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Luisa Ferroni
Luisa Ferroni
AA 2017/2018
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
Luisa Ferroni
INDICE
INDICE .......................................................................................................... 1
1. BREVI CENNI STORICI ............................................................................ 4
2. ELEMENTI DI FISICA NUCLEARE........................................................12
2.1 Dimensioni e massa del nucleo ................................................................................ 12
2.2 Forze che agiscono a livello nucleare ...................................................................... 14
2.3 Isotopi e stabilità dei nuclei ..................................................................................... 17
2.3.1 Gli isotopi .......................................................................................................... 17
2.3.2 Diagramma di stabilità ...................................................................................... 19
2.5 Stati eccitati nucleari ................................................................................................ 26
2.6 Le reazioni nucleari .................................................................................................. 27
2.7 Valutazione della produzione di energia da reazioni nucleari di fusione e fissione .. 30
2.8 La Radioattività e i decadimenti radioattivi .............................................................. 32
2.8.1 Decadimento alfa, α .......................................................................................... 34
2.8.2 Decadimento β- (beta meno) ............................................................................ 36
2.8.3 Decadimento gamma, γ .................................................................................... 38
2.8.4 Fissione spontanea........................................................................................... 42
2.8.5 Emissione di neutroni ....................................................................................... 43
8.6 Decadimento β+ (beta +) ..................................................................................... 43
2.8.7 Cattura elettronica, CE (o Cattura K) ................................................................ 44
2.8.8 Isotopi artificiali ................................................................................................ 45
2.9 La legge del decadimento radioattivo e le famiglie radioattive ................................. 46
2.9.1 Legge del decadimento radioattivo ................................................................... 46
2.9.2 Catene di decadimento radioattivo ................................................................... 48
2.9.3 Famiglie radioattive ........................................................................................... 49
2.10 Interazioni dei neutroni con la materia.................................................................... 52
2.10.1 Interazioni dei neutroni con la materia ............................................................ 52
2.10.2 Tipologie di reazioni dei neutroni con la materia ............................................ 54
2.10.3 Sezioni d’urto .................................................................................................. 59
2.10.4 La moderazione dei neutroni .......................................................................... 63
2.10.5 Produzione di neutroni .................................................................................... 65
2.11 La fissione .............................................................................................................. 66
2.11.1 Isotopi fissili, fissionabili e fertili ....................................................................... 66
2.11.2 La fissione dell’Uranio 235 ............................................................................. 67
2.11.3 Massa critica .................................................................................................... 71
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Di seguito vengono forniti alcuni elementi di storia della fisica della materia utili per meglio
comprendere l’evoluzione delle scoperte scientifiche alla base della fisica su cui si basa
l’Ingegneria Nucleare.
Le note riportate non devono essere considerate esaustive essendo stato necessario, per
evidenti motivi di brevità, sorvolare su teorie e scoperte comunque importanti, e talune
rivoluzionarie, avvenute tra la fine del XIX secolo ed i nostri giorni; in particolare si
tralascerà - salvo una brevissima introduzione riportata in Allegato 5- tutto lo sviluppo
della fisica subnucleare, o fisica delle particelle, che studia i costituenti ultimi della materia,
branca della fisica, questa, che proprio in questi ultimissimi anni sta ricevendo grandi
impulsi grazie agli esperimenti che si stanno svolgendo nel mondo dell’infinitamente
piccolo (si fa riferimento, per esempio, alle sperimentazioni che si stanno effettuando
attualmente presso l’acceleratore LHC del CERN). … ma questo è un altro capitolo della
storia della fisica che esula dalle finalità di questi appunti.
Il modello atomico cominciò ad essere teorizzato dall’inizio del XIX secolo nel tentativo di
interpretare i fenomeni naturali, in particolare gli aspetti più complessi della chimica.
La prima teoria atomica si fa risalire allo studioso inglese John Dalton che, nel 1803,
formulò la prima teoria atomica della materia teorizzando che la materia fosse discontinua,
cioè formata da particelle elementari microscopiche indivisibili, chiamate atomi ( 1) (“gli
atomi non possono essere né creati né distrutti, e si trasferiscono, nella loro interezza, da
un elemento all’altro”). Gli atomi venivano descritti come formati da corpuscoli solidi,
mattoncini elementare della materia, che si combinavano tra loro per formare i diversi
elementi e composti chimici. La teoria di Dalton resse, praticamente inalterata, fino alla
fine del 1800; ad oggi rimane valida solo la sua definizione di atomo descritto come “la più
piccola parte di un elemento che ne mantiene le caratteristiche”.
Solo nel 1904 il fisico inglese Joseph John Thomson, partendo dalla teoria di Dalton,
approfondì lo studio dell’atomo ipotizzando che questo fosse formato da una sfera
omogenea di carica globalmente neutra creata da una massa distribuita di carica positiva
all’interno della quale erano inseriti corpuscoli di carica negativa (tale modello è definito
“modello a panettone”, in inglese “plum pudding model”); il modello atomico di Thomson
fu successivamente sviluppato da E. Rutherford, uno dei suoi studenti all’Università di
Cambridge.
Sempre Thomson nel 1897, sviluppando i suoi studi sui raggi catodici ( 2), pervenne alla
scoperta degli elettroni, le prime particelle subatomiche ad essere scoperte; tale scoperta
gli valse il Nobel nel 1906.
1
( ) Il termine atomo (dal greco: indivisibile) venne ripreso dal filosofo greco Democrito che per primo, nel IV
sec. a.C., aveva ipotizzato che la materia fosse costituita da particelle indivisibili. Quella di Democrito non
era una teoria scientifica ma filosofica che non ebbe, però, molti proseliti tra i contemporanei così come nei
secoli che seguirono. Fu necessario aspettare il 1800 perchè quella teoria fosse ripresa e sviluppata su basi
scientifiche.
2
( ) Nel 1838 Michael Faraday, facendo passare della corrente in un tubo sotto vuoto, notò la formazione di
un “arco” di luce che partiva dall’anodo ed arrivava vicino al catodo; solo alla fine del XIX secolo Thomson
scoprì che tale fenomeno era dovuto al trasporto di energia da parte degli elettroni.
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Negli stessi anni, in particolare nel 1886, il fisico francese Antoine Henri Becquerel, nel
corso delle sue ricerche sulla fluorescenza, scoprì il fenomeno della radioattività naturale .
Tale scoperta avvenne durante gli esperimenti che Becquerel effettuava per evidenziare
l’emissione di raggi X da parte di alcuni metalli resi fluorescenti dalla luce: durante tali
esperimenti scoprì, casualmente, che i sali di uranio avevano la proprietà di annerire le
lastre fotografiche anche quando le lastre erano completamente racchiuse dentro un
involucro opaco alla luce. Becquerel intuì che l’annerimento delle lastre doveva essere
provocato da una radiazione invisibile, simile ai raggi X ma non indotta come nella
fluorescenza, quindi emessa spontaneamente dall’uranio.
Pochi anni dopo, nel 1898, durante i suoi studi di Dottorato alla Sorbona, Marie
Sklodowska, successivamente moglie e collega di Pierre Curie che la affiancò poi nelle
sue ricerche, scoperse che alcuni elementi contenuti nella pechblenda (un minerale che
contiene uranio e suoi discendenti quali il radio, il torio e il polonio) avevano la stessa
proprietà di emettere spontaneamente energia (fu la Sklodowska a battezzare tale
proprietà “radioattività” e “radioattivi" quegli elementi instabili il cui nucleo decadeva con
emissione di radiazione); la Curie intuì quindi che, essendo la radioattività un fenomeno
atomico, l’atomo NON poteva essere la particella più piccola della materia. Nel 1903 i
coniugi Curie condivisero con Becquerel il premio Nobel per la Fisica per la scoperta degli
elementi radioattivi.
Nel 1901 il fisico tedesco Max Plank, nell’ambito dei suoi studi sulle emissioni di corpo
nero, getta le prime basi della meccanica quantistica. Secondo la sua teoria, detta poi
“teoria dei quanti”, gli atomi assorbivano ed emettevano energia in modo discontinuo, per
“pacchetti” finiti e discreti; questo equivaleva ad ammettere che anche l’energia associata
alle radiazioni elettromagnetiche poteva essere rappresentata in forma di pacchetti finiti e
indivisibili: le dimensioni delle unità elementari di energia, dette “quanti”, risultavano
proporzionali alla frequenza della radiazione attraverso una costante h, detta “costante di
Plank”. Nonostante la sua teoria non fosse stata considerata per anni come
generalizzabile, perché elaborata su basi empiriche, la sua riaffermazione ad opera di
Einstein consentì a Plank di ottenere il premio Nobel per la Fisica, nel 1918 per aver per
primo introdotto il concetto di “natura corpuscolare della radiazione magnetica”.
Nel 1911 Ernest Rutherford, ex studente di Thomson, nato in Nuova Zelanda ma operante
come ricercatore in Inghilterra, propose un nuovo modello di atomo (detto “modello
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planetario”) in cui quasi tutta la massa era concentrata in una porzione molto piccola, il
nucleo, carico positivamente, intorno al quale ruotavano gli elettroni, scoperti pochi anni
prima da Thomson. Secondo la teoria di Rutherford, l'atomo risultava una struttura
sostanzialmente vuota dove gli elettroni ruotavano attorno al nucleo su orbite con un
diametro da 10.000 a 100.000 volte maggiore di quello del nucleo.
Rutherford intuì anche che i protoni da soli non bastavano a giustificare tutta la massa del
nucleo e formulò l'ipotesi dell'esistenza di altre particelle che dovevano contribuire a
formare il nucleo stesso; tali particelle erano i neutroni, successivamente scoperti
sperimentalmente dal suo collaboratore, Sir James Chadwick, nel 1932 (per tale scoperta
Chadwick ottenne il premio Nobel per la fisica nel 1935).
Si ricorda infine che Rutherford, già nel 1908, aveva vinto il premio Nobel per la chimica
avendo dimostrato che la radioattività nasceva dalla spontanea disintegrazione degli
atomi, e che fu anche il primo ricercatore che, nel 1907, ottenne una trasmutazione
nucleare con la reazione:
7N
14
+ α → 8 O16 + p
Nel 1913 il danese Niels Bohr propose una modifica concettuale del modello di Rutherford:
partendo dal concetto del modello planetario, Bohr dimostrò che nell’ambito della struttura
atomica non valeva il principio di continuità del movimento. Postulò, infatti, che gli elettroni
avessero a disposizione orbite fisse, dette anche "orbite quantizzate" e che ciascuna
possedesse un livello energetico specifico; su tali orbite l’elettrone non emetteva né
assorbiva energia mentre, nel caso di una transizione da un'orbita all'altra, l’elettrone
emetteva o assorbiva energia sotto forma di onde elettromagnetiche di energia definita. In
particolare, passando da un’orbita più esterna ad una più interna, l’elettrone passava da
un stato ad energia maggiore ad uno ad energia minore emettendo una radiazione, detta
fotone, di energia pari alla differenza del livello energetico delle due orbite.
Nel 1924 il francese Louis De Broglie, nella sua tesi di Dottorato dal titolo Ricerche sulla
Teoria dei Quanti, introduceva per primo l’ipotesi, applicata inizialmente agli elettroni, che
fosse possibile considerare le particelle microscopiche come onde di materia ovvero
corpuscoli con proprietà fisiche tipiche delle onde; la sua tesi, immediatamente appoggiata
da Einstein, valse a De Broglie il Premio Nobel nel 1929.
Il lavoro di De Broglie, insieme a quello di Plank per la radiazione elettromagnetica,
diedero a Bohr lo spunto per ulteriori speculazioni che lo portarono a formulare il principio
di “complementarietà” secondo il quale “nella descrizione della natura dei processi a livello
atomico entrano in gioco aspetti complementari mutuamente esclusivi” come lo è l’aspetto
ondulatorio e contemporaneamente corpuscolare della materia. Nasce, così, la teoria
dell’aspetto duale della materia.
Tutto questo nuovo campo di teorie, oggi ricordate come vecchia teoria dei quanti (old
quantum theory), e di cui furono massimi esponenti Plank (con la teoria dei quanti), de
Broglie (con il principio della natura ondulatoria delle particelle), Bohr (col principio di
complementarietà) e Einstein furono la base su cui si sviluppò la Meccanica Quantistica
(così definita dallo stesso Plank).
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ad opera di altri importanti fisici fino agli anni ’50; ancora oggi, comunque, la fisica
quantistica è oggetto di ricerca).
L’aspetto fondante della Meccanica ondulatoria di Erwin Schroedinger fu di superare il
concetto classico di orbita come traiettoria deterministica dell’elettrone, ipotizzando invece
che gli elettroni si muovessero intorno al nucleo su porzioni di spazio che rappresentavano
superfici di equiprobabilità cui corrispondeva il 95% della probabilità che l’elettrone si
trovasse su quell’orbitale; in termini matematici, un orbitale era definito da una particolare
funzione d'onda in tre variabili, associate rispettivamente all'energia, alla forma e
all'orientamento nello spazio dell'orbitale (successivamente si aggiunse un quarto numero
quantico che rappresentava il momento angolare). Grazie alla sua formulazione della
funzione d’onda per descrivere l’orbitale elettronico Schrödinger vinse il premio Nobel per
la Fisica nel 1933.
Dall’estrapolazione della funzione d’onda dell’orbitale all’insieme delle fenomenologie del
mondo subatomico, si affermò l’idea rivoluzionaria che vede il superamento del
determinismo della meccanica classica nell’affermazione che, a partire da una certa
misurazione, nel mondo subatomico non si ottiene un dato ma solo la probabilità di
ottenere quel dato: questa indeterminazione non è dovuta ad una conoscenza incompleta
dello stato in cui si trova il sistema fisico in osservazione, ma dipende da una caratteristica
intrinseca del mondo subatomico stesso. Mentre, dunque, nella meccanica classica lo
stato di una particella è descritto attraverso il valore esatto delle due quantità osservabili,
posizione e quantità di moto, nella meccanica quantistica lo stato della particella è
descritto, nella formulazione di Schroedinger, da una funzione d’onda che dà la probabilità
di trovare la particella in quel punto.
Del lavoro di Heisenberg il postulato più noto rimane, oggi, quello del “principio di
indeterminazione”, principio peraltro confermato da decine di anni di esperienze; il
principio esprime l’impossibilità di determinare contemporaneamente, mediante
osservazione, la posizione e la quantità di moto di una particella elementare in quanto la
corretta misura di una grandezza coniugata esclude quella l'altra. Più in generale, per
qualunque coppia di grandezze dinamiche coniugate non si può misurare
simultaneamente l’una se non a prezzo di un'indeterminazione sulla misura dell'altra,
indeterminazione che risulterà tanto più grande quanto più piccola è l'indeterminazione
sulla misura della prima grandezza.
L’elemento di fusione tra la Meccanica ondulatoria di Schroedinger e il principio di
indeterminazione di Heisenberg si trova nel concetto di “collasso della funzione d’onda “
all’atto della misura, per la cui interpretazione si rimanda a testi specialistici.
All’inizio degli anni ‘30 il fisico inglese Paul Dirac risolse un nodo ancora irrisolto della
Meccanica quantistica, quello cioè di non aver saputo inglobare la teoria della relatività
ristretta proposto da Einstein già nel 1905. Dirac propose, infatti, una nuova teoria,
intermedia tra quella di Schroedinger e quella di Heisenberg, dalla quale derivò
l'equazione, che prese il suo nome, attraverso la quale riuscì a descrivere l'elettrone
quantistico da un punto di vista relativistico.
Successivamente Dirac arrivò a predire l'esistenza del positrone, avente la stessa massa
e carica dell'elettrone, ma di segno opposto (soluzione ad energia negativa della sua
equazione): questa scoperta aprì tutta una serie di ricerche parallele sull'esistenza
dell'antimateria (il positrone fu osservato in seguito da Anderson, nel 1932, nel corso dei
suoi studi sui raggi cosmici).
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Albert Einstein inizia la sua attività di ricerca nei primi del ‘900; dopo aver contribuito alla
nascita della teoria dei quanti, aderisce poi alla Meccanica quantistica avvicinandosi alla
Meccanica ondulatoria di Schrödinger, mentre fu sempre abbastanza critico rispetto ai
concetti della Meccanica quantistica nell’interpretazione di Heisenberg, non potendone
accettare i concetti più estremi legati al fatto che l’esperimento influenza comunque la
misura.
I primi lavori scientifici di Einstein compaiono intorno al 1905. In quel periodo,
infatti, pubblicò tre studi teorici di fondamentale importanza per lo sviluppo della fisica del
XX secolo: il primo di essi era relativo al moto browniano; il secondo studio,
sull'interpretazione dell'effetto fotoelettrico, riprendeva gli studi di Plank e riaffermava la
natura corpuscolare della luce, ipotizzando che l'energia trasportata da ogni particella che
costituiva il raggio luminoso, denominata fotone, fosse proporzionale alla frequenza della
radiazione secondo la formula E = hν, dove E rappresentava l'energia della radiazione, h
la costante universale di Planck, e ν la frequenza della radiazione. In seguito alla
formulazione del principio dell’equivalenza massa-energia, Einstein formulò anche
l’espressione del momento della radiazione elettromagnetica ponendolo uguale a q= E/c =
hν/c.
Il terzo e più rivoluzionario studio del 1905 è quello dal titolo “Elettrodinamica dei corpi in
Movimento”, che contiene la prima esposizione completa della teoria della relatività
ristretta. La teoria della relatività ristretta si basa su due postulati fondamentali: il principio
della relatività, che afferma che le leggi fisiche hanno la stessa forma in tutti i sistemi di
riferimento inerziale, ossia in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro; il secondo
principio che afferma l’invarianza della velocità della luce, ovvero il fatto che la velocità di
propagazione della luce nel vuoto è una costante universale.
La più rivoluzionaria teoria della relatività generale venne pubblicata nel 1916, nell'opera
intitolata “I fondamenti della relatività generale”. In essa le interazioni dei corpi, che prima
di allora erano state descritte in termini di forze gravitazionali, vengono spiegate come
l'azione e la perturbazione esercitata dai corpi sulla geometria dello spazio-tempo, uno
spazio quadridimensionale che, oltre alle tre dimensioni dello spazio euclideo, prevede
una coordinata temporale.
Per il resto della sua vita Einstein si dedicò alla ricerca di un'ulteriore estensione della
teoria generale dei campi, che però non riuscì a portare a compimento, che fornisse una
descrizione unitaria per i diversi tipi di interazioni che governano i fenomeni fisici, incluse
le interazioni elettromagnetiche, quelle gravitazionali e le interazioni nucleari, debole e
forte, postulate alla fine degli anni ‘30 dalla scuola di Enrico Fermi. C’è da evidenziare che
Einstein, nelle sue elaborazioni, non utilizzò gli strumenti matematici della meccanica
quantistica mentre, oggi, i ricercatori che ancora si applicano alla ricerca della unificazione
usano invece questi ultimi strumenti.
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Enrico Fermi inizia la sua attività di ricerca, alla fine degli anni ’20, nei campi
della relatività generale, della meccanica quantistica (abbracciò lo sviluppo della
Meccanica ondulatoria basata sulla matematica di Schrödinger) e della fisica atomica.
Nel 1926, quando fu chiamato ad occupare la cattedra di fisica teorica a Roma, iniziò a
finalizzare i suoi studi al campo più ristretto della fisica nucleare; da subito cercò di
trasformare l'Istituto di Via Panisperna, dal nome della via nella quale erano ubicati i
laboratori della Facoltà, in un centro di fisica di avanguardia di livello mondiale e, a tal
fine, si circondò di un nutrito gruppo di collaboratori di grandissimo livello quali Edoardo
Amaldi, Ettore Majorana, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Emilio Segrè ed, infine, il
chimico Oscar D'Agostino.
Obiettivo che Fermi si prefiggeva era quello di studiare le forze che tengono insieme il
nucleo superando i limiti della meccanica quantistica che, in quegli anni, era in grado di
spiegare solo, ed approssimativamente, l'emissione di particelle α, mentre in quel periodo
erano già conosciuti il decadimento β e l'emissione 𝛄𝛄.
Nel frattempo, agli inizi degli anni ‘30, l’inglese Chadwick aveva scoperto il neutrone,
mentre Karl Anderson, al California Insitute of Technology, evidenziava sperimentalmente
il positrone e, nel luglio 1932, l’austriaco W. Pauli accennava per la prima volta
all’esistenza del neutrino.
In seguito alle pubblicazioni di Chadwick sull'esistenza del neutrone, fino ad allora solo
postulata, uno dei membri più brillanti del gruppo di via Panisperna, Ettore Majorana,
elaborava la teoria delle forze nucleari che tenevano insieme i neutroni e protoni nel
nucleo atomico mentre Fermi, nel 1933, pubblicava il suo celebre lavoro sulla teoria del
decadimento beta dal titolo “Tentativo di una teoria dei raggi β”.
Nelle sua teoria Fermi, riprendendo l'ipotesi di Pauli dell’esistenza del neutrino, teorizzò
che neutrone e protone fossero due stati differenti dello stesso oggetto, aggiungendo
anche l'ipotesi che assumeva che l'elettrone espulso durante il procedimento di
decadimento β non preesisteva nel nucleo prima di essere espulso, ma che veniva creato
insieme al neutrino nel processo di decadimento contestualmente alla trasformazione di
un neutrone in un protone.
Nel 1934 Il gruppo di Fermi cominciò a lavorare sulla radioattività artificiale. Al contrario di
quanto fatto fino a quel momento, Fermi decise di bombardare i nuclei bersagli con
neutroni (cariche neutre) anziché con particelle α (cariche positive). Utilizzando come
sorgenti di neutroni sorgenti di radio e berillio, Fermi cominciò a bombardare gli elementi
del sistema periodico in maniera sistematica.
Nella seconda metà del 1934, in uno degli esperimenti di bombardamento neutronico
Fermi decise di utilizzare paraffina – anziché piombo- tra il bersaglio e la sorgente di
neutroni; tale soluzione sperimentale mise in luce un elevatissimo incremento
dell’efficacia nell’indurre la radioattività artificiale nei bersagli (furono compiuti esperimenti
anche con acqua al posto della paraffina, ambedue sostanze ricche di H, cioè di protoni).
Fermi intuì subito che, alla base della nuova scoperta, stava l’azione dei neutroni
preventivamente rallentati dagli urti elastici con i nuclei della paraffina.
Gli esperimenti mostrarono che alcuni elementi avevano una cattura neutronica fra 3 e 4
volte maggiore della cosiddetta sezione d'urto geometrica dei nuclei irradiati. Utilizzando la
meccanica quantistica Fermi riuscì a spiegare questo fenomeno, ricavando la legge
generale della dipendenza dalla sezione d'urto di cattura dei bersagli dalla velocità dei
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neutroni incidenti e scoprendo così che, per velocità molto basse, la probabilità di cattura
aumenta essendo una funzione inversamente proporzionale della velocità dei neutroni.
Enrico Fermi vinse, in seguito a questa scoperta, il premio Nobel per la fisica nel 1938.
Il gruppo di Fermi lavorò intensamente sulle nuove ricerche; in poco tempo vennero
irradiati con neutroni circa 60 elementi ed almeno in 40 vennero identificati nuovi elementi
radioattivi. Durante la fase di classificazione delle reazioni, il gruppo si accorse che i
neutroni davano luogo alla formazione di nuovi nuclei radioattivi praticamente in tutti gli
elementi irradiati, indipendentemente dal numero atomico.
Fermi e il suo gruppo proseguirono nella loro attività di bombardamento di tutti gli elementi
della tavola periodica. Arrivati al numero 90 (torio) e al numero 92 (uranio), osservarono
numerosi radionuclidi che erroneamente interpretarono, inizialmente, come nuovi
elementi. La scoperta di queste nuove particelle venne confermata dai maggiori fisici
dell'epoca e i due nuovi elementi vennero denominati esperio e ausonio. Fermi,
comunque, non era convinto della interpretazione delle sue sperimentazioni e la sua
intuizione venne confermata, un certo tempo dopo, dalla chimica tedesca Ida Noddack che
dimostrò che le particelle individuate non erano due nuovi elementi, ma si trattava di
particelle generate dalla fissione dell'uranio. La scoperta venne confermata nel 1938 da
due chimici nucleari tedeschi, Otto Hahn e Fritz Strassmann, che dimostrarono
sperimentalmente che un nucleo di uranio 235, qualora assorba un neutrone, può dividersi
in due o più frammenti dando luogo così alla fissione del nucleo.
La attività del gruppo proseguì con la ricerca della comprensione del gran numero di
reazioni indotte dal bombardamento con neutroni nel torio e nell'uranio ma, già nel 1935,
il gruppo si era reso conto che le sorgenti al radon-berillio, fino ad allora utilizzate nei
laboratori di via Panisperna, erano molto deboli e che solo un acceleratore di particelle,
energizzando fortemente i neutroni, avrebbe consentito di proseguire fattivamente la
sperimentazione. Purtroppo, anche per motivi politici, Fermi non riuscì ad ottenere i
necessari finanziamenti e questa sconfitta segnò l’inizio della disgregazione del gruppo di
via Panisperna, proprio alcuni mesi prima dell'assegnazione del premio Nobel per la fisica
a Fermi.
In questo periodo di incertezza maturò, in Fermi, la decisione di lasciare l'Italia
accogliendo gli inviti provenienti da diverse università americane che gli avrebbero
garantito i finanziamenti necessari per lo svolgimento delle sue ricerche. Si tenga conto
che, ormai, iniziava a prendere forma l'idea che si potesse utilizzare il processo di fissione
dei nuclei di U per costruire dei reattori per produrre energia ma anche, purtroppo, degli
ordigni di distruzione di massa.
Fermi si trasferì negli Stati Uniti nel 1938, subito dopo aver ritirato il Premio Nobel, invitato
alla Columbia University di New York per una serie di lezioni; in quella stessa università,
pochi anni dopo, cominciò la costruzione della prima pila nucleare, la Chicago Pile-1.
Interrompiamo questi brevi cenni di storia della fisica nucleare proprio nel momento del
raggiungimento della prima criticità del Chicago Pile-1, che avvenne il 2 dicembre 1942.
Da questa data in poi sono state compiute altre importantissime scoperte, fino alle
attualissime in corso presso l’acceleratore LHR del CERN; … ma questo è un altro
capitolo della storia della fisica che esula dagli intenti di queste note. Solo alcuni brevi
cenni sulla fisica delle particelle subnucleari sono riportati nell’Allegato 5 per necessità di
comprensione di alcuni fenomeni trattati nel seguito.
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ULTIME EVIDENZE SPERIMENTALI che supportano le teorie dei primi del novecento:
- Nell'anno 2007 è stato eseguito un esperimento a distanza per provare l’esistenza del
NEUTRINO.
Dal 2007 il CERN di Ginevra genera neutrini e li spara in direzione del laboratorio
INFN del Gran Sasso. Su miliardi di miliardi di neutrini lanciati dal CERN e arrivati ai
laboratori dell'INFN, solo, nel 2010 è stata osservata la prima traccia di una
interazione di un neutrino con la materia (esperimento OPERA del Gran Sasso).
- A luglio 2012, al Cern di Ginevra Fabiola Gianotti, la scienziata italiana che guida
l'esperimento Atlas, uno dei due enormi rivelatori sotterranei installati al CERN, da la
notizia della scoperta sperimentale del Bosone di Higgs, che spiega come mai tutte le
cose nell'universo abbiano una massa (era stato teorizzato ben 48 anni fa dallo
scienziato inglese Peter Higgs)
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r = R0 × A1/3
La massa dei protoni e dei neutroni si computa in base all’unità di massa atomica, uma
(amu in terminologia inglese). L’unità di massa atomica è definita come la dodicesima
parte della massa di un atomo di C12 ( 3); dunque, essendo la massa di una mole di C12
3
( ) Storicamente, fu per primo il chimico John Dalton, agli inizi del 1800, a suggerire di utilizzare la massa di
un atomo, in particolare l’atomo di idrogeno, come riferimento nel confronto delle masse di atomi e dei
composti chimici. Successivamente fu introdotto come campione di riferimento 1/16 della massa di un atomo
16
di O ; solo nel 1960 l'Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC) introduce l'attuale
12
definizione di unità di massa atomica unificata assumendo come riferimento l’atomo di C .
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pari a 12,0000 gr ( 4), noto che in una mole ci sono N A atomi ( 5), la massa di un atomo di
C12 è esattamente pari all’inverso del numero di Avogadro, infatti:
𝟏 𝟏𝟐,𝟎𝟎𝟎𝟎
1 uma = 𝟏𝟐 × 𝟐𝟑 = 0,166054×10 gr = 1,66054×10 Kg
-23 -27
𝟔.𝟎𝟐𝟐𝟏𝟒𝟏𝟐𝟗×𝟏𝟎
L’uma, nonostante non appartenga al SI di unità di misura, è un’unità particolarmente utile
in quanto, poiché sia la massa del protone che del neutrone vale circa 1 uma, mentre la
massa degli elettroni è trascurabile (la massa di un elettrone vale circa 1/1830 della massa
del protone), con l’uma come unità di misura la massa di un atomo è pari, con buona
approssimazione, al numero di massa dell’atomo.
In particolare, le masse misurate del protone e del neutrone valgono,:
E = m0 × c2
si può facilmente passare a definire l’equivalente energetico delle masse a riposo di p e n:
Em 0protone ≅ 1,672623×10-27 kg × (299,792×106 m/s)2 = 1,503277×10-10 (kg m2/s2 , J)
12
(4) Attenzione, si fa riferimento alla massa atomica del solo C non della miscela di isotopi del carbonio,
quindi la massa è un valore intero senza decimali (al contrario, il carbonio, ovvero la somma degli isotopi del
carbonio esistenti in natura, ha massa atomica pari a 12,0107)
(3) NA, numero di Avogadro = 6,02214129 ×10 ≅ 6,023×10 particelle/mole , ove una mole corrisponde al
23 23
13
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Come è noto, esistono 4 forze che agiscono sulla materia: la forza gravitazionale, la forza
elettromagnetica, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole.
Ad oggi il Modello Standard è stato in grado di sviluppare una teoria che unifica le forze
elettromagnetiche e la forza nucleare debole, riunite in una forza detta “eletttro-debole”, e
la forza nucleare forte (v. Allegato 5).
Non esiste ancora, invece, una teoria generale che unifica alle tre anche la forza di
gravità; molti studi sperimentali sono, ovviamente, impegnati su questo problema.
MODELLO STANDARD
Forza
Forza gravitazionale
elettromagnetica
Forza
elettrodebole
Forza nucleare Grande teoria TEORIA
elettrodebole Unificata DEL
TUTTO
Forza nucleare
forte
?
14
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𝒎𝒑 × 𝒎𝒑
𝑭𝑮 = 𝑮 ×
𝒅𝟐
dove: m p = 1,67 × 10-27 kg
d, distanza tra i protoni che si può assumere pari a 10-15 m
G, costante gravitazionale = 6,67 × 10-11 Nm2/kg2
𝟐
(𝟏,𝟔𝟕×𝟏𝟎−𝟐𝟕)
risulta quindi: 𝑭𝑮 = 𝟔, 𝟔𝟕 × 𝟏𝟎−𝟏𝟏 × 𝟐 = 𝟏, 𝟖𝟔 × 𝟏𝟎−𝟑𝟒 𝑵
�𝟏𝟎−𝟏𝟓 �
• La forza elettromagnetica agisce a livello atomico, come forza attrattiva tra elettroni
e protoni, e a livello nucleare come forza di repulsione elettrostatica tra i protoni.
La forza elettrostatica tra nuclei positivi assume la formulazione della legge di
Coulomb:
F R (x ) = k × (Z 1 × Z 2 × q2) /d 2
dove: Z 1 e Z 2 sono i numeri atomici dei nuclei,
q è la carica elettrica espressa in C, (1.602 x 10-19 C)
d la distanza tra le particelle, in m,
k è una costante che vale 8.988 ×109 Nm2/C2
Per confrontarla con l’azione gravitazionale, si può calcolare l’azione della forza di
repulsione tra due protoni che, per d=10-15 m, risulta valere:
𝟐
(𝟏,𝟔𝟎𝟐×𝟏𝟎−𝟏𝟗)
F R (x ) = 𝟖, 𝟗 × 𝟏𝟎𝟗 × 𝟐 ≅ 𝟐𝟑𝟎 𝑵
�𝟏𝟎−𝟏𝟓 �
• La forza nucleare forte, detta a corto raggio, che è la forza attrattiva che consente ai
nucleoni, indipendentemente se trattasi di protoni o neutroni, di mantenersi uniti.
La forza nucleare forte si risente sostanzialmente per nucleoni contigui; essendo la
massima distanza tra nucleoni dell’ordine del loro diametro (assimilandoli a sfere, p
e n hanno un diametro medio di circa 2,4×10-15 m) quello è l’ordine di grandezza
della distanza per cui la forza nucleare forte raggiunge il valore massimo.
La forza nucleare forte, nel range delle distanze sopra riportate, riesce a vincere la
repulsione elettrica fra i protoni presenti nel nucleo; le forze elettrostatiche
repulsive tendono a diventare via via preponderanti per distanze via via maggiori.
• la forza nucleare debole agisce, invece, sui costituenti dei nucleoni, ovvero i quark;
ha raggio di azione di 10-18 m e da conto dei decadimenti e della interazione con la
materia dei neutrini emessi in seguito ai decadimenti. Come già accennato, lo
studio di tali forze esula dagli scopi di questa dispensa.
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E’ possibile esprimere la formula semplificata della energia nucleare forte -di attrazione-
che si esplica tra due nucleoni di raggio r posti ad una distanza x:
𝒓 𝒙
𝑬(𝒙) = 𝒂 ∙ 𝒙
∙ 𝒆𝒙𝒑 �− 𝒓 � [ J]
Per tutto quanto sopra detto, l’andamento dell’energia potenziale all’interno ed all’esterno
di un nucleo può essere schematizzato come riportato in fig. 2.1. In particolare:
- lo schema b), invece, mostra il potenziale all’interno del nucleo che può essere
esemplificato, avendo una intensità molto maggiore, come una “buca” di profondità
V 0 molto maggiore, in modulo, di E c . La buca V 0 corrisponde alla configurazione
stabile del nucleo
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- come mostrato nello schema c), la curva del potenziale repulsivo E c crea una
barriera che delimitata la buca e ogni particella carica che debba lasciare o entrare
nel nucleo dovrà avere una energia sufficiente a superare tale barriera.
6
( ) L’unico modo in cui il T è prodotto naturalmente sulla terra è quello della interazione dei raggi cosmici
con l’atmosfera: in particolare, la reazione più importante è quella dei neutroni di alta energia (a loro volta
prodotti dalle fissioni dei gas atmosferici con i raggi cosmici) con l’azoto:
+on → 6C + 1T
14 1 12 3
7N
Tuttavia, a causa del tempo di dimezzamento relativamente breve, il T non è in grado di accumularsi e,
quindi, è presente sulla terra in quantità minime.
Artificialmente il T può ottenersi bombardando il Li (reazione di fissione) con elevati flussi neutronici lenti o
veloci (ottenuti nei reattori nucleari);
3Li +on → 2He + 1T + 4,8 MeV
6 1 4 3
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(si evidenzia che gli isotopi dell’H sono i soli ad avere un loro simbolo, gli isotopi di tutti gli
altri elementi si caratterizzano solo in base al numero di massa mantenendo lo stesso
simbolo chimico).
Il Carbonio, invece, ha tre isotopi: il 6 C12 presente in natura in ragione del 98,89%, il 6 C13
presente in natura in ragione del 1,11% e il 6 C14 presente in natura in tracce (instabile, T 1/2
= 5700 anni)).
Passando agli elementi pesanti, per l’Uranio, ad esempio, si conoscono ben 14 isotopi
aventi numero di massa compreso tra 227 e 240; di questi solo tre sono presenti in natura,
così come riportato nella tabella che segue, gli altri sono prodotti artificialmente.
In base alla presenza percentuale degli isotopi, ciascuno con la propria massa, viene
calcolata la massa dell’elemento.
Riassumendo, in qualunque reazione nucleare in cui il numero atomico dell’elemento non
varia si assisterà alla formazione di isotopi dell’elemento stesso, con caratteristiche
chimiche identiche all’elemento di partenza; viceversa, se la reazione darà luogo alla
formazione di un elemento con diverso numero atomico, ci si troverà di fronte ad
una trasmutazione ovvero alla trasformazione di un elemento in un altro.
A causa della presenza degli isotopi, il numero di massa non è un elemento atto a definire
un singolo elemento (a tal fine è utile solo il numero atomico Z); uno stesso numero di
7
( ) La misura è generalmente ottenuta tramite spettrometria di massa. Il funzionamento di tale strumento si
basa sul fatto che, in un campo elettrico, un fascio di particelle si separa in fasci secondari in relazione al
rapporto tra carica elettrica e massa. Lo spettrometro ,dunque, separa gli ioni aventi la stessa carica e
massa diversa, ad esempio gli isotopi.
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massa, infatti, può essere proprio di elementi diversi che, in tal caso, si
definiscono ISOBARI. Per esempio, con A=40 si hanno:
40
18 Ar con 18 protoni e 40-18= 22 neutroni
40
19 K con 19 protoni e 40-19= 21 neutroni
40
20 Ca con 20 protoni e 40-20= 20 neutroni
In Allegato 1 viene riportato l’elenco degli elementi naturali completo di numero atomico e
peso atomico (pesato sugli isotopi naturali, da qui il motivo per cui, nella maggior parte dei
casi, il peso atomico non è un numero intero).
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Per Z>83
decadimento α
La figura 2.2, in particolare, mostra, nel campo Z vs N, la banda di stabilità all’interno della
quale si posizionano i nuclidi stabili evidenziati in arancione (la retta sottostante
rappresenta solo la bisettrice per la quale il numero di protoni è uguale al numero di
neutroni) .
Come si nota, per Z fino a circa 20 i nuclidi stabili posseggono ugual numero di protoni e
neutroni; per Z>20 la curva tende ad impennarsi allontanarsi dalla bisettrice, a significare
che un nucleo è stabile solo se il numero di neutroni è maggiore del numero dei protoni, e
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questo fino ad un valore di neutroni del 50% circa superiore a quello dei protoni. Questo
fatto si giustifica come segue:
1) per bassi numeri atomici le forze repulsive, di intensità proporzionale a Z2, risultano
inferiori rispetto alle forze nucleari di attrazione dei nucleoni, proporzionali ad A;
3) gli elementi con Z>83 (dal 84 Polonio fino a 92 U) esistono in natura ma sono instabili
e quindi decadono naturalmente in tempi più o meno lunghi (tempo di
decadimento);
4) gli elementi con Z>92 non sono più presenti in natura, perché scomparsi in
seguito a decadimento radioattivo, ma si possono comunque riottenere
artificialmente;
5) anche due tra gli elementi più leggeri sono già scomparsi, ma si possono
comunque riottenere artificialmente, e sono il tecnezio, Tc , con Z=43, e il promezio,
Pm, con Z=61.
Tutti i nuclidi che si trovano fuori dalla stretta fascia di stabilità sono destinati a subire delle
reazioni, dette di decadimento o trasmutazione, tali da ricondurli verso un isotopo stabile
dello stesso elemento o di un altro con diverso numero atomico; in particolare, si nota che
a sinistra della banda dove, a parità di numero di massa, i nuclidi sono troppo ricchi di
neutroni, si prevedono decadimenti che trasformino neutroni in protoni (decadimenti “beta-“
o decadimenti “α”per nuclidi con Z>83, vedi oltre); analogamente, i nuclidi che si trovano
a destra della banda risultano instabili per eccesso di protoni e quindi, per trasformare il
nuclide instabile in un nuclide stabile, devono intervenire decadimenti che trasformino
protoni in neutroni (decadimenti “beta+“ o di “cattura elettronica”, vedi oltre).
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N=126
Z=82
N=82
8
Pb
N=50
Z=50
N=28
N=20
N=8 Z=28 Z
Z=2
0
Z=8
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In altre parole: ogni qual volta in un sistema aperto un certo numero di nucleoni si
raggruppa a formare un nucleo scompare una certa quantità di massa dal sistema e
contestualmente viene liberata una equivalente quantità di energia; in tal caso la reazione
si dice spontanea nel senso che va verso una forma più stabile cui corrisponde un livello
energetico inferiore. Viceversa, tutte le volte che un nucleone viene strappato ad un
nucleo aumenta la massa totale del gruppo nucleo+nucleone e, quindi, una certa quantità
di energia, che è proprio pari all’energia di legame del nucleone, deve essere ceduta al
nucleo di partenza per potergli strappare detto nucleone ( 8).
Si analizzi il caso del difetto di massa che si realizza con la formazione di un nucleo di
Elio, 2 He4 , dai costituenti elementari:
2 m p + 2m n = 2×1.007276 + 2× 1.008665 = 4,031882 uma
massa misurata dell’ 2 He4 = 4,001516 uma
differenza = 0,030372 uma
8
( ) Analogamente, a livello atomico, dove il legame elettroni-nucleo è di natura elettromagnetica, l’energia di
legame necessaria a scalzare un elettrone è detta energia di ionizzazione.
(9) L’energia di legame degli elettroni è in genere trascurata perché di valore minimo rispetto alle energie in
gioco a livello del nucleo (l’energia di legame di un elettrone è di soli 25 eV, valore che si ottiene facilmente
calcolando il difetto di massa dell’atomo di Idrogeno).
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• nei principali isotopi dei nuclei leggeri in cui il numero dei neutroni e quello dei
protoni è ancora uguale o molto simile, l’energia di legame cresce
proporzionalmente col numero di massa, corrispondentemente ad una stabilità
crescente.
Si raggiunge il massimo dell’energia di legame, e quindi di stabilità, per i nuclei
che hanno numero di massa intorno a 60, cui corrisponde una energia di legame
di circa 8,8 MeV per nucleone;
• la curva, nel suo ramo crescente, presenta quattro picchi in corrispondenza dell’
He4, del Be9, del C12 e dell’ O16 che, quindi, risultano essere nuclei molto più
stabili dei loro vicini;
alcuni dei nuclei più pesanti, contenenti un numero di nucleoni dell’ordine dei
200, sono particolarmente instabili e quindi tendono a decadere, ovvero a
trasformarsi in nuclei con minor numero di massa, espellendo una particella
α. Il difetto di massa che deriva dalla reazione si trasforma in energia cinetica
delle particella alfa e del nucleo decaduto, recuperabile - in un reattore
nucleare- sotto forma di energia termica;
92 U
238
+n⇒2 46 X
119
+…
noto che l’energia di legame dell’U238 vale circa 7,6 MeV per nucleone e
l’energia di legame del generico elemento con numero di massa 119
varrebbe circa 8,5 MeV (vedi diagramma dell’energia di legame), in teoria si
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otterrebbe un guadagno di circa 0,9 MeV per nucleone per un totale di circa
(0,9x238)= 214 MeV.
Il difetto di massa che deriva dalla reazione si trasforma in energia cinetica
dei frammenti di fissione, anch’essa recuperabile, in un reattore nucleare,
come energia termica.
• Per ragioni analoghe alle precedenti, si intuisce come nuclei più leggeri possano
dar luogo a reazioni di fusione nucleare, ovvero a fondersi per dar luogo ad un
elemento più pesante, più stabile dei nuclei reagenti perché caratterizzato da
una energia di legame per nucleone maggiore di quelle dei nuclei di partenza.
1H
2
+ 1 H2 ⇒ 1 H3 + p + 4 MeV oppure 1H
2
+ 1 H2 ⇒ 2 He3 + n +3,2 MeV
Come esempio si riporta, per la prima reazione, la verifica in termini di energia
di legame:
mD + mD = 2 x 2,01355 = 4,0271 uma
m H3 + m p = 3,0155 + 1,007276 = 4,0228 uma
Un nucleo si trova abitualmente nel suo stato di minore energia, detto stato fondamentale,
che corrisponde ad una particolare configurazione spaziale dei suoi nucleoni; tuttavia,
questi possono presentarsi anche in configurazioni diverse alle quali corrispondono stati
del nucleo di più alta energia, detti livelli eccitati. (v. Allegato 3).
• col crescere dell’energia di eccitazione aumenta in tutti i nuclei la densità dei livelli
(n° di livelli a parità di intervallo di energia);
• a parità di livello energetico, la densità dei livelli aumenta col numero di massa; tale
regola viene meno per i nuclei magici (per esempio il 83 Bi209 con 126 neutroni) per i
quali i livelli risultano distanziati come per i nuclei leggeri.
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Come regola generale, i nuclei con energia di eccitazione superiore all’energia di legame
per nucleone possono diseccitarsi, con processo statistico, emettendo un nucleone
mentre, per energie di eccitazione inferiori a tale soglia, la diseccitazione avviene solo
tramite emissione di radiazione gamma.
Esistono, comunque, delle eccezioni alla regola generale. In alcuni casi, infatti, può
avvenire che un certo nucleo che ha, per esempio, una energia di legame per nucleone di
7,5 MeV si possa trovare ad una energia di eccitazione di 10 MeV; questo può avvenire
perché, al contrario di quanto avviene a livello atomico, nel fenomeno di eccitazione
nucleare una volta che un nucleone è stato portato in uno stato eccitato, prima che questo
passi ad un livello energetico più elevato –e quindi venga espulso- sarà un secondo
nucleone a spostarsi su un livello energetico eccitato, suddividendo così l’energia di
eccitazione su più nucleoni. Questa è la ragione per cui è possibile che, per i nuclei,
possano esistere degli stati eccitati caratterizzati da una energia di eccitazione più alta
dell’energia di legame per nucleone.
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Secondo la teoria di Bohr ( 10) le reazioni nucleari non avvengono in un’unica fase
ma attraverso la formazione di un nucleo composto con numero atomico pari alla
somma dei numeri atomici delle particelle iniziali, e numero di massa pari alla somma dei
numeri di massa.
L’energia del nucleo composto, pari alla somma delle energie cinetiche e delle
energie di legame delle particelle reagenti, causa la disintegrazione dello stesso, in un
intervallo temporale dell’ordine dei 10-14 s, in un nucleo figlio, una particella e un delta
energetico (radiazione gamma istantanea o ritardata).
Le reazioni, quindi, possono esemplificarsi come segue:
A+a B + b + ΔE
Dove: A e B sono nuclei
a e b sono nuclei o particelle elementari
ΔE radiazione elettromagnetica
Nelle applicazioni di interesse il nucleo “A”, ovvero il bersaglio, è generalmente
considerato fermo mentre la particella “a” è dotata di energia cinetica.
Pur non essendo scopo dello studio in oggetto affrontare nel dettaglio la teoria delle
reazioni nucleari, è comunque importante evidenziare le quattro leggi fondamentali che
governano tali reazioni:
Il principio di conservazione di energia può essere impiegato per stabilire se una reazione
è spontanea. E’ evidente, infatti, che l’energia totale prima dell’urto, data dalla somma
delle energie cinetiche di “E A” e “E a ” e delle loro masse a riposo, debba essere
uguale a quella della somma delle energia delle particelle e della radiazione che si
formano dopo l’urto, ovvero:
E A + E a + (m A + m a ) c2 = E B + E b + (m B + m b ) c2
ovvero: [(m A + m a ) - (m B + m b ) ] c2 = (E B + E b ) - (E A + E a )
questa espressione è molto importante perché evidenzia il termine fondamentale
della variazione della massa a riposo prima e dopo l’urto:
ΔE = [(m A + m a ) - (m B + m b ) ] c2
(10) Il modello a goccia fu proposto nel 1936 da Bohr per spiegare un particolare tipo di fenomeno di
risonanza che si verifica nelle reazioni nucleari.
Se si immagina di colpire il nucleo bersaglio con un proiettile si ottiene un nucleo composto eccitato, mentre
l’energia del proiettile si distribuisce probabilisticamente fra tutti i nucleoni.
In una fase successiva una particella potrebbe assumere la maggior parte dell’energia disponibile ed essere
espulsa dal nucleo (per esempio nella fissione nucleare).
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vuol dire che l’ aumento dell’energia cinetica delle particelle createsi dall’urto è
avvenuta in seguito alla conversione in energia di parte della massa a riposo delle
particelle reagenti; la reazione di definisce reazione esoenergetica. Tutte le reazioni
spontanee sono esoenergetiche;
vuol dire che l’energia cinetica delle particelle createsi dall’urto è inferiore rispetto a
quella delle particelle iniziali e la differenza di energia si riscontra nell’aumento
della massa a riposo dopo l’urto; in tal caso la reazione di definisce reazione
endoenergetica (caso tipico: allontanamento di un nucleone dal nucleo, con
aumento della massa totale del sistema, che richiede che venga fornita energia
dall’esterno) .
Un esempio per applicare i formulismi sopra riportati: si calcoli il valore delle energia
cinetiche della reazione che segue:
1H
3
+ 1 H2 2 He
4
+n ovvero 1H
3
(d , n) α
risulta: [(m T + m D ) - (m α + m n ) ] c2 = ΔE = (E α + E n ) - (E T + E D )
calcolando:
ΔE = 0,018875 uma
E α + E n - E D = 17,6 MeV
½ m α v α 2 + ½ m n v n 2 - E D = 17,6 MeV
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ED = 0 e mα ⋅ vα + m n ⋅ vn = 0
portando a sistema le relazioni finali si ottiene:
½ m α v α 2 + ½ m n v n 2 = 17,6 MeV
mα = - (m n ⋅ v n ) / v α
½ m n v n 2 + ½ m α (-m n v n / m α )2 = 17,6 MeV
½ m n v n 2 + ½ m n v n 2 (m n / m α ) = 17,6 MeV
½ m n v n 2 (1 + m n / m α ) = E n (m α + m n ) / m α = 17,6 MeV
da cui:
Si prenda come riferimento il caso della fusione: si è già detto che tutte le volte che è
possibile formare una configurazione più stabile combinando tra loro due nuclei meno
stabili mediante fusione viene liberata energia.
1H
2
+ 1 H2 ⇒ 1 H3 + 1 H1 + ∆E
11
( ) Si sta studiando una reazione di fusione; si può ipotizzare che nel momento in cui avviene la reazione,
quando i due nuclei sono a contatto, il deuterio abbia già perso tutta l’energia cinetica, fornita dall’esterno,
necessaria per superare il potenziale di repulsione coulombiano.
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1H
2
+ 1 H2 ⇒ 2 He3 + 0 n1 + ∆E
In termini di energia di legame, la fusione è favorita dal fatto che l’He3 possiede una
energia di legame di 7,72 MeV, anch’essa superiore a quella del Deuterio; nella reazione,
dunque, si ha un guadagno di energia pari a:
92 U
235
+ 0 n1 ⇒ 54 Xe
140
+ 38 Sr94 + 2 0 n1 + ∆E
In termini di energia di legame, la fissione -che è spontanea quando l’U235 è colpito da un
neutrone termico- è favorita perché sia lo Xe che lo Sr hanno energie di legame per
nucleone superiori all’U235, rispettivamente circa 8,3 e 8,6 contro circa 7,6 MeV per
nucleone dell’U235; nella reazione dunque, si ha un guadagno di energia pari a:
12
( ) Attenzione, il valore più alto di energia di legame del trizio rispetto a quella del Deuterio sembra
contrastante col fatto che il Trizio è instabile mentre il Deuterio è stabile: in realtà, si deve tener conto del
fatto che la reazione di fusione non è spontanea, ma che per farla avvenire bisogna fornire dall’esterno una
enorme energia visto che si deve far collidere due particelle ambedue positive!
(13) Si ricorda che, utilizzando il metodo dell’energia di legame si inverte il modo di effettuare il bilancio,
passando ad una differenza tra il 2° e il 1° membro ( mentre, nel calcolo del difetto di massa la differenza è,
ovviamente, quella tra la massa del 1° membro della reazione meno quella del 2° membro).
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Con il termine radioattività si intende un insieme di processi tramite i quali i nuclei atomici
instabili, detti radionuclidi, si trasformano, mediante reazioni nucleari, in nuclei a
contenuto energetico inferiore raggiungendo così uno stato di maggiore stabilità.
Nelle reazioni nucleari sono comunque sempre verificati due principi fondamentali:
• la somma dei numeri atomici deve rimanere costante tra i prodotti reagenti e quelli
finali;
• la somma dei numeri di massa deve rimanere costante tra i prodotti reagenti e quelli
finali.
Si sottolinea inoltre che:
- un nuclide può decadere anche se legato in un composto chimico;
- isotopi diversi di uno stesso elemento possono decadere con reazioni diverse.
Nei nuclei instabili è sempre presente, potenzialmente, un disturbo in grado di dar vita alla
reazione di decadimento spontanea, tale disturbo è detto fluttuazione quantica: di fatto, i
nucleoni non sono mai a riposo ma sono in continuo stato di agitazione tale per cui è
possibile che, casualmente, si raggiunga una configurazione più stabile cui è associato
uno stato energetico inferiore: tale processo si definisce “decadimento” ed è, come sopra
riportato, legato a processi statistici.
I decadimenti nucleari sono raggruppati in tre classi principali:
- decadimento alfa;
- decadimento β- (beta-) ;
- decadimento gamma.
Mentre nel decadimento alfa e nel decadimento beta cambia il numero di protoni del
nucleo (trasmutazioni), cambiando così la natura chimica dell'atomo, il decadimento
gamma avviene fra stati eccitati dello stesso nucleo comportando solo una perdita di
energia del nucleo (diseccitazione).
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Nella maggior parte dei casi gli isotopi instabili subiscono una serie di decadimenti in
successione, in genere di diversa tipologia, e pertanto si parla di “catena di decadimento
di un isotopo” intendendo l’intera sequenza di decadimenti che tale atomo subisce per
raggiungere la situazione finale di stabilità. Quasi tutte le catene di decadimento finiscono
con un isotopo stabile del piombo (vedi oltre).
Alla suddetta classificazione dei decadimenti sono poi da aggiungersi la fissione
spontanea e l'emissione di neutroni e altri due decadimenti propri dei nuclidi artificiali,
ovvero il decadimento β+ (beta +) e la catture elettronica.
33
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Neri: stabili
Blu: beta emittenti
Rosso: alfa
emittenti
Rosa: positroni o
cattura e-
ZX
A
→ Z – 2Y
A-4
+ 2 He + ∆E + (γ)
4++
84 Po
210
→ 82 Pb
206
+α
dove per il Polonio il rapporto N/Z vale (210-84)/84=1.50 mentre il rapporto N/Z per il
206
82 Pb vale (206-82)/82=1.512.
questa energia cinetica si distribuirà in modo inverso alle masse, quindi si ritroverà quasi
interamente sulla particella α [E cin α= (206/210)x6,43=6,3 MeV; E cin Pb= (4/210)x6,43=0,13
MeV].
34
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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90 Th
232
→ 88 Ra
228
+ α + ∆E
92 U
238
→ 90 Th
234
+ α + ∆E
94 Pu
239
→ 92 U
235
+ α + ∆E
Se l’isotopo prodotto nel decadimento si trova in uno stato eccitato, ovvero in uno stato
metastabile, allora il ∆E corrispondente al difetto di massa non viene rilasciato tutto
contestualmente ma, dopo un tempo caratteristico, l’isotopo si porta nel suo stato
fondamentale emettendo l’energia mancante sotto forma di radiazione di diseccitazione γ.
Le particelle alfa emesse da nuclidi radioattivi degli elementi pesanti generalmente
viaggiano nel vuoto ad una velocità pari a circa qualche decimo di quella della luce.
14
( ) Un concetto utile, che descrive l' assorbimento in un modo equivalente, è quello del libero cammino
medio della radiazione. Questo è definito come la distanza media che una particella può percorrere
attraverso un mezzo assorbente senza essere assorbita.
35
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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n → p+ + β- + ν
Come si nota, nel decadimento beta negativo il numero Z aumenta di una unità e l'atomo
si trasforma in un elemento chimico differente, situato a destra nella tavola di Mendelejev,
resta invece invariato il numero A (transizione isobarica).
Il protone resta nel nucleo atomico, mentre le altre due particelle vengono espulse. Lo
schema generale della reazione è il seguente:
ZX
A
→ Z + 1Y
A
+ β- + ν + ∆E + (γ)
L’antineutrino ( 15), così come l’antiparticella neutrino (v. decadimento β+), è una particella
di massa piccolissima (da 105 a 106 volte inferiore a quella dell’elettrone) e carica neutra,
caratterizzata da una interazione assolutamente trascurabile con la materia. L’esistenza
del neutrino fu postulata da Pauli per giustificare la distribuzione di energia conseguente al
decadimento β , tipica di un decadimento a tre corpi ( 16). La presenza dei neutrini,
dal punto di vista del bilancio energetico delle reazioni, è importantissima
tant’è che nei reattori nucleari una parte sostanziosa dell’energia prodotta,
pari a circa il 5%, è totalmente irrecuperabile perchè associata ai neutrini.
19 K
40
→ 20 Ca
40
+ e- +ν + ∆E
27 Co
60
→ 28 Ni
60
+ e- +ν + ∆E
(15)
Per quanto riguarda il prefisso ANTI, si nota che per ogni tipo di particella esiste una corrispondente
antiparticella avente la stessa massa e spin ma altri numeri quantici, tra cui la carica elettrica, di segno
opposto. Per esempio, un neutrone, che non ha carica, ha un’antiparticella composta da antiquark invece
che da quark!
(16) La presenza dell’antineutrino fu postulata da Wolfgang Pauli a causa del fatto che, in conseguenza della
reazione, l'atomo e la particella beta non rinculavano in direzioni opposte, cosa che violava il principio della
conservazione dell'energia e del momento. Pauli, dunque, postulò la presenza di un terzo elemento a
completamento della reazione di decadimento; la presenza del neutrino nel decadimento beta fu
successivamente formalizzata da E. Fermi.
36
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Se l’isotopo prodotto nel decadimento si trova in uno stato eccitato, ovvero in uno stato
metastabile, allora il ∆E corrispondente al difetto di massa non viene rilasciato tutto
contestualmente ma, dopo un tempo caratteristico, l’isotopo si porta nel suo stato
fondamentale emettendo l’energia mancante sotto forma di radiazione di diseccitazione γ.
L’elettrone emesso nel decadimento, avendo massa molto piccola, ha in genere elevata
energia e velocità molto vicina a quella della luce nel vuoto. Il potere penetrante è
comunque molto maggiore di quello delle particelle α; in particolare, l'interazione delle
particelle beta con la materia ha generalmente un raggio d'azione dieci volte superiore
(vengono bloccate completamente da pochi millimetri di alluminio), e un potere ionizzante
pari a un decimo rispetto all'interazione delle particelle alfa.
37
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I raggi gamma sono la forma di radiazione elettromagnetica di più alta energia come si evince dalla fig .2.10.
Le radiazioni elettromagnetiche sono caratterizzate da una frequenza, ν, pari al numero di oscillazioni nell'unità
-1
di tempo (s ); le radiazioni si propagano con velocità v che dipende dal mezzo ed è massima nel vuoto,
-8 -1
coincidendo in tal caso con la velocità della luce nel vuoto (c = 2,997925x10 ms ).
La lunghezza d'onda λ di una radiazione è lo spazio percorso nella direzione di propagazione in una oscillazione
completa, ed è legata alla frequenza ν attraverso la relazione:
λ = c/ν,
Si usa rappresentare sinteticamente lo spettro elettromagnetico esprimendo le lunghezze d'onda λ su una scala
esponenziale (la scala è esponenziale poiché i numeri della scala corrispondono agli esponenti in base dieci che
danno l'ordine di grandezza delle lunghezze d'onda). L'interazione luce-materia comporta scambi di energia che
avviene per quanti o fotoni:
E = hν
-34
con h, costante di Planck = 6,626196 x 10 Js
I raggi gamma sono emessi nel decadimento di nuclei che, trovandosi in uno stato
eccitato a causa di una reazione nucleare, emettono un fotone gamma -con un ritardo più
o meno significativo-, per passare ad un livello energetico a minor energia, quindi più
stabile; tali reazioni sono definite transizioni isomeriche.
Esempi di diseccitamento γ:
α
→ 86 Rn
222
+ α + 4,881 MeV (1)
93%
226
88 Ra α γ
→ 86 Rn
222
(*) + α + 4,694 MeV (1) → 86 Rn
222
+ γ (E=4,881-4,694 MeV)
7% ∆t (2)
(*) atomo eccitato
(1) energia cinetica a carico della particella alfa e del nuclide prodotto nella reazione.
(2) diseccitazione dopo un tempo di circa 0,1 s
38
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Come si nota dallo schema sopra riportato, la diseccitazione di un nucleo può avvenire
attraverso una o più fasi: nel primo caso si passa direttamente allo stato ad energia più
bassa del nucleo prodotto nella reazione; nel secondo, si arriva a questo livello passando
attraverso uno stato energetico intermedio, detto stato isomerico o metastabile, che può
persistere, tipicamente, da 0,1 a 108 sec , a fronte di un tempo caratteristico della durata
di un semplice stato di eccitazione che è di 10-16÷10-6 sec .
Livello eccitato
Livello metastabile
Livello zero
La radiazione gamma interagisce con la materia in tre modi principali: l'effetto fotoelettrico,
lo scattering Compton e la produzione di coppie elettrone-positrone .
In tutti i casi, non avendo carica elettrica, la radiazione gamma:
(17) Quando un si crea un "vuoto" elettronico in un orbitale interno a causa della ionizzazione, un
elettrone più esterno, per riempire il "vuoto", scende ad un livello energetico inferiore cedendo energia
sotto forma di radiazione X "caratteristica" che, attraversando a sua volta gli orbitali più esterni, può
interagire con un ennesimo elettrone espellendolo dalla sua orbita, tale elettrone è detto “elettrone
Auger”.
39
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L'effetto fotoelettrico è più probabile per mezzi ad alto Z (elementi pesanti) e per fotoni,
γ e X a bassa energia, al di sotto dei 50 keV, secondo la formula
40
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L'energia del fotone eccedente la massa a riposo delle due particelle (appunto
2x0.511 MeV) si trasforma in energia cinetica della coppia (quella ceduta al nucleo è
assolutamente trascurabile).
L'elettrone della coppia, in genere chiamato elettrone secondario, perderà la sua
energia cinetica ionizzando la materia e verrà poi catturato da un orbitale atomico.
41
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Il positrone invece, dopo aver perso la sua energia cinetica ionizzando la materia, si
ricombinerà, generalmente in tempi dell’ordine dei 10-8 secondi, con un elettrone
libero, anch’esso fermo, per cui l'intera massa delle due particelle interagenti verrà
convertita in due fotoni gamma, con un'energia di 0.511 MeV ciascuno, “sparati” in
direzioni diametralmente opposte: tale processo è detto di “annichilazione”.
18
Gli attinidi, o attinoidi, sono metalli che iniziano con l’Attinio (89Ac), poi il Torio (90Th), Protoattinio (91Pa),
Uranio (92U), Neptunio (93Np), Plutonio (94Pu), Americio (95Am), Curio (96Cm) fino al Laurenzio (103Lr).
42
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ZX
A
→ ZX
A-1
+ 0 n1 + ∆E
Come sempre, se l’isotopo prodotto nel decadimento si trova in uno stato eccitato, ovvero
in uno stato metastabile, allora il ∆E corrispondente al difetto di massa non viene
rilasciato tutto contestualmente ma, dopo un tempo caratteristico, l’isotopo si porta nel suo
stato fondamentale emettendo l’energia mancante sotto forma di radiazione di
diseccitazione γ.
Un esempio di reazione, che interessa lo Xe che è un frammento di fissione che si ritrova
sempre nei reattori nucleari, è la seguente:
54 Xe
137
→ 54 Xe
136
+ 0 n1
E’ opportuno evidenziare, però, che esistono anche reazioni del tipo (n,2n) che possono
portare a reazioni quali:
92 U
233
+ 0 n1 → 92 U
232
+ 2 0 n1
Per avere un’idea della complessità delle reazioni nucleari (ed ecco perché l’unico modo
che si ha per studiarle è l’approccio probabilistico) la figura che segue indica i possibili
modi di decadimento
(trasmutazione) del torio
irraggiato in un reattore Transmutation in the thorium fuel cycle
nucleare: 230
Th → Th ← 232Th → 233Th
231
(White actinides: t ½ <27d)
↓ ↓
231
Pa → Pa ← Pa → 234Pa
232 233
(Colored : t ½ >68y)
↑ ↓ ↓ ↓
231
U ← 232U ↔ 233U ↔ 234U ↔ 235U ↔ 236U → 237U
↓ ↓ ↓ ↓
237
(Fission products with t ½ <90y or t ½ >200ky) Np
p → n + β+ + ν
19
( ) I radionuclidi che decadono per emissione ß+ sono usati tipicamente in medicina nucleare per la
Tomografia ad Emissione di Positroni (PET).
43
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ZX
A
→ Z–1 Y
A
+ β+ + ν + ∆E
Come sempre, se l’isotopo prodotto nel decadimento si trova in uno stato eccitato, ovvero
in uno stato metastabile, allora il ∆E corrispondente al difetto di massa non viene
rilasciato tutto contestualmente ma, dopo un tempo caratteristico, l’isotopo si porta nel suo
stato fondamentale emettendo l’energia mancante sotto forma di radiazione di
diseccitazione γ.
Un esempio di decadimento beta+ è il decadimento del radionuclide fluoro18 (instabile) nel
nuclide stabile ossigeno18, che segue il seguente schema:
9F
18
→ 8O
18
+ β+ + ν
44
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La cattura elettronica è quindi anch’essa una transizione isobarica più probabile, rispetto
al decadimento ß+, per gli elementi con alto numero atomico.
ZX
A
→ Z–1 Y
A
+ ν + raggi X
Un esempio di CE è il seguente:
31 Ga
65
+ e- → 30 Zn
65
+ ν + raggi X
Enrico Fermi, già negli anni ’30, intuì la possibilità di creare elementi con carica nucleare
maggiore di 92 mediante bombardamento dell'uranio con neutroni.
Tale ipotesi fu concretizzata nel 1940 quando si produsse, bombardando l'uranio con
neutroni lenti, l’U239, emettitore β (elettroni) con periodo di dimezzamento di 23 minuti;
l’U239, a sua volta, decadeva in un isotopo di un nuovo elemento, il Nettunio, Np,
con Z=93. Anche il Nettunio, instabile, decadeva β producendo un nuovo elemento
con Z=94, il Plutonio:
β β
92 U
238
+ 0 n1 → 92 U
239
→ 93 Np
239
→ 94 Pu
239
……
Il plutonio, attualmente prodotto in grande quantità nei reattori nucleari, è un emettitore di
particelle α con periodo di dimezzamento di 24.400 anni.
Successivamente, bombardando 92 U238 con neutroni veloci e con deutoni, furono
scoperti altri due isotopi del nettunio, il 93 Np237 e il 93 Np238.
La via per la produzione di elementi con Z>92, detti appunto transuranici, era aperta e
negli anni seguenti furono scoperti centinaia di nuovi elementi tutti radioattivi (v. Allegato
A1.1).
I transuranici con Z da 93 fino a Z=103 fanno parte del gruppo detto degli Attinoidi che
comprende gli elementi che vanno dall’Attinio, 89 Ac, fino, appunto, al Laurenzio, 103 Lr; gli
attinoidi transuranici , ovvero quelli oltre l’U, sono i metalli con il numero atomico più alto e
non sono reperibili in natura per via della loro emivita molto breve. Quasi tutti gli attinoidi
sono fortemente radioattivi ed il plutonio, inoltre, è anche estremamente tossico.
45
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La velocità con cui decade un nucleo radioattivo è una caratteristica specifica del singolo
nucleo, ovvero isotopo, assolutamente indipendente sia dalle variabili di stato
macroscopiche sia dalla quantità del nuclide stesso; si può quindi dire che il numero di
decadimenti che ci si aspetta avvenga in un intervallo dt è proporzionale al numero
N di atomi presenti in quell’istante e alla costante di decadimento λ. Tale legge si
può scrivere tramite la seguente equazione:
𝑑𝑁 𝑑𝑒𝑐𝑎𝑑
= −λ 𝑁 � �
𝑑𝑡 𝑠
Integrando l’equazione in funzione del tempo si ottiene la misura del numero di nuclidi
presenti nel generico istante t:
𝑑𝑁 𝑁(𝑡)
= −λ𝑑𝑡 → ln 𝑁(𝑡) − ln 𝑁(𝑡0 ) = ln = −λ 𝑡 → 𝑁(𝑡) = 𝑁(𝑡0 ) 𝑒 −λt
𝑁 𝑁(𝑡0 )
ove N(t 0 ) è il numero dei nuclidi al tempo di riferimento t 0 .
I decadimenti radioattivi, dunque, seguono una legge di decadimento di tipo esponenziale
negativo; è opportuno sottolineare che tale relazione, però, rappresenta solo
approssimativamente l’andamento effettivo dei decadimenti (non fosse altro perché la
relazione fornisce una variazione continua di N mentre, in realtà, questa è discreta),
cionondimeno –descrivendo un fenomeno statistico- risponde molto bene ai dati
sperimentali vista l’enorme mole di eventi in gioco.
46
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Dalla suddetta relazione si nota inoltre che, teoricamente, esiste un tempo infinito perchè il
decadimento di una sostanza radioattiva si riduca a zero, in realtà bastano circa 10 tempi
di dimezzamento perché l’attività sia quasi uguale a zero.
Per tempo di dimezzamento o di emivita si intende il periodo entro il quale si dimezza il
numero iniziale dei nuclidi: ponendo, nella relazione precedente, 𝑁(𝑡) = 𝑁(𝑡0 )/2 si ottiene:
1 1
2
= 𝑒 −λ𝑡1/2 → ln 2 = −λ𝑡1/2 → t ½ = 0,693/ λ (s)
da cui si evince che i nuclidi che sono fortemente radioattivi (elevata costante di
decadimento) hanno tempo di dimezzamento molto breve e quindi scompaiono in breve
tempo avendo dato vita, però, ad un nucleo figlio eventualmente stabile; viceversa,
radionuclidi a bassa radioattività hanno emivite molto lunghe, fino a migliaia di anni, e
quindi, seppur presentando un livello di radioattività relativamente blando, possono
costituire per l’uomo un pericolo protratto nel tempo.
Fig. 2.13 a - Andamento della funzione N(t)/N 0 Fig. 2.13 b – analogo della Fig. 2.13 a ma su scala
In funzione del tempo, avendo assunto come unità il semilogaritmica
tempo di dimezzamento
τ=1/λ (s)
Per avere un'idea degli ordini di grandezza in gioco, si può dire che la vita media dei vari
radionuclidi può variare da 10-6 secondi fino a da 109 anni (per confronto si ricorda che
la vita della terra è dell’ordine di 4,5 109 anni).
Si definisce attività radioattiva del nuclide il numero di decadimenti che avvengono
nell’unità di tempo definita come:
𝑑𝑁 𝑑𝑒𝑐𝑎𝑑
A=- = λ 𝑁 (𝑡 ) � �
𝑑𝑡 𝑠
47
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1 Bq = 2,7×10-11 Ci
𝑑𝑁3
= + λ2 𝑁2
𝑑𝑡
Senza entrare in più complesse valutazioni, la fig. 2.14 mostra nel modo più generale
l’andamento nel tempo del numero dei tre elementi della famiglia.
20 226
( ) Il Curie era stato scelto in modo che 1 Ci corrispondesse all’attività radioattiva di 1 gr di Ra .
48
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Fig. 2.14 – Decadimento di una famiglia di tre nuclidi di cui l’ultimo stabile
N1(to)
I decadimenti delle tre famiglie, tutti di tipo α o β , sono riportati nei diagrammi di stabilità di
fig. 2.15 (dettagli in Allegato A7). In ogni grafico, in funzione di Z ed A, i segmenti verticali
rappresentano decadimenti β (ΔA= 0), quelli obliqui i decadimenti α (ΔA=4, ΔZ=2).
• La famiglia del Torio esiste in natura; inizia con il Th232 e termina col 82 Pb208 (nucleo
doppiamente magico, 82 e 126); la famiglia è indicata con la sigla “4n” con n che
varia da 58 (4x58=232, numero di massa del Th) a 52 (4x52=208, numero di massa
del Pb).
49
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• La famiglia dell’U235, detta anche dell’Attinio, inizia con 92 U235 e termina col
207
82 Pb ; la famiglia è indicata con la sigla “4n + 3” con n che varia da 58 (4x58+3
=235, numero di massa dell’U) a 51 (4x51+3=207, numero di massa del Pb).
Come si nota dalla figura, il cui esploso è riportato in Allegato 7, esiste anche una quarta
famiglia il cui capostipite, Il Neptunio, è ormai scomparso a causa dei ridotti tempi di
dimezzamento, ma la famiglia esiste ancora, almeno parzialmente. La famiglia inizia con il
Np237 e termina col 8 3 Bi209; la famiglia è indicata con la sigla “4n +1” con n che varia da 60
a 52.
Capostipite T1/2 Capostipite ultimo discendente stabile
93 Np
237 2,3 x 106 a 83 Bi
209
(100% dell’isotopo naturale del Bi)
Ogni elemento intermedio delle famiglie si trova in equilibrio radioattivo, ovvero tanto se ne
distrugge per decadimento, tanto se ne crea per decadimento del nuclide padre fino
all’estinzione dello stesso.
I 40 nuclidi instabili pesanti si trovano tutti in due tipologie di minerali:
minerali di Uranio, di cui il più noto è la pecblenda che racchiude i 30 radionuclidi
delle famiglie dell’Uranio;
minerali contenenti i 10 discendenti del Th, di cui il più noto è la monazite .
50
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d I(x) = - ∑ × I(x) × dx
In condizioni reali, ovvero per mezzi non omogenei e per fasci di neutroni non
monoenergetici, i valori di ∑ dipendono dallo specifico nucleo e dall’energia dei neutroni
incidenti.
Di interesse è anche l’inverso della sezione d’urto macroscopica, detto libero cammino
medio Λ , che rappresenta la distanza media (in linea retta) percorsa da un neutrone in un
mezzo prima di subire il primo urto:
Λ=1/Σ [ cm]
Al posto di ∑ si può anche utilizzare una diversa costante σ, detta sezione d’urto
microscopica, che è correlata a ∑ dalla relazione:
21
( ) Scrivendo la relazione come:
-∑x
I(x) / I0 = e
il rapporto può interpretarsi come la probabilità che il neutrone arrivi all’ascissa x+dx senza subire alcuna
interazione con la materia, dunque il fattore:
-∑x
(1- e )
rappresenta la probabilità che il neutrone ha di subire una interazione prima di raggiungere l’ascissa x+dx.
52
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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dove N ( 22) è la densità nucleare, ovvero il numero di nuclei per cm3 di materiale.
La sezione d’urto rappresenta la probabilità di interazione del neutrone con la materia e la
sua unità di misura è il barn, dove:
1 b = 10-24 cm2
Proprio dall’osservazione dell’unità di misura del barn, ovvero una di lunghezza al
quadrato, è emersa una esemplificazione piuttosto intuitiva del significato della sezione
d’urto microscopica, nello specifico una interpretazione di tipo geometrico. Un alto valore
di σ, ovvero una alta probabilità di interazione del neutrone con la materia, può essere
associata all’immaginare di un nucleo che, particolarmente predisposto a subire quella
specifica interazione, quindi presenti al neutrone un’area fittizia di impatto, detta area
efficace, molto maggiore della sua superficie reale, così come schematizzato in fig. 2.16 .
Neutrone
Sezione nucleo
Si evidenzia, inoltre, che la dimensione del barn, 10-24 cm2, con riferimento alle dimensioni
di nuclei pesanti quale l’U che hanno raggio dell’ordine di 10-12 cm, è coerente con l’area
della sezione del nucleo considerato sferico.
N = ρ • NA / MM
22 3 3
( ) Si ricorda che: [ gr/ cm • N.part./mole • (1/ gr/mole)= N.part./cm ]
essendo: ρ è la densità in g/cm3 MM è la massa molare in g/mole.
23
NA è il numero di Avogadro (6.023 • 10 particelle/mole ove le particelle possono essere
atomi, o molecole)
53
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Quando un neutrone interagisce con la materia può dar luogo ad una serie di processi
nucleari che, oltre a dipendere dalla sua energia, dipendono dalle caratteristiche del
nucleo bersaglio; le principali tipologie di interazione sono le seguenti:
54
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CATTURA
Nel caso di cattura si forma un nucleo composto, come nell’urto anelastico, ma il
neutrone rimane definitivamente nel nucleo dando luogo ad un isotopo del nuclide
iniziale (A+1).
successivi del tipo non solo (n, γ), ma anche (n, p), (n, α), (n, n con x x>1) ;
• una tipica reazione (n, α) è la seguente:
5B
10
+ 0 n1 → 5B
11∗
→ 3 Li7 + 2 He4
• una tipica reazione (n, γ), particolarmente importante nel settore energetico
nucleare è la seguente:
92 U
238
+ 0 n1 → 92 U
239∗
→ 92 U
239
+ γ
92 U
239
→ 93 Np
239
+ β- + ν → 94 Pu
239
+β- + ν
90 Th
232
+ 0 n1 → 90 Th
233∗
→ 90 Th233 + γ
Anche l’isotopo 90 Th233 è instabile e, quindi, successivamente alla sua
diseccitazione, decadrà secondo le reazioni che seguono:
90 Th
233
→ 91 Pa233 + β- + ν → 92 U
233
+β- + ν
La reazione di “fertilizzazione” del Th232 è di particolare interesse dal punto di
vista dell’alternativa alla fissione dell’U235 visto che l’abbondanza del Torio e
pari a tre volte quella dell’U238.
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FISSIONE INDOTTA
La fissione indotta può avvenire solo su nuclei pesanti.
Immediatamente dopo la cattura del neutrone (con la sua energia cinetica) il nucleo
composto, se eccitato, si diseccita in 10-14 sec emettendo Ɣ, quindi tende a
modificare la sua forma, da sferica iniziale ad una più ellittica ( 23), a causa del moto
oscillatorio dei nucleoni dovuto al surplus di energia pari alla somma dell’energia di
legame per singolo nucleone del nuovo nucleo composto più l’eventuale energia
cinetica del neutrone incidente.
A questo punto possono verificarsi i seguenti casi:
In fig. 2.17 è riportato il grafico della energia potenziale di un nucleo che sta
subendo il processo di fissione in funzione della distanza di separazione tra i centri
dei due frammenti: tale grafico deve essere assimilato ad una sorta di barriera di
potenziale alla fissione (si richiama, cioè, un concetto simile a quello di fig 2.1).
B
A Critical Energia critica di fissione
(barriera di potenziale alla fissione)
24
Non si deve confondere questo caso con quello della fissione spontanea dove è vero che il potenziale VA
è maggiore di VB ma questo accade spontaneamente, senza cioè che il nucleo abbia catturato un neutrone;
si può dimostrare che la fissione spontanea è un modo di decadere proprio dei soli elementi pesanti
transuranici (M ≥ 240).
57
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Fissionabili:
-
Th232 5,1 < 5,9 0,8
- U238 4,9 < 5,9 1
I valori di energia critica di fissione riportati in tabella 2.1 possono essere spiegati
come segue:
Una generica reazione di fissione per l’U235 può scriversi come segue:
92 U
235
+ 0 n1 → 92 U
236∗
→ A1
z1 X + Z2 Y
A2
+ 2,43 0 n1
25
58
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(n, ϒ) cattura σ ϒ sez. d’urto relativa alla emissione ϒ per cattura neutronica
(n, p) cattura σ p sez. d’urto relativa alla emissione p per cattura neutronica σc
(n, α) cattura σ α sez. d’urto relativa alla emissione α per cattura neutronica
26
( ) Più precisamente, le sezioni d’urto dipendono dal rapporto tra le energie dei neutroni e dei nuclei
bersaglio; siccome, però, i nuclei bersaglio si considerano in generale fermi, ne consegue la semplificazione
di riferire le caratteristiche delle sezioni d’urto alla sola energia dei neutroni.
59
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Si definisce sezione d’urto microscopica totale la somma delle sezioni d’urto dovute alle
tre categorie di contributi , ovvero:
A fronte del fatto che lo studio delle sezioni d’urto è molto complesso, tant’è che i valori si
ottengono essenzialmente per via sperimentale più che per calcoli teorici, si possono
fornire delle valutazioni qualitative sull’andamento delle diverse σ in particolare per i
materiali fissili e fertili.
In fig. 2.18 si riportano i grafici con l’andamento delle σ per l’U235, come fissile tipo, e
dell’U238 come fertile tipo.
Fig. 2.18 - Sezioni d’urto microscopiche per U235 e U238 (Tratte dal Milani)
Scattering
Scattering
60
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sia per i fissili che per i fertili la sezione d'urto per cattura si può dividere i tre zone:
o per neutroni incidenti fino a circa 1 eV, la sezione d’urto ha andamento
monotonamente decrescente, variando proporzionalmente all’inverso della
velocità dei neutroni (ovvero all’inverso della radice quadrata dell’energia);
o per neutroni di energia compresa tra 1 e 103 eV, si entra nella regione delle
risonanze dove – a seconda dello specifico nucleo- possono esistere anche
moltissimi picchi di cattura, molto stretti, con valori di σ c anche molto elevati;
o per neutroni di energia ancora superiore la sezione d’urto del nucleo riprende
un andamento più o meno decrescente;
la sezione d’urto di fissione dell’U235 , ma anche degli altri isotopi fissili U233 e Pu239,
vale, in linea di massima, l’andamento descritto per la sezione d'urto di cattura.
Per i fertili, invece , la sezione d’urto di fissione è bassissima fino ad energie dei
neutroni intorno al MeV, come l’andamento della sezione d’urto di fissione del
fertile U238 riportata in figura evidenzia chiaramente.
27
( ) Quando la temperatura del mezzo in cui si diffondono i neutroni aumenta, aumenta sensibilmente
l’agitazione termica degli atomi che compongono il mezzo; in tali condizioni, le ipotesi semplificative di
considerare i neutroni in moto su bersagli fermi viene a cadere e, in questo caso, la probabilità di interazione
dei neutroni con i nuclei, e quindi il valore delle sezioni d‘urto, dipendono dalla velocità relative nucleo-
neutrone; il fenomeno prende il nome di effetto Doppler per analogia con gli effetti acustici.
61
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In tab. 2.2 si riportano dei valori delle sezioni d’urto di interesse che saranno prese a
riferimento in tutte le elaborazioni successive.
Tab. 2.2 - Sezioni d’urto microscopiche
Σ t = Σ a + Σ s = σ a ×Ν + σ s ×Ν = σ t ×Ν [ m-1 ]
62
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1 1
Λ𝑡𝑜𝑡 = =
1 1
Σ𝑡𝑜𝑡 +
Λ𝑠 Λ𝑎
Dal punto di vista fisico, Λ rappresenta il valore di lunghezza che, moltiplicato per
tutti i neutroni, da una lunghezza uguale alla somma dei percorsi realmente
effettuati da tutti i neutroni.
Più in generale, per quanto riguarda l’interazione dei neutroni con l’Uranio naturale
(99,27%, di U238 contro lo 0,72% di U235 ) si nota che:
- con neutroni termici, l’U naturale presenta una sezione d’urto per fissione di 4,2
barn contro 3,6 per cattura; è evidente che, globalmente, per l’alto contributo
dell’isotopo 235 è favorita la reazione di fissione ma il margine è minimo tant’è che,
come si vedrà in seguito, i reattori termici a fissione prevedono l’uso di Uranio
arricchito;
- viceversa, con neutroni veloci risulta preponderante il termine di cattura quindi il
mantenimento di una reazione di fissione sarebbe impossibile .
Noto che nelle fissioni i neutroni vengono rilasciati con energie sempre superiori al MeV,
per ottenere la fissione utilizzando come bersaglio l’Uranio naturale è necessario
63
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Rapporto di moderazione ∝ Σ s / Σ a
dalla tabella 2.4 emerge chiaramente il fatto che l’acqua pesante è il miglior moderatore in
assoluto ed anche il Berillio e la Grafite sarebbero migliori dell’acqua leggera (salvo che
sono solidi e quindi meno versatili).
28
( ) La grafite, che è un minerale conduttore elettrico, rappresenta uno degli stati allotropici del carbonio.
64
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Tab. 2.3 - Caratteristiche di alcuni potenziali moderatori Tab. 2.4 - Confronto del
rapporto di moderazione di
potenziali moderatori
Rapporto di
moderazione
H20 62
D20 4830
Berillio 126
Boro 0,001
Grafite 216
Polietilene 122
2 He
4
+ 4 Be9 → 6 C12 + 0 n1 + 5,7 MeV
In molte altre reazioni nucleari vengono prodotti dei neutroni; a seconda dell'energia
della particella incidente e del tipo di reazione si otterranno neutroni con velocità
diverse.
65
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1 H + 1 H → 2 He +
2 3 4
n + 17,6 MeV
2.11 La fissione
92 U
238
+γ
+ 0 n1 → 92 U239
92 U
239
→ 93 Np239 + β+ν
93 Np
239
→ 94 Pu239 + β+ν
la presenza di isotopi fertili in un reattore, dunque, è importante soprattutto per l’economia
neutronica in quanto, per decadimento, producono i fissili Pu239 e Pu241 che contribuiscono
invece, direttamente, all’economia della fissione.
Nello specifico, l’U238 risulta essere un fissionabile ed un fertile nel contempo, quindi il suo
contributo alla potenza resa da un reattore nucleare prevede sia un contributo mediante
fissione veloce, seppure con una sezione d’urto di fissione molto bassa, ma anche un
significativo produttore di fissile, in particolare 94 Pu239 che, invece, fornisce un contributo
molto significativo alla fissione anche in reattori nucleari a spettro termico, così come si
evince dalla figura che segue.
66
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Altro nucleo fissionabile e fertile è il Th232 , dalla cui cattura neutronica si ottiene 92 U
233
in
base alle reazioni che seguono:
90 Th
232
+ 0 n1 → 90 Th233 + γ
90 Th
233
→ 91 Pa233 + β + ν
91 Pa
233
→ 92 U233 + β + ν
L’ U235 è molto importante in quanto è l’unico tra tutti i nuclidi naturali ad avere una elevata
sezione d’urto di fissione per neutroni di qualunque energia, in particolare per la fissione
con neutroni termici.
L’U235 può fissionarsi in circa 40 modi diversi, nel senso che si conoscono circa 80
frammenti di fissione con numeri di massa compresi tra 70 e 160, così come si evince
dalla figura 2.24. In figura è anche riportato il confronto tra le percentuali di frammenti di
fissione dell’U235 in conseguenza di fissioni con neutroni termici o veloci; in termini
percentuali si nota che i frammenti di fissione che possono generarsi con maggior
probabilità, sia che si tratti di fissione termica che veloce, hanno un numero di massa
29
( ) Il burn-up (MWd/t) rappresenta l’energia termica resa da una carica di combustibile nel periodo di
“bruciamento in pila”, ovvero nel periodo di permanenza del combustibile nucleare nel reattore prima di
essere recuperato ed inviato al riprocessamento.
67
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La quasi totalità dei frammenti di fissione sono instabili e decadono β-; in genere
occorrono almeno tre o quattro trasmutazioni per raggiungere l’isotopo stabile.
In conseguenza di una fissione con neutroni termici l’U235 emette, nelle 40 diverse reazioni
di fissione, da 1 a 5 neutroni con una media ν di 2,43 neutroni.
In un reattore nucleare solo una parte di questi neutroni potrà dar luogo ad altre fissioni,
una certa parte di questi, infatti, subirà cattura senza fissione; tenendo conto delle sole
catture da parte dell’ U235 -ovvero al netto delle catture da parte degli altri isotopi dell’U e
delle catture “parassite” da parte degli elementi strutturali presenti nel reattore- la
percentuale di neutroni utili a dar luogo ad altre fissioni si ottiene dal rapporto:
σf35
σf35 + σc35
quindi, il numero di neutroni utili a dar luogo ad altre fissioni, definito fattore di fissione, è
pari a:
σf35
η’ = ν
σf35 + σc35
In tabella 2.5 si riportano alcuni valori di ν e η per diversi nuclidi ed energie dei neutroni
incidenti.
92 U
235
+ 0 n1 → 92 U
236
→
92 141
36 Kr + 56 Ba + 3 0 n1
68
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Con riferimento alla fig. 2.24 si osserva che la fissione dell'uranio produce nuclidi
particolarmente significativi in relazione alla radiotossicità, come si vedrà nel capitolo
8
dedicato alla radioprotezione, tre nuclidi nel gruppo dei frammenti più leggeri, ovvero Sr ,
9
Sr , Zr9 , e quattro tra quelli più pesanti,
1
I , Xe1 , Cs1 e Ce1 .
Dai valori riportati nelle colonne 4 e 7 della tab. 2.5, si nota che le fissioni veloci danno
luogo ad un rapporto η/ν mediamente più elevato in quanto le catture di neutroni veloci
risultano più sfavorite rispetto a quelle di neutroni termici.
I neutroni prodotti nelle fissioni sono, per il 99%, emessi in 10-14 s o meno e sono
detti neutroni pronti (prompt neutrons), il rimanente 1%, di neutroni, detti neutroni ritardati
(delayed neutrons), sono emessi in tempi dell’ordine dei minuti e derivano dal
decadimento dei prodotti di fissione. I neutroni ritardati, come si vedrà meglio nel seguito,
sono essenziali ai fini del controllo dei reattori.
La fissione comporta, come noto, la produzione di 2 frammenti di fissione caratterizzati da
valori di energia di legame per nucleone superiori perché più stabili dell’Uranio, con
conseguente guadagno energetico.
Si esamini la seguente reazione di fissione dell’U235 con neutroni termici:
92 U
235
+ 0 n1 → 92 U
236
→ 54 Xe
140
+ 38 Sr
94
+ 2 0 n1
69
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• quale contributo positivo può citarsi l fatto che nel combustibile nucleare esistono
altri contributi di fissione dovuti ai nuclidi fissili che si creano durante la vita di un
reattore a fissione termica, gli isotopi fissili del Pu;
• viceversa, un importante contributo negativo è dovuto al fatto che il combustibile
nucleare non è un mezzo infinito e quindi una percentuale dei neutroni prodotti più
vicino alla superficie esterna della massa combustibile è destinata a fuoriuscire da
questa senza interagire col combustibile; la stessa configurazione della massa del
combustibile nucleare comporta una diversa percentuale di fughe che è minima per
la configurazione sferica (che presenta il minor rapporto tra superficie e volume);
• un altro contributo negativo è dovuto a tutte le ulteriori catture nel combustibile e
alle catture parassite nelle strutture di sostegno della massa di combustibile
nucleare;
• ulteriore ed importante contributo alla cattura neutronica, peraltro ineliminabile, è
quello dovuto ad alcuni prodotti di fissione detti veleni neutronici: tra questi i
principali sono il Sm149 e lo Xe135, che si formano sia direttamente come frammenti
di fissione sia per decadimento degli stessi.
Da quanto sopra emergono le seguenti considerazioni:
in primis, operando con reattori a fissione termica, tenuto conto che i neutroni
emessi in una reazione di fissione sono neutroni veloci dotati di energia media di 2
71
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Quale primo parametro si può introdurre una probabilità totale di NON fuga dal nocciolo
del reattore, sia per neutroni veloci che termici, espressa da un fattore F:
0<F<1
Altro parametro significativo è la probabilità di NON cattura in zona di risonanza, P; un P
unitario corrisponderebbe ad una probabilità nulla di cattura, nella realtà P è sempre
minore di 1.
0<P<1
Si definisce ancora il fattore di utilizzazione termica, f, il rapporto tra i neutroni termici
assorbiti nel combustibile (per fissione e cattura) e quelli assorbiti in totale ovvero, oltre
che nel combustibile (per fissione e cattura), anche in tutti i materiali strutturali presenti nel
reattore(solo cattura). Il fattore f, dunque, può ottenersi come il rapporto:
f th = ∑ a, fissile / ∑ a,tot
72
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inoltre, poiché dei neutroni assorbiti nel fissile non tutti daranno luogo a fissione (circa il
15% per l’U235), si introduce il parametro fattore di riproduzione del combustibile, η, che da
conto del rapporto tra sezione d’urto macroscopica per assorbimenti con fissione e
sezione d’urto macroscopica per assorbimenti totali moltiplicato per il numero medio di
neutroni emessi nella fissione termica:
η = ν t × (∑ f ) fissile / ∑ a, fissile
Infine, si introduce il fattore di fissione veloce, ε, che è un fattore moltiplicativo che
incrementa il valore di ν t in relazione all’addendum dovuto alle fissioni veloci:
ε = (ν t + ν v ) / ν t
nei reattori termici ε raggiunge valori di 1,03÷1,07.
n 2 = (F • P • f • η • ε) • n1
da cui: k eff = ε × P × f × η × F
il fattore k, per definizione, tiene dunque conto del bilancio neutronico reale,
comprendendo quindi tutte le fughe e le catture non utili alla fissione.
Per avere una idea degli ordini di grandezza, si tenga conto che tra 2 generazioni di
neutroni intercorre un tempo di circa 0,2 ms nei reattori moderati ad acqua leggera, 0,1
ms nei reattori moderati ad acqua pesate e 10 ms nei reattori moderati a grafite.
Partendo dall’assunto che per un reattore critico il numero dei neutroni deve mantenersi
costante per ogni generazione, ovvero:
K eff = k = 1
ne consegue che:
- nel caso in cui il numero di neutroni della generazione i-esima fosse maggiore di
quello della generazione i-1 il reattore sarebbe supercritico, con k>1, e la
reazione di fissione tenderebbe a divergere così come la temperatura all’interno
del nocciolo;
- nel caso opposto, in condizioni di sotto-criticità con k<1, il reattore tenderebbe a
spegnersi.
In fig. 2.25 si riporta la schematizzazione del bilancio neutronico di un reattore a spettro
termico nella quale si sono evidenziati i contributi dei diversi fattori del k eff .
E’ opportuno sottolineare che, proprio per come è definito il bilancio, la criticità si
raggiunge grazie al contributo sia dei neutroni pronti che dei neutroni ritardati (per
73
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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esempio, nella fissione dell’U235 a fronte di 245 neutroni pronti se ne producono circa 1,6
ritardati); se invece la criticità fosse raggiunta solo grazie ai neutroni veloci, in tal caso si
parla di criticità pronta, la condizione di esercizio sarebbe estremamente pericolosa in
quanto condurrebbe ad un aumento dei neutroni prodotti nelle generazioni successive
causando una sovracriticità del reattore.
74
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Come si nota dall’ultimo elemento dell’uguaglianza, il valore di reattività non può mai
essere maggiore di 1 anche se k tendesse a valori elevatissimi; quindi:
- se il reattore è critico, k=1, la reattività è nulla;
- se è supercritico (normalmente nelle fasi di accensione del reattore) la reattività
è maggiore di zero;
- se è sotto critico (nelle fasi di spegnimento del reattore) la reattività è negativa.
Poiché sia i valori di ρ che di δ sono sempre molto piccoli si usa spesso esprimerli, invece
che in percento, in “per centomila” (pcm), quindi quando ρ=0,00155 si usa dire che la
reattività vale 155 pcm.
Per tutto quanto sopra riportato, per garantire il funzionamento del reattore con k=1
devono essere inseriti nel reattore, quali sistemi di controllo della reattività, dei sistemi di
compensazione; tra questi si citano:
- l’introduzione delle barre di regolazione e controllo, componenti che contengono
forti assorbitori quali Boro o Gadolinio, inserite con sistemi tali da poter variarne
nel tempo l’inserimento/disinserimento, agendo così sul fattore di utilizzazione
termica;
In ogni caso, col procedere del bruciamento del combustibile i sistemi di compensazione
devono essere progressivamente rimossi per compensare la naturale riduzione del fattore
di utilizzazione termica f causata dal bruciamento dei fissili.
Infine, poiché la carica di combustibile fresco in un reattore ha un k eff di circa 1,30 (per
consentirne il mantenimento “in pila” per un tempo sufficientemente lungo, da 1 a 2 anni),
deve essere inserito nel singolo elemento di combustibile un materiale che controbilanci
l’iniziale l’eccesso di reattività: si tratta, anche in questo caso, di assorbitori neutronici
detti, nel caso specifico “veleni bruciabili”.
la relazione, nota come equazione dei quattro fattori è spesso utilizzata nella forma
semplificata: k ∞ = f ×η
Comunque, visto che non tiene conto delle fughe, è chiaro che in un reattore reale k ∞
deve essere sempre maggiore di uno.
76
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o Il Sm149 , che si forma in circa 60 ore dalla serie dei decadimenti del
neodimio149, è un gas caratterizzato anch’esso una sezione d’urto di cattura
neutronica molto elevata, circa 5 ×104 b. Il Sm149 è stabile e si trasforma in
Sm150 solo per cattura neutronica raggiungendo presto una situazione di
stabilità. Evidentemente, allo spegnimento della reazione di fissione, e quindi al
cessare della produzione di neutroni, la concentrazione del Sm149 tenderà ad
aumentare (non avvengono più suoi decadimenti per cattura neutronica) fino a
raggiungere un nuovo livello di stabilità dopo la riaccensione del reattore. In
figura 2.27 si riporta l’effetto del Sm sulla reattività.
Fig. 2.27 Effetto del Sm sulla reattività /2/
30
“Scram” è l’acronimo “Safety Control Rod Axe-Man” che letteralmente significa l’uomo-ascia della barra di
controllo di sicurezza colui, cioe’, che nel primo reattore nucleare degli Stati Uniti era addetto ad inserire la
barra di emergenza recidendo con un’ascia la fune che la sosteneva.
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Come si nota, il flusso neutronico dipende dalla velocità, quindi dall’energia dei neutroni; si
può dimostrare che, almeno in campo termico, il flusso neutronico è ben approssimabile
da una distribuzione maxwelliana , così come riportato in fig. 2.28; si rimanda all’Allegato 6
per una analisi più dettagliata.
Fig. 2.28 Andamento del flusso neutronico in zona termica
In modo del tutto analogo si definisce il tasso di fissione , introducendo la sezione d’urto
macroscopica di fissione al posto al posto di quella totale:
78
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V × Σ f × Φ= V × Ν σ f × Φ= fissioni/ s
Nella figura 2.29 /4/ si esemplifica l’andamento del flusso neutronico radiale ed assiale in
un reattore termico.
Fig. 2.29
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Φmax
x
Φrefl
Φbare
e
L’aumento del flusso neutronico nella zona più vicina la nocciolo si spiega con un
miglioramento della moderazione che permette di termalizzare anche i neutroni veloci
fuoriuscenti dal nocciolo.
Essendo la potenza proporzionale al valor medio del flusso neutronico si capisce come il
riflettore consenta di aumentare la potenza pur mantenendo invariato il valore del flusso
massimo di picco, quindi non causando l’aumento della temperatura di centro barretta
L’appiattimento del flusso nel nocciolo, inoltre consente un miglior sfruttamento del
combustibile; nei reattori più moderni l’appiattimento del flusso neutronico si ottiene
anche per mezzo di una opportuna gestione del ciclo di caricamento del combustibile.
2.14 Surgenerazione
Anche le filiere veloci hanno avuto, fino ad oggi, uno sviluppo limitato ma sono una
tecnologia sulla quale si punta nell’ambito dei reattori di IV generazione.
82
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2.15.1 Generalità
L’interesse per la fusione nasce dal notevolissimo contenuto energetico delle reazioni di
fusione che, grazie all’ubiquità ed alla abbondanza delle materie prime, renderebbe la
costruzione di una filiera di impianti di produzione di energia da fusione di enorme
interesse per l’umanità, potendosi produrre quantità pressoché illimitate a fronte di una
limitatissima produzione di scorie radioattive, peraltro con tempi di dimezzamento non
problematici (fino a 100 anni), e senza emissioni di inquinanti.
Come per la fissione, affinché avvenga una fusione i nuclei devono essere
sufficientemente vicini, in modo che la forza nucleare forte predomini sulla repulsione
coulombiana ; siccome, però, si tratta di nuclei tutti carichi positivamente, l'energia da
fornire loro per superare la repulsione coulombiana è altissima e può essere fornita solo
portandoli ad altissima pressione tramite riscaldamento (108 °kelvin) e/o compressione.
Per quanto sopra si intuisce perché, tra tutte le reazioni possibili (come già detto,
all'interno delle stelle più grandi è possibile anche la fusione di elementi più pesanti, si
ritiene fino al ferro), la tecnologia della fusione controllata punta a quelle che interessano
gli isotopi dell'atomo di idrogeno, a cui corrisponde la massima energia rilasciata nella
fusione, “Q value”, a fronte della minor energia richiesta per superare la barriera
coulombiana. Si fa riferimento, in particolare, alle seguenti reazioni:
1 H + 1 H → 2 He + n + 17,6 MeV
2 3 4
1 H + 1 H → 1 H + p + 4,03 MeV
2 2 3
(50% di prob.)
1 H + 1 H → 2 He + n + 3,27 MeV
2 2 3
(50% di prob.)
1 H 2
+ 2 He3 → 2 He4 + p + 18,3 MeV
dove l’energia liberata si riconduce, come nella fissione, ad energia cinetica delle particelle
prodotte dalla fusione:
1 H + 2 He → 2 H (3,6
2 3 4
MeV) + p (14,7 MeV)
Un altro parametro fondamentale da tener in conto per la scelta della reazione di fusione
sulla base della quale indirizzare le ricerche per la definizione della tecnologia di fusione, è
quella del valore della sezione d’urto (probabilità di reazione) in funzione dell’energia dei
nuclei interagenti; dalla fig. 2.30 (“Energia da fusione, stato prospettive e ricadute
industriali”; ENEA) emerge chiaramente che la reazione di maggior interesse è la D-T che
ha la sezione d’urto più alta e la più bassa soglia di energia (10 keV).
Dunque, sia dal punto di vista del guadagno energetico che del valore della sezione
d’urto la reazione di maggior interesse è senz’altro quella Deuterio-Trizio con una
energia resa di 17,6 MeV.
Anche la reazione D- He3 sarebbe di interesse per l’elevato valore del Q-value e anche per
il fatto che non produce neutroni; il problema è che mentre il Trizio si può creare
artificialmente, l’He3 non è producibile artificialmente ed in natura ce n’è molto poco.
- accelerare uno dei due nuclei, con una energia leggermente superiore all’entità
della forza di repulsione, bersagliando il secondo nucleo fermo (fusione
proiettile-bersaglio);
- accelerare ambedue i nuclei uno contro l’altro (fusione proiettile-proiettile);
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E’ prassi, nello studio dei fenomeni di fusione, esprimere le temperature in termini di eV (v.
Allegato 6); per esempio, dire che la temperatura è pari ad 1 keV equivale a dire che
questa è pari a circa 11,6 milioni di °K, infatti:
Ec = 3/2 K B T = 3/2 ⋅ (8,6173 ⋅ 10-5 eV/°K)⋅ (1,16 ⋅ 107 °K) = 14,99 ⋅ 102 ≅ 1.5 keV)
Tornando al valore della barriera coulombiana che, per reazioni D-D o D-T è dell’ordine di
0.1 MeV , la temperatura necessaria per superare la barriera sarebbe di circa un migliaio
di milioni di °K; in realtà la temperatura può essere molto più bassa, anche 100 milioni di
°K, perché bisogna tener conto dei due seguenti fenomeni:
Per i sopra citati motivi possono avvenire reazioni di fissione anche se i nuclei reagenti
presentano temperature inferiori a quelle di soglia, seppure questo avvenga con velocità di
reazione inferiori.
Si definiscono:
- “PUNTO DI BREAKEVEN” il valor minimo di potenza prodotto dalla fusione
necessario per pareggiare la potenza spesa per portare l’apparato sperimentale
a regime operativo,
(31) Il plasma, costituisce il 99% della materia di cui è composto l' Universo e quindi è detto anche "quarto
stato della materia". E' il principale costituente delle stelle e del sole. Nel sole, che ha una temperatura
interna di 14 milioni di gradi, la reazione di fusione di nuclei di idrogeno (reazione protone-protone) è
responsabile di gran parte dell'energia che giunge fino a noi sotto forma di calore e di luce (e di neutrini
solari). Per ottenere la reazione di fusione, il plasma di idrogeno deve esser confinato in uno spazio limitato:
nel sole questo si verifica ad opera delle enormi forze gravitazionali in gioco. Inoltre, il processo di fusione,
nel sole, avviene con estrema lentezza, ragione per cui esso brilla da miliardi di anni.
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In generale NON si richiede che il reattore raggiunga l’ignizione ma che agisca solo da
AMPLIFICATORE DI POTENZA con un fattore di moltiplicazione abbastanza grande,
dell’ordine di 30-50 volte (20 sarebbe già un successo), essendo ilo fattore di
moltiplicazione, detto “FATTORE DI GUADAGNO, Q”, definito dal rapporto tra la potenza
resa e quella fornita dall’esterno.
Tornando alla reazione di Deuterio e Trizio, per raggiungere la fusione la miscela deve
essere portata a 108 K, ovvero allo stato di plasma cioè di gas completamente ionizzato,
ma ciò non basta si deve raggiungere anche una elevata densità del plasma (per
aumentare la probabilità di collisioni) e un tempo di confinamento sufficientemente lungo
da permettere l’innesco della fusione.
In particolare, affinchè la reazione di fusione sia “conveniente”, ossia produca più energia
di quanta non se ne spenda per portare l’apparato sperimentale a regime operativo, il
“criterio di Lawson” afferma che il prodotto della densità (n) per il tempo di confinamento
(τE ), assumendo una temperatura di riferimento del plasma di circa 20 keV, deve superare
il valore critico di 1020 sec/m3. Solo in queste condizioni si otterrà una fusione con
guadagno energetico netto.
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Per quanto riguarda la possibilità di realizzare reattori a fusione secondo la reazione D-T,
si deve tener conto che mentre il Deuterio è reperibile con abbondanza dall'acqua di mare
(30 g /m3) il Trizio, materiale radioattivo con un tempo di dimezzamento di 12,36 ann 32i,
non esiste in quantità apprezzabili in natura e deve quindi essere prodotto per altra via.
- far avvenire simultaneamente sia la reazione D-T sia la reazione D-D, reazione
quest’ultima nella quale il Trizio si trova come “prodotto cenere” da recuperare
dal combustibile esaurito;
- in alternativa, considerare altre reazioni nucleari, in particolare quella di
bombardare con neutroni nuclei fertili quali il Litio:
0n
1
+ 3 Li6 → 1 H3 + 2 He4 + 4,8 MeV
Quest’ultima opzione è quella su cui si punta di più visto che i neutroni che sfuggono dal
plasma trasportano con se ben l’80% dell’energia associata alla reazione di fusione;
costruttivamente il problema si può risolvere circondando la camera di fusione con un
mantello (blanket) di Litio di adeguato spessore, possibilmente arricchito nell’isotopo Li6,
che, oltre a dar luogo alla produzione di Trizio, con conseguente forte recupero di
L’elio3 è stabile ma, come il trizio, non è presente sulla crosta terrestre disperdendosi negli alti strati
dell’atmosfera..
87
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gestione, fornisce anche una azione di schermo radiologico alla azione indirettamente
ionizzante dei neutroni.
E’ opportuno sottolineare che il Q-value di 17,6 MeV della reazione D-T è teorico, ovvero
non tiene conto delle perdite reali di energia che accompagnano il processo reale, nè dei
costi energetici di produzione del trizio (utilizzando la produzione tramite bombardamento
del Litio, per esempio, bisognerebbe considerare i costi energetici di arricchimento del
metallo visto che il Li6 rappresenta solo il 7,2% della miscela naturale di isotopi del Li ( 33)).
Nei reattori a confinamento magnetico per confinare il plasma, che è un ottino conduttore
elettrico essendo composto da cariche libere –elettroni e ioni-, si usa un campo magnetico
che costringe le particelle cariche, in particolare gli ioni di deuterio e trizio, a seguire
traiettorie su un piano perpendicolare al campo stesso; una opportuna serie di campi
magnetici indotti consente di mantenere il plasma lontano dalle pareti della camera di
fusione.
Il campo magnetico può essere chiuso, di forma toroidale, o aperto ( 34); i campi magnetici
toroidali sono comunque quelli usati per gli impianti sperimentali di maggior potenza di tipo
Tokamak ( 35).
33 7 6
( ) Il 92% del litio è composta da Li ; per ottenere un Li ricco dell’isotopo Li , il Li deve essere sottoposto ad
un processo di arricchimento, evidentemente molto costoso. Il litio, metallo alcalino, abbonda nelle
rocce della crosta terrestre (30 parti su un milione per unità di peso) ed è presente, in
concentrazione minore, anche nelle acque oceaniche.
34
( ) Il campo magnetico aperto, o lineare, sfrutta l’effetto specchio per evitare la dispersione del plasma alle
estremità. L’effetto specchio è realizzato tramite lo strozzamento delle linee del campo magnetico estremali
che, a causa dell’enorme gradiente che si viene a creare, respinge indietro il plasma.
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• spire toroidali verticali che generano il campo magnetico elicoidale necessario per
confinare e guidare i movimenti del plasma; in particolare, il movimento delle
particelle cariche le prevede in moto rotatorio, a frequenze caratteristiche, con gli
elettroni che ruotano in senso contrario agli ioni;
• spire orizzontali più esterne, dette poloidali, che fungono da stabilizzatori, tenendo
il plasma al centro del toro ma potendolo anche spostare nella camera di fusione
(vacuum vessel) in zone a diverso valore del campo magnetico ;
• solenoide centrale poloidale che crea un campo magnetico che induce corrente
elettrica nel plasma, riscaldandolo
Le spire toroidali interne creano l’azione di riscaldamento del plasma. Questo tipo di
riscaldamento è detto riscaldamento ohmico o resistivo; un limite a detto riscaldamento
ohmico è dato dal fatto che la resistività del plasma decresce al crescere della
temperatura e ciò non consente di raggiungere temperature superiori ad alcuni milioni di
gradi. Per raggiungere le maggiori temperature richieste per la fusione termonucleare è
necessario, quindi, ricorrere ad un riscaldamento supplementare, che si può realizzare:
35
( ) Altri reattori sperimentali a confinamento magnetico toroidale sono gli Stellarotor che hanno un campo
magnetico a simmetria triangolare invece che circolare come i Tokamak.
89
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Oltre alle perdite legate alla fuga di neutroni esistono anche perdite di energia dovute a:
campo magnetico (non solo all'interno di quello generato nei ciclotroni ma anche
dal plasma nello spazio interstellare)
Attualmente sono operativi due grandi progetti europei ambedue con reattori tipo
Tokamak.
Fig 2.34
© EFDA-JET
91
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che è pari a 20. Nelle attese, ITER dovrebbe raggiungere una reazione di fusione
stabile con 500 MW prodotti per una durata di alcune decine di minuti.
Fig. 2.35– Dettagli dei magneti di ITER
The 48 elements of the ITER Magnet system will generate a magnetic One of the 18 Toroidal Field coils.
field some 200,000 times higher than that of our Earth.
• Risulta infine di interesse citare il progetto sperimentale IGNITOR, ideato dal Prof.
Bruno Coppi professore di High Energy Plasmas al MIT di Boston, la cui
realizzazione è stata oggetto di un accordo italo-russo nel 2010 e che, nelle
intenzioni, dovrebbe essere realizzato a Mosca. Si tratta di una macchina a
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Fig2.36-
Una diversa metodologia per ottenere la fusione è quella del confinamento inerziale,
basato sulla compressione ed il conseguente surriscaldamento del combustibile, attuato
per mezzo di fasci laser ad altissima potenza concentrati su una sferetta molto piccola e
densa di miscela deuterio-trizio; la sferetta è solida fuori e gassosa all’interno.
93
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L' energia elettromagnetica dei fasci laser di altissima potenza (l’impulso iniziale dei laser
può raggiungere una potenza di 108 MW per una frazione di un miliardesimo di secondo
( 36)) è trasferita uniformemente alla superficie della sferetta che, evaporando
istantaneamente, causa, secondo il principio di azione e reazione, una fortissima onda
d’urto verso il centro della sferetta (pressione di ablazione) comprimendo e riscaldando il
combustibile all’interno, tanto da fargli raggiungere - seppur per tempi di confinamento
estremamente brevi- le condizioni di plasma: in tali condizioni è possibile il
raggiungimento delle condizioni di iniezione del plasma. La conseguente fusione viene
confinata dalle stesse forze inerziali generate dalla accelerazione epicentrica dovuta
all’onda d’urto ( 37).
36
( ) si può avere un’idea dell’enormità di tale potenza confrontandola con quella di punta richiesta alla rete
elettrica italiana che è di circa 57.000 MW.
37
( )I principi della fusione inerziale sono quelli sviluppati per la bomba termonucleare, dove la fase di
compressione iniziale era ottenuta tramite una piccola esplosione nucleare.
94
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3.1 Generalità
38
( ) Lo spettro delle radiazioni UV è piuttosto ampio: la luce solare, ad esempio, è ricca di radiazioni a grande
lunghezza d’onda (λ inferiore a 280 nm) capaci di penetrare in profondità nello strato cutaneo e responsabili
di una pigmentazione cutanea intensa e duratura; molto diversa è la radiazione delle lampade a vapori di
mercurio con spettro spostato verso le lunghezze d’onda più brevi (λ inferiore a 250 nm), poco penetranti
nell’epidermide, ad azione più infiammante (eritema e congiuntivite) che pigmentante.
L’UV detto “lontano”, con lunghezze d’onda inferiori a 125 nm, è già ionizzante avendo un’energia di 10 eV.
96
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Il concetto base della radioprotezione è l’ipotesi che nessuna esposizione alle radiazioni
ionizzanti, per quanto modesta, possa essere considerata completamente sicura; questo
è l’assunto utilizzato – nell’ottica della massima sicurezza- per la progettazione di
interventi tecnico-gestionali di protezione e salvaguardia della popolazione, dei
lavoratori e dei pazienti esposti alle radiazioni ionizzanti
La suddetta ipotesi, però, NON sottointende automaticamente che il danno non
abbia soglia. E’ dimostrato, infatti, che gli organismi viventi sono dotati di meccanismi
biologici di auto-riparazione dei danni quindi, prima di indurre danno o comunque effetto
sanitario, le radiazioni ionizzanti devono aver ceduto all’organismo una quantità di energia
che superi i limiti dei meccanismi di auto riparazione.
danno
Effetti
stocastici
Effetti
1
dose
soglia dose
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L’assorbimento di energia da parte dei tessuti umani, quando supera certe soglie,
comporta danni ai tessuti di diversa natura ed entità, con effetti più o meno gravi che
possono portare fino alla morte dell’individuo. E’ necessario sottolineare che, a parità di
energia assorbita, gli effetti dipendono dal tipo di radiazione, ovvero dal tipo di particella
incidente (p, n, e, γ) e dalla relativa sensibilità del tessuto colpito (si veda oltre).
Per poter quantificare gli effetti conseguenti si devono introdurre una serie di definizioni di
tipo dosimetrico, che sono:
• il LET (Linear Energy Transfer), definito come il rapporto fra la quantità di energia
ΔE rilasciata da una radiazione ionizzante e lo spessore Δx di tessuto entro cui
questa energia viene rilasciata:
∆E
LET =
∆x
Il LET si misura in keV/µm.
• la dose assorbita, ovvero il rapporto D tra l’energia ceduta dalle radiazioni ionizzanti
(direttamente e indirettamente) alla materia in un dato elemento di volume e la
massa del volume stesso:
D = dE / ρdV = (ΣE in – ΣE out + ΣE’) / ∆m
dove: ΣE in è la somma delle energie delle particelle entranti;
ΣE out è la somma delle energie delle particelle uscenti;
ΣE’ è la somma algebrica delle quantità di energia rilasciate (assunte come
positive) e assorbite (prese come negative) nelle reazioni nucleari
conseguentemente avvenute nel volume.
L’unità di misura di dose è il Gray (Gy), ed equivale alla dose di energia assorbita
da una unità di massa:
1 Gy = 1 J / 1 kg
99
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𝑑𝐸𝑐 1 𝑑𝐸𝑐
𝐾= = ×
𝑑𝑚 𝜌 𝑑𝑉
L’unità di misura è ancora il Gy.
X = ∆C / ∆m
Altra grandezza molto usata è l’intensità di esposizione per unità di tempo, misurata
in R/h.
Quelle finora introdotte sono grandezze dosimetriche che non sono però in grado di legare
la dose assorbita all’eventuale effetto/danno biologico ad essa associato. A questa
esigenza rispondono le così dette grandezze radiometriche descritte di seguito:
• dose equivalente – Mentre la dose assorbita tiene solo conto degli effetti in termini
di energia assorbita dai tessuti, la dose equivalente tiene conto della diversa
pericolosità che hanno le diverse forme di radiazione per i diversi tessuti. Essa è
data dal prodotto della dose assorbita per un coefficiente che tiene
conto dell’efficacia biologica relativa, EBR, attraverso un fattore adimensionale wr
che dipende dal tipo di radiazione.
Per un tessuto colpito da “i” tipi di radiazione si può dunque scrivere:
DE = Σ i wr i × D i
Sv = Gy × wr
39
( ) Per migliore comprensione, a parte ribadire che l’esposizione è un parametro che si usa solo per
interazione di fotoni in aria, si sottolinea che il volume in cui si arrestano e si contano gli elettroni non è
quello che ha interessato l’irraggiamento ma un volume necessariamente molto maggiore.
100
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Per raggi alfa, più dannosi per l'organismo perché più fortemente ionizzanti, wr = 20
e dunque 1 Gy di energia ceduta da raggi alfa corrisponde a 20 Sv di dose
equivalente.
Per fasci di neutroni 1 Gy può valere da 5 a 20 Sv a seconda dell'energia dei
neutroni incidenti.
Dalla tabella si nota che per i neutroni più energetici il fattore wr tende a ridursi
in quanto si riduce la probabilità di interagire -con urti elastici- con i nuclei di
idrogeno delle molecole di acqua di cui è essenzialmente composto il nostro
corpo.
Il Sievert ha sostituito, nel SI, la vecchia unità tradizionale che era il rem
(Roentgen Equivalent Man, dal nome si capisce che le radiazioni X sono state
assunte sin dall’inizio come riferimento per la scala degli equivalenti di dose).
1 Sv = 100 rem
E = Σ y wt y × (Σ i wr i × D i )
o viceversa, irradiando lo i-esimo organo con una certa dose efficace E*,
si avrebbe una probabilità percentuale di danno per tale organo analoga
a quella che si avrebbe se l’intero corpo fosse stato irradiato con una
dose pari a E* diviso per wt i ;
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Alcuni esempi:
per riportare tale valore locale di dose a quello all’intero corpo basta effettuare
una proporzione sapendo che w t per la tiroide vale 0.05 mentre il w t total body=1:
E = 20 mSv/ 0,05 = 400 mSv
quindi, una dose efficace di 400 mSv “total boby” crea un fattore di rischio per la
tiroide equivalente ad una dose locale equivalente di 20 mSv.
I meccanismi di interazione delle radiazioni con la materia sono diversi a seconda del tipo
di radiazione, della loro energia e delle caratteristiche del materiale attraversato; ne
consegue una diversa capacità di penetrazione dei vari tipi di radiazioni nei vari materiali.
Le particelle alfa si caratterizzano per la produzione di una elevata densità di ionizzazione,
dunque il percorso nella materia di queste particelle è assai modesto: le α possono essere
arrestate in meno di 10 cm di aria oppure da un semplice foglio di carta; solo se hanno
una energia maggiore di circa 7 MeV sono in grado di superare i 70 micrometri di
spessore medio dell’epidermide e quindi raggiungere lo strato germinativo della cute
provocando un danneggiamento della stessa. Per La stessa ragione per cui le α non sono
pericolose per irradiazione esterna, sono invece le più pericolose per irradiazione interna
in quanto, una volta introdotte nell'organismo tutta la loro energia viene ceduta ai tessuti
sui quali si deposita.
Anche le particelle beta hanno una modesta capacità di penetrazione nella materia, anche
se i loro percorsi sono comunque assai maggiori di quelli delle particelle α: elettroni da 1
MeV sono arrestati in 4 metri di aria o in 4 mm di acqua e solo particelle con energie
maggiori di 70 keV riescono a raggiungere lo strato germinativo della cute.
L’energia persa dalle particelle cariche è proporzionale alla carica al quadrato delle
particelle stesse e alla densità del mezzo.
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- i neutroni perdono energia secondo diverse forme di interazione: tra circa 10 keV e 10
MeV il principale meccanismo di interazione con la materia biologica è la diffusione
elastica in particolare con i nuclei dell'idrogeno; a energie molto basse, al di sotto di 0,5
eV, prevalgono invece le reazioni di cattura da parte dei nuclei, con emissione di raggi
gamma e altre particelle.
- le radiazioni interagiscono con la materia mediante effetto fotoelettrico, effetto Compton e
la creazione di coppie.
Fig. 3.1 -
Per poter parlare di danno o di effetto sanitario è necessario che l’effetto biologico delle
radiazioni superi i limiti dei meccanismi di adattamento dell’organismo i quali, peraltro,
variano con l’età, il sesso, lo stato di salute, il tipo e il grado di attività del soggetto, nonché
con le condizioni ambientali e, ovviamente, con l’entità, durata e tipo della radiazione cui
sono esposti i soggetti.
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Per gli effetti stocastici è previsto solo un aumento della probabilità di danni a medio-lungo
termine, ma non si ha correlazione diretta con l’entità del danno; si tratta, comunque, di
danni gravi, quali tumori e leucemie, o addirittura di danni genetici con effetti sul DNA.
I danni che ricadono nell’ambito dei danni stocastici sono, tipicamente:
Nel campo delle malattie tumorali, dal punto di vista del riconoscimento causa-effetto tra
l’esposizione e l’insorgenza della sindrome la discriminazione è estremamente difficoltosa
a causa del fatto che le caratteristiche e i sintomi del danno sono indistinguibili da quelle
eventualmente dovute a cause "naturali"; nel caso di grandi corti di esposti, tipicamente in
casi incidentali, le valutazioni sono semplificate dal fatto che si possono effettuare
confronti in base all’eventuale aumento dell'incidenza delle suddette malattie rispetto alle
percentuali medie riscontrate nella popolazione non esposta.
Per riassumere, le caratteristiche principali degli effetti stocastici per esposizioni sotto
soglia, sono:
- non richiedono, per presentarsi, il superamento di una dose-soglia;
- riguardano solo una piccola frazione degli esposti con frequenza di comparsa
proporzionale alla dose;
- la gravità non dipende dalla dose in quanto sono del tipo “tutto o nulla”.
E’ opportuno infine sottolineare che, ancora oggi, l’ipotesi conservativa secondo la quale
non esiste una soglia inferiore di irradiazione al di sotto della quale c’è solo possibilità di
danno stocastico (ordine di grandezza dei mSv), ovvero una possibilità di danno a lungo
termine, è ancora in discussione.
Oltre al “modello a soglia”, infatti, esistono diversi altri modelli più o meno accreditati:
- il modello LNT, “Linear-Non-Threshold Model”, prevede che non vi sia alcuna soglia
di esposizione al di sotto della quale la risposta cessi di essere lineare.
Dunque, secondo il modello LNT il rischio di contrarre tumore o leucemia cresce
linearmente già a partire dalla media mondiale di dose equivalente assorbita pari a
2,4 mSv/a.
Tale modello trova giustificazione dalle conseguenze di uno studio epidemiologico
abbastanza recente, effettuato su una corte significativa di circa 400.000 lavoratori
-impiegati in impianti nucleari- soggetti ad una extra dose molto modesta rispetto
alla radiazione di fondo (circa 19 mSv); tale indagine ha evidenziato un aumento,
107
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- un altro modello, fra i più accreditati, ed è quello cui si è già dato ampio spazio,
prevede un livello di soglia di dose equivalente al di sotto del quale l'esposizione
alle radiazioni NON comporterebbe danni all'organismo in quanto l'organismo
sarebbe in grado di riparare i danni causati da basse dosi;
Proprio alla luce delle incertezze sopra citate, sin dalla fine degli anni ’90 molta attenzione
è stata data alla valutazione del fondo naturale di radiazioni al fine di:
verificare il livello di rischio per le popolazioni che vivono in aree caratterizzate
da un livello particolarmente alto di radiazioni di fondo (in Italia il Lazio, la
Lombardia e la Campania);
confrontare i livelli di rischio totale per le popolazioni esposte al fondo naturale
e/o ad una dose di radiazioni artificiali.
40
( ) Molte zone di questa città hanno fatto registrare le più alte concentrazioni di radioattività naturale del
mondo. La radioattività a Ramsar è molto alta nelle 50 terme del luogo. In alcune di queste sorgenti calde si
raggiunge il valore di 0,03 mSv/ora (262,8 mSv/anno).
Per dare un'idea, un bagno termale di 33 ore a Ramsar comporta un assorbimento pari a una radiografia (1
mSv).
108
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Tab. 3.5 – Quadro sinottico degli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti
(tratto da Pinto, Università di Cagliari)
3.6.1 Generalità
La terra, e quindi tutti gli esseri viventi, sono costantemente bombardati da radiazioni di
origine naturale ed artificiale:
nella radioattività naturale si distinguono una componente di origine terrestre e una
componente di origine extra-terrestre: la prima è dovuta ai radionuclidi, cosiddetti
primordiali, presenti in varie quantità nei materiali inorganici presenti nella crosta
terrestre, la seconda è costituita da raggi cosmici. Quando ci si riferisce a queste
sorgenti si parla di fondo naturale di radiazioni che, in misura maggiore o minore, è
presente su tutta la terra.
109
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Sembra opportuno sottolineare che l’opinione pubblica tende ad associa al termine “rischio
per la saluta da radiazioni ionizzanti” la sola produzione di energia nucleare, nell’interezza
della sua filiera, quando -al di là di condizioni conseguenti ad incidenti gravi- le dosi che si
ricevono dagli impianti di potenza sono centinaia di volte inferiori a quelle dovute al fondo
naturale e anche migliaia di volte inferiori a quelle che si ricevono per radiodiagnostica e
radioterapia.
In questi ultimi casi, tra l’altro, le esposizione sono invece generalmente accettate anche
indipendentemente da un accurato bilancio costi-benefici; in tali casi, infatti, gli utenti sono
disponibili a non affrontare una asettica valutazione dei rischi i rischi avvertiti sempre e
comunque come ampiamente compensati dai benefici, in particolare nel campo medico.
Studi effettuati proprio in questo settore, invece, hanno dimostrato una sensibilissima
quantità di dosi di radiazioni indebitamente inferte ai malati o per superficialità nell’uso
eccessivo di radiodiagnosi o a causa delle non corrette procedure di esecuzione (41).
41
I raggi X usati in diagnostica sono la forma più comune di radiazioni usate a scopo medico: alcuni dati
provenienti dai paesi industrializzati indicano valori che variano da 300 a 600 esami ogni 1000 abitanti, pur
escludendo dal computo alcune prestazioni quali le radiografie dentali. Numerose istituzioni nazionali ed
internazionali hanno emanato linee guida e protocolli che, se applicati correttamente, dovrebbero consentire
una riduzione delle dosi superflue nei pazienti sottoposti a raggi X; purtroppo indagini effettuate a livello
nazionale ed internazionale mostrano che, attualmente, le dosi variano ampiamente da ospedale ad
ospedale, anche nello stesso paese, con dosi ricevute dal paziente, per lo stesso esame radiologico, che
variano fino a qualche centinaio di volte. Da tali indagini risulta, inoltre, che la parte del corpo irradiata risulta
-in taluni casi - fino a due volte più ampia del necessario.
110
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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eventi che può raggiungere il valore di 108 particelle secondarie per ogni evento
primario.
Parte delle particelle secondarie,
quelle a maggior emivita,
raggiungono la superficie terrestre
col nome di radiazione cosmica
secondaria. Degli elementi
radioattivi presenti nella radiazione
secondaria soltanto il C14, H3, Na22 e
Na24 contribuiscono in qualche
modo a dosi misurabili: le dosi più
elevate le forniscono il C14 e il H3
che, come tutti gli altri elementi,
vengono introdotti nel corpo umano
attraverso la catena alimentare.
111
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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Nelle fasi di formazione dei pianeti, successivamente al Big Beng (11x109 anni fa) , la
materia si è aggregata dando luogo ad elementi sempre più pesanti 42. Anche sulla
Terra, formatasi circa 4,5 miliardi di anni fa, originariamente gli elementi erano tutti
radioattivi; nei milioni di anni trascorsi fino a oggi molti di essi sono decaduti, e quindi
scomparsi -a eccezione di quelli che hanno tempi di dimezzamento paragonabili con
l'età della Terra-, dando luogo alla generazione dei nuclidi di trasmutazione e, infine,
ai loro discendenti stabili; tutti questi elementi sono attualmente presenti
nell'atmosfera, nelle acque e nella crosta terrestre (quindi nei materiali da costruzione,
nei combustibili fossili, ecc) così come nel corpo umano.
I principali radionuclidi primordiali ancora presenti sulla terra sono il K40, il Rb87, oltre
che gli elementi di decadimento delle famiglie radioattive dell'U238 e del Th232. Quelli
della famiglia dell'U235 risultano di minor interesse, almeno quantitativamente, a causa
della modesta abbondanza relativa del capostipite.
La concentrazione dei radionuclidi naturali nel suolo e nelle rocce varia fortemente da
luogo a luogo in dipendenza della conformazione geologica delle diverse aree. Per
quanto riguarda l’U238, per esempio, se ne trovano buone concentrazioni nelle rocce
ignee e nei graniti, così come in alcune rocce sedimentarie di origine marina.
Tipici valori di concentrazioni di attività nel suolo sono compresi tra 100 e 700 Bq.kg-1
per il K40, tra 10 e 50 Bq.kg-1 per i radionuclidi delle serie radioattive dell’U238 e del
Th232.
La principale forma di radioattività terrestre è quella del Radon, un gas “nobile”
(chimicamente inerte e non tossico, inodore ed incolore, 7,5 volte più pesante dell'aria)
che si libera dalle profondità della crosta terrestre, ed è presente con due isotopi
appartenenti alle famiglie dell'uranio e del torio:
42
La distribuzione degli elementi presenti sulla Terra è analoga a quella caratteristica di tutto l'Universo,
come confermato dagli studi che hanno verificato questa uniformità nell'atmosfera e sulla superficie di altri
pianeti, nei meteoriti e della materia interstellare; molto dello studio della fisica delle particelle è svolto in
ambito degli studi di astrofisica.
112
APPLICAZIONI DELL’ENERGIA NUCLEARE - Elementi di Fisica Nucleare e Radioprotezione AA 2017/18
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• la serie dei decadimenti della famiglia dell’U238 porta alla formazione di Ra226 che,
emettendo alfa, decade in Rn222, detto semplicemente “Radon”, che ha una emivita
di circa 4 giorni;
• la serie dei decadimenti della famiglia del torio, invece, porta alla formazione del
Ra224 che, decadendo alfa, porta alla formazione del Rn220, un gas chiamato
“Toron”, con emivita di circa 55 sec.
ambedue decadono ulteriormente emettendo α, il Radon in Po218 e il Toron in Po216,
ambedue ancora instabili.
Il Radon, nei suoi due isotopi 222 e220, è molto pericoloso se respirato sia perché
decade α, sia perché i nuclei del Po e i suoi discendenti, solidi e radioattivi e ancora
emettitori α, continuano a permanere nel distretto polmonare contribuendo alla
irradiazione interna ( 43). Il Radon è stato riconosciuto dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità come cancerogeno per l'uomo; si ritiene che il Radon sia responsabile di
circa 20.000 morti all’anno per tumore polmonare nella sola Unione Europea .
Il Radon può essere emanato dalle rocce, dai suoli e da materiali da costruzione di
origine naturale (come alcuni tufi, pozzolane, lave, graniti, scisti, etc.) o artificiale (ad
es. fosfogessi) e, in percentuale molto minore, dalle acque; il Radon, infatti, è solubile
in acqua fredda (e quindi viene assorbito e trasportato nelle acque profonde ) ma,
poichè la sua solubilità decresce rapidamente con l'aumentare della temperatura, viene
rilasciato quando l'acqua si riscalda raggiungendo la superficie.
Il Radon emanato all'aperto viene rapidamente disperso; quando invece viene
rilasciato in ambienti chiusi, a causa del suo elevato peso atomico tende ad
accumularsi verso il basso e ivi a concentrarsi con possibili danni alla salute; questi
fenomeni di accumulo suscitano particolare preoccupazione, se si tiene conto del fatto
che la popolazione dei paesi industrializzati trascorre circa l’80% del proprio tempo in
ambienti chiusi (casa, ufficio, luoghi di svago etc; cantine, grotte e, comunque,
ambienti poco aerati ai piani bassi degli edifici sono quelli a maggior rischio).
Riassumendo, la radioattività in aria – nella fascia di interesse antropico, poche
centinaia di metri oltre il livello del terreno- è dovuta in massima parte al Radon, quindi
al contenuto di Uranio e Torio nel suolo, più una quantità meno importante di C14, H3 .
In fig. 3.3 si riporta la valutazione delle emissioni medie di Radon nelle diverse regioni
italiane e in tab. 3.7 la concentrazione di radionuclidi in alcuni materiali da costruzione.
43
( ) Il fumo di tabacco è uno dei principali vettori per il trasporto del Radon. Succede, infatti, che per
fertilizzare il terreno vengono usati intensivamente prodotti a base di fosfati che sono ricchi di Uranio e Torio;
questi due elementi vanno ad arricchire il terreno che, lentamente, rilascia Radon i cui discendenti solidi, il
Polonio in particolare, vanno a depositarsi sulle foglie di tabacco. Durante la combustione delle sigarette i
metalli radioattivi, quindi il Po, sublimano e vengono inspirati (1 pacchetto di sigarette al giorno equivale ad
una extra dose annua di 6 mSv).
113
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Fig. 3.2 – Schema delle vie di ingresso del Radon negli edifici
114
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Nelle tabelle che seguono si riportano diverse valutazioni in merito alla dose di radiazione
media di origine naturale; va precisato che la dose gamma assorbita in aria è dovuta sia
alla radiazione cosmica che a quella terrestre. La componente terrestre varia in funzione
del luogo in cui avviene l'esposizione: all'esterno (outdoor) o all'interno (indoor) degli
edifici. In quest'ultimo caso vi è una componente aggiuntiva dovuta alla radioattività
naturale contenuta nei materiali da costruzione.
Dal punto di vista delle misurazioni, la radiazione di origine terrestre si computa in base a
due componenti:
- le emissioni di Radon
- e, per il rimanente dei radionuclidi, come radiazione gamma;
solo in alcune valutazioni di maggior dettaglio viene a volte estrapolata addirittura la
radiazione dovuta agli organismi viventi, essendo anche questi portatori di sostanze
radioattive presenti nei diversi organi interni (vedi oltre).
In tab. 4.7 si riporta un confronto tra i diversi contributi rispetto alla dose media mondiale
115
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Per inalazione
116
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Più di 1200 nuclidi radioattivi artificiali sono stati identificati e studiati mediante analisi
radiochimica e fisica; come nel caso della radioattività naturale, alcuni nuclidi artificiali
radioattivi emettono raggi γ, elettroni e positroni; un terzo circa dei nuclidi attivi emette solo
particelle mentre il rimanente emette, insieme a queste, anche radiazioni γ. Come nel caso
dei radionuclidi naturali, i radionuclidi artificiali sono caratterizzati dalla loro vita media e
dalla radiazione che emettono.
Sorgenti radioattive artificiali sono presenti in:
117
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• combustione del carbon fossile e gas Fig.3.5 - Confronto tra dosi di origine
naturale; naturale in Europa
• apparecchiature di ricerca, per
esempio gli acceleratori;
• materiali irradiati commercializzati
indebitamente;
• fallout da esperimenti o incidenti
nucleari; per esempio, la presenza in
ambiente di 55 Cs137 (T 1/2 =30 anni) è
un chiaro segno di fall-out radioattivo
in quanto tale isotopo del Cs non
esiste in natura (l’unico isotopo
naturale del Cs è il 133).
Dose
Causa o pratica medica equivalente
radioterapia 10 ~ 40 mSv
scintigrafia 10 ~ 20 mSv
PET, tomografia ad emissione di 10 ~ 20 mSv
positroni
tomografia computerizzata 3 ~ 4 mSv
radiografia convenzionale 1 mSv
44
( )In Italia, ogni anno, si eseguono oltre 100 milioni di esami con impiego di radiazioni ionizzanti quindi,
mediamente, è possibile ipotizzare diverse migliaia di tumori per anno indotti dalla radiodiagnostica e molte
centinaia di danni ereditari gravi
118
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Fig. 3.6 – Confronto tra dosi di radiazioni di origine naturale ed artificiale (ENEA)
(DOSE EQUIVALENTE)
119
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Rispetto al totale delle dosi da radiazione ricevute, il valore del rischio per l’uomo viene
effettuato sulla base dei possibili effetti stocastici a lungo termine utilizzando la grandezza
della dose equivalente efficace (è chiaro che effetti deterministici sono da prevedersi solo
in condizioni incidentali).
Nella tab. 3.9 viene riportata la stima delle dosi efficaci medie per varie nazioni europee
mentre, nella tab. 3.10, è riportato un confronto dettagliato, suddiviso tra contributo
naturale e artificiale, per l’Italia e gli Stati Uniti.
Tab. 3.9 - Confronto delle dosi efficaci medie totali per varie nazioni
Nazione Dose efficace
media (mSv/a)
Media mondiale 2.8
Italia 4.5
Germania 4.2
Francia 4.0
Inghilterra 2.7
USA 3.6
Giappone 3.7
Australia 2.5
Tab. 3.10 – Confronto dettagliato tra le dosi efficaci in Italia e negli USA
Tipo di sorgente Dose efficace (mSv/a)
Italia USA
Naturale Esposizione esterna
raggi cosmici 0.4 0.36
gamma terrestri 0.6 0.28
Esposizione interna
inalazione radon 2 2
inalazione altri isotopi 0.006 0.05
altro 0.3 0.35
subTot N 3.3 3
(% sul TOTALE) (73 %) (83 %)
Artificiale Diagnostica 1.2 0.63
Chernobil 0.002 0
Test nucleari < 0.01 < 0.01
Industria nucleare 0.0002 < 0.01
Occupazionale Trasc. < 0.01
subTot A 1.2 0.63
(% sul TOTALE) (27 %) (17 %)
TOTALE N + A 4.5 3.63
+Tabacco + 2.8 + 2.8
120
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I prodotti radioattivi, sia di origine naturale che artificiale, possono accumularsi nelle varie
fasi della catena alimentare.
La prima via d’ingresso dei radionuclidi nella catena alimentare è la deposizione del
particolato aereo sulle parti aeree delle piante (foglie, fiori, frutti) e l’assorbimento tramite
radici; i radionuclidi depositati sulle superfici fogliari, anche se non penetrano all’interno dei
tessuti vegetali, possono venire trasferiti direttamente agli animali che consumano il
fogliame contaminato. Dagli erbivori si passa poi alla catena dei carnivori, uomo
compreso, e, dalle loro deiezioni, si procede alla chiusura del cerchio: evidentemente, le
sostanze organiche, alla fine della catena alimentare, vengono decomposte in sali
minerali che vengono riutilizzati dai vegetali e quindi rientrano in parzialmente in circolo (i
radionuclidi che rientrano in circolo sono solo quelli ad emivita media o lunga).
VEGETALI ERBIVORI
CARNIVORI
L’assorbimento dei radionuclidi dal suolo mediante il sistema radicale dipende, oltre che
dalla concentrazione di radionuclidi, dalle proprietà del suolo, quali: frazione argillosa,
contenuto di sostanza organica, pH, tenore idrico e quantità di ioni scambiabili (es.: calcio,
potassio, ammonio) e/o che esplicano sinergismo o concorrenza rispetto all’assorbimento
dei radionuclidi.
121
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che profonde) rappresenta una via di ingresso dei radionuclidi nelle specie vegetali in
seguito ad un utilizzo delle stesse a fini irrigui.
Nel trasporto della radioattività all'uomo lungo le catene alimentari si deve tener conto
anche della fisiologia dei vegetali e degli animali che formano le catene, che può
intervenire nei processi di assorbimento con fenomeni di concentrazione; da questo punto
di vista, alcuni organismi acquatici sono forti “bio accumulatori” potendo concentrare
specifici radionuclidi nei loro tessuti anche di diversi ordini di grandezza ( 45) ragion per cui,
per esempio, è possibile riscontrare in particolari faune ittiche livelli di radionuclidi ben
superiori a quelli presenti nelle acque in cui vivono.
In genere si può affermare che, sempre per il meccanismo della concorrenza, le analogie
nel comportamento chimico fanno sì che la presenza di alcuni elementi negli organismi
(vegetali o animali) possa modificare il tasso di penetrazione di alcuni radionuclidi: il Cs,
per esempio, ha un comportamento chimico simile a quello di altri metalli alcalini, per es.
Na e K, così come lo Sr ha un comportamento simile a quello di altri metalli alcalino-
terrosi, per es. Ca e Mg. Pertanto il Cs, anche quello radioattivo, viene assorbito
rapidamente negli animali al posto del K e, una volta assimilato a livello intestinale,
si diffonde in tutti i tessuti con accumulo nei muscoli; lo Sr, invece, assorbito in luogo del
Ca, tende ad accumularsi nelle ossa.
3.8 Schermaggi
45
Dal punto di vista del problema del rischio legato all’accumulo all’interno della catena alimentare, bisogna
90
tenere anche conto della specificità dell’accumulo stesso: per esempio, la presenza di Sr nei pesci può
90
risultare non significativa per il rischio di ingestione umana perchè lo Sr viene accumulato nel tessuto
osseo anziché nel tessuto muscolare (parte edibile).
46
( ) Dovendo effettuare un lavoro in una zona dove l’intensità di esposizione è pari ad 1 R/h, se il valore
massimo ammissibile di esposizione è di 60 mR/g, l’operatore potrà rimanere nella zona per:
𝑚𝑅 1 ℎ 𝑚𝑖𝑛 ℎ
60 × 𝑚𝑅 = 0,06 𝑥 (𝑚𝑖𝑛) = 60 � � × 0,06 = 3,6 min/g
𝑔 1000 𝑔 ℎ 𝑔
ℎ
122
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• Particelle alfa
Come noto le particelle alfa non necessitano praticamente mai di schermaggio vista
l’elevata capacità di interazione propria di queste particelle tale che bastano pochi
centimetri di aria per bloccarle.
• Raggi gamma
L’attenuazione dei gamma segue un andamento di tipo esponenziale e, sebbene
l’esposizione non possa andare a zero, può però essere ridotta fino a valori non
dannosi; i materiali più idonei per lo schermaggio sono materiali ad elevato numero
atomico, si ricorre generalmente al piombo, al ferro e al nichel; altro materiale molto
efficiente sarebbe l’ 92 U238 (uranio depleto).
• Particelle beta
Al contrario delle alfa le particelle beta presentano un certo rischio di irradiazione
esterna poiché sono ben più penetranti (per raggiungere lo strato germinativo
cutaneo servono alfa di oltre 7 MeV mentre bastano beta da 70 keV) e questo
perché:
- hanno una ionizzazione specifica minore poiché hanno carica elettrica pari
alla metà delle alfa;
- oltretutto, a causa della reazione di Bremsstrahlung, producono X secondari.
Da quanto sopra emergono due esigenze contrastanti: a causa della ionizzazione
specifica relativamente bassa, sembrerebbe più opportuno l’utilizzo di materiale
schermante ad elevato numero atomico per aumentare le probabilità di interazione
(per bloccare beta da 1,5 MeV possono bastare 0,61 mm di piombo o 2,5 mm di
alluminio); questa scelta, però, tende a far aumentare anche la radiazione di
frenamento e questo richiederebbe un sovradimensionamento dello spessore dello
schermo che non sempre, per motivi di costo o di logistica, è fattibile. In alcuni casi
si può ricorrere a schermi multistrato con un materiale più pesante verso l’esterno
ed uno più leggero verso l’interno in modo che la produzione per Bremsstrahlung
sia, almeno inizialmente, ridotta.
Si può aggiungere che quando il fascio beta comprende anche positroni, e quindi
sono prevedibili annichilazioni con la formazione dei due gamma da 0,511 MeV, per
lo schermaggio sono richiesti maggiori spessori di materiali pesanti.
• Neutroni
Come i gamma anche i neutroni sono un tipo di radiazione molto penetrante con
attenuazione di tipo esponenziale. I neutroni, infatti, interagiscono poco con gli
atomi del mezzo ma vengono fondamentalmente rallentati da urti elastici o
anelestici; per neutroni termici intervengono anche fenomeni di cattura con
conseguente emissione γ.
I materiali schermanti ottimali sono quelli a basso numero atomico per i quali i valori
di sezione d’urto di scattering sono maggiori. Quando la radiazione neutronica è
accompagnata da radiazione gamma, indipendente o formata in seguito alle
reazioni neutroniche, ci si trova in situazione analoga allo schermaggio di radiazioni
123
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Anche il calcestruzzo è molto usato visto che contiene acqua ma, poichè è anche
molto denso, rallenta bene sia i neutroni che i fotoni.
Altri materiali molto diffusi per schermaggio neutronico sono quelli arricchiti con
boro che ha una elevata sezione d’urto di cattura per i neutroni termici.
b-bis) alle attività lavorative diverse dalle pratiche di cui ai punti 1, 2 e 3 che implicano la
presenza di sorgenti naturali di radiazioni, secondo la specifica disciplina di cui al capo …….;
47
( ) Paraffina è il nome corrente dato ad una miscela di idrocarburi solidi, in prevalenza alcani, le cui
molecole presentano catene con più di 20 atomi di carbonio.
48
( ) L’Euratom è un'organizzazione internazionale istituita, contemporaneamente alla CEE, con i trattati di
Roma del 25 marzo 1957, allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi
all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa.
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1-bis. Il presente decreto non si applica all'esposizione al radon nelle abitazioni o al fondo
naturale di radiazione, ossia non si applica né ai radionuclidi contenuti nell'organismo umano,
né alla radiazione cosmica presente al livello del suolo, né all'esposizione in superficie ai
radionuclidi presenti nella crosta terrestre non perturbata. “
Per quanto riguarda i limiti di dose individuali, in tab. 3.11 si riportano i valori limite così
come fissati dalla vigente normativa nazionale; va precisato che sono individuati e
classificati:
• lavoratori esposti i soggetti che, in ragione dell'attività svolta per conto del datore di
lavoro, sono suscettibili di una esposizione alle radiazioni ionizzanti nell’anno solare
che superino uno o più dei limiti riportati nella IV colonna della tabella;
• in particolare, sono considerati lavoratori esposti in categoria A quelli che sono
suscettibili, in un anno solare, ad una esposizione superiore ad uno o più dei limiti
riportati nella III colonna della tabella, con un tetto massimo ammissibile come da
colonna II.
Tabella 3.11 - Limiti di riferimento del D.Lgs. 241/2000 e s.m.i. per la dose efficace
I limiti sopra riportati devono essere considerati come aggiuntivi alle dosi dovute alla
radioattività naturale.
I valori raccomandati per gli effetti stocastici per la popolazione sono stati stabiliti dalla
ICRP sulla base di un confronto tra i rischi attesi nelle attività radiologiche e quelli delle
altre attività lavorative considerate “ad elevato livello di sicurezza”. Si giudicano
attualmente tali quelli in cui la mortalità media annuale è inferiore a 10-4 eventi/a.
Per quanto riguarda gli individui della popolazione l’ICRP ha stabilito per gli effetti
stocastici dei limiti 10 volte inferiori a quelli accettabili per i lavoratori, quindi il
rischio ritenuto in media accettabile per piccoli gruppi di individui della
popolazione è quello che causa un numero di eventi fatali pari a 10-5 eventi anno,
corrispondente ad un equivalente di dose efficace ricevuto in un anno di 1
mSv/anno.
125
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Nel caso delle attività di cui alle lettere c) e d) - ma limitatamente alle seguenti attività:
• industria che utilizza minerali fosfatici e depositi per il commercio all’ingrosso di fertilizzanti;
• lavorazione di minerali nella estrazione di stagno, ferro-niobio da pirocloro e alluminio da
bauxite;
• lavorazione di sabbie zirconifere e produzione di materiali refrattari;
• lavorazione di terre rare;
• lavorazione ed impiego di composti del torio, per quanto concerne elettrodi per saldatura con
torio, produzione di lenti o vetri ottici e reticelle per lampade a gas;
• produzione di pigmento al biossido di titanio;
• estrazione e raffinazione di petrolio ed estrazione di gas, per quanto concerne presenza e
rimozione di fanghi e incrostazioni in tubazioni e contenitori.
così come per le attività di cui alla lettera e), la fonte di esposizione più rilevante è data dai
radionuclidi naturali presenti nei materiali (NORM) utilizzati in alcune lavorazioni speciali o
nei rifiuti prodotti: per tale motivo l’esposizione maggiore è alle radiazioni gamma emesse
da questi elementi. Nell’Allegato I-bis, per queste attività, è previsto un livello di azione per
126
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i lavoratori pari ad 1 mSv/anno di dose efficace, livello che, tuttavia, non è comprensivo
( 49) dell’eventuale esposizione a radon derivante dalle caratteristiche geofisiche e
costruttive dell’ambiente su cui viene svolta l’attività lavorativa e per la quale esposizione
si applica il livello di azione di cui alla lettera a).
Per i luoghi di lavoro di cui alle lettere c) e d), il livello di azione per le persone del pubblico
è fissato in termini in 0,3 mSv/anno di dose efficace.
Il D.Lgs. 241/2000 prescrive anche l’obbligo di classificare gli ambienti di lavoro sottoposti
a regolamentazione per motivi di protezione contro le radiazioni ionizzanti. Le zone
classificate sono così classificate:
- zona controllata ogni area di lavoro ove sussiste per i lavoratori ivi operanti il
rischio di superamento, in un anno solare, di uno qualsiasi dei valori dei limiti per i
lavoratori esposti,
o 6 mSv/anno per esposizione globale o di equivalente di dose efficace;
o 45 mSv/anno per il cristallino;
o 150 mSv/anno per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie;
- zona sorvegliata ogni area di lavoro, che non debba essere classificata zona
controllata, ove sussiste per i lavoratori ivi operanti il rischio di superamento di uno
qualsiasi dei seguenti valori:
o 1 mSv/anno per esposizione globale o di equivalente di dose efficace;
o 15 mSv/anno per il cristallino;
o 50 mSv/anno per la pelle, mani, avambracci, piedi, caviglie.
49
( ) Le attività condotte in stabilimenti termali, all’interno di quelle di cui alla lettera e) rappresentano
un’eccezione; per queste ultime vige solo il livello di 1 mSv/anno di dose efficace, tenuto conto anche del
radon. La ragione di questo diverso trattamento probabilmente sta nel fatto che negli stabilimenti termali
sono sempre presenti zone di risalita di fluidi caldi dal suolo, di acque minerali, oppure di fanghi ricchi di
radionuclidi naturali (ai quali di solito vengono attribuite le proprietà terapeutiche delle terme, pertanto la
presenza di radon è un fatto intrinseco ovvero direttamente legato al tipo di materiali utilizzati e di attività
svolta.
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La formazione dell’immagine dipende dal fatto che i diversi tessuti presentano un grado
diverso di assorbimento nei confronti delle radiazioni: gli organi a maggior densità,
tipicamente le ossa, risultano opachi, i tessuti molli e le cavità naturali dell’organismo
risultano più o meno trasparenti . In particolare, per lo studio delle parti più molli, per
aumentarne il contrasto, si ricorre all’introduzione di mezzi artificiali di contrasto,
trasparenti (per es. l’aria) oppure opachi ai raggi X (generalmente composti
contenenti bario o iodio) . L’uso di tubi radiogeni è ancora efficace per guidare interventi
non invasivi quali angiografia, ecc.
Per superare i limiti della radiografia convenzionale, ovvero la mancanza di profondità
(tridimensionalità) dell’immagine, si sono sviluppate negli ultimi 30-40 anni nuove tecniche
di diagnostica per immagini quali la tomografia , la tomografia assiale computerizzata,
TAC, e, quindi, la tomografia ad emissione di positroni, PET.
Ancora più recente è l’uso degli acceleratori di particelle utilizzati per trattare, con fasci
esterni di particelle o radiazioni particolari zone del corpo del paziente affette,
generalmente, da tumori. Acceleratori si utilizzano per la adroterapia (i fasci sono formati
da adroni, in particolare protoni e ioni di carbonio) e per altre terapie intraoperatorie; negli
anni passati era usata anche la telecobaltoterapia (che usava fasci di Co60) non più in uso
per i suoi effetti collaterali troppo dannosi rispetto alle tecniche più recenti.
L’andamento della curva di Bragg spiega perché, nella irradiazione di tumori profondi si
utilizzino particelle cariche pesanti e non raggi gamma.
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Sempre con gli acceleratori possono venir prodotti i radionuclidi utilizzati sia come
traccianti nella diagnostica che nella terapia medica. Come esempi si citano:
- utilizzo come traccianti nella diagnostica in vitro (I125, Tc93, ecc) e nella diagnostica
tramite PET. Nella PET i radioisotopi (C11, N13, O15 ecc, tutti emettitori di protoni),
veicolati preventivamente, consentono di misurare in modo quantitativo la
funzionalità e i processi metabolici e biochimici dei diversi tessuti;
- utilizzo come traccianti nelle tecniche di scintigrafia;
- Brachiterapia; vengono inseriti degli opportuni radioisotopi (I125, Ir192, ecc) nelle
zone malate che vengono, così, soggette ad un bombardamento continuo di
radiazioni dall’interno che consente di distruggere tessuti patologici;
- molto simile negli effetti alla Brchiterapia è la radioterapia metabolica dove, però, i
radioisotopi sono iniettati per mezzo di elementi veicolanti (azione dei radioisotopi
non continua ma a singola somministrazione).
Fin dagli anni ’50, a seguito del lancio del programma USA per lo sviluppo delle tecnologie
nucleari pacifiche (“Atoms for Peace”), è stata ampiamente sviluppata l’utilizzazione
industriale delle radiazioni nucleari sia nel campo dei sistemi di misura non distruttivi sia
nelle applicazioni di processo. In campo industriale, queste tecniche hanno trovato
applicazione e intensiva utilizzazione nel settore chimico, metallurgico, nucleare,
minerario, tessile, della carta, farmaceutico,e alimentare e del manifatturiero in genere.
Nel settore dei sistemi di misura si possono citare:
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Tra le principali applicazioni industriali si cita, per ovvie ragioni, la produzione di energia,
termica ed elettrica, di cui si tratterà ampiamente nel capitolo successivo. Solo alcuni dati
di riferimento: nel 2010 erano in funzione 438 centrali in 32 paesi, per una potenza
installata complessiva di circa 360.000 MWe. L’energia nucleare fornisce (dati 2010) il
14% dell'elettricità prodotta nel mondo, contributo che sale al 21% nella media dei paesi
OCSE e al 28% (26% nel 2014) nella media dei paesi dell'Unione Europea con valori
locali anche molto elevati: 78% in Francia (77% nel 2014), 60% in Belgio, 46% in Svezia,
41% in Svizzera (38% nel 2014), 32% in Germania (15% nel 2014), 30% in Finlandia, 29%
in Spagna e 28% nel Regno Unito.
In agricoltura le tecniche radiografiche sono utilizzate per l’ispezione interna non distruttiva
di piante e frutti per verificarne la struttura interna ma anche la presenza di parassiti. Le
tecniche radiografiche possono , evidentemente , essere utilizzate anche per verificare la
struttura interna, e la presenza di eventuali oggetti estranei, in qualunque tipo di alimento,
dai formaggi ai salumi, ecc.
L’uso di traccianti radioattivi mescolati ai fertilizzanti consente di verificare l’assorbimento
quali-quantitativo dei fertilizzanti sia da parte del terreno (per evitarne un uso eccessivo e,
dunque, dannoso) che dei vegetali.
Altra importantissima applicazione delle radiazioni è quella della sterilizzazione delle
derrate alimentari allo scopo di allungare sensibilmente il tempo di durata dei prodotti
freschi; con l’irradiazione, infatti, non solo vengono eliminati muffe, parassiti e batteri
presenti sulle derrate stesse ma, sulle verdure, si ritarda anche la naturale gerrminazione
(cipolle, patate, ecc).
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E’ bene sottolineare che l’irradiazione, oltre ai sopra citati effetti (positivi ai fini della
commercializzazione delle merci), produce anche effetti collaterali legati all’azione di
ionizzazione propria delle radiazioni; in seguito alla ionizzazione, infatti, si formano
radicali liberi che possono dar luogo, legandosi, alla formazione di nuove
molecole/sostanze assenti nel prodotto non trattato. Tale aspetto, non sempre positivo (è
evidente la necessità di effettuare la sterilizzazione con dosi minime e ben controllate di
radiazioni) è comunque bilanciato dal vantaggio, comunque positivo, di aver eliminato i
precedenti trattamenti di sterilizzazione effettuati con agenti chimici, sempre più o meno
pericolosi per la salute.
Le tecniche che utilizzano radiazioni ionizzanti sono utilizzate in molteplici campi oltre a
quelli sopracitati, in particolare:
- tecniche radiografiche non distruttive sono fondamentali nello studio delle opere
d’arte di qualunque materiale siano fatte (per esempio, nello studio dei quadri, si
utilizzano per verificare l’esistenza di dipinti ricoperti oppure per analizzare il
bozzetto sottostante i colori, oppure per l’analisi dei pigmenti utilizzati per fare i
colori, per la datazione del quadro stesso, ecc);
- tecniche radiografiche sono usate in paleontologia, per lo studio di resti mummificati
di animali e piante, e ovviamente, per lo studio di manufatti antropici (per esempio
la termoluminescenza per reperti ceramici 50) e delle mummie;
- datazione al C14 di reperti organici (v. All. 3);
- uso di traccianti radioattivi per la mappatura di sorgenti di fumi e gas in aria
(dispersione di inquinanti in ambiente), mappatura del corso di flussi liquidi (anche
correnti marine), mappatura delle falde acquifere e delle risorse idriche sotterranee,
analisi e caratterizzazione di strati di sedimenti (per esempio sul fondo marino),
ecc.;
- in geologia, datazione di strati rocciosi in base alla quantità di radioisotopi presenti;
nelle prospezioni minerarie, invece, si utilizza la tecnica dell’attivazione neutronica
per definire la tipologia degli strati rocciosi attraversati dalla sonda;
50
Nei manufatti ceramici, infatti, sono inglobati, al momento della produzione, diversi radioisotopi naturali
contenuti nelle argille. I successivi processi di decadimento determinano la presenza di radiazioni emesse
nei cristalli minerali contenuti nell’argilla. Questa energia si manifesta con la comparsa di una debole
luminescenza all’atto del riscaldamento del manufatto. La quantità di energia luminosa liberata è
proporzionale al tempo trascorso dal momento della cottura del manufatto.
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- nel settore della sicurezza, ancora utilizzo di tecniche radiografiche (con raggi X a
bassa energia) per il controllo dei bagagli;
- utilizzo di radioisotopi, in particolare l’ Am241, nei rivelatori di fumo degli impianti
antincendio 51 (in Italia tali rivelatori sono vietati da anni) e nei parafulmini 52;
- applicazioni propulsive marine (in particolare nei sottomarini nucleari) e
aerospaziali;
- vastissimo utilizzo delle radiazioni nei diversi settori della ricerca scientifica.
51
Negli impianti antincendio a camera di ionizzazione si utilizzano radioisotopi emettitori alfa; essendo
dotate di carica elettrica, le particelle alfa chiudono il circuito elettrico fra due elettrodi separati da una sottile
intercapedine d’aria. In presenza di fumo le particelle alfa vengono arrestate (per assorbimento) dalle
sostanze in sospensione e il circuito si interrompe, facendo entrare in funzione i segnali di allarme e
l’impianto antincendio.
52 241
In cima al parafulmine piccole sorgenti di Am ionizzano debolmente l’aria circostante; in tal modo viene
a crearsi una via preferenziale al passaggio di corrente (bassa densità dell’aria) che attrae la scarica elettrica
del fulmine convogliandola all’impianto di dispersione di terra.
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ALLEGATI
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Gruppo 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
Periodo
1 2
1
H He
3 4 5 6 7 8 9 10
2
Li Be B C N O F Ne
11 12 13 14 15 16 17 18
3
Na Mg Al Si P S Cl Ar
19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
4
K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54
5
Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe
55 56 57 * 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86
6
Cs Ba La Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn
87 88 89 ** 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118
7
Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn Uut Fl Uup Lv Uus Uuo
58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
* Lantanoidi
Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103
** Attinoidi
Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr
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ALLEGATO 2
Il modello, sviluppato intorno agli anni ‘50, prevede che il nucleo sia rappresentabile come
una serie di gusci (shell) energetici concentrici sui quali si muovono i nucleoni .
Nella versione più semplice del modello, quella detta “a particella singola“, in perfetta
analogia agli orbitali atomici si può immaginare che i nucleoni vadano a riempire singoli
livelli energetici a partire dal più interno, che è il più stabile perché a minor energia, verso
quelli via via più esterni a maggior contenuto energetico; i nucleoni si muovono tra un
livello e l’altro scambiandosi energia. Uno, o più livelli ravvicinati, formano i così detti
gusci.
Secondo il principio di esclusione di Pauli, essendo protoni e neutroni dei fermioni, su ogni
livello non possono coesistere più di 2(2l+1) nucleoni; quindi, sulla prima shell (l=0)
potranno essere presenti solo un protone ed un neutrone (sono due fermioni diversi), sulla
seconda (l=1) 6 nucleoni e così via.
Per quanto detto, si capisce perchè tutti i nuclei con un numero pari di protoni e neutroni
sia tendenzialmente stabile ed anche il fatto che tutte le proprietà del nucleo dipendano
sostanzialmente dal nucleone spaiato.
Questo modello, in particolare, si adatta molto bene alle osservazioni sui “numeri magici”
secondo cui i nuclei che hanno il numero di protoni o dei neutroni corrispondente ai valori
pari, ed in particolare 2,8,20,28,50,82 e 126, sono particolarmente stabili, e la stabilità
aumenta ulteriormente se ambedue i nucleoni presenti corrispondono ad un numero
magico.
Il fatto che il nucleo sia modellizzabile come una serie di livelli energetici discreti
giustifica anche il fatto che le radiazioni elettromagnetiche emesse dal nucleo siano
discretizzate, in perfetta analogia alla teoria degli orbitali atomici; la differenza sostanziale
è che, mentre le energie discretizzate di emissione di livello atomico sono dell’ordine degli
eV -energie tipiche dei raggi X-, le energie emesse dai nuclei sono dell’ordine dei MeV -
energie tipiche dei raggi γ.
Nelle figure sotto riportate sono rappresentati, come esempio, il livello fondamentale e i
primi livelli di eccitazione del W 182 e dell’Hf178 . Essendo lo stato fondamentale del nucleo
il valore più basso di tutto l’insieme dei livelli energetici, i livelli sovrastanti rappresentano i
delta energetici che il nucleo può assorbire o cedere rispetto al livello fondamentale.
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E‘ chiaro quindi che un nucleo non può eccitarsi se assorbe une energia inferiore al
suo primo livello di eccitazione (per esempio, per il W questo equivale a 0.1 MeV).
La diseccitazione γ può avvenire o con una sola emissione o con un processo a cascata
fino a raggiungere lo stato energetico fondamentale del nucleo; il diverso comportamento
non è casuale ma esistono leggi ben precise che consentono di valutare la probabilità dei
diversi eventi. Per esempio, per il W la diseccitazione dal livello a 1,255 MeV al livello
fondamentale può avvenire o direttamente o attraverso combinazioni diverse
relativamente ai tre livelli metastabili intermedi; per l’Hf, invece, la diseccitazione è solo del
tipo a cascata.
Anche nei decadimenti la reazione può avvenire in diversi step di cui, peraltro, sono note
le probabilità. Per esempio nel decadimento β−, del Mo in Tc
42 Mo
99
→ 43 Tc
99
+ e- +ν
nell’82 % dei casi la risultante del decadimento vede il Tc rimanere eccitato ad un livello
metastabile corrispondente al suo secondo livello energetico – con diseccitazione in tempi
successivi-, nel 17% dei casi il Tc rimanere eccitato ad un livello metastabile
corrispondente al suo quarto livello energetico per poi diseccitarsi.
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Il Carbonio è presente sulla terra con gli isotopi 12 e 13 e, solo in tracce con l’isotopo 14
(una particella ogni 1012 atomi di carbonio) che ha una emivita piuttosto breve, circa 5570
anni. E’ evidente che il C14 sarebbe scomparso da milioni di anni se la sua formazione non
fosse continua, e ormai in equilibrio, grazie alla produzione costante dovuta all’interazione
dei raggi cosmici che, negli strati più alti della nostra atmosfera, interagiscono con l’N14
(che rappresenta il 77% degli elementi presenti in atmosfera) secondo la reazione:
7N
14
+ 0 n1 → 6 C14 + 1 p1 ( 53)
Il C14, radioattivo per decadimento beta, reagisce con l’Ossigeno generando C14O 2 che,
oltre a diffondersi nell’aria, e quindi ad essere respirata, si scioglie nell’acqua di mare sotto
forma di acido carbonico H 2 C14O 3 .
Sotto tali forme il C14 viene regolarmente assorbito e ricambiato nel ciclo vitale di ogni
essere vivente, animale e vegetale, con una percentuale uguale a quella terrestre, fino alla
morte dell’organismo. A partire da questo momento, il C14 presente nei tessuti non è più
rinnovato e decade con rapidità fissata dalla sua emivita. Una misura della frazione di C14
in un tessuto morto permette, quindi, la sua datazione con precisione piuttosto elevata (54).
Si consideri, ad esempio, una quantità di gas campione pari a 100 cm3 di CO 2 alla
pressione di 1 atm e temperatura 300°K. Tale gas contiene un numero di moli pari a:
di esse una frazione di 1/1012 contiene l’isotopo C14, ovvero 2.45•109 molecole .
53
( ) Altra reazione alternativa, anch’essa di grande interesse, è la seguente:
+ 0n → 6C +1T
14 1 12 1
7N
54
( ) Il metodo di datazione al C14 fu ideato, intorno agli anni ’50, dal chimico statunitense W. F. Libby che,
per questa scoperta. vinse il Premio Nobel nel 1960
140
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Se il gas ottenuto per combustione del campione, in 30 giorni, ha evidenziato solo 6000
eventi, ricordando che:
𝑁(𝑡) = 𝑁(𝑡0 ) 𝑒 −λt
e applicandola al caso in esame per il quale il numero atomi di C14 del campione da datare
rappresentano N(t), risulta:
0.693
6000 = 24365 𝑒 − 5730 t
Sensibilità ed accuratezza delle misure sono state migliorate con l’uso delle spettroscopia
di massa che consente di misurare direttamente il numero di atomi di C14 invece che il
numero di decadimenti (che quando sono molto pochi, quindi per reperti molto antichi, può
confondersi col rumore di fondo degli strumenti); un tipico valore di tolleranza di queste
misure è dell’ordine di +/-30 anni su intervalli di tempo utili di 50.000 anni. Per periodi
anteriori a tale datazione si ricorre a tecniche ancora più sofisticate basate sulla catena di
decadimento dell’U238.
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(solo da leggere)
• La teoria della grande unificazione, nota anche come GUT (acronimo dell'inglese
Grand Unified Theory) è un insieme di teorie costruite per ottenere l'unificazione
delle tre forze non-gravitazionali in una unica forza. Esistono molti modelli GUT, tutti
fondati sui principi alla base del modello standard delle interazioni e delle particelle
elementari, ma nessuno è attualmente universalmente accettato; un valore della
scala della teoria della grande unificazione sembra essere intorno a 1015 GeV,
valore estremamente elevato (l’acceleratore LHC del Cern sta per raggiungere una
potenza di 14 TeV = 14⋅103 GeV), anche se è bene sottolineare che la predizione
della scala di grande unificazione dipende dallo specifico modello. La letteratura
scientifica annovera modelli GUT alternativi con nuove fenomenologie/particelle
potenzialmente osservabili ma solo nei più potenti acceleratori; tra le possibili
verifiche indirette della teoria GUT si annoverano la ricerca dell’ipotetico
decadimento del protone (mai osservato) e la ricerca delle masse dei neutrini.
55
( ) Nella Teoria elettrodebole ha un notevole peso il bosone di Higgs, un bosone massivo previsto dal
Modello standard (secondo il quale è il bosone che fornisce la massa alle particelle) la cui esistenza,
inizialmente solo teorizzata, è stata verificata sperimentalmente nel luglio 2011 al CERN di Ginevra.
56
( ) Grazie ai loro contributi teorici all'unificazione delle forze deboli ed elettromagnetiche tra le particelle
elementari, fu assegnato il Premio Nobel per la Fisica nel 1979 a S. Glashow, A. Salam e S. Weinberg. Nel
1983 Carlo Rubbia, al CERN di Ginevra, ha dimostrato l'unificazione elettrodebole conseguendo per tale
scoperta, insieme all’olandese S.van der Meer, il premio Nobel per la fisica nel 1984.
142
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i quark che sono i mattoncini che compongono la maggior parte delle particelle
materiali conosciute (adroni);
Quando una particella e la sua antiparticella si incontrano annichiliscono in energia pura dando vita a
particelle mediatrici di forza, prive di carica, come i fotoni, i bosoni Z, o i gluoni.
Lo schema che segue da conto delle relazioni esistenti tra le varie particelle che verranno
descritte nel seguito.
143
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- tre tipi di Neutrini, ciascuno corrispondente ad uno dei leptoni di cui sopra, tutti
con massa trascurabile e carica nulla.
Per ciascuno dei sei leptoni esiste un leptone di antimateria (antileptone) con
massa uguale e carica elettrica opposta.
I leptoni possono esistere in modo isolato ma solo l’elettrone è stabile, i muoni e i
tauoni, sono particelle instabili che decadono nel corso di pochi microsecondi.
145
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alla relativa costante di accoppiamento (57) della forza nucleare stessa; è una
proprietà, quindi, che si manifesta soltanto al di sotto delle dimensioni del nucleo
atomico e non solo nei quark ma anche nei gluoni. La carica si suole individuare, a
rappresentare i suoi tre aspetti fisici diversi, mediante i tre colori rosso, blu e verde
per i quark, più tre colori complementari (per le analoghe caratteristiche) per gli anti-
quark.
i Bosoni, che possiedono spin intero (0, 1, 2, ..), non obbedendo al “principio di
esclusione”, sono liberi di affollare in gran numero uno stesso stato quantico.
Sono bosoni:
o le particelle mediatrici di forza
o i mesoni e, in generale, le particelle formate da un numero pari di
fermioni: infatti anche il nucleo di un atomo può essere un bosone oppure
un fermione, dipende dal numero dei suoi protoni e neutroni (se la somma è
un numero pari sarà un bosone, se è dispari un fermione).
57
( ) In fisica le costanti di accoppiamento sono costanti proprie di ciascuna delle quattro forze fondamentali
−6
cioè la forza elettromagnetica (1/137,04 detta costante di struttura fine), la forza nucleare debole (10 ), la
−39
forza nucleare forte (1) e la forza di gravità (10 ).
146
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Un'altra differenza trai fermioni e bosoni è che i fermioni hanno sempre massa, almeno
nell'universo reale, mentre i bosoni spesso ne sono privi.
l’interazione nucleare forte, che tiene assieme protoni e neutroni nel nucleo, si
esplica attraverso l’azione dei gluoni che tengono “incollati” insieme i quark a
formare le particelle composte; l’interazione forte si esplica solo tra quark (così
come quella elettromagnetica si esplica solo tra particelle cariche) in quanto i quark
sono dotati di” carica di colore” (i leptoni non hanno “carica di colore”);
147
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Nella tabella che segue le quattro interazioni fondamentali sono classificate in base ai
parametri caratterizzanti: il “raggio di azione”, ovvero la distanza sulla quale agisce;
l’“intensità relativa”, avendo assunto unitaria quella della interazione forte.
Interazione Raggio d’azione Intensità relativa
Elettromagnetica ∞ 10-2
Gravitazionale ∞ 10-40
n → p+ + β- + ν
le fasi di questa trasformazione sono le seguenti:
148
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C) E’ bene sottolineare che, allo stato delle conoscenze attuali (!),di tutte le particelle solo
il protone, il fotone, l’elettrone ed i neutrini sono particelle stabili, tutte le altre particelle
decadono con tempi di dimezzamento più o meno lunghi (compresi tra 10-25 s ed
alcuni minuti).
149
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Come già accennato, i neutroni non relativistici possono essere ben descritti dalla teoria
cinetica dei gas.
In particolare, la distribuzione dell’energia cinetica tra le varie particelle, identiche,
distinguibili ed in equilibrio termico con il mezzo nel quale diffondono, può essere espressa
dalla relazione di Boltzmann:
− 𝐸�
𝑃(𝐸) = 𝐴 𝑒 𝑘𝐵 ×𝑇
150
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𝟐 𝒌𝑩 𝑻
v mp = �
𝒎
T = 20°C = 293,15°K
𝑘𝑔 𝑚2 1 𝑚
�� × = �
𝑠2 𝑘𝑔 𝑠
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58
Nel moto tridimensionale, per le caratteristiche di isotropia dello spazio, si può affermare che la velocità
quadratica media vale:
2 2 2 2
vx = vy = v z = v / 3
152
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protoattinio
- La famiglia dell’U238
termina col 82Pb206
astato - la famiglia è indicata con
la sigla “4n + 2” con n che
varia da 59 (4x59+2=238,
numero di massa dell’U) a
51 (4x51+2=206, numero
di massa del Pb).
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α curio
attinio
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attinio
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Bibliografia essenziale
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