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Figlio unico di madre sarta e padre cameriere, in crisi matrimoniale, deve gran parte della sua

ascesa sociale alla determinazione della madre, Lucia Giannotti, che rispolverò le tradizioni
familiari di decorazioni e tinture di tessuti per abbandonare la lavorazione casalinga destinata alle
sartorie e mettersi in proprio (1875), investendo le sue risorse nell'educazione del figlio. Già da
adolescente Giacomo Balla aveva dimostrato una predilezione per l'arte, avvicinandosi allo studio
del violino, ma abbandonò la musica per la pittura e il disegno; nel frattempo il padre gli trasmise la
passione per la fotografia, portandolo ad una tecnica fondamentale per la sua formazione. Dopo gli
studi superiori, Giacomo decise di frequentare l'Accademia Albertina , dove studia prospettiva,
anatomia e composizione geometrica.

Lasciata l'accademia viene assunto nel 1891 da un fotografo pittore, il cui studio è uno dei più
rinomati d'Italia, frequentato dall'aristocrazia e dall'alta borghesia torinese e anche da personaggi
quali Edmondo De Amicis e Pellizza da Volpedo.

Nel 1895 Balla lasciò Torino per stabilirsi a Roma con la madre.

Nella capitale egli fu un avanguardista della nuova tecnica divisionista, trovando subito un buon
seguito di allievi. Nel 1897 si fidanzò con Elisa Marcucci, sorella di Alessandro, amico di Duilio
Cambellotti. Dal suo matrimonio con Elisa nacquero due figlie, Luce Balla (Lucia) ed Elica Balla,
entrambe artiste futuriste.

I primi dipinti di Giacomo, a inizio secolo, seguivano lo stile divisionista. La sua attività creativa fu
molto intensa nei primi anni dieci in termini di analisi sia del dinamismo sia della luce, giungendo
nel 1915 ad una nuova fase di ricerca pittorica fortemente sintetica.

Futurismo

Negli anni della prima guerra mondiale Balla perseguì l'idea di un'arte totale definita arte e azione
futurista. E specie dopo la morte di Boccioni nel 1916, a cui dedicò "il pugno di Boccioni", egli fu il
protagonista indiscusso del movimento. Le sue idee sono esposte in queste parole: «Noi futuristi,
Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l'universo rallegrandolo,
cioè ricreandolo integralmente». Progettò infatti le scene per Feu d'artifice di Igor' Fëdorovič
Stravinskij nel 1917, balletto 'senza danzatori' che andò in scena al Teatro Costanzi di Roma. Creò
anche arredi, mobili, suppellettili e partecipò anche alle sequenze del film Vita futurista (1916)
presenziando assieme a Marinetti alle riprese.

Nel 1914 uscì oltretutto "il manifesto dell'abito anti neutrale" creato poi nel 1915. Balla dichiarò di
voler sostituire il vecchio, cupo e soffocante abbigliamento maschile con uno più dinamico e
colorato, asimmetrico e colorato, che rompesse con la tradizione e si adeguasse al concetto futurista
di modernità e progresso, non solo, doveva far riferimento alla guerra e rendere l'uomo più
aggressivo e bellicoso. L'accostamento dei colori era poi studiato per produrre un vivace effetto di
simultaneità, che meglio si armonizzava con lo spazio urbano moderno.

A partire dal 1914 Balla compone tavole parolibere e scrive testi per la scena avviando un
collegamento tra l'immagine e la dimensione fonetico-rumorista.[1]

Nel 1915 firma con Fortunato Depero il manifesto Ricostruzione futurista dell'Universo dove il
dinamismo pittorico e il dinamismo plastico si collegano alle parole in libertà e all'arte dei rumori
per "realizzare una fusione totale per ricostruire l'universo rallegrandolo". Dal manifesto
scaturiscono le idee del "giocattolo futurista", del "paesaggio artificiale", dell'"animale metallico",
del "vestito trasformabile", del "concerto plastico-motorumorista nello spazio", della "réclame fono-
monoplastica".[2]

Nell'ottobre del 1918 pubblicò il "Manifesto del colore", dove analizzò il ruolo del colore nella
pittura d'avanguardia.

Periodo fascista

Nel 1922 dipinge le pareti del "Bal Tic Tac", un locale di cabaret di Roma dove si suonava Jazz, poi
decaduto e chiuso.[3] Nell'ambito della sua adesione al futurismo, che Balla portò avanti senza sosta,
si ricorda che nel 1926 egli scolpì una statuetta con la scritta alla base "Sono venuto a dare un
governo all'Italia". L'opera fu consegnata direttamente a Mussolini, il quale gradì. Negli anni trenta
Balla era divenuto l'artista del fascismo per eccellenza, apprezzatissimo dalla critica. Nel 1933
realizzò Marcia su Roma (verso di Velocità astratta), e sembra che l'opera sia stata commissionata
da Mussolini stesso.

Nel 1937 Balla scrisse una lettera al giornale "Perseo" con la quale si dichiarava ormai estraneo alle
attività futuriste. Da quel momento Balla fu accantonato dalla cultura ufficiale, sino alla
rivalutazione nel dopoguerra delle sue opere e di quelle futuriste in genere.

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