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IL BAULE DI NEWTON

Introduzione
L’abisso della conoscenza e le patologie del sapere
Il concetto del crescente deficit democratico di Edgar Morin,
definisce che il sapere scientifico tende a diventare sempre più
esoterico e anonimo. La nostra tradizione culturale ha ritenuto che
‘’conoscere’’, nella sostanza, significa conoscere le cause.
La nozione di causalità definisce una connessione necessaria tra
fatti dell’esperienza, sia che tale connessione rimandi a cause
puramente fisiche e meccaniche, sia che essa richieda per la sua
comprensione e spiegazione il ricorso a cause intelligenti e
finalistiche. Per Aristotele la conoscenza scientifica coincide con
la ricerca delle cause, che egli raccolse entro quattro tipologie,
differenziando cause materiali (ciò di cui le cose sono fatte),
formali (la forma o il modello delle cose), efficienti (l’agente che
produce le cose) e finali (il fine per cui una cosa viene prodotta).
Con Galileo Galilei in Italia e Cartesio in Francia, il pensiero
moderno sconfessa l’importanza conoscitiva di ogni causa che non
lasci ridurre alla causa efficiente, alla quale soltanto può spettare il
nome di causa. L’unico modello di spiegazione scientifica sarà
pertanto quello per il quale un oggetto o un fenomeno risultano
spiegati se se ne può assegnare la causa. Se si verifica la causa
dovrà necessariamente verificarsi anche il fenomeno da essa
causato; essa infallibilmente lo produce e lo pone in essere.
Hume aveva sostenuto che tra causa ed effetto non v’è un legame
necessario, ma solo una connessione di fatto, e che dalla
conoscenza di una cosa come causa, non discende la conoscenza
di una cosa diversa come effetto.
Immanuel Kant, la causalità è una rete con la quale il soggetto
conoscente mette ordine nel mondo della natura, non una proprietà
delle cose. La relazione tra la causa e l’effetto non è più
circoscrivibile secondo i criteri di un’oggettività assunta
tradizionalmente come mera adeguazione dell’intelletto alle cose.
Si è addirittura giunti all’eliminazione del concetto di causalità o
di nesso causale dall’ambito scientifico, sostituito dal concetto di
‘’legge descrittiva’’.
Secondo la visione cibernetica in ogni sistema regolato uno o più
dispositivi periferici di sensorialità trasmettono a un organo
centrale di comando informazioni concernenti variazioni
significative dello stato del sistema rispetto alle sue condizioni
standard. Si tratta dell’effetto feedback o retroazione, per il quale
l’organo di comando dopo aver elaborato queste informazioni
interviene sul sistema per ristabilirne le condizioni standard.
Secondo John Searle, se ciascuna azione può essere realizzata in
modi diversi, essa può produrre un numero imprecisabile di
configurazioni di stimolo sul nostro sistema nervoso, sarebbe un
vero miracolo se questi innumerevoli stimoli producessero
esattamente lo stesso effetto neurofisiologico sul comportamento.
Una persona non è un elemento isolato, ma un’immagine formata
dalle sue interazioni con gli altri, dall’acquisizione di modelli o
schemi o abiti di condotta assunti dal contesto e indotti e impressi
storicamente dallo stesso – nonché dalle credenze ad essi
collegate, sia personali sia collettive.
George Herbert Mead, che gli esseri umani non rispondono al
gesto in sé, ma al gesto in quanto portatore di un significato, alla
luce del quale si determina il loro abito di condotta. La ricerca, sia
nel campo della scienza cosiddette ‘’esatte’’ e normali, sia in
quello delle scienze sociali, ha così cominciato a capire che non si
hanno dispostivi meccanici per l’accertamento automatico della
verità e per la confutazione degli errori e delle illusioni e che il
vero è radicalmente una domanda, un’interrogazione essenziale, e
un processo mai concluso e sempre revocabile. Ogni ipotesi
interpretativa – ogni legge naturale, teoria, descrizione esplicativa
o comprensione – è sempre rivedibile, ma, se non si può mai dire
definitivamente se un’interpretazione sia giusta, si può sempre
dire quando è sbagliata. Ci sono interpretazioni, cioè, che
l’oggetto da interpretare non ammette.
Conoscere non è contrapporre un sapere ad un altro sapere, bensì è
la capacità di dare un volto alternativo ai saperi identitari,
collegando tra loro diverse versioni del mondo e transitando, entro
la rete delle nostre conoscenze interconnesse e dei nostri plurimi
approcci cognitivi, da una modalità conoscitiva a un’altra.
Il modello della coappartenenza: alla logica della sequenza
temporale di un termine antecedente (causa) dal quale scaturisce
un termine conseguente (effetto) subentra l’orizzonte delle
connessioni di senso fra rappresentazioni tra loro simultanee, la
cui unica ragione è il loro coesistere in una scena comune, in un
contesto più ampio. L’idea che le cose siano l’unica causa delle
nostre esperienze percettive viene così meno. Il mondo non
intrattiene un rapporto causale unilineare (dal passato al futuro)
con le percezioni. In linea con questa impostazione
epistemologica, la ricerca cibernetica mette al bando ogni forma di
causalità escludendo che sussistano antefatti ontologici di cui il
mondo non sarebbe che l’esplicitazione causale.
Con tale approccio cibernetico, Martin Heidegger pone in
un’ottica nuova il grande tema dell’unificazione post-metafisica
dei saperi. Heidegger vede nella cibernetica un’area non iscrivibile
nelle strutture e nelle gerarchie metafisiche dell’essere, tutto ciò
diventa anacronistico con gli strumenti d’analisi che offre il
pensiero cibernetico, debba modificare il proprio agire in base
all’attrito e alle resistenze che l’oggetto stesso gli oppone. Queste
possibilità alternativa di articolare la relazione fra soggetto e
oggetto rappresenta il merito principale del metodo cibernetico.
Esso non spinge alla determinazione concettuale di strutture stabili
e fisse, impegnando invece a comprendere e a modellizzare
processi innovativi e dinamici e consentendo una rivalutazione
dell’essere inteso come tempo, e non già come pura presenza.
La cibernetica, da un lato, conclude l’epoca della metafisica,
dall’altro, apre una via, un methodos, per praticare effettivamente
l’oltrepassamento della metafisica stessa, conferendo potere
causale anche alla dimensione teleologica del futuro e riscoprendo
la componente autotelica dell’agire.
Secondo Morin non ci si rende ancora ben conto che il
frazionamento delle conoscenze non solo compromette la
possibilità di una conoscenza della conoscenza, ma anche le nostre
possibilità di conoscenza di noi stessi e del mondo, provocando
una patologia del sapere. Il mondo sociale, è perlopiù,
un’illusione. Il punto è che la nostra ragione ha scoperto dentro di
sé un punto cieco, un ‘’black hole’’.
L’utilità e l’importanza della suddivisione delle discipline è stata
ampiamente dimostrata dalla storia della scienza e la stessa
sociologia nasce da un gesto di ribellione intellettuale nei
confronti di un sapere filosofico onnivoro, teso a risolvere le
questioni del sociale nel solo ambito della speculazione sui
costumi, sull’etica e sulla morale. Ciò deve spingerci a considerare
attentamente la circostanza per la quale gli oggetti delle scienze
non sono cose autosufficienti. Morin, insieme ad altri insigni
scienziati hanno ampiamente mostrato che i legami e la solidarietà
tra gli oggetti disciplinari della ricerca, e tra questi e l’universo
con il quale di volta in volta interagiscono, non possono essere
trascurati, obliati e annichiliti.
Èmilie Durkheim, che è stata una formidabile epistemologa, oltre
che una grande sociologa, ci ha insegnato che, esattamente come i
maghi; come gli sciamani delle società primitive, gli uomini di
scienza sono, prima di tutto, tendenzialmente portati a immaginare
e a predisporre ipotesi ausiliarie o ad hoc per spiegare il fallimento
delle loro teorie.
Newton costituisce un caso emblematico di questa situazione
epistemologica, e nella prefazione ai Principia scrive: molte cose
mi spingono a sospettare che tutti i fenomeni della natura possano
dipendere da certe forze, per effetto delle quali le particelle dei
corpi, per cause non ancora conosciute, o sono attratte tra loro e si
connettono secondo figure regolari, o si respingono
vicendevolmente e si allontanano. Poiché queste forze rimangono
ignote, i filosofi hanno finora indagato la Natura invano. Ma io
spero che i principi esposti in questo libro getteranno qualche luce
o su questo modi di filosofare, o su uno più veritiero.
Newton quindi sarebbe uno strenuo sostenitore di un rigido,
naturale e onnipervasivo meccanicismo, estraneo all’umano.
Come ha scritto ancora Morin, bisogna essere consapevoli della
questione dei paradigmi: un paradigma sulle menti perché
istituisce i concetti sovrani e le loro distinzioni logiche.
Capitolo 1
La luna, la mela e lo sguardo
1) Anatemi all’eresiarca: breve storia epistemologica di un baule
La mela, che ormai contrassegna come icona insostituibile l’opera di Isaac
Newton, si tratta del frutto che Newton raccontò di aver visto cadere nel
proprio giardino: una mela attratta a terra da una forza e che al suo sguardo
non apparì essere di natura puramente meccanica. Fu allora che egli intuì,
sulla base di un’ispirazione improvvisa, che quella forza era la stessa che
teneva in orbita la luna, giungendo alla scoperta della legge di gravitazione
universale. Dove dimostra che questa forza si trasmette nel vuoto, facendo
sentire la sua azione a distanza, provando al contempo che i pianeti non
sono spinti da vortici, come voleva Cartesio e con lui la comunità
scientifica dell’epoca. La legge della gravitazione conferma che due corpi
nell’universo si attraggono con una forza direttamente proporzionale al
prodotto delle due masse e inversamente proporzionale al quadrato della
distanza che li separa, fornendo, attraverso l’esplicitazione di una forza
invisibile, quell’attrazione gravitazionale, una convincente spiegazione del
movimento dei pianeti. Con Newton si realizzò un duplice superamento:
da un lato venivano meno i presupposti della meccanica cartesiana,
dall’altro si superava definitivamente la descrizione dell’universo
promossa dall’astronomo Tolomeo e già assunto da Aristotele, secondo la
quale la terra era ferma al centro dell’universo, mentre intorno ed essa
ruotavano, entro sfere concentriche e a distanze crescenti, la Luna,
Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno, ad arrivare all’ultimo
cielo delle ‘’stelle fisse’’.
Riportando ad un unico processo causale e ad un’unica forma di
spiegazione teorica sia le leggi sul moto dei pianeti, sia quella della caduta
dei gravi, Newton dimostrerà, con conseguenze radicali anche sul piano
politico e sociale, come un unico ordine governi tanto la realtà celeste,
quanto la realtà terrestre. Cioè spiega sia ciò che accade nel cosmo, sia ciò
che accade sulla Terra.
Il baule di Newton dovrebbe insegnarci che il processo della scienza,
naturale e sociale, non è necessariamente cumulativo, ma è un incontro, a
volte anamorfico, tra mondi solo apparentemente lontani, ontologicamente
distinti e irriducibili. Che le cose stiano in questi termini è pure mostrato
da un’altra circostanza.
2) Il multidimensionale e l’inseparabile
La luna, la mela e lo sguardo. Entità separate, che alludono ai tre grandi
scenari nei quali si colloca l’esperienza del mondo: quello fisico, quello
biologico-evolutivo e quello psichico-sociale. Gregory Bateson, sostiene
che in realtà i mondi in gioco sarebbero sostanzialmente due: quello delle
scienze storico-evolutive, le due sfere del vivente (biologica-evolutiva e
psichico-sociale). Il punto resta quello di cogliere le intersezioni tra le parti
dell’universo e i saperi che lo descrivono e interpretano. Tutto ciò senza
pretese di universalismo, nel senso di riduzione della multiforme
complessità del reale a processi unificatori sia di tipo fisico, sia di tipo
metafisico. È proprio nell’intersezione tra i saperi che si fanno evidenti gli
spazi mutevoli di ogni approccio conoscitivo, rendendo chiaro che ogni
distinzione vive di ‘’con-fusioni‘’ interne e che ogni confusione, o
intreccio, vive di ‘’distinzioni’’ esterne. Bateson chiama rispettivamente
Pleroma e Creatura questi due mondi.
Si dovrà mettere in evidenza che il mondo della vita e quello fisico hanno
poteri esplicativi del tutto diversi, fisico: ‘’forze e impatti forniscono una
base sufficiente di spiegazione’’, mondo della vita: ‘’nulla può essere
compreso senza invocare differenze e distinzioni’’.
Con l’abbandono della convinzione si è imposta una visione
autoreferenziale della scienza stessa, sulla base della quale si è
ampiamente mostrato che essa può apprendere soltanto entro i contesti che
la scienza stessa garantisce. Ne segue che il linguaggio non è mai solo
linguaggio e che tra il linguaggio, i concetti e la cosa da esso indicata si
stabilisce un nesso inscindibile che non può essere rimosso a vantaggio del
linguaggio stesso né delle cose.
A determinare il comportamento individuale o collettivo non sarà un
elemento deterministicamente assunto come causa, bensì un insieme di
fattori compositi e ricorsivi. Il ruolo è solo una relazione a metà, cioè è
l’estremità di una relazione. E non si può studiare un’estremità della
relazione e pensare che ciò possa condurci a una qualche spiegazione
scientificamente accettabile.
L’errore fondamentale di attribuzione: deformazione sistematica del
nostro modo di interpretare i comportamenti altrui, per cui si tende a
sottovalutare l’incidenza della situazione per sopravvalutare piuttosto le
caratteristiche di colui che viene assunto come il protagonista di quella
stessa situazione.
3) Il problema degli errori e delle illusioni
Sottovalutare il contesto e sopravvalutare i protagonisti
dell’azione spinge alle prime forme di separazione e di giudizio
morale (buono o cattivo, giusto o ingiusto) con la conseguente
comprensione della natura delle finalità perseguite, soprattutto
quando si utilizzano alla buona paradigmi epistemici ricavati
dall’individualismo metodologico e dalle teorie sociologiche
dell’agire, viene a rafforzarsi l’ingenua tendenza a generalizzare
l’attribuzione d’intenzione, la quale del resto trova la propria
ragion d’essere nel bisogno comunemente avvertito di cercare
intenzioni anche dove non ce ne sono. Rimuovendo logica e buon
senso, il nostro abituale modo di pensare taglia corto e spinge il
ragionamento ad adeguarsi alle nostre convinzioni, imponendogli
spiegazioni personalizzanti e autoimmunizzanti. Non sempre il
nesso tra un comportamento e la sua intenzione esplicativa è
qualcosa di immediatamente leggibile, come dice Wright: esse
siano logicamente connesse (nel senso che la ragione intenzionale
di un’azione si riferisce internamente all’atto stesso che realizza)
non implica che tutte le azioni siano intenzionali. L’attribuzione di
intenzione assume anche una forma di attribuzione intenzionale
collettiva, si tratta della tendenza a ritenere che un fenomeno
isolabile debba avere necessariamente una causa altrettanto
isolabile che Francis Bacon lo avrebbe chiamato idola theatri
(errore logico). Noi tendiamo a cercare la causa, mai è in gioco
una sola, sicchè può dirsi con relativa certezza che ‘’dagli eventi
naturali non si devono ammettere cause più numerose di quelle
che sono vere e sono sufficienti a spiegare i fenomeni. La natura
infatti è semplice e non sovrabbonda di cause superflue’’ Newton,
Principia.
La prima regola, soprannominata il rasoio di Ockham, dice ‘’non
bisogna moltiplicare gli enti senza necessità’’ l’impossibilità
logica di ritenere che ad un effetto debba corrispondere una sola
causa non è in nessun punto esplicitata da Newton, né da Ockham.
La massima ‘’stesso effetto, stessa causa’’ va sostituita con la
massima ‘’stessa causa diversi effetti, diverse cause stesso
effetto’’.
L’analisi dell’azione intenzionale ci mostra come sia essenziale
inserire ogni fenomeno nel contesto che gli spetta, esaminando
accuratamente i meccanismi che stanno alla base della costruzione
spontanea delle credenze. In base a determinati esempi slegati
tratta della circostanza per la quale un fenomeno (non importa se
fisico, biologico o sociale e psichico) resta inspiegabile e
incomprensibile finchè il campo di studio non è abbastanza ampio
da includere il contesto, con i suoi insiemi e sottoinsiemi, nel
quale il fenomeno si presenta ed evolve.
Ora, la fenomenologia della percezione ci insegna che una stessa e
identica immagine può essere vista come rappresentativa di due
oggetti del tutto diversi. Ci illustra l’arbitrarietà delle separazioni
che si creano nelle definizioni delle cose, quando definiamo
qualcosa come separata da qualcos’altro rischiamo di
compromettere la nostra capacità di vedere le cose nelle
interrelazioni e nelle loro dinamiche. La sociologia non può che
definire il proprio oggetto nei termini delle relazioni che esso
intrattiene, operando attraverso il contrasto e il contesto, invece
che limitarsi a descriverlo, misurarlo e isolarlo con classificazioni
astratte.
Il problema del contesto e delle differenze spiega l’idea
fondamentale che sta alla base del modo in cui Bateson, i processi
di comunicazione di qualunque tipo, e tra soggetti di qualunque
natura, fu quella di distinguere il contenuto esplicito di un
messaggio dal meta-messaggio che inevitabilmente lo
accompagna. Il meta-messaggio è un genere di messaggio che ha
proprio la funzione di segnalare al destinatario il contesto dentro il
quale il messaggio esplicito assume significato. La teoria del
‘’doppio legame’’ afferma che se una persona è esposta
continuamente a comunicazioni contraddittorie, senza che possa
sottrarvisi, può incorrere in gravi patologie psichiatriche. Il
principio del doppio legame diventa per la conoscenza sociologica
un principio esplicativo di carattere generale, valido per spiegare
la costruzione sociale delle credenze e delle strutture in termini di
valori, norme, simboli e concetti sociali e di fenomeni quali
l’espressione artistica, il gioco e l’umorismo.
Kant mostra che il tempo e lo spazio sono condizioni delle idee e
non sono idee a loro volta. Le idee, insomma, non sono come i
bastoni o le pietre; piuttosto sono ‘’estremi’’ di quell’intreccio
vivente che è il mondo con tutte le sue relazioni, nell’universo
fisico l’espressione ‘’relativo a’’ non ha alcun senso.
4) La crisi dei fondamenti tra incertezza e indecidibilità

Capitolo 2
Gli ordini sociali e la questione metodologica
1) La sociologia presa per la coda: breve storia di un naufragio
con spettatore.
Collins e Makowsky: ‘’ storia delle teorie sociologiche ‘’. Essi in
quest’opera affermano che: ‘’non tutti siano convinti di conoscere
la società. In realtà, invece, il mondo sociale è un mistero’’ la
società è un mistero reso ancora più fitto dalla scarsa
consapevolezza che ne abbiamo. La società è un elemento
fondamentale della nostra esistenza, ogni giorno siamo circondati
da altre persone con le quali dobbiamo e vogliamo integrare, e di
cui abbiamo bisogno per il soddisfacimento delle nostre
motivazioni di base. Tuttavia questi aspetti non sono sufficienti ai
fini della comprensione dei processi o delle leggi, che presiedono
la formazione e il funzionamento del mondo sociale. La storia
della sociologia è la storia del lungo e difficile sforzo per prender
coscienza di cose nascoste o considerate come naturali, la realtà
sociale è perlopiù un’illusione, sostenuta da errori di attribuzione.
Tuttavia l’esistenza di illusioni e di errori non è compatibile con
l’esistenza di una realtà che resiste alle nostre interpretazioni; anzi,
è solo alla luce di quest’ultima che il velo dell’illusione può essere
rimosso. Bisogna accettare che le nostre modellizzazioni della
realtà possono essere continuamente falsificate e smentite
dall’esperienza, la storia della sociologia è una progressione di
concezioni della realtà, ogni concezione della realtà ha le proprie
illusioni.
2) Sguardi remoti: la scienza della società tra ‘700 e ‘800.
Uno dei segnali del definitivo tramonto di un’epoca è dato dalla
tendenza alla sua mitizzazione, il medioevo concepiva l’universo
secondo un ordine perfetto.
Lo spirito del tempo fu la ragione, il suo nemico la religione. La
storia veniva considerata grazie al progredire dell’illuminismo.
Con la fine delle conquiste napoleoniche e la caduta del governo
di Bonaparte, divenne chiaro che la ragione non poteva erigere
nuovi culti sotto l’egida di nuovi inquisitori. È a questo punto che
inizia la storia della sociologia, figura importante è quella di Saint
– Simon. La teoria della società di Saint – Simon si fonda sull’idea
che l’età dell’industria rappresentava una nuova era della storia e
riteneva che il progresso non riguardava solo la scienza, ma
poteva allargarsi a tutte le condizioni di vita -> economia e
sociologia sono scienze che nascono condividendo fin dall’inizio
gli orizzonti sconfinando l’una nell’altra, del resto l’economia è
scienza delle relazioni. Il padre dell’economia moderna Adam
Smith sosteneva che sono gli uomini ad avere inventato il
mercato, il quale è un istituzione storica, e ad aver inventato la
moneta. È riconducibile a 3 grandi fasi:
 La prima è una fase che vede l’uomo come un parassita
dell’ambiente naturale;
 La seconda fase coincide con la cosiddetta rivoluzione
agricola, l’uomo impara a sfruttare l’ambiente con la
coltivazione e l’allevamento;
 L’ultima fase risale a poco più di due secoli fa, si tratta della
rivoluzione industriale.
Dapprima la nuova scienza dell’economia e la conoscenza
sociologica si applicano soprattutto ai fenomeni della divisione del
lavoro (durkheim).
Poi, mentre l’economia si estende ai problemi dello sviluppo, la
sociologia si cimentò con lo studio della società, con le questioni
dell’ordine sociale e delle sue strutture.
Saint – Simon elabora un quadro dello sviluppo storico della
società, sulla distinzione tra epoche critiche ed epoche storiche. Le
prime sarebbero fondate sul disordine, le seconde sull’armonia. E
a quest’ultime che si deve rivolgere il filosofo sociale nel tentativo
di prevedere lo sviluppo stesso del quadri sociali orientandolo e
dirigendolo. Per il filosofo la totalità dei fenomeni è da
suddividere in vari settori disciplinari, corrispondenti a diversi
gradi antologici della realtà stessa. La posizione di Saint – Simon
tuttavia non è caratterizzata da una cieca fiducia nella capacità del
filosofo sociale poiché nel mondo delle società umane non molte
sono le cose che possono essere previste. L’impostazione di Saint
– Simon è emblematica e ben mostra lo stile epistemologico di chi
non si è ancora confrontato con i problemi metodologici posti
dalla complessità dei saperi (egli infatti era un seguace del
paradigma codificato, ossia i saperi non si intersecano tra loro).
Nello stesso clima culturale, importante è Comte, principale allieo
di Saint – Simon è ad egli che si deve l’introduzione del termine
sociologia nel panorama delle scienze. Anche per Comte vige
l’idea che i saperi non solo debbono essere ben distinti, ma anche
rigorosamente riconducibili a dati puramente osservabili. Per
Comte la sociologia è una scienza sintetica, la quale deve trattare i
fenomeni sociali come se fossero la risultante di un’unità organica.
La sociologia è una scienza che assume il metodo scientifico
dell’osservazione, dell’esperimento, della comparazione, della
critica e della ricerca storica. Nell’ottica comtiana, la distinzione
tra statica e dinamica costituisce un prerequisito dell’applicazione
del metodo scientifico all’analisi sociale. Nessun fatto sociale,
secondo Comte, potrebbe aver carattere scientifico senza essere
riferito a qualche altro fatto sociale -> è una virtù del metodo
comparativo che le trasformazioni strutturali della società possono
essere parzialmente previste. In questa direzione, diventa
essenziale rimuovere quelle perturbazioni che impediscono al
sociologo di reperire le cause continue che dominano i fenomeni
sociali. Questo tentativo di rimuovere le perturbazioni rende
esplicita l’incapacità comtiana di restituire un immagine della
realtà sociale.
3) Fuoco alle polveri: Karl Marx e le radici di una epistemologia
del conflitto.
Il tentativo della sociologia parigina era stato quello di valorizzare
gli ordini, in altri termini si sostituisce la dimensione dell’IO con
quella del NOI. In questa cornice va collegato Karl Marx: per lui il
‘’noi’’ esprime la concreta conoscenza degli uomini nel suo
rapportarsi al mondo esistente. Per Marx, Fenerbach è senz’altro
colui che per primo ha individuato i limiti, idealistici della
dialettica hegeliana. Egli infatti da un lato mantiene il concetto
hegeliano di alienazione e dall’altro converte questo stesso
concetto in fatto esclusivamente umano antropologico.
Le strutture del sociale non si modificano semplicemente
trasformando la coscienza che ne abbiamo, si tratta piuttosto di
comprendere come la stessa coscienza sia un prodotto sociale e
come l’uomo sia un essere sociale. Le trasformazioni della
coscienza possono soltanto essere il risultato di mutamenti sociali
concreti e strutturali. L’uomo giunge alla coscienza dell’universo
solo mediante la conoscenza dei propri simili. Per Marx dialettica
e prassi precedono di pari passo, egli scrive che non si può, a due
lati di ogni categoria economica, togliere quello cattivo e
conservare il buono, giacché ‘’ è il lato cattivo a produrre il
movimento che fa la storia’’. Nello scontro tra classi antagoniste,
nel quale prende corpo la contraddizione tra rapporti di
produzione e forze produttive, sono propriamente quest’ultime a
promuovere il cambiamento -> il mondo borghese esprime la fase
storica in cui il contrasto è maggiormente avvertito. Secondo Marx
l’essere umano è nello stesso tempo un ente naturale e un ente
sociale -> la produzione dell’individuo isolato al di fuori della
società è assurdo quanto lo è lo sviluppo di una lingua senza
individui che lo parlino tra loro. La coscienza che affonda le
proprie radici nella struttura economica. Anche l’organizzazione
dei sistemi normativi e istituzionali, appare come una
sovrastruttura sicché nella società pensata con il modo di
produzione che agisce come variabile indipendente, rispetto alla
quale tutto ciò che non si lascia ridurre alla base economica è solo
sovrastruttura. Marx contesta anche il socialismo utopico in
quanto è astratto ed è incapace di comprendere come le analisi
economiche che esso svolge risultino funzionabili al modo di
produzione capitalistica. Solo la corretta interpretazione del
movimenti economici in chiave naturalistica consente di cogliere i
limiti e la storicità dell’orientamento borghese – capitalistico.
Secondo Marx il crollo del capitalismo si presentava come un fatto
assolutamente necessario, senza il quale non si sarebbe potuto
compiere l’ultimo passo nella dissoluzione del sistema
capitalistico – borghese e cioè l’estinzione dello stato. Da qui
l’utopia marxista nella quale la soppressione dello stato di
dovrebbe convertire nella soppressione delle organizzazioni e
quest’ultima si dovrebbe a sua volta convertire nella soppressione
della storia -> la storicità è ‘’ materiale storico ‘’.
4) Contra Leviathan: necessità, storia e stato nelle revisioni del
Marxismo tra scienza e dialettica.
Il primo grande rivisionista della dottrina di Marx fu Eugels, ora
se per lui gli errori di Marx sono solo errori che coinvolgono la
necessità di una revisione, per Berustein tali errori richiedono una
profonda revisione ‘’strategica’’ del marxismo. Per Berustein
essere materialista significa soprattutto ricondurre ogni
accadimento a ciò che egli chiama processo meccanico. Il
problema per il materialista diventa solo una questione di cause da
individuare a priori. Tuttavia questo approccio è per berustein
inadeguato in quanto la storia non è un processo meccanico. La
teoria del materialismo storico va riletta in un quadro che tenga
conto non solo dei tanti fattori che incidono sulla vita degli uomini
ma anche dell’idea morale che orienta l’agire dei soggetti sociali.
Egli riconosce che lo sviluppo politico, giuridico, filosofico,
letterario poggia su quello economico ma non si risolve
interamente in esso per Berustein la natura umana è flessibile in
ordine alle capacità di adattamento a nuove condizioni naturali e a
un nuove ambiente sociale anche se non bisogna dimenticare che
quando si tratti delle nazioni moderne, con le loro consuetudini
formatesi attraverso le rivoluzioni. Secondo Berustein le cause
puramente economiche offrono solo il terreno iniziale al
radicamento di certe ideologie in quanto la forma che assumono
dipenderà dalla cooperazione di tutta una serie di influssi. Di
conseguenza quanto più si considera il grado di influenza di altri
fattori nella costituzione della realtà sociale.
Per Adler la dialettica è la struttura essenziale dell’essere e non
solo un movimento della lotta di classe -> il materialismo storico è
un principio euristico mentre il socialismo è un’ideale etico.
Secondo Adler la natura stessa garantisce un progresso verso
forme di socializzazione sempre più libere. Importante dal punto
di vista epistemologico risulta essere Gramsci, il quale propone un
nuovo concetto in cui economia, politica e filosofia concorrono a
determinare un processo storico di trasformazione. Ciò significa
che tutto ciò che la scienza afferma non è oggettivamente vero,
soprattutto non lo è in modo definitivo in quanto se le verità
scientifiche fossero definite, la scienza avrebbe cessato di esistere
come tale, come ricerca e si sarebbe ridotta a una divulgazione del
già scoperto. Per Gramsci la sociologia è la ‘’ filosofia dei non
filosofi ‘’. L’impresa scientifica coincide con la stessa attività
politica in quanto anch’essa trasforma gli uomini e li rende diversi
da quelli che erano prima del suo intervento.
5) Congetture antimarxiste: Malthus, Bentham e Mill.
Mill dimostrò l’inadeguatezza della prospettiva marxista e la
correttezza razionale delle prospettive economiche, etiche e
scientifiche del liberalismo corrente che si è sviluppato in
Inghilterra tra il ‘700 e ‘800. Il termine economia significa
letteralmente ‘’amministrazione della casa’’, Ferguson sostenne
che la società si formi in analogia ad un corpo vivente: come il
corpo è formato da diverse parti specializzate così che la realtà
sociale dovrà modellarsi sulla divisione delle varie parti del lavoro
che la compongono. A Smith di deve invece la legge della
domanda e dell’offerta sulla cui base gli scambi sono regalati a
beneficio della collettività. Tuttavia secondo Malthus non sempre
l’andamento di queste leggi è in grado di fornire i risultati attesi in
termine di felicità e benessere. La sua tesi di fondo era che la
popolazione tende naturalmente ad accrescersi con un ritmo
geometrico estremamente più rapido di quello con il quale si possa
accrescere i mezzi di sostentamento che è dato da un rapporto
aritmetico. Pertanto per il filosofo salvaguardare i poveri significa
permettere loro di riprodursi, aggravando così il problema della
povertà. Secondo il filosofo il mercato è solo un tipo di sistema
economico tra molti altri e non ha certo il carattere di legge divina,
la logica della scienza si fonda sulla deduzione.
Nelle scienze sociali invece questa determinazione ha un carattere
approsimativo e soggetto a cambiamenti criticando.
Mill sostiene la peculiarità dei fenomeni sociali. La conclusione
cui giunge Mill è che il metodo più appropriato resti quello ‘’
deduttivo ‘’ che consiste nell’inferire l’accadimento degli eventi
da leggi, considerando le circostanze empiriche che definiscono la
concreta situazione in cui questi stessi eventi si verificano.
Secondo Mill i fenomeni di cui si occupano le scienze morali sono
pensieri, sentimenti e azioni degli esseri umani, pertanto non
possono essere predette scientificamente. La scienza della natura
umana esiste nella misura in cui le verità approssimate, di cui si
compone una conoscenza pratica dell’umanità, possono essere
esibite come corollari delle leggi universali di natura sulle quali
riposano. La scienza della società ha raggiunto un altissimo grado
di perfezione. La natura mostra per primo quello che il metodo
non è, questi metodi erronei sono il metodo sperimentale e il
metodo estratto.
Le leggi sociologiche, insomma, esprimono sono nessi tendenziali
tra gli eventi, con la conseguente e strutturale problematicità delle
urgenze che si possono trarre da queste stesse leggi.

Capitolo 6
I linguaggi e le pratiche delle complessità
Luhmann dichiarò che la società contemporanea è qualcosa di
essenzialmente diverso dalla società nella quale vivevano Marx,
Durkheim e Weber.
È questa una prima e fondamentale ragione per studiare la società
come SISTEMA. Di essa colpisce soprattutto un dato: l’aumento
di complessità nella dinamica delle relazioni. La complessità,
peraltro aumenta anche il rapporto all’ambiente mutevole,
perturbato e ciberneticamente rumoroso, in cui il sistema è
inserito. Per Luhmann i sistemi si auto-mantengono solo
attraverso operazioni di riduzione della complessità. Luhmann
distingue i sistemi viventi, i sistemi sociali e i sistemi psichici.
La CONOSCENZA SOCIALE è rappresentata dalle azioni,
proprie degli uomini, nella loro interazione con il mondo-ambiente
nel quale si trovano a vivere. Alla luce di ciò, la realtà sociale, e
con essa la dimensione dell’agire, non possono essere considerati
come se fossero un’intenzione razionalizzatrice. Infatti, la
dimensione dell’agire e l’attività del pensare, sono sempre unite a
una sensazione, percepita con i sensi (LA PASSIONE).
LE PASSIONI risultano essere perturbazioni dell’animo o
fluttuazioni, come si dice, perché increspano e appannano la
superficie della razionalità. Molti teorici sociali, sia nel periodo
della sociologia classica, sia nel novecento, hanno sottovalutato,
persino ignorato e addirittura dato come irrilevante per la
sociologia, lo spazio della dimensione emozionale in cui ciascun
individuo sociale è coinvolto.
Da qui è venuta progressivamente affermandosi l’idea che il
conoscere, non sia solo il frutto di un’attività razionale
completamente distaccata dalle emozioni, bensì, sia il risultato di
una continua interazione tra ciò che pensiamo e ciò che sentiamo.
Da qui, possiamo notare come, la società contemporanea sia
basata sul processo PERCEZIONE-PENSIERO, a differenza della
società classica. Se si svolge uno sguardo a quest’ultima, alla
cosiddetta tradizione classica, si nota che il tratto dominante di
questa tradizione è caratterizzato dalla tendenza a sviluppare una
razionalizzazione che ponga i sentimenti sotto controllo e quindi
neutralizzandoli. Da sempre quindi, la nostra tradizione di
pensiero, ha letto come difficile, problematico e scandaloso, i
termini di un rapporto che sono RAGIONE e PASSIONE.
La tesi sostenuta dalla nostra tradizione ha insomma, perlopiù,
ritenuto che obbedire al richiamo degli impulsi, arrendendosi a
quelli che sono stati definiti desideri, significherebbe soltanto
abbandonarsi, inermi, a stati d’animo imprevedibili e
contraddittori, rinunciando alla libertà e all’autocontrollo. Proprio
per questo, sono state attivate ed elaborate molteplici strategie per
moderare, addomesticare e talvolta, estirpare le passioni. LE
PASSIONI ACCECANO LA RAGIONE.
Tuttavia, è venuta sempre più determinandosi la convinzione che
non fosse necessario distruggere le passioni, bensì bisognava
usarle come strumento per orientare l’agire, in modo da renderlo
PREVEDIBILE. Inizia un percorso di razionalizzazione delle
passioni. Tutto ciò è finalizzato al mantenimento di un’identità
collettiva tanto razionale, quanto passionalmente protesa a
difendere se stessa. In questa direzione è l’economia politica, a
partire dal settecento, che inizia a distinguere le PASSIONI in
FREDDE e in CALDE. Le prime emergono come collegate a
bisogni e desideri prevedibili, i quali, essendo prevedibili,
appaiono dotati di una certa razionalità. Le seconde, invece, sono
quelle socialmente temute e condannabili, poiché potenzialmente
violente, agitate e inconsistenti, in una parola, cioè, imprevedibili.
La distinzione tra passioni fredde e passioni calde indica già
chiaramente dove cada la barra tra razionale e irrazionale:
razionale è tutto ciò che è prevedibile, quindi calcolabile (passioni
fredde); irrazionale è tutto ciò che è imprevedibile e, in quanto
tale, inaffidabile (passioni calde).

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