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Le periferie delle principali città italiane, come ci fa capire Rai Cultura, sono oggi sinonimo di esclusione

sociale, degrado e abbandono. Il video Rai Tre Le periferie dimenticate e la guerra tra poveri esplora
questo tema urbanistico e i relativi problemi in modo vivido. Riflettete come hanno sviluppato le
periferie nel Paese in cui vivete o da cui venite e condividete con gli altri in aula il vostro punto di vista al
riguardo parlando almeno tre minuti.

In seguito, leggete i due articoli di sotto sulla storia delle periferie italiane e che cosa fa l’Italia ora per
affrontare i vizi che corrodono le aree a pochi chilometri di distanza dai bei centri storici delle città
italiane. Prendendo come ispirazione l’intervento TEDx di Gabriele Pasqui, scrivete un pezzo di
speculazione di circa 300 parole sul futuro delle periferie concentrandovi sulle seguenti domande:
Secondo voi, che accadrà domani rispetto alle periferie italiane e quelle delle città metropolitane
altrove? Quali lezioni si possono e devono imparare dagli esempi italiani? Se foste un funzionario
incaricato della pianificazione di una periferia modello futuristica, come la progettereste e perché?

Rai Cultura, Periferie di Roma, tra utopia e degrado


http://www.raistoria.rai.it/articoli/periferie-di-roma-tra-utopia-e-degrado/36439/default.aspx

Rai Tre, Agorà Estate, 19 luglio 2018: Le periferie dimenticate e la guerra tra poveri
https://www.youtube.com/watch?v=po1bqrt0qF4

Gabriele Pasqui, TEDxPolitecnicodiMilanoU, 11 giugno 2018: Quali periferie? Il destino, il sogno, la possibilità
https://www.youtube.com/watch?v=WOJMuBI2TQ0

===ARTICOLO 1===
Periferie urbane in Italia: uno sguardo storico
Piergiorgio Rossetto, Le Nius, 9 gennaio 2015
https://www.lenius.it/periferie-urbane-in-italia/

La questione delle periferie urbane in Italia è tornata recentemente al centro delle cronache. Ma cosa intendiamo
quando parliamo di periferie? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, cominciando da una breve storia delle
periferie urbane in Italia.

Ci occupiamo di periferie urbane in Italia, per quanto, pur nella loro specificità, abbiano elementi in comune con
le realtà periferiche di tutto il mondo. Ne siamo consapevoli, ma limitiamo intanto lo sguardo al nostro paese.

Periferie urbane in Italia: il sogno capitalista

Il concetto di periferia, in sé autonomo ed ideologicamente neutro (peri-fereia in greco non è che “una linea
curva che racchiude uno spazio”), col tempo è diventato prevalentemente connotato negativamente: la periferia
è sempre di qualcos’altro, l’opposizione manichea alla città è preponderante ed assoluta. Come mai?

La periferia nasce figlia (poco amata, invero) della città. La città-traino della rivoluzione industriale ottocentesca,
l’Eldorado civilizzatore delle campagne misere ed arretrate: la città-centro, “il luogo in cui si concentrano i
risultati della civiltà”, secondo l’intuizione di Lewis Mumford, ampliata a dismisura per accogliere masse
sterminate di lavoratori. Lontano dal centro, di solito.

In seguito, la città capitalista del Novecento, la città pensata come macchina, necessita voracemente di nuovi
spazi in cui espandere i propri bisogni. Quasi ovunque le periferie si espandono, o ne vengono realizzate ex
novo e con funzioni anche diversificate (Roma è paradigmatica, con i suoi immensi quartieri volti ad ospitare
un’immigrazione interna non più soltanto operaia), con poco spazio – è il caso di dirlo – per l’innovazione. La
“città giardino” di Ebenezer Howard rimane in Italia un’utopia.

Nel cuore del secolo XX, tuttavia, i quartieri periferici, nonostante lo sguardo cupo dei quadri di Mario Sironi, o i
mille conflitti che il mondo capitalista rovescia su di loro, continuano a rappresentare un sogno realizzabile di
progresso e di benessere. Arrivare “da fuori” rappresenta un passaggio di status, un ascensore sociale.

Periferie urbane in Italia: il sogno urbanista


Non occorre invocare Pasolini, spesso elegiaco ed astorico nel suo guardare alle periferie romane come ultimo
residuo di un mondo ancestrale incontaminato, per descrivere la connotazione positiva di cui godono le periferie
urbane in Italia nel dopoguerra e fino ai primi anni Settanta. Basta vedere chi, e su quali presupposti, progettò i
più notevoli esempi di periferie urbane in Italia, oggi ritenuti degradati ed obsoleti.

Le Vele di Scampia a Napoli, lo Zen 2 di Palermo, il Corviale a Roma, il Gallaratese a Milano: i loro nomi
evocano il peggio delle nostre grandi città. Eppure furono ideati da alcuni tra i più avvertiti progettisti italiani del
dopoguerra, attenti al dibattito internazionale sul tema, animati dalle migliori intenzioni concettuali ed etiche.

Sono anni dominati dall’international style in urbanistica, che richiede città razionali e funzionali al modello
economico fordista. Una rappresentazione efficace di questa tendenza viene da un’operazione di Paolo
Caredda, che ha raccolto le cartoline degli anni del boom edilizio, dove l’ingenuo culto italiano della modernità
emerge in tutto il suo provincialismo.

Ecco lo snodo cruciale: quei magnifici (?) progetti edilizi vennero costruiti fin da subito senza i necessari servizi,
senza collegamenti con le altre parti della città, senza spazi sociali, negozi, uffici, luoghi di preghiera, parchi.
Cattedrali nel deserto, monumenti all’ideologia e all’estetica del tempo, ma distanti dalle vite dei loro abitanti.
Presunti capolavori avulsi dal flusso storico.

La via italiana alla modernità urbana, astrattamente progressista, veniva sacrificata nel concreto agli incagli e
alle strettoie che ben conosciamo: il fallimento di un’impresa edile, una lite in Commissione edilizia, una gara
illegale di appalti. Ma anche leggi farraginose e complicate, e il (decisivo) disinteresse di molta politica. Si è così
parlato di “fine delle periferie”.

Così, dalla metà degli anni Settanta il termine “periferia” assume un significato deteriore. È divenuto addirittura
esemplare delle storture del capitalismo avanzato, quasi un precipitato visivo, fisico, identificabile, quindi tanto
più mediaticamente efficace, del negativo urbano. Da quegli anni, peraltro, è divenuto luogo interessantissimo di
discussione, di innovazione, di nuove soggettività vicarie di una politica che per lo più, le periferie, non le ha mai
troppo amate.

Poi, molti anni di silenzio. Si pensava quasi che in periferia fosse “tutto a posto”, secondo il ben noto principio
per cui la rappresentazione mediatica di un fenomeno sostituisce il fenomeno stesso: non ne parlo più, quindi
non esiste più.

Di recente i media sono tornati ad occuparsene anche perché, nel frattempo, l’universo delle periferie si è
caricato di nuove gravi tensioni: la crisi mondiale, la globalizzazione, le migrazioni, l’emergenza abitativa.

Nelle periferie comunque non si è mai smesso di vivere, di lottare e di sperare. Di partire ed arrivare. E
continuano a nascere progetti, idee, sperimentazioni.

===ARTICOLO 2===
Nelle nostre periferie c’è la chiave per capire i mali d’Italia
Roberto Morassut, Parlamentare del Partito democratico, HuffingtonPost Italia, 26 luglio 2017
https://www.huffingtonpost.it/roberto-morassut/nelle-nostre-periferie-c-e-la-chiave-per-capire-i-mali-d-
italia_a_23048859/

La Commissione parlamentare d'inchiesta sul degrado delle periferie, costituita nel novembre scorso, sta
conducendo un approfondito lavoro di indagine e di ricerca sullo stato delle periferie delle maggiori città italiane
attraverso un ciclo di audizioni a largo raggio per ascoltare e conoscere da istituzioni e associazioni lo stato di
fatto delle varie realtà e attraverso missioni e visite sul campo, l'ultima delle quali si è svolta a Palermo. Entro la
fine della legislatura presenteremo un rapporto al Parlamento ed al Governo composto di una parte di ricerca e
testimonianze ed una parte di proposte che speriamo possano essere un utile materiale di lavoro per i prossimi
anni.

Bisogna ricordare che da molti anni il Parlamento non si impegnava in un lavoro simile. L'ultima esperienza
simile riporta al 1953 ed alla Commissione di inchiesta sulla miseria che fu un momento particolarmente
importante e che dette anche stimoli e occasioni di concrete azioni e iniziative sui temi della casa e
dell'assistenza. Una prima osservazione che emerge dal nostro lavoro è che il termine "periferia" non consente
più di cogliere le complessità e le sfaccettature della dimensione urbana contemporanea e delle sue
contraddizioni, dei problemi di carattere urbanistico, sociale, culturale di integrazione e di sicurezza che ormai
tagliano trasversalmente luoghi e gruppi sociali e che non possono più essere localizzate solo nelle zone
esterne ai perimetri urbani.

Certamente il binomio centro-periferia ha ancora una sua corrispondenza al reale ma non racchiude tutto. Basta
visitare i centri storici di Napoli, di Bari o di Palermo per rendersi conto che certe zone di periferia o di semi-
centro possono essere più sane e vivibili di alcune storiche o centrali. Più corretto appare dunque parlare
complessivamente di "città" e tematizzare l'esistenza di una "questione urbana" in Italia più che di una
"questione periferie". Il centro di questa "questione urbana" è lo squilibrio assoluto, giunto ormai ad un limite
estremo, tra la città privata (nel senso della proprietà e dell'ambito privato dello spazio sia esso residenziale che
produttivo) e la città pubblica (intesa come servizi, trasporti, ambiente, beni culturali, spazio pubblico).

Questa dicotomia e disparità di trattamento all'interno delle normative urbanistiche è un tratto genetico delle città
italiane, che purtroppo deriva dalla storia urbanistica del dopoguerra e dai limiti della legislazione di settore
italiana, ma certamente va detto che negli ultimi anni, anche a seguito delle accelerazioni della globalizzazione,
delle nuove forme di inurbamento ed espulsione di residenza, tali squilibri si sono a tal punto aggravati da
rappresentare un problema ormai generale, quasi il principale problema italiano.

Soprattutto se si considera che i fruitori principali della città pubblica sono proprio quelle fasce sociali di ceto
medio e popolare che sono investite ormai da dieci anni dalla violenta ristrutturazione mondiale del capitalismo
che ha ridotto salari e stipendi, accresciuto la distanza tra ricchi e poveri, tolto la speranza a intere generazioni,
cambiato il senso del rapporto con lo Stato di quella piccola e media borghesia urbana che fino a pochi anni fa
ne sera la base di appoggio.

Bisogna inoltre considerare che che le città sono i motori dell'economia e che soprattutto le grandi metropoli con
un carattere internazionale (come Roma) sono decisive per la crescita o il rallentamento dell'economia
nazionale. Naturalmente la storia delle città italiane risente delle diverse vicende e quindi ancora oggi è possibile
riscontrare molte differenze e specificità, ma si può dire che il nucleo essenziale dei problemi risiede in quattro
questioni fondamentali.

1. Il problema dell'immigrazione e dell'integrazione tra cittadini e famiglie provenienti da altre nazioni con cittadini
e famiglie italiane già insediate con una particolare attenzione al tema dei Rom, per le caratteristiche di questi
specifici nuclei e per la storica complessità che nel corso dei secoli ha caratterizzato il rapporto di queste
popolazioni, nelle loro diverse etnie e le popolazioni italiane;

2. L'impoverimento delle condizioni di vita e la riduzione dei redditi di ampie fasce di popolazione e di ceti urbani
medi e popolari che reagiscono negativamente ai problemi posti dall'immigrazione, che non sono più in grado di
accedere a determinati livelli di consumo che restano esclusi da alcuni servizi e che sono posti ai margini della
città o comunque nelle zone di minor pregio immobiliare e più degradate;

3. La mancata o parziale e insufficiente riforma degli enti locali e del sistema delle autonomie con particolare
riferimento alle Città Metropolitane ed al superamento delle Province che ha lasciato un vuoto proprio nel
delicato segmento del coordinamento o della programmazione strategica delle aree territoriali sempre più
integrate delle grandi e medie città italiane e dei capoluoghi. Posto che lo sviluppo e la crescita economica delle
città è la premessa per contrastare uno dei problemi fondamentali che caratterizza il degrado delle periferie
urbane: la mancanza di lavoro soprattutto tra i giovani;

4. Infine, la sfibrante e progressiva destrutturazione di un'organica legislazione urbanistica italiana che sempre
ha pagato il prezzo di una debolezza nei confronti della rendita urbana che non è mai stata recuperata. Le forme
dell'inurbamento post bellico, le conseguenze devastanti della guerra e delle distruzioni dei bombardamenti,
determinarono una forte crescita degli abitanti alla quale fu data una risposta insufficiente per la fame di case, di
alloggi e di servizi. Solo alla fine degli anni '60 e '70 fu data una risposta con provvedimenti parziali e pur meritori
(legge 167, decreto ministeriale 1444/68, legge Bucalossi) tesi a recuperare alla rendita urbana qualche margine
per garantire la programmazione di una città più equilibrata.

Il fallimento, però, di una riforma urbanistica organica (tentata dal ministro Sullo) lasciò un segno profondo che,
in fondo, non fu mai recuperato. Va aggiunto il fatto che un modello di sviluppo della mobilità urbana basato sulla
motorizzazione individuale e di massa creò un gap genetico delle città italiane svalutando il trasporto pubblico su
ferro. Ancora oggi, dovunque si vada, il tema ricorre in tutta la penisola nonostante le differenze storiche tra le
varie città.

Scarsi servizi, mancata manutenzione del patrimonio pubblico, realizzazioni insufficienti e parziali delle
urbanizzazioni e delle opere pubbliche e dei servizi, problemi di mobilità. La città pubblica, inoltre, secondo la
legge urbanistica fondamentale, può godere di una programmazione limitata poiché i vincoli ablativi sulle aree
destinate agli espropri per sevizi hanno scadenza quinquennale mentre i diritti edificatori privati hanno in genere
(e le sentenze civili lo confermano quasi nella generalità dei causi) durata quasi eterna.

Sono questi gli elementi di fondo che ancora oggi rendono assai difficile la situazione delle periferie italiane e
sono questi i nuclei sui quali, anche sulla base del rapporto finale della Commissione, dovrà concentrarsi
l'attività legislativa del Parlamento. Riforma urbanistica, città pubblica, riforma organica degli enti locali, delle
Regioni e delle Città Metropolitane sono premesse indispensabili per un diverso futuro delle città e delle periferie
e per uscire dalla logica parziale di interventi momentanei che non potranno certo ricucire ma apportare solo
temporanei rammendi alla lacerazione sociale urbanistica che ancora caratterizza le periferie e le parti
degradate delle nostre bellissime città. Su queste proposte, oltre che sulla narrazione dell'esistente,
concentreremo il rapporto finale della Commissione d'inchiesta sul degrado delle periferie.

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