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NORBERTO BOBBIO

IL PROBLEMA DELLA GUERRA E LE VIE DELLA PACE


CAPITOLO 1
IL PROBLEMA DELLA GUERRA E LE VIE DELLA PACE
La bottiglia, la rete e il labirinto

Wittgenstein afferma che lo scopo del filosofo è insegnare alla mosca ad uscire dalla bottiglia: è la
situazione in cui la via d uscita esiste, inoltre al di fuori della bottiglia c è qualcuno, uno spettatore
uno filosofo che vede chiaramente dov’è.

La stessa cosa può essere il pesce nella rete che si dibatte per uscire, ma con una differenza: crede
che esiste una via d uscita, ma la via d uscita non c è. Quando la rete sarà aperta (non da lui) non l
aspetterà la liberazione ma la morte.

In questa situazione il compito del filosofo che vede non soltanto lo sforzo ma anche la meta non
può essere quello descritto da Wittgenstein. Probabilmente predicherà la vanita della cura
dell’agitarsi senza scopo: inviterà ad accontentarsi del breve tratto di vita che ancora ci è dato
vivere, ad attendere serenamente la morte.

Si tratta delle varie forme di filosofia: la saggezza, in caso della mosca si mostra come sapere
razionale. Ma noi uomini siamo mosche o pesci? Forse ne uno ne l'altro.

Forse la condizione umana è piu appropriata un altra immagine : la via d uscita esiste ma non c è
alcuno spettatore al di fuori che conosce preventivamente il percorso. Siamo tutti dentro la
bottiglia. Sappiamo che la via d uscita esiste, procediamo per tentativi.

Qui il filosofo è piu modesto rispetto a quello della prima o della seconda: insegna a coordinare gli
sforzi a non buttarsi a capofitto nell azione, propone scelte ragionate per reggere l itinerario del
percorso e riconoscere le vie sbagliate. Il labirinto: chi entra sa che esiste una via d uscita, ma non
sa quale delle tante e va a tentoni.

Quando trova una via bloccata torna indietro e ne prende un'altra, quando crede di essere vicino
alla meta ne è piu lontano, ci vuole molta pazienza, quando non si è in grado di calcolare la ragione
di scelta si è costretti a rischiare. Nessuno sbocco è mai assolutamente assicurato (basta un passo
falso e torni al punto di partenza), l’uomo ha appreso dall’esperienza la maturità mentale che vi
sono strade senza uscita: l unica lezione del labirinto è la lezione delle vie bloccate. Metafore che
si applicano bene al senso della vita individuale, del destino dell’ uomo singolo quanto al problema
del senso o del destino dell’umanita.

Tre tipiche filosofie della storia, ne lasciano fuori due: quella religiosa per cui la soluzione c è ma
fuori della storia e l unico spettatore è Dio , e quella pessimistica radicale (pantragismo) per cui
non c è soluzione finale e neppure soluzioni parziali, interlocutorie, non vi è altra condizione che la
sofferenza inutile, l indifferenza e la disperazione da spettatore impotente.

Qui interessa il problema della guerra, è sempre stata uno dei temi obbligati e prediletti di ogni
filosofia della storia.

Se la filosofia della storia è la riflessione del destino dell’umanita è uno dei problemi più
inquietanti e affascinanti. Il luogo d origine e di crescita delle filosofie della storia sono le grandi
catastrofi dell’umanità e tra queste la guerra ha un posto preminente.

La filosofia della storia è nata con la rivoluzione francese e le guerre napoleoniche (hegel e comte),
ha avuto la seconda rinascita con la guerra mondiale e la rivoluzione russa (spengler, toynbee). La
minaccia della guerra termonucleare, e la soluzione finale è la terza ondata.

Il problema si pone in modi diversi: l operazione consistente nell attribuire un senso ad un evento
o ad una serie di eventi implica il riferimento ad un fine,in quanto è un mezzo adeguato per
raggiungere un fine. Qual è il fine ultimo della storia? Ma se la storia è culminata
nell’autodistruzione dell’ uomo, se la storia non ha un fine ma soltanto una fine, ha senso porsi
ancora il problema del senso della storia? Dare un senso alla vita individuale è quello di farla
refluire nella vita dell’umanità tutta intera. Sinora il compito della filosofia della storia è stato
quello di giustificare la guerra.

Capovolgerne il senso, cioè di fare della filosofia della storia non il processo di razionalizzazione del
corso storico dell’ umanità, ma al contrario la dimostrazione della sua assurdità? Se la soluzione
finale è inevitabile noi siamo come pesci, e se invece fossimo esseri ragionevoli erranti in un
labirinto, la guerra giunti alla dimensione della guerra atomica è puramente una via bloccata?

La guerra come via bloccata

Per via bloccata intendo una via senza sbocco che non conduce alla meta proposta e come tale
deve essere abbandonata. Ma anche questa è approssimativa, la storia umana è troppo
complicata, quindi dobbiamo accontentarci di un immagine approssimativa.
Un esempio è la via bloccata della schiavitù che è stata abbandonata. Le vie bloccate della storia, a
differenza di quelle del labirinto, hanno servito anch’esse a percorrere un tratto di strada verso la
meta, quando sono state abbandonate la nuova strada è cominciata dal punto dove la vecchia era
finita. Non solo veritas, ma anche citas filia temporis.

Ogni età non ha solo la sua verità ma anche le sue istituzioni. Quella della schiavitù era una strada
sbagliata che sarebbe stato meglio non imboccare: la risposta dello storicismo è che nelle
particolari circostanze in cui sorse e si sviluppo non era possibile altra soluzione (la storia non si fa
cosi se, se l umanità non avesse conosciuto la schiavitù che cosa sarebbe successo?) differenza di
quelle del labirinto, queste sono vie obbligatorie. Ma l abbandono di una via bloccata ed obbligata
della storia è una necessita naturale o un compito umano)?cioè proseguire è impossibile oppure
perchè è moralmente condannevole o economicamente disutile e quindi non è impossibile ma
indesiderabile? Sulle vie bloccate ci sono due comportamenti diversi: l’esaurimento di una
istituzione può essere oggetto di una mera constatazione di fatto, oppure di u progetto cioè un
programma di lavoro che si ispira a certe valutazioni dei fini dei mezzi e del rapporto di mezzi e
fini. È o no il capitalismo una via bloccata? Per gli uni il capitalismo è destinato a morire per e sue
contraddizioni che esso stesso genera, è stato necessario forse benefico ma ha fatto il suo tempo,
per gli altri la fine non è solo una speranza ma un impegno: che esso sia una via bloccata della
storia vuol dire non gia che non può non sopravvivere ma che non deve sopravvivere.

L’affermazione che la storia procede per vie bloccate presuppone l assunzione di almeno due
ipotesi, tutt’ altro che provate e provabili: che il corso della storia sia un processo e che questo sia
irreversibile. Un affermazione comune alle filosofie storicistiche è proprio il processo, che sia
concepito poi come una linea retta o a zig zag: alle filosofie storicistiche si contrappongono, o per
meglio dire si sono contrapposte nel passato, tutte le filosofie che hanno concepito il regno dell’
uomo come il regno della contingenza assoluta dove tutto cio che avviene, prodotto dalla liberta
dell’ uomo, sarebbe potuto anche non avvenire, onde l indifferenza rispetto alla storia.

Per queste filosofie non vi possono essere vie bloccate (la schiavitu potrebbe tornare perche l
uomo è libero, non vi è un processo razionale, tramite una forma ammodernata di lavoro forzato).

Vi è pur sempre una differenza: quella antica era accettata come lecita o naturale e giustificata dai
filosofi, il lavoro forzato oggi è condannato dalla coscienza morale generale e la dove è stato
istituito è stato addotto a uno stato di necessita momentanea.
L idea della storia come processo è un ipotesi di razionalizzazione che serve a fondare e sorreggere
scelte pratiche.

Perche si possa parlare di vie bloccate non basta che la storia sia concepita come processo:
occorre che questo processo sia considerato irreversibile. Gianbattista vico ha escogitato la teoria
dei grandi cicli storici, in una concezione ciclica della storia, nessuna istituzione può essere
definitivamente scomparsa: l idea dell’irreversibilità è legata alla teoria illuministica del progresso,
è stata accolta dalle successive filosofie romantiche e positivistiche come un contrassegno della
filosofia della storia. L’irreversibilità del processo storico è uno degli argomenti più comuni addotti
a sostegno delle scelte politiche.

Che la guerra sia una via bloccata quindi può voler dire due cose diverse:

 la guerra è un istituzione estenuata che ha ormai fatto il suo tempo ed è destinata a


scomparire,
 la guerra è un istituzione sconveniente o ingiusta che deve essere eliminata.

Si tratta di sapere se questo evento sia l’oggetto di una predizione o di un progetto umano.

Le due correnti di pacifismo sono il pacifismo passivo e attivo, non c è dubbio che la minaccia della
guerra termonucleare abbia contribuito a rafforzarle entrambe.

Ma vi sono due atteggiamenti diversi: la guerra oggi è diventata tanto terribile e catastrofica per
entrambi i contendenti che è inutilizzabile, la guerra termonucleare ha conseguenze terrificanti, e
anche per i più ottimisti, dell’ annientamento di centinaia di milioni di vittime è rispetto ai valori
umani più comunemente accettati condannabile e pertanto bisogna fare ogni sforzo per trovare
rimedi adatti ad eliminarla per sempre.

Il primo atteggiamento è l equilibrio del terrore, equilibrio di potenza e impotenza, terrore


paralizzante. Churchill all’ indomani dello scoppio della bomba atomica sovietica disse: per un
processo di sublime ironia il mondo ha raggiunto uno stadio in cui la sicurezza sarà il gagliardo
rampollo del terrore e la sopravvivenza il fratello gemello dell’annientamento.

Il secondo atteggiamento è incluso a tutti i movimenti che tendono alla formazione della coscienza
atomica.
Dal punto di vista del primo la via della guerra percorsa sino ad oggi ininterrottamente
dall’umanità è diventata impossibile, dal punto di vista del secondo pur essendo possibile è
ingiustificabile o illegittima.

Una svolta storica:

Accettare l uno o l'altro significa accettare di essere di fronte a una svolta storica cio è a uno di
quei momenti in cui la strada è sbagliata e ne tentiamo una nuova.

Momenti che ai contemporanei sono sembrati una svolta sono apparsi alle generazioni successive
curve moderate appena percettibili (abuso della parola svolta). Vi sono poi svolte mancate in cui
gli entusiasmi sono ricaduti su se stessi. possiamo veramente paragonare la guerra termonucleare
alle guerre del passato? La risposta è sicuramente negativa, la fantasia umana ha dei limiti anche
nell’immaginazione dell’orrendo.

Non aveva innanzi agli occhi lo spettacolo di Hiroshima voltaire in cui seimila moribondi spirano
sotto le rovine. L’orrore è l argomento di coloro che sono sferzati dai minimizza tori (l orrore non
può essere un argomentazione, tutte le guerre sono orrende anche se con hitler si può solo
risalire), dai realisti, da coloro che riescono a mantenere sangue freddo come apocalittici.

Altre ragioni fanno pensare che non vi è paragone, almeno tre:

1. una filosofica o metafisica; nessuna guerra in passato per quanto lunga o crudele ha messo
a repentaglio l intera storia dell’umanità, la fine possibile della storia sia un fatto nuovo e
decisivo dal punto di vista di questa stessa storia. Lo spettro della guerra termonucleare
mette in crisi ogni tentativo fatto sinora di dare un senso alla storia attraverso l
immaginazione di un telos cui l’umanità tende o dovrebbe tendere. Hegel: la storia è un
attivita per cui si realizza la liberta, il fine assoluto del mondo. Cio che è stato pensato fin
qui per giustificare la storia scoppia come una bolla di sapone. Valutare come svolta un
evento è stato quello di considerare le modificazioni che esso apporta alla concezione
generale e tradizionale della storia. La guerra termonucleare che non soltanto modifica la
filosofia della storia corrente ma rischia di distruggere alle radici le condizioni stesse di ogni
futura filosofia della storia (storia come mezzo per raggiungere un obiettivo).
2. La seconda ragione è di carattere filosofico: nel passato vi sono state infinite teorie per
giustificare la guerra, ma che non reggono più alla guerra termonucleare, anzi risultano
puerili. Non che tale guerra non possa avere nuove giustificazioni, ma proprio la novità
della giustificazione è la miglior prova della novita dell evento, per giustificarla non bisogna
mettere da parte le filosofie della guerra sino ad ora proposte.
3. La terza è utilitaria: la guerra termonucleare non serve allo scopo. Il primo scopo della
guerra è la vittoria (paragone della guerra col gioco). Ma via via che la potenza delle armi
aumenta diventa difficile poi distinguere il vincitore dal vinto: gli unici potrebbero essere i
non belligeranti, i neutrali. La confusione dei vincitori e vinti nello stesso destino di morte
(motivo principale della campagna pacifista), il motivo dell’inutilità della guerra non è
nuovo, ma sinora è stato smentito dai fatti: i vincitori sono stati vincitori (la Francia l
Inghilterra nella prima, usa e urss nella seconda).

Oggi i termini del problema sono mutati, e le previsioni danno responsi, non sull esito della guerra,
ma sui primi momenti dello scatenamento del duello atomico che fanno restare allibiti, e i calcoli
rassicuranti degli esperti (secondo Hermann ahan gli stati uniti potrebbero riprendersi in 5 anni se
subissero un attacco con soli 10 milioni di vittime, mentre 80 milioni ci vorrebbe mezzo secolo).

Realisti fanatici e fatalisti

Contro l idea della svolta quindi della guerra come via bloccata vi sono alcune prese di posizioni.
Che la guerra sia una via bloccata può significare che sia impossibile o ingiustificata. L’abitudine a
pensare alla guerra come fenomeno immanente a tutta la storia può indurre a ritenere che la
guerra atomica non costituisca un fatto nuovo di tale portata.

 La considerano possibile i realisti che la giudicano come una guerra non qualitativamente
ma solo quantitativamente diversa dalla guerra tradizionale, che non si possa escludere l
eventualità nelle gare di potenza in cui è affidata alla guerra, pur sempre considerata come
extrema ratio (ma ratio).
 La ritengono giustificabile i fanatici che pur ammettendo la possibilità di autodistruzione o
comunque immane, ritengono che il sacrificio dell’umanità sia eticamente buono di fronte
alla perdita di un bene superiore a quello della vita, com’è il bene della liberta, essa è pur
sempre un mezzo, l’unico mezzo per far trionfare la propria concezione del mondo, o per
affermare la propria potenza o per uscire da una situazione intollerabile.
 Infine vi sono quelli al di fuori delle categorie di possibilita e desiderabilità, che lo ritengono
un fatto necessario i fatalisti. Non agiscono, attendono, è destino scritto nell evoluzione
cosmica a cui bisogna inchinarsi e rassegnarsi.
Ogni uomo muore una volta sola: la morte che lo atterrisce è la sua morte. Che cosa importa della
morte di altri uomini dal momento che tutti gli uomini che sono vissuti sono morti. Le centinaia di
milioni di morti in più non aggiungono nulla al suo terrore quotidiano, all’umano terrore della
morte, perche non bisogna accettare la morte di fronte alla quale siamo tutti i giorni indifferenti.
Annoverare anche due atteggiamenti limite di natura meramente speculativa non facilmente
riducibili ad opinione pubblica ne incorporabili in qualche ideologia: l’atteggiamento del nichilista
metafisico che potrebbe vedere nella fine della storia non più che la fine di una folle avventura, di
una passione inutile o di un incosciente divertimento di una volontà perversa, e quindi nella guerra
atomica non una dannazione ma una liberazione.

Il mistico religiosamente ispirato per il quale la distruzione potrebbe essere la risposta della
collera divina alla dissennata malvagità degli uomini (meritato castigo). Politicamente innocui dei
tre atteggiamenti, il più confutabile e pericoloso è quello dei realisti.

Se possiamo ammettere che lo spettro della fine del mondo (raffigurazione “storia del mondo
epitome” berard russel: dal giorno che adamo ed eva mangiarono la mela l uomo non si è mai
astenuto da ogni follia di cui fosse capace, fotografia del fungo atomico con scritto la fine)
appartiene allo scientificamente calcolato che le distruzioni sarebbero tali da uccidere in un
brevissimo intervallo di tempo centinaia di milioni di uomini senza tener conto delle radiazioni. Dei
tre atteggiamenti di giustificazione l atteggiamento realistico è l unico che non solo non ostacola la
gara degli armamenti sempre piu micidiali ma la considera come una necessita di politica di
potenza.

Oggi la corsa agli armamenti atomici stimola la ricerca di mezzi distruttivi: non c è ragione di non
prevedere che nei prossimi 20 anni la potenza distruttiva delle bombe non si possa sviluppare con
lo stesso ritmo e il traguardo possa essere l arma assoluta. Il realista fino in fondo che non si ferma
a meta strada spinge il suo realismo alle estreme conseguenze, alla previsione che il progresso
tecnico permette di apprestare tra 10, 20,100 anni la distruzione totale. Il secondo atteggiamento
dei fanatici (malizia) è meno facilmente confutabile.

Ragionamento: meglio rossi che morti, meglio morti che rossi, sono in gioco valori ultimi, e si puo
discutere sui mezzi adottati. L unico di questi atteggiamento che è anche rispetto ai mezzi
inconfutabile è quello che si ispira alla morale del sacrificio, cioè che accetta la morte in
determinate situazioni limite, come unica scelta razionale.
La difficoltà in cui si viene a trovare tale atteggiamento è: chi ha diritto di fare questa scelta
ultima. Chi sceglie il sacrificio supremo non solo per se ma per tutti gli altri la decisione di non
sopravvivere da parte di chi si propone e si pone come interprete dell’ umanità implicherebbe la
morte di milioni di altri esseri umani che tale decisione no hanno volontariamente assunta o che
ignorano.

Sono confutabili dal punto di vista del mezzo le altre possibili manifestazioni del fanatismo
atomico come quello del bellicismo delle destre reazionarie e le sinistre rivoluzionarie: il rischio di
autodistruzione, affrontato da chi predica la morale del sacrificio e non conosce altra alternativa
che la liberta o la morte, finisce per eludere la soluzione sperata da colui che si ispira alla morale
del successo. Chi vuole la propria vittoria non è disposto a considerare la morte totale come
soluzione.

La guerra atomica per il trionfo del capitalismo o socialismo è puramente un esattezza.

Ma coloro che la propongono in realtà non sono insensati: contano sull’efficacia della minaccia
della guerra e non sui risultati della guerra effettiva. Sono gli sfruttatori della situazione dell’
equilibrio del terrore, non sono insensati ma giocatori d azzardo. Mentre l atteggiamento realistico
è piu facilmente confutabile, è anche deleterio perche ottunde lo spirito di vigilanza, mantiene i
non addetti ai lavori in uno stato di stupida incoscienza, l intransigenza del fanatismo ci offre
qualche ammaestramento.

Se la guerra terrificante può essere considerata come preferibile è segno che vi sono nel mondo
situazioni che appaiono a gruppi di uomini, a collettività anche vaste, mali estremi che richiedono
estremi rimedi. Il fanatismo atomico può essere anche dato dalla pura forza della disperazione.
Per la formazione di una coscienza atomica è necessario rendersi conto che l eliminazione della
guerra deve andare di pari passo con l abolizione di quelle situazioni che possono essere
considerate mali maggiori della peggiore guerra.

Anche l atteggiamento del fatalista è meno facilmente confutabile di quello realista, non perche
faccia appello a convinzioni ultime difficilmente raggiungibili da argomentazioni di carattere
razionale, ma perche fondamento della propria convinzione una prova di fatto che può sembrare
inoppugnabile: le guerre ci sono sempre state.
Ciò che ha arrestato gli stati non è la potenza degli armamenti ma l equilibrio delle rispettive
potenze, l hobbesiano timore reciproco, quando questo equilibro si rompe il consegno della
guerra, preparato da tempo scatta inesorabilmente.

Questa prova non è decisiva: che ci siano sempre state le guerre non implica affatto che ci siano
state tutte le guerre che avrebbero potuto esserci, alcune sono state soffocate. La guerra è un
evento non necessario ma possibile.

È decisiva una prova contraria: le guerre sono tanto poco necessarie che l uomo ha scoperto da
millenni, ed ha applicato nell epoca storica sempre piu consapevolmente, un istituzione atta a
impedirle: la monopolizzazione della forza.

Kant avrebbe detto che dobbiamo operare per la pace universale: dobbiamo agire sul fondamento
di essa come se la cosa fosse possibile, parla di dovere morale. Ha detto conviene, nonostante
tutto non siamo ancora presi nella rete, come crede il fatalista.

Se siamo smarriti in un labirinto, una via d uscita c è per chi voglia e sappia cercarla, non dunque
come se la cosa fosse possibile ma perche è possibile.

L equilibrio del terrore

Vi sono due modi per considerare la guerra una via bloccata: l’equilibrio del terrore o la coscienza
atomica, il primo non può accadere il secondo non deve. S

i potrebbe anche parlare di un impossibilita di fatto rispetto al primo, di un impossibilita di diritti o


ille

cita per il secondo. Coloro che credono nell equilibrio del terrore si limitano ad accertare, non
esprimono giudizi di valore. Gli altri non contano su quel che avviene o non può avvenire.
Enunciano un giudizio di valore (la guerra atomica è un male in senso assoluto). Il rapporto tra
impossibilita e indesiderabilità è invertito: per i secondi la guerra deve essere impossibile di
conseguenza della sua indesiderabilità, per i primi la guerra finisce per diventare indesiderabile per
il fatto di essere ormai diventata impossibile.

I primi ritengono che la guerra atomica sia impossibile perche di fatto è gia oggi indesiderabile,
l’impossibilita attuale deriverebbe unicamente dal fatto che si sono gia verificate le condizioni che
la rendono assolutamente indesiderabile.
La differenza tra i due atteggiamenti sarebbe solo nel differente giudizio che danno sulla
possibilità, per gli uni essendo già sin da ora impossibile e per gli altri ancora possibile. Sono tanti
gli uomini di cultura che hanno fiducia nell equilibrio del terrore. Più che tormentarsi invano
innanzi al malefizio potenziale, coloro si dichiarano soddisfatti del beneficio attuale: trent’anni di
pace relativa sono una conseguenza del terrore atomico. Ha il difetto fondamentale del fatalismo
atomico che è l’inerzia.

Sull’equilibrio del terrore era fondato lo stato di natura hobbesiano, in cui gli uomini erano tutti
uguali nel potere di procurarsi reciprocamente il massimo dei mali, la morte: ritenendolo
intollerabile cercarono una via d uscita costituendo di comune accordo il potere civile.

Che gli stati si trovino nei loro reciproci rapporti in una situazione paragonabile allo stato di natura
hobbesiano è una vecchia teoria. Oggi la situazione di equilibrio non ancora è del tutto realizzata:
sarà pienamente realizzata il giorno in cui l aumento di potenza e la disseminazione delle armi avrà
raggiunto tale grado da permettere ad ogni stato di distruggere l avversario. Il carattere di un
equilibrio fondato esclusivamente sul terrore reciproco è la sua precarietà.

L errore dei terroristi è affidato non gia al terrore ma al suo equilibrio, cioè ad una situazione di cui
non si puo prevedere ne la durata ne la continuità e che comunque va rapidamente scomparendo.
E se l equilibrio del terrore è paralizzante, lo squilibrio, librando almeno una parte del terrore può
indurre ad osare: l esempio della Germania hitleriana insegni.

Non importa che i calcoli fossero sbagliati, quando il comando se ne accorse, nel 42 la catastrofe
era consumata. Dietro la fiducia dell’equilibrio del terrore c è una concezione ottimistica della
storia: consapevole rifiuto di pensare al destino dell’uomo e della sua storia sino alle radici, questo
atteggiamento è il contrario di quello dei fatalisti. Costoro sono preparati e rassegnati al peggio, gli
ottimisti sempre in attesa del meglio.

Questa volta, dal massimo dei mali, l arma assoluta,il massimo dei beni, l eliminazione della
guerra. Tre piani diversi, tre stadi comtiani: teologico (la provvidenza divina), razionalistico (l
astuzia della ragione) positivo (la teoria dell evoluzione), corrispondo a diverse formulazione e
motivazione.

La sostanza è la fiducia nel progresso che dipende da forze superiori alla volonta: Dio ragione o
natura.
La concezione ottimistica ha prodotto due teorie principali: la guerra è un elemento insostituibile
del progresso e in quanto tale concorre essa stessa allo sviluppo progressivo dell’umanità; il
progresso procede attraverso una graduale eliminazione delle guerre e pertanto uno degli
elementi del progresso è la scomparsa della guerra dalla storia.

Il primo è una giustificazione della guerra, il secondo ne annuncia la morta poichè non riesce a
giustificarla.

La teoria dell’equilibrio è il secondo tipo, uno dei temi centrali della filosofia della storia di comte e
spencer. Ora ritorna in maniera meno ambiziosa: non è in questione l impossibilita della guerra in
quanto tale ma solo della guerra atomica, in secondo luogo più che di una fine si tratta di una
sospensione anche se coloro che confidano nell equilibrio la considerano illimitata.

Oltre che meno ambiziosa è anche lugubre: l’era della fine della guerra non coinciderebbe più con
un era pacifica di progressiva distensione, ma con una piu lunga tregua in uno stato di aumentata
tensione.

A differenza dei filosofi positivi che fondavano le loro previsioni circa la fine della guerra non sulla
sua non necessita, coloro che oggi si richiamano all’equilibrio fondano la loro previsione circa la
fine sulla sua possibiltà, intendo sulla possibilità positiva, cioè sulla possibilità che avvenga.

Raymond aron: affermare che la guerra atomica è diventata impossibile significa che si ritiene
efficace la dissuasione esercitata attraverso la minaccia di reciproca distruzione, ma la dissuasione
è efficace solo se la guerra è possibile.

Se una delle due parti ritenesse la guerra impossibile,la dissuasione avrebbe finito di operare, ma
dove la dissuasione finisce la guerra diviene di nuovo possibile. La situazione di equilibrio,
nonostante la sua terribilità vede la guerra ancora materialmente possibile.

Nel momento in cui la guerra diventasse impossibile la situazione di equilibrio non avrebbe
ragione di sussistere.

Una teoria sulla continuazione dello stato di tregua ovvero non nel passaggio inevitabile dallo
stato di pace inteso come tregua allo stato di guerra: non passaggio reso inevitabile non più dalla
morte della guerra ma dalla sua perenne vitalità.

Per la formazione di una coscienza atomica


Secondo tale teoria la pace non p un processo ineluttabile ma una conquista.

Mentre il pacifismo passivo è fondata su una teoria scientifica o presunta tale, il pacifismo attivo
presuppone un etica (come il passaggio da socialismo catastrofico a umanistico altruistico). Il
procedimento intellettuale tipico che caratterizza il primo è la spiegazione o iterpretazione dei
fatti, il secondo è la giustificazione.

Chi spiega cerca di intendere e far intendere come sono andate le cose, chi giustifica si preoccupa
di mostrare che le cose dovevano o non dovevano andare come sono andate. Vi è una tavola di
valori: ogni giustificazione presuppone una valutazione, il pacifismo attivo è una presa di posizione
che impegna personalmente come ogni presa di posizione morale, colui che l assume.

Il pacifismo passivo aveva esaurito il suo compito quando era riuscito a dimostrare che la guerra
non era piu necessaria, quello attivo deve dimostrare non solo che non è necessaria ma anche che
non è buona e che è un evento che dobbiamo impedire.

Presuppone una critica delle giustificazioni della guerra.

Rispetto al modo in cui la guerra è stata giustificata: 1 quelle che tendono a giustificare tutte le
guerre 2 quelle che non giustificano nessuna 3 quelle intermedie che ne approvano alcune e
condannano altre. Le varie forme di pacifismo attivo corrispondono al secondo, le prime sono
bellicistiche e le ultime sono teorie della guerra giusta.

La teoria della guerra giusta

Questa teoria è stata messa in crisi dall’apparire della guerra moderna, con lo scatenamento della
guerra atomica le ha dato il colpo di grazia. È intermedia tra le teorie bellicistiche e quelle pacifiste
e ha assolto nella storia due funzioni diverse: per negare la validità delle prime e negare la validità
delle seconde.

Nella teologia cattolica san agostino ha assolto la prima funzione, trarre il principio della condanna
assoluta della guerra come se fosse illecita, nella rinascita del giusnaturalismo dopo la teoria della
guerra giusta è resuscitata per assolvere la funzione contraria: confutare le teorie realistiche della
storia che avevano esaltato la guerra ed erano giunte alla conclusione che tutte le guerre sono
lecite.
Le difficoltà per distinguere la guerra giusta da ingiusta, lasciando da parte la guerra di difesa, si
era d accordo che la iusta causa a quelle guerre di offesa è quella per la riparazione di un torto o la
punizione di un colpevole.

In questo modo la guerra è stata assimilata a una procedura giudiziaria, cioè a un espediente per
risolvere una contesa; ma questo dimostra la debolezza della teoria. In ogni procedura giudiziaria
si distinguono il processo di cognizione e il processo di esecuzione.

Quello di esecuzione: la guerra come esecuzione forzata o come pensa, come forza al servizio del
diritto. Per il processo di cognizione dimostra debolezza per due ragioni: un processo di cognizione
è tanto piu in grado di assicurare la discriminazione del giusto e dell’ingiusto e quindi di stabilire
una linea di confine tra la ragione e il torti, quanto si ispira a due principi, della certezza dei criteri
di giudizio e di imparzialità di chi deve giudicare.

Nella dichiarazione e l attuazione della guerra nessuno dei due vengono rispettati, non il primo
perche la teoria è fallita proprio nel tentativo di stabilire un insieme di criteri di giustizia
comunemente accettati, non il secondo perchè chi decide è la stessa parte in causa non un giudice
sopra le parti. Gli stessi sostenitori della teoria si rendono conto che una guerra poteva essere
giusta da entrambe le parti.

Per una procedura il cui scopo è stabilire chi ha ragione e chi torto non c è maggiore prova del suo
insuccesso che il dover prendere atto alla fine che tutti e due i contendenti hanno ragione. Tali
forti dubbi hanno portato alla decadenza della teoria.

Anche rispetto al processo di esecuzione è fallace, per sanzionare si intende un male inflitto a colui
che ha violato la regola giuridica, la sconfitta è un ma o per lo meno il maggior male di chi ha torto,
questa non viene inflitta pero a chi ha piu diritto ma chi ha piu forza.

Il diritto finisce per essere al servizio della forza. Una procedura giudiziaria è istituita allo scopo di
far vincere chi ha ragione. Ma il risultato della guerra prova l opposto: dar ragione a chi vince. Lo
scopo principale poi di una procedura giudiziale è ristabilire l ordine, la sua funzione è
conservatrice, ma la guerra non ha sempre funzione restauratrice, anzi il suo scopo è sovvertire lo
status quo.

Se si vuole trovare un analogia tra la guerra e un istituzione giuridica, il termine di raffronto non è
la procedura giudiziaria ma la rivoluzione. Di fronte a una guerra concepita come rivoluzione la
distinzione tra guerre giuste e ingiuste non ha piu alcuna ragione di esser: rispetto all ordinamento
contro cui si muove la rivoluzione è sempre ingiusta.

La giustificazione alla rivoluzione viene dopo a cose fatte quando l ordinamento nuovo è costituito,
ed è in questo ordinamento che trova la propria legittimità. Rimane la guerra di difesa valida in
ogni ordinamento giuridico: vim vi repllere licet.

Vi sono due modi tradizionali di intenderla: in senso stretto come risposta violenta a un atto
violento, in senso largo come risposta violenta a un violenza soltanto temuta o minacciata.

Nella strategia atomica il senso stretto ha perduto ogni ragion d essere: qualora vi sia una
ragionevole probabilità per l aggredito che il danno che esso può infliggere al danno subito
(eguaglia tra delitto e castigo), per quanto le potenze atomiche siano solite dichiarare che i mezzi
atomici sono solo per scopi difensivi ma ciò che conta in una guerra termonucleare è il primo
colpo; pertanto chi attacca per primo si trova nella condizione favorevole per rendere inattuabile il
principio dell’eguaglianza tra delitto e castigo, e quindi la guerra di difesa tradizionale, la guerra
nucleare attuata rigorosamente condurrebbe al limite al suicidio universale.

La guerra di difesa preventiva è giustificata in base al principio che la difesa deve essere
proporzionale all’offesa reale o temuta, in tale sistema essa raggiunge il proprio scopo solo se
riesce al primo colpo di annientare l apparato termonucleare del primo.

La guerra di difesa atomica appare più come un progetto che come evento realizzabile, più un
mezzo per scoraggiare la guerra che un mezzo per mettere in atto la guerra propria. A meno che si
voglia scatenare una guerra brutale realizzando una situazione opposta alla guerra di difesa.

Vi sono ancora guerre giuste?

La sua decadenza fu uno dei tanti aspetti della crisi del giusnaturalismo e dell’avvento del
positivismo giuridico all’inizio del secolo scorso e del mutato concetto di diritto che ne segui. Per il
giusnaturalismo non vi era differenza tra diritto e giustizia: una legge per essere valida doveva
essere giusta. Il positivismo giuridico non prende in considerazione altro che il diritto positivo,
scisse cioè il giudizio su ciò che è giuridico dal giudizio su cio che è giusto. Mentre il giudizio sul
giusto e sull’ingiusto è un giudizio di valore, il giudizio su cio che è giuridico o non giuridico è un
giudizio di fatto e quanto tale non implica alcuna giustificazione etica.
Rispetto alla guerra gli stati si comportano tra loro come se non esistesse di fatto alcuna regola
comunemente accettata per distinguere guerre giuste da guerre ingiuste, quindi la procedura è
sempre lecita.

Da questa constatazione si conclude che i criteri di distinzione tra guerre giuste e ingiuste proposte
da filosofi moralisti e teologi non erano diventati sino allora diritto positivo internazionale.

Il problema della legittimazione della guerra era un problema morale, non era ancora e forse non
sarebbe diventato mai giuridico. il problema della legittimità della guerra non voleva dire
problema di legalità. Per legittimità si intende titolarità di un diritto per legittimità un requisito di
esercizio di un diritto (giusnaturalismo: legge giusta; positivismo: morale diversa dal diritto).

Il giudizio di legittimità della guerra riguarda il giusto titolo per cui è intrapresa, il giudizio di
legalità riguarda esclusivamente l esercizio o la condotta della guerra.

Sono principi indipendenti, vi sono 4 tipi di guerra: legittima e legali, legittima e illegale, illegittima
e legale, illegittima e illegale. Rispetto al diritto positivo internazionale che è il solo diritto rilevante
per un positivista, mentre il giudizio di legittimità non è giudizio giuridico ma etico, il giudizio di
legalità è un giudizio giuridico, perche si fonda su norme comunemente accettate dagli stato: ius
belli.

Il diritto internazionale positivo non regola la causa della guerra bensì la regola della sua condotta,
quale che sia la causa. Rispetto alla causa della guerra ogni stato non ha limiti giuridici ma solo
morali (diritto naturale).

Si disse che il diritto internazionale si era venuto liberando da un problema insolubile


giuridicamente quale era quello del bellum iustum concentrandosi sul problema all hostis iustus.

Il diritto internazionale positivo non era in grado di garantire gli uomini dallo scatenamento della
violenza ma contro l uso indiscriminato della violenza e la crudelta inutile si.

Ormai anche il ius belli è stato scardinato dalla guerra moderna. Con al guerra termonucleare
viene soppresso, a cominciare dalla dichiarazione di guerra che solitamente è doverosa, è un
controverso ora. Se una guerra atomica scoppierà sarà solo sul presupposto che sia possibile un
attacco a sorpresa, la condotta inoltre ha 4 limiti: rispetto delle persone belligeranti e non, rispetto
delle cose quindi obiettivi militari, rispetto dei mezzi no armi insidiose e micidiali e rispetto dei
luoghi con delimitazione della guerra.
Con la guerra atomica non si rispetta nessuno di questi 4 punti. La guerra atomica è LEGIBUS
SOLUTA, alla crisi della legittimita della guerra si aggiunge la crisi della sua legalita, incontrollata e
incontrollabile dal diritto. Dopo essere stata considerata come mezzo per attuare il diritto (teoria
della guerra giusta) ora come oggetto di regolamentazione giuridica (nell evoluzione dello isu belli)
la guerra ritorna ad essere come nella raffigurazione hobbesiana dello stato di natura, antitesi del
diritto.

La guerra come male apparente

Se la decadenza della teoria della guerra giusta coincise con il positivismo giuridico concise anche
con la sfera della filosofia dello storicismo.

Storicismo: ogni concezione della realtà in modo particolare della realtà umana, contrapposta a
quella della natura, come momento di sviluppo, processo di direzione di un fine ultimo
raggiungibile attraverso una serie di momenti concatenati l ‘all’altro secondo una legge universale
e necessaria che è compito della filosofia in quanto filosofia della storia enucleare e formulare.

Altri significati possono essere l insieme di quelle correnti di pensiero culminati nell’eta della
restaurazione che cercano leggi di sviluppo. Il compito della filosofia della storia è scoprire il
carattere peculiare del movimento storico e di giustificare tutto cio che accade. Cousin: dimostrare
che tout est a sa place dans l historie. Anche le guerre?

Il giusnaturalismo crede nell esistenza di leggi naturali immutabili trascendenti la storia, sta alla
teoria della guerra giusta come lo storicismo che non considera altra legge della storia che quella
immanente al suo sviluppo. Se tutto ha un posto nella storia anche la guerra deve ritrovare il suo
posto.

Uno dei temi principali di ogni filosofia della storia, i giusnaturalisti giudicano la guerra e i filosofi
della storia la giustificano. Due modi vi sono per giustificarla: come male apparente e come male
necessario.

Cercando di dimostrare che si tratta di un male che nasconde un bene o un male che deriva da un
bene.

Nel primo caso emerge il senso profondo, nel secondo di mostrare la concatenazione degli eventi
che permette di collegare un evento isolato in un contesto quindi di considerarlo parte del tutto.
corrispondono a due modelli di filosofia: il modello provvidenzialistico secondo cui ogni
avvenimento ha un senso riposto (concezione dualistica) e modello finalistico secondo cui ogni
avvenimento ha il senso che gli viene dalla sua giusta collocazione nel movimento globale della
storia (monistica).

Del modello provvidenzialistico si possono dare due versioni: una teologizzante (la storia come
disegno divino) e una razionalizzante (la storia come disegno della natura, o spirito del mondo o
della ragione).

La prima come soirees de st. peterbourg di Joseph de maistre: sulla riva del neva un conte un
senatore e un cavaliere discutono del problema della pace nel mondo e vanno alla ricerca di una
ragione di questo apparente paradosso della giustizia divina; anche la guerra adempie al decreto
divino, se non ci fosse la furia distruttrice della guerra non potrebbe essere attuata tra gli uomini la
legge universale della violenza secondo cui tutta la natura e l uomo in essa soggiacciono alla
necessita dello sterminio universale.

La terra intera è un altare immenso e cio che vive deve essere immolato alla fine, la metafora dell
altare esprime bene l avvenuto processo di sacralizzazione della storia.

La guerra assume una figura di continuo sacrificio al Dio assetato di sangue, per questo la guerra è
divina.

Come esempio di quella provvidenzialistica razionalizzante (non vi è piu la volonta capricciosa, Dio
a cui si dedicano le guerre sanguinarie), ma la saggezza infinita. Kant “critica del giudizio”: in
mancanza di un sistema giuridico di tutti gli stati, la guerra è inevitabile.

La guerra è un impresa sconsiderata dell uomo, delle sue passioni sfrenate, forse nasconde
profondamento qualche disegno della saggezza suprema almeno per preparare la conciliazione
della legalità con la liberta degli stati. È uno stimolo di piu per sviluppare fino al più alto grado tutti
i talenti che servono alla cultura. “Idea si una storia universale dal punto di vista cosmopolitico”
1784 kant, nel coro contraddittorio delle cose umane, un disegno della natura da esseri che
procedono senza un piano proprio.

La risposta di kant è che il mezzo di cui la natura si serve per attuare lo sviluppo di tutte le
disposizioni dell’uomo è l antagonismo attraverso cui l uomo è indotto a sviluppare le sue qualita
migliori e a passare dalle barbarie alla civiltà.
Senza la tendenza all’insocievolezza l uomo sarebbe rimasto mite e servo della natura. Non è detto
che l’antagonismo sfoci sempre nella lotta cruenta.

L uomo vuole la concordia ma la meglio sa meglio di lui cio che è buono ed essa vuole la discordia.
La natura vuole che egli uscito dallo stato di pigrizia e soddisfazione inattiva affronti dolori e
fatiche per inventare i mezzi onde liberarsi con la sua abilita anche da essi.

La guerra come male necessario:

La concezione provvidenzialistica razionalizzante si avvicina a quella finalistica.

Nei due passi kantiani la guerra appare ora come male apparente e ora come male necessario o
addirittura come male apparente in quanto necessario.

Si parla di necessita teologica non causale, un male non casualmente ma teologicamente


necessario, che deve avvenire non perche sia effetto di una causa ma perche è il mezzo per
raggiungere un fine desiderabile. Non si pone il problema della giustificazione, l unico problema è
quello della spiegazione.

Un male considerato come bene mezzo è un male giustificato. La guerra come male necessario è
uno dei capitoli obbligati delle filosofie della storia del secolo scorso sia idealistiche che
positivistiche.

Elemento quasi costante è che la storia è legata all’idea di progresso, movimento verso il meglio. Il
progresso sarebbe passato attraverso la guerra, non si può concepire il progresso senza guerre.
Per quanto dura aspra e dolorosa sia la guerra essa è una via obbligata attraverso cui passa la
storia come storia del progresso umano. L’opposto delle teoria della via bloccata.

Le teorie che considerano la guerra come una via obbligata verso il progresso hanno assunto tante
forme quanto sono le concezioni:

- La guerra serve al PROGRESSO MORALE: se non vi fosse la guerra non si svilupperebbero


alcune virtù come quelle del coraggio dello spirito di sacrificio e di solidarietà, cioè le virtù
civili. Si possono distinguere le virtù individuali e le virtù di un popolo per i primi Wilhelm
von humbolt sostenne che tempra il coraggio attivo, lo sforzo della fatica senza il quale la
leggerezza è solo debolezza e l unita è vacuità. Per la seconda hegel scrisse che la guerra
mantiene la salute morale dei popoli come l agitarsi dei venti preserva dalla putredine cui
una calma duratura ridurrebbe i laghi. E nietzche: non conosciamo altri mezzi per far
comunicare i popoli e fargli mettere energia, l ardore generale della distruzione organizzata
del nemico.
- La guerra serve al PROGRESSO CIVILE: cioè i fatti dell’incivilimento, le civiltà si scontrano e
si mescolano, le civiltà superiori soggiogano le inferiori, per un unificazione del genere
umano. “del diritto e della morale”, Carlo Cattaneo definisce la sua communis opinio: la
guerra perpetua sulla terra, essa con conquista e schiavitù alleanze pone in contatto tra
loro remote nazioni facendo nascere nuovi stirpi lingue e religioni, fonda il diritto delle
genti, la societa del genere umano, il mondo della filosofia. La felicita e l’infelicità sono
distribuite come devono essere e la guerra le unifica le verità parziali praticamente a quella
della filosofia che le unifica teoricamente. Idee dei popoli parziali e limitate, la guerra non è
altro che uno scambio sanguinoso di idee a colpi di spada.
- La guerra serve al PROGRESSO TECNICO: le capacita inventive dell’uomo siano stimolate
dalla ricerca di mezzi sempre più potenti per vincere e distruggere l avversario.
“introduzione alla scienza sociale” hebert spencer: l industria fece grandi progressi, è da
porsi il dubbio se in assenza dell’esercizio dell’abilita manuale destata primamente dalla
costruzione delle armio, sarebbero mai stati costruiti gli strumenti richiesti dall’agricoltura
e dalla manifattura, l uomo sviluppo più fatica e destrezza.
Col passaggio dalla filosofia della storia alla sociologia, l idea di progresso fu sostituita con l
idea di evoluzione. Quella di progresso era legata alla distinzione tra natura e cultura,
natura e storia, quindi l idea che il progresso contraddistingue il mondo della cultura e della
storia rispetto a quello della natura, quella della evoluzione è legata a una concezione
monistica e naturalistica della realta per cui il mondo della cultura o della storia non è che
un prolungamento del mondo della natura, alla luce del finalismo della natura.
Massima espressione è il darwinismo sociale (meta 900), la guerra come mezzo di
sopravvivenza, esaltazione della guerra in cui ritroviamo profeti corifei del nichilismo, come
nietzche e spencer, quanto annunciatori della sociologia realistica come gumplowicz e
pareto. Per questi scrittori non è neppure esatto parlare della guerra come male
necessario.
La guerra, la violenza, paragonata al fuoco rigeneratore, all’incendio che distrugge e
purifica, l evento che avrebbe salvato la civiltà dall’imbelle pacifismo democratico e
borghese.
Verso il pacifismo attivo

La guerra atomica ha distrutto tutte le teorie. Frasi di prima sostituite guerra con guerra atomica si
vede che l effetto è paradossale e grottesco. Per quanto riguarda il contributo della guerra al
progresso morale gunter andres: il protagonista della guerra atomica sa benissimo di non essere
un eroe poichè le sue prestazioni sono quelle dell’automa, è un semplice ingranaggio,
irresponsabilità delle sue azioni sino a un immagine di macchina di morte. È un miserabile
peccatore si pente fino all’orlo della follia.

La guerra esaltata come fecondatrice di virtù sublimi si capovolge in istigazione alla forma più
bassa di delitto contro l’umanità. Si diceva elevasse gli animi ora li umilia.

L’idea di progresso civile è stato abbandonato con i primi iterpreti della civiltà industriale, nell
intensificazione delle comunicazioni, un mezzo di scambio e unificazione più potente e sicuro che
non lo scontro cruento proprio delle società feudali e militari.

Non si può escludere che ci si trovi di fronte ad un mondo più disarticolato, più frantumato più
scisso. In realtà non sappiamo nulla: la novità della guerra atomica è tanto frande che rende
impossibile ogni previsione di quel che sara dopo, e quindi improponibile la teoria del progresso.
Questa viene smentita in tutte le sue forme: resta il problema del progresso tecnico, sviluppo
vertiginoso delle scoperte scientifiche innegabile.

Ma il problema del progresso tecnico è pur sempre un problema di mezzi che non può essere
disgiunto dal problema dei fini, il problema è un altro: si tratta di mettere su un piatto della
bilancia lo sviluppo tecnico, sull altro piatto il progressivo aumento di probabilità di una guerra
sterminatrice come conseguenza del progressivo sviluppo tecnico guidato da scopi di guerra.

La formazione di una coscienza atomica coincide col pacifismo attivo, alcuni hanno capito che
giustificare la guerra atomica è impossibile e inutile e sono passati a questo nuovo studio:
presuppone la critica delle tradizionali giustificazioni della guerra e trova il suo sbocco nell azione
per eliminare la guerra. L uomo gettato in un mondo ostile ha due strade: darsi una qualche
ragione del male che lo circonda attraverso una trasfigurazione rappresentativa della realtà,
spiegazione razionale della realtà; operare per modificare e trasformare la realtà ed assoggettarla
ai propri desideri.
Con la prima operazione l uomo cerca di adattare se al mondo, con la seconda cerca di adattare il
mondo a se stesso. il primo è la razionalizzazione totale della realta di hegel, la seconda la
rivoluzione di marx.

Guerra proprietà e stato possono essere accettati nella realtà anche crudele come necessaria.
possono essere accettate ma insieme limitate, vale a dire sotto condizione: rispetto alla guerra le
teorie della guerra giusta che ne accettano alcune, nella proprieta la limitazione della liberta di
acquisto a proprietari con oneri e obblighi, per lo stato limite al potere sovrano.

Quando invece ci si rende conto che ogni limitazione non serve a modificare la natura selvaggia
delle istituzioni oppure ogni limitazione è caduca ed effimera e viene continuamente trascesa nei
fatti dalla forza irresistibile delle cose, si apre un nuovo cammino della negazione totale: il
comunismo rispetto alla proprietà, anarchia rispetto allo stato e pacifismo rispetto alla guerra.

Il suo principio: poichè la guerra non può essere limitata bisogna eliminarla. Rinnovamento del
piano della storia imponendo al cammino dell’umanità verso una direzione completamente nuova.
Teorie rivoluzionarie

Conquista definitiva di tre fini, per l anarchia la liberta, per il comunismo l eguaglianza e per il
pacifismo la pace.

Pacifismo strumentale: il pacifismo attivo si muove in tre direzioni secondo che cerchi la soluzione
del proprio problema agendo sui mezzi, sulle istituzioni o sugli uomini. si puo parlare di pacifismo
strumentale nel primo caso, istituzionale nel secondo e finalistico nel terzo.

Quello strumentale vi sono due momenti: il primo è lo sforzo per distruggere le armi o almeno
ridurle al minimo la quantità e la pericolosità, il secondo sono tutti tentativi compiuti allo scopo di
sostituire i mezzi violenti con mezzi non violenti, quindi altri mezzi che permettano lo stesso
risultato. Il primo è negativo: impedire all’uomo l uso di questi strumenti e il miglior modo di
impedirlo è di distruggerli o limitarli.

Il secondo è positivo: si tratta di vedere se è possibile ottenere gli stessi risultati senza ricorrere ai
mezzi di guerra. Il primo momento si esprime nella teoria e nella pratica del disarmo, il secondo
nella teoria e nella pratica della non violenza.

La politica del disarmo nella sua forma piu elementare è piu ammodernata e meno radicale: non si
preoccupa di cercare un rimedio all esplosione delle guerre in base allo studio delle cause o delle
condizioni che le rendono possibili, si limita, non andando al di la di un osservazione superficiale, a
dare l ostracismo agli strumenti.

Ha la stessa natura del proibizionismo rispetto all ubriachezza: non condanna moralmente il vizio
dell alcool non agisce sulle condizioni che lo rendono impossibile, ma impedisce l uso delle
bevande alcolico. Molto superficiale perche richiede il minimo sforzo, è una politica non una
filosofia.

La politica del disarmo non puo partire dal presupposto che le armi siano sempre e soltanto
strumenti di aggressione. Qualche volta servono alla difesa attiva o alla dissuasione dall
aggressione altrui. Anche l alcool a volte è una medicina. A questo punto la teoria della non
violenza sta diventando piu grande. Teorie che ispirandosi al precetto evangelico del non resistere
al malo (matteo) propongono e difendono l’uso di mezzi non violenti in quelle situazioni estreme
in cui la violenza è considerata per comune opinione legittima.

L’insegnamento di gandi non è genericamente l uso di mezzi non violenti: in questo caso non si
differenzierebbe dai diplomatici moderni che propugnano l uso della violenza solo in extrema ratio
e pertanto propongono una lunga serie di mezzi non violenti prima della guerra.

Cio che caratterizza la nonviolenza è l uso di mezzi non violenti anche quando le teorie tradizionali
giustificano l uso della guerra ovvero l uso di mezzi non violenti in sostituzione dei mezzi violenti
anche nel caso in cui sembra che questi siano necessari e quindi moralmente giustificabili. Un etica
secondo la quale il ricorso alla violenza non è mai giustificato nemmeno con extrema ratio.

Tra queste teorie quella dell ispirazione cristiana, atteggiamento di totale rinuncia di fronte a ogni
conquista mondana, quelle di ispirazione gandiana invece si contraddistinguono per la fiducia negli
effetti pratici della nonviolenza, non sia solamente moralmente buono, ma anche politicamente
efficace, atto a ottenere i risultati che si ritiene di solito possano essere ottenuti solo con la forza.
Si possono chiamare teorie della nonviolenza attiva.

In un mondo in cui l accresciuta potenza degli apparati statali sembra non lasciare di fronte ad un
regime tirannico, ma si possono aprire nuove vie alle lotte per la liberta. Se l etica della
nonviolenza è antica le tecniche per renderla efficacia, per farlo diventare un atteggiamento
proprio, sono recenti e non è ancora possibile conoscerne gli sviluppi. L antica tecnica di
risoluzione delle controversie tra stati, la guerra, puo condurre allo sterminio indiscriminato e
appare sempre piu improduttiva, una delle forme piu alte della saggezza e dell intelligenza umana
è inventare nuove tecniche non cruente.

Pacifismo istituzionale: l istituzione contro cui è diretto il pacifismo istituzionale è lo stato, ma vi


sono due modi diversi per collegarlo alla guerra.

Il primo è quello del pacifismo giuridico (la pace attraverso il diritto) secondo cui la guerra è un
evento dipendente dall esistenza dello stato in quanto tale, quel carattere che è proprio di tutti gli
stati, il potere supremo ed esclusivo di prendere decisioni ultime riguardo all’impiego della forza.

Il secondo è quello del pacifismo sociale (la pace attraverso la rivoluzione sociale) secondo cui la
guerra è un evento dipendente non dallo stato in quanto tale ma da una certa forma di stato, piu
precisamente da quel regime che sostiene l oppressione di classe nei rapporti interni fondato sulla
viollenza interna ed internazionale.

Differenziato dal pacifismo strumentale perche compiono uno sforzo ulteriore rispetto alla ricerca
delle cause e quindi dei rimedi delle guerre: non si limitano a prendere in considerazione i mezzi
ma cercano di mettere in evidenza le condizioni che rendono possibili le guerre e con le guerre l
uso dei mezzi di violenza e di terrore.

Ma si differenziano anche i sottosistemi perche nella ricerca di queste condizioni il pacifismo


giuridico si ferma prima, cioè alle condizioni che, quale che sia la causa del conflitto, rendono
inevitabile ad una certa dase di sviluppo del contrasto la trasformazione del conflitto in conflitto
armato o guerra, il pacifismo sociale procede sino alla scoperta delle condizioni che rendono
inevitabili i conflitti che finiscono per degenerare in guerre.

Il pacifismo giuridico vede nella guerra un modo di risolvere i conflitti internazionali con il
monopolio della forza e ultima istanza del diritto; il pacifismo sociale vede nella guerra la
conseguenza di conflitti generati non dalla struttura della comunità internazionale ma dalla
struttura sociale e quindi dalla politica internazionale di alcuni stati.

Si ripercuote nell’indicazione dei rimedi: per quello giuridico il rimedio per eccellenza è l istituzione
di un super stato o stato mondiale, poiché una mancanza di autorità superiore ai singoli stati in
grado di decidere chi ha ragione e chi torto, la quale non può essere altro che uno stato unico e
universale al di sopra degli stati esistenti, allo stesso modo che agli uomini sono state prima
necessarie la rinuncia dell’uso individuale della forza e poi l attribuzione a un potere unico di
diventare il detentore del monopolio della forza cosi agli stati ripiombati in uno stato di natura, di
rapporti minacciosi, equilibrio del terrore, l analogo passaggio (istituzione paragonabile a quella
dell’oligopolio o duopolio, piuttosto della libera concorrenza) alla fase di concentrazione del
potere in un organo nuovo e supremo che abbia nei confronti dei singoli stati lo stesso monopolio
della forza che ha lo stato nei riguardi dei singoli individui.

Non mira alla limitazione dell’uso della forza ma alla regolamentazione e limitazione, per favorire il
passaggio da un regime giuridico in cui vige il diritto di autotutela all’ etero tutela.

Per quello sociale il rimedio è la trasformazione dell’assetto sociale capitalistico, ovvero il


passaggio dal capitalismo al socialismo, non l eliminazione degli stati ma la distruzione di un certo
tipo di stato. Nella guerra fredda erano chiamati partigiani della pace nella lotta contro il
capitalismo.

Poichè peraltro la fase della formazione di stati socialisti contrapposti agli stati capitalisti per il
marxismo è una fase intermedia e temporanea che prelude la fase definitiva dell’estinzione dello
stato, questa forma di pacifismo è opposta all’altra: mentre quello giuridico vuole formare un
organo al disopra degli stati quindi l istituzione alla sua sublimazione, quello sociale mira alla
soppressione dello stato considerato come espressione della forza.

Il primo vede la soluzione come una graduale statalizzazione che ha caratterizzato le società
storiche dalla tribù.

Il secondo la vede nel processo di destatualizzazione sino all’instaurazione di una nuova forma di
convivenza tenuta insieme non più dalla forza ma dall’interesse comune.

Al termine del primo processo c è non la fine del regno della forza ma una forza tanto grande da
diventare il mostro biblico di hobbes.

Al termine del secondo un processo rivoluzionario e sovversivo percorso dell umanita che termina
con la trasformazione del regno della forza nel regno della liberta.

Pacifismo finalistico: quello istituzionale ha i suoi limiti, le istituzioni sono fatte dagli uomini e non
gli uomini dalle istituzioni.

La via del pacifismo giuridico porta alla pace attraverso il superstato: ma se al superstato arrivasse
non col metodo democratico, cioè attraverso negoziati tra governi e sulla base del consenso dei
popoli, ma mediante la conquista di tutti gli stati della terra da parte di un solo stato e di
conseguenza lo stato universale fosse non una federazione ma un impero, la pace raggiunta
sarebbe una soluzione?

Quella del pacifismo sociale sarebbe la sostituzione dello stato cui è essenziale l’esercizio della
forza con una società senza coazione: ma la società senza coazione non ha bisogno della
trasformazione radicale dell’uomo? A questo punto il pacifismo istituzionale non sbocca nel
pacifismo finalistico.

La riforma delle istituzioni non è una garanzia assoluta. Siamo proprio sicuri che la riforma degli
uomini dipenderà dalla riforma delle istituzioni? Coloro che non credono di poter dare una
risposta affermativa vanno avanti nella ricerca delle cause e putano il loro sguardo non piu
soltanto sui mezzi o sulle istituzioni ma direttamente sull’uomo.

La guerra non la fanno gli uomini? e se la fanno loro non sarebbe giusto cercare nella natura stessa
dell’uomo le motivazioni? Se queste motivazioni consistessero o nel bisogno o nell interesse, le
guerre dovrebbero cessare qualora gli uomini si convincano che non servano più, questa
concezione è utilitaristica (tutti coloro che avevano previsto la scomparsa graduale della guerra).
In realtà le guerre da tempo non servono più ne all’uno ne all’altro scopo. È chiaro, rispondono i
pacifisti, che la ragione è piu profonda.

Due le risposte antitetiche e inconciliabili, che si ispirano a due concezioni metafisiche opposte, di
considerare la natura dell’uomo, spiritualismo e materialismo. La prima è di coloro che collegano
la guerra alla natura umana considerata da punto di vista etico religioso, la seconda è quella di
coloro che la considerano la stessa natura umana da un punto di vista biologico. Per i primi la
ragione profonda è un difetto morale dell’uomo, una deficienza, ricondotta a un evento della
storia religiosa dell’umanita (il peccato originale) oppure attraverso un etica naturalistica o
razionalistica il dominio delle passioni e il contrasto tra ragione e volonta.

Per i secondi va cercata nella natura istintiva, in un fascio di tendenza e istinti e impulsi primigeni
che provocano nei gruppi umani minacciati di eliminazione da parte della natura ostile o di un
altro gruppo concorrente.

La psicanalisi di fredu si è concentrata sul rapporto tra il fenomeno della guerra e la coscienza e la
subcoscienza umana. Due modi opposti di indirizzare gli uomini sulla via della pace: per i primi i
curatori di anime quindi sacerdoti moralisti e filosofi, missionari e riformatori di costumi; al
secondo il compito spetta ai curatori di corpo e mente a studiosi di scienze dell’uomo, biologi
sociologi, medici psicologi. Il problema della guerra e della pace per i primi è un problema di
conversione, per i secondi posto che sia solubile di guarigione. Gli uni confidano nella pedagogia e
gli altri nella terapia (rispettivamente persuasione e trattamento).

Se la guerra quindi non fosse un male ma una malattia? Il movimento contro la guerra come male
morale ha oggi i suoi sostenitori e i suoi attori negli obiettori di coscienza. Per quel riguarda l altra
via non abbiamo sinora ipotesi in discussione.

Criteri di giudizio

Tra le forme di pacifismo attivo si dispongono in ordine progressivo di maggiore complessità e di


maggiore profondità: la prima si arresta al piano delle tecniche, la seconda passa dal piano delle
tecniche a quelle dell’organizzazione sociale, la terza si spinge sino all’uomo cioè all’inventore e
fruitore delle tecniche e delle varie forme di organizzazione sociale.

Il problema è quello della scelta razionale tra i diversi mezzi.

Una scelta di questo genere deve tener conto principalmente di due requisiti: attuabilità
(possibilità e facilita di attuazione), l efficacia (il potere del mezzo di ottenere i risultati sperati).
Mentre l attuabilità si tiene conto della complessità, per l efficacia della profondità.

Il rapporto tra complessità e attuabilità è inverso a quello di profondità ed efficacia: l’attuabilità è


tanto maggiore quanto minore la complessità, l efficacia è tanto maggiore quanto maggiore è la
profondità.

Se si distinguono le vie della pace in ordine progressivo di complessa e profondità implica che si
pongano in modo inverso di attuabilità ed efficacia: la via più attuabile è anche quella meno
efficace e viceversa. Via via che aumenta la complessità diminuisce l attuabilità, via via che
aumenta la profondità aumenta l efficacia: il che significa che ciascuna delle vie è tanto piu
attuabile quanto meno efficace e viceversa. Il disarmo è la più attuabile ma la meno efficace: si
possono distruggere momentaneamente le armi ma non si può distruggere l uomo e le sue
conoscenze tecniche. Un accordo internazionale può essere violato.

La nonviolenza è tanto attuabile che gia sono state sperimentate nelle lotte interne agli stati e
raramente nelle controversie internazionali, ma on sono in grado di dare alcuna assicurazione sull’
efficacia universale e totale dei metodi proposti. Opposta è la via del pacifismo finalistico, è più
efficace della prima ma meno attuabile, se si riuscisse a trasformare il carattere dell’uomo e
renderlo mito (homo homini agnus), lo stato della pax omnium cum omnibus sarebbe assicurato.
Se tutti gli uomini osservassero il precetto evangelico di amare il proprio prossimo o se fossero
liberati dall’istinto di aggressione come sono stati liberati dalla lebbra, l era della guerra sarebbe
finita, ma quando mai avverrà questa renovatio?

La seconda via istituzionale è intermedia: piu attuabile ma meno efficace di quello finalistico ma
piu efficace ma meno attuabile di quello strumentale.

Il superstato e la soppressione sono fini con maggiore o minore intensità presenti nella storia,
mentre l esperienza storica non ci ha fornito alcun indizio sicuro di una modificazione sostanziale
della natura dell’uomo, è altrettanto certo che tanto lo stato universale quanto la società senza
stato lascerebbero pur sempre un certo margine alla possibilità dell’intervento o reintroduzione
della guerra, non una garanzia totale.

Lo stato universale a maggior ragione di una società senza stato è meno aleatorio e provvisorio
che quello attuabile attraverso un trattato internazionale per il disarmo o più in generale e più
stabile di quello perseguibile mediante tecniche di non violenza. Se è vero che stato universale e
soppressione sono direzioni possibili è vero anche che sono ideal limiti, mentre sia le tecniche
diplomatiche valevoli per la politica del disarmo e non violenza sono gia state usate e con risultati
di cui non possiamo prevedere la fecondità.

Per notare la diversià di piani la parificazione delle due forme di pacifismo istituzionale, quella
giuridica e sociale è un eccessiva semplificazione, poichè sono incompatibili se notiamo come si
comportino l una rispetto all’altra quanto ai due requisiti di attuabilità ed efficacia, anche tra
queste vale l inverso. Il pacifismo giuridico è piu vicino quindi a quello sperimentale e quello
sociale a quello finalistico.

Il giudizio, la previsione e la scelta: nella strutturazione presente dell’umanità nessuna delle via
sinora escogitata è massimo grado nello stesso tempo di attiabilita ed efficacia. Quale delle
possibili strade sarà seguita, nessuno snora, coi dati disponibili può prevederlo. L unica cosa è che
il destino storico dell’umanità si è estremamente semplificato.

Tornando al labirinto: dopo gli infiniti erramenti di millenni e andirivieni senza scopo, l’umanità è
arrivata al punto in cui sembra trovare aperte dinnanzi a se solo due strade: al più ancora un
tentativo ma poi se fallisce resta un loro tentativo che conduce alla via dell’aperto. Delle due
ultime strade rimaste una conduce all’uscita ma l altra anziche una via bloccata, finisce in un
abisso, ovvero la strada da cui non si puo tornare indietro.

Si è giunti a un bivio, la nostra scelta sarebbe incosciente e casuale. Molte volte la storia ci è
apparsa come risultato di scelte incoscienti e casuali, ma spetta oggi alla filosofia il duplice
compito di acquistare e far acquistare coscienza della situazione limite in cui ci pone quest’ultimo
bivio e di far apparire per chiari segni dove conducono rispettivamente le due strade in modo che
nessuno possa dire che non conosceva con esattezza lo sbocco.

Fare acquistare consapevolezza per dare un nome alle due strade e ciò si chiama promuovere oggi
una coscienza atomica. Malgrado la semplicità della situazione e la chiarezza delle rispettive mete,
le scelte possono essere ancora molte.

E se le indicazioni fossero ingannevoli? L ultima prova a cui sottopine l uomo un Dio tentatore
fosse quella di fargli trovare la realtà dietro l apparenza, per cui il fine desiderato si raggiunge
attraverso la via apparentemente meno facile e quindi di sollecitare la sua sagacia? Poi ci sono
coloro che ci credono ma solo in parte: una strada conduce all’abisso ma per chi? Se ci finissero gli
altri? In terzo luogo ci sono coloro che ci credono ma non se ne danno pensiero quello che conta è
la mia morte non quella degli altri, e tanto meno del genere umano.

Ci sono infine coloro che ci credono e non sono affatto indifferenti, ma hanno scelto
deliberatamente l abisso, anche il suicidio è una scelta. Se non mi si chiede una previsione ma un
opinione sono ottimista, vedo piccoli gruppi di uomini che si siano alfine liberati dai miti ancestrali
della fecondita della violenza e della rigenerazione attraverso il sangue.

L’etica dei politici è ancora l etica della potenza. Colui che predica l esistenza di una sola morale è
ancora considerato un visionario e utopista.

Non riesco a sottrarmi al presagio che una società in cui giuristi e sociologi filosofi teologi non
hanno rinunciato a vedere nella violenza un mezzo di riscatto o di redenzione, sia un giorno o
l'altro destinata alla suprema prova della violenza sterminatrice.

Per la superficialità dei nostri giudizi morali. Quando io dico che la mia scelta è nel senso di non
lasciare alcun mezzo intentato per la formazione di una coscienza atomica, e la filosofia che oggi si
impegna in questa strada è un ozio sterile. Mi limito a far intendere che con le mie forze vorrei non
accadesse. Ma la posta in gioco è troppo alta perche non si debba prendere posizione. La
macchina che stiamo costruendo è troppo minacciosa perche non valga la pensa di sfidare il
destino.

CAPITOLO 2

DIRITTO E GUERRA

La guerra è uno dei problemi centrali del nostro tempo, non può sottrarsi dalla riflessione su di
essa nessun filosofo che cerca di trovare nel passato le possibili vie del futuro: tanto meno il
filosofo del diritto poichè vi è un nesso incancellabile.

Vi sono 4 modi per considerare questo rapporto: guerra come antitesi del diritto, come mezzo per
realizzare il diritto, come oggetto di diritto, come fonte di diritto.

Sono 4 modi diversi di intendere il diritto e dunque del fatto che nei 4 rapporti indicati il termine
diritto entra in accezioni diverse.

Quando si parla della guerra come antitesi del diritto si intende per diritto l ordinamento giuridico
nel suo complesso, quando si parla della guerra come mezzo per realizzare il diritto si intende
diritto come giusta pretesa anche ricorrendo alla forza del diritto soggettivo, quando si parla di
guerra come oggetto del diritto si intende diritto nella sua accezione più comune di regola di
condotta cioè di norma giuridica, quando si parla di guerra come fonte del diritto si intende diritto
nella sua accezione piu ampia e anche indeterminata di giustizia. quindi guerra-antitesi, guerra-
mezzo, guerra-oggetto, guerra-fonte.

Nel primo nasce dalla considerazione che il fine comune di ogni ordinamento è la cessa sociale,
thomas hobbes la pone in contrapposizione con lo stato di natura caratterizzato dalla guerra
perpetua, e lo stato civile in cui gli uomini giungono seguendo la prima e fondamentale legge di
natura che prescrive la pace.

Lo stato di natura è uno stato senza leggi è uno stato in cui le leggi naturali non vigono più e le
leggi positive non vigono ancora, è uno stato di guerra. Lo stato civile riesce a istituire leggi valide
e instaura la pace.

Kelsen afferma che la pace non è il fine del diritto, l unico fine del diritto: è qualcosa di meno ma
non è neppure uno dei possibili fini del diritto: è qualcosa di piu, la pace è il fine minimo di ogni
ordinamento giuridico. nell ambito di un ordinamento possono essere perseguiti altri fini: pace
con liberta, pace con giustizia, con benessere ma la pace è la condizione necessaria per il
raggiungimento di tutti gli altri fini, è dunque la ragione dell esistenza del diritto dell ordinamento
pacifico di un gruppo in antitesi con la violenza organizzata.

La guerra mezzo

La pace cui intende il diritto è la pace all’interno di un gruppo sociale. ma la pace umana è
composta da molto gruppi umani, spesso ad avanzare pretese gli uni verso gli altri: uno dei modi
per farla valere è la violenza organizzata cioè la guerra.

Quando la pretese è giusta e legittima la guerra condotta allo scopo di farla valere diventa un
mezzo per la realizzazione di diritto.

Qui interessa piu tanto il fine del diritto, quanto il risultato: il risultato cui il diritto tende è la
risoluzione dei conflitti.

Vi sono due modi per risolverli: la persuasione o la forza. Quando un conflitto sorge da gruppi
organizzati la forza risolutiva è la guerra. Uno dei mezzi la cui soddisfazione costituisca la
restaurazione o l instaurazione di un diritto.

Alla discussione è stata rivolta la teoria della guerra giusta, del diritto internazionale che ha fatto la
sua riapparizione alla prima guerra mondiale. Per la teoria della guerra giusta è da respingere sia
un atteggiamento di indiscriminata condanna sia l atteggiamento opposto di indiscriminata
approvazione. Anche la guerra come ogni altra opera dell’uomo puo essere sottoposta alla
valutazione del giusto e dell ingiusto. Sant’agostino in polemica con il pacifismo cristiano per cui
bellare era sempre illicitum, ha cambiato avversario erigendosi contro le teorie bellicistiche, che
derivano dalla glorificazione dello stato potenza che avevano trovato alleato nel positivismo
giuridico esteso al diritto internazionale: la guerra giusta ha natura di teoria intermedia tra i due
estremi.

Non sempre i sostenitori sono concordi sulle giuste cause: i rigoristi che lambivano alle sponde del
pacifismo e i lassisti coi bellicisti.

Ma la communis opinio è che si puo come guerra di difesa, di riparazione di un torto, o punitiva.
Comune a tutti la guerra fu definita una procedura giudiziari in risposta del torto altrui, a
somiglianza del processo all interno di un ordinamento giuridico, ha lo scopo di punire un diritto
offeso o un colpevole.
Lo scopo della teoria sono i criteri di legittimita della guerra, oltre quello deve essere condotta
secondo certe regole, effetti meno nocivi.

Oltre alla legittimita la legalita nell esercizio del diritto conforme a regole stabilite. La celebre
distinzione tra i due tipi di tirannia: ex defectu tituli e quad exercitium, onde la guerra poteva
essere ingiusta per mancanza di titolo cioè di iusta causa oppure per l illegalità della sua condotta.
Il terzo modo la guerra come oggetto di valutazione e regolamentazione giuridica.

Il rapporto diritto forza puo essere disposto in 4 piani: forza come antitesi del diritto,come mezzo,
oggetto (ross: la forza viene considerata come l oggetto esclusivo delle regole) e come fonte.

Diritto forza e la teoria del diritto guerra si illuminano a vicenda: come il diritto regola l uso della
forza, una volta che la forza viene considerata in alcune circostanze come mezzo per ristabilire il
diritto, altre diventa oggetto di diritto, cosi il diritto regola l esercizio della guerra, una volta che la
guerra venga considerata in alcune circostanze come mezzo per ristabilire il diritto, e in tal modo
la guerra diventa da strumento di diritto oggetto di diritto.

Prendendo ispirazione dalla teoria del diritto che regola la forza si puo distinguere: chi sia
autorizzato a compiere atti di guerra, su chi e su cosa possono essere compiuti, con quali mezzi, in
quali forme, e in quale misura.

Per la guerra fonte è emerso quando la teoria della guerra giusta è decaduta con la crisi del
giusnaturalismo.

Per l assimilazione della guerra a una procedura giudiziaria piuttosto grossolana: la certezza dei
criteri pur ammessa, il giudizio sul verificarsi delle condizioni sarebbe affidato alle stesse parti in
causa. Teoria contestata dai giuristi del 500-600 che la guerra fosse giusta da entrambe le parti;
poi pure nel caso la questione fosse tanto evidente la procedura della violenza organizzata da
parte di uno stato sovrano non offriva alcuna garanzia che la vittoria spettasse a ci aveva ragione, l
opposto che il giustiziere fosse giustiziato.

Mentre una procedura giudiziaria conforme allo scopo deve essere organizzata in modo da
permettere di vincere a chi ha ragione, la guerra è di fatto una procedura che permette di aver
ragione a chi vince.
Per il positivismo giuridico si intende la teoria del diritto secondo cui non esiste altro diritto che
quello positivo che di fatto è osservato in un gruppo sociale, compito del giurista positivo di
indagare non gia il diritto che deve essere ma il diritto che è.

Il giurista è fedele ai canoni del positivismo: nel fare la guerra gli stati si comportano generalmente
come se non ci fosse nel diritto internazionale alcuna regola che distingue guerre giuste da
ingiuste, si comportano in modo da lasciar comprendere che essi considerano la guerra una
procedura non regolata, tutto cio che non è regolato è permesso.

Non si esclude che il giurista possa anche dare un giudizio sulla giustizia o ingiustizia,ma si tratta di
un giudizio morale, su cio che il diritto deve essere non su cio che è.

La distinzione tra giusta e ingiusta era dunque espressione di esigenza morale non uno strumento
concettuale. Il punto di rottura è questo: per il giusnaturalista la giustizia di un comportamento o
che è lo stesso di una regola è condizione necessaria, se pur insufficiente, della sua validità, per un
positivista la giustizia di un comportamento o che è lo stesso di una regola, non è condizione
necessaria ne sufficiente della sua validità (giusnaturalista legge ingiusta non legge;
positivistalegge giusta ma inefficacie non legge).

Lo stesso per la guerra giusta, per essere giusta deve essere legittima, è per il positivista un
esigenza morale semmai un aspirazione ma non una regola positiva.

Eliminata la figura della guerra mezzo, l ultima è la guerra fonte cioè la guerra considerata come
espediente non piu per mantenere in vita un diritto stabilito e consolidato ma per dar vita a un
diritto nuovo , non come interprete di un diritto passato, ma come creatrice di un diritto futuro,
insomma non come restaurazione ma rivoluzione nel senso tecnico giuridico del termine, un
insieme di atti coordinati per instaurare un nuovo ordinamento: la guerra come rivoluzione
internazionale (analogia guerra fonte e rivoluzione).

Lo stato che intraprende una guerra fonte ha bisogno di appellarsi a un diritto superiore un diritto
ideale che viene spesso presentato come diritto naturale. Le guerre di liberazione nazionale
rivouoluzionarie.

L’analogia tra fonte e rivoluzione non deve farci trascurare le differenze: mentre nei rapporti
interni la differenza tra forza riparatrice e forza innovatrice è molto netta in quelli esterni la
differenza tra guerra mezzo e guerra fonte è tanto tenute da apparire spesso inconsistente e
giuridicamente impercettibile: talvolta gli stati belligeranti conducono al tempo stesso una guerra
garanzia di fronte agli organismi internazionali e guerra rivoluzione di fronte alle popolazioni civili.

Un'altra differenza è che nei rapporti interni la forza riparatrice è regola e la forza innovatrice è
eccezione, nei rapporti esterni è l inversi, anche il vincitore ha diritto di imporre le condizioni al
vinto, la guerra restauratrice si risolve totalmente nella guerra rivoluzione instauratrice di un
nuovo ordine.

Alla forza proudhon attribuisce il potere di creare diritto, la forza di cui la guerra è la piu alta
manifestazione della vita dei popoli crea essa sola il diritto: costituisce il primo e piu irrefragabile
dei diritti. Possesso piu legittimato fondato su un diritto superiore a tutte le convenzioni.

Concepire la guerra come fonte di diritto voleva dire non gia aggiungere un nuovo criterio di
legittimazione della guerra oltre quelli della guerra giusta ma mandare in frantumi la
legittimazione preventiva, essa viene solo dopo, rende sterile quindi ogni discussione intorno al
criterio di legittimita della guerra (quello che è avvenuto nel secolo scorso con i principi di
legittimita è avvenuto nella seconda guerra mondiale con la legalita cioè la guerra oggetto). I
confini tra cio che è ingiusto nella condotta della guerra vanno scomparendo, si aallarga lo spazio
delle azioni libere da quelle regolate.

Le limitazioni un tempo accettate dagli stati belligeranti nella condotta della guerra non reggono
all urto dei nuovi mezzi offensivi.

La guerra termonucleare è LEGIBUS SOLUTA. Il diritto come insieme di condotta aventi per scopo
minimo la sopravvivenza e la conservazione di un gruppo sociale adempie alla sua formazione
principalmente assegnando a ciascuno il proprio potere e delimitando il potere di ciascuno in
relazione al potere di tutti gli altri.

Ma l ordinamento giuridico è esso stesso il prodotto di un patto sociale la cui distribuzione opera
di regole sempre meno rigide e meno coattive delle regole sociali osservate spontaneamente,
dalla moralita o dalla mera convivenza.

Il controllo del potere da parte del diritto giunge fino a un certo limite, oltre c è il potere o la
somma di poteri di fatto, veri e propri poteri legibus soluti, forze che sollecitano il movimento
sociale e impediscono al diritto di cristallizzarsi in formule definitive. Una società controllata
integralmente dal diritto è un ideal limite. Oltre questi poteri residui può accadere che in periodi
eccezionali si accumuli nelle mani di gruppi parziali.

Avviene una rottura dell’ordinamento esistente, secondo una raffigurazione della guerra giusta
molto piu realistica di quella dei teorici della guerra giusta, la guerra è un potere residuo,
meramente facoltativo, un potere straordinario, cioè un potere la cui energia creatrice non può
essere controllata dal diritto vigente perche rappresenta intenzionalmente la rottura dell’ordine
esistente e il tentativo di instaurarne uno nuovo.

Un ordinamento giuridico rappresenta l arginatura e la canalizzazione: dalla grande diga, la


costituzione, si arriva alla quotidiana miniatura del contadino che chiude i solchi, con norme
particolari e proibitive o permissive.

Nessun ordinamento giuridico ora è stato un arginatura e canalizzazione perfetta, qualche volta l
acqua si smarrisce in rivoli non previsti dal piano di irrigazione e va per conto suo, sono i poteri
residui che ogni tanto rompono gli argini ed è il momento del potere straordinario. In eta moderna
con i gradi stati sovrani la cui caratteristica è l indocilita di ogni freno legale si considerano
svincolati, come il principe machiavellico, da ogni regola che non sia quella di mera convivenza, la
guerra è la piu matura espressione di questa potenza, una somma di questi poteri devianti o
straripanti che la disciplina giuridica non riesce a raggiungere.

A perfezionare questa evoluzione l invenzione e la proliferazione di nuove armi i cui effetti


superano le previsioni dei nichilisti. Di fronte alla guerra atomica il diritto è impotente. La condotta
è giuridicamente incontrollabile.

La guerra moderna è in una parola al di la di ogni principio di legittimazione e di procedimento di


legalizzazione. La guerra dopo essere stata considerata un mezzo per realizzare il diritto è l antitesi
del diritto.

Quando un istituzione è diventata tanto potente non si riesce piu a limitarla. Il principio del
pacifismo: gli uomini hanno cercato sinora invano di contenere la guerra entro certi limiti, ora che
tutti questi limiti sono stati via via scardinati o ci si rassegna alla distruzione indiscriminata o si
mette definitivamente la guerra al bando.

Il pacifismo giuridico, cioè la pace attraverso il diritto è una forma di pacifismo attivo. Il pacifismo
passivo ottocentesco, è la previsione circa l estinzione naturale della guerra fu di solito un
ingrediente indispensabile delle teorie del progresso che si susseguirono sovrapponendosi e
magari contraddicendosi.

Una tappa necessaria dell’evoluzione, in questo tipo di pacifismo si distinguono tre correnti che
divergono rispetto all’individuazione dell ‘evento determinante che avrebbe dovuto porre le
condizioni necessarie e sufficienti del passaggio dall era della guerra all era della pace. Per saint
simon, cobden spencer l evento era costituito dall avvento della societa industriale che avrebbe
degradato le virtu militari esaltando quelle dello scienziato.

Per kant la pace perpetual nella sua trasformazione, non del regime economico, ma del regime
politico, attraverso il passaggio dagli stati dispotici per cui la guerra era un operazione normale e
talora soltanto un capriccio, con le repubbliche. Infine il socialismo democratico della seconda
internazionale ritiene che la guerra sia prodotto di antagonismi tra stati capitalistici, il giorno in cui
dalla crisi inevitabile di un intero sistema sociale fossero nate le societa socialistiche.

Nessuno oggi è piu disposto a credere che il progresso sia immancabile come accade per tutti gli
ideali morali, la sua attuazione non è certa perche dipende anche da fattori che non ci sono noti e
da altri che potremmo conoscere ma ci sono sfuggiti.

Caduta l’illusione che l avvento della pace sia un fatto naturale, il problema della pace è diventato,
anzi ridiventato un problema morale, in questo senso non è oggi piu passivo ma attivo; alla ricerca
di rimedi, vi sono tre tipi: nei mezzi (disarmo) nelle istituzioni (abolire l attuale sistema sui rapporti
internazionali fondati sull’eguaglianza degli stati attraverso la creazione di un sistema
superstatale) e gli uomini (modificare la natura umana attraverso riforme morali o religiose o
scientificamente).

Vi sono due criteri per definire la preferibilità: attuabilità (successo) e l efficacia (risultato), quello
strumentale più attuabile e meno efficace, il finalistico più efficace ma meno attuabile, quello
istituzionale è insieme più attuabile del terzo e più efficace del primo. Il pacifismo istituzionale
bisogna distinguerlo da quello politico diplomatico che opera sui mezzi, quello etico religioso che
opera sull uomo, e chiamarlo pacifismo giuridico.

L’ ideale della pace attraverso il diritto con una nuova istituzione, è il completo rovesciamento
della figura della guerra rivoluzione, è la guerra che crea diritto.
Purtroppo il diritto da solo non basta. Summum ius summa iniuria è formulato da un moralista; ma
lo storico sa che realisticamente summa inuiria summum ius. Oltretutto le vie non sono
incompatibili, possono essere percorse parallelamente senza incrociarsi.

Di fronte alla piu grande minaccia di distruzione che mai l’umanità abbia dovuto affrontare
nessuno dei rimedi cui possiamo ricorrere è il massimo grado di attuabilità ed efficacia, il
raggiungimento della meta non è mai sicuro.

Vitor hugo paragonando l’umanità a una nave magnifica la vedeva avviata verso un avvenire
divino, all’inizio dell’era atomica un filosofo rievoca la crisi iniziata dal nichilismo: solo che questa
volta si tratta di una nave di cui nemmeno noi sappiamo di dove viene e verso quale meta si diriga.
Coloro che oggi si preoccupano di trovare una soluzione si pongono tra questi due estremi:
rifiutano la seduzione del progresso immancabile ma non si lasciano tentare dal fascino dell’abisso
(ricerca razionale).

CAPITOLO III

L’IDEA DELLA PACE E IL PACIFISMO

In un discorso generale della pace vi sono problemi di definizione e di valutazione, nel suo
significato descrittivo si intende uno stato di cose, di cui si tratta stabilire i confini, l’estensione, e i
connotati, l’intensione; quindi appunto la definizione.

Ha anche un significato emotivo che proclama un valore, desiderabile e raccomandabile ma si


tratta di illustrare natura intensità e rapporto con altri valori.

Il concetto della pace:

- Una definizione deve cominciare con la limitazione del campo, si parla di interna ed
esterna. Soffermandoci sulla seconda, la pace significa assenza di un conflitto, per pace
interna assenza di un conflitto interno (comportamenti dello stesso attore) e pace esterna
è l assenza nell esterno che s intende tra individui e gruppi diversi. Dei due attributi interno
ed esterno caratterizzanti rispettivamente il mondo della morale e il mondo del diritto. Il
tema della pace interna appartiene alla morale, il tema della pace esterna appartiene al
diritto (compito abituale dei giuristi). Dal punto di vista assiologico, dalle filosofie
spiritualistiche, vi è un nesso considerando la pace interiore come la vera pace da cui
dipende la pace esteriore. La pace è quella cui rivolgono generalmente le attenzioni le
ricerche sulla pace, peace research, è la pace che pone fine a quel particolare tipo di
conflitto che è la guerra. L opposto della guerra e non di conflitto e di violenza.
- La definizione di pace puo essere definita in relazione con la guerra.
Nel caso di due opposti pace-guerra in cui sempre il primo viene definito per mezzo del
secondo e non viceversa, la pace viene definita come assenza di guerra, negativamente. il
primo è il termine forte e il secondo debole.
Nel dizionario enciclopedico italiano guerra è definita come lotta armata tra uno o piu stati,
la pace è definita come condizione contraria alla guerra. Quando i due termini di una
opposizione non vengono definitivi entrambi negativamente o positivamente, il termine
forte è quello che indica lo stato di fatto essenziale piu rilevante: esiste una grande filosofia
della guerra in quanto fenomeno positivo, non esiste una grande filosofia della pace.
La grande filosofia che scorre dall illuminismo allo storicismo, al positivismo al marxismo
nasce dalla domanda sul significato della guerra.
Non c è stato altro fenomeno sociale che piu della guerra abbia provocato l interrogarsi,
quella ottimistica e quella catastrofica risposta. Non diversamente accade per dolore e
piacere (piacere come assenza di dolore ma non dolore come assenza di piacere), oppure
tra ordine- disordine accade il contrario, perchè manifestatamente nel suo uso più comune
ordine sta a indicare rapporti interni di uno stato, quel che pace indica nei rapporti
internazionale, ora nei rapporti interni lo stato di cose durevole non è disordine ma
l’ordine, tanto al contrario della storia tra stati concepita come storia di guerre, cioè di
successivi disordini, la storia di uno stato viene concepita come una storia di successivi
ordinamenti, dove i momenti di rottura e disordine rappresentano momenti eccezionali.
Nei rapporti internazionali sono preminenti disordine e guerra, in quelli interni pace e
ordine. Aspirazione del pacifismo è ottenere ordine nei rapporti internazionali.
- Le piu frequenti connotazioni di guerra sono queste: la guerra è un conflitto, tra gruppi
politici rispettivamente indipendenti o considerati tali, la cui soluzione viene affidata alla
violenza organizzata.
- Si ha un conflitto quando i bisogni o gli interessi di un individuo o gruppo non possono
essere soddisfatti se non a danno di un altro individuo o gruppo; il caso piu tipico è per il
possesso di un bene scarso.
- Ma anche motivi psicologici come un offesa. I leviatano di hobbes porta la contesa per
ragioni di competizioni diffidenza e gloria. Per gruppo politico si intende un gruppo
organizzato per il mantenimento o la conquista del massimo potere possibile tra e su
uomini conviventi: il massimo potere è il monopolio della forza.
- Per violenza si intende l uso della forza fisica, intenzionalmente diretta all effetto voluto da
parte del soggetto attivo, e non consentita da parte del soggetto passivo.
- Non è violenza quella psicologica. Si è aggiunto violenza organizzata perche non si intende
quella sporadica non durevole o accidentale. 4 tipi di guerra: la guerra esterna tra stati
sovrani, la guerra all interno di uno stato o guerra civile, la guerra coloniale o imperialistica,
la guerra di liberazione nazionale. aron uso un'altra terminologia: guerra interstatale,
infrastatle, superstatale o imperiale, infra imperiale.
- La pace intesa come non guerra puo essere definita come lo stato in cui si trovano gruppi
politici tra i quali non esista un rapporto di conflitto caratterizzato dall esercizio di una
violenza durevole e organizzata.
Ne discende due gruppi politici che possono essere i conflitto senza essere in guerra, lo
stato di pace non esclude il conflitto ma solo la violenza durevole e organizzata, due gruppi
politici non sono da considerarsi in stato di guerra quando la violenza è sporadica. Il
termine ha anche un significato positivo, non generico ma specifico: la fine o la conclusione
o la soluzione giuridicamente regolata di una guerra.
Nel suo senso negativo la pace è uno stato di cose generico (stato di non guerra) nel suo
senso positivo è uno stato specifico previsto e regolato dal diritto internazionale, un
accordo con cui cessano le ostilità.
Fare la pace instaurando uno stato giuridicamente regolati. Guerra in senso positivo e pace
negativa possono essere interpretati come contraddittorio tertium non datur, positivo e
positivo come termini contrari tertium datur, cioè che tra l uno e l'altro c è una zona
intermedia che è la tregua.
Guerra in senso positivo e pace negativa occupano tutta l estensione dei rapporti possibili
tra stati, entrambi positivi sono due termini estremi nell estensione dei rapporti possibili
poiche il termine pace è ristretto in uno spazio minore. Questo concetto positivo la vera
pace non è una pace qualunque, non la pace dettata dal vincitore ma la pace con giustizia.
la pace non è la semplice assenza della guerra ma essa è definita con tutta esattezza opera
della giustizia. il concetto teologico filosofico di pace è positivo nel senso che la caratterizza
come uno stato di cose portatore di un valore positivo com è il valore della giustizia, stato
di cose desiderabile. Ma non è piu una definizione lessicale ma persuasiva, cioè non di cio
che la pace è ma cio che la pace dovrebbe essere per essere considerata come un bene.
Nella definizione tecnico giuridica di pace non c è nulla che permetta di distinguere una
pace giusta da una ingiusta, nella definizione teologico filosofica la pace ingiusta è un
simulacro di pace.
- Gran parte di queste discussioni sono state provocate da un articolo di jhoan gatlung
partendo dalla definizione di pace come assenza di violenza, mentre per pace è meglio
assenza di quel particolare tipo di violenza che prevede la forma della guerra e
distinguendo due forme di violenza, una personale e l altra strutturale, e anche distinguere
due forme di pace.
Quella negativa come assenza di violenza personale e quella positiva che è l assenza di
violenza strutturale cioè la violenza che le istituzioni di dominio esercitano sui dominanti,
ingiustizia sociale. la pace positiva è quella che si può instaurare solo attraverso un radicale
cambio sociale. il valore della pace non è il valore ultimo, una volta realizzata la pace anche
universale e duratura intesa soltanto come assenza di guerra l umanità non sarà entrata
nel paradiso terrestre ma avrà altri problemi da risolvere.

Il valore della pace:

- Sul concetto di pace positiva si apre la strada del secondo problema: la pace come un
valore. Dell opposizione guerra pace si puo fare uso classificatorio oppure un uso
assiologico.
Non c è dubbio che il primo termine è generalmente valore negativo e il secondo valore
positivo. Hobbes parte dallo stato di natura considerato come stato di guerra universale e
perpetua. Contrapposta allo stato di natura come stato di guerra, lo stato di pace è la
societa civile. Tutta la filosofia di hobbes è basata sulla contrapposizione fra stato di natura
e societa civile. È tornata attuale con l avvento e la continua minaccia della guerra
termonucleare. L equilibrio del terrore è in un certo senso il ritorno allo stato di natura, è
uno stato da cui bisogna necessariamente uscire.
La tendenza a riconsiderare di nuovo la guerra, hobbesianamente, come male assoluto e la
pace come bene assoluto. Il problema del valore della pace e del disvalore della guerra non
ha mai considerato la guerra come disvalore assoluto e la pace come valore assoluto.
- Nel rifiuto di considerare la guerra come male assoluto e la pace come bene assoluto si
possono distinguere due tendenze: la tendenza secondo cui non tutte le guerre sono
ingiuste e non tutte le paci giuste quindi la guerra non è sempre un disvalore, e la tendenza
secondo cui tanto la guerra quanto la pace non sono valori assoluti i intrinsechi ma relativi
o estrinsechi, il valore del mezzo dipende dal valore del fine, una guerra puo anche essere
buona se il fine cui tende è buono.
Due modi per giustificare la guerra, quella che si approva come giusta e quella che si
disapprova come ingiusta: come risposta a una violazione del diritto stabilito quindi come
sanzione, la guerra giusta per eccellenza è la guerra di difesa e ingiusta quella di
aggressione, oppure come instaurazione di un diritto nuovo contro il vecchio diventato
ingiusto, come atto creativo, onde la guerra giusta per eccellenza è la guerra rivoluzionaria
o di liberazione nazionale e ingiusta quella imperialistica.
Le guerre dell equilibrio europeo si ritenevano giuste come sanzioni e restauratrici di status
quo. La pace puo anche essere ingiusta, il principio è quello stesso che vale per la legittima
difesa alla quale sia richiesto che sia proporzionata all’offesa: la giustizia correttiva. Ingiusta
sarà la pace che impone ai vinti un castigo. Frasi famose come “L ordine regna a varsavia” “
la pace ai cimiteri”esprimono l idea. In concreto è difficile stabilire senza un giudice
imparziale. Ogni gruppo politico tende a considerare giusta la guerra che egli fa e ingiusta
la pace che subisce, quanto al tribunale della storia: il criterio di giudizio non è la giustizia o
l ingiustizia ma il successo.
- La seconda tendenza è di considerare guerra e pace come due valori strumentali con la
conseguenza che se il valore del mezzo dipende dal valore del fine vale il fine buono
giustifica anche il mezzo cattivo, il fine cattivo ingiustifica il mezzo buono.
Considerano la guerra come male necessario e la pace come bene insufficiente. È
strettamente legato alle teorie del progresso, si sviluppa energie durante la guerra che i
tempo di pace non hanno modo di manifestarsi, virtu sublimi, l amor di patria, la guerra è
necessaria al progresso sociale dell umanita.
L’altra faccia è la concezione della pace come bene insufficiente. La pace non è in grado da
sola di assicurare una vita sociale perfetta in cui gli uomini siano felici e prosperi. La pace è
considerata una delle condizioni per la realizzazione di altri valori come giustizia liberta e
benessere, evita il massimo dei mali, la morte violenta, ma non persegue il massimo dei
beni. Il bene che la pace tutela è il bene della vita, ma questa viene continuamente messa a
confronto con altri beni. La pace non è piu un valore supremo, addirittura un disvalore, la
pace come causa del non progresso, di civilta stazionarie. Nella visione globale della storia
la pace finisce per essere un valore in ultima istanza superiore alla guerra: nella sua
necessita la guerra è pur sempre un male, nella sua insufficienza la pace è pur sempre un
bene. Non vi è nessuna filosofia della storia, per quanto terroristica che abbia considerato
la guerra come meta ideale del corso dell’umanità, mai come stato finale (pace perpetua di
kant).
- Raymond aron distinge tre tipi di pace: di potenza di impotenza e di soddisfazione.
La pace di potenza viene suddivisa a sua volta in pace di equilibrio di egemonia e d impero
secondo che i gruppi politici siano in rapporto o di eguaglianza o di diseguaglianza fondata
sulla preponderanza dell uno sugli altri o su un vero e proprio dominio, la cosiddetta pax
romana.
La pace di impotenza è un evento nuovo essendo fondata dopo l avvento della guerra
atomica, si chiama equilibrio di terrore: regna fra le unita politiche di cui ciascuna ha la
capacita di infliggere all altra colpi mortali. La pace di soddisfazione si ha quando in un
gruppo di stati nessuno ha pretese territoriali o d altro genere verso gli altri, i loro rapporti
sono fondati sulla fiducia reciproca (opposto del timore), vige dopo la seconda guerra
mondiale tra gli stati dell europa occidentale.
Tra le tre paci di potenza ne mancano almeno due presenti in tutte le classificazioni: di
sterminio che è qualcosa di piu risolutivo della pace d impero, e la pace federale o
confederale che è di piu vincolante che la pace di equilibrio ed è anche diversa da quella d
impero perche il superamento della plurarita di enti in possibile conflitto avviene non sulla
base della forza ma sulla base di un accordo.
La distinzione tra pace di potenza e d impero è forzata, si potrebbe dire egual diritto che la
pace di terrore è la pace del massimo della potenza, non dell’ impotenza, ma della
superpotenza, e che l equilibrio è insieme un equilibrio delle impotenze.
L’equilibrio del terrore non è che la forma estrema della pace di equilibrio. L una che l altra
si reggono sull uguaglianza degli stati. La definizione che aron fa sull’equilibrio del terrore è
la stessa di hobbes dello stato di terrore che si regge sul terrore reciproco.
Il passaggio dallo stato di guerra potenziale allo stato di timore attuale è nient’altro che il
passaggio dallo stato di timore reciproco allo stato di timore verso uno solo. Il rapporto fra
stati è insieme di potenza e impotenza nel senso che ciascuno è potente della misura in cui
l'altro è impotente e viceversa.
Solo nella pace di impero si va verso una sola direzione, alla potenza dell uno corrisponde l
impotenza di tutti gli altri. Dalla pace di potenza si distingue quella per soddisfazione,
mancanza di conflitti.

Concetto e forme di pacifismo:

- Il concetti di pace di soddisfazione puo portare al pacifismo che considera una pace
durevole perpetua e universale come bene altamente desiderabile che ogni sforzo per
raggiungere. Non è una pace qualsiasi non è solo quella di equilibrio che è per sua natura
instabile ne quella di impero. La pace cui mira il pacifista è una pace di soddisfazione come
risultato di un accettazione consapevole fra le parti che non hanno piu rivendicazioni
reciproche da avanzare, si tende ad abbracciare tutti gli stati, ad essere mondiale.
Non include che le teorie e i movimenti per la pace, specie del passato, si siano proposti
progetti di pace limitati a un gruppo di stati, ma la pace parziale è sempre stata considerata
dai pacifisti una fase di transizione verso la pace universale.
L’antitesi della pace, la guerra , viene negata completamente e radicalmente dal pacifismo.
Considerano la guerra come male assoluto, non implica la pace come bene assoluto, i
pacifisti in genere non ritengono affatto che la pace da sola serva a risolvere tutti i
problemi che travagliano l umanità, la pace sia si un bene necessario ma anche non
sufficiente, è un bene prioritario. Kant afferma che non è la pace ma la liberta, la pace è
solo una condizione preliminare.
Opposto al pacifismo c è il bellicismo, non è però un opposizione assoluta. Non vi è mai
stato fautore di guerra tanto radicale. Il fine che il pacifista si propone è l eliminazione della
guerra, il fine del bellicista non è l eliminazione della pace piuttosto che la pace per lui è un
momento negativo e la guerra positivo della storia.
Bellicista è colui che ritiene che in certe circostanze la guerra sia un bene e la pace un male,
un mondo spiritualmente e moralmente materialmente piu povero. Marinetti: la guerra è
la sola igiene del mondo.
Affini al pacifismo sono invece internazionalismo (non imperialismo), cosmopolitismo,
mundialismo, universalismo che vogliono il superamento delle barriere nazionali, il
cosmopolitismo è un movimento piu culturale che politico e istituzionale. Il pacifismo è piu
specifico rispetto ai mezzi.
- La storia del pacifismo può essere condotta a due movimenti: dall’utopia alla scienza cioè l
elaborazione di progetti destinati a restare senza alcuna efficacia in cui essi indagano le
cause; dalla teoria all’azione cioè dalla riflessione filosofica sulla guerra e sulla pace come
momenti necessari e sulla condizione della pace alla costituzione dei movimenti
organizzati.
- I tre principali sono l abbe de saint pierre, quello di kant (per la pace perpetua), saint
simon e thierry.
Tutti e tre della forma piu elementare del pacifismo, quello giuridico o della pace
attraverso il diritto, è concepire il processo di formazione di una stabile societa
internazionale ad analogia del processo con cui si sarebbe formato, secondo il modello
hobbesiano, lo stato, passaggio dallo stato di natura che è stato di guerra, allo stato civile
che è pace e patto d unione.
Una linea di sviluppo si intravede nei tre progetti indicati: il rafforzamento del patto di
unione sino a diventare un patto di sottomissione ed è il puto in cui l ordinamento
internazionale scompare per dar luogo a un nuovo e piu ampio ordinamento statale.
Saint pierre parla di alleanza perpetua tra stati, la perpetuita che trasforma l alleanza in
una forma associativa diversa come la confederazione.
Il progetto kantiano è gia esplicitamente confederale, il pacifismo democratico che
nessuno degli stati fra cui si dovra stabilire il patto d unione sia retto da un regime
dispotico.
Saint simon afferma che il patto non puo avvenire se non fra stati che abbiano lo stesso
tipo di reggimento e questo non puo essere dispotico, ma come Inghilterra e francia
parlamentare, ritiene insufficiente il patto di associazione che darebbe vita a una mera
confederazione ed elabora il progetto di costituzione di un vero e proprio stato federale,
nuovo che sorga sopra i vecchi stati senza dissolverli, in conformita con gli stati uniti d
america (non solo alleati o associati). Il pacifismo giuridico: di federazione in federazione
sino a quella mondiale.
- Tre filosofie della storia dominano il XVIII e il XIX secolo che hanno considerato la pace
durevole, quella illuministica, positivistica e marxista. Si contraddistinguono dal modo di
concepire la causa principale della guerra e quindi dal rimedio.
Per gli illuministi la causa è il dispotismo e che pertanto la guerra come massimo tra mali,
dipende dalla natura del regime politico, kant infatti considera condizione preliminare per l
instaurazione di un patto confederale fra stati il regime repubblicano. L idea fondamentale
è che solo l abbattimento dei troni e l instaurazione di stati fondati sulla sovranità del
popolo permetteranno all’umanita di porre fine a quell’evento distruttivo che è la guerra.
La concezione positivistica della storia è l idea che il progresso consista non tanto nel
passaggio dagli stati assoluti agli stati rappresentativi, dal dispotismo alla liberta, quanto
nel passaggio dalle società di tipo militare alle società di tipo industriale.
La concezione postivistica mette l accento piu sull’organizzazione sociale nel suo complesso
che sul sistema politico.
Mentre la teoria del pacifismo illuministico prevede che la sostituzione della santa alleanza
dei popoli alla santa alleanza dei principi la guerra diventerà impossibile, la teoria della
pace positivistica prevede che la guerra diventerà sempre piu inutile.
Non vi sarà quindi vera pace se non quando i popoli si saranno impadroniti del potere
statale (illuminismo), quando l organizzazione militare della società non verrà meno di
fronte all’avanzata dell industrialismo (positivismo) non vi sarà vera pace se non quando la
societa socialista non avrà sostituito la società dominata da gruppi dominanti minoritari
che non possono conservare il potere se non esercitando la violenza fuori e dentro i confini
dello stato con una nuova forma di societa (socialismo).
Tre diversi livelli di profondita, organizzazione politica il primo, societa civile il secondo e
modo di produzione il terzo. Cio che hanno in comune è la pace come risultato inevitabile
del processo storico.
La pace perpetua che verrà dal modo sempre più improbabile della guerra come modo per
risolvere i conflitti. Perseguono l immagine di una società rispettivamente non bellicosa,
conflittualistica ma non bellicosa, oppure non conflittualistica.

CAPITOLO IV

LA NON VIOLEZA E’ UN’ALTERNATIVA?

Marxismo e non violenza sono incomparabili perche se vengono presi nell accezione comune sono
due termini eterogenei. Per compararli bisogna in qualche modo ridurre l uno all’altro: il marxismo
è una condizione generale dell’uomo e della storia e sostenendo che anche la nonviolenza è una
concezione generale dell’uomo e della storia.

Questo tipo di riduzione svolta da Pontara. Vi è un altro modo di rendere i due termini omogenei
considerando la non violenza negativa come un insieme di tecniche da adoperarsi per raggiungere
un certo scopo e facendo anche del marxismo anziche una concezione generale del mondo una
tecnica d azione.

O consideriamo entrambi come concezioni del mondo o allora per non violenza dobbiamo
intendere gandismo, oppure consideriamo entrambi come tecniche e allora per il marxismo
dobbiamo intendere il lenismo. Il dubbio è se esiste un alternativa alla violenza. Il marxismo entra
nella mia relazione unicamente in quanto puo essere considerato come dottrina che giustifica in
determinate circostanze la violenza rivoluzionaria.

La violenza suscita orrore e in particolare quella forma di violenza piu estesa durevole e micidiale
che è la guerra, ma la guerra e la violenza non solo sono sinora sempre esistite ma non possiamo
cancellarle dalla storia perche la storia è in gran parte un prodotto della violenza.

Molte delle conquiste civili, che noi consideriamo benefiche per il progresso umano, sono state
partorite attraverso la violenza.

Eppure possiamo immaginare una storia diversa, in cui i grandi imperi dell’america centrale non
fossero mai stati toccati dall’influenza europea non mai assoggettati con ferro e fuoco da altri
popoli? La nostra costituzione è venuta dai momenti più tragici della storia. La violenza e i fiumi di
sangue è compenetrata nella storia che è impossibile prescinderne.

Quando si consideri la guerra non in astratto, non ce ne è una che non abbia trovato buoni
argomenti per la propria giustificazione. Chiunque abbia meditato sul problema della
giustificazione della violenza afferma che la violenza propria è una risposta, l’unica possibile in
date circostanze alla violenza di altrui.

Anche in un ordinamento giuridico fondato sul ripudio della violenza vi almeno un caso in cui la
violenza è considerata lecita, quando è la sola possibile risposta a una violenza illecita.

Il problema è che la violenza originaria è sempre per ognuno dei due contendenti quella dell altro.
Ex parte principis la violenza giustificata è quella che serve alla conservazione del potere. ex part
populi è invece quella opposta, quella che tende a conservare il potere qual è ma a distruggerlo
per sostituirlo con un altro.

Non vi è una sola etica della violenza ma ve ne sono due opposte e incompatibili: l’una e positiva
della stabilita e la seconda positiva del mutamento.
Tutte e due danno una giustificazione della violenza, da un lato la violenza istituzionalizzata pone
come argine alla violenza rivoluzionaria, dall’altro la violenza rivoluzionaria si pone come rimedio
alla violenza delle istituzioni; muta il punto di partenza ma non la causa di giustificazione.

Risponde perfettamente all’evoluzione della teoria della guerra giusta, per secoli era considerata
quella tra stati, la guerra pubblica, conservatrice. Giusta sarebbe la guerra quindi che ha lo scopo
di ristabilire l ordine turbato. Soltanto a cominciare dall’epoca della rivoluzione francese si
intraprende un'altra strada attribuendo un valore positivo alla violenza eversiva, la guerra di
indipendenza e dei movimenti rivoluzionari. I loro fautori si appellarono al diritto naturale di
autodeterminazione dei popoli, come i rivoluzionari in francia si appellarono al diritto naturale.
Corrisponde perfettamente alla differenza fra le due forme di violenza che fanno capo
rispettivamente a una concezione conservatrice e una rivoluzionaria della società.

Tramontata la teoria della guerra giusta, se la si considera limitata alla guerra fra stati sovrani la
stessa teoria è sempre attuale quando si ponga mente al fenomeno delle guerre di rivoluzione
queste infatti hanno provocato e continuano a provocare movimenti di opinione favorevoli a
nuove forme di giustificazione della violenza.

Per condurre piu a fondo l esame della corrispondenza fra le due etiche della violenza dovrebbe
considerare altri due temi quello della legittimazione e della legalizzazione dell’azione violenza.
Giustificare la violenza significa rispondere “esiste una violenza giusta?”. Ma perche la violenza sia
eticamente accettabile non basta che sia giusta ma che sia esercitata da coloro che sono
autorizzati a farlo e questo aspetto è la legittimazione, coloro che detengono il potere legittimo
non ogni cittadino.

Per legalizzazione della violenza intendo l insieme di regole che delimitano l uso della violenza
ancorchè giusta e legittima, a certe azioni a esclusione di altre in talune circostanze e con certe
modalità.

Un caso è lo ius belli, cioè l insieme delle norme del diritto internazionale che stabiliscono una
serie di limiti alle operazioni belliche, dalla dichiarazione al trattamento dei prigionieri. Vi sono
regole generali ed astratte di condotta (primarie) e organizzazione (secondarie).

Più difficile è individuare i principi di legalizzazione della violenza rivoluzionaria. La differenza tra il
ius belli e il ius revolutionis sta in cio che il primo è concordato tra i belligeranti, il secondo è l
effetto di un atto unilaterale se pure fondato sui principi di reciprocita. Vi è peraltro almeno una
regola generale cui si conformano, questa è la giustificazione di violenza come extrema ratio.

Non solo deve essere giusta, fatta da chi ha il potere ma deve essere esercitata solo in casi estremi
quando non è possibile raggiungere lo scopo desiderato con altri mezzi.

Questo nell ambito del diritto statale e nel diritto internazionale e spesso anche nell etica della
violenza eversiva. Il meccanismo di giustificazione è semplice: il meccanismo del ragionamento
teleologico che valuta il mezzo in funzione del fine e postula la massima il fine giustifica i mezzi. Il
valore che viene attribuito alla violenza è un valore relativo non assoluto.

Non vi è fine che gli uomini abbiano considerato buono per cui il ragionamento non sia stato
giudicato necessario se pur soltanto in circostanze ben individuato, l uso della violenza in quanto
portatrice di un valore strumentale la violenza puo essere condannata parzialmente come un male
purche venga riscattata come necessario o minore.

Hiroshima e Nagasaki: in via principale tale azione fu giudicata come necessaria per ottenere il piu
rapidamente possibile la cessazione della guerra, in via subordinata fu giudicata in ogni modo
come un male minore per il fatto che il numero delle vittime per quanto altissimo si poteva
prevedere sarebbe stato inferiore a quello che avrebbe prodotto il prolungamento della guerra
con armi tradizionali. Al contrario una violenza non necessaria è il terrorismo.

Ogni condanna della violenza è sterile se non accompagnata dalla ricerca di mezzi alternativi.
Nella guerra tra stati l alternativa è lo stato universale, ma se si considera la guerra rivoluzionaria,
la soluzione del superstato è parziale ed ancora piu limitata se si guarda il problema della violenza
in generale. Anche il superstato è fondato sulla diseguaglianza fra governanti e governati.

Si intenda anche la guerra rivoluzionaria come violenza eversiva contro la violenza istituzionale. Lo
stato, qualsiasi stato, non è l eliminazione della violenza ma la sua istituzionalizzazione, allo stesso
modo che il diritto internazionale ha per scopo non l eliminazione della guerra ma la sua
istituzionalizzazione.

L’alternativa alla violenza viene giustificata come resistenza all oppressione che lo stato
democratico, la cui essenza consiste nella costituzionalizzazione del diritto di resistenza. La
funzione delle diverse parti politiche di contendere tra loro pacificamente il raggiungimento delle
mete che al di fuori di quelle regole non potrebbero essere ottenute se non con mezzi violenti. È
una risposta incompleta. Un partito rivoluzionario non appena accetta lealmente le regole del
gioco si trasforma in partito riformista.

L’ unico tentativo di rispondere alla domanda se vi sono alternative di violenza è fatto dai fautori
di gandi. In linea generale le tecniche della nonviolenza collettiva si possono distinguere in due
categorie: quelle che mirano ad agire sul potere economico come boicottaggio e sabotaggio e
quelle che mirano ad agire sul potere politico con disobbedienza politica.

Il risultato che generalmente le varie tecniche della nonviolenza collettiva riescono a raggiungere è
quello di paralizzare di mettere in difficoltà l avversario.

Esse servono a rendere difficile il raggiungimento dello scopo altrui. A rendere il potere
momentaneamente impotente piuttosto che a contrapporgli un altro potere. sembra difficile
considerare queste tecniche nl loro complesso tecniche di azione rivoluzionaria se si intende per
rivoluzione il rovesciamento radicale di u sistema economico sociale e non soltanto politico.
Nessuna delle grandi rivoluzioni è sinora condotta senza violenza.

Dal momento che ogni violenza è giustificata quando è una risposta alla violenza altrui la
giustificazione della violenza rivoluzionaria importa la giustificazione nella violenza
controrivoluzionaria.

Le tre possibili alternative esaminate: superstato non eliminazione violenza ma


istituzionalizzazione, rispetto alla guerra esterna; metodo democratico non preclude la
rivoluzione; per la guerra interna; non violenza collettiva non ha la stessa efficacia della violenza
rispetto all azione rivoluzionaria; sono tutte parziali.

Usare la violenza per raggiungere gli scopi rischiando continuamente, senza i loro utenti se ne
rendano conto, di corrompere il fine, o per lo meno di far pagare non solo ai vinti ma anche ai
vincitori un prezzo troppo alto e sproporzionato per il risultato raggiunto.

Non è realistica la condanna della violenza. L unica proposta realistica è proprio quella che i realisti
considerano irrealistica ed è quella che mira all’invenzione di nuove istituzioni e di nuovi strumenti
di azione che permettano di risolvere senza bisogno di ricorrere alla violenza individuale e
collettiva i conflitti sociali.

La storia del movimento operaio è stata di insegnamento, con grandi manifestazioni di


nonviolenza. In questo senso non vi è alcuna contraddizione fra marxismo e non violenza:
movimenti e partiti che si ispirano al marxismo hanno prodotto e continuano ad alimentare azioni
non violente collettive come scioperi parziali e generali, forme di disobbedienza civile come ha
fatto gandi.

Il marxismo è una teoria della rivoluzione sociale e non soltanto di quella politica e di conseguenza
è una giustificazione della violenza solo in quanto sia necessaria ai fini della rivoluzione.

Parte dell’incomprensione tra marxisti e movimenti non violenti dipenda dal fatto che i primi
vedono i secondi soltanto gli aspetti di rivolta individuali e parziali e i secondi hanno diffidenza
rispetto ai primi nella convinzione che per loro la violenza collettiva sia irrinunciabile.

Se si vuole giungere a una comprensione reciproca bisognerebbe che ilo contrasto sui fini ultimi
non fosse messo da parte, non fosse per cosi dire coperto dal contrasto sui mezzi che a mio parere
non è il contrato di fondo. Il fine ultimo del marxismo è la società comunitaria, per i movimenti
nonviolenti è una società libertaria.

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