che possa accordare nel contempo largo spazio alla individualità di ognuno.
La prova è così una ripetizione dello stesso materiale ripreso e revisionato in tempi, modi, contesti
——————
70
Walter B., Musica e interpretazione, Milano, Ricordi, 1958, pag.74.
71
Ibidem, pag. 117.
——————
72
Il ritrovamento recente di alcuni appunti giovanili della Ventre ha dimostrato quanto l’opera di Dewey sia stata di
grande influenza nella successiva attività della musicista bolognese.
È forse superfluo aggiungere che la partitura non può essere una sorta di trincea in cui l’insegnan-
te-direttore si rifugia durante l’esecuzione: è indispensabile conoscere perfettamente il brano che si
dirige, per poter guardare sempre i propri coristi e relazionarsi ininterrottamente con loro.
Mariele Ventre ha innovato e rinnovato la musica per l’infanzia, attraverso il coro. La sua lezione
pedagogica, didattica e musicale non ha ancora trovato nelle nostre scuole lo spazio dovuto, se non in
casi in cui il riferimento è forse il repertorio-e va bene, anche se non può darci piena soddisfazione-ma
non il metodo di lavoro che è parte integrante di quel repertorio, in quanto momento fondante, prece-
dente e non successivo al repertorio stesso, che ne è diretta conseguenza e a sua volta nuovo punto di
partenza per conoscere la cultura musicale e non solo.
Esperienze sviluppate seguendo in toto il metodo della Ventre sono tuttora in atto73, rivolte sia a
bambini sia a ragazzi sia ad adulti. Ne indichiamo alcune, già consolidate nel tempo: corso di coro,
rivolto a tutti i piccoli studenti, e corso di aggiornamento rivolto agli insegnanti, attivati dal Circolo
Didattico di Renazzo (Fe); seminario di musica corale e direzione di coro, corso di Pedagogia Musica-
le, Prof.ssa Giuseppina La Face Bianconi, Università di Bologna; coro Athena del Civico Museo
Archeologico di Bologna.
Crediamo che la proposta formativa della Ventre possa entrare con forza nella scuola italiana, con
il suo grande slancio innovatore e metodologico che, nei fatti, già da decenni è una realtà. Il suo
modello formativo sintetizza modalità operative sia pedagogiche e didattiche, sia squisitamente musi-
cali, tecniche e formali, secondo un modello che trae spunto da Dewey, Piaget, Vigotskij. La cono-
scenza è costruzione attiva del soggetto, in un sistema in cui l’insegnante-direttore non è un semplice
divulgatore di informazioni, e la scuola non è staccata dalla vita. La Ventre conferisce legittima dignità
alla disciplina musica, che diventa strumento, attraverso il coro, per la costruzione della conoscenza e
non per la sua semplice riproduzione; strumento che stimola la riflessione, offrendo rappresentazione
multiple e composite della realtà. La sua proposta contestualizza con estrema chiarezza compiti e
consegne, lasciando pochissimo spazio all’improvvisazione; segue sequenze didattiche, dettate dal
rigore richiesto dalla disciplina in oggetto, ma diverse di volta in volta, da bambino a bambino, da
canzone a canzone, offrendo ambienti di apprendimento assunti da casi e situazioni reali; favorisce
dunque strategie individualizzanti e personalizzanti, e anche costruzione cooperativa della conoscen-
za, attraverso continue negoziazioni sociali. Infine, incarna competenze indispensabili non solo per un
direttore, ma anche per un insegnante, che, come suggerisce F.Frabboni, deve possedere questo
“quadrilatero professionale. a) La competenza disciplinare…b) La competenza didattica..c) La com-
petenza relazionale…d) La competenza nel saper essere. È intesa come professionalità pedagogica
nell’ambito delle scienze dell’educazione..74.
Cantare in coro significa dunque imparare a chiedere, rispondere, ascoltare, riflettere. Dirigere un
coro significa appassionarsi nell’appassionare.
——————
73
Molte iniziative finalizzate a promuovere la proposta formativa ed artistica della Ventre sono promosse dalla
Fondazione Mariele Ventre di Bologna.
74
Frabboni F., La scuola ritrovata, Bari, Laterza, 2002, pag. 13
Finito di stampare
nel mese di dicembre 2005
per conto della Tecnodid Editrice srl
Piazza Carlo III, 42 - 80137 Napoli
dalla Editor Tipografia
Melito di Napoli (NA)