L’adozione di una Costituzione rigida richiede coerentemente la predisposizione di meccanismi di controllo, diretti al rispetto dei limiti che le disposizioni costituzionali pongono all’attività del legislatore. Il principio di rigidità costituzionale ha dunque costituito il presupposto dell’istituzione, in Italia come in altri ordinamenti, di un sistema di giustizia costituzionale. -Controllo diffuso -> (esperienza nordamericana cd. dottrina Marshall) sulla base della superiorità delle leggi costituzionali rispetto a quelle ordinarie, il giudice comune che nell’esercizio delle sue funzioni si trovasse dinanzi leggi incostituzionali ha l’obbligo di non applicarne nel giudizio in corso, con una decisione destinata ad operare soltanto inter partes. Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi risulta quindi diffuso tra tutti gli organi del potere giurisdizionale, assumendo rilevanza (nei sistemi di common law) la vincolatività del precedente giudiziario, tanto più intensa se la decisione precedente sia stata resa dall’organo di giurisdizione superiore. -Controllo accentrato -> (Europa continentale) risiede nell’attribuzione dell’accertamento dell’illegittimità costituzionale ad un unico organo. Il primo esempio si ha con la costituzione austriaca del 1920, dove trova spazio la previsione di un’apposita Corte costituzionale, che esercita in via esclusiva il sindacato sulle leggi, accentrato nella sua competenza. Con la conseguente costituzione austriaca del 1929, si apre la strada verso una forma di sindacato accentrato ad iniziativa diffusa tra gli organi del potere giurisdizionale, sistema oggi accolto anche in Italia. -L’accesso all’organo di giustizia costituzionale è in via diretta quando è possibile rivolgere direttamente un ricorso alla Corte costituzionale per far sanzionare la violazione della Costituzione ad opera della legge o di altri atti o comportamenti di pubblici poteri. -L’accesso avviene invece in via indiretta allorché la questione di legittimità costituzionale si presenta come un incidente processuale nel corso di un altro giudizio (di natura ordinaria o speciale) nell’ambito del quale occorre applicare la legge sospettata di illegittimità costituzionale. In tali casi il giudice che procede, non potendo né disapplicare la legge, né applicarla se incostituzionale, né tantomeno astenersi dal giudicare, dovrà sospendere il giudizio e rimettere la questione al sindacato della Corte Costituzionale, attendendone la decisione al fine di riprendere il normale corso del giudizio. 2. Le fonti della giustizia costituzionale a) Gli articoli da 134 a 137 della Costituzione b) Altre leggi costituzionali: legge cost. n.1/1948 - legge cost. n.1/1953 - legge cost. n.2/1967 c) Alcune leggi ordinarie, tra le quali spiccano la legge n.87/1953 - legge n.20/1962 - legge n.352/1970 d) Fonti di autonomia: regolamento generale della C.c - regolamenti minori - norme integrative e) Applicabilità dinanzi alla Corte del Regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato (art.22 l.87/1953)
3. La Corte Costituzionale: composizione, organizzazione e funzionamento
-Art.135 Cost -> la Corte Costituzionale è formata da 15 giudici, per un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, per un terzo eletti dal Parlamento in seduta comune e per il restante terzo eletti dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative, scelti fra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e speciali, i professori universitari in materie giuridiche e gli avvocati con almeno 20 anni di esercizio. La provenienza articolata dei membri della Corte riflette la volontà di escluderla da ogni legame con la maggioranza politica, che frusterebbe lo scopo del sindacato sulle leggi, quale forma di controllo verso l’operato legislativo della maggioranza medesima. In tale ottica si comprende sia la caratteristica dei decreti presidenziali di nomina dei giudici costituzionali, che si presentano come atti formalmente e sostanzialmente presidenziali (nessun intervento del Governo), sia la previsione di maggioranze particolarmente elevate (2/3 nei primi tre scrutini, 3/5 dopo) per l’elezione dei giudici da parte del Parlamento in seduta comune. I 5 giudici costituzionali eletti dalle supreme magistrature vengono scelti a maggioranza assoluta, con eventuale ballottaggio tra i candidati più votati dopo il primo turno (3 dalla Corte di Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato e 1 Corte dei Conti). -La composizione ordinaria della Corte Costituzionale viene allargata in occasione dei soli giudizi penali, attraverso l’aggiunta di 16 giudici aggregati, estratti a sorte da un elenco di 45 nominativi, compilato ogni 9 anni dal Parlamento in seduta comune con l’inclusione di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore. Il motivo di tale ampliamento risponde alla particolare natura dei reati in esame, il che richiede una particolare sensibilità politica, assicurata dalla prevalenza dei giudici aggregati. -I giudici costituzionali durano in carica 9 anni, decorrenti dal giuramento. Non sono rieleggibili e una volta scaduti dalla carica cessano altresì dalle funzioni, non essendo previsto nei loro confronti una prorogatio (art.135 commi 3 e 4). Unica eccezione si verifica in caso di giudizio penale nel quale la Corte dovesse essere impegnata. La lunga durata del mandato garantisce una posizione di indipendenza dell’organo, rispetto agli altri organi costituzionali. -legge n.87/53 (art.16) -> i componenti della Corte hanno l’obbligo di intervenire nelle udienze se non sono legittimamente impediti. Per il funzionamento dell’organo è sufficiente il quorum di undici membri. Le decisioni devono essere deliberate in camera di consiglio dai giudici che hanno preso parte a tutte le udienze fino alla chiusura della discussione. -Presidente della Corte Costituzionale -> eletto dalla stessa Corte tra i suoi componenti per un triennio rinnovabile. L’elezione avviene a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta, con la possibilità di ballottaggio tra i due più votati. Il Presidente rappresenta la Corte, la convoca, presiede le sedute, dirige la discussione, vota per ultimo, fissa il ruolo delle udienze e delle camere di consiglio, nomina il giudice istruttore e relatore per ogni causa. Esercita un potere di esternazione per conto della Corte. Il giudice istruttore e relatore dopo aver esaminato ed istruito la causa, riferisce al collegio i termini essenziali della questione.
4. Lo status di giudice costituzionale e le garanzie di indipendenza della
Corte -Insindacabilità e Immunità -> “i giudici della Corte costituzionale non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni” (legge cost.n.1/53). Essi godono inoltre (finché sono in carica) della stessa immunità che l’art.68 comma 2 della Costituzione accorda ai membri delle Camere. -Inamovibilità -> i giudici della Corte non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio senza deliberazione assunta dalla stessa Corte a maggioranza di 2/3 dei presenti (legge cost.n.1/53) e solo per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni. -L’ufficio di giudice costituzionale inoltre è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica ed ufficio indicati dalla legge (art.135 comma 6 Cost). -La Corte costituzionale gode di autonomia normativa, che si esplica nella possibilità di disciplinare le proprie funzioni con un regolamento approvato a maggioranza assoluta e nell’approvazione di norme integrative (legge n.87/53). Beneficia inoltre di autonomia amministrativa e finanziaria; della giurisdizione cd. domestica, nel senso che giudica in via esclusiva sui ricorsi in materia di impiego di propri dipendenti; della immunità della sede. Spetta inoltre alla stessa Corte accertare l’esistenza dei requisiti di ammissione dei propri componenti (cd. verifica dei poteri) e pronunciare sulle cause di decadenza, sospensione o rimozione di essi. Essa fruisce infine di tutela penale nella previsione di una serie di reati specifici che possono essere commessi nei suoi confronti.
5. Il giudizio di legittimità costituzionale
5.1 Gli atti sindacabili -Art.134 comma 1 Cost -> la Corte costituzionale giudica innanzitutto sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni. a) Leggi impugnabili: La Corte, nella sua prima decisione (sentenza n.1/1956) ha chiarito che sono sottoposte al suo giudizio non soltanto le leggi successive all’entrata in vigore della Costituzione del 1948, ma altresì quelle anteriori ad essa. Naturalmente l’incostituzionalità delle leggi anteriori alla Costituzione può essere pronunciata solo per vizi sostanziali, relativi cioè al contenuto della disposizione, e non anche per vizi formali, con riferimento al procedimento seguito per la loro approvazione, poiché le norme di procedura dell’ordinamento pre-costituzionale erano diverse. Le leggi sottoposte al controllo di costituzionalità non sono solo quelle ordinarie, ma anche quelle di rango costituzionale, approvate ai sensi dell’art.138, le quali trovano limiti nella Costituzione sia per la procedura richiesta, sia con riferimento ai limiti assoluti (espressi e impliciti) che la stessa Costituzione pone alla sua modifica. b) Atti aventi forza di legge impugnabili: L’atteggiamento della Corte costituzionale sembra avvicinarsi alla tesi di Sandulli, che da un lato accoglie l’impostazione di Crisafulli, circa la limitazione degli atti con forza di legge alle sole fonti primarie dell’ordinamento (escludendo quindi dalla categoria gli atti non normativi), ma restringe ulteriormente la categoria agli atti normativi dell’ordinamento, che abbiano la stessa sfera di competenza della legge e che, pertanto, siano effettivamente in grado di abrogarla. Sono escluse così tutte le fonti che operano in ambiti di competenza riservati (regolamenti parl - gov). -Sono sicuramente atti con forza di legge ai fini del controllo di legittimità costituzionale sia i decreti legislativi che i decreti legge: Decreti legislativi -> la violazione della Costituzione ad opera dei decreti cd. delegati può avvenire sia direttamente, laddove non vengano rispettati una o più disposizioni, valori o principi del Testo fondamentale, sia indirettamente, nel caso in cui il decreto travalichi i limiti posti dal Parlamento all’operare del Governo all’interno della legge delega. La legge delega funge infatti in questo caso da norma interposta tra l’art.76 della Costituzione e il decreto, ai fini del parametro di giudizio. Decreti legge -> la sua breve vigenza rende dal punto di vista pratico difficile l’esaurimento del giudizio di costituzionalità (entro 60 giorni convertito in legge a pena di decadenza). Nel caso in cui il decreto venga convertito in legge, verificandosi la novazione della fonte, il giudizio può proseguire nei confronti della legge di conversione (cd. effetto di trasferimento). Inoltre la Corte ha riconosciuto che la mancanza dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza per l’emanazione del decreto costituisce una causa di illegittimità, sia del decreto che della legge di conversione. -Per quanto riguarda le fonti europee, assumono la veste di fatti normativi di altro ordinamento, pertanto la Corte non può sindacare tali fonti. Restano tuttavia da salvaguardare i principi fondamentali della Costituzione e i diritti inalienabili della persona umana, che operano come cd. controlimiti all’efficacia del diritto europeo nel nostro ordinamento. Per tale motivo, la Corte si è riservata la possibilità di poter sindacare la legge di esecuzione del Trattato di Roma e delle successive modifiche, in quanto trattasi di disposizione di legge nazionale, che consente l’applicazione in Italia delle norme europee. -Sono infine atti con forza di legge soggetti al controllo di costituzionalità: i decreti di attuazione degli Statuti regionali speciali; gli atti normativi emanati dal Governo in caso di guerra; il decreto del P.R con cui viene dichiarato il risultato abrogativo del referendum popolare e la normativa di risulta che ne sopravvive.
5.2 I vizi denunziabili e il parametro del giudizio
I vizi di legittimità sono relativi alla mancata conformità delle leggi e degli atti equiparati alle norme ed ai principi costituzionali. Si tratta di un vizio formale, quando la violazione delle regole attiene al procedimento di formazione dell’atto. Si tratta di un vizio materiale, quando la violazione attiene al contenuto della disposizione. La Corte non può sindacare il merito delle scelte compiute dal legislatore, ai sensi di ciò che dispone anche la legge n.87/1953. -Incompetenza -> ricorre quando l’atto viene emanato in violazione delle norme che delimitano la competenza del soggetto o dell’organo che provvede (es. legge regionale emanata in materia di competenza esclusiva dello Stato) e per tale ragione viene in genere considerato un vizio del procedimento di formazione. -Violazione della legge -> comprende le ipotesi di difformità tra l’atto e le norme che lo regolano, che non sono qualificabili né come incompetenza né come eccesso di potere e abbraccia tanto vizi formali quanto vizi materiali (es. legge costituzionale approvata in violazione dell’art.138, legge penale che non rispetta l’irretroattività). -Eccesso di potere -> (diritto amministrativo) vizio tipico dell’attività discrezionale della P.A, intesa come attività vincolata al raggiungimento del fine previsto dalla legge per ciascun provvedimento. Si deduce dallo sviamento dell’atto dallo scopo per il cui conseguimento il relativo potere è stato conferito dalla legge alla P.A. Anche l’attività legislativa, seppur generalmente libera nel fine, cessa di essere libera nei casi in cui la Costituzione vincola il legislatore al perseguimento di determinati fine, sicché ove la funzione legislativa venga esercitata sviando da tali limiti si configura un eccesso di potere legislativo. Parametro di giudizio può anche essere costituito dalla ragionevolezza, sulla base della quale la Corte può ritenere illogiche, arbitrarie o contraddittorie le disparità di trattamento che emergono da certe disposizione considerandole come violazione del principio di eguaglianza. -Parametro del giudizio: La norma o il principio che la Corte utilizza come termine di raffronto delle leggi per verificarne la compatibilità costituzionale. È innanzitutto rappresentato dalla Costituzione e dalle altre norme di rango costituzionale. In molti casi però la Costituzione stessa subordina la validità di taluni atti legislativi al rispetto di altre norme che non sono di rango costituzionale, sicché nella misura in cui questi limiti non vengono rispettati, si verifica una violazione indiretta della Costituzione. Si parla in tal caso di illegittimità costituzionale per violazione di una norma interposta, cioè la norma posta tra la Costituzione e la legge o l’atto con forza di legge della cui illegittimità si tratta (es. legge delega nel caso di decreto legislativo). La tecnica della “interposizione” è stata di recente ampliata per effetto delle sentenze cd. “gemelle” n.349-349 del 2007, che hanno riconosciuto la funzione di parametro di legittimità alle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in forza dell’art.117 comma 1 della Costituzione (legge cost.n.3/2001), che prevede il rispetto degli obblighi internazionali, assumendo così il valore di norme interposte. 5.3 L’instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale (o in via indiretta) a) Le nozioni di “giudice” e di “giudizio” L’art.1 della legge cost. n.1/48, risolvendo la riserva di legge costituzionale posta dal comma 1 dell’art.137 della Costituzione, circa le forme e le condizioni di promovimento delle questioni di legittimità costituzionale, ha previsto come modalità ordinaria di instaurazione del sindacato di costituzionalità la via cd. incidentale o indiretta. Il giudizio di legittimità si presenta così come un giudizio concreto e successivo, nel senso che sorge con riferimento all’applicazione concreta di una legge ad una fattispecie controversa e successivamente all’entrata in vigore della legge medesima. Le questioni di legittimità costituzionale possono dunque essere sollevate nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale, ad opera di una delle parti o da parte del pubblico ministero, che presentano al giudice apposita istanza nella quale indicano sia le disposizioni di legge o gli atti con forza di legge che si ritengono incostituzionali, sia le disposizioni della Costituzione o le altre norme costituzionali che si reputano violate ad opera delle prime. Disposizioni di legge e disposizioni costituzionali vanno a costituire i termini della questione di legittimità. La questione può anche essere sollevata d’ufficio dallo stesso giudice procedente, soggetto soltanto alla legge ai sensi dell’art.101 comma 2 Cost, a condizione che essa non sia incostituzionale. La giurisprudenza costituzionale richiede, ai fini della proponibilità della questione di legittimità, il carattere giurisdizionale e non meramente amministrativo della funzione esercitata dall’autorità giudiziaria remittente, pena la dichiarazione di inammissibilità della questione. È stata riconosciuta dalla Corte la legittimazione a sollevare questioni di legittimità anche alla sezione disciplinare del C.S.M, alla Corte dei Conti, ai Commissari per la liquidazione degli usi civici, alle Commissioni tributarie, al giudice di sorveglianza per l’esecuzione della pena. Recentemente è stata ammessa la legittimazione anche al collegio arbitrale, nell’ambito dell’arbitrato rituale, date le garanzie proprie della giurisdizione civile. La Corte inoltre si è sempre riconosciuta la legittimazione a sollevare questione di legittimità, potendo assumere il ruolo di giudice a quo rispetto a sé stessa. È stata invece esclusa la legittimazione del P.M, che non può dunque sollevare autonomamente la questione di legittimità, ma solo attraverso apposita istanza al giudice nell’ambito di un procedimento (v. sopra), non essendo investito di funzioni giudicanti. b) La “rilevanza” e la “non manifesta infondatezza” della questione di legittimità Le leggi n.87/1953 e n.1/1948 richiedono al giudice di accertare preliminarmente che “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale” (rilevanza) e che la questione medesima non sia “manifestamente infondata” (non manifesta infondatezza), qualificando tali condizioni come necessariamente ricorrenti e concorrenti ai fini dell’effettivo promovimento della questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale. -Rilevanza -> attiene al rapporto di strumentalità che deve intercorrere tra la risoluzione della questione ad opera della Corte e la definizione del giudizio principale, nel senso che quest’ultimo non può essere concluso se prima non si pronuncia la Corte costituzionale, e che sussiste nel caso in cui la questione riguardi una legge di cui occorre fare applicazione nel corso del giudizio a quo al fine dell’emanazione della sentenza. Secondo la giurisprudenza costituzionale, non è sufficiente ai fini di considerare rilevante la questione che la legge sospettata di incostituzionalità possa trovare una qualsiasi applicazione nel corso del giudizio a quo, ma è necessario che l’applicazione della legge comporti conseguenze effettive sulla decisione adottata dal giudice. -Non manifesta infondatezza -> esige che il giudice del giudizio principale valuti che la questione non sia palesemente inconsistente, ossia che abbia un minimo di fondamento giuridico. Al giudice viene quindi chiesto di accertare che ad una valutazione sommaria la questione di legittimità presenti una qualche fondatezza che giustifichi l’impegno del Giudice costituzionale nella sua risoluzione. Se manca una delle richiamate condizioni, il giudice interpellato respinge l’istanza con una ordinanza “adeguatamente motivata” (l.87/53), che non è impugnabile. La medesima istanza può però essere ripresentata negli ulteriori gradi di giudizio. c) L’interpretazione cd. “conforme” Alle due condizioni citate sopra, la giurisprudenza costituzionale ne ha di recente aggiunto un’altra, relativa alla necessità che il giudice remittente abbia in precedenza esperito il tentativo di cd. interpretazione conforme. Si fa in tal modo riferimento alla possibilità di trarre dalla disposizione censurata norme che siano, appunto, conformi alla Costituzione, così che la questione appare risolvibile in via meramente interpretativa direttamente dal giudice procedente, senza necessità di riferirsi alla Corte costituzionale. In tal modo la questione potrà essere sollevata dal giudice a condizione di aver preliminarmente esaurito ogni tentativo interpretativo della disposizione in senso conforme alla Costituzione. La legge va quindi dichiarata illegittima in quanto è impossibile darne interpretazione costituzionali. d) L’ordinanza di rimessione e il contraddittorio nel giudizio di legittimità in via incidentale -Il giudice, sulla base delle condizioni sopra viste, ed esperiti con insuccesso i tentativi di interpretazione conforme, effettua l’ordinanza di rimessione. L’ordinanza di rimessione da un lato fissa il “thema decidendum”, introducendo il giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale e, dall’altro, sospende il giudizio in corso. Nell’ordinanza, pertanto, il giudice a quo deve indicare l’oggetto del giudizio della Corte, ossia i termini della questione, individuando le disposizioni legislative che si reputano incostituzionali e le disposizioni costituzionali che si ritengono violate (rispettivamente, oggetto e parametro). L’ordinanza deve inoltre presentarsi come autosufficiente, nel senso che da essa devono potersi dedurre tutti gli elementi che consentono alla Corte di giudicare. Il giudice remittente deve inoltre motivare sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza. La Corte a tal riguardo ha rivendicato la possibilità di svolgere un controllo sulla motivazione della rilevanza, potendo effettuare una pronuncia di restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione, o molto più frequentemente, decidendo sulla manifesta inammissibilità della questione. -Ai sensi della legge 87/53, l’ordinanza deve essere notificata a cura della cancelleria del giudice remittente alle parti del giudizio a quo; al P.M quando il suo intervento sia obbligatorio; al Presidente del Consiglio (o della Giunta, per le leggi regionali) e deve essere comunicata ai Presidenti delle Camere (o del Consiglio regionale interessato). L’ordinanza, appena pervenuta alla Consulta, viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale, affinché tutti gli operatori giuridici adottino le opportune cautele nell’applicare la disposizione oggetto di esame, in attesa della sentenza. -Il giudizio di costituzionalità in via incidentale è inoltre un processo a parti soltanto eventuali, nel senso che una volta introdotto prosegue anche se nessuna delle parti del giudizio a quo si sia costituita in esso, in forza del carattere di autonomia del giudizio costituzionale dal giudizio principale. Il pubblico ministero, per quanto destinatario della notifica, non è legittimato a intervenire nel giudizio di legittimità. A differenza delle parti che si costituiscono in giudizio per far valere un loro interesse, il Presidente del Consiglio (o della Giunta regionale) è legittimato a partecipare al giudizio aldilà dell’accertamento di un interesse specifico e concreto (come ha chiarito la Corte), potendosi considerare tale potere come attribuito in proprio all’organo. La comunicazione ai Presidenti delle Assemblee consente ad esse di modificare l’atto nelle more della decisione della Corte. Trascorsi 20 giorni si fissa l’udienza e si nomina il giudice istruttore. 5.4 L’instaurazione del giudizio di legittimità in via principale o diretta Il Costituente italiano ha limitato l’impugnabilità diretta delle leggi e degli atti con forza di legge dinanzi alla Corte costituzionale ai rapporti tra i maggiori enti territoriali (Stato e Regioni, nonché province autonome), in base alle disposizioni degli art.127 della Costituzione e della legge costituzionale n.1/1948. La riforma del Titolo V della Costituzione ha condotto inoltre alla parificazione dell’impugnazione statale delle leggi regionali rispetto all’impugnazione regionale delle leggi statali. In entrambi i casi il giudizio si introduce mediante un ricorso (proposta dal Presidente del Consiglio previa deliberazione del Consiglio per lo Stato e dal Presidente della Regione su delibera della giunta per la Regione), ed ha carattere successivo rispetto all’entrata in vigore della legge, prevendendo l’art.127 il termine unico di 60 giorni decorrenti dalla pubblicazione della legge per entrambi i tipi di impugnativa. L’iniziativa governativa è esercitabile nei confronti delle leggi regionali per qualsiasi ipotesi di contrasto con la Costituzione. La Regione può invece ricorrere alla Corte costituzionale solo nel caso di invasione della propria sfera di competenza legislativa da parte dello Stato o di altra Regione. In tal modo il Governo si presenta quale garante dell’interesse generale alla legalità costituzionale e non deve pertanto affermare l’esistenza di uno specifico interesse al ricorso. -Il giudizio in via principale ha carattere astratto, poiché prescinde dall’applicazione della legge a casi concreti ed è un giudizio di parti, che inizia e prosegue per iniziativa dei soggetti legittimati, che possono anche rinunziarvi estinguendo il giudizio. La giurisprudenza costituzionale pertanto limita il contraddittorio nei giudizi in via principale al ricorrente e al resistente, escludendo altri soggetti. -Il giudizio si introduce con ricorso notificato alla controparte e successivamente depositato nella cancelleria della Corte nei dieci giorni successivi alla notifica. La legge 131 del 2003 ha inoltre introdotto il termine di 90 giorni dal deposito del ricorso entro cui deve essere fissata l’udienza di discussione, stabilendo così una “corsia preferenziale” per la trattazione di questo tipo di giudizi rispetto a quelli in via incidentale. Inoltre la Corte può, nelle more della decisione di merito, disporre in via cautelare la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, qualora ritenga che da esso possa derivare “il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero ai diritti dei cittadini”. -Art.123 comma 2 Cost -> il Governo con ricorso diretto può impugnare gli Statuti delle Regioni ordinarie entro 30 giorni dalla loro pubblicazione. -L’impugnazione diretta delle leggi rileva peculiarità in Trentino A.A e in Sicilia: Trentino Alto Adige: Lo Statuto prevede che le leggi regionali e le leggi provinciali di Trento e Bolzano possano essere impugnate dal Governo, oltre che per violazione della Costituzione e dello Statuto, anche per violazione del principio di parità dei gruppi linguistici, date le particolarità etnico-linguistiche di tale Regione. Inoltre lo Statuto consente l’accesso diretto alla Corte costituzionale alla maggioranza di un gruppo linguistico del Consiglio regionale o del Consiglio provinciale di Bolzano, qualora si tratti di una legge ritenuta lesiva della parità dei diritti tra i diversi gruppi linguistici, o lesiva delle caratteristiche etniche e culturali dei gruppi stessi, nelle ipotesi in cui non sia stata accolta la richiesta di votazione separata per gruppi linguistici o quando la legge sia stata approvata nonostante il voto contrario di 2/3 dei componenti il gruppo linguistico che aveva chiesto la votazione separata precedentemente (unico caso in Italia). Sicilia: La legge 131 del 2003 ha espressamente mantenuto ferme le particolari modalità di impugnazione delle leggi nella Regione siciliana. Lo Statuto siciliano prevede infatti che le leggi regionali siano inviate entro 3 giorni dalla loro approvazione al Commissario dello Stato, che ha sede a Palermo, il quale nei successivi 5 giorni può impugnarle davanti alla Corte costituzionale, chiamata a decidere entro 20 giorni. Il Presidente della Regione può promulgare la legge qualora entro 8 giorni dall’approvazione non abbia ricevuto notizia dell’avvenuta impugnazione, o entro 30 giorni dall’impugnazione non riceva notizia di incostituzionalità dalla Corte. Il Presidente della Regione può procedere alla promulgazione parziale, in questo caso la Corte dichiara cessata la materia del contendere, sulla base del principio di unicità del potere di promulgazione, sicché la promulgazione delle sole parti della legge non impugnate implicano la rinunzia della Regione alle parti della legge oggetto del giudizio di legittimità. Il complessivo meccanismo di controllo preventivo dello Statuto siciliano è stato ritenuto dalla Corte come maggiormente favorevole alle ragioni dell’autonomia siciliana, rispetto al controllo successivo ex art.127 Costituzione. In questo senso il Commissario dello Stato assume il ruolo di organo imparziale di garanzia della ripartizione costituzionale delle competenze legislative tra Stato e Sicilia. 5.5 Le decisioni della Corte costituzionale a) La forma (sentenze, ordinanze, decreti) -legge n.87 del 1953 -> la Corte “giudica in via definitiva con sentenza. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati con ordinanza. I provvedimenti del Presidente sono adottati con decreto”. La legge inoltre attribuisce la forma di ordinanza al provvedimento con cui la Corte dichiara la manifesta infondatezza della questione sottoposta al suo esame, vengono adottate con ordinanza anche le pronunce di manifesta inammissibilità della questione. Le sentenze devono contenere puntuale motivazione, ossia i motivi di fatto e di diritto che hanno condotto alla decisione, le ordinanze è sufficiente che siano solo succintamente motivate. Si distinguono inoltre decisioni a carattere definitivo e decisioni a carattere “interlocutorio”, che non pongono fine al rapporto processuale instaurato dinanzi alla Corte, ma intervengono a disciplinarne lo svolgimento. b) Le decisioni processuali: la restituzione degli atti al giudice a quo e la inammissibilità (semplice e manifesta) -Restituzione degli atti al giudice a quo -> di creazione giurisprudenziale, la Corte rileva che motivi di carattere processuale le impediscono di esprimersi sulla fondatezza della questione, ma, trattandosi di ostacoli che possono essere rimossi a seguito di un nuovo intervento del giudice remittente, dispone la restituzione degli atti della causa a quest’ultimo affinché svolga gli adempimenti necessari in precedenza omessi o tenga conto di situazioni sopravvenute. Es. un caso particolare di situazione sopravvenuta, incidente sul parametro di giudizio, ha fatto seguito alla riforma del titolo V della Costituzione con riferimento ai giudizi già instaurati in via incidentale e rispetto ai quali la riforma è intervenuta a modificare uno o più parametri invocati nell’ordinanza di remissione. La Corte in tal caso ha adottato in via generale la restituzione degli atti al giudice a quo al fine di riconsiderare la questione sulla base delle modifiche avvenute.
-Decisione di inammissibilità -> la Corte rileva un ostacolo di natura processuale
che preclude l’esame del merito, ma che non è rimuovibile per effetto di una nuova analisi del giudice a quo. Alla Corte non resta quindi che chiudere il giudizio precludendo al giudice remittente di riproporre la questione nell’ambito del medesimo procedimento (inammissibilità semplice). Se l’ostacolo si presenta come macroscopico, la Corte dichiara la questione manifestamente inammissibile, ciò che richiede un accertamento non particolarmente approfondito e giustifica pertanto la forma dell’ordinanza e lo svolgimento della discussione in camera di consiglio (inammissibilità manifesta). c) Le decisioni di merito: le sentenze di rigetto (e le ordinanze di manifesta infondatezza) -Sentenze di rigetto -> la Corte dichiara infondata la questione, nel senso che esclude, nei limiti in cui è stata formulata la questione stessa, che la disposizione sottoposta al suo esame sia incostituzionale. Con le sentenze di rigetto la Corte non afferma la legittimità della legge, ma solo l’infondatezza della questione proposta. Quanto all’efficacia delle sentenze di rigetto, si esplica in maniera vincolante solo nei confronti del giudice a quo, cui è impedito di riproporre la medesima questione nel corso dello stesso grado e stato del medesimo giudizio, avendo tale sentenza efficacia soltanto inter partes. Nessuna preclusione subiscono gli altri giudici. La Corte inoltre non è in alcun modo vincolata dal proprio precedente. Alcune volte la Corte può giungere con facilità e immediatezza all’accertamento dell’infondatezza della questione, ciò che le consente di pronunciarsi con un’ordinanza (solo succintamente motivata e decisa in camera di consiglio) con cui dichiara che la questione è manifestamente infondata. d) Segue: le sentenze di accoglimento -Sentenza di accoglimento -> la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale (anche solo parziale) della disposizione impugnata, che cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art.136 Cost). Per il giudice remittente la perdita di efficacia decorre dalla trasmissione della sentenza, da effettuarsi entro due giorni dal deposito in cancelleria. Negli stessi tempi la sentenza di accoglimento viene comunicata alle Camere (o ai Consigli regionali interessati) per consentir loro di adottare i provvedimenti di competenza. Poiché la disposizione di legge dichiarata illegittima si pone in contrasto con norme gerarchicamente superiori, la conseguenza è l’invalidità della legge impugnata, affermata come una sentenza costitutiva, vincolante erga omnes. -La cd. “interpretazione autentica” dell’art.136 della Costituzione, ad opera della legge n.87/53, chiarisce che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. In tal modo la perdita di efficacia delle norme dichiarate incostituzionali, di cui parla l’art.136, viene interpretata in termini di perdita di ulteriore applicabilità delle stesse, valida verso tutti i rapporti giuridici, non soltanto futuri ma anche già pendenti al momento dell’emanazione della sentenza. L’effetto della sentenza è qualificabile nei termini di annullamento della legge a carattere retroattivo. Una significativa eccezione si trova in materia penale, infatti se applicando la norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti. e) Segue: l’illegittimità costituzionale consequenziale -Legge n.87/53 -> Stabilisce che la Corte costituzionale quando accoglie una questione di costituzionalità dichiara quali sono le disposizioni illegittime “nei limiti dell’impugnazione”, trovando applicazione il principio processuale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in base al quale anche il Giudice costituzionale deve mantenersi entro i limiti della domanda contenuta nell’ordinanza di remissione. La corte ha tuttavia spesso inteso con elasticità tali limiti, allargando il thema decidendum, pur mantenendo fermi i termini della questione. Illegittimità costituzionale consequenziale -> La Corte “dichiara altresì quali sono le altre disposizioni legislative la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”, nonostante non costituiscono oggetto dell’impugnazione. È il caso delle disposizioni attuative di quelle sottoposte al vaglio di costituzionalità o di quelle che rinvengono in queste ultime il loro fondamento (es. decreto legislativo illegittimo a seguito di annullamento della legge delega). f) Segue: le sentenze interpretative -Sentenze interpretative -> presupposto logico di questo tipo di decisioni è la distinzione concettuale tra la disposizione e la norma, nel senso di significato che è possibile trarre in via interpretativa dalla disposizione. La Corte ha rivendicato per sé la possibilità di reinterpretare la disposizione oggetto del suo sindacato senza sentirsi vincolata alla lettura che ne è stata data nell’ordinanza di rimessione o nel ricorso, quindi alla norma con riferimento alla quale è stata sollevata la questione. Sentenze interpretative di rigetto -> la Corte rigetta la questione, in quanto reinterpretando la disposizione rispetto a quanto aveva fatto il giudice a quo, ne ricava e pone ad oggetto del suo giudizio una norma diversa da quella per la quale la questione è stata sollevata. Mentre la norma tratta dal giudice, secondo la sua interpretazione, presenta in effetti aspetti di incostituzionalità, sulla base della quale la Corte dovrebbe pronunciare sentenza di accoglimento, in questo caso può dichiarare l’infondatezza della questione “nei sensi di cui in motivazione”. La sentenza, in tal caso, non può considerarsi vincolate verso tutti, appartenendo sempre alla categoria delle sentenze di rigetto. Resta da stabilire se il giudice a quo sia tenuto a seguire l’interpretazione fornita dalla Corte, costituendosi un vincolo positivo (Crisafulli), ovvero se si tratti di un vincolo negativo (tesi più sostenuta), secondo il quale il giudice potrebbe applicare la disposizione in qualsiasi ulteriore significato, purché non sia l’interpretazione respinta dalla Corte. Sentenze interpretative di accoglimento -> la Corte dichiara l’illegittimità di una delle norme che è possibile ricavare da una disposizione, limitandone la capacità normo-genetica. Ad esempio, se dalla disposizione x è possibile ricavare, attraverso differenti interpretazioni, le norme A-B-C e la Corte dichiara l’incostituzionalità dell’interpretazione C, da quel momento la disposizione, che rimane identica nella sua formulazione letterale, potrà venire applicata solo nei sensi A e B. g) Segue: sentenze additive e sentenze sostitutive In taluni casi la manipolazione degli atti legislativi operata dalla Corte attraverso le sue decisioni si fa più intensa, come nel caso in cui le disposizioni risultano a conclusione del giudizio di costituzionalità con un contenuto differente rispetto alle origini. Si parla in tal caso di sentenze manipolative o creative: -Sentenze additive -> la Corte dichiara l’illegittimità di una disposizione nella parte in cui non prevede qualcosa, che quindi viene aggiunto con la pronuncia, la quale interviene a estendere la portata normativa della disposizione, correggendo un’omissione incostituzionale in cui è incorso il legislatore. La Corte ha inoltre sempre escluso di poter intervenire in funzione additiva in materia penale incriminatrice, per la particolare attenzione verso la certezza del diritto. Es. sentenza n.364/1988 con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art.5 del codice penale nella parte in cui non prevedeva la scusabilità dell’ignoranza della legge penale cd. inevitabile. -Sentenze additive di spesa -> il Giudice costituzionale, prendendo atto di una disparità in materia di benefici finanziari previsti dalla legge in relazione a determinate categorie, estende la portata normativa della legge in modo da comprendere anche i soggetti illegittimamente esclusi, alla luce del principio di eguaglianza, espresso dall’art.3 della Costituzione. -Sentenze additive di principio -> la Corte formula, anziché precetti completi, soltanto un principio indirizzato al legislatore, che dovrà attuarlo, ma al quale può già riferirsi il giudice a quo nell’ambito della controversia oggetto del suo esame. In tal modo la Corte limita la propria capacità invasiva dell’attività legislativa. -Sentenze sostitutive -> la Corte dichiara illegittima la disposizione nella parte in cui stabilisce qualcosa anziché prevedere qualcos’altro, che quindi viene sostituito al contenuto originario incostituzionale della disposizione per effetto della decisione. Es. sentenza n.15/1969 con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art.313 comma 3 del codice penale, nei limiti in cui attribuiva il potere di concedere l’autorizzazione a procedere per il reato di vilipendio alla Corte costituzionale al Ministro della giustizia, anziché alla stessa Corte. h) Segue: altri tipi di decisioni e la modulazione degli effetti temporali delle sentenze di accoglimento. -Sentenze-monito -> la Corte, pur constatando aspetti di illegittimità nella disposizione, non interviene dichiarandone l’incostituzionalità, ma inizialmente rigetta la questione (o la dichiara inammissibile), formulando al contempo un invito al legislatore a modificare la normativa per renderla coerente con i precetti e i principi costituzionali, con l’avvertenza che in mancanza di tale intervento, la Corte reinvestita della questione la accoglierebbe annullando la legge. -Sentenze delega o para-legislative -> l’esortazione rivolta al legislatore è più incisiva, arrivando ad esprimere le indicazioni che occorre seguire per ovviare all’incostituzionalità della legge, anche in caso di accoglimento della questione con riferimento alla nuova eventuale normativa sostitutiva della precedente. -Sentenze di legittimità provvisoria -> la Corte reputa la disciplina sottoposta al suo sindacato per il momento non in contrasto con la Costituzione, ma solo in quanto ne suppone il carattere transitorio, esortando implicitamente il legislatore a modificarla entro un certo termine, sicché in caso di mancato intervento, dimostrando che essa non è temporanea, la Corte ne pronuncerà l’annullamento. -Sentenze di illegittimità costituzionale sopravvenuta -> la Corte ha talora limitato l’efficacia per il passato delle sentenze di accoglimento, stabilendo che questa decorresse non dall’entrata in vigore della legge, ma da un momento successivo, individuato con riferimento all’entrata in vigore di una modifica normativa che sola avrebbe provocato l’illegittimità della legge, nella sua formulazione originaria conforme alla Costituzione, andando così ad investire solo i casi di applicazione posteriori all’emanazione della normativa illegittima. -In ogni caso, “contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione” (art.137 ultimo comma Cost). Esse sono perciò pronunciate in unico grado e non sono sottoponibili a nessun tipo di gravame, è possibile soltanto provvedere ad una correzione degli errori materiali. Per quanto riguarda le forme di pubblicità, il D.P.R n.1092 del 1985 ha stabilito che il testo integrale di tutte le sentenze della Corte costituzionale venga pubblicato sulla Gazzetta ufficiale (o sul Bollettino ufficiale della Regione interessata), in modo da dare alle decisioni del Giudice delle leggi la stessa pubblicità che hanno gli atti normativi che ne costituiscono l’oggetto.
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6. I conflitti di attribuzione 6.1 Precisazioni terminologiche e caratteri comuni Il secondo tipo di giudizio riservato dall’art.134 della Costituzione alla Corte riguarda la risoluzione dei conflitti di attribuzione: tra i poteri dello Stato (conflitti inter- organici; tra Stato e Regioni o tra Regioni fra di loro (conflitti inter-soggettivi). Tali conflitti hanno per oggetto la situazione di contrasto che si viene a creare tra due o più poteri dello Stato o tra due o più enti circa la corretta interpretazione delle disposizioni costituzionali che ripartiscono le attribuzioni tra i vari poteri e/o gli enti territoriali maggiori. N.B Quando si parla di attribuzione si fa riferimento all’imputazione di una determinata funzione ad un organo o ad un soggetto da parte della Costituzione; quando si parla di competenza ci si riferisce alle modalità di svolgimento delle attribuzioni medesime. -I conflitti possono essere reali, quando sono provocati dall’effettivo comportamento o dalla concreta emanazione di un atto da parte di altri; virtuali quando sussiste soltanto la minaccia dell’intervento altrui, che faccia intendere che altro organo o ente ritiene di poter esercitare come proprie attribuzioni che, a giudizio del ricorrente, non gli spetterebbero. Inoltre i conflitti possono essere positivi, se due o più organi o soggetti rivendicano per sé la medesima attribuzione; o negativi quando tutti si dichiarano incompetenti. Conflitto per vindicatio potestatis (da usurpazione) -> il soggetto ricorrente lamenta dinanzi alla Corte che una certa attribuzione ad esso spettante in base alla Costituzione sia stata illegittimamente esercitata (usurpata) da altri e la rivendica. Conflitto per menomazione (o interferenza) -> il soggetto ricorrente non contesta la spettanza dell’attribuzione, ma le modalità di esercizio, sostenendo che dal modo (illegittimo) con cui il titolare ha esercitato le attribuzioni ad esso spettanti, è derivata una menomazione (o interferenza) delle proprie attribuzioni costituzionali. -In questi casi la sentenza della Corte si compone di una parte necessaria nella quale chiarisce a chi spetta l’attribuzione in contestazione. Nel caso in cui accolga il ricorso, a questa parte della pronuncia può accompagnarsene un’altra (eventuale) nella quale la Corte accerta se è stato emanato un atto da chi era effettivamente carente della relativa attribuzione e lo annulla in caso di esito positivo, trattandosi di atto illegittimo, in quanto prodotto in violazione delle norme costituzionali. 6.2 I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato La Corte riscontra la figura del conflitto di attribuzione in qualsiasi organo costituzionale o di rilievo costituzionale (es. CNEL-CSM-Corte dei conti), titolare in proprio di una fascia di attribuzioni determinata e regolata da norme di rango costituzionale, che devono poter essere tutelate, nel caso di illegittima violazione ad opera di altri poteri dello Stato, con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione. La Corte ha inoltre ammesso che perfino figure soggettive esterne allo Stato-apparato e appartenenti allo Stato comunità, come il Comitato promotore di un referendum abrogativo, possono sollevare conflitto di attribuzione in quanto titolari di funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite. Con riguardo agli organi-potere, che sono quei poteri strutturati al loro interno in una pluralità di organi (es. Governo), si pone il problema di individuare quale, tra i diversi organi che li compongono, può sollevare conflitto per tutelare le attribuzioni dell’intero potere: Art.37 legge n.87/53 -> il conflitto è risolto dalla Corte “se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri dalle norme costituzionali”: Potere esecutivo L’applicazione del criterio conduce ad identificare l’organo competente ad esprimere la volontà ultima del potere stesso con l’organo cd. di vertice, che in tal caso è il Consiglio dei ministri, il quale è pertanto competente a deliberare la proposizione del ricorso per tutelare le attribuzioni dell’intero potere esecutivo. La Corte ha comunque riconosciuto che all’interno del potere esecutivo altri organi sono titolari di attribuzioni costituzionalmente loro assegnate in proprio, sicché questi ultimi sono legittimati a proporre conflitto per tutelare le loro attribuzioni. Tra questi vi sono sicuramente il Presidente del Consiglio sulla base dell’art.95 comma 1 e il Ministro della Giustizia sulla base dell’art.110 della Costituzione. Potere giudiziario Appare come un potere diffuso, nel senso che ogni giudice è potenzialmente idoneo ad esprimere la volontà ultima e immodificabile dell’intero potere, non essendo i magistrati ordinati su criteri di gerarchia. Sono soggetti soltanto alla legge ex art.101 comma 2 e diversificati per funzioni ex art.107 comma 3. Solo all’interno della magistratura requirente il principio trova attenuazione, poiché gli uffici del P.M sono organizzati in senso gerarchico, la Corte ha riconosciuto che la legittimazione al conflitto spetta in ogni procura soltanto al Procuratore capo titolare dell’ufficio. Potere legislativo Data la posizione di equi-ordinazione e di perfetta parità giuridica delle due Camere, esse sono legittimate a proporre conflitto, disgiuntamente per le attribuzioni ad ognuna di esse spettanti, congiuntamente in relazione all’esercizio della funzione legislativa. All’interno del Parlamento inoltre non si può escludere che altre sue articolazioni si vedano riservata una quota di attribuzioni costituzionalmente definite, così da potersi considerare poteri dello Stato ai fini del conflitto (esempio le Commissioni d’inchiesta, non invece i singoli parlamentari). -Per quanto riguarda l’oggetto, possono costituire materia di conflitto non solo atti, ma anche comportamenti, in ipotesi anche omissivi (es. P.R che non promulga una legge menomando la funzione legislativa del Parlamento). L’unica condizione che pone la Corte è che il conflitto di attribuzione abbia carattere residuale, ovvero che non vi sia altro rimedio giuridico capace di risolvere la questione. Il conflitto si propone infine con ricorso, depositato nella cancelleria della Corte, senza termini di decadenza previsti. Il giudizio è preceduto da una fase, che si esaurisce interamente in camera di consiglio, in cui la Corte valuta l’ammissibilità del ricorso, decidendo con ordinanza se il conflitto presenta i requisiti soggettivi ed oggettivi per la trattazione nel merito, individuando in tal caso gli organi cui il ricorso dev’essere notificato a cura del ricorrente. Le altre parti hanno 20 giorni dall’ultima notifica per costituirsi nel giudizio.
6.3 I conflitti di attribuzione tra enti
Il conflitto di attribuzione tra enti è lo strumento attraverso il quale lo Stato e le Regioni e le Regioni tra di loro risolvono i contrasti che insorgono tra esse, circa la reciproca delimitazione delle attribuzioni ad esse costituzionalmente spettanti. -Art.39 legge n.87/53 -> “se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato ovvero ad un’altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza. Del pari può produrre ricorso la Regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato”. Possono dunque proporre ricorso il Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei ministri, e il Presidente della Regione, previa delibera della Giunta. Il ricorso è soggetto ad un termine di decadenza di 60 giorni decorrenti dalla notificazione o dalla pubblicazione o dall’avvenuta conoscenza dell’atto e il giudizio nel merito non è preceduto da una previa deliberazione sull’ammissibilità. È prevista la possibilità di chiedere la sospensione cautelare dell’atto impugnato per gravi motivi, nelle more della definizione della controversia. -Per quanto riguarda l’oggetto del conflitto, dato il carattere di impugnativa del ricorso, esso potrà avere ad oggetto qualsiasi tipo di atto, in qualunque modo posto in essere, dal quale si desuma la volontà di esercitare un potere per competenza propria così da ledere la competenza altrui. Quanto alla natura dell’atto che può essere impugnato con il ricorso sono da scartare quelli legislativi, poiché tale ambito costituisce competenza del giudizio di legittimità costituzionale (del P.R). I conflitti intersoggettivi hanno invece per oggetto tipico gli atti di natura amministrativa, ma non si esclude la proposizione di un conflitto di natura giurisdizionale, in questo caso però la Regione potrà agire soltanto tramite conflitto per menomazione, non potendo rivendicare un’attribuzione giurisdizionale. La Corte risolve il conflitto dichiarando con sentenza a chi spetta l’attribuzione controversa, se è stato emanato un atto illegittimo lo annulla. Anche in questo caso l’accertamento sulla spettanza dell’attribuzione vale soltanto tra le parti, l’annullamento dell’atto vale invece verso tutti.
7. Il giudizio sulle accuse
L’ultima competenza che l’art.134 attribuisce alla Corte costituzionale riguarda il giudizio penale nei confronti del Capo dello Stato, accusato di alto tradimento o attentato alla Costituzione (art.90 Cost). Il giudizio nei confronti dei Ministri che abbiano commesso reati nell’esercizio delle loro funzioni è invece ormai affidato alla magistratura ordinaria (legge cost. n.1/1989). La procedura si sostanzia nel giudizio penale nei confronti del Capo dello Stato deferito alla Corte, che per l’occasione viene integrata nella sua composizione da 16 giudici aggregati e ha inizio con la messa in stato d’accusa deliberata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta. Il giudizio si conclude con sentenza, anche in questo caso non soggetta a gravame, con cui possono essere comminate le sanzioni penali previste dalle leggi vigenti al momento della commissione del fatto, oltre alle sanzioni costituzionali, amministrative e civili. In attesa della decisione il Presidente della Repubblica può essere sospeso in via cautelare dalla carica, con ordinanza della Corte costituzionale. (Per la questione responsabilità dei Ministri v. capitolo Governo e Funzioni Camere)
8. Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo
-legge cost.n.1/53 -> ha aggiunto alle competenze della corte il giudizio sull’ammissibilità del referendum abrogativo. La Corte è chiamata a “giudicare se le richieste di referendum presentate a norma dell’art.75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del comma 2 dell’articolo stesso”. Il Presidente della Corte, ricevuta entro il 15 dicembre dall’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione l’ordinanza che dichiara la legittimità della richiesta referendaria (legge n.352/1970), fissa la data della convocazione della Corte in camera di consiglio (non oltre il 20 gennaio) e nomina il giudice relatore, la procedura non si configura come un giudizio di parti. La sentenza con cui la Corte definisce il giudizio deve essere pubblicata entro il 10 febbraio nella cancelleria e comunicata entro 5 giorni al P.R, ai Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio, all’Ufficio centrale per il referendum e ai Promotori dello stesso, entro lo stesso termine infine viene pubblicata sulla G.U. Il parametro che la Corte utilizza per valutare l’ammissibilità del referendum consiste in primo luogo nel comma 2 dell’art.75, che chiarisce che non possono essere sottoposte ad abrogazione popolare le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e quelle di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. A questi limiti espressamente menzionati dalla Costituzione, un’interpretazione sistematica della stessa Corte ha aggiunto: a) la Costituzione, le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali. Infatti la Costituzione stabilisce il procedimento aggravato ex. art.138 per le fonti di rango costituzionale, che deve necessariamente seguirsi per la loro abrogazione. b) le leggi atipiche o rinforzate, a causa di particolari vincoli e condizioni inerenti il loro contenuto e/o procedimento di formazione, che devono essere osservati anche per procedere alla loro abrogazione. c) le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, ovvero quelle che contengono l’unico contenuto normativo compatibile con la Costituzione, sicché non possono venir modificate senza violare la Costituzione o altre norme costituzionali, e le leggi costituzionalmente necessarie, ovvero quelle che devono sussistere necessariamente perché danno attuazione a una parte fondamentale del Testo. d) le richieste formulate in modo tale che il quesito sottoposto agli elettori sia carente di una matrice razionalmente unitaria, contenendo una pluralità di domande tra loro eterogenee, che minano la libertà di coscienza dell’elettore. A tale requisito dell’omogeneità, sono stati aggiunti quelli della chiarezza, univocità e coerenza del quesito. e) sulla base di un’interpretazione estensiva del comma 2 dell’art.75, sono escluse da referendum abrogativo anche le leggi di esecuzione dei trattati (oltre quelle di autorizzazione alla ratifica già previste) e la cd. legge finanziaria, nonché tutti gli interventi legislativi collegati alla manovra finanziaria (oltre le leggi tributarie e di bilancio già indicate).